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FIRENZE: IL LABORATORIO DEL RESTAURO

INTRODUZIONE

Parte del progetto ha rivolto particolare attenzione e interesse alle scuole di restauro più antiche e più famose di Firenze. La città appare più che mai impegnata nello sforzo di mediare l'eredità di uno splendido passato, nel quale tuttora si riconosce, con lo slancio vitale di una città protesa al futuro. Di tale sforzo, che si denota nel costante impegno per la salvaguardia del patrimonio d'arte, è testimonianza la storia del laboratorio del Restauro, una delle più importanti istituzioni del settore ben nota in ambito internazionale ma al tempo stesso legatissima alla cultura della sua città. Attivo da oltre mezzo secolo, il prestigioso Istituto ha saputo assorbire e consolidare l'esperienza maturata da generazioni di artisti e artigiani fiorentini, integrandola con l'utilizzo delle più avanzate tecnologie e promuovendo al tempo stesso la ricerca metodologica, la sperimentazione pratica, la formazione professionale.

L'obiettivo di questa ricerca è quello di permettere ai giovani di conoscere la realtà di Firenze nel settore del restauro, e quindi, di sensibilizzarli alle eccellenti capacità operative di restauro e alla straordinaria ed antica tradizione di questa città, capitale del restauro.

NASCITA DEL LABORATORIO DI FIRENZE

Firenze aveva una tradizione illustre da difendere: tradizione che si basava su un'antica sapienza artigiana specializzata e la manutenzione di un inestimabile patrimonio artistico.

L'atto ufficiale di nascita per il laboratorio fiorentino di restauro risale al 1 marzo 1934. Per lo più, esso era anche un luogo dove si svolgevano ricerche e studi e dove il contatto con le opere dava vita ad uno scambio di idee fra conservatori, tecnici della tutela e storici dell'arte "accademica". Infatti, alla fine degli anni '30, Firenze già svolgeva un ruolo di primaria importanza in Italia e godeva di un prestigio largamente riconosciuto. Nel frattempo l'Istituto Centrale del Restauro di Roma inaugurava ufficialmente la sua attività, affiancando e influenzando le vicende del laboratorio fiorentino.

LE VICENDE BELLICHE E L'ALLUVIONE DEL '66

Il laboratorio fiorentino fronteggiò l'emergenza bellica in modo esemplare, proteggendo in loco le opere d'arte, trasferendo le collezioni museali in luoghi più sicuri e avvalendosi di interventi protettivi e di prevenzione.

Dopo la ricostruzione, il 4 novembre 1966, Firenze fu colpita da una gravissima catastrofe: l'alluvione che mise in pericolo il patrimonio di uno dei centri più famosi della cultura artistica mondiale.

Fu così che i restauratori da ogni parte del mondo si trovarono a lavorare sul patrimonio artistico fiorentino danneggiato dall'alluvione insieme ai tecnici della Soprintendenza dell' I.C.R. di Roma, ai ricercatori del C.N.R e degli istituti universitari, ai volontari italiani e stranieri di differenti formazioni e provenienze.

L'attività del laboratorio del restauro fiorentino fu, in modo sorprendente ed esemplare, rivolta ad interventi di restauro in diversi settori del patrimonio culturale, alle opere d'arte dei più famosi artisti e alle inaugurazioni di esposizioni famose. Per il laboratorio di Restauro l'alluvione del '66 inaugurò, senza dubbi, una stagione di crescita quantitativa e organizzativa, permettendo il confronto tra esperienze italiane e quelle straniere.

L'AUTONOMIA DEL LABORATORIO FIORENTINO

Con mostre e rassegne di grandi restauri post-alluvionali, in pochi anni, si arrivò ad una profonda mutazione dal punto di vista istituzionale del laboratorio fiorentino che, dal 1975 da organo tecnico della locale Sovrintendenza diventò istituto di importanza nazionale con autonomia amministrativa, per certi versi assimilabile all'Istituto Centrale del Restauro di Roma.

Infatti, dopo l'alluvione, il prestigio e la notorietà del laboratorio erano a tal punto cresciuti, e la struttura operativa si era talmente ampliata che il suo ruolo tradizionale di strumento tecnico al servizio esclusivo all'ufficio fiorentino della tutela appariva inadeguato. Il laboratorio fiorentino aveva ormai una storia antica, aveva raggiunto una grande notorietà e poteva porsi come modello di metodo e di sistema operativo.

Nel 1975 nasceva in Italia il Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali. Mentre si attendeva una nuova legge riconosciuta di tutela, il Parlamento della Repubblica definiva l'assetto del nuovo ministero, strutturandone l'apparato centrale e le articolazioni periferiche. Questo era il momento opportuno perchè al vecchio laboratorio di Restauro della Sovrintendenza alle Gallerie di Firenze -ora ribattezzata "ai beni artistici e storici"- venissero riconosciute personalità giuridica ed autonomia operativa. Il laboratorio fiorentino era in grado di svolgere, grazie all'antica esperienza e ai nuovi apparati, compiti importantissimi e poteva vantare un servizio didattico di buon livello per la formazione dei futuri restauratori.

Ciò venne realizzato concedendo lo "status quo" di istituto autonomo all'antico Opificio delle Pietre Dure e unendo a quello le strutture e il personale del laboratorio di Restauro della Sovrintendenza .

L'articolo 11 della legge 44 del '75 riconosceva all'Opificio uno spazio operativo esteso in tutta la nazione affidandogli inoltre compiti di insegnamento del restauro con particolare riguardo per i settori dei materiali Lapidei e delle arti minori.

Con la legge del '75 l'Opificio stava per subire un'ultima trasformazione, raccogliendo il personale e le strutture dell'ex laboratorio di restauro della Sovrintendenza e assumendosi così un ruolo primario nel circuito nazionale del restauro. Dal 2 al 7 novembre del 1976 si tenne a Firenze un "Convegno sul Restauro" al fine di definire l'immagine del nuovo istituto. Fu proposto tra l'altro un progetto di scuola statale di restauro, progetto già approvato per legge e destinato a diventare realtà da lì a due anni.

La scuola avrebbe dovuto avere le caratteristiche di una vera e propria "bottega" per far sopravvivere e divulgare quel patrimonio di manualità e artigianalità, eredità dell'antico laboratorio. Il convegno del '76 fu senza dubbio un successo perchè poneva i presupposti necessari per la creazione della scuola.

DIDATTICA

Nel 1978 si inaugurarono corsi di insegnamento del restauro indispensabili per rafforzare l'immagine positiva dell'Opificio. La trasmissione didattica della professione ha sempre rappresentato una questione problematica nel campo del restauro moderno. Per secoli i restauratori sono stati pittori o scultori, eccellenti e famosi o mediocri e poco noti. Proprio questi ultimi hanno spesso rovinato opere d'arte. Da ciò deriva la necessità di creare scuole di restauro controllate dalla pubblica amministrazione per evitare futuri casi di danneggiamento di opere d'arte. A Firenze si sentiva la necessità di creare una scuola di restauro strutturata sul modello romano. Per di più una scuola unita all'Opificio avrebbe affiancato agli insegnamenti didattici dell'I.C.R. anche insegnamenti di restauro nuovi e di rilevante interesse.

Nel gennaio del 1978 trenta allievi, di cui alcuni stranieri, diedero vita al primo corso triennale di restauro. Sul modello I.C.R. gli studenti erano stati individuati attraverso un esame selettivo che prevedeva due prove pratiche e un colloquio e subito inseriti nell'attività concreta del laboratorio.

Le lezioni teoriche (chimica, microbiologia, teoria e storia del restauro ma anche storia dell'arte e della legislazione artistica) prevedevano un numero di ore uguale alle lezioni pratiche, tenute dal personale stesso dell'istituto: esperti scientifici, storici dell'arte, restauratori.

Di fatto, nel moderno laboratorio e nelle officine dell'Opificio, i ragazzi delle scuole imparavano il mestiere di restauratore lavorando a fianco di professionisti.

In quello stesso anno Umberto Baldini pubblicava "Teoria del Restauro e Unità di Metodologia", un'opera destinata agli studenti delle scuole di perfezionamento in storia dell'arte ma, soprattutto, agli allievi del corso di Restauro dell' Opificio. Il libro veniva a porsi di fatto come un manuale base della scuola stessa e come fondamento metodologico del lavoro dell'istituto.

Il libro proponeva un'impostazione critica di restauro: una vera e propria "deontologia del restauro" indispensabile per gli storici dell'arte e i conservatori come per i restauratori e gli operatori. Inoltre spiccavano senza dubbio nel libro le esemplificazioni pratiche e le proposte operative. Questo saggio rappresenta una rivalutazione della tradizione migliore del vecchio laboratorio dove abilità artigiana e buon senso critico si riuniscono per ricostruire le immagini. Vengono invece rifiutati l'operatività fine a se stessa, il disinteresse per la ricollocazione dell'opera d'arte restaurata nel suo contesto storico, la brutalità di alcuni interventi. L'autonomia del laboratorio era stata acquisita in circostanze particolari e determinata dalla storia del laboratorio fiorentino; risultava però affrettata e incompleta, senza un regolamento preciso, né un ambito di competenza ben definito.

Nella scuola, infatti, la formazione era affidata al volontarismo del personale interno e ad un entusiasmo privo di riconoscimenti statuari. Nonostante questo, la qualità tecnica dell'istituto restava eccellente e i suoi operatori erano in grado di produrre lavori esemplari. Si è sentita e tuttora si sente la necessità di una forte presenza statale nell'ambito del restauro, per quanto riguarda il controllo scientifico, metodologico e della formazione didattica .

Infatti occorrono istituti dove formare operatori ai quali sia garantito il massimo livello di preparazione scientifica e di tirocinio operativo.

L'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, erede di una tradizione di restauro fra le più antiche ed illustri del mondo, ha esperienza e competenza sufficienti per svolgere adeguatamente i compiti ardui ma affascinanti ai quali lo chiama la moderna scienza della conservazione.

© 1997 Raffaella Bottini, Ilaria Chinello, Annalisa Rao - © 1998 ARPA Publishing. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
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