Il primo incontro tra Manet e Zola risale al maggio del 1866, in occasione dell'uscita di in articolo di Zola in difesa del “Piffero di Reggimento” rifiutato al Salon. Quello stesso giorno, Manet invia a Zola un biglietto nel quale si dice “felice e orgoglioso di essere difeso da un uomo del suo talento”. Il pittore di trentaquattro anni, che più volte ha suscitato scandalo, ed il futuro scrittore di ventisei anni si intenderanno così bene che resteranno amici fino alla morte di Manet. Nel frattempo, entrambi riusciranno a “mostrare la loro volontà comune di fare trionfare, sia in pittura sia in letteratura, la nuova arte”.
Il ritratto, del quale Zola ha riferito le sedute di posa, è stato eseguito nell'atelier di rue Guyot. “Talvolta nel bel mezzo di un sonnellino durante la posa, osservavo l'artista, in piedi davanti alla tela, con il viso teso, l'occhio attento, dedito alla sua opera. Mi aveva dimenticato, non sapeva più che ero lì, mi copiava come avrebbe copiato una bestia umana qualunque, con un'attenzione, una consapevolezza artistica che non avevo mai visto altrove”. Sulla scrivania, Manet ha disposto tutta la sua attrezzatura da scrittore (libri, penne, calamaio). Sopra di lui, una stampa giapponese e l' "Olimpia", riveduta e corretta: Manet le ha dipinto un ricciolo sulla fronte e ha leggermente spostato la posizione del capo; Victorine, infatti, sembra girare lo sguardo verso il futuro scrittore.
Donato a Zola una volta finito, dopo la morte dello scrittore resterà presso la sua vedova la quale, nel 1918 lo donerà allo Stato.
