L'AMBIENTAZIONE

Gli eventi storici sono alla base del romanzo (cfr.Il frangente politico). Manzoni se ne serve per dare verosimiglianza alla narrazione, ma anche per assumere il suo atteggiamento polemico verso la versione ufficiale dei fatti quale essa è narrata dagli storici di ogni epoca.
In precedenza, lo scrittore aveva fatto le sue riflessioni sul ruolo della storia nella letteratura, problema col quale si era cimentato già a proposito dell'
Adelchi, quindi si era di nuovo soffermato sull'argomento nella Lettre a M.Chauvet e nella lettera Sul Romanticismo.

Preparandosi alla stesura del romanzo, Manzoni legge la "Storia di Milano" del Ripamonti, l'"Economia e Statistica" di Gioia, le opere del Cardinale Borromeo ma, soprattutto, i "Gridari", che contenevano tutte quelle norme provvisorie a cui il governo ricorreva in mancanza di una legislazione efficace.

Manzoni ambienta il suo romanzo nel Seicento perchè considera questa l'epoca che meglio rappresenta una aberrazione generale della società.
In una lettera al
Fauriel egli scrive:

"il governo più arbitrario combinato con l'anarchia feudale e l'anarchia popolare; una legislazione sbalorditiva per ciò che positivamente stabilisce, o lascia indovinare, o racconta; un'ignoranza profonda, feroce e pretenziosa; classi sociali mosse da interessi e principi opposti...; infine una peste che ha dato modo di far prova di sè alla scelleratezza più consumata e spudorata, ai pregiudizi più assurdi, ed alle virtù commoventi...".

Manzoni durante il soggiorno parigino fu molto influenzato dalle tesi dello storico Thierry, secondo il quale le borghesie nazionali subordinate alla nobiltà discendono dai popoli indigeni sottomessi dalle invasioni esterne.
Si potrebbe forse spiegare così l'interesse dello scrittore per gli oppressi, che egli considera non in termini di classe, ma di nazionalità.

Il Seicento

" Ma quanto più falsa è la vita del Seicento nella sua sostanza morale, tanto più viene ad assumere valore per sè quella che tante volte, anche agli occhi più acuti, non lascia guardar nella sostanza: la forma.

Il Seicento è il trionfo della forma, anzi delle forme. Tutto si viola, ma la forma si rispetta sempre. Nessun governo fu più iniquo e trascurato dello spagnuolo: e nessuno produsse più leggi: e leggi giustissime, sacrosante, e che consideravano tutti i possibili casi e sottocasi di delinquenza, e comminavano pene a chiunque: feudatari, nobili, mediocri, vili, plebei: "le ci son tutte, è come la valle di Giosafat", diceva a Renzo l'avvocato Azzeccagarbugli: il quale però sapeva anche che cosa valessero in effetto quelle terribilissime grida, e come "a saperle ben maneggiare, nessuno era reo e nessuno era innocente".
Il Seicento è il secolo più sensuale e più epicureo, e tuttavia popola il mondo di conventi e di templi; ha la forma della religiosità. Sino la tirannide ha nel Seicento questa fisima della forma, e i filosofi che si mettono a difenderla, l'Hobbes e il Grozio, parlano di un contratto fra sudditi e sovrani, che renda il re padrone dei suoi sudditi di diritto.
E mentre si violano costantemente quelle leggi naturali, la cui difesa a la cui riabilitazione saranno il paradosso e la gloria del Rousseau, tanto più si osservano le leggi scritte, o almeno la legalità."
(Eugenio Donadoni da "
Scritti e discorsi letterari").


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