IL TEMPO DI DIO
di: Claudio Chiaramida
Era Natale... la sera di Natale.
Per tutto il pomeriggio avevo girovagato per
la città in preda ad un muto ed incontenibile dolore.
I sorrisi della gente felice incontrata di
tanto in tanto, parevano pervenirmi da una dimensione alla quale
sentivo sempre meno di appartenere.
Dopo un'estenuante camminare senza senso n´
meta, mi ero fermato stremato sul Muhlenbrucke, un cavalcavia
pedonale vecchio un centinaio d'anni che legava gli argini del
Rohr.
La musica che giungeva dalla vicina chiesa
di St.Johann invadeva l'atmosfera di una dolcezza che, la nebbia
pesante e densa proveniente dal fiume sottostante, faticava ad
attenuare. Tra i fumi bianchi spostati dalle correnti che correvano
a pelo d'acqua, ogni tanto vedevo le corte onde correre tranquille
e indifferenti verso la loro meta.
La balaustra del ponte era umida e viscida.
La nebbia l'aveva bagnata fino al suo infimo angolo e gocce di
condensa cadevano silenziose tuffandosi nella piccola pozzanghera
che avevano formato sotto d'essa.
Aspettavo... già, cosa aspettavo? Che
senso c'era di aspettare quando una volta portato a compimento
quanto mi ero preposto non avrebbe avuto alcuna importanza "quando"
era successo ma solo che "era" successo?
Nonostante questo aspettavo.
Forse il coro di voci bianche provenienti dalla
chiesa e che in quel momento avevano intonato un canto natalizio,
mi impedivano di interrompere, con il mio forse inconsulto ma
oramai irrevocabile atto, l'atmosfera di quel Natale... Il mio
ultimo Natale.
Decisi di attendere fino alla fine dell'inno...
"Venite adoremus..."
cantava il coro chiamando con quelle parole a raduno, alcuni di
essi probabilmente senza capirne il significato, coloro che, come
me, avevano interiormente rinnegato quanto non percepivano più
esistere.
Infine anche le ultime voci si spensero. Finalmente
era giunto il momento.
Strinsi la fredda ringhiera del ponte con tale
forza che le nocche delle mani mi divennero bianche. Quindi, dopo
aver osservato per l'ultima volta il fondo di nebbia ne quale
mi sarei immerso, accennai a sporgermi dalla balaustra.
- Fa freddo. Non trova?
La voce improvvisa mi colse impreparato facendomi
sobbalzare vistosamente.
- Fred... freddo? - ripetei bloccandomi balbettante
ed osservando con incomprensibile disagio lo sconosciuto interlocutore
seduto sulla poco distante panchina.
- Non proprio freddo.- continuò con
pacatezza l'ombra nera - Ma l'umidità lo accentua notevolmente,
non trova?
Ancora con quel "non trova"! Ma che
cavolo interessava a quel tipo distante da me una decina di metri
e scemato nella nebbia come il fantasma di un negro, se avevo
freddo o meno? Chi l'aveva chiamato in causa e perché non
se ne stava assieme alle altre persone ciancianti nella vicina
chiesa di St.Johann a sputare salmi su salmi a pregare quel Dio
che, fino a quel momento, non aveva mai voluto accorgersi di me?
Non gli risposi e, continuando ad osservare
il mantello di nebbia che correva sulle fredde acque del fiume,
pregai in cuor mio che se ne andasse quanto prima. Percepivo in
me tutta la forza ed il coraggio che mi abbisognava per compiere
quanto mi ero preposto. Ed anche se momentaneamente la presenza
dello sconosciuto aveva il potere di trattenermi, appena se ne
fosse andato, sarebbe stato questione di minuti, forse di secondi...
Si alzò e venne verso di me camminando
con una lentezza esasperante. Il lungo capotto lo avvolgeva completamente
nascondendogli il corpo fino ai i piedi. Quando mi fu accanto,
notai che mi era impossibile definire la sua età, ma i
capelli canuti che sortivano da sotto il cappello, un cilindro
schiacciato a mo' di bombetta, e le profonde rughe, parlavano
da soli delle innumerevoli primavere che egli doveva aver vissuto.
Mi rivolse un sorriso che accentuò ulteriormente
le pesanti tracce scolpitegli dal tempo sul viso. I suoi occhi
erano lucidi come se alcune lacrime, a lungo ferme su di essi,
non avessero ancora trovato la via per lasciare quelle profonde
depressioni dalle quali mi perveniva uno sguardo che continuava
a farmi sentire imbarazzato.
Nel frattempo il coro aveva ripreso a cantare
un inno natalizio che conoscevo molto bene. Due Natali prima l'avevamo
cantata... ma, forse più che cantata l'avevamo... stonata.
Ma che importanza aveva quando tutto era così bello?
Io e te... Claudia, amore mio... ricordi i
meravigliosi Natali trascorsi assieme? Le candeline dell'albero
che ogni qual volta accendevamo, irrimediabilmente, si rovesciavano?
E la macchina fotografica con l'autoscatto che non funzionava
mai? Non dimenticherò mai più i baci che ci scaldavano
il cuore anche nelle notti nelle quali i caloriferi smettevano
di funzionare, o mentre osservavamo la volta stellata dalla terrazza
sovrastante il nostro condominio, impassibili al freddo delle
sere invernali, divertendoci a contare le stelle cadenti ed inseguendole
con lo sguardo nel breve secondo della loro esistenza?
"Una" dicevi tu. Già, eri
sempre la prima a vederle. Io, invece, ero sempre troppo distratto
dai tuoi occhi. Ma che importanza aveva quando le stelle più
belle si specchiavano in essi? Poi il destino, in un attimo, legato
a quella fortuita caduta, ci ha negato tutto.
Ricordo ancora quel pomeriggio d'estate imbevuto
di sole mentre correvamo felici inseguendo i cuccioli di Selly.
Il tuo sorriso sprigionava una felicità dalla quale ambedue,
ad ogni giorno che passava, ci lasciavamo contagiare sempre più.
Ancora quattro mesi e finalmente...
Poi quel fortuito scivolone aveva distrutto
in un istante tutto.
- Andreas,- avevi mormorato mentre ti aiutavo
a rialzarti - devo aver battuto la testa. Mi sento un po' intontita...
- Forse sarà meglio se andiamo da un
dottore.- ti avevo proposto un po' preoccupato dall'ematoma sempre
più evidente sulla tua tempia sinistra.
- No. Non è nulla.- avevi risposto mentre
i tuoi occhi si annebbiavano leggermente - Sei sempre così...
Erano state le tue ultime parole. Poi i tuoi
occhi, quegli occhi così sempre pieni di vita, erano diventati
vaghi e stanchi e ti eri afflosciata sul prato senza un gemito.
Poi gli ospedali. Le cure, i dottori, i lunghi
giorni trascorsi al tuo capezzale ad aspettare che ti svegliassi
da quel sonno senza fine nel quale eri piombata.
Come l'avevano definito? Già: coma
irreversibile... Si, insomma quei quattro praticoni
da strapazzo avevano cercato di farmi convinto che quel secondo
di inaccettabile sfortuna aveva cancellato ogni traccia del nostro
futuro e che tu avresti trascorso il resto della tua vita in una
dimensione sconosciuta dalla quale, alla fine, saresti uscita
solo per avviarti verso un'unica destinazione...
Poi il bimbo, che avevano fatto nascere prematuramente
con il parto cesareo, non era sopravvissuto. Non so come fosse
ma, anche se non avevano voluto farmelo vedere, sono sicuro che
doveva assomigliare a te.
Te l'avevo detto sussurrandotelo dolcemente
e sperando sempre che ogni secondo fosse l'ultimo, prima che tu,
come risvegliandoti da un brutto sogno, volgessi il capo verso
di me richiamandomi per nome... questo fino a questa mattina.
- Sta morendo.- ha detto il dottore che mi
ha telefonato a casa - E' questione di ore. Il cuore ed i reni
lavorano sempre più difficoltosamente; mi dispiace dirglielo,
ma penso che non arriverà a questa sera.
Poi sono venuto a vederti per l'ultima volta.
Quando ti ho baciata mi sono accorto che le tue labbra avevano
perso quel poco di colore che negli ultimi tempi gli era rimasto,
e che il tuo viso stava acquisendo un'insolita rilassatezza...
Non so perché, ma non ho avuto il coraggio di restarti
vicino ad osservarti mentre ti spegnevi come la fiammella di una
candela investita da un fortunale.
Scusami, ma non ne sono stato capace. Ho preferito
andarmene e continuare a ricordati com'eri ancora da viva serbando
dentro il mio cuore il ricordo dei dolci momenti che abbiamo potuto
vivere assieme... poi però mi sono accorto che esso era
troppo difficile e pesante da sopportare. Un ricordo al quale
non me la sento di continuare a vivere aggrappato e che questa
sera voglio spegnere sul letto del fiume che scorre sotto di me.
- I ricordi sono il calore dell'anima,- mormorò
il vecchio prendendo ad osservare a sua volta il fiume - ma come
ogni fuoco non controllato, possono diventare pericolosi e bruciare
quanto rimane della nostra vita...
- Come? - chiesi osservandolo sorpreso.
- Nei suoi occhi c'è tanta tristezza.
- Ne ho le mie ragioni.- risposi intenzionato
a chiudere quanto prima quella conversazione.
- Ed esse sono più che valide. - mi
fece eco. Quindi, come parlasse a se stesso, aggiunse - Forse
Dio potrebbe aiutarla ad attenuare il suo dolore.
- Fandonie! - sbottai con rabbia.
- Non crede in Dio? - chiese senza lasciar
trasparire alcuna sorpresa.
- Dio? - chiesi con ironia - Dio é solo
una parola... una parola alla quale gli uomini hanno dato un'immagine
ed un'anima che non ha mai avuto. Un idolo posticcio come il vitello
che gli ebrei si erano costruito sotto il Sinai...
- Parole pesanti.- commento il Matusalemme
lasciandosi sfuggire un sorrisetto compassionevole - Ma non le
sembra d'essere un po' troppo severo?
- Non sono severo con nessuno! - risposi più
convinto che mai - Se dicessi qualcosa, lei la capirebbe e mi
risponderebbe. Lui invece no. Sapesse quante volte l'ho pregato
chiedendogli di non portarmi via ciò di cui non sarei mai
riuscito di fare a meno. Se parlavo con un muro forse questo mi
avrebbe risposto prima.- quindi, senza sapere se stessi cercando
di convincere il vecchio o me stesso, aggiunsi - Ma d'altronde
probabilmente sarebbe stato pretendere troppo da un qualcosa che
esiste solo nella nostra fantasia...
- Convinto?-
- Lo sono. - risposi prontamente.
- Allora non vedo che senso ci sia provare
rabbia verso qualcosa che non esiste.
Già, il vecchio aveva pienamente ragione.
Che senso avevo di adirarmi con un Dio che non esisteva? Ma forse
era proprio questa la ragione del mio rancore. In che altro modo
avrei potuto alimentare la speranza che le mie speranze venissero
accolte se questo corrispondeva ad una verità che nel profondo
del mio cuore a mia volta rifiutavo?
- Non sono adirato con Dio ma con me stesso...
- mi corressi allontanandomi di un passo.
- Perché?
Che importanza aveva se gli raccontavo o meno
dei fatti miei quando, da lì a qualche minuto, essi non
gli sarebbero serviti nemmeno per confezionare una barzelletta?
- Mi sono comportato da vigliacco abbandonandola
all'ultimo momento. - mormorai osservando le stelle che, da uno
squarcio della nebbia che lentamente stava diradandosi, avevano
preso a punteggiare la volta celeste - Ma non me la sentivo di
aspettare che mi morisse davanti agli occhi. Ora però...
- A chi sta riferendosi? - m'interruppe osservandomi
insistentemente.
- Ad Claudia, mia moglie...
- Claudia. - ripeté pronunciando il
nome in un modo alquanto strano e facendo suonare la "u"
come una "iu" - E' un bel nome.
- Lo era.- lo corressi.
- E' morta? - chiese con una scrollatina di
spalle.
L'osservai mentre estraeva da una tasca del
lungo cappotto una pipa in radica e lentamente la riempiva di
tabacco.
- Penso di si. - continuai riprendendo ad osservare
il fiume che ora, privo del manto di nebbia, potevo scorgere scorrere
lugubre e scuro come un nero sudario.
- Pensa? - ripeté con ironia. Si, proprio
con ironia! Il vecchio non pareva infatti assolutamente sorpreso
delle mie parole ma, al contrario, pareva divertirsi ad ironizzarci
sopra.
- Gliel'ho detto. Non ho avuto il coraggio
di rimanerle accanto negli ultimi istanti di vita.- quindi mentre
gli occhi mi si riempivano di lacrime, balbettai - Non voglio
ricordare il suo viso come quello di una morta, ma come quella
di una bella donna addormentata.
- Quando essa si sveglierà riprenderà
a vivere...
- Cosa intende dire? - chiesi incuriosito dalle
sue parole.
- La morte é una cosa che sta dall'altra
parte. Una cosa che ci incute, come qualsiasi cosa che non si
conosce, un intrinseco timore. Ma é ben da quel momento,
che noi consideriamo come quello della fine di tutto, che comincia
la vera vita.- continuò scandendo lentamente le parole
quasi le leggesse su qualche libro a me invisibile.
- E' il parroco di St.Johann? - gli chiesi
nonostante sapessi che non lo era. Infatti, pur non frequentando
la chiesa, conoscevo quest'ultimo molto bene.
- No.- rispose sorridendo alla mia domanda
- Però diciamo che io e lui svolgiamo quasi lo stesso compito.
- Non capisco.- ribattei sempre più
incuriosito - Cosa intende per "compito"?
- Il Reverendo Lienz ha molte anime a cui badare
mentre io solo una.
Lo guardai con uno certo scetticismo. Probabilmente
qualcosa nel cervello doveva essere andato in tilt. La cosa mi
dispiacque alquanto perché, inconsciamente, aveva cominciato
ad entrarmi in simpatia. Avevo infatti la sensazione di avere
incontrato il vecchio e di serbare, di quell'occasione, un ottimo
ricordo.
- Mi dispiace.- dissi guardandolo con compassione
- Il suo paese deve essersi spopolato di molto...
- No Andreas,- rispose sorridendo e, guardandomi
in modo strano, aggiunse - tu non hai capito. Io deve badare alla
"tua" anima...
- Come? - chiesi esterrefatto - Cosa dovrebbe
fare lei?
- Non farmi ripetere le cose. Non ho molto
tempo...
- E' sicuro di star bene? - chiesi preoccupato
- Forse andare al caldo in chiesa potrebbe farla sentir meglio.
- Chissà perché ogni volta é
la stessa musica.- borbottò tra se; quindi porgendomi un
piccolo oggetto rotondo, chiese - Lo conosci?
- Certamente.- risposi stranamente per nulla
meravigliato che fosse in possesso di un orecchino uguale a quello
che Claudia...- Un momento! Dove diavolo l'ha trovato?
- Dove essa l'ha perso il giorno dell'incidente.-
rispose serafico.
- Cioè dove... ma come fa a sapere dell'incidente?
Non mi pare di averle raccontato nulla!
- Impossibile che tu non riesca a capire? -
quindi, meditabondo, borbottò - Ha giusto! Dimenticavo
che hai smesso di credere in Dio.
- Smesso di credere? Non ci ho mai creduto.-
lo corressi insistendo nella mia bugia.
- Davvero? - continuò per nulla convinto
- Perché allora questa mattina, mentre entravi in ospedale,
l'hai invocato chiedendogli anche quanto anche tu oramai consideravi
impossibile?
Rimasi ad osservarlo a bocca aperta. Come poteva
quel vecchio, oltre che a conoscere il mio nome e tutti quei fatti,
essere in possesso dell'orecchino che Claudia aveva perso, sedici
mesi prima, il giorno in cui aveva avuto l'incidente e, successivamente,
era entrata in coma?
- Ma lei, chi diavolo é? - chiesi esterrefatto.
-... e sul più bello che Lui decide
di venire in tuo aiuto,- continuò ignorando la mia domanda
- tu l'accantoni. Decidi di toglierti la vita e donare la tua
anima alla concorrenza. Veramente un bel modo di ringraziarlo...
- e come riavendosi da un flashback, mi rimproverò
- A proposito, questa é l'ultima volta che voglio essere
chiamato in questo modo.
- Come... "diavolo"?
- Esattamente. Almeno al mio livello lo considero
un epiteto molto offensivo.
- Non ha risposto alla mia precedente domanda.-
insistetti.
- Non esiste peggiore sordo di colui che non
vuol sentire.- commentò con un sospiro - Vediamo se riesco
a fartelo capire... Ricordi quando ti perdesti a St.Margareten
e passasti la notte nel bosco? Piangesti a lungo fino a quando
quel vecchio contadino non venne a consolarti ed ad indicarti
il modo per tornare a casa di tua nonna...
- Un momento! - l'interruppi - Ma come fa a
sapere di questo fatto? M'é successo che ero ancora bambino.-
quindi, dopo averlo osservato per qualche secondo sbigottito,
mi sentii bisbigliare - Ma quel vecchio, che non ho più
scordato, le assomigliava... cioè era proprio come lei.
Non vorrà farmi credere che...
- Bravo. Finalmente ci sei arrivato.- esclamò
soddisfatto - Ero proprio io. E' da quando sei nato che ti aiuto,
logicamente quando mi é concesso di farlo. Devo riconoscere
che a volte mi hai messo in grande difficoltà, ma fortunatamente
ho trovato sempre un modo per districarmi dalle pericolose situazioni
nelle quali tu, ed in conseguenza anch'io, andavamo a cacciarci.
- Vorrebbe farmi credere che lei... si insomma,
che tu sei il mio angelo o che diav... scusami! - m'interruppi
prontamente - Ho letto da qualche parte dello "spirito guida".
- Ci trovano tante di quelle definizioni che
oramai non ci badiamo più.- commentò con indifferenza
- Chiamami come preferisci... logicamente non con quel termine
che, di tanto in tanto, ti lasci sfuggire.
- Forse sto sognando.- borbottai lasciandomi
sfuggire un sorriso idiota.
- Forse... ma forse no.
- Dov'è la differenza?
- Io sono solo un dipendente,- rispose allargando
le braccia - é Lui che deciderà il modo di fartelo
scoprire.
- Lui? - ripetei.
- Lui...- mi fece eco - A quanto pare, sembra
che abbia deciso di accogliere le tue preghiere.
- Non ho mai pregato.- mormorai quasi dispiaciuto
di non averlo fatto.
- Ci sono tanti modi di farlo e tu l'hai fatto
nel migliore di questi; con il cuore.
- Ma che... cavolo sta succedendo? Non capisco
più nulla! - esclamai come se stessi scoprendomi vittima
di un cattivo scherzo. Quindi meditabondo presi a camminare nervosamente
per il ponte seguito a ruota dal vecchio - Aspetta, ora ci sono!
- sortii arrestandomi improvvisamente.
- Come? - chiese pendendo dalle mie labbra.
- E' solo un sogno.- aggiunsi - Un maledettissimo
sogno...
- Nonostante sia una vita che ti conosca, non
finirai mai di stupirmi.- commentò scuotendo sconsolato
la testa.
- Senti... come preferisci che ti chiami?
- Fai un po' tu. Sono passati tanti di quegli
anni che ho quasi dimenticato il mio vero nome. - quindi, rivolgendomi
un sorriso carico di dolcezza, chiese - Che ne diresti di Henry?
- Come preferisci.- risposi - Allora Henry,
cerca di spiegarmi, sempre che sul più bello non mi svegli
nel mio letto, cosa ci fai qui.
- Te l'ho detto. Svolgo solo il compito che
mi é stato affidato.
- Insomma vorresti farmi credere che tu sei
una specie di angelo custode e che, in questo caso, sei venuto
come latore da parte di... Lui per avvisarmi che la mia "richiesta"
é stata accolta?
- Una cosa simile.- rispose osservandomi soddisfatto.
Lo guardai per qualche secondo incredulo. No,
doveva trattarsi sicuramente di un incubo... solo un maledetto
incubo sortito dai meandri della mia disperazione.
Toccai la fredda spalliera del ponte.
- Non farlo! - mormorò Henry - E' un'occasione
unica...
- Si, - risposi seguitando ad osservare il
fiume - quella di svegliarmi da questo sogno e cancellare, in
un colpo solo, tutta la mia disperazione.
- Perché non vuoi credermi Andreas?
Egli non ti chiede nulla, solo di accettare ciò che ti
dona... il suo amore.
- Lasciami un momento capire.- osservai cercando
di convincermi sulla veridicità delle sue parole - A quanto
pare non sto sognando...
- Assolutamente.
- Lo so. Me ne sono accorto quando ho toccato
il corrimano del ponte. E' dannatamente freddo e bagnato... Comunque,
anche cercando di accettare quest'eventualità, puoi spiegarmi
come Egli potrebbe aiutarmi ad uscire da questa situazione? -
quindi, osservandolo benevolmente, continuai - Spero che tu abbia
capito cosa effettivamente desidero...
- Se ne sarebbe accorto anche un cieco.- commentò
sorridendo.
- Va bene. Visto che non sei cieco, vuoi spiegarmi
come...
- Devi solo credere in lui.- m'interruppe mentre
si allontanava lentamente verso l'altra parte del ponte - Nulla
gli é impossibile...
- Henry! - lo chiamai - Aspetta; devi spiegarmi
cosa devo fare.
- Abbi fede ed aspetta.- rispose senza girarsi.
- Ma dove vai? - insistetti.
- Non me ne vado,- rispose arrestandosi un
momento; quindi, mentre riprendeva a camminare, aggiunse - sarò
sempre dove mi sono trovato fino ad ora; accanto a te.- e detto
questo scomparve giù per la scalinata del ponte lasciandomi
solo ed attonito ad osservarmi attorno.
Nel frattempo l'atmosfera si era fata più
mite... anzi si può dire che facesse veramente caldo. Dalla
chiesa di St.Johann non mi giungeva più alcun suono o canto
e la città aveva perso tutta la luminescenza che gli arredi
natalizi solitamente le conferivano.
Guardai nuovamente il fiume. Quindi il cielo
pieno all'inverosimile di stelle. Mancavano solo gli occhi di
Claudia dove una simile meraviglia avrebbe potuto specchiarvisi...
Improvvisamente una scia luminosa l'attraversò
rischiarandolo per un paio di secondi.
- Una...- disse una ben voce conosciuta alle
mie spalle.
Mi girai. Lei stava lì, appoggiata alla
spalliera dall'altra parte del ponte, a sua volta, con lo sguardo
rivolto al cielo.
La guardai inebetito. Mi stropicciai gli occhi.
Quindi, balbettando qualcosa incomprensibile anche a me stesso,
mi diressi lentamente verso di lei.
Chissà. Forse ero io che, finalmente
ero arrivato a lei. O forse lei che era tornata da me... ma, in
quel momento, come fosse effettivamente successo che lei si trovava
nuovamente vicino a me, non mi interessò per nulla. L'importante
era che ora lei fosse lì.
Sulla tempia sinistra aveva un cerotto che
le nascondeva un piccolo ematoma.
- Ti fa male? - chiesi accarezzandole la fronte.
- No.- rispose con un sorriso - E' stata solo
una grande paura. Il dottore ha cercato di chiamarti a casa per
dirti che potevi venire a prendermi ma non ti ha trovato. Fortunatamente
ho trovato un vecchio signore che mi ha detto dove avrei potuto
ritrovarti. Pensa che si è anche offerto di accompagnarmi
fino a qui...
- Henry?
- Non mi ha detto il suo nome. Lo conosci?
- chiese prendendomi sottobraccio.
- E' una vita che ci conosciamo.- risposi stringendola
a me - A proposito, come sta il bambino?
- Mai stato meglio.- rispose accarezzandosi
la pancia sulla quale si notava pochissimo il segno della sua
imminente maternità.
- E' un miracolo.- mormorai sottovoce.
- Hai ragione.- aggiunse mentre due scie più
luminose di una stella cadente le striavano le guance - L'ha detto
anche il dottore. Un paio di centimetri più in basso e...
- Mi sei mancata molto.- mormorai mentre il
mio cuore rischiava di andare fuori giri dalla felicità.
- Anche tu. Quando mi sono svegliata ho avuto
l'impressione di non averti visto per tanto tempo...
- Cosa facciamo? - chiesi guardando le stelle
che le si specchiavano sugli occhi.
- Torniamo a casa Andreas. Voglio restare accanto
a te. Questo giorno é stato enormemente lungo. In quelle
poche ore all'ospedale ho avuto l'impressione di aver dormito
per anni.
- Ho provato la stessa sensazione pure io.-
risposi stringendola a me.
- Chissà dove sarà andato quel
gentile vecchietto.- mormorò mentre ci avviavamo verso
casa - Volevo ringraziarlo. Senza di lui non ti avrei mai rintracciato...
- Ne sono più che convinto.
Mentre ci incamminavamo, mi sbirciai insistentemente
alle spalle. Henry, e questo lo percepii con gioia, era nuovamente
accanto a me.
- Hai perso qualcosa? - chiese Claudia.
- Al contrario.- la rassicurai con un sorriso
- Questa sera ho ritrovato tutto quello che pensavo di aver smarrito...
© 25.12.1997 Claudio Chiaramida - © 1998 ARPA Publishing. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
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