LE ODI (1821) |
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Le due odi manzoniane, Marzo 1821 e Il
Cinque Maggio sono scritte a quattro mesi di distanza
l'una dall'altra, nel marzo e nel luglio 1821.
La prima si ispira ad un evento storico risorgimentale che non
ebbe luogo, cioè l'intervento piemontese che doveva appoggiare
le sollevazioni del 1821; in seguito al fallimento di questo
programma, i conoscenti e gli amici del "Conciliatore"
vennero arrestati o si dispersero, e l'ode venne pubblicata solo
nel 1848.
Il secondo componimento commenta, sull'onda della notizia della
morte di Napoleone, le imprese del grande condottiero e,
pubblicata, ebbe un vasto successo di pubblico.
Il 1821 rappresentò per Manzoni un momento di tensione e
di grandi aspettative. Questa tensione trova riscontro nel fatto
che in "Marzo 1821" l'avvenimento
tanto atteso viene commentato addirittura prima del suo
svolgersi, mentre poi la situazione evolve in senso opposto a
quello prefigurato nel poema, e i piemontesi non intervengono.
L'argomento dell'ode consiste nell'idea che i soldati del regno
di Savoia, nel marzo del 1821, arrivino a diffondere il moto
anti-austriaco nel lombardo-veneto e che, varcando il Ticino -
che costituiva il confine fra Piemonte e Lombardia - giurino
fedeltà all'ideale della unità italiana.
L'autore si rivolge agli Austriaci, ammonendoli che la loro lotta
antifrancese diviene incoerente, se trova riscontro nella loro
oppressione degli Italiani.
L'ode termina con l'invocazione della giustizia divina.
"Il Cinque Maggio" svolge per
immagini la notizia della morte di Napoleone a Sant'Elena.
Manzoni non esprime un giudizio sull'epoca napoleonica e,
consapevole di non essersi mai pronunciato in senso positivo o
negativo sugli eventi storici legati a Napoleone, si ritiene
libero di fare le sue riflessioni morali.
Il condottiero francese incarna, con le sue imprese, il vertice
della gloria cui un uomo possa aspirare. Dopo aver dominato il
suo secolo nello spazio e nel tempo, poi, relegato nel suo
esilio, vive di ricordi e, ormai disperato, trova consolazione
nella morte, quando Dio salva il condottiero.
L'ode paragona e contrappone la grandezza divina alla grandezza
umana e trova toni di dolcezza nei confronti del protagonista,
assalito dall'onda dei ricordi.
Il 20 aprile 1814 finiva, con un tumulto popolare che
vedeva anche l'assassinio del ministro Prina, il regime
napoleonico a Milano.
Fautori del moto furono soprattutto tutti quegli elementi
reazionari - aristocrazia legata all'Austria, clero - che
volevano distaccarsi da un Napoleone ormai in declino. Ma, contro
il regime napoleonico, si schierarono anche alcuni nobili
illuminati che vedevano nel generale francese un tiranno ed
auspicavano la costituzione di una Lombardia indipendente.
Le speranze di questi ultimi furono deluse e la Lombardia poco
dopo passò all'Austria, con la quale riprese la politica
repressiva, specie negli anni 1820-21, e ciò proprio ai danni di
coloro, come Federico Confalonieri, che nel 1814 avevano operato
più attivamente perchè il regime napoleonico crollasse.
La canzone, scritta tra il 22 aprile ed il 12 maggio 1814, prima
che divenisse certo il ritorno dell'Austria, rispecchia le
illusioni di quelle brevi giornate di libertà.
"Questo mondo lirico è sostanzialmente epico, anzi è
la vera epica, quel veder le cose umane dal di sopra, con
l'occhio dell'altro mondo.
Nelle poesie eroiche ci vuole l'Eroe; ma nell'epica il vero eroe
è di là dalla storia, innanzi al quale ogni eroismo terreno è
ombra e polvere. L'infinito ricopre della sua vasta ombra ogni
grandezza. Questo concetto rende altamente originale "Il
Cinque Maggio", composizione epica in forme liriche. Molti
credono che l'ultima parte ci stia come appiccata, quasi
appendice, di cui si potrebbe far senza. Altri, facendone una
quistione di quantità, la trovano troppo lunga. E non vedono che
quella parte non è un prodotto arbitrario e sopravvenuto
nell'immaginazione, ma l'apparenza ultima e quasi la
corruscazione del concetto, di ciò che è vita intima di tutto
il racconto. In effetti in questo mondo epico l'individuo o
l'eroe, grande che ei sia, e sia pure Napoleone, non è che
un'"orma del creatore", un istrumento
"fatale". La gloria terrena, posto pure che sia vera
gloria, non è in cielo che "silenzio e tenebre".
(Francesco De Sanctis, Poesia e idee democratiche)