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Le capitali della musica: Napoli
di: Maria Chiara Mazzi e Andrea Parisini

Tracciare una storia musicale di Napoli significa partire da molto lontano, ma anche connettere necessariamente gli orientamenti culturali ai mutamenti storici e politici delle dinastie che si sono susseguite al governo della città. Se nel 1224 la fondazione dell'Università a Napoli, la prima dell'Italia meridionale, segna la nascita di un luogo di confronto anche teorico sui problemi delle nuove teorie polifoniche, lo spostamento da Palermo a Napoli della corte degli Angioini, determinò il destino culturale della città, che divenne da quel momento crogiolo artistico, al centro di una fitta rete di incroci culturali oltre che musicali. Alla corte di Carlo I, re a cui Marchetto da Padova, uno dei più importanti teorici dell' Ars Nova, dedicò il suo trattato Pomerium, il troviere Adam de la Halle, ad esempio, presentò il suo Jeu de Robin et Marion. La corte aragonese proseguì su questa strada e la fioritura artistica che caratterizza il Quattrocento in tutta Europa, ha splendidi influssi nelle cappelle e nei palazzi napoletani, dove furono protagonisti altri due grandi teorici del momento, Tinctoris e Gaffurio. Proprio da quegli anni si iniziò una pratica di canto a solo accompagnato che attingeva al filone popolaresco delle villanelle che si svilupperà nel Cinquecento, in coincidenza col passaggio del regno di Napoli alla corona di Spagna. Una questa moda che identificava nella musica un segno di autonomia da opporre alla perdita dell'indipendenza politica e dove non è difficile per noi scorgere un antenato di quella canzone napoletana che avrà poi una vita non meno importante della musica colta.
Anche la cultura barocca del Seicento porta a Napoli influssi diversi, soprattutto nella musica polifonica e organistica, in cui è possibile sentire lo straordinario e fecondo apporto della musica spagnola e di quella fiamminga, della polifonia romana e di quella della corte estense. Napoli diviene un vero e proprio cenacolo dove si affiancano compositori provenienti da città diverse del sud, come Trabaci, Rodio e Gesualdo e grandi stampatori, come Vitale e Gargano.
Due sono però gli avvenimenti che, nel Seicento segnano la storia della musica non solo napoletana e che ne trasportano la fama al di fuori dei confini del regno. Il primo fu l'istituzione di scuole di musica all'interno di orfanotrofi, (chiamati a Napoli 'conservatori' ) dove i giovanissimi erano istruiti nel canto e nell'uso di strumenti per potere accompagnare le cerimonie religiose e per le feste a corte. Queste scuole si formalizzarono a metà secolo quando furono chiamati come insegnanti importanti compositori, attirando allievi anche da fuori della città. L'altro avvenimento da sottolineare per l'importanza che esso avrà in futuro fu l'arrivo della compagna dei Febi Armonici a realizzare l'opera in musica, genere che a Napoli raggiunse il massimo splendore e la sua formalizzazione, al punto da divenire 'l'opera' come noi la conosciamo.
A fine secolo, con Alessandro Scarlatti, Napoli diviene la capitale del melodramma e a partire dal 1707, data in cui il regno passò dalla Spagna all'Impero Asburgico, approdò a Napoli una nuova generazione di musicisti che qui giunsero anche ad identificare uno stile sia per l'opera seria che per l'opera buffa. Anzi proprio quest'ultima nacque e si sviluppò da spettacoli in vernacolo che non erano riservati al popolo, ma che erano utilizzati dall'aristocrazia partenopea come riscatto indipendentista nei confronti di una corte straniera. È in questo momento che la scuola napoletana raggiunge fama internazionale: compositori formati a Napoli girano l'Europa, mentre e compositori uomini di cultura stranieri vengono a Napoli per imparare e ascoltare direttamente l'opera dove essa veniva creata. La recuperata indipendenza del regno nel 1734 e l'inaugurazione del Teatro San Carlo nel 1737 sono segno della grandezza culturale del Settecento napoletano che assorbe, man mano, in uno stile chiaramente identificabile, tutte le modificazioni della sensibilità europea. E non è un caso che siano di scuola napoletana i due lavori che segnano la modificata sensibilità del Settecento: la Cecchina di Piccinni (1760) e la Nona di Paisiello (1789). La prima parte dell'Ottocento è fortemente influenzata dagli avvenimenti che travolgono l'Europa, ma la pur breve dominazione napoleonica portò all'unificazione dei vari conservatori in un unico grande istituto dove si formarono, tra gli altri Bellini e Zingarelli. A Napoli giunsero in quegli anni per essere consacrati al successo Rossini e Donizetti, ed è a Napoli che iniziò la storiografia italiana che ebbe in Francesco Florimo il suo corifeo. Ma il romanticismo è anche il momento in cui Napoli suscita il suo straordinario fascino sui musicisti europei che la vedono come capitale di quel 'sud' dove cultura e natura, storia e arte si intrecciano e si idealizzano. Dopo l'unità d'Italia, Napoli conobbe un rigoglio culturale che allarga i confini oltre il melodramma. Con Giuseppe Martucci direttore d'orchestra e grande animatore culturale, viene recuperata la tradizione strumentale e la straordinaria scuola pianistica ebbe grande impulso con Florestano Rossomandi. Alla musica antica si dedicò Alessandro Longo, primo editore di Domenico Scarlatti mentre Parente e Pannain applicarono alla critica e all'estetica musicale il pensiero filosofico di Croce.

DA ASCOLTARE. . .
Le numerose case discografiche che oggi si occupano di musica antica e barocca consentono di poter ascoltare musica della civiltà napoletana di ottimo livello a partire dal periodo medievale. A cominciare dal "Jeux de Robin et Marion" di Adam de la Halle, per continuare con le "Villanelle" di Andrea Falconieri che, se pure seicentesche, si rifanno alla forma vocale e strumentale rinascimentale, per concludere coi "Madrigali" di Gesualdo da Venosa. Giungiamo all'epoca barocca, e qui c'è solamente da sbizzarrirci. Possiamo indicare un percorso strumentale, quello organistico, che opportunamente ha trovato spazio in un CD della casa 'Arts' dal titolo "L'Organo a Napoli nel XVII secolo" e che quindi offre una panoramica interessante su quell'aspetto storico-musicale. Per chi preferisce la musica sacra vocale val la pena di ascoltare i "Concerti Sacri" di Alessandro Scarlatti, così come i "Vespri" di Jommelli, per finire con lo "Stabat Mater" di Pergolesi. Autore del quale però non si può non ascoltare la celeberrima "Serva Padrona", con la quale passiamo al genere profano operistico. A fianco di lavori per teatro di operisti di scuola napoletana ("Il Bravo" e "Il Giuramento" di Mercadante e la "Nina" di Paisiello sono ascolti senz'altro interessanti), si può costruire un percorso parallelo di lavori di operisti non napoletani, ma che qui sono stati attivi e hanno rappresentato significative opere, come Rossini con la sua "Donna del lago" o con "Otello", ma anche come Donizetti con "Lucia di Lammermoor. Arriviamo alla fine dell'Ottocento, col recupero della musica strumentale napoletana attraverso Martucci del quale si possono ascoltare le liriche da camera, ma anche le "Sinfonie".
Non possiamo però dimenticare che esiste, parallelamente, una straordinaria vicenda storica, quella della canzone classica napoletana che ha avuto anche illustri poeti tra i suoi autori di testi. Roberto Murolo, ma anche grandi tenori, come Di Stefano hanno inciso numerosissime raccolte di canzoni napoletane che tracciano un percorso straordinario da metà Ottocento fino agli anni Sessanta del nostro secolo.
E, per finire, non possiamo dimenticare la più recente versione della canzone napoletana, quella di Pino Daniele, che ha saputo trovare i suoni per la Napoli di oggi senza dimenticare. quella di ieri.

Maria Chiara Mazzi e Andrea Parisini

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