Le scuole La conversione L'ambiente culturale milanese Gli anni fra il 1810 e il 1820 Il soggiorno a Parigi Gli ultimi anni Ritratto di sè stesso (1801) Cronologia |
Casa Manzoni al Caleotto |
Manzoni nacque a Milano il 7 marzo
1785, ufficialmente dal conte Pietro Manzoni e da Giulia
Beccaria, ma era probabilmente frutto di una relazione
prematrimoniale della madre con Giovanni Verri. I suoi genitori si separarono legalmente nel 1792 ed il loro disaccordo segnò la sua infanzia, che lo vide peregrinare da un collegio religioso all'altro. Dall'ottobre del 1791 al settembre del 1798 fu presso i padri Somaschi, in varie sedi delle loro istituzioni (prima a Merate, poi a Lugano). |
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Quindi, dalla fine del 1798, venne ammesso al collegio
Longone di Milano, un istituto dei padri Barnabiti, dal quale
uscì nell'estate del 1801.
La sua permanenza in questi collegi accese in lui acrimonie e
risentimenti. Del resto sua madre veniva da una famiglia, quella
del Beccaria,
di tradizioni razionaliste, che mal si conciliavano con
l'ambiente retrivo della sua educazione.
Durante gli anni dei suoi studi, la madre visse a Parigi, con il
nobile Carlo Imbonati.
Manzoni espresse apertamente le sue idee in merito alle scuole
frequentate in un famoso componimento giovanile, il Carme
in morte di Carlo Imbonati, nel quale condannò senza
appello i suoi maestri ed i metodi applicati.
Dopo aver tollerato per anni il rigore degli esercizi di retorica
e di grammatica tradizionali e la chiusura alle istanze della
cultura viva del mondo contemporaneo, nei suoi primi
componimenti, prove poetiche soprattutto, Manzoni si orientò
verso i modelli neoclassici e prese a maestro Vincenzo Monti, il cui
influsso è evidente negli altri suoi due poemetti più noti, Il
trionfo della libertà (1801) e Urania
(1809).
Nel 1801 Manzoni tornò nella casa paterna a Milano e si
immerse nel vivo della cultura cittadina del tempo. Negli
ambienti letterari l'impostazione era ancora quella illuminista,
dato che nel secondo Settecento Milano era stata in Italia uno
dei centri promanatori delle idee di questo movimento di
pensiero.
Il vate ed il mito della cultura illuminista milanese, Giuseppe Parini, era
morto appena qualche anno prima, nel 1799, e la potente
suggestione della sua poesia, i cui echi erano forti nei versi
del Monti e del Foscolo,
ancora plasmava i giovani delle nuove generazioni.
Fra i contemporanei dominava la personalità di Vincenzo Monti, che
esprimeva i più autentici valori classici e nello stesso tempo
era portavoce delle istanze letterarie recenti.
Figure di spicco nell'ambiente politico erano due esuli
napoletani rifugiati a Milano dopo il fallimento della
rivoluzione della repubblica partenopea, Vincenzo Cuoco ed il suo
amico Francesco Lomonaco,
che ebbero la funzione di mediatori tra la cultura illuminista
napoletana e quella lombarda.
A Francesco Lomonaco il giovane Manzoni dedicò un sonetto, ed in
un altro sonetto tratteggiò anche il proprio ritratto di giovane poeta.
Nel 1805 il Manzoni si recò a Parigi, la cui vivace vita
culturale contribuì non poco a sprovincializzare le vedute del
giovane poeta lombardo, mettendolo in contatto con i
rappresentanti del movimento romantico.
Egli divenne amico del letterato Claude Fauriel, che lo
introdusse nel circolo dei filosofi sensisti, soprannominati
"ideologi",
i quali certamente esercitarono su di lui una certa influenza, ma
di gran lunga dominante per la formazione del pensiero manzoniano
dovette essere la lettura dei grandi illuministi, soprattutto di
Voltaire, che formò in Manzoni l'attitudine al pensiero concreto
e rigoroso.
A Parigi egli si riconfermò nelle idee che gli venivano dalla
famiglia materna, quei principi che rimasero parte
imprescindibile della sua etica di scrittore e di uomo.
Il culto della libertà e della giustizia sono già elementi
portanti del Carme in morte di Carlo Imbonati,
ma il contatto con gli amici parigini svelava l'urgenza di una
loro applicazione politica.
Nello stesso tempo andava maturando in Manzoni il concetto di
un'arte aristocratica, che non si lasciasse invischiare nelle
pastoie di una società corrotta e volgare, condizionata da vuoti
formalismi come erano stati quelli che avevano imperversato nella
sua formazione scolastica.
Manzoni tornò a Milano nel 1807 e qui sposò, nel 1808,
Enrichetta Blondel, di fede calvinista. Il matrimonio venne
celebrato inizialmente secondo il rito della moglie e nel
febbraio 1810 venne convalidato secondo quello cattolico.
Marito e moglie vissero una fase di profonde meditazioni
spirituali, finchè Enrichetta, nel maggio del 1810, abiurò e
Manzoni, nel settembre, manifestò la sua conversione al
cattolicesimo, accostandosi alla comunione per la prima volta.
E' famoso l'episodio che si pone all'origine della conversione
manzoniana.
Per le vie di Parigi, durante i festeggiamenti per le nozze
tra Napoleone e Maria Luisa d'Austria, Manzoni perse la moglie
tra la folla e, frastornato, entrò nella chiesa di S.Rocco per
chiedere aiuto a Dio. Uscito, ritrovò facilmente la sposa.
Nella vicenda Manzoni vide un segno divino. Certamente questa non
fu l'unica causa a determinare la conversione di Manzoni, che
già da tempo si era rivolto a persone di fede per approfondire
la sua ricerca interiore. Fu determinante la scoperta di un
cristianesimo diverso da quello che gli era stato imposto nella
fanciullezza e nella giovinezza.
Il problema forse era originato dalla inconciliabilità che
Alessandro scorgeva tra i principi astratti del cristianesimo
convenzionale, al quale si appoggiava il privilegio, e le sue
idee di giustizia sociale e libertà. Questo contrasto venne
conciliato dalle conversazioni con il padre Degola, un colto
sacerdote di tendenza giansenistica,
che portò Manzoni a scoprire le istanze sociali che si celavano
nel messaggio cristiano.
La conversione manzoniana non fu comunque un fenomeno
sentimentale, si fondò piuttosto sulla lettura dei maggiori
pensatori cattolici come Bossuet e Pascal e sull'analisi dei
testi sacri.
Alla conversione corrispose un profondo ripensamento quanto al
ruolo dello scrittore nella società. Al tempo dei suoi carmi
giovanili egli aveva ispirato la sua opera a modelli neoclassici
ed aveva avuto come scopo il raggiungimento della fama, dopo il
1809 la sua attenzione si concentrò sulle vicende storiche viste
come lo sfondo della lotta e del travaglio degli umili ed il suo
modello divenne la tradizione didascalica lombarda del '700.
Manzoni diveniva così uno scrittore di impronta educativa, che
intendeva rivolgersi non ai pochi eletti che condividevano i suoi
nobili ideali, ma ad un pubblico di lettori quanto più vasto
possibile.
Così nella sua nuova concezione il soggetto della poesia, pur
essendo tale da poter rivolgersi alle persone dotte, doveva anche
avere in sè quanto è necessario per interessare un largo
pubblico e deve contenere elementi che siano nati "dalle
memorie e dalle impressioni giornaliere della vita."
Quando nacque la polemica
fra classici e romantici, Manzoni non vi partecipò
direttamente scrivendo articoli per il "Conciliatore", ma
scrisse una lettera a
Cesare D'Azeglio intitolata Sul Romanticismo
(1823) ed ebbe una parte notevole nelle discussioni e
nei dibattiti degli uomini che ne formavano la redazione, come Di
Breme, Visconti, Berchet.
La sua posizione di sostegno alle loro idee si manifestò più
concretamente con la composizione delle tragedie Il Conte di Carmagnola
(1816-1819) e Adelchi
(1820-1822), in cui metteva in pratica i principi romantici.
Nel frattempo in questo decennio si andava maturando in lui un
cristianesimo integrale, che lentamente pervase tutta la sua vita
interiore e determinò anche la ricerca di nuove forme
espressive. Ne furono il portato letterario gli Inni Sacri, che vennero
composti fra il 1812 ed il 1822.
L'approfondimento manzoniano della vita e della storia alla luce
della fede cristiana trovò comunque la più completa espressione
nelle Osservazioni
sulla morale cattolica, scritte nel 1817. Una
seconda edizione, con una appendice, venne poi pubblicata nel
1855, per contrastare le opinioni del filosofo ingleseBentham.
In questo scritto Manzoni difende la Chiesa cattolica dalle
accuse del ginevrino Sismondo
Sismondi che, nella sua "Storia delle repubbliche
italiane" sosteneva che la Chiesa era stata una delle cause
della corruttela d'Italia.
Nella sua difesa Manzoni usa il metodo dell'argomentazione
razionale e rigorosa derivata da Voltaire, per smontare le accuse
che erano state rivolte al cattolicesimo proprio da quelle frange
della società che volevano, in nome di principi illuministici o
razionalisti, ritrarre il cattolicesimo come il terreno della
convenzione più retriva.
Intanto matura anche la concezione politica manzoniana. Già nel
1815, con la canzone Aprile 1814, il poeta
aveva festeggiato la fine della dominazione francese e nello
stesso anno, con il Proclama di Rimini,
aveva esaltato l'azione di Murat in favore della libertà
italiana. Il suo liberalismo diventa ora un principio che
trascende il riconoscimento della giustizia della libertà per il
popolo italiano, per estendersi al concetto che la libertà è
bene inalienabile di ogni popolo ed è garantito da Dio.
Manzoni capovolge così il concetto che voleva il cattolicesimo
alleato dei regnanti e dei tiranni contro il popolo, per dare
invece alla Chiesa il ruolo di promotrice degli ideali di
libertà dei popoli, ideali asseriti dalla legge divina.
Questo riavvicinamento della Chiesa ai valori liberali fu la
premessa del neoguelfismo che, in politica, divenne liberalismo
moderato.
Manzoni favorì quindi il ritorno della Chiesa nel movimento
risorgimentale italiano.
Nel 1827 Manzoni pubblicò la prima edizione dei Promessi Sposi. Fra il
1821 ed il 1822, mentre attendeva alla stesura dell'Adelchi, aveva lavorato
ad un romanzo che aveva il titolo provvisorio di Fermo e Lucia,
che venne completato nel 1823 e poi sottoposto ad una decisa
revisione. Il risultato dell'attento rimaneggiamento
contenutistico fu l'edizione del 1827 dei Promessi Sposi, con la
quale, però, il lavoro manzoniano non si concluse, tanto che
l'ultima edizione, quella definitiva, che rivedeva profondamente
il linguaggio usato nelle stesure precedenti, venne pubblicata
nel 1840-42.
Gli anni successivi al 1827 non sono anni creativi, ma sono
piuttosto dedicati al problema della lingua. Questa rinuncia
manzoniana all'arte viene motivata nel saggio Del romanzo storico e, in
genere, de' componimenti misti di storia e d'invenzione,
che venne scritto nel 1828 e pubblicato nel 1845.
In questi anni Manzoni seguì con interesse gli sviluppi politici
che accompagnarono il Risorgimento. Nel 1848 firmò l'indirizzo
dei milanesi a Carlo Alberto e, dopo i fatti del 1848, sperò
nella unificazione italiana ad opera del Piemonte.
Ammirò la politica del Cavour e, quanto ai rapporti fra Chiesa e
Stato, fu favorevole alla condanna del potere temporale della
Chiesa.
Con la seconda edizione dei Promessi Sposi
apparve la Storia della
Colonna Infame, che seguiva un filone di analisi
storica iniziato nel 1822 con il Discorso sopra alcuni
punti della storia longobardica in Italia.
Manzoni si dedicò anche agli studi filosofici, ai quali venne in
certo modo invogliato dalla sua amicizia col Rosmini, che portò i
suoi frutti nel trattato Dell'Invenzione,
del 1850.
In questo ambito è importante anche la lettera al filosofo
francese Cousin sui rapporti fra linguaggio e conoscenza, del
1829.
Manzoni morì a Milano il 22 maggio 1873, dopo aver votato nel
1861 a favore della legge che proclamava Vittorio Emanuele re
d'Italia.
Gli ultimi anni li aveva trascorsi in famiglia, con il conforto
di una ristretta cerchia di amici.