BERCHET E
LA LETTERA SEMISERIA DI GRISOSTOMO

Giovanni Berchet nacque a Milano nel 1783.
Il padre tentò senza successo di avviarlo al commercio, al quale il giovane preferì gli studi letterari, che coltivava mantenendosi con lo stipendio di impiegato pubblico.
Quando sorse la
polemica fra classici e romantici, nel 1816, Berchet fu tra i più vivaci sostenitori della de Stael e pubblicò un documento, "La lettera semiseria di Grisostomo", che è considerato il manifesto del Romanticismo lombardo.
Grisostomo, l'immaginario compilatore della lettera, invia ad un figlio studente la traduzione di due poemi del Burger, "Il cacciatore feroce" e la "Leonore", e accompagna i componimenti con un discorso sui principi della nuova poesia romantica tedesca.
Alla fine della lettera, però, finge di aver scherzato e sostiene di essere un fautore dei classicisti - dei quali fa una ironica difesa - e di essere contrario alla concezione romantica.
Nella parte della lettera che illustra i principi della letteratura romantica, Berchet, nei panni di Grisostomo, insiste su quelle che considera le idee basilari del nuovo movimento letterario. Innanzitutto quella della "popolarità" della poesia, cioè, della necessità che essa interpreti e si faccia portatrice dei sentimenti del popolo.
Poi chiarisce che cosa si debba intendere per "popolo": tutti hanno più o meno vivo il senso della poesia. Fra la gente, spiega Berchet, si possono individuare tre categorie. Gli ignoranti, completamente ottusi ad ogni voce poetica, i pedanti, dotti ma privi di commozione, e la maggioranza dei lettori, che conserva spontaneo un vivo senso della poesia. Questa terza categoria rappresenta il "popolo" nel senso in cui voleva intenderlo Burger quando parlava di poesia "popolare".
La missione del poeta è quella di commuovere, dilettare, educare, cioè una missione civilizzatrice, ma i contenuti devono essere vivi e concreti, ed espressi in forma semplice e non accademica.
Berchet introduce poi la distinzione, proposta nella poesia tedesca, fra "classici" e "romantici". L'inizio della poesia romantica - ed in questo Berchet si trova concorde con Schlegel, Madame de Stael e
Sismondi - risale all'anno Mille, momento in cui i poeti europei hanno scelto, da una parte, l'imitazione dei classici e, dall'altra, l'interpretazione vera della natura.
I rappresentanti di questo secondo gruppo, volgendosi ad esaminare la realtà circostante, vi trovarono pensieri nuovi e moderni, che li avvicinarono al mistero delle cose, al soprannaturale e alle parole dei contemporanei.
Il poeta romantico quindi da sempre si ispira alle tradizioni del proprio tempo e della propria nazione, il poeta classico si rivolge al passato.
In un certo senso, perciò, Omero e i tragici greci sono stati dei "romantici", perchè non si sono rivolti ad una tradizione letteraria precedente.
Ma, ciò che è più importante, il concetto dell'imitazione, continua il Berchet, è stato abbattuto dal Romanticismo che, contrariamente a quanto prescritto dai pedanti, pratica l'imitazione diretta della natura, e non l'imitazione di un altro scritto. E' caduto così il principio di autorità dei modelli ed è venuta meno anche la necessità di rispettare strettamente delle regole.
Per questo il Romanticismo riconosce ai poeti la facoltà di mescolare liberamente i generi che nella retorica classica dovevano restare distinti.
Oltre che con la "Lettera", Berchet partecipò al movimento di innovazione letteraria favorito dai romantici anche con numerosi articoli, apparsi sul "
Conciliatore", finchè, in seguito all'arresto di Federico Confalonieri, che finanziava il periodico, dovette prendere la via dell'esilio.
Fu prima in Francia, poi in Inghilterra e quindi in Belgio, dove rimase fino al 1843, anno in cui ritornò in Italia.
Si trovava a Firenze nel 1848 quando ebbe notizia delle cinque giornate di Milano e prese a tenere entusiastici discorsi, invitando i milanesi ad unirsi al Piemonte.
In Piemonte, Berchet fu eletto due volte deputato, ma assunse posizioni moderate, quasi conservatrici. Morì nel 1851.
Le sue opere più famose sono "I profughi di Parga", le "Romanze", le "Fantasie".


La polemica classico-romantica