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1996-04-08
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9KB
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176 lines
Eugenio Montale
Storia
Eugenio Montale Φ nato a Genova il 12 ottobre 1896. EÆ lÆultimo dei
cinque figli di un grosso commerciante, e la sua infanzia e adolescenza Φ
trascorsa a Genova, dÆinverno, e dÆestate nella villa della famiglia a
Monterosso, nelle Cinque Terre, fino a circa il tredicesimo anno. Di salute
piuttosto cagionevole durante l'infanzia, Montale avrebbe interrotto gli
studi alla terza tecnica, proseguendoli poi privatamente aiutato dalla
sorella prediletta, Mariana, e alternando la frequentazione assuidissima
delle biblioteche di Genova allo studio del canto lirico presso l'ex baritono
Ernesto Sivori. Per alcuni anni il canto domin≥ nella vita del giovane
Montale; e anche dopo che la letteratura ebbe preso il sopravvento, ben
vivi rimasero in lui gli interessi di carattere musicale, che avrebbero,
insieme ad altro, influenzato gli inizi della sua carriera poetica, e
avrebbero fatto vivamente parte, per sempre, del suo patrimonio culturale.
I principali interessi letterari del giovane Montale avrebbero incluso
Rousseau e Constant, oltre a decine e decine di titoli da lui divorati nella
Biblioteca Universale Sonzogno. Imparati quasi da solo inglese, francese e
spagnolo, ampli≥ ulteriormente la sua cultura con la letteratura di
Baudelaire e MallarmΦ, di Maurice de Guerin e Jammes, di Lemaitre, e
ValΘry, di numerosi poeti anglosassoni, dei nostri Campana e Onofri. A
queste letture sono da aggiungere quelle dei classici, quelle pi∙
approfondite di Cervantes e Manzoni, e di alcuni filosofi particolarmente
formativi della sua generazione da Gentile a Croce, da Bergson a
Boutroux, il cui contingentismo ag∞ particolarmente su di lui negli anni di
maturazione della sua prima raccolta, Ossi di seppia. Questo libro Φ
composto infatti da poesie scarne, costruite con linguaggio semplice,
comune, antilirico.
Dopo la pubblicazione del primo libro Montale si trasfer∞ a Firenze dove
entr≥ in contatto con i letterari pi∙ avanzati della sua generazione e
divenne per molti un punto di riferimento letterario e morale; la sua
posizione di direttore del Gabinetto Viesseux, un'importante istituzione
culturale, gli permise di non compromettersi col regime fascista e di
orientare quanti erano in contatto con lui a un culto della poesia onesto e
severo. Nel 1938 venne allontanato per≥ dal suo lavoro, poichΦ non era
iscritto al partito fascista, e visse gli anni successivi, fino al 1946, di
traduzioni e collaborazioni. Nel clima del secondo dopoguerra, entr≥ nel
giornalismo, al "Corriere della Sera", trasferendosi a Milano dove scrisse
cronache teatrali e culturali.
I riconoscimenti del suo valore gli conferirono la nomina di Senatore a
vita nel 1966 ed il premio Nobel per la letteratura. Le raccolte poetiche di
Montale sono: Ossi di seppia (1925), Le Occasioni (1939), La bufera e
altro (1956), Satura (di cui fa parte anche Xenia, 1971), Diario del '71 e
del '72 (1973), Quaderno di quattro anni (1971), Altri Versi (1980).
Tra le prose occorre ricordare quelle raccolte nel volume "Farfalla di
Dinard". Prima di morire nel 1981 ader∞ come indipendente al gruppo del
partito liberale.
Il contesto storico:l'ermetismo
E.Montale, come altri poeti di quel periodo come Ungaretti e Quasimodo,
usarono questa corrente letteraria esprimendo il disagio e la crisi spirituale
dell'uomo contemporaneo.
Questa nuova forma poetica fu definita "ermetica" da un critico a
sottolineare la particolare difficoltα di comprensione di questo tipo di
poesia; ma il termine ermetico sembra possibile che sia derivato dal nome
del Dio greco Ermes, che accompagnava le anime dei morti nell'aldilα per
cui era considerato il Dio dei misteri.
La poesia, dunque, altro non sarebbe che un mezzo per illuminare a
sprazzi l'uomo sui misteri della vita, anche se non pu≥ fornirgli nessuna
spiegazione razionale.
I poeti ermetici ricercavano una poesia "pura"; a loro non interessava farsi
capire, comunicare con un vasto pubblico: la parola poetica era un
messaggio riservato a pochi eletti. La poesia nasceva da un intuizione -
rivelazione del mistero dell'esistenza, comunicabile solo attraverso
allusioni ed analogie. Di conseguenza essi andavano alla ricerca di uno
stile scarnificato, essenziale: rinunciavano nelle loro composizioni
poetiche ad ogni trama narrativa e logica, ad ogni realismo descrittivo.
La poesia ermetica, quindi, riduce tutto all'essenziale, rigettando il
formalismo esteriore e le regole retoriche: la parola viene isolata e rotta dai
legami logici, vaga nell'assoluta atemporalitα.
La mancanza di dolcezza nelle parole, la ricerca di vocaboli scarni e crudi,
una musicalitα stridente e disarmonica danno il senso della sofferenza
interiore dell'uomo moderno, che, travagliato da grandi dolori (basti
pensare alle due guerre), non riesce a trovare una propria dimensione
esistenziale.
Spesso il mal di vivere
Spesso il mal di vivere ho incontrato;
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato
Parafrasi
Spesso ho incontrato la sofferenza universale di ogni creatura, anche nel
ruscello strozzato dagli argini stretti che procede a fatica, anche nella
foglia, bruciata dal sole, che si accartoccia e si spezza nei suoi filamenti,
anche nel cavallo tramortito.
Non conobbi altro bene all'infuori del prodigio che concede l'indifferenza,
l'impassibilitα: l'Indifferenza di una statua nell'ora sonnolenta del
mezzogiorno, l'Indifferenza di una nuvola, l'Indifferenza di un falco levato
alto nel cielo.
Commento
Dove il poeta vorrebbe essere alto e impassibile su tutto
Questo componimento Φ forse una delle pi∙ dure e sconsolate che abbia
scritto, in cui compare chiaramente la sua visione "negativa", il suo no
fermissimo di fronte al male e alla sofferenza che insidiano gli uomini e le
cose.
Questa sofferenza Φ una visione del mondo disperata, ma proprio dal
mondo della disperazione pu≥ nascere l'unico bene, il prodigio: un
atteggiamento di distacco, di indifferenza, di chi non vuole farsi
coinvolgere nella vicenda. Ma questa indifferenza, questa impassibilitα
non Φ concessa al poeta, costretto a vivere e partire per ogni male e sempre
in attesa del momento in cui svanirα tutto.
Non chiederci la parola
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
s∞ qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ci≥ che non siamo, ci≥ che non vogliamo
Parafrasi
Non chiederci una parola chiave che definisce precisamente quello che Φ
nel nostro animo sfuggente e lo chiarisca in modo luminoso e definitivo e
splenda come un fiore di zafferano disperso in mezzo a un prato
polveroso.
L'uomo se ne va sicuro, in pace con se stesso e con gli altri e ignora
l'ombra stampata dal sale su un muro scalcinato
Non chiederci una formula magica che riveli realtα meravigliose, cos∞ ti
daremo qualche sillaba contorta e povera come un ramo secco. Oggi
possiamo dirti solo questo: Quello che non siamo, quello che non
vogliamo.
Commento
Montale scrisse questa poesia narrando non ci≥ che la poesia vuole, ma
ci≥ che non vuole, che non pu≥ essere, cioΦ un'espressione non limpida e
luminosa dello spirito umano, una luce che non consola i dolori e una non
rivelazione di realtα superiori.
Nel nostro tempo la crisi di tutti i valori e di tutte le fedi Φ troppo radicale
per poter dare queste funzioni alla poesia. Il poeta pu≥ comunicare
solamente certezze negative, dicendo ci≥ che non siamo, ci≥ che non
vogliamo.
Montale scrive allora queste poesie negative proprio per essere chiaro con
la realtα, rifiutando ogni illusione. Il tipo umano che Φ presente nella
seconda quartina Φ, secondo Montale, un illuso, poichΦ va dritto per la sua
strada senza dubbi nΦ difficoltα, dedicandogli un Ah..., che potrebbe
essere sia di invidia che di commiserazione.
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