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GEORGES BERNANOS

Diario di un curato di campagna

Abbiamo analizzato il dialogo centrale tra il protagonista, un giovane curato di un paesino delle Fiandre, e la contessa di quella regione, nel quale si ravvisano due tipi diametralmente opposti di comunicazione. La contessa è al di fuori di qualsiasi schema comunicativo: il dolore per il figlio morto in tenera età la strugge e la tiene chiusa in sé stessa con i suoi problemi, tristezze e rancori verso la figlia, già giovane, con la quale è entrata in conflitto dalla morte del figlio. Il giovane curato è animato da un profondo amore e da una particolare comprensione nei confronti di un’anima completamente distrutta dal suo orgoglio e riesce ad abbattere il muro costruito dalla contessa attorno a sé e al suo mondo introducendosi nella sua vita, scuotendola, standole vicino ogniqualvolta vacillava. Non fa questo fornendole motivi per cambiare vita disquisendo filosoficamente e con dimostrazioni erudite, ma semplicemente facendosi vicino a lei, mettendole davanti la sua stessa vita, costituita anch’essa da difficoltà e dolori paragonabili a quelli dell’infelice madre. Durante questo dialogo lungo e sofferto da entrambe le parti il curato, con la sua semplicità e timidezza, ma pure con la sua durezza e schiettezza, porta l’anima della signora faccia a faccia con Dio, aiutandola a comprendere appieno il significato di "odiare qualcuno": "Quando anche mi avrete costretto a convenire che Lo odio, che cosa ci avrete guadagnato, imbecille?" -dice sprezzantemente la nobildonna - "Non Lo odiate più" -ribatte il curato - "L’odio è indifferenza e disprezzo. E ora eccovi a faccia a faccia, alfine, Lui e voi". Ma la conversione della contessa avviene quando il curato la pone di fronte a questa angosciante e terribile verità: "L’inferno è non amare più"; alla sua morte, cioè, se non avesse imparato ad amare durante la vita terrena, non avrebbe potuto neanche amare il suo figlio al quale era rimasta legata in modo morbosamente orgoglioso. Quest’ultimo pensiero la porterà ad accettare la Volontà Divina e ad offrirGli tutta la sua vita, compresi le sofferenze e l’orgoglio.

Da queste pagine che qualche critico ha definito di intensità dostoevskijana si trae la conclusione che può sembrare retorica, ma che, come vedevamo all’inizio del nostro lavoro, nel nostro mondo è soffocata dalle numerose possibilità a disposizione dell’uomo di comunicare, è: ciò che muove l’essere umano ad una comunicazione vera e profonda è l’amore. Con l’amore e solo con questo il giovane ed inesperto curato è riuscito fare ciò che probabilmente non sarebbe mai riuscito ad ottenere un dotto teologo con i suoi logici e rigorosi discorsi.

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