DEL ROMANZO STORICO E, IN GENERE, DEI COMPONIMENTI MISTI DI STORIA E D'INVENZIONE |
Il problema del vero storico, affrontato già nelle
tragedie Il Conte di
Carmagnola e Adelchi,
e reso poi ancor più importante dalla stesura dei Promessi Sposi, fu
sempre presente alla riflessione di Manzoni e trovò nel tempo
soluzioni diverse.
Il trattato Del Romanzo storico..,
pubblicato nel 1845, di nuovo poneva il problema affrontando il
quesito se fosse possibile conciliare, nel genere letterario del
"romanzo storico", la verità storica con la fantasia
dello scrittore.
Manzoni giunge ad una conclusione che squalifica il genere del
romanzo storico in quanto genere ibrido, basato su due elementi,
storia e fantasia, che sono per loro natura inconciliabili.
Ciò non toglie che a suo parere alcune singole opere possano
avere un qualche valore letterario. E nel dire questo egli
ammette che alcuni romanzi dello Scott ed i Promessi Sposi siano
risultati apprezzabili e godibili dal pubblico, dotati anche di
valore letterario.
Però, aggiunge, "è un fatto di que' romanzi, non il fatto
del romanzo storico...".
Probabilmente un giudizio così negativo da parte del Manzoni è
anche dovuto alla grande quantità di romanzi a sfondo storico di
poca qualità che circolavano in quegli anni, opere nelle quali
la realtà storica non era più che un pretesto appena accennato
e l'invenzione e l'arbitrio prevalevano nettamente.
D'altro canto, con il passare degli anni, Manzoni divenne sempre
più sensibile alle tematiche storiche. Lo dimostra l'impegno che
profuse in una delle sue ultime fatiche letterarie, il Saggio
comparativo su la rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione
italiana del 1859.
De' fatti reali, dello stato dell'umanità in certi tempi, in certi luoghi, è possibile acquistare e trasmettere una cognizione, non perfetta, ma effettiva: ed è ciò che si propone la storia [...]. Non arriva fin dove vorrebbe: ma non ne sta volontariamente indietro un passo.[...I Vi lascia anch'essa qualche volta nel dubbio; ma quando ci si trova essa medesima.[...] Anzi anche del dubbio la storia si serve. Non solo lo confessa apertamente, ma, all'occorrenza, lo promove, lo sostiene, cerca di sostituirlo a delle false persuasioni. Vi fa dubitare, perché ha voluto che dubitaste; non come il romanzo storico, per avervi eccitato ad assentire, sottraendovi insieme ciò ch'era necessario a determinar l'assentimento. Nel dubbio provocato dalla storia, lo spirito riposa, non come al termine del suo desiderio, ma come al limite della sua possibilità: ci s'appaga, dirò così, come in un atto relativamente finale, nel solo atto bono che gli sia dato di fare. Nel dubbio eccitato dal romanzo storico, lo spirito in vece s'inquieta, perché nella materia che gli è presentata vede la possibilità d'un atto ulteriore, del quale gli è nello stesso tempo creato il desiderio, e trafugato il mezzo. [...] Può una parte della miseria dell'uomo il non poter conoscere se non qualcosa di ciò che è stato, anche nel suo piccolo mondo; ed è una parte della sua nobiltà e della sua forza il poter congetturare al di là di quello che può sapere. La storia, quando ricorre al verosimile, non fa altro che secondare o eccitare una tale tendenza. Smette allora, per un momento, di raccontare, perché il racconto non è, in quel caso, l'istrumento bono, e adopra in vece quello dell'induzione: e in questa maniera, facendo ciò che è richiesto dalla diversa ragione delle cose, viene anche a fare ciò che conviene al suo novo intento. Infatti, per poter riconoscere quella relazione tra il positivo raccontato e il verosimile proposto, è appunto una condizione necessaria, che questi compariscano distinti....
Venendo finalmente al paragone tra l'assunto comune
all'epopea e alla tragedia, e l'assunto del romanzo storico, è
facile vedere che la differenza essenziale sta in questo, che il
romanzo storico non prende il soggetto principale dalla storia,
per trasformarlo con un intento poetico, ma l'inventa, come il
componimento dal quale ha preso il nome, e del quale è una nova
forma. Voglio dire il romanzo nel quale si fingono azioni
contemporanee: opera affatto poetica, poiché, in essa, e fatti e
discorsi tutto è meramente verosimile. Poetica però,
intendiamoci, di quella povera poesia che può uscire dal
verosimile di fatti e di costumi privati e moderni, e collocarsi
nella prosa. Con che non intendo certamente d'unirmi a quelli che
piangono, o che piangevano (giacché la dovrebb'esser finita)
quelle età così poetiche del gentilesimo, quelle belle
illusioni perdute per sempre. Ciò che ci fa differenti in questo
dagli uomini di quelle età, è l'aver noi una critica storica
che, ne' fatti passati, cerca la verità di fatto, e, ciò che
importa troppo più, l'avere una religione che, essendo verità,
non può convenientemente adattarsi a variazioni arbitrarie, e ad
aggiunte fantastiche. [...]
Ho detto: differenza essenziale; infatti, non è, come
nell'epopea e nella tragedia (il rispetto dovuto agli uomini
celebri, che hanno dato del loro alla cosa, non deve impedire di
qualificar la cosa medesima), non è quella finzione grossolana,
che consiste nell'infarcir di favole un avvenimento vero, e di
più un avvenimento illustre, e perciò necessariamente
importante. Nel romanzo storico, il soggetto principale è tutto
dell'autore, tutto poetico, perché meramente verosimile. E
l'intento e lo studio dell'autore è di rendere, per quanto può,
e il soggetto, e tutta l'azione, tanto verosimile relativamente
al tempo in cui è finta, che fosse potuta parer tale agli uomini
di quel tempo, se il romanzo fosse stato scritto per loro....
Non si può dissimulare che ciò che acquistò nel primo momento più favore a un tal componimento, fu appunto quell'apparenza di storia, cioè un'apparenza che non può durar molto. Quante volte è stato detto, e anche scritto, che i romanzi di Walter Scott erano più veri della storia! Ma sono di quelle parole che scappano a un primo entusiasmo, e non si ripetono più dopo una prima riflessione. Infatti [... ] c'era aggiunto un altro vero, ma di diversa natura; e perciò appunto il concetto complessivo non era più vero. Un gran poeta e un gran storico possono trovarsi, senza far confusione, nell'uomo medesimo, ma non nel medesimo componimento. Anzi, quelle due critiche opposte, che ci hanno dato il filo per fare il processo al romanzo storico, erano già spuntate ne' primi momenti, e in mezzo alla voga; come germi di malattie mortali avvenire in un bambino di floridissimo aspetto. E la voga, si mantiene poi sempre uguale? C'è la stessa voglia di far romanzi storici, e la stessa voglia di leggere quelli che sono già fatti?