CAPITOLO XXXII selezione di brani dal testo |
Mentre nel ducato di Milano scoppiava l'epidemia di peste,
la guerra per la successione nel ducato di Mantova procedeva.
Le ostilità si conclusero quando venne riconosciuto nuovo duca
Carlo di Nevers, per la cui esclusione si era combattuto.
Mantova venne saccheggiata e devastata nel luglio del 1630 ed in
questo scempio si distinse il generale austriaco Altringer.
A Milano i decurioni ricorsero al governatore affinchè
provvedesse alla esenzione dalle imposte camerali e dai pesi
militari e il fisco si assumesse le spese della peste.
Il governo rispose evasivamente. Poco dopo lo Spinola, preso dai
fatti della guerra, trasferì i poteri al cancelliere Ferrer.
Intanto, i decurioni pregavano il cardinale Federigo Borromeo di
organizzare una solenne processione che portasse per le vie della
città la reliquia di San Carlo.
Borromeo rifiutò, soprattutto perchè temeva che il convenire di
tanta folla avrebbe favorito il diffondersi del contagio e
l'operato degli untori.
Il timore degli untori era diventato una vera follia omicida.
Persone sorprese a compiere gesti innocui erano state assalite e
ridotte in fin di vita dalla gente imbestialita.
Sulle tracce del Ripamonti,
Manzoni narra di come questo panico si fosse diffuso
anche nelle campagne, dove i viandanti erano malmenati e
imprigionati per semplici sospetti. Alle insistenze dei decurioni e della folla, il cardinale dovette alla fine cedere. L'11 giugno si tenne la solenne processione, in seguito alla quale le reliquie di San Carlo stettero esposte al duomo per otto giorni. |
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Ma nei giorni seguenti il male infuriò ancor più
crudamente.
Gli impiegati pubblici, decimati, dovevano essere sostituiti ogni
giorno, e mancava anche chi sgomberasse dalla città i cadaveri.
Alla fine, i cappuccini riunirono dalle campagne circa duecento
contadini che svolgessero questa mansione.
Gli "apparitori" avvertivano con un suono di campanello
i passanti perchè si ritirassero al passaggio dei carri che
portavano i cadaveri, mentre i monatti, provenienti per lo più
dalla Svizzera e dai Grigioni, ( e così chiamati forse dal
termine tedesco monathlich, che significa
"stipendiato per un mese") avevano l'incombenza più
sgradevole e pericolosa, che consisteva nel raccogliere i corpi
senza vita o gli infermi e nel portarli al lazzaretto, e purgare
gli oggetti infetti.
Spesso questi monatti erano veri pendagli da forca e si
appropriavano degli oggetti preziosi trovati nelle case,
irridendo gli ammalati e cinicamente commentando quanto
favorevole fosse quel clima per loro.
Intanto, lo stato manifestava sempre più la sua incapacità.
Quelli che rivelavano una provvidenziale capacità di sacrificio
e di assistenza erano gli ecclesiastici, primo fra tutti il
cardinal Federigo, che non cedè alle insistenze di coloro che
volevano che si salvasse abbandonando la città.
Anche le fobie ed i deliri delle unzioni malefiche si
accrescevano di giorno in giorno, e ne nascevano le storie più
fantastiche. Si diffidava dei parenti, si prendevano per vere le
parole del deliquio dei malati, si aggiungevano ai sogni del
volgo quelli dei dotti.
Lo stesso Tadino, protomedico di Milano nel 1630, credeva
all'opera degli untori e il cardinal Federigo ebbe il sospetto
che "qualcosa ci fosse di vero".
I magistrati si facevano trascinare dalla follia popolare a
condannare come untori dei malcapitati ad atroci supplizi.
Due gentiluomini milanesi vennero accusati di aver creato una
fabbrica di veleni d'accordo coi Veneziani.
Manzoni si profonde nella descrizione dei processi agli untori e
nella trattazione per esteso dei giorni della peste in un altro
suo scritto, la Storia della Colonna Infame.