LA QUESTIONE DELLA LINGUA

Negli ultimi anni della sua vita Manzoni potè con agio occuparsi di un problema che lo aveva assillato in tutta la sua carriera di scrittore, quello della lingua.
Nel 1862 venne nominato presidente della commissione ministeriale per l'unificazione linguistica.
Nel 1868 scrisse
Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla.
La novità delle proposte del Manzoni sta nel fatto che esse riguardano essenzialmente il rapporto fra lingua e società più che quello, tradizionalmente esaminato, fra lingua e letteratura.
Manzoni riteneva che il fiorentino fosse l'unica possibile base per creare una lingua nazionale in grado di abbattere il divario fra la lingua colta e quella parlata e trovava le ragioni della sua scelta nella tradizione storica di questo dialetto e nell'uso che ne avevano fatto gli scrittori.
Fra gli altri scritti dedicati al problema linguistico vi sono
Sulla lingua italiana, lettera a Giacinto Carena (1846), la Lettera intorno al vocabolario a Ruggero Bonghi, e la Lettera al Marchese Alfonso della Valle di Casanova.

"Il Manzoni si era affacciato alla tradizione linguistica italiana dal di fuori, dominandone essenzialmente il solo aspetto espressivo attraverso la padronanza del dialetto, e quello tecnico sopranazionale attraverso la conoscenza del francese. La sua familiarità con la lingua letteraria era modesta e convenzionale. Si dice talvolta che la sua dottrina linguistica è stata triplice, prima quella di una lingua letteraria sopradialettale, arieggiante a quella dantesca, poi quella di un modello toscano, a cui segue quella del modello fiorentino. In realtà non si tratta di dottrine diverse, ma di una ascesa progressiva verso una dottrina, passando da forme rudimentali a forme più compiute.(...)"
(Giacomo Devoto,
Manzoni e il problema della lingua)


Studi sulla questione della lingua