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2001-02-06
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297 lines
1
Zibaldone
di pensieri
di Giacomo Leopardi
3
[1]Palazzo bello. Cane di notte dal casolare, al passar
del viandante.
Era la luna nel cortile, un lato
Tutto ne illuminava, e discendea
Sopra il contiguo lato obliquo un raggio...
Nella (dalla) maestra via s'udiva il carro
Del passegger, che stritolando i sassi,
Mandava un suon, cui precedea da lungi
Il tintinn∞o de' mobili sonagli.
Onde Aviano raccontando una favoletta dice che una
donna di contado piangendo un suo bambolo, minacciogli
se non taceva che l'avrebbe dato mangiare a un lupo. E
che un lupo che a caso di lα passava, udendo dir questo
alla donna credettele che dicesse vero, e messosi innanzi
all'uscio di casa cos∞ stette quivi tutto quel giorno ad aspet¡
tare che la donna gli portasse quella vivanda. Come poi
vi stesse tutto quel tempo e la donna non se n'accorgesse
e non n'avesse paura e non gli facesse motto con sasso o
altro, Aviano lo saprα che lo dice. E aggiugne che il lupo
non ebbe niente perchΦ il fanciullo s'addorment≥, e quan¡
do bene non l'avesse fatto non ci sar∞a stato pericolo. E
fatto tardi, tornato alla moglie senza preda perchΦ s'era
baloccato ad aspettare fino a sera, disse quello che nel¡
l'autore puoi vedere.
(Luglio o Agosto 1817).
Una Dama vecchia avendo chiesto a un giovane di leg¡
gere alcuni suoi versi pieni di parole antiche, e avutili,
poco dopo rendendoglieli disse che non gl'intendeva
perchΦ quelle parole non s'usavano al tempo suo. Rispo¡
se il giovane: Anzi credea che s'usassero perchΦ sono molto
antiche.
4
Tutta la notte piove
E ritornan le feste a la dimane:
Fan del regno a metα Cesare e Giove.
Dal niente in letteratura si passa al mezzo e al vero,
quindi al raffinamento: da questo non c'Φ esempio che si
sia tornato al vero. Greci e latini italiani. Lo squisito gu¡
sto del volgo de' letterati non pu≥ essere se non quando
ei non Φ ancora corrotto. P.E. i cinquecentisti volgari non
peccavano d'altro che di poco, non di troppo, e per≥ era¡
no attissimi a giudicar bene del molto, o sia del vero bel¡
lo, come faceano.
Il trecento fu il principio della nostra letteratura, non
giα il colmo, imperocchΦ non ebbe se non tre scrittori
grandi: il quattrocento non fu corruzione nΦ
[2]raffinamento del trecento, ma un sonno della lettera¡
tura (che avea dato luogo all'erudizione) la quale restava
ancora incorrotta e peccava ancora pi∙ tosto di poco.
Poliziano, Pulci. Il cinquecento fu vera continuazione del
trecento e il colmo della nostra letteratura. Di poi venne
il raffinamento del seicento, che nel settecento s'Φ sola¡
mente mutato in corruzione d'altra specie, ma il buon
gusto nel volgo dei letterati non Φ tornato pi∙, nΦ tornerα
secondo me, perchΦ dal niente si pu≥ passare al buono,
ma dal troppo buono o sia dal corrotto stimo che non si
possa.
Non il Bello ma il Vero o sia l'imitazione della Natura
qualunque, si Φ l'oggetto delle Belle arti. Se fosse il Bello,
piacerebbe pi∙ quello che fosse pi∙ bello e cos∞ si an¡
drebbe alla perfezion metafisica, la quale in vece di pia¡
cere fa stomaco nelle arti. Non vale il dire che Φ il solo
bello dentro i limiti della natura, perchΦ questo stesso
mostra che Φ l'imitazione della natura dunque che fa il
diletto delle belle arti, imperocchΦ se fosse il bello per se,
5
vedesi che dovrebbe come ho detto pi∙ piacere il mag¡
gior bello, e cos∞ pi∙ piacere la descrizione di un bel mon¡
do ideale che del nostro. E che non sia il solo bello natu¡
rale lo scopo delle Belle Arti vedesi in tutti i poeti spe¡
cialmente in Omero, perchΦ se questo fosse, avrebbe do¡
vuto ogni gran poeta cercare il pi∙ gran bello naturale
che si potesse, dove Omero ha fatto Achille infinitamen¡
te men bello di quello che potea farlo, e cos∞ gli Dei ec. e
sarebbe maggior poeta Anacreonte che Omero ec. e noi
proviamo che ci piace pi∙ Achille che Enea ec. onde Φ
falso anche che quello di Virgilio sia maggior poema ec.
Passioni morti tempeste ec. piacciono egregiamente
benchΦ sian brutte per questo solo che son bene imitate,
e se Φ vero quel che dice il Parini nella Oraz. della poesia,
perchΦ l'uomo niente tanto odia quanto la noia, e per≥ gli
piace di veder qualche novitα ancorchΦ brutta. Tragedia.
Commedia. Satira han per oggetto il brutto ed Φ una mera
quistion di nome il contrastar se questa sia poesia. Basta
che tutti la intendono per poesia Aristotele e Orazio sin¡
golarmente e che io dicendo poesia intendo anche questi
generi. V. Dati Pittori ed. Siena 1795. p.57.66.
Il brutto come tutto il resto deve star nel suo luogo: e
nell'Epica e lirica avrα luogo pi∙ di raro ma spessissimo
nella Commedia Tragedia Satira ed Φ quistion di parole
ec. come sopra. Il vile di raro si dee descrivere perchΦ di
raro pu≥ star nel suo luogo nella poesia (eccetto nelle
Satire Commedie e poesia bernesca) non perchΦ non possa
essere oggetto della poesia. Ancora potendo esser molti
generi di una cosa e questi qual pi∙ qual meno degno,
[3]niente vieta che dei diversi generi di poesia altro ab¡
bia per oggetto pi∙ particolarmente il bello altro il dolo¡
roso altro anche il brutto e il vile, e per≥ qual sia pi∙
nobile e degno qual meno e non per tanto tutti sieno ge¡
neri di poesia, nΦ ci sia oggetto di veruno di essi che non
possa essere oggetto della poesia e delle arti imitative ec.
6
La perfezione di un'opera di Belle Arti non si misura
dal pi∙ Bello ma dalla pi∙ perfetta imitazione della natu¡
ra. Ora se Φ vero che la perfezione delle cose in sostanza
consiste nel perfetto conseguimento del loro oggetto,
quale sarα l'oggetto delle Belle Arti?
L'utile non Φ il fine della poesia benchΦ questa possa
giovare. E pu≥ anche il poeta mirare espressamente al¡
l'utile o ottenerlo (come forse avrα fatto Omero) senza
che per≥ l'utile sia il fine della poesia, come pu≥ l'agricol¡
tore servirsi della scure a segar biade o altro senza che il
segare sia il fine della scure. La poesia pu≥ esser utile
indirettamente, come la scure pu≥ segare, ma l'utile non
Φ il suo fine naturale, senza il quale essa non possa stare,
come non pu≥ senza il dilettevole, imperocchΦ il dilettare
Φ l'ufficio naturale della poesia.
Sent∞a del canto risuonar le valli
D'agricoltori ec.
Pi∙ ci diletterebbe una pianta o un animale veduto nel
vero che dipinto o in altro modo imitato, perchΦ non Φ
possibile che nella imitazione non resti niente a desidera¡
re. Ma il contrario manifestamente avviene: da che appa¡
risce che il fonte del diletto nelle arti non Φ il bello, ma
l'imitazione.
Il quattrocento rest≥ dal fare, ma conservava l'idea del
bello incorrotta; per≥ benchΦ non facesse, pure apprez¡
zava il fatto anzi lo cercava: quindi l'infinito studio de'
Classici e l'erudizione dominante nel secolo. Il cinque¡
cento col capitale acquistato nel 400 e coll'istradamento
del 300 torn≥ a fare. Ma il seicento perchΦ era non debo¡
le ma corrotto, non solamente non sapea far bene, ma
disprezzava il ben fatto anzi gli dispiacea. Quindi la di¡
menticanza di Dante del Petrarca ec. che non si stampa¡
7
vano pi∙. Nel principio del settecento ripigliammo non
le forze, ma solo il buon gusto e l'amore degli studi clas¡
sici, e la prima metα di questo secolo somiglia per≥ al
quattrocento, nΦ si fa molto conto di quest'epoca di ri¡
sorgimento perchΦ non produsse (come il 400) nessun
lavoro d'arte fuorchΦ la Merope, e dur≥ tanto poco che
un uomo stesso potΦ aver veduto il tempo di corruzione
il risorgimento e il ricadimento. Ricadute le nostre lettere
(nella imitazione e studio degli stranieri) son comparsi
nella seconda metα del 700 e principio dell'800 i nostri
[4]ultimi lavori d'arte. Questi sono di quegli scrittori che
nella corruzione si conservano illesi, non possono essere
stimati da molti ec. Ma adesso l'arte Φ venuta in un incre¡
dibile accrescimento, tutto Φ arte e poi arte, non c'Φ pi∙
quasi niente di spontaneo, la stessa spontaneitα si cerca a
tutto potere ma con uno studio infinito senza il quale non
si pu≥ avere, e senza il quale a gran pezza l'aveano
(spezialmente nella lingua) Dante il Petrarca l'Ariosto ec.
e tutti i bravi trecentisti e cinquecentisti. Questo avviene
perchΦ ora si viene da un tempo corrotto (oltrechΦ si sta
pure tra' corrotti) e bisogna porre il pi∙ grande studio
per evitare la corruzione, principalmente quella del tem¡
po la quale prima che abbiamo pensato a guardarcene s'Φ
impadronita di noi, e poi quella dei tempi passati, perchΦ
adesso conosciamo tutti i vizi delle arti e ce ne vogliamo
guardare, e non siamo pi∙ semplici come erano i greci e i
latini e i trecentisti e i cinquecentisti perchΦ siamo passati
pel tempo di corruzione e siamo divenuti astuti nell'arte,
e schiviamo i vizi con questa astuzia e coll'arte non colla
natura come faceano gli antichi i quali senza saperne pi∙
che tanto pure perchΦ l'arte era in sul principio e non
ancora corrotta non gli schivavano ma non ci cadevano.
Erano come fanciulli che non conoscono i vizi, noi siamo
come vecchi che li conosciamo ma pel senno e l'esperien¡
za gli schiviamo. E per≥ abbiamo moltissimo pi∙ senno e
arte che gli antichi, i quali per questo cadevano in infiniti
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difetti (non conoscendoli) in cui adesso non cadrebbe uno
scolaro. Vizi d'Omero concetti del Petrarca, grossezze di
Dante, seicentisterie dell'Ariosto del Tasso del Caro tra¡
duzione dell'Eneide ec. E per≥ adesso le nostre opere
grandi (pochissime perchΦ ancora siamo nella corruzio¡
ne onde pochissimi emergono) saranno tutte senza difet¡
ti, perfettissime, ma in somma non pi∙ originali, non avre¡
mo pi∙ Omero Dante l'Ariosto. Esempio manifesto del
Parini Alfieri Monti ec. Onde apparisce quel che io diso¡
pra ho detto che dopo che le arti di fanciulle e incorrotte
si son fatte mature e corrotte, (come gli uomini di mezza
etα viziosi) invecchiando e ravvedendosi, non potranno
pi∙ ripigliare il vigore della fanciullezza e giovinezza. Le
arti presso i Greci e i latini corrotte una volta non risorse¡
ro pi∙ presso noi van risorgendo: primo esempio finora
al mondo, dal quale solo si possono cavare le prove prati¡
che della mia sentenza. Se non che i poeti e altri scrittori
grandi d'oggi stanno in certo modo agli antichi del 300 e
500 come i greci dei secoli d'Augusto e degli imperatori,
p.e. Dionigi Alicarnasseo, Dione, Arriano ad Erodoto
Tucidide Senofonte: ma questi eran passati per un'etα e
si trovavano ancora in un'etα pi∙ tosto di debolezza che
di corruzione.
[5]Come i fanciulli e i giovinetti benchΦ di buona indo¡
le pure per la malizia naturale, di quando in quando scap¡
pano in qualche difetto e non per tanto sono differentis¡
simi dagli uomini grandi e cattivi, cos∞ gli antichi senza
conoscere nΦ amare i vizi delle arti, per la naturale ten¡
denza dell'ingegno alla ricercatezza e cose tali di quando
in quando vi cadeano non riflettendo che fossero vizi, e
non per tanto infinitamente differivano dagli adulti arte¡
fici del 600 e 700 radicati nella corruzione. E adesso chiun¡
que, per pochissimo che abbia studiato a prima giunta
vede che quelli sono errori e che gli antichi hanno errato.
P.E. chi non vede adesso che Φ cosa ridicola e affettatissima
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il lamento d'Olimpia ec. nell'Ariosto, quello d'Erminia
ec. nel Tasso? E pure questi grandissimi poeti perchΦ l'arte
era giovane e senza esperienza in buona fede cascavano
in questi errori, e noi perchΦ siamo vecchi nell'arte col
nostro senno e coll'esperienza de' tempi corrotti, ce ne
ridiamo e li fuggiamo. Ma questo senno e questa espe¡
rienza sono la morte della poesia ec. Come per≥ si dovrα
dire che l'Ariosto per esempio avesse somma arte se ca¡
deva spessissimo in difetti che il pi∙ meschino artefice
d'oggid∞ conosce a prima vista? Non avea somma arte ma
sommo ingegno, pulitissimo, ma non corrotto, e meno
poi ripulito.
Per guardarci dai vizi e dalla corruzione dello scrivere
adesso Φ necessario un infinito studio e una grandissima
imitazione dei Classici, molto molto maggiore di quella
che agli antichi non bisognava, senza le quali cose non si
pu≥ essere insigne scrittore, e colle quali non si pu≥ di¡
ventar grande come i grandi imitati. Come il cocchiere fa
guidando i cavalli per la china, che poco concede loro
perchΦ troppo non gli rapiscano.
Padron, se con lamenti e con rammarichi
Si rimediasse a le nostre miserie,
Bisognerebbe comperar le lagrime
A peso d'or: ma queste tanto possono
Le disgrazie scemar, quanto le prefiche
Svegliare i morti con le loro istorie:
Ne' guai non ci vuol pianto ma consiglio.
[6]Messer tale domandato da alcuni che disputavano
sopra una statua antica di Giove in terra cotta che ne sen¡
tisse, rispose: Maravigliomi come non vi siate accorti che
questo Φ un Giove in Creta: volendo dire in terra cotta,
ma in sembianza, nell'isola di Creta, dove Giove fu alle¡
vato.
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Sistema di Belle Arti.
Fine ¡ il diletto; secondario alle volte, l'utile. ¡ Oggetto
o mezzo di ottenere il fine ¡ l'imitazione della natura, non
del bello necessariamente. ¡ Cagione primaria del fine
prodotto da questo oggetto o sia con questo mezzo ¡ la
maraviglia: forza del mirabile e desiderio di esso innato
nell'uomo: tendenza a credere il mirabile: la maraviglia
cos∞ Φ prodotta dalla imitazione del bello come da quella
di qualunque altra cosa reale o verisimile: quindi il dilet¡
to delle tragedie ec. prodotto non dalla cosa imitata ma
dall'imitazione che fa maraviglia. ¡ Cagioni secondarie e
relative ai diversi oggetti imitati ¡ la bellezza, la
rimembranza, l'attenzione che si pone a cose che
tuttogiorno si vedono senza badarci ec. ¡ Cagione primi¡
tiva del diletto destato dalla maraviglia ec. e per≥ conse¡
guentemente del diletto destato dalle belle arti ¡ l'orrore
della noia naturale all'uomo, ricerche sopra le cagioni di
quest'orrore ec. ¡ Cagioni dei difetti nelle belle arti ¡ Spro¡
porzione, sconvenevolezza, cose poste fuor di luogo, al
che solo (contro l'opinione di chi pensa che provenga
dall'avere le arti per oggetto il bello) si riducono i difetti
della bassezza della bruttezza deformitα crudeltα
sporchezza tristizia tutte cose che rappresentate o impie¡
gate nei loro luoghi non sono difetti giacchΦ piacciono e
per mezzo dell'imitazione producono la maraviglia, ma
sono difetti fuor di luogo p.e. in un'anacreontica l'imagine
di un ciclopo, (per lo pi∙) in un'epopea per lo pi∙ la figu¡
ra di un deforme ec. Altri difetti e vizi; affettazione ec.
quasi tutti si riducono alla sconvenevolezza e
inverisimiglianza che proviene dallo sconvenirsi tra loro
in natura quegli attributi della cosa inverisimile, onde la