UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino
CAPITOLO PRIMO
I
Non ce l’avrebbe mai fatta. Era scontato che la parte più odiosa di lui avrebbe vinto ancora.
Quindi avrebbe ancora ucciso...sicuramente.
Ma davvero non poteva esistere anche solo lontanamente una piccola possibilità di far cessare quell’assurda carneficina, quella forma di masochismo in cui faceva e si faceva male?
C’era una sola persona al mondo che forse avrebbe potuto fermarlo. Kate....lontana mille miglia, fisicamente, ma molto, molto vicina se non addirittura in lui, affettivamente, intimamente. Ma in quel momento non poteva certo bastare un ricordo o un pensiero, anche se forte e vivo, per poter fermare la bestia famelica che si attanagliava nel suo tormentato subconscio. Ci sarebbero volute mani forti e parole impietose per risvegliarlo da quel torpore in cui stava di nuovo scivolando... lentamente... inesorabilmente.
Si guardò nello specchio e vide una persona normale, normalmente brutta, interessante... ecco, sì, si considerava interessante,se non esteriormente almeno psicologicamente. Improvvisamentesi sentì rinascere, si sentì avvolto da una sorta di pace, di serenità.
Durò una frazione di secondo.
Vide la sua faccia trasformarsi in una maschera di dolore, vide i suoi occhi diventare di fuoco, la sua fronte percorsa da rivoli rossi. La sua mano si serrò nervosamente e con uno sforzo sovrumano la sollevò in un ultimo tentativo di scacciare la bestia che lo stava divorando. Il pugno arrivò violentissimo.....CRASH
Ci fu un tremendo fragore. Lo specchio andò in mille pezzi.
Non sentì neppure le profonde ferite alla mano, ma avvertì invece un senso di sollievo e di liberazione nel profondo del cuore.
Osservò nel lavandino i cocci sporchi del sangue che stava colando copioso dalla mano destra.
Ma nonostante tutto la sua mente scappò via ancora una volta.
II
Al Dipartimento di Polizia del IV Distretto c’era un gran trambusto. Telefoni che squillavano, agenti che correvano per i corridoi, un tenente che urlava col sergente, il capo della polizia al telefono con il Sindaco. Il tenente Olson era l’unica persona che almeno apparentemente riusciva a mantenersi calma in quel caos. Era chiuso nel suo ufficio, seduto alla scrivania a sorseggiare un caffè forse troppo amaro per il suo palato. Nella mente continuava a ripetersi "Coglione" con gli occhi fissi sulla edizione del mattino dell’Herald Tribune che titolava a caratteri cubitali: "LA SETTA DELLE TRE CROCI HA FATTO POKER, QUATTRO SETTIMANE QUATTRO SACRIFICI UMANI".
"Giornalisti bastardi!" si lasciò scappare a denti stretti.
Appallottolò il giornale e lo gettò con violenza, sbagliando come al solito il cestino della carta straccia. Aprì il secondo cassetto della scrivania e nè cavò alcune fotografie scattate alla quarta vittima.
Erano state persone molto diverse tra loro: una studentessa al terzo anno di filosofia, ventiquattro anni, negra; un direttore di banca, cinquantasei anni, bianco; una casalinga di quarantatre anni, negra; un messicano di trentanove anni, operaio della Società dei telefoni.
Diversi ceti sociali, diverse ideologie, diversa fede, sesso, età, razza. Insomma non avevano nulla in comune..... Almeno da vivi.
Erano stati uccisi in modo brutale, con una robusta arma da taglio, ascia o machete, tutti e quattro accomunati da un macabro rituale: tre croci tracciate sul petto con un’altra arma da taglio più sottile ed affilata (così aveva ripetuto in quattro diversi rapporti il medico legale), disposte sempre a triangolo capovolto.
Ma c’erano ancora due particolari che avevano fatto scatenare la stampa e lo stesso Dipartimento di Polizia in una gigantesca caccia non a uno, ma a più seguaci di una fantomatica setta che sarebbe stata successivamente battezzata dai media LA SETTA DELLE TRE CROCI: in tutti e quattro i casi le vittime erano state accuratamente ricomposte e su ognuno dei quattro punti che formavano un immaginario rettangolo intorno agli assassinati erano state sistemate altrettante candele accese e lasciato ai loro piedi uno strano disegno, infantile e rozzo, che rappresentava una persona con le braccia aperte.
Sembravano in sostanza testimonianze di un unico rito, di una sorta di sacrificio ..... umano.
Osservò le fotografie di Jack Romero, scattate subito dopo il ritrovamente la scorsa notte, avvenuto per una telefonata di un cittadino che tornando a casa ubriaco fradicio dopo una serata di bagordi si era trovato davanti lo spettacolo di un camera ardente improvvisata proprio sotto il balcone di casa sua.
La guardò con attenzione, la girò, la avvicinò, ne osservò i particolari con una lente ma naturalmente non riuscì a cavarci niente di utile: Jack Romero giaceva semplicemente disteso e perfettamente composto in un lago di sangue, con tre croci sanguinanti sul petto, quattro candele ai quattro angoli e un disegno vicino ai piedi......Tutto qui.
"OLSOON!!!!" sentì gridare nel corridoio.
"OLSOON!! Porca troia, voglio Olson qui subito!"
Non ci volle molto a capire che il capitano voleva lui e non certo per complimentarsi dell’andamento delle indagini.
Finì il suo caffè ormai freddo con malavoglia e una punta di disgusto. Uscì con calma e coprì la distanza che lo separava dall’ufficio del suo superiore con estenuante lentezza.
Infine entrò senza bussare.
"Olson, allora che cosa mi dici?"
Lo aggredì, sbattendo sulla scrivania la testata di un altro giornale che titolava in modo ancor più provocatorio: "LA CITTÀ’ IN BALIA DI FANATICI". Olson come al solito non rispose, non si mosse neppure, limitandosi a guardarlo con espressione fredda e distaccata.
"Olson tu mi devi trovare questi quattro coglioni, sbattili in galera, ammazzali, non me ne frega niente, basta che tu me li tolga dalle palle al più presto!!"
"Quattro coglioni.....e se fosse uno solo??"
"A me non interessa quanti sono! Tu devi farli smettere......OK? Altrimenti...."
Si passò il pollice teso sotto il mento in un gesto che ormai ad Olson non faceva più alcun effetto: sarebbe caduta senz’altro anche la testa del capitano prima della sua, se non fossero venuti a capo di quella faccenda, pensò mentre spostava la sedia per sedersi.
"A che punto sei?" gli chiese beffardo
Quella era la domanda fatidica: l’unica domanda che temesse veramente perchè lo feriva profondamente nell’orgoglio.
Il capitano Freewell naturalmente lo sapeva benissimo.
"Buio assoluto"
Abbassò gli occhi e aspettò la violenta reazione del superiore.
Aspettò ma non successe nulla. Ci fu invece un lunghissimo silenzio. Considerandolo un punto a suo favore, alzò lentamente lo sguardo.
Vide davanti a sè il volto paonazzo del capitano che stava per scoppiare: capì che doveva assolutamente dire qualcosa.
"Io non sono d’accordo con i giornali, non ci sono prove per sostenere che si tratti di una setta. Potrebbe essere uno solo: io infatti sono quasi convinto che sia una persona sola, pazza fin che vuoi ma sola".
Si accese una sigaretta. Attese un momento e poi riprese incoraggiato dal silenzio di Freewell:
"Ho fatto delle indagini tra varie sette più o meno segrete. Ho degli amici in quegli ambienti e nessuno, dico nessuno, ha mai sentito parlare di una setta che facesse riti con queste caratteristiche. Cioè qualche cosa di simile c’è ma nessuno ha riconosciuto nei particolari che tu ben sai una somiglianza rilevante con una setta in particolare. Mi sono documentato in queste due settimane e certo che ce ne sono in giro di pazzi sanguinari. Pensa che c’è una setta che......."
"Olson, dacci un taglio. Tu non sei venuto a capo di niente. Qui non siamo più nella condizione di fare conversazione. Non possiamo escludere a priori questa ipotesi o quell’altra solo perchè il nostro segugio ha fatto delle ricerche e ha avuto una grande intuizione."
Si asciugò il sudore dalla fronte e riprese:
"Qui bisogna beccare i responsabili e sinceramente non me ne frega un cazzo se sono uno, tre o dieci. Tu li devi beccare e basta!"
Olson pensò che avesse finito ma così non fu:
"Mi ha telefonato il Sindaco poco fa: vuole un rapporto dettagliato sulle indagini. Dovrò inventarmi qualcosa......"
Prese fiato per il commiato che scandì meticolosamente:
"E adesso Olson F U O R I D A L M I O U F F I C I O !!"
Era finita, almeno per il momento. Il tenente si alzò, spostò la sedia con calma e se ne andò senza salutare. Guardò l’orologio e pensò:
"Sono appena le otto ed è già una giornata di merda!"
© Claudio Pellegrino - © 1998 ARPA Publishing. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
La violazione del copyright e/o la copia illecita del materiale riprodotto in queste pagine, la diffusione non autorizzata dello stesso in qualunque forma contravviene alle normative vigenti sui diritti d'autore e sul copyright.
Per inserire i tuoi testi nel sito ARPANet, clicca qui!