UGO FOSCOLO
A Zacinto
Il sonetto foscoliano può essere letto come la registrazione di una esperienza di esclusione e di doloroso bisogno di dialogo, il cui interlocutore è costituito dall’isola che ha dato i natali al poeta.
E’ interessante notare nel verso iniziale la presenza della congiunzione coordinante "ne’": essa sembra segnare il momento conclusivo di una lunga serie di eventi negativi, dati come impliciti e scontati, dei quali il sonetto costituisce il momento culminante e conclusivo.
E’ significativo notare come tutta l’intelaiatura del sonetto sia costituita da una compresenza di forme verbali al passato remoto che si contrappongono alla serie del presente-futuro: le forme verbali poste al presente-futuro negano i valori e gli ideali del Foscolo, la cui realizzazione appartiene ad una dimensione cronologica passata.
Il bisogno estremo di instaurare un autentico dialogo, un contatto con un "tu" pare emergere dai verbi utilizzati al v.1 e al v. 11: "toccherò" e "baciò": si tratta di due forme indicanti una dimensione di fisicità e di intimità che il poeta non casualmente riferisce alla terra natale; in tal modo lo spazio fisico dell’isola viene quasi a prendere vita e a configurarsi come il punto di arrivo di questa ricerca di comunicazione; la patria diviene madre, quasi grembo dal quale tutto nasce ed al quale sensisticamente tutto fa ritorno.
Il contrasto fra le forme verbali, al quale accennavamo in precedenza, ritorna emblematicamente all’interno di tale immagine: il futuro, riferito al Foscolo, è preceduto dalla congiunzione negativa "né"; il passato remoto "baciò" è riferito ad Ulisse ed indica il conseguimento dello scopo.
Attraverso l’immagine dell’eroe omerico il poeta protoromantico rimarca in negativo la sua condizione di escluso: Ulisse, eroe del passato, ha saputo sfruttare gli eventi e conseguire un contatto, per così dire, un ripristino di comunicazione con il mondo di affetti simboleggiato da Itaca. Il Foscolo è eroe del presente, caratterizzato da un destino di sofferenze e di esclusione: il poeta sancisce in maniera definitiva il suo isolamento con il sintagma "illacrimata sepoltura"; quel participio, sapientemente collocato di fronte ad un termine di forte intensità semantica, segna lo scacco definitivo di qualsiasi possibilità di comunicare: neppure le lacrime, segno di una apertura alla realtà e all’altro, saranno concesse al poeta.
In morte del fratello Giovanni
Il tema dell’esclusione di Foscolo, che diventa simbolo dell’esclusione dell’uomo, compare anche nel sonetto "In morte del fratello Giovanni". Egli infatti sente il bisogno di trovare un interlocutore, un qualcuno a cui confidare i suoi pensieri, e lo trova nel suo fratello morto che diventa il "tu" di un dialogo profondo e drammatico. La necessità di comunicare è più forte dei limiti terreni, e Foscolo cerca di vincere il silenzio della morte, che pur aborrita e combattuta, è alla fine desiderata poiché vista come riposo e termine nel grembo della sua madre-terra.
Per Foscolo la vita è un esilio, è un migrare "di gente in gente" è una realtà da cui vorrebbe fuggire per mettere fine ad un interminabile tormento, per trovare la pace interiore nonché la serenità di una situazione di stasi. Ecco quindi nascere un dualismo tra dinamicità e quiete, reso dall’alternanza e mescolanza di verbi che caratterizza l’intero sonetto: è significativo il contrasto tra il "fuggendo" del v. 1 e il "seduto" del v. 2.
E’ vivo quindi, negli ultimi sei versi, il sentimento di triste rassegnazione, in cui il poeta si eleva ad unico protagonista, lasciando cadere quell’alternanza tra prima e seconda persona caratteristica dei versi precedenti.
Foscolo stesso spera di trovare serenità e quiete nella morte (v. 11), poiché la sua vita ha perso ogni speranza, cadendo nel più profondo e acuto dolore e nella triste consapevolezza che anche il destino gli ha ormai voltato le spalle.
E’ interessante porre questo sonetto a confronto con il carme CI di Catullo, dal quale Foscolo sicuramente ha preso spunto. Sono chiare le riprese testuali, soprattutto nella prima parte dei due componimenti, dove l’incipit appare addirittura parallelo.
Per quanto riguarda la possibilità di instaurare una comunicazione, Catullo trova una via d’uscita alla barriera di tristezza e dolore: è possibile infatti giungere ad una pura e piacevole consolazione. In Catullo emerge l’importanza del rito, come forma di possesso, di certezza, che è garantita dall’antica tradizione (more parentum, v. 7), adempiendo alle prescrizioni della quale si può giungere ad una condizione di pace e tranquillità.
Foscolo, invece, dall’affanno e dal tormento caratteristico dei nostri giorni, trae una visione pessimistica: non trova sbocco al suo senso di disagio interiore e il pianto, consolatorio in Catullo, diventa, nel sonetto foscoliano, semplice e drammatica registrazione di un’assenza, della privazione di un interlocutore, che non c’è.
Foscolo |
Catullo |
In morte del fratello Giovanni |
Carme 101 |
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo La madre or sol, suo dì tardo traendo, sento gli avversi Numi6, e le secrete |
Multas per gentes et multa per aequora vectus1 tradita sunt tristi munere ad inferias |
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