LETTRE A MONSIEUR CHAUVET |
La Lettre a Monsieur Chauvet, scritta
nel 1820, dopo la pubblicazione della tragedia Il Conte di Carmagnola,
rappresenta un documento importante dei principi di poetica ai
quali si ispirava il Manzoni.
Un critico francese accusa lo scrittore di non rispettare le
regole delle unità aristoteliche di tempo e di luogo e Manzoni
gli risponde affermando che si tratta di regole inautentiche,
mentre, al contrario, ai fini della scrittura è determinante
l'unità d'azione, che il poeta può definire in modo originale
per dare una organizzazione strutturale alla tragedia.
Il componimento poetico, d'altro canto, deve rispettare il
"vero" non soltanto in quanto vero storico, ma in
quanto vero poetico, scegliendo, nella storia, gli avvenimenti
interessanti e drammatici, legati strettamente l'uno con l'altro,
ma solo alla lontana correlati con quelli che li precedono e li
seguono, in modo che il lettore sia stupito dalla profondità del
rapporto che li collega.
Prima di esaminare la regola dell'unità di tempo e di
luogo nei suoi rapporti con l'unità d'azione, sarebbe bene
intenderci sul significato di quest'ultimo termine.
Con l'unità d'azione, non si vuole certamente intendere la
rappresentazione di un fatto semplice e isolato, ma la
rappresentazione d'un susseguirsi d'avvenimenti legati tra loro.
Ora questo legame tra più avvenimenti, che li fa considerare
come un'unica azione, è forse arbitrario? Certamente no;
altrimenti l'arte non avrebbe più fondamento nella natura e
nella verità.
Dunque questo legame esiste ed è nella natura stessa della
nostra intelligenza. Però, in effetti, una delle più importanti
facoltà della mente umana quella di afferrare, tra gli
avvenimenti, i rapporti di causa e d'effetto, d'anteriorità e di
conseguenza, che li legano; di ricondurre ad un unico punto di
vista, come per una sola intuizione, più fatti separati dalle
condizioni del tempo e dello spazio, scartando gli altri fatti
collegati ad essi solo per coincidenze accidentali.
Questo è il lavoro dello storico.
Fa, per così dire, negli avvenimenti, la cernita necessaria per
arrivare a questa unità di vedute; [...] lo storico si propone
di far conoscere una serie indefinita di avvenimenti: anche il
poeta drammatico vuole rappresentare degli avvenimenti, ma con un
grado di sviluppo esclusivamente proprio della sua arte: cerca di
mettere in scena una parte staccata della storia, un gruppo di
avvenimenti il cui compimento possa aver luogo in un tempo
all'incirca determinato.
Ora, per separare così alcuni fatti particolari dalla catena
generale della storia e offrirli isolati, bisogna che sia deciso
e diretto da una ragione; che questa ragione risieda nei fatti
stessi e che la mente dello spettatore possa senza sforzo, anzi
con piacere, soffermarsi su questa parte distaccata della storia
che gli si pone sotto gli occhi. [...]
Che fa dunque il poeta? Sceglie, nella storia, degli avvenimenti
interessanti e drammatici, che siano legati fortemente l'uno con
l'altro, ma debolmente con quelli che li precedono e li seguono,
in modo che lo spirito, così vivamente colpito dal rapporto
esistente tra di essi, si compiaccia di formarne un unico
spettacolo, e si applichi avidamente a cogliere tutta
l'estensione e tutta la profondità del rapporto che li unisce, e
a chiarire il più nettamente possibile le leggi di causa e di
effetto che li governano.
Questa unità è ancor più precisa e più facile a capire,
quando tra più fatti legati tra loro si trova un avvenimento
principale, intorno al quale si raggruppano tutti gli altri come
mezzi o come ostacoli; un avvenimento che si presenta qualche
volta come il compimento dei disegni degli uomini, qualche volta,
al contrario, come un colpo della Provvidenza che li annienta,
come un termine segnalato o intravisto da lontano, che si voleva
evitare, e verso il quale ci si precipita per la stessa strada in
cui ci si era gettati per correre verso una meta opposta.
Questo avvenimento principale è quello che si chiama catastrofe
e che troppo spesso è stato confuso con l'azione, che è invece
l'insieme e la progressione di tutti i fatti rappresentati.
[..] Certamente se si dice che un'azione più occupa spazio e
tempo, e più rischia di perdere questo carattere di unità così
delicato e importante sotto il punto di vista dell'arte, si avrà
ragione; ma, da questo al fatto che bisogna mettere limiti di
tempo e di luogo all'azione, non si può concludere che si
possano stabilire prima questi limiti, in modo uniforme e preciso
per tutte le azioni possibili; arrivare a stabilirli con il
compasso e l'orologio alla mano, ecco ciò che non potrà mai
accadere, se non in virtù di una convenzione puramente
arbitraria.
Per ricavare la regola delle due unità dall'unità di azione,
bisognerà che gli avvenimenti che si verificano in uno spazio
più ampio della scena, oppure, se volete, in uno spazio troppo
vasto perché l'occhio possa abbracciarlo interamente, e i quali
durano più delle ventiquattro ore, non possano avere quel legame
comune, quella indipendenza dal resto degli avvenimenti
collaterali o contemporanei che ne costituiscono l'unità reale;
e ciò non sarebbe facile.
Così coloro che hanno fatto la regola non hanno pensato a nulla
di simile: essi l'hanno immaginata per l'illusione, per la
verisimiglianza [...].
Confesso, del resto, che questo modo di considerare l'unità di
azione esistente in ogni soggetto di tragedia, sembra apportare
all'arte grandi difficoltà. Certo, è più comodo l'imporre e
l'adottare limiti arbitrari.
Tutti vi trovano il loro profitto: è per i critici un'occasione
per esercitare la loro autorità; per i poeti, un mezzo sicuro
per essere in regola, e, allo stesso tempo, una fonte di scuse;
e, infine, per lo spettatore, un mezzo di giudicare che senza
esigere un grande sforzo d'intelligenza favorisce, tuttavia, la
dolce convinzione che si è giudicato con cognizione di causa e
secondo i principi dell'arte.
Ma l'arte stessa che cosa vi guadagna per quel che riguarda
l'unità di azione? Come le sarà più facile raggiungerla,
adottando misure determinate di tempo e di luogo che non le sono
state date in alcun modo dall'idea che la mente si forma di
questa unità? Ecco, signore, le ragioni che mi fanno credere, in
generale, che l'unità di azione è del tutto indipendente dalle
altre due.
[...] io trascrivo dunque la parte del vostro articolo di cui mi
occupo: "Supponiamo, ora, che un autore asservito alle
regole abbia trattato questo soggetto. Prima di tutto avrebbe
relegato nell'antefatto e l'elezione del Carmagnola a generale
veneziano, e la battaglia di Maclodio, e la sconfitta della
flotta e l'affare di Cremona. Tutto ciò è anteriore all'azione
propriamente detta, un racconto poteva esporla perfettamente.
Il dramma sarebbe cominciato al momento in cui il conte,
richiamato dal senato, è atteso a Venezia. Il primo atto avrebbe
mostrato gli affanni della famiglia, eccitati dalle voci che
circolano sulle perfide intenzioni del senato. Ma ben presto
l'arrivo del conte e l'accoglienza trionfale cambiano i timori in
gioia e l'atto finisce al momento in cui va egli al consiglio per
deliberare sulla pace.
Così il dramma avrebbe progredito alla fine del primo atto come
nell'opera del signor Manzoni lo è alla fine del quarto; e
l'autore, per procedere nel suo cammino, si sarebbe trovato come
obbligato a creare un'azione, un legame, delle peripezie, a
mettere in moto le passioni, ad eccitare il terrore e la pietà.
Ma quali risorse aveva per questo? E le rivelazioni di Marco, e
gli intrighi del duca di Milano, e le divisioni del senato, e il
malcontento popolare, e il potere del conte sull'armata, e infine
tutto il turbamento e i pericoli d'una repubblica che ha affidato
la sua difesa alle truppe mercenarie.
Questo grande quadro è appena abbozzato nel dramma del signor
Manzoni.
D'altronde non si poteva fare in modo che il Carmagnola
sollecitato dal duca di Milano, si trovasse per un momento
padrone della sorte della repubblica? La parentela di sua moglie
con il duca, il suo potere sugli altri condottieri, e
l'assistenza del popolo potevano condurre naturalmente questa
situazione.
Il poeta avrebbe così messo in contrasto nell'animo dell'eroe i
sentimenti dell'uomo di onore con l'immaginazione turbolenta del
capo di avventurieri, e Carmagnola, abbandonando il progetto di
liberare Venezia che vuole perderlo, sarebbe stato più
interessante nel momento in cui soccombe; mentre lo stesso
progetto è servito a motivare e dipingere la timida e crudele
politica del senato.
E così che i limiti dell'arte danno lo slancio all'immaginazione
dell'artista e lo costringono a divenire creatore. Che il signor
Manzoni si persuada bene; superare questi limiti, non è affatto
ingrandire l'arte, è ricondurla alla sua infanzia".
Ecco, signore, i principali inconvenienti che mi sembrano
risultare da questa maniera di trattare drammaticamente i
soggetti storici:
1. Ci si regola, nella scelta da operare tra i fatti che si
rappresentano davanti allo spettatore e quelli che ci si limita a
fargli conoscere con dei racconti, su una misura arbitraria, e
non sulla natura degli avvenimenti stessi e sui loro rapporti con
l'azione.
2. Si rinchiude, nello spazio fissato dalla regola, un numero
maggiore di fatti di quello che la verisimiglianza permetta.
3. Si omette, malgrado ciò, un gran numero di materiale molto
poetico, fornito dalla storia.
4. E ciò che è più grave, si sostituiscono delle cause di pura
invenzione a cause che hanno realmente determinato l'azione
rappresentata.