IL "CONCILIATORE"

Tra gli intellettuali milanesi dell'epoca del Manzoni si formarono due gruppi. Il primo, al quale faceva capo Manzoni stesso, includeva uomini di cultura come Giovanni Berchet, Torti, Visconti, il secondo raccoglieva il Borsieri, il Pellico, il Di Breme. Da una parte e dall'altra vi erano uomini disposti al confronto ed allo scambio di idee.
Fu il Pellico a concepire il progetto di fondare un giornale che si sarebbe fatto portavoce delle idee di ambedue le parti.
Silvio Pellico era precettore presso il conte Luigi Porro Lambertenghi e riuscì ad avere dal suo patrono il sostegno economico necessario a fondare il periodico. Al Lambertenghi si aggiunse poi il conte Federico Confalonieri, che garantì gli altri fondi necessari all'attuazione del progetto.
Il giornale era destinato a conciliare punti di vista di intellettuali di provenienza diversa e dalle posizioni non univoche; di qui venne scelto il nome, "Conciliatore".
Le idee di cui il periodico rappresentava il veicolo erano quelle della borghesia milanese, tesa a reagire al ristagno economico ed intellettuale provocato dalla dominazione austriaca, facendosi promotrice di un rinnovamento nel campo sociale ed economico, che riguardava il campo dell'agricoltura e della produzione in genere, ma si estendeva, com'è ovvio, anche alle lettere ed alle arti. L'idea era quella di favorire al contempo un miglioramento delle tecniche atte al rilancio economico e di garantire migliori condizioni di vita alla classe lavoratrice.
Il "Conciliatore" uscì con il suo primo numero il 5 settembre 1818 e prese frequenza bisettimanale, ma la sua pubblicazione durò appena un anno a causa dell'ostilità governativa, che ne sospese l'uscita il 17 ottobre del 1819.
Sul periodico apparvero recensioni di opere straniere, articoli di letteratura, pedagogia, economia, storia e costume.
Certamente i suoi redattori fecero tesoro della esperienza avuta in precedenza con la pubblicazione del "
Caffè", il giornale sostenuto dagli illuministi lombardi nel secolo XVIII.
Scrittori come il Pellico capirono ben presto che facendo letteratura e cultura si poteva fare politica. Fu questa convinzione che spinse il Pellico stesso a pronunciare esplicitamente, in una lettera al fratello, il giudizio secondo il quale i romantici erano i progressisti, mentre i fautori del classicismo erano conservatori e spie del governo.


La polemica classico-romantica