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LA ZUNGANERA
(Centroamerica, Settembre 1994)
di: Miranda Baudino Tamagnini

Lo chiamarono Mosè per dare importanza a quel bambino che di dritto aveva soltanto le gambette.
Se fosse nato in un paese "civile" gli scienziati se lo sarebbero accaparrato per studiarlo in lungo e in largo. In altri sarebbe finito in qualche "circo" tra bambini coccodrillo, con teste di capra o altre mostruosità, a soddisfare la curiosità della gente sempre in cerca di deformazioni per appagare quel gusto dell'orrido che c'è in tutti gli umani.
Invece era nato alla Zunganera: sei baracche in mattoni crudi e tetti di palme; due "ristoranti" dalle lunghe tavole lucide per strati di grasso rancido accumulatisi col trascorrere delle ere, pavimenti di sabbia nera, una piastra per le "tortillas"; una chiesetta di un solo stanzone con mura storte, intonacate e imbiancate malamente e con la scritta "Iglesia de Dio Mundial" . In nome della vera carità tutti vi erano ammessi: spose bambine con gli strascichi di pizzo rosa, lo sposo in scuro, la camicia aperta sul petto nudo, il papillon a pelle e lo stuolo degli invitati schiamazzanti; ubriachi, cani randagi e maiali con i loro piccoli maculati, grufolanti, muso a terra, sempre alla ricerca di cibo. Insomma era un'Iglesia di gran tolleranza aperta a qualsiasi creatura di Dio.
La strada di terra che portava alla Zunganera, alle sei case, ai due "ristoranti" e alla chiesetta era piena dei residui di noci di cocco, mucchi di foglie secche di palma, altri rifiuti vari e vi andavano ruspando tacchini e galline .
C'era pure la carcassa di un'automobile bruciata anni prima e consumata dalla ruggine, ottimo rifugio per grasse iguane che ogni tanto si vedevano affacciate a godersi il sole.
Cani magri come chiodi contendevano ai maiali e agli uomini quel poco che madre natura concedeva loro.
A un paio di chilometri superando un cancello con una vistosa scritta "Solo per proprietari" si entrava nel regno dei ricchi: le case più sontuose a sinistra sul fronte del mare e le meno " in seconda fila" sulla destra del sentiero, tutte circondate da immensi giardini con palme da cocco ben allineate, vellutati prati all'inglese e un'infinità di tutte le più belle specie di piante.
Mosè era nato in una capannuccia costruita con grandi foglie di palma che toccavano terra impedendo alla luce di entrare, il pavimento di sabbia nerastra per lo sporco accumulato negli anni. La madre cucinava su quattro sassi con sopra una specie di piastra di ferro, squisite "tortille e appetitose pupuse" in un fumo denso e soffocante che stanziava giorno e notte ma andava benissimo per tener lontane zanzare e "hehenes", piuttosto fastidiose, in certe stagioni .
Quando nacque Mosè era un momento d'auge perché il padre, guardiano-giardiniere di una villa, faceva pure qualche lavoretto da muratore. La moglie, sempre scalza e stracciata, sporca e spettinata, metteva al mondo figli come conigli che, poco dopo morivano, per incuria o cattiva alimentazione.
Di tanti, Mosè fu l'unico che sopravvisse.
Piccolo, nero come il carbone, un grosso torace bombato, il testone riccioluto e la bocca storta, aveva sin dalla nascita una muscolatura degna di un pugile. Il padre faceva grandi sogni per lui: farlo studiare e farne un erudito o per lo meno uno che potesse calcolare il risultato di due pesci + due.
Quando ebbe sei anni lo accompagnò a scuola a circa un chilometro dopo la Zunganera. Una grossa tettoia delle solite foglie di palma da cocco, i bambini seduti a terra e il maestro, ubriaco sin dall'alba, che li accoglieva barcollante e con lo sguardo vacuo.
Mosè era il più piccolo di statura fra quei cinque o sei alunni ma quello che apprendeva più in fretta. Litigioso come tutti i piccoletti, prendeva a cazzotti e a calci chiunque osasse sfotterlo.
Dopo la scuola tornava a casa passando dalla spiaggia in discesa ripida verso il mare. Era un modo scomodissimo di camminare perché dalla parte in cui appoggiava il piede destro il terreno era più alto e più basso dove appoggiava il sinistro.
Dai oggi e dai domani, col passare degli anni la gamba sinistra si allungò più di quella destra. L'ignoranza è una gran brutta bestia perché - benedetto figlio - se all'andata avesse fatto la strada che faceva al ritorno non avrebbe subìto quell'inconveniente per una questione elementare di bilanciamento!
Invece per anni prendeva all'andata la strada fra le ville, tutta bene a livello e al ritorno preferiva la spiaggia.
A vent'anni sicché si presentava col solito gran testone riccioluto, le braccia lunghe fin quasi a terra, la bocca storta in un sorriso ironico e senza un dente, perché forse non gli erano mai spuntati, un toracione a botte e quel movimento del bacino oscillante in maniera ondulatoria che gli dava una certa aria da "dandi", da gagarino di città.
Straordinariamente abile a salire sulle palme per raccogliere cocchi, aveva vinto più di un premio al Festival del cocco che si teneva ogni anno, organizzato dai villeggiani amici e suoi sostenitori.
Dopo un po' i genitori erano morti e lui, nonostante quei piccoli difetti, era un giovane istruito, vincitore di più tornei, lo sguardo malizioso e fece colpo sulla bella di un villaggio un po' lontano da li. Una rossa lentigginosa, cosa rara fra mezzi indios neri come quelli.
Certo, a guardarsi intorno veniva da pensare che il padre fosse stato un grosso maniaco sessuale perché quasi tutti gli uomini di quel pueblo assomigliavano a Mosè: Chi più storto e chi meno, chi più bombato e chi meno ma le stigmate erano quelle. Mosè però evidentemente aveva qualcosa in più che fece perdere la testa alla giovane rossa
Si sposarono nell'Iglesia de Dio Mundialfra capre, maiali e amici in ghingheri e lustrini, alla musica delle radioline che trasmettevano a tutto volume le canzoni di Julio Inglesias.
Lei ostentava orgogliosa una bella pancia da sesto mese.
Era vissuta fino ad allora nella più nera miseria facendo la guardiana di maiali altrui e andava sposa ad un proprietario di capanna che in fondo, anche se un po' sbilenco, si era procurata la sciancatura a causa del sapere che aveva acquisito andando a scuola!
Faceva il muratore come il padre, il pescatore a tempo perso e il guardiano della villa di un Ambasciatore che tollerava la capanna sul suo terreno e, per innaffiare le piante, gli dava qualche spicciolo.
Quando l'Ambasciatore andando all'estero affittò la villetta, gli affittuari stranieri ereditarono Mosè, la moglie, i tre figli che erano nati nel frattempo, due cani magri come chiodi e un paio di galline spennacchiate.
I figli dritti come fusi promettevano di crescere alti e belli. Erano ancora piccoli per andare a scuola e lui disse subito che non li avrebbe mandati da quel vecchio ubriacone.
Non accennò all'inconveniente della spiaggia forse per un senso di pudore.

Dopo un paio d'anni gli stranieri decisero di comprare un terreno poco lontano e costruirsi una casa di loro gusto.
Per prima cosa fecero scavare il pozzo con la pompa e tutto, sistemati in una casetta di mattoni rossi, per poter innaffiare i vari alberi e le palme da cocco che già c'erano, le piante e i fiori che avevano in mente di piantare. Dopo venne la casa per Mosè e famiglia: due stanze con bagno con una bella veranda davanti, e dietro la cucina, la lavanderia e il cortile per le anatre e le galline.
Poi fecero costruire la loro casa grande e comoda con un terrazzo che dominava il mare e piantare altre palme, oleandri rosati, le rosse ixoras e un'infinità di piante adatte al clima tropicale.
A Mosè fu assegnato un salario che, se pure non eccezionale, gli avrebbe permesso di mantenersi decentemente con tutta la sua famiglia. Con il primo stipendio, comprò una mini ti vu, un orologio digitale con calcolatrice, camicie che teneva aperte sul largo torace bombé, scarpe Nike, pantaloni che indossava appoggiati sulle anche, un cinturone e un macete col fodero di cuoio a frange.
Se lo straniero gli chiedeva di accompagnarlo per cercare del pesce fresco da qualche pescatore li vicino, si vestiva di tutto punto e sombrero e macete non potevano mancare. Era una questione di "status symbol" e arrivando con la sua andatura traballante, saliva fiero sull'automobile.
Le scarpe e i pantaloncini ai bambini vennero poi. E anche la moglie sfoggiava ormai vestiti con falpalà, arricciature, fiocchi, ma raramente metteva le scarpe, così scomode!
Quando la straniera le regalò un paio di divise verde-acqua e i grembiulini bianchi, il marito se la mangiava cogli occhi ammirato e superbo di quella famiglia bella, ricca e felice.
Vollero pure una decina di galline con gallo rompi-balle che cantava a tutte le ore per far sapere ai meno fortunati vicini che " i Mosè" vivevano oramai in grande agiatezza!
A questo punto si potrebbe scrivere il finale: "E vissero felici e contenti."
Ma la storia non finisce qui.

I padroni andavano al mare solo per i week-end e lui li accoglieva sul portone con le ultime novità: la moria delle galline lungo tutta la costa per qualche peste misteriosa, i cani si erano azzuffati malamente fra loro, la pioggia entrata nella stanza a destra e i pipistrelli nell'intercapedine del tetto; l'erba ha bisogno di questo e quello; alla moglie sta spuntando il dente del giudizio che non la fa dormire, il bambino più piccolo ha la "calentura".
Insomma ogni scusa era buona per attaccare un bottone micidiale.
 
Quel giorno invece senza parlare allungò un pezzo di giornale con il risultato della Lotteria nazionale e i biglietti di sua proprietà.
Aveva vinto il primo premio. Una cifra da capogiro per uno qualsiasi, figurarsi per lui!
Temeva di aver letto male e voleva la conferma dallo straniero e se poteva accompagnarlo a ritirare quel malloppo pazzesco.
Non volle un assegno e nell'euforia gridava "casi, casi" e si capì che intendeva dire "cash, cash".!
Afferrando le prime mazzette ebbe quasi uno svenimento e si rifiutò di mettere tutti quei soldi in banca, per quanti sforzi facessero tutti quanti per convincerlo a tenersene un po' e usare poi gli assegni.
Lo straniero lo ricondusse alla Zunganera con una valigia di soldi e già dal primo giorno si comprò i due "ristoranti" e la cooperativa del pesce (una tettoia e un frigorifero gestiti prima da una cicciona avida che faceva pagare il pesce il doppio di quanto costava al mercato della capitale.)
Ma, in città, aveva già comprato tre televisori, una motoretta da spiaggia per andare da casa alla Zunganera (circa mille metri), tre biciclette, quattro reti da pesca, due barche e un cavallo.
Per paura che nella notte gli invidiosi gli rubassero tutto, pigiò cavallo e ogni altra cosa nelle due stanze.
Loro dormirono fuori dentro le barche tenendosi abbracciati i televisori, le caviglie legate alle biciclette e avvolti nelle reti da pesca.
 
Il giorno dopo erano massacrati dalle zanzare e distrutti dalla stanchezza e dalla paura e quando arrivarono i tre operatori dei canali nazionali e i giornalisti dei due quotidiani più importanti per intervistarli, Mosè chiese al padrone se potevano farsi riprendere nella casa grande per dimostrare che stavano bene anche prima e non avevano certo bisogno di quei soldi.
Il padrone acconsentì e la moglie e i bambini, vestiti con gli abiti nuovi sgargianti si sistemarono intorno alla piscina e lui sulla motoretta da spiaggia in giacca e cravatta ostentando una indifferenza sovrana e guardandosi intorno con le sopracciglia alzate.
Non concesse sorrisi per paura che gli cadesse la dentiera nuova che non gli calzava alla perfezione perché l'aveva comprata, in fretta, da un tipo incontrato per strada.
Quando gli chiesero cosa avrebbe fatto in seguito, rispose a bocca storta con sufficienza: "Che ho da fa, il ricco, caramba!"
Tutto il pueblo al gran completo premeva ai cancelli per vedere cosa faceva uno di loro diventato ricco all'improvviso e senza sforzo.
Lui li guardò e anche gli amici, tanto simili a lui, lo fissavano e traspariva dai loro occhi una tale invidia che lo fece impallidire.
Dopo quel giorno cominciarono gli acquisti di mandrie di vacche e tori .
Di notte invece di tenerle sulla spiaggia come usavano gli altri, li parcheggiò, sempre per paura che gli invidiosi gliele rubassero, intorno alla piscina e in giardino sotto i cocchi.
L'indomani si erano già mangiato tutto il prato all'inglese, faticosamente curato da lui, e i croton e le aiuole di fiori non esistevano più. Si erano pure bevuti l'acqua della piscina e una "sana" puzza di stalla aleggiava per tutta la casa padronale.
Quando Mosè chiese al padrone di vendergli il lotto, con case e tutto, perché la sua casetta era ormai insufficiente a contenere tutto ciò che ancora voleva comprare, quello fu ben contento di dargliela così com'era con un giardino ormai ridotto a un campo da rodeo e intasato di biciclette, barche, motorette, cavalli, mucche, oche, galline, 10 maiali, 20 tacchini e una Mercedes Benz rosso fiamma che nessuno sapeva guidare.
Lo straniero si fece costruire una nuova casa poco lontano con un gran terrazzo che dominava il mare, i viali di palme da cocco, gli oleandri, i croton e le rosse ixoras.
Ogni tanto sentiva un gran strombettio ed era Mosè sulla motoretta da spiaggia già ridotta un catorcio dopo solo due anni. Gli diceva che i "bavosi" (non li chiamava più invidiosi) gli avevano rubato sette vacche, due televisori, e 11 galline. Per consolarsi si era dato all'alcool e ormai piangeva sempre ubriaco e infelice.
La moglie ogni giorno dava ricevimenti alle amiche straccione a base di tonnellate di fagioli, pupuse di formaggio e tortillas.
Aveva visto alla TV il film "Via col vento" e si era montata la testa. Aveva ordinato negli Stati Uniti bauli di vestiti a crinolina e sempre scalza indossava solo quel tipo di abito che dopo un'ora era impataccato e spiegazzato, ma destando nelle amiche "Ohhh" di meraviglia.
I due figli maschi, in divisa da giocatori di football americano che non si addiceva molto alla loro taglia, si mantenevano tranquilli ma non volevano studiare perché dicevano che i ricchi non possono confondersi con i poveri.
La bambina era diventata una zellosa piena d'arie e vestita anche lei da damina dell'800 trattava tutti con degnazione e stava in eterna posa plastica con una manina sul fianco e il naso per aria.
Mosè si lamentava anche della moglie che, sarcastica, lo chiamava Ret (famoso personaggio di Via col Vento) sfottendolo e mortificandolo per quei difetti che invece un tempo considerava pregi.
Sempre più andava a tener compagnia al guardiano del lotto del suo antico padrone, invidiandogli la moglie efficiente e il figlio studioso. Lo aiutava a rasare il prato e gli regalava i vestiti smessi da lui e dalla moglie finché, un giorno, questo gli disse che lui e la moglie erano felici così; lo ringraziavano ma non avevano bisogno di niente.
Infine, su consiglio del vecchio padrone, mise i figli in un collegio negli Stati Uniti pagando anticipato fino alla laurea per timore di dissipare tutto in altre tentazioni.
Quando meno se lo aspettava la moglie scappò con l'autista del bus che strombettava tutte le mattine alle 6 dopo essersi venduta tutto di nascosto: casa, lotto, animali, televisori, barche e vestiti con crinolina.
Mosè non si scompose più di tanto di questo rovescio di fortuna e fu di nuovo povero ma felice.
 
Riprese a ridere con la sua bocca storta ma senza la dentiera che tanto lo aveva fatto soffrire, lo sguardo malizioso e a montare sui cocchi con la perizia che lo distingueva nei festival ed era stato frutto di tanta gloria.
Ritrovò l'ammirazione degli amici e dei sostenitori.
Dato il passato di gloria e quel fascino che emanavano i suoi difetti fece colpo su una giovane india scura dagli occhi sfolgoranti e le anche possenti che gli generò due bravi figli neri come lei ma con le gambe dritte come fusi, abili pescatori e arrampicatori di cocchi.

Anche adesso di notte sulla spiaggia uno suona la chitarra l'altro canta e il padre, la madre e gli amici della Zunganera, danno il ritmo battendo le mani allegri e felici.

Miranda Baudino Tamagnini

© Miranda Baudino Tamagnini - © 1998 ARPANet. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
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