CAPITOLO XXIX selezione di brani dal testo |
Don Abbondio,
alle notizie della devastazione portata nel ducato di Milano
dall'esercito dei Lanzichenecchi, cade in una crisi di sconforto
e di terrore. Vorrebbe fuggire, ma nessun luogo gli pare
abbastanza sicuro e resta paralizzato fra un dubbio e l'altro.
Perpetua è
impegnata per il momento a nascondere la roba più preziosa e non
ascolta i suoi lamenti, ma è decisa, una volta conclusa tutta
quella manovra, a prenderlo per un braccio e a portarselo su per
la montagna.
Don Abbondio si affaccia alla finestra e, inascoltato dalla
serva, invoca l'aiuto dei suoi parrocchiani, che passano carichi
dei loro averi e neanche volgono lo sguardo.
Mentre Perpetua si appresta ad uscire, dopo aver sepolto i denari
nell'orto e riempito una gerla di viveri, entra Agnese, che dice di
voler cercare rifugio al castello dell'Innominato.
Perpetua accoglie l'idea, mentre Don Abbondio è titubante,
dubbioso se quel potente sia convertito davvero.
I tre alla fine si avviano e battibeccano lungo la strada che li
porta lontano dal paese e dal pericolo.
Raggiunta la via maestra, arrivano al paese del sarto, che li
accoglie affettuosamente.
Si prepara una povera mensa e i
ragazzini fanno festa ad Agnese. Durante il pasto il sarto continua a conversare di libri, per far risaltare davanti a Don Abbondio la sua cultura, e mostra una figura del Cardinale Federigo attaccata al battente della porta, vantandosi di averlo conosciuto personalmente ed anzi, di averlo ricevuto in casa. Organizzato il viaggio su di un barroccio, i tre giungono ai piedi della salita che conduce al castello dell'Innominato, divenuto asilo per i poveri ed i fuggiaschi. |
---|
L'Innominato stesso guida i suoi servitori a respingere i soldati sbandati e mantiene l'ordine, pur disarmato, nei suoi possedimenti.