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WOLFGANG GOETHE

Faust: il soliloquio

Nel brano non si riscontrano coordinate spazio-temporali precise, anche se in alcuni passaggi troviamo: "Vedessi, luce piena della luna..." (v. 386); "Aspettavo fino a mezzanotte..." (v. 388), che ci possono far comprendere l'ambientazione notturna del monologo. Mentre, altri cenni, diluiti nei vv. 398-408, ci descrivono una stanza - probabilmente lo studio o la biblioteca - che appare angusta e opprimente. Forse, però, è proprio lo stato d'animo di Faust a condizionare lo stesso ambiente esterno, che diviene, filtrato dal suo io, cupo, triste e trasandato. Ogni cosa, all'esterno, è simbolo e rappresentazione dell'animo di Faust, in quanto facilmente riconducibile alla sua esperienza, ai suoi studi, che lo spingono a dire: "E nulla, vedo, ci è dato di sapere" (v.364). La sua vita si è esaurita nel nulla, nota il fallimento delle sue speranze: si accorge di non poter raggiungere quel sapere in cui credeva. E questa tensione spirituale, questa continua ricerca verso la conoscenza costituisce la molla che lo spinge a colmare con la magia, e non con la fede, il vuoto religioso della sua anima.

Faust è perfettamente consapevole della situazione buia in cui sta vivendo (vv. 370-375; vv. 398 e sgg.), che si contrappone al suo anelito di luce e al suo desiderio di felicità. Emerge, a questo proposito, un passo riguardante la natura (vv. 392-397): essa è vista come una forza positiva, in grado di spingere l'uomo alla sapienza.

Tale desiderio di conoscenza non potrà mai essere completamente soddisfatto, dagli esseri umani, a causa della loro stessa natura: "Dove la luce cara del cielo penetra opaca dai vetri dipinti!" (vv. 400-401). Soltanto con l'ausilio di realtà trascendenti - fede, religione, magia - l'uomo potrà elevarsi e superare i suoi limiti.

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