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IL TEMPO DI DIO
di: Claudio Chiaramida



Era Natale... la sera di Natale.
Per tutto il pomeriggio avevo girovagato per la città in preda ad un muto ed incontenibile dolore.
I sorrisi della gente felice incontrata di tanto in tanto, parevano pervenirmi da una dimensione alla quale sentivo sempre meno di appartenere.
Dopo un'estenuante camminare senza senso n´ meta, mi ero fermato stremato sul Muhlenbrucke, un cavalcavia pedonale vecchio un centinaio d'anni che legava gli argini del Rohr.
La musica che giungeva dalla vicina chiesa di St.Johann invadeva l'atmosfera di una dolcezza che, la nebbia pesante e densa proveniente dal fiume sottostante, faticava ad attenuare. Tra i fumi bianchi spostati dalle correnti che correvano a pelo d'acqua, ogni tanto vedevo le corte onde correre tranquille e indifferenti verso la loro meta.
La balaustra del ponte era umida e viscida. La nebbia l'aveva bagnata fino al suo infimo angolo e gocce di condensa cadevano silenziose tuffandosi nella piccola pozzanghera che avevano formato sotto d'essa.
Aspettavo... già, cosa aspettavo? Che senso c'era di aspettare quando una volta portato a compimento quanto mi ero preposto non avrebbe avuto alcuna importanza "quando" era successo ma solo che "era" successo?
Nonostante questo aspettavo.
Forse il coro di voci bianche provenienti dalla chiesa e che in quel momento avevano intonato un canto natalizio, mi impedivano di interrompere, con il mio forse inconsulto ma oramai irrevocabile atto, l'atmosfera di quel Natale... Il mio ultimo Natale.
Decisi di attendere fino alla fine dell'inno...
"Venite adoremus..." cantava il coro chiamando con quelle parole a raduno, alcuni di essi probabilmente senza capirne il significato, coloro che, come me, avevano interiormente rinnegato quanto non percepivano più esistere.
Infine anche le ultime voci si spensero. Finalmente era giunto il momento.
Strinsi la fredda ringhiera del ponte con tale forza che le nocche delle mani mi divennero bianche. Quindi, dopo aver osservato per l'ultima volta il fondo di nebbia ne quale mi sarei immerso, accennai a sporgermi dalla balaustra.
- Fa freddo. Non trova?
La voce improvvisa mi colse impreparato facendomi sobbalzare vistosamente.
- Fred... freddo? - ripetei bloccandomi balbettante ed osservando con incomprensibile disagio lo sconosciuto interlocutore seduto sulla poco distante panchina.
- Non proprio freddo.- continuò con pacatezza l'ombra nera - Ma l'umidità lo accentua notevolmente, non trova?
Ancora con quel "non trova"! Ma che cavolo interessava a quel tipo distante da me una decina di metri e scemato nella nebbia come il fantasma di un negro, se avevo freddo o meno? Chi l'aveva chiamato in causa e perché non se ne stava assieme alle altre persone ciancianti nella vicina chiesa di St.Johann a sputare salmi su salmi a pregare quel Dio che, fino a quel momento, non aveva mai voluto accorgersi di me?
Non gli risposi e, continuando ad osservare il mantello di nebbia che correva sulle fredde acque del fiume, pregai in cuor mio che se ne andasse quanto prima. Percepivo in me tutta la forza ed il coraggio che mi abbisognava per compiere quanto mi ero preposto. Ed anche se momentaneamente la presenza dello sconosciuto aveva il potere di trattenermi, appena se ne fosse andato, sarebbe stato questione di minuti, forse di secondi...
Si alzò e venne verso di me camminando con una lentezza esasperante. Il lungo capotto lo avvolgeva completamente nascondendogli il corpo fino ai i piedi. Quando mi fu accanto, notai che mi era impossibile definire la sua età, ma i capelli canuti che sortivano da sotto il cappello, un cilindro schiacciato a mo' di bombetta, e le profonde rughe, parlavano da soli delle innumerevoli primavere che egli doveva aver vissuto.
Mi rivolse un sorriso che accentuò ulteriormente le pesanti tracce scolpitegli dal tempo sul viso. I suoi occhi erano lucidi come se alcune lacrime, a lungo ferme su di essi, non avessero ancora trovato la via per lasciare quelle profonde depressioni dalle quali mi perveniva uno sguardo che continuava a farmi sentire imbarazzato.
Nel frattempo il coro aveva ripreso a cantare un inno natalizio che conoscevo molto bene. Due Natali prima l'avevamo cantata... ma, forse più che cantata l'avevamo... stonata. Ma che importanza aveva quando tutto era così bello?
Io e te... Claudia, amore mio... ricordi i meravigliosi Natali trascorsi assieme? Le candeline dell'albero che ogni qual volta accendevamo, irrimediabilmente, si rovesciavano? E la macchina fotografica con l'autoscatto che non funzionava mai? Non dimenticherò mai più i baci che ci scaldavano il cuore anche nelle notti nelle quali i caloriferi smettevano di funzionare, o mentre osservavamo la volta stellata dalla terrazza sovrastante il nostro condominio, impassibili al freddo delle sere invernali, divertendoci a contare le stelle cadenti ed inseguendole con lo sguardo nel breve secondo della loro esistenza?
"Una" dicevi tu. Già, eri sempre la prima a vederle. Io, invece, ero sempre troppo distratto dai tuoi occhi. Ma che importanza aveva quando le stelle più belle si specchiavano in essi? Poi il destino, in un attimo, legato a quella fortuita caduta, ci ha negato tutto.
Ricordo ancora quel pomeriggio d'estate imbevuto di sole mentre correvamo felici inseguendo i cuccioli di Selly. Il tuo sorriso sprigionava una felicità dalla quale ambedue, ad ogni giorno che passava, ci lasciavamo contagiare sempre più. Ancora quattro mesi e finalmente...
Poi quel fortuito scivolone aveva distrutto in un istante tutto.
- Andreas,- avevi mormorato mentre ti aiutavo a rialzarti - devo aver battuto la testa. Mi sento un po' intontita...
- Forse sarà meglio se andiamo da un dottore.- ti avevo proposto un po' preoccupato dall'ematoma sempre più evidente sulla tua tempia sinistra.
- No. Non è nulla.- avevi risposto mentre i tuoi occhi si annebbiavano leggermente - Sei sempre così...
Erano state le tue ultime parole. Poi i tuoi occhi, quegli occhi così sempre pieni di vita, erano diventati vaghi e stanchi e ti eri afflosciata sul prato senza un gemito.
Poi gli ospedali. Le cure, i dottori, i lunghi giorni trascorsi al tuo capezzale ad aspettare che ti svegliassi da quel sonno senza fine nel quale eri piombata.
Come l'avevano definito? Già: coma irreversibile... Si, insomma quei quattro praticoni da strapazzo avevano cercato di farmi convinto che quel secondo di inaccettabile sfortuna aveva cancellato ogni traccia del nostro futuro e che tu avresti trascorso il resto della tua vita in una dimensione sconosciuta dalla quale, alla fine, saresti uscita solo per avviarti verso un'unica destinazione...
Poi il bimbo, che avevano fatto nascere prematuramente con il parto cesareo, non era sopravvissuto. Non so come fosse ma, anche se non avevano voluto farmelo vedere, sono sicuro che doveva assomigliare a te.
Te l'avevo detto sussurrandotelo dolcemente e sperando sempre che ogni secondo fosse l'ultimo, prima che tu, come risvegliandoti da un brutto sogno, volgessi il capo verso di me richiamandomi per nome... questo fino a questa mattina.
- Sta morendo.- ha detto il dottore che mi ha telefonato a casa - E' questione di ore. Il cuore ed i reni lavorano sempre più difficoltosamente; mi dispiace dirglielo, ma penso che non arriverà a questa sera.
Poi sono venuto a vederti per l'ultima volta. Quando ti ho baciata mi sono accorto che le tue labbra avevano perso quel poco di colore che negli ultimi tempi gli era rimasto, e che il tuo viso stava acquisendo un'insolita rilassatezza... Non so perché, ma non ho avuto il coraggio di restarti vicino ad osservarti mentre ti spegnevi come la fiammella di una candela investita da un fortunale.
Scusami, ma non ne sono stato capace. Ho preferito andarmene e continuare a ricordati com'eri ancora da viva serbando dentro il mio cuore il ricordo dei dolci momenti che abbiamo potuto vivere assieme... poi però mi sono accorto che esso era troppo difficile e pesante da sopportare. Un ricordo al quale non me la sento di continuare a vivere aggrappato e che questa sera voglio spegnere sul letto del fiume che scorre sotto di me.
- I ricordi sono il calore dell'anima,- mormorò il vecchio prendendo ad osservare a sua volta il fiume - ma come ogni fuoco non controllato, possono diventare pericolosi e bruciare quanto rimane della nostra vita...
- Come? - chiesi osservandolo sorpreso.
- Nei suoi occhi c'è tanta tristezza.
- Ne ho le mie ragioni.- risposi intenzionato a chiudere quanto prima quella conversazione.
- Ed esse sono più che valide. - mi fece eco. Quindi, come parlasse a se stesso, aggiunse - Forse Dio potrebbe aiutarla ad attenuare il suo dolore.
- Fandonie! - sbottai con rabbia.
- Non crede in Dio? - chiese senza lasciar trasparire alcuna sorpresa.
- Dio? - chiesi con ironia - Dio é solo una parola... una parola alla quale gli uomini hanno dato un'immagine ed un'anima che non ha mai avuto. Un idolo posticcio come il vitello che gli ebrei si erano costruito sotto il Sinai...
- Parole pesanti.- commento il Matusalemme lasciandosi sfuggire un sorrisetto compassionevole - Ma non le sembra d'essere un po' troppo severo?
- Non sono severo con nessuno! - risposi più convinto che mai - Se dicessi qualcosa, lei la capirebbe e mi risponderebbe. Lui invece no. Sapesse quante volte l'ho pregato chiedendogli di non portarmi via ciò di cui non sarei mai riuscito di fare a meno. Se parlavo con un muro forse questo mi avrebbe risposto prima.- quindi, senza sapere se stessi cercando di convincere il vecchio o me stesso, aggiunsi - Ma d'altronde probabilmente sarebbe stato pretendere troppo da un qualcosa che esiste solo nella nostra fantasia...
- Convinto?-
- Lo sono. - risposi prontamente.
- Allora non vedo che senso ci sia provare rabbia verso qualcosa che non esiste.
Già, il vecchio aveva pienamente ragione. Che senso avevo di adirarmi con un Dio che non esisteva? Ma forse era proprio questa la ragione del mio rancore. In che altro modo avrei potuto alimentare la speranza che le mie speranze venissero accolte se questo corrispondeva ad una verità che nel profondo del mio cuore a mia volta rifiutavo?
- Non sono adirato con Dio ma con me stesso... - mi corressi allontanandomi di un passo.
- Perché?
Che importanza aveva se gli raccontavo o meno dei fatti miei quando, da lì a qualche minuto, essi non gli sarebbero serviti nemmeno per confezionare una barzelletta?
- Mi sono comportato da vigliacco abbandonandola all'ultimo momento. - mormorai osservando le stelle che, da uno squarcio della nebbia che lentamente stava diradandosi, avevano preso a punteggiare la volta celeste - Ma non me la sentivo di aspettare che mi morisse davanti agli occhi. Ora però...
- A chi sta riferendosi? - m'interruppe osservandomi insistentemente.
- Ad Claudia, mia moglie...
- Claudia. - ripeté pronunciando il nome in un modo alquanto strano e facendo suonare la "u" come una "iu" - E' un bel nome.
- Lo era.- lo corressi.
- E' morta? - chiese con una scrollatina di spalle.
L'osservai mentre estraeva da una tasca del lungo cappotto una pipa in radica e lentamente la riempiva di tabacco.
- Penso di si. - continuai riprendendo ad osservare il fiume che ora, privo del manto di nebbia, potevo scorgere scorrere lugubre e scuro come un nero sudario.
- Pensa? - ripeté con ironia. Si, proprio con ironia! Il vecchio non pareva infatti assolutamente sorpreso delle mie parole ma, al contrario, pareva divertirsi ad ironizzarci sopra.
- Gliel'ho detto. Non ho avuto il coraggio di rimanerle accanto negli ultimi istanti di vita.- quindi mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime, balbettai - Non voglio ricordare il suo viso come quello di una morta, ma come quella di una bella donna addormentata.
- Quando essa si sveglierà riprenderà a vivere...
- Cosa intende dire? - chiesi incuriosito dalle sue parole.
- La morte é una cosa che sta dall'altra parte. Una cosa che ci incute, come qualsiasi cosa che non si conosce, un intrinseco timore. Ma é ben da quel momento, che noi consideriamo come quello della fine di tutto, che comincia la vera vita.- continuò scandendo lentamente le parole quasi le leggesse su qualche libro a me invisibile.
- E' il parroco di St.Johann? - gli chiesi nonostante sapessi che non lo era. Infatti, pur non frequentando la chiesa, conoscevo quest'ultimo molto bene.
- No.- rispose sorridendo alla mia domanda - Però diciamo che io e lui svolgiamo quasi lo stesso compito.
- Non capisco.- ribattei sempre più incuriosito - Cosa intende per "compito"?
- Il Reverendo Lienz ha molte anime a cui badare mentre io solo una.
Lo guardai con uno certo scetticismo. Probabilmente qualcosa nel cervello doveva essere andato in tilt. La cosa mi dispiacque alquanto perché, inconsciamente, aveva cominciato ad entrarmi in simpatia. Avevo infatti la sensazione di avere incontrato il vecchio e di serbare, di quell'occasione, un ottimo ricordo.
- Mi dispiace.- dissi guardandolo con compassione - Il suo paese deve essersi spopolato di molto...
- No Andreas,- rispose sorridendo e, guardandomi in modo strano, aggiunse - tu non hai capito. Io deve badare alla "tua" anima...
- Come? - chiesi esterrefatto - Cosa dovrebbe fare lei?
- Non farmi ripetere le cose. Non ho molto tempo...
- E' sicuro di star bene? - chiesi preoccupato - Forse andare al caldo in chiesa potrebbe farla sentir meglio.
- Chissà perché ogni volta é la stessa musica.- borbottò tra se; quindi porgendomi un piccolo oggetto rotondo, chiese - Lo conosci?
- Certamente.- risposi stranamente per nulla meravigliato che fosse in possesso di un orecchino uguale a quello che Claudia...- Un momento! Dove diavolo l'ha trovato?
- Dove essa l'ha perso il giorno dell'incidente.- rispose serafico.
- Cioè dove... ma come fa a sapere dell'incidente? Non mi pare di averle raccontato nulla!
- Impossibile che tu non riesca a capire? - quindi, meditabondo, borbottò - Ha giusto! Dimenticavo che hai smesso di credere in Dio.
- Smesso di credere? Non ci ho mai creduto.- lo corressi insistendo nella mia bugia.
- Davvero? - continuò per nulla convinto - Perché allora questa mattina, mentre entravi in ospedale, l'hai invocato chiedendogli anche quanto anche tu oramai consideravi impossibile?
Rimasi ad osservarlo a bocca aperta. Come poteva quel vecchio, oltre che a conoscere il mio nome e tutti quei fatti, essere in possesso dell'orecchino che Claudia aveva perso, sedici mesi prima, il giorno in cui aveva avuto l'incidente e, successivamente, era entrata in coma?
- Ma lei, chi diavolo é? - chiesi esterrefatto.
-... e sul più bello che Lui decide di venire in tuo aiuto,- continuò ignorando la mia domanda - tu l'accantoni. Decidi di toglierti la vita e donare la tua anima alla concorrenza. Veramente un bel modo di ringraziarlo... - e come riavendosi da un flashback, mi rimproverò - A proposito, questa é l'ultima volta che voglio essere chiamato in questo modo.
- Come... "diavolo"?
- Esattamente. Almeno al mio livello lo considero un epiteto molto offensivo.
- Non ha risposto alla mia precedente domanda.- insistetti.
- Non esiste peggiore sordo di colui che non vuol sentire.- commentò con un sospiro - Vediamo se riesco a fartelo capire... Ricordi quando ti perdesti a St.Margareten e passasti la notte nel bosco? Piangesti a lungo fino a quando quel vecchio contadino non venne a consolarti ed ad indicarti il modo per tornare a casa di tua nonna...
- Un momento! - l'interruppi - Ma come fa a sapere di questo fatto? M'é successo che ero ancora bambino.- quindi, dopo averlo osservato per qualche secondo sbigottito, mi sentii bisbigliare - Ma quel vecchio, che non ho più scordato, le assomigliava... cioè era proprio come lei. Non vorrà farmi credere che...
- Bravo. Finalmente ci sei arrivato.- esclamò soddisfatto - Ero proprio io. E' da quando sei nato che ti aiuto, logicamente quando mi é concesso di farlo. Devo riconoscere che a volte mi hai messo in grande difficoltà, ma fortunatamente ho trovato sempre un modo per districarmi dalle pericolose situazioni nelle quali tu, ed in conseguenza anch'io, andavamo a cacciarci.
- Vorrebbe farmi credere che lei... si insomma, che tu sei il mio angelo o che diav... scusami! - m'interruppi prontamente - Ho letto da qualche parte dello "spirito guida".
- Ci trovano tante di quelle definizioni che oramai non ci badiamo più.- commentò con indifferenza - Chiamami come preferisci... logicamente non con quel termine che, di tanto in tanto, ti lasci sfuggire.
- Forse sto sognando.- borbottai lasciandomi sfuggire un sorriso idiota.
- Forse... ma forse no.
- Dov'è la differenza?
- Io sono solo un dipendente,- rispose allargando le braccia - é Lui che deciderà il modo di fartelo scoprire.
- Lui? - ripetei.
- Lui...- mi fece eco - A quanto pare, sembra che abbia deciso di accogliere le tue preghiere.
- Non ho mai pregato.- mormorai quasi dispiaciuto di non averlo fatto.
- Ci sono tanti modi di farlo e tu l'hai fatto nel migliore di questi; con il cuore.
- Ma che... cavolo sta succedendo? Non capisco più nulla! - esclamai come se stessi scoprendomi vittima di un cattivo scherzo. Quindi meditabondo presi a camminare nervosamente per il ponte seguito a ruota dal vecchio - Aspetta, ora ci sono! - sortii arrestandomi improvvisamente.
- Come? - chiese pendendo dalle mie labbra.
- E' solo un sogno.- aggiunsi - Un maledettissimo sogno...
- Nonostante sia una vita che ti conosca, non finirai mai di stupirmi.- commentò scuotendo sconsolato la testa.
- Senti... come preferisci che ti chiami?
- Fai un po' tu. Sono passati tanti di quegli anni che ho quasi dimenticato il mio vero nome. - quindi, rivolgendomi un sorriso carico di dolcezza, chiese - Che ne diresti di Henry?
- Come preferisci.- risposi - Allora Henry, cerca di spiegarmi, sempre che sul più bello non mi svegli nel mio letto, cosa ci fai qui.
- Te l'ho detto. Svolgo solo il compito che mi é stato affidato.
- Insomma vorresti farmi credere che tu sei una specie di angelo custode e che, in questo caso, sei venuto come latore da parte di... Lui per avvisarmi che la mia "richiesta" é stata accolta?
- Una cosa simile.- rispose osservandomi soddisfatto.
Lo guardai per qualche secondo incredulo. No, doveva trattarsi sicuramente di un incubo... solo un maledetto incubo sortito dai meandri della mia disperazione.
Toccai la fredda spalliera del ponte.
- Non farlo! - mormorò Henry - E' un'occasione unica...
- Si, - risposi seguitando ad osservare il fiume - quella di svegliarmi da questo sogno e cancellare, in un colpo solo, tutta la mia disperazione.
- Perché non vuoi credermi Andreas? Egli non ti chiede nulla, solo di accettare ciò che ti dona... il suo amore.
- Lasciami un momento capire.- osservai cercando di convincermi sulla veridicità delle sue parole - A quanto pare non sto sognando...
- Assolutamente.
- Lo so. Me ne sono accorto quando ho toccato il corrimano del ponte. E' dannatamente freddo e bagnato... Comunque, anche cercando di accettare quest'eventualità, puoi spiegarmi come Egli potrebbe aiutarmi ad uscire da questa situazione? - quindi, osservandolo benevolmente, continuai - Spero che tu abbia capito cosa effettivamente desidero...
- Se ne sarebbe accorto anche un cieco.- commentò sorridendo.
- Va bene. Visto che non sei cieco, vuoi spiegarmi come...
- Devi solo credere in lui.- m'interruppe mentre si allontanava lentamente verso l'altra parte del ponte - Nulla gli é impossibile...
- Henry! - lo chiamai - Aspetta; devi spiegarmi cosa devo fare.
- Abbi fede ed aspetta.- rispose senza girarsi.
- Ma dove vai? - insistetti.
- Non me ne vado,- rispose arrestandosi un momento; quindi, mentre riprendeva a camminare, aggiunse - sarò sempre dove mi sono trovato fino ad ora; accanto a te.- e detto questo scomparve giù per la scalinata del ponte lasciandomi solo ed attonito ad osservarmi attorno.
Nel frattempo l'atmosfera si era fata più mite... anzi si può dire che facesse veramente caldo. Dalla chiesa di St.Johann non mi giungeva più alcun suono o canto e la città aveva perso tutta la luminescenza che gli arredi natalizi solitamente le conferivano.
Guardai nuovamente il fiume. Quindi il cielo pieno all'inverosimile di stelle. Mancavano solo gli occhi di Claudia dove una simile meraviglia avrebbe potuto specchiarvisi...
Improvvisamente una scia luminosa l'attraversò rischiarandolo per un paio di secondi.
- Una...- disse una ben voce conosciuta alle mie spalle.
Mi girai. Lei stava lì, appoggiata alla spalliera dall'altra parte del ponte, a sua volta, con lo sguardo rivolto al cielo.
La guardai inebetito. Mi stropicciai gli occhi. Quindi, balbettando qualcosa incomprensibile anche a me stesso, mi diressi lentamente verso di lei.
Chissà. Forse ero io che, finalmente ero arrivato a lei. O forse lei che era tornata da me... ma, in quel momento, come fosse effettivamente successo che lei si trovava nuovamente vicino a me, non mi interessò per nulla. L'importante era che ora lei fosse lì.
Sulla tempia sinistra aveva un cerotto che le nascondeva un piccolo ematoma.
- Ti fa male? - chiesi accarezzandole la fronte.
- No.- rispose con un sorriso - E' stata solo una grande paura. Il dottore ha cercato di chiamarti a casa per dirti che potevi venire a prendermi ma non ti ha trovato. Fortunatamente ho trovato un vecchio signore che mi ha detto dove avrei potuto ritrovarti. Pensa che si è anche offerto di accompagnarmi fino a qui...
- Henry?
- Non mi ha detto il suo nome. Lo conosci? - chiese prendendomi sottobraccio.
- E' una vita che ci conosciamo.- risposi stringendola a me - A proposito, come sta il bambino?
- Mai stato meglio.- rispose accarezzandosi la pancia sulla quale si notava pochissimo il segno della sua imminente maternità.
- E' un miracolo.- mormorai sottovoce.
- Hai ragione.- aggiunse mentre due scie più luminose di una stella cadente le striavano le guance - L'ha detto anche il dottore. Un paio di centimetri più in basso e...
- Mi sei mancata molto.- mormorai mentre il mio cuore rischiava di andare fuori giri dalla felicità.
- Anche tu. Quando mi sono svegliata ho avuto l'impressione di non averti visto per tanto tempo...
- Cosa facciamo? - chiesi guardando le stelle che le si specchiavano sugli occhi.
- Torniamo a casa Andreas. Voglio restare accanto a te. Questo giorno é stato enormemente lungo. In quelle poche ore all'ospedale ho avuto l'impressione di aver dormito per anni.
- Ho provato la stessa sensazione pure io.- risposi stringendola a me.
- Chissà dove sarà andato quel gentile vecchietto.- mormorò mentre ci avviavamo verso casa - Volevo ringraziarlo. Senza di lui non ti avrei mai rintracciato...
- Ne sono più che convinto.
Mentre ci incamminavamo, mi sbirciai insistentemente alle spalle. Henry, e questo lo percepii con gioia, era nuovamente accanto a me.
- Hai perso qualcosa? - chiese Claudia.
- Al contrario.- la rassicurai con un sorriso - Questa sera ho ritrovato tutto quello che pensavo di aver smarrito...

Claudio Chiaramida

© 25.12.1997 Claudio Chiaramida - © 1998 ARPA Publishing. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
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