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ODATA 04/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. VIVE SOLO NELLE COMORE
La Latimeria, un fossile sopravvissuto
Una specie, vecchia di trecento milioni di anni, scoperta nel 1938
OAUTORE FABRIS FRANCA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
NELLE acque di 300 milioni di anni fa vivevano i crossopterigi, pesci
i cui resti fossilizzati sono stati rinvenuti negli affioramenti del
Triassico in Groelandia, in Sud Africa, in Australia, in Inghilterra,
in Sud America e nelle Alpi. Avevano arti simili a moncherini, la
pinna caudale allargata a ventaglio e polmoni primitivi, come quelli
dei Dipnoi, nei quali l'aria atmosferica penetrava dalle aperture
nasali interne senza aprire la bocca. A questi pesci primitivi
appartiene la Latimeria chalumnae, il cui nome e' legato a una lunga
storia. Gli scienziati ritenevano che i crossopterigi si fossero
estinti 60-70 milioni di anni fa. Ma il 22 dicembre 1938, alle foci
di un fiume dell'Africa meridionale, fu pescato un discendente di
questo gruppo: aveva le scaglie blu acciaio, era lungo circa un metro
e mezzo e pesava 58 kg. Fu pescato a 70-80 metri di profondita' con
una rete a strascico. Quando il pesce arrivo' davanti agli occhi
dello zoologo Smith non ne restavano che la testa e la coda,
sufficienti pero' per identificarlo e classificarlo. Il nome dato al
primo esemplare fu Latimeria chalumnae in segno di riconoscenza verso
la curatrice del piccolo museo di East London, miss Courtenay
Latimer, il cui lavoro aveva fatto si' che il mondo scientifico si
interessasse a questo fossile vivente. La Latimeria, nelle forme piu'
antiche, doveva abitare le acque dolci di scarsa profondita'; poi
questi pesci si sarebbero ritirati nelle profondita' marine subendo
dei mutamenti soprattutto nelle aperture nasali interne, scomparse.
Le Latimerie vivono ora come predatori presso le isole Comore fra i
150 e i 500 metri. Raggiungono i 110-180 centimetri. Franca Fabris
ODATA 04/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. LE FELCI
Senza fiori nessun frutto niente semi
OAUTORE ACCATI ELENA
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS botany
LE felci sono pteridotite, cioe' piante prive di fiori, di frutti e
di semi, comparse sulla Terra 350 milioni di anni fa, come quelle
arboree che hanno lasciato giacimenti di carbon fossile nell'America
Centrale e nell'Asia. I tipi di felce attuali sono oltre 9000:
erbacee ed arboree, alcune piccole (qualche centimetro), altre grandi
ed erette, simili a palme, alte fino a 20 metri. Diffuse in tutto il
mondo, la maggior parte si trova nelle regioni tropicali, ma anche
nelle zone a clima temperato e nei deserti dove posseggono peli e
squame. Ricchissima di felci arboree e' la Nuova Zelanda, dove sono
reperibili numerose specie di Cyathea, come la C. dealbata dal
fogliame grigio argenteo, forse la piu' elegante, e la Di cksonia.
Oltre che nelle foreste tropicali, in Nuova Zelanda le felci sono
visibili in appositi giardini botanici, dove sono ricostruiti con
grande accuratezza gli ambienti naturali in cui le felci vivono. Ogni
specie e' accompagnata da pannelli esplicativi relativamente alla
origine, al metodo di riproduzione e al sistema di coltivazione. Sono
meravigliosi musei viventi preservati e rispettati con la stessa
attenzione che si darebbe a un'opera d'arte. Per molto tempo le felci
sono state avvolte nel mistero perche' non si comprendeva come
potessero moltiplicarsi. Plinio per primo aveva notato l'assenza di
semi. I naturalisti pero' non si rassegnavano a questa idea: c'era
chi sosteneva, come Turner, famoso botanico inglese, che erano
presenti soltanto nella notte del 23 giugno rendendo invisibile chi
li vedeva! Nel 1850, un semplice libraio tedesco, miope per di piu',
era riuscito a svelare il mistero, conquistando la nomina a docente
presso l'Universita' di Heidelberg: aveva infatti visto sulla pagina
inferiore le piccole spore, contenute entro sporangi in numero anche
di cento! Attualmente i ricercatori stanno molto lavorando sulle
felci concentrandosi soprattutto sulla moltiplicazione in vitro
utilizzando le spore. Risultati molto interessanti sono stati
ottenuti da alcune Universita', ad esempio dall'Orto botanico del
Natal, che ha messo a punto un metodo di sterilizzazione idoneo delle
spore prelevate dalle fronde (per queste piante non si parla di
foglie, ma di fronde) di felci protette e rare. Mediante un substrato
apposito composto da sali minerali, vitamine, zuccheri e
fitoregolatori si puo' accelerare notevolmente sia lo sviluppo, che
nelle felci e' differente da qualsiasi altra specie vegetale, sia il
numero delle piantine ottenute. Ogni spora cadendo su di un terreno
adatto germina dando origine a una minuscola lamina verde e delicata
per lo piu' cuoriforme chiamata protallo. E' di solito sulla faccia
inferiore del protallo che si formano gli anteridi e gli archegoni. I
primi dei quali producono gli anterozoi pluricigliati che
feconderanno l'ovocellula contenuta nell'archegonio: da cio' avra'
inizio la nuova piantina con radici, fusto e fronde. Pur non essendo
piante sontuose ne' variopinte, esistono felci preziose per il
giardino, soprattutto per le zone in ombra, altre per l'appartamento,
come l'Adiantum capillus veneris, il capelvenere con steli neri esili
che ricordano i capelli e pinnule triangolari, alto 30 centimetri (il
nome del genere significa che non si bagna, infatti le goccioline di
acqua poste sulle foglie rotolano via). Lo si incontra frequentemente
spontaneo nelle grotte, nei luoghi umidi. Pavese ne parla sia ne La
luna e i falo', sia ne Il diavolo sulle colline. Alcune felci
possono essere coltivate nell'acqua, come la marsilia, conosciuta
come quadrifoglio d'acqua per la presenza di quattro foglioline
uguali, obovato cuneate, glabre intere che ricordano il famoso
portafortuna, la salvinia, erba pesce, l'azolla, la piu' piccola
delle tre. Nel caso dell'Azolla caroli niana ogni fogliolina e' cava
e porta nella minuscola cavita' alcune colonie di un'alga azzurra
microscopica. Anche se molto rara, l'Osmunda regalis e' una
bellissima felce della nostra flora: forma grossi cespugli eretti ed
e' una specie tipica delle torbiere. Elena Accati Universita' di
Torino
ODATA 04/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA
LE PAROLE DELL'INFORMATICA
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science
Bit. E' il «quanto» elementare di informazione, cioe' la quantita' di
informazione contenuta in una risposta del tipo «si'» o «no».
Generalmente nell'informatica i due valori sono indicati con i
simboli «1» e «0» ai quali talora sono anche associati i valori
«vero» e «falso» di una proposizione. Deriva dalla contrazione di
«binary digit» o «cifra binaria». Il termine comparve per la prima
volta in una relazione del 1949, proposto da uno dei padri della
scienza dei calcolatori, John Tukey, il quale ricorda che nacque nel
corso di una discussione come alternativa a «bigit» e «binit», in
virtu' del fatto che in inglese significa anche «piccola parte».
L'importanza del concetto di bit nell'informatica deriva dal fatto
che, per ragioni di sicurezza di funzionamento, la tecnologia dei
calcolatori elettronici e' binaria, ossia e' basata su segnali di
tensione o corrente che possono assumere soltanto uno dei due valori
distinti, «alto» o «basso». Poiche' il «quantum» elementare
dell'informazione di un testo e' il carattere, assume particolare
interesse il concetto di byte, che e' l'insieme ordinato di 8 bit,
spesso adottato per rappresentare un carattere. Unita' di
informazione, costituita generalmente da 8 bit, ovvero da 8 cifre
binarie 0 e 1. Un carattere di un testo e' generalmente rappresentato
da un byte, secondo un codice prefissato come, ad esempio, il codice
ASCII. Il byte, come unita' di misura dell'informazione costituita da
8 bit, viene generalmente indicato con la lettera B maiuscola, mentre
il bit viene indicato con la b minuscola. Sfortunatamente questa
convenzione e' talora disattesa e si crea un po' di confusione.
Nell'informatica, un KB non corrisponde esattamente a 1000 byte, ma a
210, cioe' a 1024 byte. In tal modo 1 KB indica 1024 byte e 640 KB
indicano 640X1024 byte. Analoghe considerazioni si applicano ai
multipli del byte, come il megabyte e il gigabyte.
ODATA 04/06/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PROTESI CORONARICHE
Un filo di tantalio nelle vene
Nuove tecniche e nuovi materiali per l'angiografia
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI tecnologia, medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology, medicine and physiology
IL tedesco Forssmann fu il primo medico a effettuare il cateterismo
cardiaco, documentandolo radiologicamente: inseri' un tubicino
sottile in una vena del proprio braccio spingendolo per 65
centimetri. Siamo nel 1929. Con l'esperimento Forssmann voleva
dimostrare che questa indagine strumentale poteva essere utile per
portare al cuore farmaci indispensabili e visualizzare l'interno
delle arterie e delle vene (angiografia). Fu insignito del Premio
Nobel nel 1956. Oggi si parla di «angiografia per sottrazione
digitale», per evidenziare i vasi senza l'interferenza dei dettagli
delle strutture ossee e dei tessuti molli. In pratica, le immagini
vengono registrate prima e dopo che il mezzo di contrasto sia giunto
nella sede interessata. La prima immagine (senza mezzo di contrasto)
viene «sottratta», cioe' invertita (il nero diventa bianco e
viceversa) e sovrapposta alla seconda (in cui e' presente il mezzo di
contrasto). Tutto il processo e' assistito da un computer e il
termine digitale indica la trasformazione dei valori del fascio di
raggi X in valori numerici (che possono essere immagazzinati e
manipolati per ottenere una precisa diagnosi). Con l'angiografia a
sottrazione di immagine e' possibile dimostrare zone di stenosi delle
arterie, rilevare placche ateromatose, verificare la riuscita di un
intervento di chirurgia vascolare. L'unica grave complicanza e' una
possibile reazione anafilattica al mezzo di contrasto con sali di
iodio. I nuovi mezzi di contrasto, definiti «non ionici», a bassa
osmolita', bassa viscosita' (in altre parole: minor tossicita') e che
in soluzione non si dissociano (iomeprol), presentati a Vienna
all'ECR 97 (European Association of Radiology), consentono,
unitamente all'utilizzo degli ultrasuoni (ecografia intravascolare),
di vedere meglio, analizzare e ridurre il volume dell'ateroma che
ostruisce il flusso del sangue (angioplastica). Il cardiologo infatti
puo' introdurre nella coronaria ostruita un catetere, munito di un
palloncino gonfiabile, che comprime e appiattisce il materiale della
placca ateromatosa (costituita da colesterolo, acidi grassi
esterificati, saponi di calcio, cellule muscolari lisce, piastrine e
frammenti di fibre collagene). Oggi i cateteri sono realizzati con
palloncini di polietilene che resistono a pressioni di gonfiaggio
superiori alle 4 atmosfere (in alcuni casi sono necessarie 15-20
atmosfere). Il rischio e' legato essenzialmente alla formazione di
una successiva occlusione (trombosi, ristenosi), per cui il paziente
viene trattato con anticoagulanti (eparina) e antiaggreganti
piastrinici. Un ulteriore passo avanti si e' fatto con la
realizzazione degli «stent coronarici», che sono dei supporti
metallici che tengono l'arteria dilatata e vengono lasciati in sede
dopo lo sgonfiamento del palloncino. Gli stent coronarici consentono
di ridurre il rischio di chiusura immediata dei vasi di tre, quattro
volte rispetto alle tecniche precedenti e di evitare in molti casi
l'intervento chirurgico di by-pass. Si tratta di protesi a spirale,
semielicoidale, di un filo di tantalio, un elemento chimico di colore
grigio, duro e molto duttile, resistente agli agenti chimici. Renzo
Pellati
ODATA 04/06/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCEINZE DELLA VITA. DINOSAURI
Mammiferi o rettili?
OAUTORE FURESI MARIO
OARGOMENTI paleontologia
ONOMI WOODWARD SCOTT
OORGANIZZAZIONI BRIGHAM YOUNG UNIVERSITY
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, UTAH
OSUBJECTS paleontology
DOPO la sequenza del genoma appartenente ai microrganismi Hemophilus
influenzae, Mycoplasma genitalium e Saccharomyces cervisiae e' stata
ora completata l'analisi del genoma di un archeobatterio, il
Methanococcus jannaschii, che ha riservato non poche sorprese. Il
dato forse piu' importante e piu' rivoluzionario dell'analisi ha
posto un interrogativo sulla tradizionale ripartizione degli
organismi viventi in procarioti, la cui cellula e' sprovvista di
nucleo, ed eucarioti, cui appartengono gli organismi pluricellulari,
aventi le cellule nucleate. E' risultato infatti che ben meta' dei
1738 geni costituenti il Dna del metanococco non trovano alcun
riscontro nel patrimonio genetico di altri esseri viventi e che
alcuni degli altri geni presentano somiglianza con quelli degli
eucarioti e, in particolare, dell'uomo. Un'altra sorprendente
peculiarita' del metanococco riguarda il processo di duplicazione del
suo Dna, risultato del tutto diverso da quello usuale nei batteri. Le
accennate peculiarita' genetiche del metanococco hanno dato ai
paleontologi motivo per due ipotesi: una propende per l'esistenza di
un comune progenitore dei procarioti e degli eucarioti mentre l'altra
prospetta un genere di archeobatteri estranei alla Terra portati da
meteoriti marziane; ipotesi rafforzata dallo straordinario, recente
ritrovamento che tanta eco ha destato nel mondo. Un'altra
sensazionale notizia in campo genetico ha recentemente mobilitato i
paleontologi: si tratta di molecole di Dna per la prima volta trovate
in stato di perfetta conservazione, nonostante risalgano all'era
secondaria. Va per inciso osservato che il Dna si degrada appena dopo
qualche ora dalla morte dell'organismo cui appartiene e che solo in
casi eccezionali, riguardanti organismi mummificati oppure conservati
in suolo di particolare genere, quale quello delle torbiere, e'
possibile una piu' lunga conservazione che, in ogni caso, non va
oltre alcune migliaia di anni. Fanno eccezione i resti vegetali o gli
insetti rimasti imprigionati nelle resine e, in particolare,
nell'ambra. Ne deriva che tutti i reperti recuperati dai paleontologi
sono costituiti da ossa, fatta eccezione per il Dna in questione
trovato dai paleontologi della Brighman Young University dell'Utah,
diretti da Scott Woodward. Il reperto e' stato estratto dalle ossa di
un dinosauro vissuto 82 milioni di anni fa e rimasto sepolto in una
formazione di carbone bituminoso, nell'Utah. L'eccezionale
ritrovamento aiutera' i paleontologi a trovare una prima risposta a
un loro basilare interrogativo: i dinosauri erano rettili oppure
uccelli o mammiferi? Per rispondervi e' stato analizzato il Dna
estratto dai mitocondri della cellula ed e' stata ottenuta una
risposta inattesa: si tratta di un Dna tanto diverso da quello dei
rettili quanto da quello degli uccelli e dei mammiferi. Secondo il
capo equipe Scott Woodward cio' puo' spiegarsi con l'esistenza nel
Cretaceo di numerose specie di dinosauri, nettamente diverse tra
loro; teoria plausibile per la grande capacita' evolutiva dei
dinosauri. Si sarebbe percio' scoperta una nuova specie di dinosauri.
Mario Furesi
ODATA 04/06/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ARTROPODI OCEANICI
I ragni degli abissi
Gia' classificate piu' di novecento specie
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
ESISTONO creature non solo ignote alla maggior parte della gente
comune, ma poco conosciute anche dagli stessi scienziati. Questo
succede soprattutto per le specie che vivono nel mare. Solo di
recente, per esempio, si e' scoperto che su certi fondi abissali
ritenuti una volta disabitati esistono oasi termiche di origine
vulcanica che favoriscono la fioritura della vita in varie
stranissime forme. Ma si tratta sempre di sprazzi fugaci di luce che
riusciamo a gettare qua e la' nello sconfinato dominio acquatico, la
maggior parte del quale e' ancora avvolto nel mistero. Fra gli esseri
meno noti meritano di essere segnalati i cosiddetti «ragni di mare».
Sappiamo che ci sono ragni acquatici, come il ragno palombaro
(Argyroneta aquatica), il curioso ragno che trattiene tra le setole
addominali una grossa bolla d'aria, si costruisce una campana di seta
sott'acqua e se la riempie con l'aria della bolla. Ma questa specie
vive nelle acque dolci. Nel caso dei ragni di mare, bisogna precisare
che non si tratta di veri e propri ragni, anche se questi singolari
animali appartengono pure loro agli artropodi (parola che vuol dire
«piedi articolati» e sta a indicare il popolosissimo phylum di
invertebrati che comprende gli insetti, i crostacei, i ragni e i
miriapodi). I ragni di mare appartengono a una classe ben definita,
quella dei Pycnogonida (ah, questi benedetti nomi latini!). Per
quanto siano uscite almeno un migliaio di pubblicazioni scientifiche
su questi animali marini, le conoscenze che abbiamo sul loro conto
sono ancora scarse e frammentarie. Eppure ne sono state classificate
finora non tre o quattro specie, ma, pensate un po', addirittura
novecento o giu' di li'. Cosa sono mai questi strani animaletti
marini, che molti lettori sentiranno certo nominare per la prima
volta? Intanto va detto che li si trova in tutti gli oceani e a tutte
le profondita', dalla linea di marea alle grandi fosse oceaniche.
Strisciano sul fondo marino con una lentezza impressionante, benche'
di zampe ne abbiano parecchie. Generalmente ne hanno otto, come i
ragni veri, quelli terrestri, per intenderci. Alcune specie pero' ne
posseggono dieci e ci sono due specie antartiche che ne hanno
addirittura dodici. Strisciano in cerca di cibo. Le prede che
preferiscono sono i polipi dei coralli, gli anemoni, gli idroidi, le
spugne, tutti animali dal corpo molle, di cui i ragni di mare
succhiano i liquidi corporei con una tecnica simile a quella che
usano i ragni terrestri. Iniettano cioe' nelle vittime i loro succhi
gastrici che le digeriscono esternamente e quando le prede sono
completamente fluidificate e ridotte in un nutriente brodino, se le
succhiano golosamente. Occorre pero' che le prede siano saldamente
ancorate a un substrato, perche' altrimenti, piccoli come sono
generalmente, i minuscoli ragni di mare potrebbero venir facilmente
trascinati via. Terreni ideali di caccia sono per loro vecchi
rottami, grosse pietre, banchine, rocce e scogliere subacquee.
Proprio a causa della scarsezza di questo genere di substrati, non
sono molti i ragni di mare che vivono lungo la costa atlantica. Una
delle ragioni per cui queste creature si conoscono poco e' la
piccolezza della maggior parte delle specie. Quelle che abitano nei
mari temperati hanno, a zampe distese, dimensioni comprese tra i
cinque millimetri e i sette centimetri. Ce ne sono pero' molte
piccolissime che misurano appena due millimetri e specie antartiche
di dimensioni comprese tra i quattro e i dieci centimetri. I giganti
dei mari antartici, come quelli della specie Colossendes scotti,
raggiungono i quindici centimetri. Esiste una regola generale - sia
pure con parecchie eccezioni - per cui le specie grandi vivono nei
bacini oceanici profondi, mentre le specie piccole vivono nelle acque
superficiali, lungo la piattaforma continentale. A Washington, nel
Museo Nazionale di Storia Naturale della Smithsonian Institution, si
trova conservato l'esemplare dei ragni di mare che batte ogni record
di grandezza. Si tratta di un individuo dalle zampe lunghe ben
settantacinque centimetri, nel quale corpo e proboscide misurano
soltanto sette centimetri e mezzo. La cosa curiosa e' che data la
piccolezza del corpo, gli organi sono in gran parte migrati nelle
zampe, le quali portano una sorta di sacche, lunghi diverticoli del
tubo digerente e delle ghiandole sessuali. La riproduzione avviene in
maniera piu' unica che rara nei ragni di mare. La femmina passa le
sue uova - che sono state fecondate esternamente - al maschio, il
quale le cementa insieme a formare una sorta di collana che ha cura
di attorcigliarsi intorno ad alcune zampe piu' corte delle altre,
modificate appositamente per portare le uova (sono le cosiddette
«zampe ovigere»). I maschi della maggior parte delle specie portano
con se' le uova fino a quando queste non si schiudono. Alcuni si
trascinano dietro una grossa palla che contiene dai settantacinque ai
cento giovani. Altri invece preferiscono depositare le uova su
animali ospiti, che possono essere molluschi bivalvi, stelle di mare
oppure altre creature sedentarie o quasi. Qui le uova si schiudono e
le larve che ne emergono conducono vita da parassiti oppure vivono in
simbiosi con l'ospite. Ci sono ancora molti punti da chiarire nel
ciclo vitale dei picnogonidi, bizzarre creature passate per tanto
tempo inosservate. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 04/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. UNA «LETTERATURA GRIGIA»
La nostra lotta quotidiana con le macchine-rebus
Tra la tecnologia e l'utente, la mediazione discreta delle
«istruzioni per l'uso»
OAUTORE MARCHIS VITTORIO
OARGOMENTI tecnologia, didattica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS technology, didactics
FRIENDLY e' ormai l'aggettivo tipico della tecnologia che rifiuta il
verbo «leggere» e vorrebbe che le macchine fossero nostre amiche. Ma
forse le cose non stanno proprio cosi'. I manuali d'uso diventano
ogni giorno piu' complessi e incomprensibili. Per ritrovare il
bandolo della matassa, bisognerebbe forse andare indietro nel tempo,
fino a quando i libretti di «istruzioni per l'uso» non esistevano
ancora. Oggi non dovrebbero esistere piu'. O no? Cerco nelle varie
enciclopedie delle scoperte e delle invenzioni il termine «manuale di
istruzioni», o piu' semplicemente «istruzioni per l'uso», ma non
trovo nulla. Nessuno le ha mai inventate, o almeno nessuno ne ha mai
reclamato la paternita'. Se la fantasia corre al libro di Georges
Perec «La vita, istruzioni per l'uso», non e' esattamente quello che
cercavo. Navigo nel Cd-Rom della «Letteratura Italiana Zanichelli» e
lo interrogo sulle parole («istruzioni» AND «uso»), ma non trovo
nulla nelle 362 opere incluse, da Francesco d'Assisi a Italo Svevo.
Ripeto l'esperimento sul Cd della «Stampa» dell'annata del 1993 e le
sorprese continuano: in tutto sono soltanto 33 ricorrenze ma di
libretti di istruzione ben poco si parla. A parte l'espressione
stereotipa e la presenza della frase in titoli di trasmissioni
radiofoniche e televisive, gli argomenti di riferimento spaziano
dalle tasse e relativi modelli 740, alla politica, allo sport, alla
scuola, ai preservativi, alla Tv, all'umorismo, alla cucina, ai
viaggi. In due soli casi il riferimento, seppur blando, parla
dell'oggetto in questione. Il libretto per il montaggio di un mobile
venduto da un grande magazzino e quello per un distributore di libri
automatico presentato al Salone del Libro (peraltro mai incontrato
per le strade della mia citta'). E allora? Nella societa' artigianale
non c'e' bisogno di istruzioni per l'uso perche' tutto il processo
tecnologico si esaurisce nello stesso soggetto: dalla materia prima,
alla fabbricazione della macchina, al suo uso. Con la rivoluzione
industriale nasce la figura del tecnico, che non e' colui che
fabbrica la «cosa», ma chi la progetta. L'utente e' altri ancora. Il
libretto di istruzioni deve essere nato nel secolo XIX, a margine
delle grandi esposizioni industriali, per rendere accessibile anche
«ai non addetti» i nuovi feticci. E' difficile, per non dire
impossibile, ritrovare documenti di questa letteratura che, per le
sue caratteristiche di non ufficialita', la biblioteconomia definisce
«grigia». Nessun autore, nessun editore, ne' tantomeno una citta' e
un anno di stampa. Meno si forniscono indizi sull'eta' di un
prodotto, maggiore e' la speranza di non vederlo presto invecchiare.
Cercare i libretti di istruzione nei cataloghi delle biblioteche e'
un'impresa del tutto inutile. Neppure la manualistica tecnica (che ha
molti elementi in comune con la letteratura dei ricettari: di
chimica, di culinaria, di farmacia e di economia domestica) puo'
dichiarare la propria piena paternita' su questi libretti. I Manuels
Roret apparsi nel primo Ottocento in Francia, sino ai famosissimi
Manuali Hoepli della fine del secolo, hanno poco in comune con le
istruzioni per l'uso. Origini piu' certe si possono invece ritrovare
nelle «Istruzioni» per le «machine» e gli «ordegni» militari. Gia'
nel 1732 il commendator Giovanni Battista D'Embaser venne incaricato
dal sovrano sabaudo Carlo Emanuele III di redigere un «Dizzionario
istruttivo di tutte le robbe di artiglieria» che, se non si puo'
definire un manuale d'uso, certamente riporta la descrizione e il
funzionamento, nonche' i disegni complessivi e particolari di molte
armi e macchine ad esse pertinenti. Sono gli oggetti tecnici bellici
a sollecitare di piu' una normativa, non solo nelle dimensioni e
nelle nomenclature, ma anche nei funzionamenti. La tecnologia
militare da sempre anticipa quella civile. Leggo su una targhetta
metallica all'interno del coperchio di un telefono da campo «Modello
1916» prodotto dalle Industrie Telefoniche Italiane di Milano: «Norme
per l'uso: A) Per chiamare: girare la manovella del generatore, ed
aspettare la risposta della suoneria; B) Durante la conversazione,
parlando, premere il tasto a bilanciere posto nella parte superiore
della scatola del monofono, ascoltando, lasciarlo libero per non
esaurire inutilmente le pile; C) Le pile, prima di adoperarle,
bisogna eccitarle, introducendo nel foro acqua pura fino a
saturazione; D) Quando le pile si dimostrano esaurite e' inutile
aggiungere nuova acqua, si devono senz'altro cambiare; E) Non devesi
toccare mai ne' il microfono ne' il ricevitore, ma affidare
esclusivamente a persone pratiche l'incarico di verificare gli
eventuali inconvenienti; F) Tenere sempre l'apparecchio il piu' che
sia possibile al riparo dall'umidita' onde evitare alterazioni di
buon funzionamento». La struttura di questo testo in sostanza non
differisce da quanto ancora oggi si puo' leggere nei foglietti di
corredo dei piu' comuni elettrodomestici. Oggetti «offerti con il
corredo di ricche istruzioni per l'uso» fanno la loro comparsa nei
primi cataloghi di vendite per corrispondenza all'inizio del secolo.
La distanza dell'utente dal venditore, e quindi anche dai suoi
consigli e dalle sue istruzioni, rende indispensabili questi
fantomatici foglietti, la cui complessita' purtroppo aumenta con lo
sviluppo delle tecnologie che devono descrivere. I manuali d'uso dei
software sono l'esempio piu' chiaro della degenerazione funzionale di
cio' che invece avrebbe lo scopo di rendere piu' facile cio' che e'
difficile. Un caso classico rimangono i libretti di istruzione dei
videoregistratori. Oggi l'elettronica, e soprattutto la sua meta'
informatica, cerca di rendere soft anche le istruzioni per l'uso, ma
balbetta ancora. «Help-on- line» piu' che un libretto virtuale di
istruzioni potrebbe invece essere il grido di un utente disperso nei
labirinti delle macchine. Vittorio Marchis Politecnico di Torino
ODATA 04/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. CRITTOGRAFIA QUANTISTICA
Planck e Bohr contro le spie
OAUTORE LONGO GIUSEPPE
OARGOMENTI comunicazioni, tecnologia, ottica e fotografia, spionaggio
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS communication, technology, optics and photography, spying
L'esplosione dei dati elaborati e trasmessi sulle reti rende sempre
piu' importante il problema della loro salvaguardia. Fra le tecniche
di protezione, quelle crittografiche sono le piu' antiche ed
efficaci, e, anche, quelle che negli ultimi decenni hanno compiuto i
progressi piu' rilevanti. L'idea e' quella di trasformare il
messaggio originale, in chiaro, in un testo cifrato, o crittogramma,
mediante una «chiave» conosciuta al mittente, chiamiamolo A, e al
destinatario, chiamiamolo B. La spia, C, che puo' intercettare il
crittogramma, non possiede la chiave e cio' dovrebbe impedirle di
decifrare il messaggio. Dico dovrebbe perche' in realta' la spia puo'
usare a proprio vantaggio alcune informazioni contenute nel testo
cifrato, per esempio le frequenze dei diversi simboli. Confrontando
queste frequenze con quelle delle lettere della lingua in cui e'
scritto il testo in chiaro, spesso la spia riesce a forzare il
crittogramma. Naturalmente il confronto delle frequenze, come ogni
altro tipo di elaborazione sul messaggio cifrato, richiede un certo
tempo e i due corrispondenti A e B sperano che questo tempo sia molto
lungo. Quindi la sicurezza dei metodi tradizionali si basa sul
presupposto che C non abbia strumenti di elaborazione molto potenti.
Naturalmente oggi sia il mittente e il destinatario sia gli
intercettatori ricorrono a metodi matematici e informatici molto
avanzati, i primi per costruire le chiavi e i secondi per
impadronirsene. Come si vede, lo scambio delle chiavi tra A e B e'
uno dei problemi fondamentali della comunicazione cifrata. Un metodo
classico, ma non sempre attuabile, consiste nel trasmettere la chiave
su un canale sicuro, ad esempio servendosi di un messaggero fidato.
Il canale sicuro e' molto costoso, quindi va riservato alla sola
trasmissione della chiave e in genere non conviene servirsene per
inviare anche i messaggi, per i quali si e' costretti a usare un
canale meno costoso e poco sicuro (e' appunto la scarsa sicurezza di
questo canale che consiglia l'uso della cifratura). La crittografia
classica, basata su metodi matematici, ha due punti deboli: intanto,
come si e' detto, A e B non possono essere certi che C non abbia nel
frattempo inventato a loro insaputa un metodo cosi' efficace (o
costruito un calcolatore cosi' potente) da compiere in brevissimo
tempo le elaborazioni che consentono di ottenere la chiave. Fondare
la segretezza della comunicazione su un'ipotesi, per quanto
plausibile, e' rischioso. Inoltre, se C s'impadronisce della chiave,
A e B non hanno modo di accorgersene e continuano a comunicare tra
loro cullandosi nell'illusione della segretezza quando invece i
messaggi vengono allegramente decifrati da C. Cio' accadde ad esempio
durante la seconda guerra mondiale ai tedeschi, che non si erano
accorti che gli alleati avevano forzato il loro codice, basato sulla
famosa macchina crittografica «Enigma». Alla luce di tutto cio', si
puo' capire l'interesse con cui e' stato salutato un metodo di
distribuzione delle chiavi basato sulle leggi della meccanica
quantistica che reggono il comportamento dei fotoni polarizzati.
Questo metodo consente ad A e B di scoprire subito se C ha tentato di
impadronirsi della chiave e quindi di correre ai ripari, per esempio
sospendendo la comunicazione e fabbricandosi un'altra chiave. In
questo caso non sono congetture, per quanto motivate, a garantire la
distribuzione sicura delle chiavi e quindi la segretezza della
comunicazione cifrata, bensi' le leggi della meccanica quantistica,
che per quanto se ne sa oggi sono assolutamente certe. In altre
parole, alla sicurezza del procedimento si puo' accordare lo stesso
grado di fiducia che alle leggi fondamentali della fisica. Fino a
poco tempo fa, la distribuzione quantistica delle chiavi era solo una
possibilita' teorica e poteva avere l'interesse di un esperimento
concettuale (ma non si trascuri l'importanza che gli esperimenti
concettuali hanno avuto nello sviluppo della fisica moderna, in
particolare proprio della meccanica quantistica: si pensi alla famosa
contesa tra Einstein e Bohr). Poi sono state fatte prove di
laboratorio con fibre ottiche di pochi centimetri. Oggi infine si
possono trasmettere i fotoni polarizzati su fibre ottiche di un
centinaio di chilometri usando, per la rivelazione, fotodiodi a
valanga di arseniuro di indio e gallio o di germanio. I disturbi
introducono molti errori e la loro correzione riduce il tasso di
trasmissione impedendo di lavorare su distanze maggiori. Ma a questo
punto la strada e' aperta, e nel prossimo futuro assisteremo certo a
molti progressi. Giuseppe O. Longo Universita' di Trieste
ODATA 04/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. TERMOLUMINESCENZA
Il calendario dell'archeologo
Economico metodo di datazione radioattiva
OAUTORE VOLPE PAOLO
OARGOMENTI archeologia, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS archaeology, technology
LA radioattivita', con le sue rigorose leggi di decadimento nel
tempo, e' uno dei principali supporti alla datazione di reperti
storici sia naturali, quali minerali e vegetali, sia tecnologici,
come vasellame e oggetti artistici in genere. Universalmente noto e'
il metodo del carbonio-14, che tuttavia puo' essere applicato solo a
materiali di origine vivente, animale e vegetale, e puo' risalire
soltanto a 40-50 mila anni addietro. Il metodo dell'equilibrio
potassio-argon e quello basato sul rapporto uranio piombo, si
spingono molto piu' in la' nel tempo (decine o centinaia di milioni
d'anni), ma si applicano quasi esclusivamente nella misura dell'eta'
delle rocce. Piu' utile per gli archeologi e' la datazione basata
sulle tracce di fissione, con la quale si possono datare manufatti
derivanti dall'argilla e dal vetro, caratteristici delle civilta'
antiche fino alla preistoria, e il cui excursus temporale si estende
in teoria per centinaia di migliaia d'anni. Ma il sostanziale difetto
di tutti questo metodi e', oltre alla difficolta' tecnica
dell'esecuzione, il loro costo, dovendosi per essi usare
apparecchiature molto sofisticate e che solitamente vengono «date in
prestito» per queste applicazioni dall'industria o dalla ricerca
nucleare, dove esse sono presenti. Di qui l'interesse per una
metodologia che e' in fase di messa a punto da parte di alcuni
ricercatori siciliani. Questi ricercatori hanno trasferito al settore
archeologico la dosimetria in uso per la radioprotezione umana,
sfruttando il fatto che oggi la tecnologia in questo campo e'
estremamente affidabile e precisa. Il metodo radiometrico adottato e'
quello della dosimetria a termoluminescenza (T.L.D.), la cui
strumentazione di base e' molto diffusa e ha un costo relativamente
contenuto. In questo tipo di radioprotezione gli elementi sensibili
sono minuscoli cristalli di fluoruro di litio che, sottoposti a dosi
anche molto basse di radiazioni, modificano la propria struttura
interna; se vengono successivamente riscaldati, questi cristalli
ritornano alla struttura originale emettendo una quantita' di luce
che e' proporzionale alla dose di radiazioni ricevuta. Il
riscaldamento deve essere rigorosamente controllato e quindi avviene
in un «fornetto» a cui e' associato un lettore di luminescenza molto
preciso. La deformazione della struttura interna conseguente
all'esposizione a radiazioni non e' solo prerogativa del fluoruro di
litio: tutti i cristalli e molte sostanze amorfe, come il quarzo e il
vetro, sotto irraggiamento subiscono al loro interno spostamenti di
ioni ed elettroni, che con opportuno riscaldamento si riassestano
emettendo una luce caratteristica; il quarzo, ad esempio, se
riscaldato dopo essere stato irraggiato, emette una bellissima luce
azzurra. E' proprio sfruttando questa proprieta' del quarzo che si
possono datare reperti archeologici come vetri, vasellame e
ceramiche, che di quarzo ne contengono sempre un po'. Stando a lungo
nel terreno, infatti, questi oggetti hanno subito nei secoli
l'irraggiamento dovuto ai radioisotopi naturali (uranio, torio e
radio principalmente). Il quarzo in essi contenuto ha quindi
accumulato nei secoli deformazioni strutturali che sono proporzionali
sia alla radioattivita' presente nel terreno dove sono stati trovati
sia al periodo per il quale in quel terreno sono rimasti. Se questo
e' il principio del metodo, che in fondo e' un uovo di Colombo, la
pratica esige un buon numero di operazioni eseguite con estrema
accuratezza. La preparazione della ceramica da datare si esegue
prelevandone una scheggia che, accuratamente lavata in acidi e
solventi, viene poi triturata in un mortaio fino a ridurla in granuli
di pochi micrometri, accuratamente setacciati. Tutto questo lavoro
viene eseguito sotto luce rossa, che non aggiunge ulteriori cambi
strutturali ai granuli di quarzo presenti nel campione, come puo'
fare la luce bianca. Si devono poi valutare sia la dose di radiazioni
ricevuta annualmente dal reperto nel terreno sia la sensibilita' di
quel tipo di quarzo alle radiazioni. Queste valutazioni vengono fatte
per confronto: la prima seppellendo per un certo periodo un dosimetro
a fluoruro di litio nel terreno dove e' stato rinvenuto l'oggetto (si
ricava cosi' la dose di radiazioni annuale), la seconda irraggiando
con una dose di radiazioni nota un po' del quarzo ricavato. Infine si
sottopone a riscaldamento un'altra porzione di quarzo del campione,
valutando la dose totale ricevuta durante tutto il periodo di
seppellimento. E' chiaro che dividendo tale dose per la dose annuale
se ne puo' valutare l'eta'. Il pregio di questo metodo, come si e'
gia' detto, e' il costo relativamente basso della strumentazione
necessaria per eseguirlo. Anche le operazioni non esigono, come
occorre per altri metodi, profonde conoscenze di fisica nucleare. E'
necessario pero' esser molto accurati in ciascuna operazione perche'
piccoli errori o mancanza di rigorosita' possono influire in modo
determinante sul risultato. I test finora eseguiti hanno fornito
risultati completamente soddisfacenti. Trattandosi di un metodo messo
a punto in collaborazione tra varie istituzioni della Sicilia, terra
ricca di reperti archeologici, le prime prove sono state eseguite su
cocci trovati vicino a Gela, per i quali il metodo ha fornito una
datazione di 800 anni avanti Cristo, proprio come si aspettavano gli
archeologi in base a stime di carattere storico. In seguito a questo
successo si progetta una ampia e approfondita campagna di studio sui
numerosi reperti forniti continuamente dagli scavi nel Sud della
Sicilia. Paolo Volpe Universita' di Torino
ODATA 04/06/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
CONTRIBUTO EUROPEO
Una navicella salva-astronauti
Garantira' un eventuale rientro d'emergenza
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, tecnologia, sicurezza
ONOMI MALERBA FRANCO
OORGANIZZAZIONI ALENIA AEROSPAZIO, NASA, CRV, X-38, FIATAVIO
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. La mini-capsula Ard
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, technology, security
A prima vista ricorda la gloriosa capsula «Apollo». Le sue
caratteristiche, infatti, sono simili a quelle del modulo di comando
che servi' per inviare tre astronauti americani verso la Luna. Ma
questa capsula rientra nell'ambito del progetto della grande stazione
spaziale permanente che fino a poco tempo fa si chiamava «Alpha», e
che ora viene indicata con la sigla Iss (International Space
Station). Anche se il ruolo europeo dell'Esa e' diminuito negli
ultimi anni nel disegno della stazione, soprattutto con il
ridimensionamento delle capacita' del modulo-laboratorio «Columbus»,
l'ente spaziale europeo progetta ormai da tre anni una capsula
recuperabile di forma troncoconica tipo Apollo, chiamata CRV (Crew
Rescue Vehicle - Veicolo Recupero Equipaggio), i cui studi di
fattibilita' vengono sviluppati da un consorzio di aziende europee
del settore. Il progetto e' ancora fermo alla fase iniziale di
sviluppo, anche perche' non e' stato ancora deciso a livello
internazionale se sara' davvero il Crv la navicella destinata a
riportare con urgenza sulla Terra gli astronauti che abiteranno la
stazione spaziale in caso di incidenti. C'e' infatti la «minaccia» di
un progetto concorrenziale della Nasa chiamato X-38, una sorta di
mini-shuttle. Nei 25 anni di vita operativa, sulla stazione orbitante
a 300 chilometri dalla Terra, non si possono escludere incidenti,
tipo un incendio, o un meteorite che colpisca l'infrastruttura
spaziale. In una situazione del genere, Crv puo' riportare a terra
fino a sei astronauti, distaccandosi dal sistema che lo tiene
«ancorato» al traliccio principale della stazione. In mezz'ora la
capsula puo' rientrare negli strati atmosferici con uno scudo termico
diverso da quello delle vecchie navicelle (Sojuz compresa),
realizzato in titanio e acciaio a nido d'ape che sublimano al
contatto con il forte calore. Su Crv c'e' una base di tegole
antitermiche di colore nero simili a quelle dello shuttle, fatte di
carbonio e carburo di silicio, in grado di sopportare temperature
fino a 1800 gradi. Un ammaraggio con l'ausilio di paracadute
concluderebbe felicemente l'eventuale fuga dalla stazione spaziale.
Il punto della situazione su Crv e' stato fatto nei giorni scorsi a
Bordeaux (Francia). «Credo che l'Europa spaziale debba avere a buon
diritto la chance di realizzare questo importante progetto - ci dice
Franco Malerba, primo astronauta italiano e relatore per la politica
spaziale europea -. Abbiamo tutte le capacita' tecnologiche per
realizzarlo e sarebbe un'altra dimostrazione di autonomia». «Abbiamo
gia' effettuato molti test su veicoli spaziali di rientro - prosegue
Malerba - da quelli con palloni aerostatici lanciati dalla base di
Trapani-Milo con materiale della FiatAvio, fino alla
capsula-dimostratore Ard, che e' una Crv di prova ed e' grande la
meta'». «Se tutto andra' bene, Ard verra' lanciata all'inizio del '98
con Ariane 5, e gia' in quel caso avremo risposte importanti.
Oltretutto il progetto europeo e' molto piu' semplice e pratico
tecnologicamente». Crv, che puo' essere lanciato verso la stazione
nella stiva di uno shuttle e che misura quattro metri di diametro e
quasi altrettanti di altezza, era stato progettato anche per l'invio
in orbita di astronauti europei per mezzo di «Ariane 5». Antonio Lo
Campo
ODATA 04/06/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
NUOVI DATI
L'universo ridisegnato da «Hubble»
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, astronomia
OORGANIZZAZIONI SHUTTLE, HUBBLE, NASA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, astronomy
PARTITO nel 1990 con sette anni di ritardo sui programmi e afflitto
da un difetto ottico che lo rendeva miope, il telescopio spaziale
«Hubble» all'inizio fu per gli astronomi una terribile delusione. Ma
si e' riscattato, e dopo due missioni di riparazione e di
manutenzione compiute dagli astronauti dello Shuttle - la seconda nel
febbraio scorso - «Hubble» diventa sempre piu' una straordinaria
finestra sull'universo che ci rivela panorami sorprendenti. La Nasa
ha dato notizia pochi giorni fa delle prime osservazioni di «Hubble»
fresco di revisione e dotato di nuovi strumenti: il superocchio
spaziale ha scoperto in una galassia un immane buco nero, con una
massa pari a 300 milioni di stelle come il nostro Sole. Questo vorace
mostro del cielo inghiotte materia incandescente che gli vortica
intorno come l'acqua di una vasca a cui si tolga di colpo il tappo, e
la materia precipita in quella tomba cosmica a grandissima velocita'
e sviluppando una altissima temperatura. Altre scoperte delle ultime
settimane riguardano stelle che stanno nascendo in una strana
nebulosa a forma di uovo e l'anello di gas in espansione intorno alla
supernova esplosa nel 1987 nella Grande Nube di Magellano. Insomma:
dalla gestazione alla morte, le stelle non riescono a nascondere i
segreti della loro esistenza a questo eccezionale strumento in orbita
a 610 chilometri dal suolo. «Hubble» e' costato piu' di tremila
miliardi di lire. La luce che il suo specchio da 2 metri e mezzo
raccoglie costa 500 volte di piu' della luce messa a fuoco dai
telescopi terrestri. Ma e' anche vero che la luce raccolta da
«Hubble» non e' degradata dalla turbolenza atmosferica. E' luce pura,
che ci porta informazioni di prima mano sull'origine e
sull'evoluzione dell'universo. Non e' neppure il caso di entrare nel
merito delle singole scoperte che quasi ogni giorno «Hubble» ci
offre. Il discorso sarebbe troppo tecnico. Per noi, gente comune, e'
sufficiente sapere che il telescopio spaziale sta ridisegnando
completamente il cosmo, sta attuando giorno dopo giorno una
rivoluzione astronomica simile a quella che scateno' Galileo con il
suo cannocchiale nel 1610. Al di la' del mostruoso buco nero appena
individuato, il telescopio spaziale e' uno strumento di
ineguagliabile portata culturale perche', rivelandoci il panorama del
cosmo piu' profondo, invita l'umanita' intera a sentirsi meno
provincialmente terrestre e piu' autenticamente universale. Piero
Bianucci
ODATA 04/06/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PRIMA MISSIONE NEL 1999
Ecco la mia casa in orbita
«Abitero' la stazione spaziale internazionale»
OGENERE copertina
OAUTORE GUIDONI UMBERTO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, astronomia, tecnologia, progetto
ONOMI GOLDWIN DANIEL
OORGANIZZAZIONI NASA, STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE, SERVICE MODULE,
RSA, ASI
AGENZIA SPAZIALE ITALIANA, MPLM, ISS
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Schema della stazione spaziale
OKIND features
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, astronomy, technology, plan
E' ufficiale: la Nasa ha annunciato il rinvio del lancio del primo
elemento della Stazione Spaziale Internazionale. Voci di un ritardo
circolavano da mesi, con previsioni piu' o meno pessimistiche sul
futuro del programma. Forse per sgomberare il campo da ulteriori
illazioni, Daniel Goldwin - amministratore della Nasa - ha voluto
assicurare che l'impegno per la realizzazione della Stazione rimane
immutato e che si fara' il possibile perche' il ritardo iniziale
possa essere riassorbito nel corso dell'intero progetto che
impegnera' gli Stati Uniti e i partner nei prossimi 5 anni.
L'assemblaggio della Iss, come viene indicata la Stazione Spaziale,
avrebbe dovuto iniziare alla fine di quest'anno, con il lancio del
primo elemento, che sara' essenziale per produrre elettricita'
durante la prima fase di vita della «Space Station». Il modulo -
denominato Fgb, dalle iniziali del nome in cirillico - e' stato
realizzato in Russia, presso il centro di Khrunichev, alle porte di
Mosca, ma e' stato finanziato dalla Nasa ed e' considerato un modulo
in comproprieta' russo-americana. L'elemento in questione, che sara'
posto in orbita in modo automatico con un razzo «Proton», e' ormai
pronto e, in linea di principio, potrebbe essere lanciato alla data
prevista, nel novembre 1997. In una situazione analoga si trova il
secondo elemento, Nodo 1, che dovrebbe essere lanciato, circa un mese
dopo, a bordo dello «Space Shuttle». Il Nodo e' costruito negli Stati
Uniti dalla Boeing, responsabile dell'integrazione di tutti gli
elementi della Stazione, e fungera' da cerniera fra il «quartiere»
americano e quello russo. Il problema si presenta per il terzo
elemento, il Modulo di Servizio, che e' il primo modulo abitabile
della Stazione e che dovrebbe fornire il sistema di propulsione per
mantenerla in orbita attorno alla Terra. Generalmente, quando ci si
trova a orbitare alla quota di circa 300 chilometri, lo spazio
intorno si puo' considerare in pratica un vuoto assoluto, se
confrontato con le densita' cui siamo abituati sulla Terra. Ma questo
non e' rigorosamente vero. Una struttura estesa come la Iss, che
quando sara' completata avra' quasi le dimensioni di un campo di
calcio, risente di un certo attrito che, su tempi lunghi, produce un
abbassamento dell'orbita. E' quindi necessario fornire, di tanto in
tanto, una spinta addizionale per mantenerla nell'orbita prevista.
Per questo il ritardo nel lancio del «Service Module» ha
ripercussioni sull'intera sequenza di lancio della «Space Station».
Anche se i due moduli precedenti sono pronti e potrebbero essere
lanciati, sarebbero privi di un sistema di propulsione e non
potrebbero restare a lungo in orbita: c'e' bisogno che il modulo di
servizio arrivi entro pochi mesi. E' proprio questo il centro del
problema: i russi non sembrano in grado di garantire i tempi
previsti. Il Modulo di Servizio, che e' anche il primo modulo
completamente costruito dalla Agenzia Spaziale Russa (Rsa), e'
piuttosto indietro nella fase di sviluppo al centro spaziale di
Khrunichev. Avrebbe dovuto essere pronto per quest'autunno ma per ora
solo la struttura meccanica e' stata ultimata. Il ritardo deriva
dalla mancanza dei finanziamenti (170 miliardi) da parte del governo
russo, che pure si era impegnato sulle date di consegna. In questo
stato di incertezza la Nasa ha deciso di rivedere la sequenza di
lancio per tenere conto del tempo - stimato in circa otto mesi - che
sara' realisticamente necessario per il completamento del «Service
Module». Oltre allo spostamento della data di lancio del primo
elemento, che potrebbe passare da novembre 1997 a ottobre 1998, si
stanno valutando diverse opzioni per ridurre gli effetti di questo
ritardo sulla tabella di marcia dell'intera «Space Station». Una
delle opzioni prevede la possibilita' di modificare il modulo FGB in
modo da renderlo in grado di essere rifornito in orbita. In questo
modo sarebbe possibile controllare l'assetto della Stazione e fornire
la spinta necessaria per mantenere la quota orbitale - il cosiddetto
«reboost» - gia' con il primo elemento, anche in presenza di un
ritardo del Modulo di Servizio. L'altra opzione, presa in
considerazione dal management della Nasa, prevede la costruzione di
un sistema di controllo indipendente - denominato «Interim Control
Module» o Icm - che potrebbe essere sviluppato a partire da un
prototipo, messo a punto dalla Marina degli Stati Uniti per la sonda
«Clementine». Come si ricordera', si e' trattato di una missione di
grande successo che recentemente ha fornito una mappa molto accurata
della superficie lunare, con indicazioni interessanti sulla presenza
di acqua nel Polo Sud della Luna. Si e' valutato che, opportunamente
modificato, il modulo propulsivo della sonda «Clementine» potrebbe
essere adattato alle esigenze di controllo di assetto e di «reboost»
della Stazione, fornendo cosi', in tempi molto ridotti, un sistema di
controllo alternativo al modulo russo. L'Icm potrebbe svolgere un
ruolo anche nell'ipotesi che il «Service Module» arrivasse nei tempi
previsti. In questo caso il modulo americano si affiancherebbe a
quello russo, fornendo una certa ridondanza ed una maggiore capacita'
di immagazzinamento del combustibile in orbita. Si renderebbe, cosi',
piu' flessibile la pianificazione dei lanci dei razzi «Progress», i
voli di servizio, che, di tanto in tanto, dovrebbero «rifare il
pieno» alla Stazione. Resterebbe pero' da risolvere un altro
problema. Il Modulo di Servizio funge anche da alloggiamento per
l'equipaggio, almeno nella prima fase di costruzione della Stazione;
prima dell'arrivo del Modulo Abitativo americano, previsto per il
2000. Se il Modulo di Servizio non arrivasse nei tempi previsti, la
Stazione risulterebbe priva di un «Life Support System» - cioe' del
sistema per garantire la generazione dell'ossigeno, la purificazione
dell'aria e lo smaltimento dei rifiuti -, tutte funzioni
indispensabili in vista della presenza continua di un equipaggio.
Un'incertezza, questa, che sta avendo ripercussioni, anche
sull'addestramento degli astronauti selezionati per il primo periodo
di permanenza sulla «Space Station». In questa situazione, con una
configurazione della Stazione ancora fluida, e' difficile condurre a
termine le varie fasi dell'addestramento necessarie per rendere un
equipaggio perfettamente familiare con le operazioni da eseguire in
orbita. Tutti i ritardi e le incertezze di cui abbiamo parlato hanno
rallentato, dunque, il «training» dei tre membri dell'equipaggio -
due russi ed un americano, che si stanno preparando presso il centro
«Yuri Gagarin» - situato nella cosiddetta Citta' delle Stelle, non
lontano da Mosca - dove abitualmente si addestrano i cosmonauti
russi. Anche se e' ormai assodato un ritardo nella data di lancio del
primo elemento, tutti gli sforzi della Nasa sono rivolti ad
assicurare che verra' mantenuto il termine previsto per il
completamento della «Space Station»: il fatidico 2002. Questa e'
senz'altro una buona notizia per l'Agenzia Spaziale Italiana (Asi),
impegnata, al pari di altre Agenzie, nella costruzione della Iss. Il
contributo italiano consiste nella realizzazione di un elemento - il
cosiddetto «Modulo Logistico» o Mplm - che verra' utilizzato per il
trasferimento di materiale ed esperimenti da e per la «Space
Station». Essendo pressurizzato, il modulo potra' essere agganciato
alla Stazione e permettera' un facile accesso per gli astronauti che
dovranno effettuare la sostituzione degli esperimenti scientifici in
orbita. La prima delle tre unita' sta marciando secondo i piani e
l'Asi vorrebbe effettuare il volo inaugurale, come previsto, nei
primi mesi del 1999. Sara' un evento importante per l'Italia: alla
missione del primo Mplm e' prevista la partecipazione di un
astronauta italiano e chi scrive si sta addestrando al Johnson Space
Center di Houston in attesa di questa, speriamo non troppo lontana,
opportunita' di volo. Umberto Guidoni Astronauta
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TEGOLE FOTOVOLTAICHE
Una centrale solare sul tetto di casa tua
OAUTORE LIBERO LEONARDO
OARGOMENTI energia
ONOMI TESTA CHICCO
OORGANIZZAZIONI ENEL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS energy
IL presidente dell'Enel, Chicco Testa, ha il merito di aver rotto il
silenzio che in Italia circondava i «tetti fotovoltaici», cioe' i
generatori solari installati sulle case come se fossero tegole e
collegati alla rete elettrica. In genere i tetti fotovoltaici hanno
potenze fra 0,5 e 5 kWp (1 «kiloWatt di picco» e' la potenza di un
generatore fotovoltaico che eroghi 1 kW se esposto a una radiazione
solare da 1 kW per metro quadro, a 25 oC). I proprietari di tetti
fotovoltaici sono sia clienti sia fornitori della societa'
erogatrice. Rispetto alle grandi, e troppo ingombranti, centrali
fotovoltaiche, i tetti a celle solari hanno il pregio di generare
energia senza sottrarre superficie al verde perche' sfruttano
superfici gia' occupate. Ma non solo. Una loro fitta disseminazione
sul territorio compenserebbe le perdite derivanti dal trasporto
dell'elettricita' sulle lunghe distanze e ottimizzerebbe la
distribuzione in quanto producono energia quando e' piu' richiesta,
cioe' di giorno. E' chiaro che in Italia di superfici utilizzabili
per tetti solari c'e' sovrabbondanza. E' difficile pero' dare cifre
precise: non si sa, infatti, quanta superficie occupino da noi le
costruzioni. Si sa , viceversa, che in Svizzera occupano
2.700.000.000 di metri quadri. La' i tetti fotovoltaici versano in
rete 900 kWh all'anno per ogni kWp installato (con il soleggiamento
medio svizzero; quello italiano e' superiore almeno del 20 per
cento). Oggi i moduli solari arrivano a «rendimenti» del 14 per
cento, o piu'; ma si faccia pure conto solo su un 10 per cento: un
generatore da 1 kWp che renda il 10 per cento occupa 10 metri quadri;
quindi i 2.700.000.000 di metri quadri occupati dalle costruzioni
potrebbero ospitare moduli per 270.000.000 di kWp; che produrrebbero
270.000.000 x 900 = 243.000.000.000 di kWh all'anno: che sarebbero
pari a 5 volte i 47.882.000.000 di kWh consumati in tutta la
Confederazione, industrie comprese, durante il 1995. Per molti anni
la Svizzera ha promosso la diffusione di quel tipo di impianti, quasi
solo facendo leva sul senso civico ed ecologico dei suoi cittadini. A
fine '96 ne aveva 820 in esercizio, in gran parte di proprieta'
privata e tutti realizzati da privati. Da quest'anno per ogni nuovo
kW di picco installato c'e' un premio di 3000 franchi; che copre il
20-25 per cento del costo. In Germania, una campagna simile rivolta
alle famiglie - anche per educarle ad un uso razionale dell'energia -
offre finanziamenti fino al 70 per cento dei costi; contro l'impegno
a riferire ogni mese su rendimenti, avarie e consumi a una banca
dati, costituita in vista di futuri sviluppi. Gli impianti tedeschi
sono oggi circa 2500, di proprieta' privata e realizzati tutti da
aziende private. Il Giappone intende sovvenzionare, fra aprile 1997 e
marzo 1998, 9400 tetti fotovoltaici da 4 kWp ciascuno, cioe' sei
volte i 1600 messi in funzione nei dodici mesi precedenti. Cio'
richiedera' il doppio dei moduli fotovoltaici prodotti annualmente in
quel Paese; che quindi dovra' importarne, pur essendo uno dei
maggiori produttori, oppure dovra' aumentare ancora la produzione (il
che potrebbe determinare una certa diminuzione dei prezzi). La
diffusione di questi impianti stimola la ricerca e crea nuove
attivita': come la produzione non solo di moduli ma anche di
componenti vari e perfino di tegole fotovoltaiche che fanno apparire
un tetto «solare» come un tetto normale. Tutto cio' accade in Paesi
autosufficienti per l'elettricita' (noi lo siamo solamente al 20 per
cento), meno soleggiati del nostro e che non hanno rinunciato al
nucleare. Sarebbe quindi logico che, su quella strada, l'Italia fosse
in testa. Invece i tetti fotovoltaici italiani sono forse una decina
in tutto; alcuni realizzati dall'Enel e di sua proprieta'; altri
realizzati da privati, ma collegati solo a reti di aziende
municipalizzate. Un ennesimo nostro ritardo causato dalla tardiva
soluzione di un problema normativo-tecnico legato al fatto che quegli
impianti versano energia in rete. Se infatti la societa'
distributrice deve intervenire sulla rete, e percio' staccarvi la
corrente, deve essere certa che i generatori solari collegati a essa
si disconnettano in automatico e nello stesso istante. Quindi
l'apparato elettronico che collega il generatore alla rete,
l'«inverter», deve sia trasformare in corrente alternata, sincrona a
quella di rete, la corrente continua erogata dal generatore, sia
isolarsi dalla rete quando vi venga a mancare la corrente. Un
problema del resto banale, e risolto infatti nelle migliaia di
inverter operativi in altri Paesi, dove la scelta fra le (poche)
possibili soluzioni tecniche era stata fatta senza difficolta'. Anche
in Svizzera, dove le societa' erogatrici sono piu' di 2000. In
Italia, la stragrande maggioranza degli utenti e' servita da una
societa' sola, ma non per questo se ne e' avuto un vantaggio.
Dapprima infatti l'intera questione fu snobbata. Dopo alcuni anni,
forse considerando che se Paesi tanto avanzati continuavano a
crederci meritava occuparsene, si e' cominciato a parlare di
generatori solari collegati alla rete e a discutere delle soluzioni
tecniche per la sconnessione automatica dei relativi inverter (in
italiano «convertitori statici»). Nel persistente disinteresse dei
politici responsabili per ambiente ed energia, passarono tuttavia
altri anni. Soltanto nello scorso aprile il Comitato Elettrotecnico
Italiano ha finalmente scelto la soluzione da prescrivere. Mentre
c'era, ha prescritto anche 5 kilovolt-Ampere di potenza massima per
ogni inverter. Un limite di cui non si capisce il motivo ma, a occhio
e croce, non dovrebbe fare troppi danni. Ora, comunque, sarebbe
possibile anche in Italia una iniziativa promozionale per i tetti
fotovoltaici. Dopo aver riconosciuto a Chicco Testa il merito di aver
rotto il silenzio su questa materia c'e' pero' da rammaricarsi che
l'Enel, per la parte elettronica dei propri tetti fotovoltaici, abbia
voluto rivolgersi ai tedeschi: con la fame di occasioni e posti di
lavoro che abbiamo, e come se non avessimo persone e aziende esperte
in elettronica di potenza. Sarebbe stato doveroso, invece, offrire ai
nostri «enertronici» un'opportunita' cosi' importante per rimontare
il decennale gap che, certo non per colpa loro, l'Italia ha
accumulato in quel settore. Leonardo Libero
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ESTREMOFILI
Quei batteri ingaggiati dall'industria
OAUTORE FRONTE MARGHERITA
OARGOMENTI biologia, chimica
ONOMI KOKI HORIKOSHI
OORGANIZZAZIONI GENECOR INTERNATIONAL
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
OSUBJECTS biology, chemistry
MACCHIE di vino sulla tovaglia? Ingaggiate un batterio. Forse il
nuovo slogan della compagnia newyorchese Genecor International non
suonera' proprio cosi', ma certamente non siamo troppo lontani dalla
realta'. L'industria statunitense ha recentemente lanciato sul
mercato un additivo per detersivi che smacchia il cotone grazie
all'azione di una proteina ricavata da un batterio tutto particolare,
rinvenuto in laghetti le cui acque alcaline non possono ospitare
nessun'altra forma di vita. La loro esatta collocazione sulla carta
geografica e' coperta da segreto industriale. Il microrganismo in
questione e' un estremofilo; cioe' uno di quei batteri in grado di
sopportare condizioni ambientali estreme, intollerabili per qualunque
altro essere vivente. Per farsi un'idea della loro versatilita',
basti pensare che specie di batteri estremofili vivono nelle
profondita' della crosta terrestre a circa tre chilometri dalla
superficie, mentre altre hanno colonizzato i getti dei geyser
islandesi, oppure le dorsali oceaniche fino a 3600 metri di
profondita' con temperature che superano i cento gradi centigradi e
pressioni di centinaia di atmosfere. Per sopravvivere in quelle
condizioni i batteri estremofili hanno dovuto mettere a punto un
metabolismo speciale, e l'evoluzione li ha dotati di proteine in
grado di favorire le particolari reazioni biochimiche necessarie al
loro sostentamento. E queste reazioni biochimiche talvolta sono
analoghe ai procedimenti che le compagnie chimiche ottengono con
metodi dispendiosi, spesso fonte di inquinamento. Ed e' proprio per
motivi economici che la caccia al batterio per l'impiego industriale
e' aperta ormai da qualche anno. La Genecor ha appena tagliato il
traguardo col suo additivo per lavatrice a base di cellulasi- 103,
una proteina estratta da un estremofilo che sbroglia i piccoli
gomitoli che si formano dall'usura del cotone permettendo al
detersivo di penetrare in profondita' nel tessuto senza danneggiarlo,
sia in acqua calda sia in acqua fredda. Ma le varieta' di batteri
estremofili scoperte negli ultimi anni sono cosi' numerose che per le
centinaia di proteine da essi isolate bisogna solo trovare
un'applicazione. Ad esempio, nell'ambito di un programma di ricerche
il cui nome in italiano suona piu' o meno come «stelle delle
profondita'», il giapponese Koki Horikoshi ha scoperto circa 2500
nuove specie di estremofili nella Fossa delle Marianne, e altre 1000
esplorando col suo batiscafo i fondali oceanici di mezzo mondo.
Alcuni dei microrganismi di Horikoshi vivono in ambienti in cui le
concentrazioni di cherosene, benzene e altri pericolosi componenti
organici superano il 50 per cento. Questi batteri possono degradare
delle grandi quantita' di sostanze altamente inquinanti e molto
concentrate, e la loro utilita' per bonificare acque ad alto tasso di
inquinamento e' evidente. E non e' tutto, perche' le possibili
applicazioni delle proteine estratte dagli estremofili sono
vastissime, e presto anche la vostra agenda potrebbe essere prodotta
con l'ausilio di un batterio, che possiede un enzima in grado di
sostituire l'impiego dei composti chimici inquinanti che oggi vengono
utilizzati per sbiancare la carta. Inoltre, nel campo della biologia
molecolare gia' da diversi anni una proteina estratta da un
estremofilo, la Taq polimerasi, viene adoperata per ottenere grandi
quantita' di Dna a partire da frammenti disponibili in numero
limitato. Ma nel generale entusiasmo che circonda la scoperta di ogni
nuova forma batterica estrema, numerosi ricercatori invitano ad
essere prudenti. Non sempre infatti le industrie sono disponibili a
riconvertire i loro processi produttivi ormai collaudati, e molte
delle proteine scoperte non hanno, almeno per il momento, nessuna
utilita'. E' un avvertimento ragionevole, anche se probabilmente non
sono le possibili applicazioni nella produzione di agende e di
detersivi a spingere i cacciatori di batteri, chiusi nei loro
batiscafi, alla scoperta di forme di vita estreme in un mondo
sommerso, misterioso e lontano. Margherita Fronte
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
RICERCHE NELLO STRETTO DI MESSINA
Energia tra Scilla e Cariddi
Una corrente marina (ed elettrica)
OAUTORE PAVAN DAVIDE
OARGOMENTI energia, ricerca scientifica, tecnologia, mare
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OTABELLE C. Stretto di Messina
OSUBJECTS energy, research, technology, sea
POCHI sanno che dal punto di vista oceanografico lo Stretto di
Messina e' uno dei luoghi piu' interessanti del pianeta. E'
possibile, infatti, osservarvi correnti marine tra le piu' veloci al
mondo, in particolare quelle determinate dalla marea semidiurna. Il
Mar Ionio a Sud e il Mar Tirreno a Nord hanno un regime di maree
sfasato quasi esattamente di 90o: questa speciale condizione,
combinata con la struttura topografica dello Stretto (la cui
profondita' e' molto variabile, con punte di 1000 metri nella parte
meridionale) produce una corrente che puo' raggiungere velocita'
superiori a 3,5 metri al secondo. Si stima che l'energia totale della
corrente che fluisce nello Stretto sia intorno a 2900 GWh/anno.
Nell'ambito del programma europeo Joule II, si e' recentemente
concluso un progetto di ricerca denominato Cenex (acronimo di Current
ENergy EXploitation) dedicato alla valutazione del potenziale di
questa fonte di energia rinnovabile ed allo sviluppo di un piano
preliminare di sfruttamento. Il progetto, coordinato dalla Tecnomare
di Venezia, ha visto la partecipazione di varie aziende e istituzioni
europee: Enel e Ponte di Archimede (Italia), It Power (Inghilterra),
Universita' di Patrasso (Grecia) e Voith (Germania). La ricerca si e'
focalizzata inizialmente sull'individuazione e catalogazione in Data
Base di 106 siti europei con correnti marine abbastanza veloci da
poter essere sfruttate a scopo energetico mediante turbine
sottomarine. Queste localita', situate in Gran Bretagna, Irlanda,
Grecia, Francia e Italia, potrebbero fornire una produzione di
energia elettrica pari a 48 TWh annui. La seconda fase del progetto
Cenex si e' concentrata in particolare sullo Stretto di Messina dove,
al fine di individuare le zone piu' interessanti per l'installazione
dell'impianto, sono stati sviluppati modelli matematici a due e a tre
dimensioni tarati sui dati di corrente e di marea rilevati in vari
punti dello Stretto. Due fasce parallele alle coste di Calabria e
Sicilia, a profondita' d'acqua compresa fra i 50 e i 100 metri,
sembrerebbero essere le piu' idonee al posizionamento dell'impianto,
tenuto conto anche della rotta delle navi che giornalmente transitano
per lo Stretto. Il progetto preliminare prevede l'installazione di
100 turbine spaziate lateralmente di 30-50 metri e longitudinalmente
di 200-300 metri in modo da non creare problemi di interferenza
idrodinamica o operativa. Ogni turbina e' costituita da un rotore a 4
pale fisse con asse di rotazione verticale. Ciascuna pala, lunga 10
metri, e' supportata da 3 bracci. La girante ruota a 17,6 giri/minuto
con una potenza di progetto di 250 kW. Il rotore e' collegato a un
generatore a 6 poli, che produce energia elettrica a 3-6000 V e la
invia a una stazione di trasformazione a terra mediante cavi
sottomarini. Il gruppo turbina-generatore e' installato su di una
struttura di supporto (monopalo) con un connettore meccanico. Il
monopalo, lungo 30 metri, derivato dalla tecnologia petrolifera
offshore, viene infisso sul fondo del mare per circa 20 metri con un
battipalo sottomarino. Il regime di funzionamento e' intermittente:
ogni turbina si arresta quando la velocita' della corrente scende
sotto una certa soglia, resta ferma durante il periodo di stanca
della corrente e viene riavviata quando la corrente, in direzione
opposta, supera la stessa velocita'-soglia. L'energia elettrica
producibile annualmente dal complesso di 100 turbine e' di circa 20
GWh, a fronte di un investimento di circa 120 miliardi di lire per la
realizzazione dell'impianto. Il costo dell'energia prodotta e' atteso
sotto le 400 lire/kWh, perfettamente in linea con quello dell'energia
prodotta da altre fonti rinnovabili. Il contenuto energetico della
corrente e' il fattore dominante del progetto. Poiche' l'energia
della corrente e' funzione del cubo della velocita', sono essenziali
ulteriori misure di velocita' per migliorare i risultati del
modelling 3-D ed individuare con certezza le localita' piu' adatte
all'installazione delle turbine. Ulteriori test sperimentali saranno
fatti su modellini a scala ridotta per verificare gli assunti fatti
in sede progettuale. E' prevedibile che le prestazioni del sistema
possano essere migliorate con programmi di ricerca nel campo dei
materiali per le pale del rotore e nel campo dei generatori elettrici
a bassissimo numero di giri. Davide Pavan
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. HIPPARCOS, MISSIONE COMPIUTA
Ha datato l'universo
Un catalogo di centomila stelle
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia
ONOMI BRAHE TYCHO
OORGANIZZAZIONI CATALOGO TYCHO, CATALOGO HIPPARCOS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy
SE sul bordo della Luna ci fosse un bambino di dieci anni e voi
poteste guardarlo dalla Terra, vi apparirebbe sotto l'angolo di un
millesimo di secondo d'arco. E' con questa fantastica precisione,
cento volte maggiore di quella ottenibile con telescopi al suolo, che
il satellite «Hipparcos» dell'Agenzia spaziale europea (Esa) ha
misurato la posizione di 118.000 stelle. Il lavoro di osservazione si
e' concluso il 15 agosto 1993. E' seguito il complesso trattamento
dei dati. Il loro insieme costituisce il «Catalogo Hipparcos». Questo
patrimonio, che e' stato presentato due settimane fa durante un
convegno a Venezia, e' ora a disposizione di tutta la comunita'
scientifica, dopo una prima scrematura fatta dai ricercatori
responsabili della missione. Lo stesso satellite ha misurato la
posizione di un altro milione di stelle con una precisione un po'
meno buona, ma sempre superiore a quella consentita dai vecchi
sistemi: e' il «Catalogo Tycho». Nomi simbolici. I due cataloghi sono
una grande eredita' che il nostro secolo lascia al nuovo millennio:
qualcosa di analogo al catalogo di mille stelle che per primo Ipparco
di Nicea compilo' nel secondo secolo avanti Cristo e alle misure di
posizione di pianeti e stelle che Tycho Brahe, astronomo danese,
esegui' con estrema cura nella seconda meta' del 1500, fornendo a
Keplero la materia prima per dedurre le sue famose tre leggi del moto
planetario, anticamera della legge di gravitazione universale poi
enunciata da Newton. L'arte di misurare la posizione dei corpi
celesti fino al secolo scorso quasi coincideva con l'astronomia tout
court. Poi questa «astronomia di posizione», o astrometria, e' stata
oscurata dall'astrofisica. Cosi', mentre non si contano le missioni
spaziali di tipo astrofisico, nell'era dei razzi e dei satelliti
l'astrometria e' stata praticamente ignorata. Con l'unica eccezione
di «Hipparcos». Eppure senza astrometria l'astrofisica non puo' avere
solide basi. La massa delle stelle, per fare un esempio, e' un
parametro astrofisico essenziale per capire l'evoluzione stellare. Le
masse delle stelle si valutano molto comodamente nei sistemi doppi,
formati da due stelle che orbitano intorno al comune baricentro: ma
occorrono misure di posizione molto precise delle due componenti.
Altro esempio: il moto delle stelle nella nostra galassia fornisce
informazioni preziose sulla quantita' di materia esistente, visibile
e invisibile, ma per conoscere i minimi spostamenti propri delle
stelle occorrono misure di posizione accuratissime. C'e' poi un terzo
aspetto, ancora piu' importante: si puo' stabilire la distanza delle
stelle piu' vicine con il metodo diretto della triangolazione, il
piu' affidabile, ma solo a patto di poter fare misure di posizione
rigorosissime. E dato che la distanza di queste stelle diventa il
metro per dedurre indirettamente la distanza di stelle piu' lontane,
e poi delle galassie, degli ammassi e superammassi di galassie, e
cosi' via fino agli oggetti piu' remoti dell'universo, e' chiaro che
un minimo errore iniziale puo' trasformarsi in un grande errore su
distanze molto maggiori, nella cui stima e' necessario introdurre
numerosi parametri non ben conosciuti e non misurati direttamente. Un
bell'esempio dell'importanza dell'astrometria e dei dati di
«Hipparcos» per l'astrofisica e per la cosmologia viene da un gruppo
di ricercatori italiani e riguarda l'origine stessa dell'universo.
Secondo le ultime osservazioni fatte con il telescopio spaziale
«Hubble», l'universo e' piu' giovane di quanto pensavamo: avrebbe
solo 12 miliardi e mezzo di anni e non 15-20 come facevano supporre
le stime precedenti. Anche la versione della teoria del Big Bang che
prevede un periodo di rapida crescita inziale chiamato «inflazione»,
comporta un'eta' dell'universo sui 12 miliardi di anni. L'universo e'
quindi ringiovanito da 15-20 a 12 miliardi di anni. In proporzione e'
come se Brigitte Bardot, che ha 62 anni, tornasse ad averne 40. Beata
lei, si dira'. Ma il ringiovanimento del cosmo agli scienziati crea
un problema spinoso. Ovviamente l'universo non puo' essere piu'
giovane delle stelle che contiene: e invece gli ammassi globulari -
raggruppamenti di centinaia di migliaia di stelle che orbitano come
satelliti intorno alle galassie - finora sembravano avere 15 miliardi
di anni. Come mettere d'accordo l'eta' dell'universo e l'eta' degli
ammassi globulari? E' un enigma che negli ultimi anni ha tormentato
gli astronomi. Bene: grazie ai dati di Hipparcos si e' potuto
stabilire che gli ammassi globulari hanno in realta' solo 12 miliardi
di anni. Cioe' una eta' compatibile con quella dell'universo: e
quindi la teoria del Big Bang e' salva. Ma come si e' arrivati a
ringiovanire gli ammassi globulari? La risposta e' semplice:
misurandone meglio la distanza. In base ai dati di Hipparcos, un
gruppo di astronomi degli Osservatori di Bologna, Padova, Torino e
Roma ha valutato con maggior precisione la distanza di alcune stelle
vicine a noi ma vecchie come quelle degli ammassi globulari, e quindi
dello stesso tipo. Confrontando la luminosita' apparente di queste
antichissime stelle con la loro luminosita' reale, si e' poi risaliti
alla distanza degli ammassi, e quindi anche alla loro eta': l'errore
di misura, che prima toccava il 50 per cento, e' sceso al 5 per
cento. In altre parole, Hipparcos ci ha dato un metro cosmico dieci
volte piu' preciso. Qualche spiegazione su come ha lavorato
Hipparcos. Il metodo applicato dal satellite per misurare la distanza
delle stelle e' quello della parallasse. Per capire che cos'e' la
parallasse, provate a tenere in mano una matita a braccio teso. Se
chiudete alternatamente prima un occhio e poi l'altro, vedrete che la
matita si proietta su punti diversi dello sfondo. L'angolo formato
dalle linee che congiungono i vostri occhi alla matita e' la
parallasse e da esso si puo' ricavare la distanza della matita con un
facile calcolo trigonometrico. Hipparcos ha fatto la stessa cosa con
le stelle: le piu' vicine, rispetto allo sfondo delle stelle piu'
lontane, cambiano posizione osservandole prima da una estremita'
dell'orbita della Terra e poi dall'altra, cioe' da posizioni distanti
300 milioni di chilometri. Con questo metodo pero' al massimo
giungiamo a un migliaio di anni luce. Per misurare la distanza delle
galassie si ricorre a stelle che variano regolarmente la loro
luminosita', chiamate Cefeidi. Ma le Cefeidi, per funzionare come
buoni indicatori di distanza, devono essere «tarate». Anche questo ha
fatto Hipparcos, approfittando del fatto che alcune Cefeidi sono
abbastanza vicine da poterne misurare la distanza con il metodo della
parallasse. Il margine di errore si e' cosi' abbassato, in alcuni
casi, ad appena l'uno per cento. La taratura della luminosita'
assoluta e quindi della distanza delle Cefeidi e' solo uno dei tanti
risultati estraibili dai dati di Hipparcos: il satellite ha scoperto
10.000 nuove stelle doppie o multiple, ha studiato 12.000 stelle
variabili conosciute scoprendone altre 8000, ha individuato il moto
proprio di moltissime stelle, ha permesso di individuare almeno una
stella nana bruna e probabili sistemi planetari simili al nostro.
Tutto cio' pur partendo con un grosso handicap: perche' il satellite,
lanciato il 6 agosto 1989 con un razzo «Ariane» dalla base europea di
Kourou (Guiana Francese) non riusci' a raggiungere la prevista orbita
geostazionaria, a 36 mila chilometri dalla Terra, a causa della
mancata accensione del motore di apogeo, il piccolo razzo a
combustibile solido che avrebbe dovuto sollevarlo dall'orbita bassa
fino alla sua sede definitiva. Cosi' Hipparcos e' stato costretto a
seguire un'orbita molto ellittica, con il perigeo (punto piu' vicino
alla Terra) a 540 chilometri e l'apogeo (il punto piu' lontano) a
36.000. E il tempo che impiegava a percorre questa orbita non era di
24 ore esatte, come si voleva, ma di 10 ore e mezzo. Cio' nonostante,
riorganizzando tutta la missione e il software per acquisire i dati,
il successo e' stato pieno. Anzi, la precisione delle misure e' stata
ancora migliore di quella prevista: la mappa del cielo disegnata da
Hipparcos rimarra' un punto di riferimento fondamentale per molte
generazioni di astronomi del futuro. Piero Bianucci
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Lambertini Marco: «Safari in Africa», Franco Muzzio Editore
OGENERE rubrica
OAUTORE R_SC
OARGOMENTI zoologia, libri
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS zoology, book
UNA guida pratica al safari (fotografico), con note su habitat degli
animali, dieta, socialita', riproduzione, tracce, i pericoli per
l'uomo, le cose da fare e da non fare, i problemi della conservazione
delle specie. Il tutto corredato da tavole a colori, mappe della
distribuzione geografica e disegni delle impronte. E' un volume
istruttivo anche per il semplice turista, che sara' cosi' in grado di
distinguere non soltanto i diversi animali ma interpretare
atteggiamenti, posture, versi. L'autore, giornalista free lance, gia'
direttore della Lipu Italia, dirige ora il programma BirdLife
International.
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
De Waal Frans: «Naturalmente buoni. Il bene e il male nell'uomo e
negli altri animali», Garzanti
OGENERE rubrica
OAUTORE R_SC
OARGOMENTI etologia, libri
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS ethology, book
Biologi ed evoluzionisti sostengono che deve esistere una continuita'
tra il comportamento dell'uomo e quello di altri animali, soprattutto
primati. Ma questa continuita' vale anche per il concetto di etica?
Moltissime osservazioni hanno dimostrato che l'altruismo e la
collaborazione non sono esclusiva prerogativa della nostra specie.
Basta pensare al gorilla che si sacrifica per un compagno ferito,
allo sguardo colpevole del cane che ha commesso una marachella, al
branco di elefanti che collabora per salvare un cucciolo. L'olandese
De Waal, docente all'Universita' di Atlanta, Texas, uno dei massimi
studiosi del comportamento animale, indaga sulle ragioni profonde del
nostro comportamento e sulle origini della morale.
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Dinucci Manlio: «Geografia dello sviluppo umano», Zanichelli
OGENERE rubrica
OAUTORE R_SC
OARGOMENTI didattica, libri
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS didactics, book
Un volume dedicato agli studenti delle superiori, con una prefazione
di Rita Levi Montalcini e contenente dati aggiornati al '95 su fonti
principalmente delle Nazioni Unite. Diviso in sette sezioni, ciascuna
a sua volta formata da tre capitoli. Con ipertesti, tabelle, grafici,
una complessa analisi interdisciplinare del mondo attuale. Questi i
grandi temi: Il rapporto fra popolazione, ambiente e risorse, Il
problema alimentare, Il problema energetico, Gli squilibri
socioeconomici, La mondializzazione dell'economia, Urbanizzazione e
societa' urbana, Il rapporto fra scienza e sviluppo, disarmo e
sviluppo, democrazia e sviluppo.
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Bettini Virginio, Canceli Claudio, Galantini Roberto, Rabitti Paolo,
Tartaglia Angelo, Zambrini Mario: «Alta velocita'. Valutazione
economica, tecnologica e ambientale del progetto», Editrice Cuen,
Napoli,
OGENERE rubrica
OAUTORE R_SC
OARGOMENTI trasporti, libri
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS transport, book
Molti in Italia pensano che i treni ad alta velocita' non siano cosi'
urgenti e necessari, e che sarebbe meglio far funzionare bene quelli
normali. Sul tema hanno scritto alcuni specialisti, esperti di
questioni ambientali, tecnici ed economici. E il responso alla fine
e' che bisogna fermare tutto e ripensare il problema. I vari
coordinamenti di cittadini toccati da vicino dai progetti hanno
bocciato tutte le premesse, sostenendo che l'alta velocita' «e'
sbagliata nei presupposti politici ed economici, inaccettabile nel
percorso metodologico e infine dannosa alle comunita' locali».
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Brown Lester R., Flavin Christopher, French Hilary: «State of the
World», Isedi Utet
OGENERE rubrica
OAUTORE R_SC
OARGOMENTI demografia e statistica, libri
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS demography and statistics, book
E' in libreria l'edizione italiana '97 sullo «Stato del Mondo», a
cura di Gianfranco Bologna, tradizionale rapporto annuale (il primo
usci' nel 1984) del Worldwatch Institute (sede a Washington, DC,
Usa), con notizie per niente rassicuranti: la popolazione e'
cresciuta di mezzo miliardo di persone in pochi anni, le scorte
alimentari sono in calo, le malattie infettive in aumento. Ma insieme
sembra che stiano diminuendo i gas responsabili dell'effetto serra e
che cresca il tenore di vita di alcune aree del pianeta. Mentre si
acuiscono i collegamenti tra i diversi fattori di sviluppo, politica,
economia, sfruttamento. (r. sc.)
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. LO SCHERMO DEL FUTURO
Vado al cinema. Cioe' mi collego a Internet
Un enorme ipertesto con molti finali e protagonisti intercambiabili
OAUTORE VALERIO GIOVANNI
OARGOMENTI informatica, elettronica
ONOMI GATES BILL, NEGROPONTE NICHOLAS,
OORGANIZZAZIONI INSTITUTE FOR ADVANCED TECHNOLOGIES IN THE HUMANITIES
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
OSUBJECTS computer science, electronics
STIAMO per passare da un mondo fatto di atomi a uno fatto di bit,
sentenziano i guru della rivoluzione digitale, a cominciare da
Nicholas Negroponte. Non c'e' quindi da stupirsi se anche il vecchio
cinema, che da poco ha festeggiato il primo secolo di vita,
affrontera' questo passaggio. Dopo la televisione e l'home video, i
film si diffonderanno attraverso Internet, grazie alle straordinarie
potenzialita' della fibra ottica. Lo affermano gli esperti di
telecomunicazioni, convinti che il passaggio dalla linea telefonica
ai cavi ottici aumentera' di 400 volte la capacita' di trasferire
informazioni. Ci crede Bill Gates, che ha cominciato la scalata ai
mass media. Un embrione del cinema che verra' sembra essere il sito
di WAXWeb (http://bug.village. virginia.edu). Il contenuto e'
difficile da definire. E' ancora un film? O un gigantesco ipertesto?
O solo un gioco per cinefili con la mania della scrittura? WAXWeb e'
qualcosa di piu', e di diverso, tanto che e' diventato quasi un «cult
movie» per il popolo di Internet. Il progetto, sostenuto
dall'Institute for Advanced Technologies in the Humanities
dell'Universita' della Virginia, e' nato da un video di David Blair
(«WAX or the Discovery of Television among the Bees»), girato
nell'ormai lontano 1991 e composto di duemila inquadrature, tutte
rielaborate al computer. In rete e' approdato solo un paio di anni
fa, quando il visionario Blair (aiutato dal programmatore Tom Meyer e
dalla grafica Suzanne Hader) ha proposto a 25 sceneggiatori di
integrare la storia originaria con i loro sviluppi personali, creando
il primo ipertesto di WAXWeb disponibile in rete. Ora tutti gli
utenti di Internet possono partecipare alla realizzazione, cambiando
i finali dei film, inserendo varianti, inventando nuovi protagonisti.
In qualsiasi punto dell'ipertesto e' possibile creare nuovi «link»
(punti attivi, vere e proprie biforcazioni del racconto) e aggiungere
frammenti di testo o immagini. In un paio di anni, sono stati 20 mila
gli «scrittori» che hanno contribuito a WAXWeb. Le scene, i dialoghi,
i personaggi si sono moltiplicati in continuazione, fino a dar vita a
un enorme film «mutante», assai diverso dalla gia' bizzarra storia
originale. Sul sito si sono accumulati 2000 pagine, 500 vidoclip e
quasi 5000 immagini fisse, all'insegna della massima contaminazione
tra i media, per un totale di un gigabite e mezzo di materiale
disponibile (quasi un triplo Cd-rom on line). Un magma difficile da
decifrare, anche per chi vuole vedere WAXWeb da semplice spettatore.
Il sito puo' essere visitato anche passivamente, senza manipolare la
storia. Si puo' accedere a tre livelli: «superstory» (un riassunto
della trama a grandi linee), «short film» (con audio e video) e «shot
by shot», in pratica una dettagliata sceneggiatura. Per chi non ha un
modem veloce, i tempi di attesa sono lunghi ed e' facile perdersi nel
mare narrativo dell'ipertesto. Ora ci sono anche centinaia di stanze
di realta' virtuale dove e' possibile incontrare i personaggi dei
film, realizzate con Vrml (Virtual Reality Modeling Language), il
linguaggio di programmazione che sta diffondendo la terza dimensione
sulla rete. Con WAXWeb crolla il mito dell'«autore». A differenza
della televisione (che pure ha cambiato il modo di vedere il cinema),
nella rete tutti gli spettatori possono diventare registi (o
sceneggiatori): chiunque puo' aprire una pagina e aggiungere cio' che
vuole. In balia della mediocrita' dei molti, il singolare film di
Blair e' diventato una matassa inestricabile di storie da seguire,
tante quante il caso. E in uno di questi embrioni del cinema futuro,
e' bello immaginare Humphrey Bogart e Ingrid Bergman che fuggono
insieme, felici, dall'aeroporto di Casablanca. Giovanni Valerio
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL VARANO DI KOMODO
Un drago violento e vorace
Una specie al limite della sopravvivenza
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
ANDIAMO in estasi di fronte alla ricostruzione dei dinosauri,
scomparsi 65 milioni di anni fa. E non ci accorgiamo di avere sotto
gli occhi un rettile vivente non meno impressionante. E' il varano di
Komodo. Sembra impossibile che un rettile cosi' gigantesco sia
rimasto ufficialmente sconosciuto alla scienza fino a questo secolo.
Per la verita' gli indigeni raccontavano storie mirabolanti sugli
spaventosi draghi che si aggiravano nelle isole della Sonda,
seminando morte e terrore. Ma gli scienziati davano poco credito a
queste voci. Finche', nel l9l2 il direttore del giardino botanico di
Buitenzorg (Giava) decise di organizzare una spedizione in una delle
isole abitate dal misterioso bestione. Si scopri' allora che si
trattava effettivamente di un varano eccezionale. Fra le 31 specie e
le 58 sottospecie di varani che vivono nelle regioni tropicali del
Vecchio Mondo, quello di Komodo e' certamente il piu' grande. Questi
rettili d'eccezione si trovano oggi solo in un angolino limitato del
mondo. Il loro habitat comprende l'isola di Komodo (600 chilometri
quadrati), le isolette di Padar e di Rintja e la parte occidentale
dell'isola di Flores, tutte appartenenti all'arcipelago della Sonda.
In un'area totale di l500 chilometri quadrati si valuta che la
popolazione dei varani non superi le 700-l000 unita'. Siamo ai limiti
della sopravvivenza. Ecco perche' il drago di Komodo e' protetto dal
governo indonesiano, le isolette di Padar e di Rintja sono
considerate riserve naturali e si spera cosi' di salvare una specie
che in cattivita' si riproduce assai raramente. Del suo modo di
vivere in natura sappiamo in sostanza assai poco. Dalle ricerche piu'
recenti sembra che non tema l'acqua. Il che avvalora l'ipotesi che
abbia potuto raggiungere a nuoto le isolette che occupa attualmente.
Nuota pero' in maniera tutta diversa da quella dei suoi cugini
coccodrilli. La testa la tiene fuor d'acqua e fa ondulare
sinuosamente il corpo massiccio e la lunga coda. Nei confronti delle
prede abituali, cerbiatti e maiali selvatici, la sua aggressivita' si
manifesta in modo assai cruento. Le insegue con un'agilita'
insospettabile in un bestione lungo due o tre metri e pesante 60-70
chili (in cattivita' diventa obeso e supera facilmente il quintale).
Le raggiunge, le ferisce conficcando gli unghioni poderosi nella
carne e le azzanna con la formidabile chiostra di denti aguzzi. Poi
il piu' delle volte non si cura affatto di sminuzzarle in bocconcini.
Gli basta abbassare il pavimento boccale per aumentare enormemente la
capacita' della faringe - come fanno del resto anche i serpenti - e
in tal modo puo' ingoiare un quarto di maiale selvatico o un
cerbiatto tutto intero. Per quanto gli animali vivi siano il suo
pasto preferito, non disdegna le carogne, di cui sente l'odore a
distanza incredibile. E talvolta puo' ricorrere a uno strano sistema
per divorarle. Incomincia dalla regione anale, si scava una sorta di
tunnel nell'interno della bestia e dal di dentro si mangia i visceri
per poi passare agli strati piu' esterni del corpo. Alla fine resta
soltanto lo scheletro spolpato di sana pianta. L'accoppiamento e'
piuttosto violento. Il maschio sale in groppa alla femmina e la morde
alla nuca. La stringe con tanta passione che finisce per affondarle
gli unghioni nella carne, provocandole serie ferite. E' il prezzo che
si paga all'amore. Le uova che la femmina depone hanno dimensioni
ragguardevoli, circa dodici centimetri di lunghezza e duecento grammi
di peso. Nonostante per sagoma e dimensioni, il varano di Komodo si
avvicini ai coccodrilli, c'e' in lui piu' di una caratteristica che
lo accomuna ai serpenti. Non solo la particolare dilatabilita' della
bocca e della faringe che gli consente di ingoiare prede enormi, non
solo una robusta scatola cranica che protegge il cervello dalla
pressione che i bocconi troppo voluminosi potrebbero esercitare sul
palato, ma anche il peculiare sistema con cui va in cerca della
preda. Ha anche lui la lingua bifida, una lunga lingua giallastra
biforcuta che saetta all'esterno in perenne esplorazione. E' il suo
modo di «assaggiare» l'ambiente, perche' raccoglie cosi' le molecole
odorose e le trasporta in due fossette che si trovano nel palato e
immettono in uno speciale organo, l'organo di Jacobson, ricco di
cellule sensorie atte a ricevere gli stimoli chimici. Con questo
straordinario strumento di sondaggio, il varano sente la presenza
della preda. Non e' raro vedere due o piu' individui che insieme
danno la caccia a una grossa preda. Ma c'e' sempre una precisa scala
gerarchica, per cui l'individuo piu' forte si accaparra i bocconi
migliori. Anche il maschio ha un ruolo dominante sulla femmina. Di
fronte al bottino di caccia, il marito si serve per primo senza
nessuna galanteria nei confronti della moglie che aspetta umilmente
in disparte il suo turno. Poiche' vive in una zona caldissima, dove
si raggiungono nella stagione secca punte di 75oC, diventa vitale per
lui cercare riparo nelle ore piu' calde del giorno. E il bestione
conosce metro per metro tutto il suo territorio. Sa bene dove trovare
le zone d'ombra, le grotte naturali, i rifugi da sfruttare. La
degradazione dell'ambiente naturale ad opera dell'uomo e' percio' una
delle minacce piu' gravi alla sua sopravvivenza. Purtroppo,
nonostante le rigide misure protezionistiche, i bracconieri
continuano a dargli la caccia non solo per la carne e le uova, ma
anche perche' diverse parti del corpo, come il grasso della coda,
vengono usate nella medicina cinese. Strano a dirsi, ma in
cattivita', nei pochi zoo del mondo che li ospitano, i draghi di
Komodo perdono l'innata aggressivita', diventano docili e mansueti e
danno prove molteplici delle loro elevate capacita' psichiche. Grazie
all'olfatto ultrasensibile riconoscono l'odore del guardiano,
reagiscono al suo richiamo, imparano l'ora del pasto. E cio'
testimonia che, oltre a tutto, hanno un'ottima memoria. Isabella
Lattes Coifmann
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. UNA BANCA PER IL SANGUE CORDONALE
L'ombelico congelato
Per curare leucemie e talassemie
OAUTORE FAGIOLI FRANCA, MADON ENRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI GAVOSTO FELICE, GHIROTTI GIGI
OORGANIZZAZIONI GRACE GRUPPO DI RACCOLTA E AMPLIFICAZIONE DELLE CELLULE
EMOPIOETICHE,
ADISCO, OSPADALE MOLINETTE
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE T. Descrizione del programma
OSUBJECTS medicine and physiology
NEGLI Anni 60 per curare le malattie del sangue si tento' per la
prima volta il trapianto di midollo osseo da donatore sano (trapianto
allogenico). Con il tempo si e' imparato a ridurre il rischio di
rigetto e a utilizzare per il trapianto non solo le cellule midollari
ma anche quelle circolanti nel sangue periferico, anch'esse ricche di
progenitori staminali, le cellule che garantiscono l'attecchimento.
Il trapianto allogenico e' quindi diventato una terapia consolidata
per leucemie, aplasie, talassemie e altre gravi malattie. Tra il
donatore e il ricevente deve pero' esistere una istocompatibilita',
che viene accertata con un test. Purtroppo le barriere di
istocompatibilita' sono tali che un ammalato che necessiti di
trapianto da un donatore sano ha solo il 25 per cento di probabilita'
di avere un familiare identico. Per offrire al maggior numero di
malati la possibilita' del trapianto ci si muove in due direzioni. La
prima e' quella di creare grandi «banche dati» di potenziali donatori
di midollo osseo. Su questa base e' stato istituito un Registro
Mondiale dei Donatori (piu' di tre milioni di volontari iscritti).
Nonostante le dimensioni del Registro, meno del 35 per cento dei
pazienti puo' trovare un midollo identico e in caso di minoranze
etniche la probabilita' e' ancora minore. La ricerca richiede tempi
lunghi, non inferiori ai sei mesi, e i costi sono alti. La seconda
via consiste nel trapiantare anche soggetti che presentano una
istocompatibilita' solo parziale. Alla fine degli Anni 80 si e'
intravista una nuova possibilita' per offrire il trapianto a un
maggior numero di pazienti pediatrici: utilizzare il sangue del
cordone ombelicale. In un articolo pubblicato proprio su
«Tuttoscienze» poche settimane fa, Felice Gavosto ha raccontato la
storia scientifica che, partendo dagli Anni 70, ha permesso di
giungere, negli Anni 90, ad utilizzare il sangue del cordone
ombelicale per il trapianto sfruttando l'elevato numero di cellule
staminali che esso contiene. Altre caratteristiche peculiari del
sangue cordonale sono il ridotto rischio di contaminazione virale e
soprattutto l'immaturita' immunologica, per cui e' possibile eseguire
trapianti anche in caso di istocompatibilita' solo parziale. Un
limite del sangue cordonale e' tuttavia legato al suo basso volume
complessivo, per cui, pur avendo una maggiore potenzialita'
emopoietica rispetto al midollo, e' stato finora utilizzato
principalmente nel trapianto di bambini di peso inferiore ai 30
chilogrammi. Queste caratteristiche, unite al fatto che puo' essere
prelevato dopo il parto senza alcun rischio ne' per la madre ne' per
il neonato e che quando e' congelato e' rapidamente disponibile in
caso di necessita', rendono il sangue del cordone ombelicale
adattissimo per costituire «banche di cellule staminali» per
trapianto. Nel novembre 1990 a Torino e' stato congelato il primo
sangue cordonale. Negli anni successivi si e' giunti a una vera e
propria banca di sangue cordonale e in parallelo ne sono sorte altre
in diverse citta' (Roma, Milano, Firenze, Padova, Bologna). Su questa
base dal 1994 si e' costituito il Grace (Gruppo di Raccolta e
Amplificazione delle Cellule Emopoietiche), che si e' coordinato con
altri centri in una banca europea. Torino, fin dall'inizio, ha fatto
parte di questa iniziativa. Attualmente sono conservati presso la
Banca di Sangue Cordonale di Torino oltre 300 campioni. La maggior
parte dei cordoni, oltre 250, sono a disposizione di chiunque nel
mondo ne abbia necessita'; i rimanenti sono riservati a un nucleo
familiare definito. Essi infatti sono di consanguinei di soggetti con
gravi malattie per i quali e' probabile il trapianto. Non si ritiene
opportuno, invece, conservare indistintamente ed esclusivamente per
uso personale le cellule di cordone ombelicale in quanto le
probabilita' di dover utilizzare il proprio sangue cordonale sono una
su 60.000. Ma quello che e' un discorso non logico, sia in termini
organizzativi sia di costi, a livello del singolo individuo, e' utile
a livello di sanita' pubblica. In questo quadro si inserisce
l'attivita' dell'Adisco (Associazione Donatrici Italiane Sangue
Cordone Ombelicale), una associazione nazionale con una sezione
piemontese che ha lo scopo di potenziare le banche per renderle di
dimensioni tali da garantire il trapianto a qualunque bambino ne
abbia bisogno. L'Adisco promuove anche la ricerca scientifica, volta
soprattutto a superare il limite principale del trapianto di cordone:
il ridotto volume. La tecnica di espansione in vitro, in cui il
gruppo torinese e' all'avanguardia, potrebbe portare nel corso degli
anni alla possibilita' di trapianto del sangue cordonale anche nei
pazienti adulti. Delle opportunita' terapeutiche derivanti dal sangue
del cordone ombelicale si parlera' venerdi' 30 maggio a Torino,
Molinette Incontra, in occasione di un convegno promosso dal Comitato
Gigi Ghirotti (informazioni: 011-65.68.336). Franca Fagioli Enrico
Madon
ODATA 28/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. CELLULE BETA
La difficile guerra ai linfociti killer
OAUTORE PONZETTO ANTONIO
OARGOMENTI biologia
ONOMI STOECKERT CHRISTIAN, LAU HENRY
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS biology
IL fatto era accaduto vicino ad una chiesa di cappuccini, asilo, come
ognun sa, impenetrabile allora a' birri» (Alessandro Manzoni, «I
promessi sposi», capitolo 4). Anche nel nostro corpo esistono siti
privilegiati, dove i linfociti killer non possono entrare: i
testicoli, l'utero, la cornea e il cervello. Come tutti gli eventi
biologici, anche questo ha una spiegazione recentemente identificata:
alcune cellule di questi organi producono una sostanza (nome in
codice: Cd 95), che, quando lo incontra, costringe il linfocita
killer a fare «harakiri», il suicidio programmato, che nel linguaggio
dei medici si chiama apoptosi. I linfociti killer sono gli armigeri
del nostro sistema immunitario, e uccidono le cellule da loro
riconosciute come non normali, o «diverse». Il loro giudizio, pero',
a volte, e' sommario: cosi', nel diabete giovanile (detto Tipo I)
attaccano fino alla totale distruzione le cellule produttrici di
insulina, quelle cellule beta che si trovano solo nelle isole di
Langerhans del pancreas. Il diabete giovanile, malattia autoimmune
purtroppo abbastanza frequente, e' dunque il risultato di un «errore
giudiziario» commesso dal nostro sistema immunitario. I chirurghi
trapiantatori, forti dei successi nel trapianto di rene, di cuore, di
fegato, hanno provato a sostituire anche le isole di Langerhans di
questi pazienti con altre, di donatori sani, ma senza alcun successo:
i killer uccidono anche le nuove cellule. Perche' non portare dunque
le cellule beta in un luogo privilegiato? Allora si' che sarebbero al
sicuro dai «birri». Il nostro organismo, per eliminare il killer
impazzito che uccide le cellule sane, gli ha fornito un meccanismo di
autodistruzione, e una «radio» per ricevere il segnale che lo attiva.
La radio ricevente e' una proteina, ha nome Fas e sta sulla
superficie esterna dei linfociti killer. Anche il segnale, cioe' il
Cd 95, e' una proteina, e quando vede Fas la avvinghia, innescando
cosi' il meccanismo che porta a morte il killer. Christian Stoeckert
ed Henry Lau hanno nascosto alcune centinaia di cellule beta delle
isole di Langerhans all'interno di una struttura fatta da cellule di
muscolo, al cui esterno sono esposte le proteine Cd 95. Ovviamente le
cellule muscolari normali non hanno queste proteine sulla superficie;
il «miracolo» e' stato ottenuto con l'ingegneria molecolare,
inserendo il gene specifico per Cd 95 in tali cellule. Il convento
sicuro per le cellule beta e' pronto, il chirurgo trapianta la nuova
isola di Langerhans biotecnologica sotto la capsula renale, dove le
cellule beta possono produrre insulina secondo le necessita'
dell'organismo. Quando arriva il killer pronto a uccidere, le cellule
muscolari gli inviano il segnale di «autodistruzione». C'e' un solo
problema: tutto cio' e' stato gia' fatto nel topo («Science», 5
luglio 1996). Avra' successo anche nell'uomo? Antonio Ponzetto
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IL MISTERO DEL TEMPO
Illusione o essenza dell'universo?
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI epistemologia
ONOMI PLACIDO BENIAMINO, PRIGOGINE ILYA, TIPLER FRANK, GIORELLO GIULIO,
TIEZZI ENZO, DE CRESCENZO LUCIANO, ACCORNERO GUIDO
OORGANIZZAZIONI SALONE DEL LIBRO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS epistemology
SI apre domani al Lingotto il decimo Salone del Libro di Torino:
schiera 1368 editori, ha in programma 170 dibattiti, attende almeno
200 mila visitatori. E ruota intorno a un tema ambizioso,
sfaccettato, elusivo: l'immortalita'. Come sempre, proponendo per il
Salone del Libro un tema generale, Beniamino Placido ha inteso
offrire uno spunto di riflessione, ma anche delimitare un terreno sul
quale possa svolgersi un gioco di societa' piu' o meno intellettuale
(talvolta anche intellettualistico). La scienza ha saputo stare al
gioco. Ospiti del Salone saranno il premio Nobel per la chimica. Ilya
Prigogine, che del concetto di tempo ha fatto il perno dei propri
studi, e il fisico americano Frank Tipler, che ritiene di poter
dimostrare la risurrezione dei morti con le equazioni della meccanica
quantistica, la cosmologia e l'informatica. Di fronte al tempo la
fisica ha un atteggiamento schizofrenico. I fenomeni fisici piu'
semplici sono indifferenti alla direzione dello scorrere del tempo.
Posso filmare il moto dei pianeti intorno al Sole e poi proiettare il
film all'indietro invertendo il tempo: la legge di Newton risultera'
ugualmente rispettata. Altrettanto vale per i fenomeni nel microcosmo
dell'atomo. Da questi punti di vista, il tempo non esiste: Einstein
lo defini' una «ostinata illusione». Al contrario, se consideriamo
fenomeni complessi, bisogna fare i conti con la seconda legge della
termodinamica, che stabilisce una direzione del tempo ineluttabile,
senza ritorno. La legge in questione puo' avere varie formulazioni,
ma in sostanza afferma che nell'universo l'energia puo' soltanto
degradarsi, fino a una totale uniformita', che e' l'equivalente
termodinamico della morte biologica. D'altra parte la direzione del
tempo e' qualcosa di evidente ed essenziale anche in fenomeni come
l'evoluzione dalle forme di vita piu' semplici a quelle piu'
complesse, o l'evoluzione dell'universo dal Big Bang alle attuali
galassie in fuga. Per non parlare dello sbiancarsi dei nostri
capelli... Fino a pochi anni fa la scienza ha cercato di ridurre
tutti i fenomeni, anche i piu' complessi, a fenomeni semplici. Cioe'
indifferenti al tempo. Ma oggi - sostiene Prigogine - questa
rimozione non e' piu' possibile. Avanzano le scienze della
complessita', le scienze del caos. Sabato, alle ore 16, nella Sala
dei Cinquecento, Prigogine (che su questi temi ha appena pubblicato
da Bollati Boringhieri «La fine delle certezze») ne dibattera' con il
filosofo della scienza Giulio Giorello, il chimico-fisico Enzo Tiezzi
e con Luciano De Crescenzo, scrittore e divulgatore della filosofia.
Quanto a Frank Tipler, potremo ascoltarlo venerdi' alle 15; anche lui
- ovvio - in margine ad un suo libro molto discusso e discutibile:
«La fisica dell'immortalita'» (Mondadori). Ma il tema
dell'immortalita', piu' ancora che la fisica, chiama in causa la
biologia. Sabato alle 15 Alberto Piazza discutera' di ingegneria
genetica con John Harris, Giovanna Melandri, Maurizio Mori e Riccardo
Chiaberge; e sul tema si tornera' domenica alle 11, con Boncinelli,
ancora Piazza e altri. Infine, una curiosita': persino «Nature» in
questi giorni si occupa dell'immortalita', con una inchiesta
sociologica svolta nella comunita' scientifica americana. Ne
riferisce qui accanto Ezio Giacobini. Una pura coincidenza. Ma a
Guido Accornero, padre del Salone, fara' piacere. Immortalita' a
parte, comunque, non dimentichiamo i libri scientifici e i giovani
lettori. Tra le tante iniziative, segnaliamo, lunedi' alle 14,30,
«Leggere la scienza» (organizzano Provveditorato, Provincia di Torino
e Salone del libro). Piero Bianucci
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
INCHIESTA SU «NATURE»
Lo scienziato non desidera l'eternita'
Il 64 per cento su un campione di mille ricercatori americani
dichiara apertamente il proprio disinteresse per la vita oltre la
morte I matematici sono i piu' inclini a credere in un ente divino,
lo scetticismo dei fisici e degli astronomi ha ormai raggiunto quello
dei biologi
OAUTORE GIACOBINI EZIO
OARGOMENTI epistemologia
ONOMI JENNINGS BRYAN WILLIAM, LUBA JAMES
OORGANIZZAZIONI SALONE DEL LIBRO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS epistemology
QUANDO, nel 1916, l'eminente psicologo statunitense James Luba spedi'
un questionario a mille scienziati americani con la domanda «Credete
in un Dio che comunica con l'umanita' tramite l'intelletto e il cuore
e che si puo' pregare con la speranza di ricevere una risposta?» non
poteva immaginare le conseguenze della sua inchiesta. Non solo
provoco' uno scandalo di dimensioni nazionali ma i risultati ebbero
un notevole impatto politico. Per limitarci alla reazione politica
piu' importante, il senatore democratico William Jennings Bryan,
alleatosi con l'ala conservatrice delle organizzazioni cristiane
americane, accuso' l'inchiesta di rappresentare un'espressione del
male delle tendenze moderniste. Cosi', non solo James Luba, ma molti
scienziati delle universita' americane, davanti all'opinione
pubblica, finirono con l'essere ritenuti colpevoli di un tentativo di
corruzione della fede dei loro studenti. Che cosa aveva scoperto di
cosi' grave, James Luba, da irritare tanto gli animi religiosi? I
risultati dell'inchiesta pubblicati a Boston nel 1916 come studio
psicologico, antropologico e statistico dimostravano che la
maggioranza (60 per cento) degli scienziati americani (uomini e
donne) selezionati a caso in varie universita' dichiarava di non
credere in Dio, di dubitare dell'immortalita' dell'anima (50 per
cento) e di non desiderare affatto di divenire immortale (66 per
cento). Basandosi sui suoi dati, James Luba prevedeva inoltre che con
il diffondersi dell'istruzione scientifica in tutta la societa'
americana anche l'agnosticismo sarebbe aumentato. Profezia vera o
falsa? Nel 1996 due studiosi americani si sono proposti di verificare
i dati di Luba con uno studio identico svolto a distanza di 80 anni
dal primo. I dati sono ora pubblicati nella prestigiosa rivista
scientifica «Nature». La previsione di Luba di un aumento del numero
di scienziati non credenti non si e' avverata. Paragonando i dati del
1996 di Larson e Witham con i suoi possiamo calcolare che se si
mantiene la tendenza degli ultimi ottant'anni occorrera' almeno un
secolo per arrivare alla quasi totalita' di scienziati agnostici.
C'e' poi una serie di dati che riguardano il concetto e il desiderio
dell'immortalita' (guarda caso, proprio il tema del Salone del Libro
che sta per aprirsi a Torino). La differenza tra i dati
dell'inchiesta di ottant'anni fa e quelli attuali non consiste in un
aumento significativo dell'agnosticismo quanto in una diminuzione
della credenza, oggi, nell'immortalita' dell'anima, con una caduta
dal 51 al 38 per cento. Ma ancora piu' forte e' la caduta «di un
intenso desiderio di immortalita'»: dal 34 per cento al 9 per cento,
con il 64 per cento degli scienziati che dichiara apertamente di «non
desiderare affatto l'immortalita'» (anche se uno degli intervistati
commenta: «Pero' sarebbe bella»). Quest'ultimo quesito punta
direttamente al cuore del contrasto tra emotivita' e razionalita'.
Malgrado lo scetticismo del 1916, ben il 73 per cento degli
scienziati non credenti di allora desiderava l'immortalita' mentre
oggi questo gruppo e' molto piu' scettico (commento di un
intervistato: «Non ha senso desiderare il ridicolo»). Nei risultati
delle due inchieste ci sono poi altre interessanti differenze. Tra
gli scienziati di oggi i matematici sono i piu' inclini a credere nel
divino (40 per cento) mentre il primato dello scetticismo tocca ai
fisici e agli astronomi (78 per cento di non credenti). Questo dato,
curiosamente, e' molto simile a quello trovato per i biologi nel 1916
(70 per cento di non credenti). Agli inizi del secolo fisici famosi
come Lord Kelvin, Eddington e Millikan difendevano pubblicamente la
loro fede mentre oggi questo atteggiamento e' raro. Ci puo' forse
stupire il crescente agnosticismo degli astrofisici in un periodo nel
quale una teoria cosmologica come quella del Big Bang potrebbe
portarci verso una visione religiosa naturalista e panteista
dell'universo. Altrettanto sorprendente e' la relativa stabilita'
della fede nei biologi se si pensa che nel 1916 il naturalismo
evolutivo darwiniano non solo era una eresia dal punto di vista
religioso ma era ancora molto dibattuto negli ambienti scientifici.
Oggi viene accettato dalla stragrande maggioranza dei biologi di ogni
fede, e anche dal Papa. I dati di Luba erano raccolti tra il 20 per
cento degli scienziati del tempo mentre quelli di Larson e Witham,
data l'enorme espansione della scienza americana, derivano da un
campione relativamente piu' piccolo (mille sui circa trecentomila
scienziati che lavorano negli Stati Uniti). Le universita' americane
sono oggi molto piu' eterogenee per etnicita', credenze religiose,
nazionalita' e culture diverse delle europee (basti l'esempio
dell'Universita' di Berkeley, dove il 45 per cento degli studenti e
il 25 per cento dei professori e' di origine asiatica). E' quindi
difficile paragonare la situazione americana a quella europea. Essa
sembra pero' confermare i dati di inchieste come quella svolta nel
1969 dalla Commissione Carnegie su sessantamila professori
universitari americani: di essi soltanto il 30-40 per cento si
ritiene «conservatore dal punto di vista religioso» e va in chiesa
con la stessa frequenza della popolazione generale. Ezio Giacobini
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
LETTERA APERTA AL MINISTRO BERLINGUER
Non si vive di sola ricerca applicata
Il Cnr deve cambiare, ma salvando gli studi di base
OGENERE lettera
OAUTORE CLEMENTI FRANCESCO, MONATECUCCO CESARE, MELDOLESI JACOPO
OARGOMENTI ricerca scientifica, ministri
ONOMI BERLINGUER LUIGI, BIANCO LUIGI
OORGANIZZAZIONI CNR
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OKIND letter
OSUBJECTS research, minister
MINISTRO Berlinguer, abbiamo letto con molto interesse la sua
intervista apparsa su «Science». In essa lei affronta con chiarezza
una esigenza che tutti gli scienziati italiani ritengono fondamentale
e urgente: la riforma della rete scientifica in Italia. Riteniamo
giusto che la riforma abbia inizio dal Cnr, un ente prestigioso che
oggi si trova pero' in una profonda crisi, istituzionale e di
identita'. Siamo d'accordo che anche per il Cnr e per gli altri enti
di ricerca non universitari si stabilisca una «mission» che ne
caratterizzi le finalita'. Siamo, invece, molto preoccupati dalle
scelte strategiche. Lei dice chiaramente che «il Cnr non deve fare
ricerca di base ma solamente ricerca applicata», ribadendo che la
nomina di Luigi Bianco a presidente del Cnr si inserisce in questo
piano in quanto «egli ha una lunga esperienza di ricerca applicata».
Infine sostiene che la ricerca di base si deve fare soltanto nelle
universita'. A questo proposito vorremmo esprimere con forza il
nostro dissenso nei confronti di una visione della ricerca
scientifica che rischia di essere guidata da criteri limitati e
burocratici. Per illustrare le nostre convinzioni ci serviremo di
alcuni episodi, storici e recenti. 1. La distinzione tra ricerca di
base e applicata e' oggetto di intenso dibattito. Piu' di cento anni
fa Luigi Pasteur insegnava ai suoi ricercatori che la distinzione
importante non e' tra ricerca di base e applicata, ma tra ricerca di
buona qualita' e ricerca di cattiva qualita'. Ogni osservatore
attento sa dei moltissimi casi, anche recenti, nei quali risultati di
base si sono trasformati rapidamente, e spesso inaspettatamente, in
risultati di grande rilievo sociale ed economico. Basti ricordare lo
sviluppo delle biotecnologie nel settore della diagnostica medica e
della produzione agraria, le nuove terapie per l'Aids scaturite da
ricerche di biologia cellulare, le tecnologie Tac, Pet e Nmr
applicate alla medicina di tutti i giorni. La richiesta che oggi
l'industria farmaceutica e biotecnologica fa al ricercatore non e'
quella di condurre nel suo laboratorio il lavoro applicato ma
piuttosto quella di fornire spunti, modelli e criteri di base,
indispensabili per lo sviluppo di ricerche applicate e competitive.
2. Il Giappone, che e' il Paese avanzato forse piu' attento ai
problemi industriali e applicativi, ha recentemente modificato la sua
politica scientifica tradizionale. Dopo un approfondito esame dei
risultati ottenuti in questi ultimi anni attraverso una politica
finalizzata quasi solo alla ricerca applicata, ha cambiato obiettivo,
orientandosi soprattutto verso il potenziamento di centri di
eccellenza per la ricerca di base. 3. Riguardo all'Italia ci si
domanda se davvero la ricerca di base potra' essere proseguita
adeguatamente nell'ambito dell'universita' o se non continuera' il
processo di lento ma progressivo ridimensionamento. A prescindere dai
problemi di coordinamento, come si potra' fare un lavoro di questa
importanza praticamente in assenza di specifici finanziamenti?
Infatti i finanziamenti universitari non solo hanno avuto finora un
ruolo assolutamente marginale nei campi piu' caldi della ricerca ma
sono stati di recente ridotti. 4. Nel Cnr coesistono tutte e due le
anime della ricerca, di base e applicativa. Questo dualismo e' un
patrimonio importante da preservare, incoraggiandone il coordinamento
con opportuni incentivi, quali la brevettabilita' e la rimunerazione
delle ricerche. Il Cnr puo' giocare un ruolo strategico fondamentale
per il progresso della ricerca nel nostro Paese. Tra gli aspetti che
possono essergli attribuiti ricordiamo i seguenti: 1) Programmare e
coordinare la ricerca in Italia. 2) Esplorare i settori nuovi della
ricerca, che l'universita', oberata di didattica e sclerotizzata in
discipline accademiche, non riesce a seguire adeguatamente. 3)
Potenziare i settori nei quali siano necessari investimenti
coordinati di risorse ingenti, difficilmente attivabili in un'area
frammentata come la ricerca universitaria. 4) Sviluppare i servizi
tecnologici di alto livello cui potrebbe accedere sia l'universita',
sia l'industria, sia altre organizzazioni pubbliche e private. Si
pensi per esempio ai grandi centri di calcolo e alle reti
telematiche. Naturalmente per aderire alle nuove prospettive qui
riassunte il Cnr deve cambiare. Deve divenire un organismo agile, sia
nella struttura scientifica sia in quella burocratica, capace di
valutare con flessibilita' e rigore le proprie unita' di ricerca e i
propri ricercatori, e di intervenire in conseguenza; e deve avere una
amministrazione snella e decentrata. In conclusione, riteniamo che la
riforma della ricerca possa essere affrontato con possibilita' di
successo solo tenendo conto che la riforma del Cnr deve portare alla
valorizzazione dei suoi aspetti positivi, non alla loro eliminazione.
E' necessario che vengano stabiliti criteri trasparenti di
valutazione della ricerca basati, come in tutti gli altri Paesi
avanzati e a livello europeo, sull'opinione di peer reviewers.
Soltanto cosi' diventera' possibile distinguere la ricerca buona da
quella cattiva e provvedere di conseguenza in termini di
finanziamenti. E' necessario che commissioni di esperti
internazionali vengano nominate per tutte le strutture di ricerca del
Cnr, con funzioni di valutazione e di stimolo per il lavoro di
ricerca. E' necessario che le strutture del Cnr vengano
rivitalizzate, anche con l'immissione di giovani ricercatori, ferma
ormai da troppo tempo. Le condizioni di disinteresse e di
sottofinanziamento in cui la ricerca e' rimasta per decenni hanno
contribuito alle difficolta' che l'Italia incontra in questo periodo
storico. Noi crediamo pero' che una revisione attenta della politica
della ricerca, basata soprattutto sulla qualita' e sul merito,
sarebbe ancora in grado di riportare la comunita' scientifica
italiana a competere a livello europeo ed internazionale, nel segno
delle nostre migliori tradizioni. Francesco Clementi Universita' di
Milano Cesare Montecucco Universita' di Padova Jacopo Meldolesi Dibit
e Universita' di Milano
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. COLLEGAMENTO DALLO CSELT
Pronto qui Piramide...
Scienziati italiani sull'Everest
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI ricerca scientifica
ONOMI COMI MICHELE, MORO SIMONE, PAGLIANI SILVIA, DA POLENZA AGOSTINO,
MARCONI CLAUDIO, VATTA ANDREA
OORGANIZZAZIONI CSELT
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS research
VENERDI' 16 maggio, ore 11,30. Sul video del laboratorio dello Cselt,
estrema periferia Nord di Torino, le immagini sono precise e i colori
vivi, anche la voce arriva nitida e forte. Michele Comi, Simone Moro
e Silvia Pagliani riferiscono senza enfasi del loro lavoro; tutto
appare facile, normale, una banale teleconferenza. Ma qualcosa di
speciale c'e': i nostri tre interlocutori si trovano al centro
dell'Asia, a 5050 metri, sui contrafforti dell'Himalaya, e, tanto per
gradire, fuori infuria da giorni una violenta bufera, che ha causato
otto morti tra le numerose spedizioni alpinistiche impegnate sul
«Tetto del mondo». Comi, Moro e Pagliani sono tre ricercatori che da
tempo lavorano nel laboratorio-osservatorio «Piramide» costruito
sulle pendici himalayane nel 1990 nell'ambito del progetto Ev-K2-Cnr
ideato e diretto inizialmente da Ardito Desio, al quale e' succeduto
ora Paolo Cerretelli. E' il laboratorio scientifico piu' alto del
mondo; costruito in territorio nepalese, e' appunto una piramide di
alluminio e vetro, autosufficiente dal punto di vista energetico e
dotata di tutte le normali attrezzature di un laboratorio di ricerca.
Fin dalla sua apertura il laboratorio e' diventato punto di
riferimento per universita', istituti scientifici e ricercatori di
tutto il mondo, in particolare di quelli nepalesi, pachistani e
cinesi, orientandosi specificamente allo studio degli effetti
dell'alta quota sull'organismo umano, alla geologia della tormentata
regione himalayana, al controllo delle variazioni climatiche
attraverso lo studio dei ghiacciai, alle ricerche tecnologiche in un
ambiente caratterizzato da ridotta pressione atmosferica, forti
escursioni termiche e durissime condizioni meteo. Il collegamento in
video e voce in tempo reale in condizioni cosi' estreme e' frutto di
un progetto studiato dallo Cselt, l'avanzato centri studi sulle
telecomunicazioni di Torino, e realizzato insieme con Telecom Italia.
Suoni e immagini riprese all'interno della «Piramide» sono codificate
in forma digitale e inviate a uno dei satelliti della costellazione
Inmarsat collocato a 36 mila chilometri di altezza al di sopra
dell'Oceano Indiano, rilanciati verso una delle numerose stazioni di
terra (nel nostro caso quella norvegese di Eik), e da qui instradati
sulla rete Isdn europea, la stessa che viene utilizzata per le
normali videoconferenze, fino all'utente finale. Il sistema e' gia'
stato usato, e via via affinato, per collegare la spedizione
«Overland» tra novembre '95 e aprile '96 di quattro camion Iveco che
da Roma hanno raggiunto New York via terra passando per la Siberia, e
per la barca «Telecom Italia» del velista Giovanni Soldini tra giugno
e agosto dello scorso anno durante le regate oceaniche «Europe 1
Star» e «Quebec-St Malo». Il collegamento di oggi avviene in un
momento cruciale del progetto Ev-K2-Cnr: Comi, Moro e Pagliani sono
soli nella «Piramide» perche' gli altri (ricercatori dell'Istituto di
tecnologie biomediche avanzate del Cnr di Milano, alpinisti del
gruppo Ragni della Grignetta di Lecco, Scoiattoli di Cortina, guide
alpine valdostane, venete, lombarde, svizzere e francesi) insieme
agli sherpa nepalesi, sono sulla montagna, impegnati nel progetto
East (Extreme altitude survival test); progetto che prevede la
permaneza per due notti di 10 alpinisti al Colle Sud, 8000 metri di
quota tra l'Everest (8846 metri) e il Lhotse (8501). Sotto la guida
del leader della spedizione, Agostino Da Polenza, sono gia' stati
allestiti due campi base intermedi ma da alcuni giorni il vento
violentissimo impedisce di collocare la tenda che dovra' ospitare le
cavie umane a quota 8000. Come vanno le cose lassu'? Dalla «Piramide»
Comi chiama Da Polenza con il walkie-talkie; il capo della spedizione
e' appena tornato al campo base dal campo 2 a quota 6400 metri.
«Stiamo relativamente bene - riferisce -; vedo fuori dalla tenda una
forte tormenta. Se il vento non molla avremo delle difficolta'». Si
avverte la sua voce rotta, il respiro frequente. La scarsita' di
ossigeno gia' al campo base si fa sentire ma le difficolta'
aumenteranno rapidamente alle quote superiori, spiega dalla
«Piramide» la dottoressa Pagliani, fisiologa dell'Universita' di
Brescia; tutte le cellule del corpo, comprese quelle del cervello,
della retina, quelle uditive e olfattive, sono sottoposte a un forte
stress. Con il progetto East si vogliono valutare gli effetti
dell'ipossia estrema. «E' auspicabile - ha scritto Claudio Marconi,
dell'Istituto di tecnologie biomediche avanzate del Cnr di Milano -
che da questi studi possano derivare benefici per tutti quei pazienti
con insufficienza cardiaca o respiratoria i cui tessuti periferici, e
in particolare i muscoli, si trovano in una condizione similare di
ipossia cronica, pur vivendo a livello del mare». Il collegamento sta
per finire; c'e' ancora il tempo per una fantastica visione dei
settemila coperti di ghiacciai eterni che circondano la Piramide e
per vedere un enorme seracco che si stacca e precipita in una nuvola
bianca fino ad avvolgere con il suo pulviscolo ghiacciato lo stesso
laboratorio. Sul tema «piramide», da segnalare un recentissimo lavoro
di Andrea Vatta, giovane divulgatore scientifico di Trieste, che ha
firmato «Il tricolore sul tetto del mondo», una puntuale ricerca
sulla stazione scientifica, tra cronaca e storia, dal progetto
all'inaugurazione avvenuta nel 1990, alla serie di complessi
esperimenti tuttora in corso. Il volume verra' presentato il 21
maggio all'Universita' di Trieste in occasione di un convegno su
«Himalaya e Karakorum», festeggiando anche i cent'anni di Ardito
Desio, ideatore del progetto. Interverra' il professor Shams
dell'Universita' del Punjab in Pakistan. Informazioni: 040-37.16.78.
Vittorio Ravizza
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. MATEMATICA
Alla ricerca del numero piu' casuale
OAUTORE DAPOR MAURIZIO
OARGOMENTI matematica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS mathematics
OGNUNO di noi e' in grado di stabilire se un sistema sia ordinato
oppure no. La stanza dei nostri bambini, al termine di una domenica
piovosa passata in casa a giocare, sara' probabilmente un sistema
disordinato. Gli oggetti, i giocattoli, i mattoncini di Lego, le
bambole e cosi' via saranno infatti disposti in maniera casuale su
tutta la superficie del pavimento, sui tavoli, sulle sedie, sui
letti. Dopo che i pargoli si saranno addormentati il lavoro dei loro
genitori ritrasformera' la stanza in un sistema ordinato. Al termine
di quel lavoro il livello di casualita' nella disposizione degli
oggetti all'interno della stanza si sara' notevolmente ridotto. Lo
stesso vale per una sequenza di numeri. E' piuttosto facile
persuadersi del fatto che la sequenza 10101010 e' piu' ordinata della
10011100. Il problema diventa tuttavia piu' complicato se si desidera
fornire una misura del livello di casualita' associato alle due
sequenze di numeri. O, piu' in generale, se si desidera confrontare i
valori di casualita' di sequenze con un elevato valore dell'entropia,
o disordine. E', probabilmente, molto difficile esprimere un giudizio
su quale, tra la stanza dei nostri bambini e quella delle loro amiche
che abitano nella casetta accanto, sia la piu' disordinata. Di questo
problema si sono recentemente occupati due ricercatori - Burton
Singer insieme con il matematico free-lan ce Steve Pincus - i quali
hanno pubblicato, nel mese di aprile di quest'anno, i risultati della
loro ricerca sulla prestigiosa rivista «Procedings of the Natio nal
Academy of Sciences». Consideriamo la sequenza dei decimali presenti
in alcuni numeri irrazionali, vale a dire quei numeri che non sono
esprimibili come il rapporto tra due numeri interi. I due numeri
irrazionali piu' famosi sono forse pi greco = 3,14159... (il rapporto
fra la circonferenza e il diametro del circolo) ed e = 2,71828...
(la base dei logaritmi naturali). Le sequenze di infinite cifre che
costituiscono questi due numeri sono chiaramente due sequenze di
numeri casuali. Quale delle due sequenze e' piu' casuale? Secondo il
metodo di analisi proposto dai due ricercatori l'ordine di casualita'
di pi greco e' superiore a quello di e. Per esemplificare il metodo
utilizzato dai due matematici, ricorriamo alle due sequenze di cifre
binarie 10101010 e 10011100. Se una sequenza di cifre e' casuale,
allora tutte le cifre dovrebbero essere presenti per circa un ugual
numero di volte all'interno della sequenza. Le due sequenze binarie
che stiamo considerando soddisfano chiaramente questo criterio. Se,
tuttavia, consideriamo le cifre due per volta ci accorgiamo che
mentre nella prima sequenza compare solo la coppia 10, nella seconda
sono presenti sia la 00, che la 01, la 10 e la 11. Per questa ragione
l'ordine di casualita' della seconda sequenza e' superiore a quello
della prima. La nostra intuizione sulla superiore irregolarita' della
seconda sequenza rispetto alla prima trova conferma, dunque,
utilizzando il metodo quantitativo di Pincus e Singer. Estendendo
questo ragionamento a gruppi di cifre via via piu' grandi e' dunque
possibile stabilire quantitativamente l'ordine di casualita' di
qualunque sequenza di cifre. La questione ha naturalmente interessi
che vanno ben oltre l'aspetto puramente accademico. In effetti le
sequenze di numeri casuali sono utilizzate in svariati settori
applicativi. Le simulazioni al calcolatore di processi fisici quali,
ad esempio, quello dell'interazione radiazione-materia utilizzano il
cosiddetto metodo di Monte Carlo, una procedura matematica basata
sulla generazione automatica di numeri casuali. Anche nella
criptografia spesso si tenta di nascondere un messaggio aggiungendo
sequenze casuali di cifre binarie tali da rendere il messaggio
complessivo quasi casuale. Il metodo proposto dai due matematici
consentirebbe di distinguere tra messaggi codificati e rumore
casuale. Maurizio Dapor Istituto Trentino di Cultura
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ASTRONOMIA POPOLARE
Addio cometa Hale-Bopp hai fatto riscoprire il cielo
OAUTORE PRESTINENZA LUIGI
OARGOMENTI astronomia
ONOMI VANIN GABRIELE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy
CI voleva la cometa Hale- Bopp perche' gli italiani riscoprissero il
cielo notturno. La mobilitazione degli astrofili e di qualche
Osservatorio professionale ha trascinato il pubblico e i mass media.
Il successo dell'iniziativa «La notte della cometa» e' stato notevole
su due versanti: quello di avvicinare la gente a un raro spettacolo
celeste e quello di riportare un po' di buio nelle strade delle
nostre superilluminate citta', sensibilizzando opinione pubblica e
amministrazioni comunali sui guai e gli sprechi dell'inquinamento
luminoso, di cui nemmeno gli ambientalisti fin qui avevano mostrato
di accorgersi; questa volta, invece, Legambiente e' scesa in campo,
almeno la' dove e' rappresentata. Successo nell'insieme «molto
soddisfacente», l'ha definito il presidente dell'Unione astrofili
italiani, Gabriele Vanin, lui stesso in prima linea con i gruppi del
Friuli e del Triveneto. «Naturalmente - ha aggiunto - dobbiamo tener
conto che si trattava di una prima volta, per tutti e anche per noi,
che abbiamo avuto l'opportunita' di saggiare dal vivo problemi e
difficolta'. E' andata cosi' bene che proporremo una ''Notte della
Luna rossa'' in occasione dell'eclissi lunare del prossimo 16
settembre». In effetti, oltre che nel Veneto, notevoli punte
d'interesse popolare si sono registrate in Lombardia (Varese, Milano,
Tredate, Brescia-Lumezzane e vari altri centri maggiori e minori), a
Torino (seimila persone al Lingotto per i 5 telescopi portati dal
Gruppo Herschel), Firenze, Roma, Napoli, Campocatino (Frosinone),
Palermo, Catania, Caltanissetta e molti altri Comuni siciliani, ad
opera di 15 dei maggiori gruppi di astronomi non professionisti. Un
solo esempio: in provincia di Catania sono stati 14 i Comuni
coinvolti, grazie ai gruppi astrofili del capoluogo e di
Giarre-Riposto. Nonostante le bizze del tempo, hanno funzionato in
diverse date dal 4 al 24 aprile due postazioni a Catania, una a Motta
S. Anastasia, AciCastello, Aci S. Antonio, Acireale, S. Giovanni la
Punta, Maletto, Caltagirone, Grammichele e inoltre a Fiumefreddo,
Riposto, Giarre, Castiglione, Zafferana. Dappertutto telescopi e
binocoli in piazza, interesse vivissimo, scolaresche in moto, code
dietro gli strumenti, collegamenti Internet, conferenze di
presentazione, foto che andavano a ruba. Talvolta il black- out delle
luci stradali e' risultato poco piu' che sinbolico, in altri casi si
e' esteso ad aree cittadine piu' vaste; ma l'adesione di principio
c'e' stata sempre. E intanto a Serra la Nave (Etna Sud), altre code
dietro al telescopio messo in opera dall'Osservatorio astrofisico a
1700 metri di quota per 5 serate. Uno sforzo e un coinvolgimento da
rinnovare: e che, nell'intero Paese, si e' esteso a oltre centomila
persone. Ecco perche' si dice soddisfatto chi ha lanciato
l'iniziativa, non nascondendosene le alee e i problemi pratici; ma
contando, a ragione, sull'impatto di un'osservazione non comune, che
ha solleticato la curiosita' di una quantita' di persone, molte delle
quali sicuramente non avevano mai sentito dire com'e' fatta una
cometa. Meno brillante il bilancio per cio' che riguarda i mass
media: abbiamo visto buona e talvolta ottima informazione,
giornalistica e televisiva, ma anche vuoto ciarpame. Pochi hanno
spiegato alla gente che la cometa non «passava» il 5 aprile, ma si
sarebbe vista per l'intero mese; altri sono incappati in qualche zero
in piu', o hanno cercato di rispolverare la fama malaugurosa delle
comete, come eran viste sino al Rinascimento. Ma nel pubblico c'era
sete di nozioni serie. Non foss'altro che per questo, la Hale-Bopp ha
innescato un sano desiderio di conoscenza scientifica, benche' in
Italia si esca dalle scuole senza un minimo di nozioni d'astronomia.
Luigi Prestinenza
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. TEST A MENDRISIO
Con le auto elettriche la Svizzera fa sul serio
OAUTORE LIBERO LEONARDO
OARGOMENTI trasporti, ecologia
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, MENDRISIO
OSUBJECTS transport, ecology
DA tempo la Svizzera cerca di favorire la diffusione dei veicoli
elettrici: le ragioni ambientali ed energetiche valgono anche in un
Paese che di elettricita' ne ha da vendere - la vende per esempio a
noi - e solo per il 2 per cento prodotta da fonte termica (il 59 per
cento e' idroelettrico, il 39 elettronucleare). Secondo alcune stime
l'8 per cento del parco veicoli elvetico sara' elettrico nel 2010.
Convinti che i veicoli elettrici attuali sono gia' validi, ma non si
vendono perche' costano troppo, gli svizzeri hanno deciso di offrirli
a meta' prezzo, grazie a finanziamenti pubblici e a forti sconti
ottenuti dai costruttori, che sono stati ben lieti di concederli per
i motivi che diro'. Il comune prescelto per l'esperimento, fra i
molti che si erano candidati, e' Mendrisio, cittadina di 10.000
abitanti, con 4400 veicoli (55 km da Milano). Nel settembre 1994 e'
cosi' partito il «Progetto VEL - Veicoli Elettrici Leggeri»; progetto
che avra' raggiunto il suo primo scopo se entro il 2001 avra'
convinto 352 abitanti di Mendrisio a comprare un veicolo elettrico.
Il «listino» comprende una ventina di modelli di vetture e di furgoni
piu' un paio di elettro-scooter. L'azione promozionale va tuttavia
ben al di la' dello sconto, per quanto forte, perche' sono anche
tenute sotto scrupoloso controllo la qualita' dei veicoli e la
serieta' dell'assistenza post-vendita. A questo fine, data la novita'
della materia, sono stati organizzati corsi di addestramento sulla
propulsione elettrica che i rivenditori locali possono (e in pratica
devono) frequentare. Sono stati inoltre previsti parcheggi riservati
ai VEL e colonnine di ricarica (gratuita, durante l'esperimento), sia
in Mendrisio sia in comuni circostanti come Lugano e Locarno sia,
perfino, nel vicino territorio italiano. Data la severita' dei
controlli, avere un proprio veicolo ammesso al «Progetto VEL» e' un
riconoscimento ambito dai costruttori e lo e' in particolare riguardo
al contenimento dei consumi. Esso e' infatti uno degli scopi
principali del progetto e viene verificato testando i veicoli su uno
speciale percorso-tipo. Per fruire del finanziamento pubblico nella
misura massima, un'auto non deve consumare piu' di 200 Wattora al km
(come dire 50 km con un litro, considerato il contenuto energetico
della benzina) se e' a due posti e non piu' di 250 se e' a 4 posti.
Un consumo maggiore, purche' entro limiti accettabili, non causa
l'esclusione, ma comporta una riduzione del finanziamento. I
risultati dell'iniziativa, ad aprile 1997: 74 veicoli elettrici
venduti (in proporzione, come se a Torino se ne fossero venduti, a
privati, oltre 7000) e 25 domande di finanziamento inoltrate. E'
stato tale l'interesse suscitato, che due noleggiatori locali hanno
totalizzato, dall'inizio dell'anno, 200 noleggi di VEL (in
proporzione, come quasi 20.000 a Torino), alla tariffa, non
trascurabile, di 38.000 lire al giorno. Per altre informazioni, ci si
puo' rivolgere a Infovel, via Maspoli 15, Mendrisio (Ch), tel.
0041-91.6460606; fax 0041- 91. 6460535; Internet:
http://www.tinet.ch/vel. Leonardo Libero
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. SCARABEIDI QUASI SCOMPARSI
Una volta i maggiolini...
Un terribile flagello per l'agricoltura
OAUTORE GROMIS DI TRANA CATERINA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
SI raccontano storie terribili sui maggiolini, coleotteri scarabeidi
noti con il nome scientifico di Melo lontha melolontha, che ci arriva
dai Greci, come suggerisce una battuta della commedia «Le Nubi» di
Aristofane: «Aprite un varco al vostro ingegno, lascia telo volare
dove piu' gli aggrada, come la Melolontha legata per una zampa a un
filo». Si dice che nel 1574 i maggiolini in Inghilterra furono tanto
numerosi da impedire di girare alle ruote di molti mulini. In Irlanda
nel 1688 formarono una nuvola cosi' fitta da oscurare il cielo,
distruggendo tutta la vegetazione, per cui il paese prese le desolate
sembianze dell'inverno. Di giorno il rumore delle loro mascelle
pareva quello che si produce segando un grosso pezzo di legno e la
sera il loro ronzio sembrava un rullo lontano di tamburo. Gli
irlandesi, privati di altro cibo da queste ingorde spaventose
creature, furono costretti a cuocerle e mangiarle. Nel 1804 un forte
vento fece precipitare nel lago di Zurigo frotte di questi insetti
che formarono un banco fitto di corpi sulla sponda. Nel 1841 la
citta' di Macon, in Francia, fu invasa da nuvole di maggiolini che
coprivano le strade e si raccoglievano a palate. In Francia nel 1832
legioni di maggiolini aggredirono una diligenza accecando i cavalli
che, spaventati, si rifiutarono di proseguire e dovettero essere
riportati dal conducente al villaggio. Queste storie si narrano del
maggiolino adulto, nel suo stadio immaginale, quello che dura lo
spazio di una breve stagione, per il maschio il solo mese di maggio.
E' questo il periodo in cui escono dal terreno, voraci divoratori di
vegetali di ogni genere, con preferenza per gli alberi a chioma alta
delle latifoglie. Le malefiche creature durante il giorno stanno
immobili sotto le foglie che saranno vittime delle loro devastanti
mascelle, al riparo dal sole che sembra intorpidirle. E al calare
delle tenebre spiccano il volo, con quello straordinario modo che
hanno i coleotteri, goffi e pesanti: aprono e chiudono ritmicamente
le elitre anche per alcuni minuti, per riempire le trachee d'aria, e
via verso il bosco, con un monotono ronzio. Dopo una quindicina di
giorni la gran fame si placa e, satolli, si dedicano all'amore. Si
accoppiano tra le foglie e le erbe, i resti del loro frenetico
banchetto. Il maschio sale sul dorso della femmina e unito a lei si
lascia cadere all'indietro, rimanendo cosi' sospeso parecchie ore,
mentre la femmina resta aggrappata alla pianta. I maschi, facilmente
riconoscibili per le antenne che terminano con una mazza costituita
da articoli adagiati uno sull'altro, ma apribili come le stecche di
un ventaglio, sono di solito i primi ad uscire dal terreno, e sono
anche i primi a morire, qualche ora o al massimo qualche giorno dopo
l'accoppiamento. Le femmine, dalle antenne bottoniformi, vivono il
tempo necessario alla deposizione delle uova. Scelgono il terreno
adatto alla sopravvivenza delle larve e delle ninfe, ben concimato,
caldo, non troppo umido, e qui scavano un foro profondo da 5 a 30
centimetri e al fondo depongono un mucchietto di uova. Poi risalgono
in superficie, scavano un altro foro e ne depongono un altro
mucchietto. L'operazione si ripete fino a che vengono deposte da 60 a
80 uova, anche scavando gallerie orizzontali, per non salire piu' in
superficie e per morire sotto terra. Le uova schiudono nel terreno
dopo 4 settimane e le larve nascono in piena estate. Sono molto
delicate, sensibili agli sbalzi di temperatura e all'eccessiva
umidita' del terreno. In un primo tempo si nutrono di sostanze
umifere e poi di tenere radichette fino all'autunno, quando con il
freddo si approfondano e restano inattive nell'inverno. La primavera
successiva tornano alla superficie, piu' grosse e affamate e,
sparpagliandosi in ogni direzione, scavano il suolo in cerca di
radici piu' grosse. Cosi' fino al secondo autunno, quando di nuovo
tornano sotto terra a vita latente. Nella terza primavera sono grasse
e massicce, lunghe 4 o 5 centimetri, biancastre, caratteristicamente
piegate a C. Le loro forti mandibole nere lavorano incessantemente
attaccando radici di ogni sorta, anche legnose, devastando orti e
campi. Nei secoli passati i «vermi bianchi» erano in grado di
distruggere ettari di bosco, attaccando le radici degli alberi prima
dall'esterno, di modo che inaridivano le gemme corrispondenti a
quelle radici, e poi la radice principale, fino a far morire la
pianta. Durante l'ultima estate le larve raggiungono il completo
sviluppo, e allora scavano nel terreno fino ad un metro e mezzo di
profondita' per preparare una comoda nicchia in cui in settembre si
compie la meravigliosa metamorfosi: diventano ninfe e dopo poco piu'
di un mese, rotto il loro involucro, nascono gli insetti perfetti,
gli individui immaginali, dapprima molli e biancastri, poi via via
sempre piu' forti e affamati. In maggio inizia la loro risalita verso
la superficie e se la temperatura non subisce sbalzi gli insetti
escono dal terreno sempre piu' numerosi e famelici. Se la temperatura
si abbassa gli sfarfallamenti si interrompono e riprendono quando le
condizioni atmosferiche diventano piu' propizie. Il ciclo del
maggiolino e' dunque, almeno da noi, triennale in pianura; in
montagna e nei paesi d'Europa dove la temperatura media e' piu' bassa
(inferiore a 9oC) il ciclo dura 4 o eccezionalmente 5 anni. Da noi
quindi le «annate dei maggiolini» si dovrebbero avere ogni tre anni,
non sempre con uguale intensita', mentre il loro numero dovrebbe
essere molto minore negli anni intermedi. Ma chi oggi ha potuto
osservare questo terribile esercito? Sono passati i tempi in cui i
fulmini della scomunica furono lanciati sui Maggiolini, causa di
immani danni e carestie; accadde in Svizzera nel Quattrocento e la
condanna del tribunale di Losanna fu che il loro immenso esercito
fosse bandito dal territorio. Allora pero' non esistevano i mezzi per
fare eseguire la sentenza e i maggiolini continuarono a vivere
indisturbati. I loro pochi nemici naturali, il carabo dorato, alcuni
ditteri, uccelli e mammiferi insettivori, sono insufficienti a
tenerli a freno. Molto ha fatto l'aratura del terreno con i moderni
mezzi agricoli, che contribuisce sicuramente a contenere le fameliche
orde delle larve. Anche i pesticidi, i diserbanti e tutti quei
prodotti chimici che tanto disprezziamo in nome della conservazione
dell'integrita' della natura, almeno in questo caso sono serviti a
tenere a freno quello che era un vero flagello. La situazione si e'
ora rovesciata e i pericolosi insetti sono diventati sparuti
testimoni delle modificazioni radicali che l'uomo infligge
all'ambiente. Con la loro eventuale scomparsa si spegnerebbe un'altra
nota nel concerto della natura. Caterina Gromis di Trana
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Base del Cnr nell'Artico
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI CNR
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS research
E' diventata operativa il 15 maggio la base scientifica «Dirigibile
Italia» impiantata dal Cnr al Circolo polare artico, nella Baia del
Re, isole Svalbard (Norvegia). La struttura copre 320 metri quadrati
e puo' ospitare otto ricercatori durante tutto l'anno. Le Svalbard
ospitano gia' basi di Francia, Germania, Inghilterra e Giappone.
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Vitamina C: non esagerare
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Benche' il premio Nobel Pauling abbia sempre sostenuto l'innocuita'
della vitamina C (acido ascorbico) ad alte dosi, e' stato provato che
una quantita' superiore a 60 milligrammi al giorno puo' essere
dannosa, specie per quel 10 per cento della popolazione che ha, per
motivi genetici, un maggior assorbimento di ferro.
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Premio Gambrinus bando 1997
OGENERE breve
OARGOMENTI ecologia
OORGANIZZAZIONI PREMIO GAMBRINUS «GIUSEPPE MAZZOTTI»
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, SAN POLO DI PIAVE (TV)
OKIND short article
OSUBJECTS ecology
E' stata bandita la quindicesima edizione del Premio Gambrinus
«Giuseppe Mazzotti», destinato a libri di ecologia, esplorazione,
montagna e artigianato di tradizione pubblicati dal 1o gennaio 1996
al 31 luglio 1997. La segreteria del premio e' a San Polo di Piave
(Treviso) presso la Biblioteca comunale. Tel. 0422-855.609. La giuria
e' formata da Danilo Mainardi, Dino Coltro, Paul Guichonnet, Piero
Bianucci, Lionello Puppi, Sandro Meccoli, Paolo Schmidt, Italo
Zandonella e Antonio Beltrame (segretario).
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Cinema scientifico
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PARMA (PR)
ONOTE Prix Leonardo
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
Ultimi giorni per partecipare al Prix Leonardo, il festival del
cinema scientifico che si terra' a Parma dal 14 al 18 ottobre. I film
devono essere inviati a: Prix Leonardo, via Gramsci 14 - 43100 Parma.
Per altre informazioni: 0521-98.20.31.
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Internet: atlante di parassitologia
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE DENEGRI
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
La Fondazione Denegri e la Clinica delle malattie infettive
dell'Universita' di Torino hanno creato su Internet un atlante di
parassitologia con 350 immagini riguardanti malattie tropicali. Il
sito e' destinato a crescere con il contributo di scienziati di tutto
il mondo. Indirizzo: http://www.cdfound.to.it
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Dottori ambientali: pagine gialle
OGENERE breve
OARGOMENTI ecologia
OORGANIZZAZIONI PAGINE GIALLE
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS ecology
I laureati in scienze ambientali che desiderano essere inseriti nelle
«Pagine gialle dei dottori ambientali» promosse dalla Fondazione
Lombardia per l'ambiente possono inviare, entro il 30 maggio, una
sintesi della loro tesi e i propri dati a Rosa Maria Panattoni, Foro
Bonaparte 12, Milano. Per informazioni: 02-876.716.
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. DEFIBRILLATORI
Il cuore elettrico
Tecnologia dei pacemaker
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI tecnologia, medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI SORIN BIOMEDICA, FIAT, CNR
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Il prototipo di cuore meccanico «Progetto Icaros» ;
T. LE CARATTERISTICHE DEL PROTOTIPO DI CUORE MECCANICO «ICAROS»
=====================================================================
PESO: 550 grammi
PORTATA: 12 litri di sangue al minuto
POTENZA: 13 watt
BATTITI IN UN ANNO: 50 milioni
GIRI DELLA VITE MOTORE: 4 milioni al giorno
REGOLAZIONE: tramite centralina elettronica
MATERIALI: Poliuretano (camere ventricolari), carbonio pirolitico e
stellite (valvole), altri materiali speciali (collegamento con vene
e arterie)
---
FUNZIONAMENTO: L'albero motore, a vite senza fine, aziona i piattelli
che comprimono alternativamente le pareti per pompare il sangue
=====================================================================
OSUBJECTS technology, medicine and physiology
IL primo pacemaker fu applicato il 6 giugno del 1960 da Chardack e
Gage all'ospedale di Buffalo: oggi se ne impiantano 500.000 l'anno in
ogni parte del mondo. Da questa scoperta sono nate aziende come la
Medtronic di Minneapolis che occupa 12.000 dipendenti, 22 centri di
ricerca, 31 centri di produzione sparsi in tutto il mondo. Gli
apparecchi attuali, sempre piu' miniaturizzati, sono in grado di
aiutare il medico nella diagnosi, oltre che nella cura dei disturbi
cardiaci, grazie a sofisticate tecniche di rilevamento. Di recente
sono stati introdotti dei cateteri molto sensibili che registrano la
conduzione elettrica in vari punti del tessuto cardiaco. Un algoritmo
analizza (e conserva in memoria) tutti i segnali provenienti dal
cuore controllando i battiti alla ricerca di segnali di tachiaritmia
imminente, ossia di un aumento del ritmo cardiaco, pericoloso per la
vita del paziente. La «tachicardia ventricolare» e' una condizione in
cui il cuore batte troppo rapidamente o presenta un fremito
incontrollato (fibrillazione ventricolare) che spesso conduce a morte
improvvisa. Le aritmie sono anomalie del ritmo o della frequenza del
battito cardiaco, causate da alterazioni degli impulsi elettrici che
si propagano nel cuore. Dopo un infarto, un'area di cellule cardiache
non viene piu' irrorata. Le cellule che muoiono originano una
cicatrice e intorno ad essa ci sono cellule che si mantengono attive,
ma originano o conducono impulsi elettrici in maniera anormale. Cosi'
il paziente presenta una serie di sintomi: battito accelerato,
svenimenti, capogiro, difficolta' a respirare, dolore al petto. Le
fibrillazioni ventricolari, invece, sono caratterizzate dalla perdita
di coscienza. Oggi e' possibile interrompere i disturbi ripristinando
il normale ritmo cardiaco grazie alla terapia elettrica
(defibrillatore) che deve essere somministrata con immediatezza, al
sorgere dell'episodio. Nella stimolazione antitachicardica, il
defibrillatore eroga impulsi elettrici di bassa intensita', per pochi
secondi, e il paziente in genere non li avverte. In caso di
fibrillazione ventricolare la scossa puo' essere piu' forte. I primi
defibrillatori pesavano circa 300 grammi ed erano sistemati nella
cavita' addominale con un vero e proprio intervento di
cardiochirurgia. Oggi i defibrillatori pesano al massimo 100 grammi e
grandi come una scatola di cerini: il catetere con il cavo elettrico
raggiunge il cuore attraverso le vene. Con i nuovi sistemi inoltre,
lo shock non e' piu' fisso, ma varia a seconda della reale
necessita'. Renzo Pellati
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. GENETICA
Attenti al prediabete
Rischio elevato di ereditarieta'
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI genetica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS genetics
IL diabete colpisce oltre 140 milioni di persone nel mondo: e' dunque
uno dei maggiori problemi della salute. Su dieci pazienti nove hanno
il diabete di tipo 2 o non-insulino dipendente, indicato con la sigla
Dnid, che inizia in genere dopo i 40 anni (il diabete di tipo 1 o
insulino-dipendente, indicato con la sigla Did, e' invece giovanile).
In Italia il Dnid colpisce circa il 2 per cento della popolazione
provocando complicazioni quali insufficienza coronarica, lesioni
arteriose degli arti inferiori, lesioni della retina, dei reni, del
sistema nervoso. A causare il Dnid intervengono molti fattori,
ambientali (superalimentazione, sedentarieta', sovrappeso) e
genetici, strettamente associati. Negli ultimi tempi le ricerche di
genetica hanno avuto grande sviluppo. Le indagini epidemiologiche e
le tecniche di biologia molecolare hanno consentito di individuare
casi di Dnid nei quali agisce un solo gene, quindi a trasmissione
mendeliana, e altri casi, piu' numerosi, nei quali agiscono parecchi
geni. Si e' visto che questi geni diabetogeni si esprimono soltanto
in presenza di un ambiente sfavorevole. In altre parole i fattori
ambientali provocano il diabete soltanto quando siano presenti anche
i fattori genetici. La maggior parte dei geni del Dnid non sono
ancora stati individuati, ma cose interessanti si sono apprese per
esempio su un gene situato nel cromosoma 7, regolante la
glucochinasi, enzima chiave del metabolismo del glucosio. Un altro
gene e' nel cromosoma 12, un terzo nel cromosoma 20. Alcuni genetisti
hanno iniziato l'esplorazione completa del genoma di famiglie
diabetiche allo scopo di localizzare, e poi clonare, i geni associati
al diabete (vedi L. Hashimoto, C. Habita, J. P. Beressi e altri,
«Nature», 1994). Quali conseguenze pratiche si possono attendere dal
chiarimento dei meccanismi molecolari alla base del Dnid? Il
principale beneficio dovrebbe riguardare la messa a punto di nuove
cure efficaci. A parte la dieta, che e' la base del trattamento, gli
attuali medicamenti per via orale sono le biguanidi, i sulfamidici
ipoglicemizzanti e gli inibitori dell'alfa-glucosidasi. Di solito non
occorrono iniezioni di insulina, indispensabili invece nel Did,
diabete insulino-dipendente. Nel Dnid, come abbiamo detto, il ruolo
dell'ereditarieta' e' indubbio. La concordanza quasi assoluta della
comparsa del diabete nei gemelli monozigoti, e il rischio elevato,
quasi del 40 per cento, di diventare diabetici se e' diabetico un
genitore, sono testimoni del carattere genetico della malattia. Una
glicemia a digiuno che risulti piu' volte superiore a 1,4 per mille,
e uguale o superiore a 2 per mille due ore dopo la somministrazione
per bocca di 75 grammi di glucosio, testimoniano l'esistenza del
Dnid. Questi esami dovrebbero sempre essere eseguiti in coloro che
hanno antecedenti famigliari di diabete. Questi stessi esami, quando
il risultato sia glicemia normale a digiuno ma fra 1,4 e 1,99 due ore
dopo la somministrazione di glucosio per bocca, permettono di fare
diagnosi di intolleranza al glucosio, ossia di un «prediabete» che
puo' evolvere entro alcuni anni verso un vero e proprio Dnid. Ulrico
di Aichelburg
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. IL NASTRO DI MOEBIUS
Stravagante burla della geometria
Inventato nell'800 dall'astronomo e matematico tedesco
OAUTORE BO GIAN CARLO
OARGOMENTI storia della scienza
ONOMI MOEBIUS AUGUST FERDINAND
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Costruzione di un nastro di Moebius
OSUBJECTS history of science
UNA striscia ritagliata da un foglio di cartoncino ha la sua
identita': una facciata anteriore e una posteriore, un sopra e un
sotto. Si dice che e' orientabile. Se ne incolliamo le estremita'
otteniamo un nastro che ha ancora un bordo superiore e uno inferiore;
due superfici, una interna e una esterna. Un dito, scorrendo lungo il
bordo inferiore, fa tutto il giro percorrendo ovviamente soltanto il
bordo inferiore e analogamente succede per il bordo superiore: il
nastro e' ancora orientabile. Ora incolliamo le estremita' avendo
dato un mezzo giro di torsione. Da qui in poi e' richiesta la massima
cautela perche' stiamo palpando un nastro di Moebius fresco di
fabbrica, stravagante burla della geometria. Anche se e' un po'
ritorto, sembra logico pensare che il nastro di Moebius conservi le
caratteristiche del nastro precedente: due facce, due margini e cosi'
via. Proviamo. Segnato un punto qualsiasi su un bordo facciamo di
nuovo scorrere il dito prescelto: arriveremo sempre al punto di
partenza. Proviamo anche a tracciare una linea continua - nel bel
mezzo - nel senso della lunghezza del nastro: arriveremo sempre al
punto di partenza. Il nostro moebius e' diventato dunque un nastro
con una sola superficie e un solo margine. Abbiamo costruito un
paradosso topologico: il mezzo giro si e' mangiato un margine e una
superficie. Curiosita', genio, stregoneria geometrica, duri inverni
del Nord e (sono convinto) emicranie mitteleuropee concorsero verso
la meta' del XIX secolo a far descrivere ad August Ferdinand Moebius,
astronomo e matematico tedesco, le strane proprieta' del semplice
nastro che da allora porta il suo nome. Forbici. Sezioniamo il
moebius a meta', per tutta la lunghezza (e' gia' tracciata) Fino
all'ultimo ci aspettiamo di ottenere due nastri. Invece ne ricaviamo
uno solo, ritorto con 4 giri di torsione, ma non e' piu' nastro-di-
moebius perche' ha due superfici e due margini. Altro che emicrania:
se tagliamo ancora questo nastro-non- di-moebius per la lunghezza, e
speriamo di trovarne uno piu' lungo, sbagliamo clamorosamente: non
avreno un nastro piu' lungo ma due concatenati. Se non sembra
abbastanza strabiliante proviamo a sovrapporre due strisce e a fare
un doppio nastro, sempre alla Moebius. Controlliamo che siano
veramente due nastri facendovi scorrere uno stecchino e verificando
che tra le due strisce ci sia sempre spazio. Ora segniamo un punto di
partenza. Tenendo i due nastri con la mano sinistra, con un
pennarello incominciamo a pitturare il bordo superiore destro
dell'anello interno. Alla fine del primo giro la punta del pennarello
sara' si' dalla parte opposta ma sul lato interno del nastro
superiore. Ritorneremo al punto di partenza dopo due giri del doppio
nastro. E qui si scopre l'amara verita': siamo dei bugiardi perche'
non e' vero che sono due nastri, uno dentro l'altro, come avevamo
invece verificato in partenza. Gian Carlo Bo
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. CITTA' D'ACQUA
Venezia in Cd-rom
Un immenso archivio che contiene tutti i parametri della laguna:
ecosistema, elementi di crisi, gli interventi, il quadro finanziario
OAUTORE ANTONETTO ROBERTO
OARGOMENTI elettronica, informatica
ONOMI FACCIOLI FLAVIA
OORGANIZZAZIONI CENTRO INTERNAZIONALE «CENTRO D'ACQUA»
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, VENEZIA (VE)
OSUBJECTS electronics, computer science
DELLA laguna di Venezia si puo' ben dire che e' ancora sconosciuta,
anche se e' la piu' celebre del mondo. Da trent'anni, cioe' dalla
disastrosa «acqua alta» del 4 novembre 1966, i mali di Venezia hanno
dato vita al piu' colossale laboratorio di diagnosi e al piu'
imponente dibattito scientifico e tecnologico che mai si sia
coagulato intorno ad una citta'. Ma questo enorme magazzino
informativo non era stato portato a disposizione dell'opinione
pubblica in modo globale e sistematico. Lo si fa ora con un Cd-rom
ideato da Flavia Faccioli. Un cofanetto con due dischi, zeppi di 950
Mb, 4000 immagini, 40 tra filmati e animazioni, 100.000 parole di
testo, e' appena uscito a cura del Centro Internazionale «Citta'
d'Acqua». Anche chi conserva la preferenza per il libro rispetto ai
Cd- rom, deve ammettere che questa volta e' stato realizzato lo
strumento piu' avvincente per navigare nell'arcipelago di argomenti
che sta dietro il titolo «Laboratorio Venezia '66-96». Quattro i
settori principali: L'ecosistema, Gli elementi di crisi, Il sistema
degli interventi, Il quadro finanziario, legislativo attuativo. Ne
discendono, a grappoli intercomunicanti, i dolori e le speranze della
laguna veneta. Ognuno li puo' visualizzare sul monitor seguendo un
numero illimitato di percorsi personali. Per esempio puo' farsi
delineare dal computer l'intero quadro dei fenomeni di degrado:
subsidenza, eustatismo, erosione dei litorali, alterazioni della
morfologia lagunare, acque alte eccezionali, traffico petrolifero,
inquinamento e via lamentando. Oppure puo' esplorare per «oggetti» i
55 mila ettari del bacino lagunare: i canali, i rii, le isole, le
barene, le valli da pesca, le casse di colmata, le bocche di porto, i
46 chilometri di litorale che costituiscono il fragile cordone fra
mare Adriatico e laguna, la vegetazione e la fauna. Insomma, una
enciclopedia da «cliccare» pressoche' all'infinito e nello stesso
tempo un ennesimo atto di fede nel futuro di Venezia. Nel quale hanno
i loro doverosi spazi anche gli interventi che pure sono stati fatti
o sono in corso per la salvaguardia della laguna, nonostante i
ritardi, le inadempienze e le logoranti discussioni. Il cofanetto con
i 2 Cd-rom sara' inviato a casa di chi lo richieda al «Centro
Internazionale Citta' d'Acqua», S. Marco 4403/A - 30124 Venezia (tel.
041-522.35.09, fax 528.61.03) al prezzo di 30.000 lire. Roberto
Antonetto
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ARRIVA IL CONVERTIPLANO
L'ibrido volante conquista il cielo
OAUTORE RIOLFO GIANCARLO
OARGOMENTI trasporti, tecnologia, aerei
OORGANIZZAZIONI V22 OSPREY, BELL BOEING 609
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D., F. Il convertiplano progettato da Bell e Boeing
OSUBJECTS transport, technology, airplane
E' stato definito il piu' grande progresso della tecnica aeronautica
dopo l'invenzione del motore a getto. Parliamo del convertiplano,
velivolo straordinario che decolla come un elicottero e vola come un
aereo. Grazie alla collaborazione tra un'affermata casa di
elicotteri, la Bell, e il colosso aerospaziale Boeing, questo strano
ibrido e' uscito dalla fase sperimentale e sta completando i collaudi
in vista della produzione. I marines e la Us Navy ne hanno gia'
ordinati 523 esemplari, mentre le due aziende americane hanno
annunciato una joint- venture per costruire un modello destinato al
mercato civile. Il nuovo velivolo nasce da una costola
dell'elicottero, mezzo universalmente apprezzato per la capacita' di
atterrare ovunque e di fermarsi in volo a mezz'aria. Queste
caratteristiche lo rendono prezioso in molti compiti, dal soccorso
sanitario al salvataggio in mare e in montagna, al trasporto in
luoghi difficili da raggiungere. L'elicottero, pero', ha dei forti
limiti. La scarsa velocita' - circa 250 chilometri l'ora - e' il piu'
evidente, ma non l'unico. I consumi, per esempio, a parita' di
prestazioni e di carico utile, sono enormente maggiori rispetto a
quelli di un aereo. E cosi' pure i costi operativi. Il convertiplano
unisce in se' i vantaggi dell'aereo e dell'elicottero. Decolla e
atterra verticalmente; puo' muoversi di lato, all'indietro o restare
immobile. E puo' volare alla stessa velocita' e alla stessa quota dei
migliori turboelica, con un basso consumo di carburante. L'aspetto
del convertiplano e' quello di un aereo con ali tozze e robuste. Alle
estremita' delle ali, due potenti motori a turbina azionano i rotori
a tre pale. I propulsori non sono fissi, ma possono ruotare di 90
gradi. In decollo (e in atterraggio) sono rivolti verso l'alto: in
questo modo il convertiplano si stacca da terra e vola come un
elicottero. Oltre una certa velocita', avviene la transizione al volo
orizzontale: i motori si girano in avanti e i rotori funzionano come
delle grandi eliche, fornendo la spinta, mentre il sostentamento e'
assicurato dal profilo aerodinamico dell'ala. Una soluzione semplice
dal punto di vista concettuale, ma assai complessa nella
realizzazione pratica. Tant'e' che il primo convertiplano
sperimentale - il Bell VX3 - risale addirittura al 1955. I successivi
quarant'anni di studi e di prototipi costituiscono una gestazione di
eccezionale lunghezza e complessita'. Fondamentali sono stati i
progressi nel campo dei materiali e dell'aerodinamica dei rotori,
nonche' l'impiego di comandi fly-by-wire, cioe' assistiti dai
computer. Sono loro a facilitare il compito del pilota, soprattutto
nel passaggio dal volo a mo' di elicottero a quello da aereo.
Metamorfosi accompagnata dal cambiamento del sistema di controllo:
nel primo caso i comandi agiscono sui rotori, nel secondo su timoni e
alettoni. Finora lo sviluppo del convertiplano e' costato cinque
miliardi di dollari, circa 8500 miliardi di lire. Denaro speso bene?
Forse si', almeno a giudicare dai risultati. Il V22 Osprey - il
modello che sta per entrare in servizio nelle forze armate Usa - puo'
trasportare, oltre ai piloti, 24 soldati e il loro equipaggiamento.
Oppure un carico di 10 tonnellate. La velocita' di crociera e' di 510
chilometri l'ora e, grazie all'autonomia di 4000 chilometri, puo'
raggiungere in poche ore qualsiasi parte del mondo senza dover essere
smontato e caricato sui jet da trasporto, come si e' costretti a fare
con gli elicotteri. Anche se il debutto e' in divisa, il nuovo
velivolo non interessa soltanto i militari. All'ultima edizione
dell'Heli Expo - la rassegna specializzata che si e' svolta
recentemente in California - gli operatori del settore erano
assiepati attorno al modello in grandezza naturale del Bell Boeing
609, il convertiplano civile. Piu' piccolo dell'Osprey, verra'
prodotto a partire dal 2000 e trasportera' nella cabina pressurizzata
fino a nove passeggeri a velocita' superiori ai 500 chilometri l'ora.
Innumerevoli le possibilita' d'impiego, dal trasporto executive al
soccorso. Come «ambulanza volante» il convertiplano puo' contare su
una velocita' almeno doppia rispetto all'elicottero: un vantaggio
enorme quando ogni minuto e' prezioso. I produttori non nascondono
pero' obiettivi piu' ambiziosi. «Il 609 - afferma un comunicato della
Boeing - e' il primo passo verso lo sviluppo di una famiglia di
velivoli che rivoluzioneranno l'aviazione commerciale». Una
dichiarazione forse un po' ottimistica, ma come non immaginare in
futuro grandi convertiplani per il trasporto passeggeri? Senza
bisogno di piste per decollare e atterrare, potrebbero operare
direttamente dal centro delle citta', eliminando il tragitto per
raggiungere gli aeroporti. Giancarlo Riolfo
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
AL VIA NEL 2010
Sara' l'ideale per i voli sui 1000 km
OAUTORE BOFFETTA GIAN CARLO
OARGOMENTI trasporti, tecnologia, aerei
OORGANIZZAZIONI EUROFAR
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS transport, technology, airplane
DOPO la fine della seconda Guerra Mondiale l'avvento dell'elicottero
sia in campo militare sia in usi civili ha indotto molti costruttori
a studiare e in alcuni casi sviluppare prototipi di una macchina
volante che unisse i vantaggi dell'elicottero, soprattutto la
capacita' di decollare e atterrare verticalmente, a quelli
dell'aereo, maggior velocita' e sicurezza ma soprattutto minori
costi. Per le applicazioni militari, dove le considerazioni
economiche sono meno importanti, sono stati prodotti vari tipi di
aerei a decollo verticale, soprattutto basati su reattori ausiliari.
Questo sistema e' pero' impensabile in campo civile sia per il rumore
che impedirebbe di decollare da zone interne alle citta', sia per il
consumo elevatissimo che questa tecnica comporta. Negli Usa e' stato
sviluppato per scopi militari un interessante velivolo turboelica che
puo' ruotare di 90 gradi le due eliche, poste alle estremita' delle
ali, in modo da variare la direzione della spinta da verticale a
orizzontale. La difficolta' principale da superare non era tanto il
problema della complicazione meccanica quanto la necessita' di
garantire la stabilita' del velivolo durante la fase di transizione
aereo-elicottero e in particolare quando atterra o decolla
verticalmente. Da questo convertiplano, il V22 Osprey, deriva lo
sviluppo americano di un velivolo civile piu' leggero che potra'
trasportare 40 passeggeri su 1000 chilometri decollando da
piattaforme appena piu' grandi di un normale eliporto. In Europa
venne lanciato nel 1987, nell'ambito del programma di ricerca Eureka,
il progetto Eurofar al quale partecipano la maggiori industrie
aeronautiche francesi, inglesi, spagnole, tedesche ed italiane. Il
convertiplano europeo e' previsto per 30 passeggeri su rotte di 1200
chilometri alla velocita' di 620 km/ora. Il primo volo del prototipo
e' programmato per il 2004. I primi passeggeri paganti saliranno a
bordo nel 2010. Oltre al vantaggio di poter operare da spazi interni
alle citta' il convertiplano dara' un contributo fondamentale alla
soluzione del problema della saturazione degli aeroporti e delle
aerovie, problema che si e' accentuato con l'entrata in servizio
degli aerei di nuove compagnie piu' piccole e piu' snelle che,
offrendo tariffe ridotte, stanno conquistando nuove fasce di utenti.
Uno studio della Comunita' Europea dice che il 27 per cento dei
passeggeri europei vola su rotte inferiori ai 300 km e ben il 33 per
cento su quelle inferiori a 1000 km. Il convertiplano conquistera' i
suoi utenti proprio tra questi, che oggi volano su turboprop del tipo
ATR 42, velivolo che, anche se piu' piccolo, occupa aeroporti e
aerovie come un Jumbo che decolla per un volo di 12 ore. Decollati
verticalmente, i convertiplani non si inseriranno nelle normali
aerovie affollate dagli aerei convenzionali, ma seguiranno rotte
particolari guidati dal sistema satellitare GPS che gia' oggi
permette di conoscere la propria posizione con assoluta precisione. I
costi, questo e' il lato negativo, saranno superiori a quelli di un
turboprop convenzionale: il DOC (Direct Operating Cost), totale di
tutti i costi (ammortamenti, combustibile, equipaggio, assicurazioni
ecc.) diviso per il prodotto del numero dei posti per le miglia
volate, e' calcolato superare il doppio di quello di un ATR 42 ma e'
inferiore ad un terzo di quello di un elicottero. Ma i costi
provocati dalla congestione del traffico aereo saranno ben superiori
a causa dei ritardi, cancellazione di voli, mancate coincidenze,
attese in volo per poter atterrare e neppure si puo' sperare in nuovi
aeroporti. Negli ultimi anni un solo aeroporto e' stato inaugurato in
Europa, quello di Monaco di Baviera, e non ne sono previsti altri a
causa dei giganteschi investimenti necessari. Si e' calcolato, ad
esempio, che l'entrata in servizio del convertiplano aumentera' del
40 per cento la capacita' dell'aeroporto di Francoforte, spostando i
voli a breve raggio su piattaforme piu' vicine alla citta'. Gian
Carlo Boffetta
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Danzare nell'aria
Audaci acrobazie a suon di musica
OAUTORE BERNARDI MARIO
OARGOMENTI trasporti, aerei, musica
ONOMI POMA JERZY
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. L'aliante e il pentagramma (acrobazie aeree)
OSUBJECTS transport, airplane, music
LA musica, che da sempre accompagna la danza e il pattinaggio
artistico, e' divenuta ora motivo conduttore anche per l'acrobazia
aerea: in particolare, offre una base ritmica alle eleganti
esibizioni degli alianti. Sul tempo di motivi musicali di successo (i
lenti di Nat King Cole, di John Barry e di Morricone sono tra i
preferiti) le scie fumogene che emergono dalle estremita' delle ali
decorano il cubo di un chilometro di spigolo che fa da palcoscenico
dell'esibizione acrobatica, labile memoria di una coreografia che si
disperde nel vento. Presentandosi sulla verticale del campo il pilota
dell'aliante, mentre ancora e' agganciato al cavo di traino
dell'aereo rimorchiatore, richiama l'attenzione del pubblico e della
giuria con un «tonneau» (una rotazione completa attorno all'asse
longitudinale, in direzione del moto). A questo punto lo speaker tace
e dagli altoparlanti si riversa sugli spettatori lo stesso motivo
musicale che il pilota riceve in cuffia dalla radio di bordo: e' il
segnale di avvio di una successione di figure che il catalogo del
programma anticipa al pubblico nella loro successione obbligata:
figure «cosiddette» semplici - rotazioni attorno agli assi principali
- come il «looping» (rotazione attorno all'asse di beccheggio); come
il «fieseler» (rotazione attorno all'asse di imbardata al culmine di
una salita verticale) e il «tonneau», la manovra che ha dato il
segnale d'inizio; e figure composte dalle precedenti come l'«otto
cubano», il «rovesciamento», «l'imperiale» e «avvitamenti» in
abbondanza. Fin qui l'aspetto essenzialmente spettacolare che viene
offerto al pubblico. Ma per la giuria, oltre alla purezza di una
linea, alla precisione di una curva ed all'armoniosita' dei movimenti
vale il rendimento, cioe' il risparmio energetico nell'esecuzione
delle manovre, un dato che emerge da considerazioni di fisica
elementare. L'acrobazia aerea - «un fiore che nasce dalla velocita'»
- richiede la continua trasformazione dell'energia potenziale,
rappresentata dalla quota, in energia cinetica e viceversa. Per ogni
figura del programma questa trasformazione avviene con un rendimento
- variabile in base alla sua difficolta' - ma in ogni caso tanto piu'
alto quanto minore e' la differenza di quota tra inizio e termine
della manovra. In assenza di vento l'energia disponibile per
l'esibizione e' rappresentata dal dislivello che separa la quota di
1200 metri di inizio del programma dalla base del cubo di manovra
situato a 200 metri d'altezza, dove il programma deve
obbligatoriamente terminare. Con questa premessa e' ovvio che quanto
piu' il pilota manovrera' nel delicato e rigoroso rispetto delle
leggi della meccanica del volo tanto maggiore sara' il numero delle
figure in sequenza obbligata che riuscira' ad eseguire nel dislivello
di 1000 metri. A questo punto l'«acrobazia» perde il sapore ludico e
spettacolare per trasformarsi in cio' che modernamente si definisce
«volo di precisione», un'attivita' che presume tecniche d'impiego
rigorose: tecniche sofisticate che nel corso degli ultimi
cinquant'anni hanno impegnato a fondo gli studiosi e i costruttori di
aerei specie in vista dei vantaggi attesi in campo militare e
commerciale. Anche nel caso dell'acrobazia con alianti i canoni
estetici cercano conforto nelle formule matematiche della meccanica
del volo: l'ingegnere polacco Jerzy Poma ha ideato espressamente per
il volo acrobatico con alianti un computer di bordo dall'esotico nome
di «Geronimo». Su di esso viene impostato un programma di calcolo che
in base alla sequenza delle manovre presenta in simboli - su un
visore posto davanti agli occhi del pilota - i parametri di velocita'
e accelerazioni che consentano il massimo di rendimento e di
sfruttamento della quota. E, poiche' Geronimo funziona anche da
registratore, i dati in memoria Ram possono essere riversati su un PC
opportunamente programmato per l'elaborazione e la rappresentazione
grafica. Cio' consente una critica post-volo di grande valore
formativo sul piano della professionalita' aeronautica in
un'accezione importante del termine. Mario Bernardi
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZA FISICHE. DA ITALIANI
Usa: scoperta una cometa ultravioletta
OAUTORE ANTONUCCI ESTER
OARGOMENTI astronomia
ONOMI GIORDANO SILVIO, BENNA CARLO, CORA ALBERTO, FINESCHI SILVANO
OORGANIZZAZIONI GODDARD SPACE FLIGHT CENTER, NASA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy
NON e' ancora spenta l'emozione suscitata dalla splendida cometa
Hale- Bopp: comete cosi' luminose, visibili a occhio nudo, sono rare.
All'osservazione con strumenti astronomici non sfuggono pero' le
numerose comete meno appariscenti che passano vicino al Sole
abbastanza di frequente. Niente affatto comune e' invece riuscire a
identificare una cometa in luce ultravioletta e seguirla nel suo
cammino durante il passaggio vicino al sole, osservandone sia
l'immagine sia l'emissione spettrale nelle righe dell'idrogeno. Tutto
questo e' accaduto per la prima volta durante un'osservazione ad alta
risoluzione della corona solare con il telescopio Uvcs a bordo del
satellite Soho, che sta operando in modo eccellente dal momento del
lancio avvenuto nel dicembre del 1995. In particolare l'Uvcs, primo
grande telescopio spaziale costruito in buona parte in Italia, sta
dando risultati importanti per la comprensione dei fenomeni della
corona e del vento solare. L'osservazione della cometa e' stata
condotta presso il Goddard Space Flight Center (Nasa) dal gruppo di
Fisica solare dell'Osservatorio e dell'Universita' di Torino: con me
operavano Silvio Giordano, Carlo Benna, Alberto Cora di Torino e
Silvano Fineschi del Center for Astrophysics, Cambridge, Us. A 30
gradi Nord-Ovest dell'equatore solare, e ad una distanza di 2,2
milioni di chilometri dal Sole, e' entrata nel campo di vista del
nostro strumento una cometa mai osservata precedentemente che ha
preso il nome di cometa Soho-8/Stetzelberger. A qualche ora dalla sua
identificazione e' scomparsa alla nostra vista, confondendosi con
l'intensa emissione ultravioletta della corona solare, per riemergere
dopo 12 ore a Sud- Est del Sole senza avere perso l'intensita'.
Abbiamo ripuntato piu' volte il telescopio per seguirla nel suo
veloce passaggio a 100 chilometri al secondo nel nostro campo di
vista, riuscendo a osservarla in modo completo per ben sei volte. In
luce ultravioletta le comete appaiono molto diverse come forma e
molto piu' estese che in luce visibile. Infatti in questo caso si
osserva la nuvola di idrogeno che avvolge il piccolo nucleo centrale
prevalentemente formato da una «palla di neve sporca», in cui l'acqua
e' mischiata a polvere. La nuvola di idrogeno si libera non appena la
luce solare dissocia le molecole d'acqua che evaporano dalla
superficie del nucleo, e diventa visibile in ultravioletto perche' i
suoi atomi assorbono la luce ultravioletta solare per poi rimetterla
in un processo di fluorescenza. E' per questo motivo che l'inattesa
cometa Soho-8, sfuggita ai telescopi terrestri, e' apparsa come un
globo luminoso ultravioletto di 70 mila chilometri circondato da una
nuvola piu' tenue la cui forma variava lungo il tragitto fino a
raggiungere una dimensione di 1,4 milioni di chilometri poco prima di
scomparire dal campo di vista del nostro strumento. Dalle misure
delle righe di emissione dell'idrogeno nell'ultravioletto, si puo'
dedurre che gli atomi che formano la nuvola cometaria hanno una
velocita' di circa 30 chilometri al secondo. Gli atomi di idrogeno
acquistano questa velocita' durante il processo di fotodissociazione
delle molecole di acqua sulla superficie del nucleo della cometa.
Alcune delle righe di emissione dell'idrogeno sono state raramente o
per nulla osservate prima d'ora. L'importanza relativa delle diverse
righe dell'idrogeno si puo' mettere in relazione all'importanza delle
collisioni rispetto ai fenomeni di fluorescenza nella nuvola
cometaria. L'osservazione in ultravioletto della cometa Soho-8 ha
scuscitato l'interesse degli esperti di comete della Nasa. Ne e' nato
cosi' un programma di ricerca che accomuna fisici solari e studiosi
di comete per cercare con il nostro strumento, che ha capacita'
spettroscopiche uniche nel dominio dell'ultravioletto, elementi come
litio, azoto, carbonio, elio, neon e argon, cioe' quegli elementi che
sono ritenuti fondamentali per determinare il processo di formazione
degli oggetti primordiali nel sistema solare piu' esterno. Ester
Antonucci Goddard Space Flight Center (Nasa)
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ALLARME SCORIE
Radiazioni in libera uscita
I dati sull'inquinamento nucleare in Russia
OAUTORE TIBALDI ALESSANDRO
OARGOMENTI ecologia, inquinamento, nucleari
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE C. L'eredita' atomica della guerra fredda (mappa
degli impianti, dei siti e dei laboratori nucleari
in Usa e nell'ex Unione Sovietica)
OSUBJECTS ecology, pollution, nuclear
ERANO gia' note le quantita' di inquinanti radioattivi liberati dal
trattamento dei prodotti nucleari negli Stati Uniti, mentre si e'
venuti a conoscenza solo recentemente dell'incredibile quantita' di
scorie radioattive messe in circolazione nell'ambiente dall'ex Unione
Sovietica. In entrambi i Paesi il problema e' legato al
riprocessamento del combustibile nucleare utilizzato per produrre
materiali bellici. Il riprocessamento permette l'estrazione di uranio
e plutonio ma crea numerosi tipi di inquinamento radioattivo e
rifiuti estremamente pericolosi. Durante il periodo della «guerra
fredda», fu soprattutto l'Unione Sovietica a contaminare direttamente
l'ambiente immettendo ingenti quantita' di scorie radioattive nei
fiumi e nei laghi. Un'altra tecnica ancora utilizzata su vasta scala
e' l'immissione nel sottosuolo di fluidi radioattivi. Dopo la
dissoluzione dell'Unione Sovietica nel 1991, la Russia ha continuato
il riprocessamento nucleare tramite tre reattori che funzionano come
produttori sia di energia sia di materiale utile per la costruzione
degli armamenti nucleari. Al contrario gli Stati Uniti hanno smesso
il riprocessamento nucleare nel 1988. In Russia gli impianti di
riprocessamento piu' inquinanti sono il Mayak, vicino alla citta' di
Chelyabinsk, il Tomsk-7 e il Krasnoyarsk-26, mentre negli Stati Uniti
sono Hanford, nello Stato di Washington, Savannah River, in Georgia,
e Oak Ridge, in Tennessee. Molti centri densamente abitati si trovano
nei pressi di questi impianti: tenendo conto che esposizioni
dell'uomo a livelli di radioattivita' dell'ordine delle decine di
Curie (l'unita' di misura di un Curie equivale a trentasette miliardi
di disintegrazioni nucleari al secondo) possono dar luogo a
significativi effetti sulla salute, anche nelle forme piu' gravi
quali i tumori, si pensi che entrambe le nazioni hanno rilasciato
nell'ambiente qualcosa come un miliardo e mezzo di Curie. Tra questi,
circa tre milioni di Curie sono stati rilasciati dagli impianti degli
Stati Uniti, mentre l'enorme quantita' restante e' stata liberata
dall'ex Urss. A termine di paragone, l'incidente di Cernobil del
1986, pur avendo causato una gravissima contaminazione dell'ambiente
e molti casi di cancro, ha rilasciato una quantita' di radioattivita'
praticamente trascurabile rispetto alle cifre citate. Tra il 1949 e
il 1952, l'impianto sovietico di Mayak, per esempio, ha
sistematicamente immesso scorie radioattive nel fiume Techa per un
totale di piu' di due milioni e mezzo di curie. Circa centoventimila
persone che vivono nelle vicinanze sono state direttamente colpite
per anni dalle radiazioni, mentre piu' di ventottomila di queste
persone, che vivono sulle sponde del fiume, hanno bevuto, cucinanto e
si sono lavate con queste acque e ne hanno mangiato anche i pesci.
Negli Anni 50 i russi hanno cercato di contenere le acque radioattive
del fiume Techa, ma queste stanno inesorabilmente migrando e
contaminando anche le acque del fiume Ob, uno dei maggiori fiumi
della Russia le cui acque si immettono direttamente nel mare. I
prodotti radioattivi di scarto sono anche stati immessi nei laghi,
come per esempio nel caso del lago di Karachai in Russia. E' stato
calcolato che attualmente questo lago contiene centoventi milioni di
curie. Nel 1967, in conseguenza di un periodo di scarsita' di
precipitazioni, il livello del lago e' sceso e la polvere radioattiva
lungo le rive e' stata presa in carico dal vento e trasportata a
decine o centinaia di chilometri di distanza. Altro caso inquietante
e' l'impianto nucleare di Krasnoyarsk-26: costruito interamente
sottoterra, ha un volume pari a tre volte e mezzo la Piramide di
Cheope. Dal 1963 a oggi, i liquidi di scarto radioattivi vengono
immessi a pressione nel sottosuolo, dove vanno a inquinare le falde
acquifere nonche' il vicino fiume Ianisej, che attraversa la Russia
centro- orientale fino a sfociare nel Mare Artico. L'inquinamento
radioattivo deriva anche dalle operazioni di estrazione mineraria
dell'uranio. Gli scarti rocciosi di estrazione di questo minerale
vengono sistematicamente abbandonati all'aria aperta e lasciati cosi'
soggetti al dilavamento e trasporto ad opera delle acque pluviali e
del vento. L'ex Urss ha accumulato in discariche a cielo aperto circa
cinque miliardi di tonnellate di scarti rocciosi radioattivi,
corrispondenti a un rilascio di radioattivita' nell'ambiente di
seicentomila curie. La Russia ha in programma di ricoprire queste
discariche radioattive entro l'anno 2000 con uno strato isolante di
argilla. Simili discariche sebbene di dimensioni molto piu' modeste,
sono disseminate anche negli Stati Uniti. Alla fine del 1994, tredici
su ventiquattro di queste discariche erano state ricoperte e
protette. Fortunatamente, i dati, le tecnologie, e l'esperienza
accumulata dai tecnici sovietici ed americani negli ultimi
cinquant'anni sono estremamente importanti per individuare soluzioni
ai problemi di bonifica e gestione di questi siti inquinanti. Grazie
alla fine della «guerra fredda» e alla divulgazione internazionale di
questi dati, il Dipartimento americano dell'Energia e il Ministero
dell'Energia atomica della Federazione Russa si sono recentemente
associati per creare un organismo di ricerca mirato alla soluzione di
questi importantissimi problemi. Alessandro Tibaldi Universita' di
Milano
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Lattes Coifmann Isabella: «Animali amici miei», La Stampa
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI etologia, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS ethology, book
ISABELLA Lattes Coifmann, straordinaria divulgatrice dell'etologia
che i lettori di «Tuttoscienze» conoscono e amano da tanti anni, nel
suo ultimo libro confessa di aver invidiato ai romanzieri la liberta'
con cui possono inventare personaggi e intrecci. Questa liberta' e'
negata a chi scrive di scienza: a comandare non e' la fantasia ma il
risultato delle ricerche. Tutto vero. Ma bisogna subito aggiungere
che Isabella Lattes Coifmann non rinuncia certo alla tecnica e alle
altre armi della narrativa. Semplicemente le applica a contenuti
scientifici, il che e' a ben vedere un vantaggio: il lettore non solo
si diverte come se leggesse un romanzo, ma impara anche qualcosa.
L'approccio narrativo e' cosi' forte, in questo libro di etologia,
che gli animali trattati sono suddivisi in tre categorie affettive:
gli antipatici, i simpatici e gli originali. Tutti pero', a ben
vedere, meritano di essere considerati «amici» perche' tutti hanno un
ruolo prezioso nella biosfera. Quando ci appaiono «antipatici», e'
soltanto perche' non li conosciamo bene. Dagli sgradevoli scarafaggi
al simpaticissimo delfino, questo libro ci rivela non solo le
insospettabili abilita' che molte specie hanno sviluppato nel loro
adattarsi all'ambiente, ma anche le sottili interconnessioni tra le
specie. Sottili e armoniose, anche quando si tratta di predatori e
predati. La sola presenza non armonica, ci fa notare l'autrice e',
ahime', quella dell'Homo sapiens sapiens...
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
De Carli Lorenzo: «Internet», Bollati Boringhieri
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI comunicazioni, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS communication, book
Internet non solo sta cambiando il mondo ma e' essa stessa un mondo
virtuale, nel quale c'e' un tempo senza luogo, un luogo senza centro,
un unico immenso ipertesto che risponde alle leggi dell'accesso
casuale (e non dell'accesso sequenziale, come i vecchi testi). Questo
libro analizza in termini critici la realta' di Internet con l'occhio
del filosofo del linguaggio. Un intelligente viatico alla virtualita'
multimediale. Da segnalare anche «Telefonare con Internet», edito da
Apogeo, con un Cd-rom contenente tutto il software per l'uso vocale
della rete.
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Rossi Paolo: «La nascita della scienza moderna in Europa», Laterza
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI storia della scienza, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS history of science, book
Da Galileo a Newton, passando per l'opera di Cartesio, Gilbert e
Huygens, una magistrale sintesi della rivoluzione scientifica che
segna in Europa l'inizio della scienza moderna. Allievo di Banfi,
Paolo Rossi insegna storia della filosofia all'Universita' di
Firenze.
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
«Meteorologia a sorpresa», Editoriale Scienza, Trieste
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI meteorologia, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS meteorology, book
E' una delle poche certezze della pedagogia: si impara molto piu'
facilmente e piacevolmente cio' che si fa. Ci ha pensato la
Editoriale Scienza, specializzata in libri scientifici per bambini e
ragazzi. Per esempio, un suo libro di meteorologia adatto dai 6 ai 12
anni contiene anche il materiale necessario per farsi una piccola
stazione meteo: termometro, pluviometro, anemometro. Altri
libri-laboratorio riguardano le erbe, la bussola, la luce. La nuova
collana si chiama «Sorprese». Il progetto, nato in Francia da
Gallimard, e' realizzato in collaborazione con Touring Junior.
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
«Calore, colore, percezione», LRE, distribuzione gratuita
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI didattica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS didactics, book
Calore, colore e percezione sembrano tre concetti distanti. Hanno
invece una forte connessione: piu' un corpo e' caldo, per esempio,
piu' piccola e' la lunghezza d'onda della radiazione che emette, e
siamo nel dominio ottico la lunghezza d'onda e' determinante per il
colore. Quanto alla percezione che ne abbiamo (o non abbiamo), e'
appunto dipendente dalla lunghezza d'onda. Queste e altre nozioni si
trovano in un utile quaderno didattico curato dal Laboratorio di
ricerca educativa del Dipartimento di chimica dell'Universita' di
Firenze. Lo si puo' avere gratis chiedendolo a: Paolo Manzelli, c/o
LRE, Dipartimento di chimica, via Maragliano 77 - 50144 Firenze.
Piero Bianucci
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. METEOROLOGIA
Anomalia climatica a Torino
Dal 1803 mai cosi' secco il periodo febbraio-maggio
OAUTORE MERCALLI LUCA
OARGOMENTI meteorologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OTABELLE T. Torino - Precipitazioni minime trimestrali dal 1803 al 1996
OSUBJECTS meteorology
QUALCHE pioggia c'e' stata, soprattutto sulle Alpi, ma sulle pianure
nordoccidentali italiane per oltre cento giorni acqua non se ne e'
vista. Definire la siccita' non e' banale. La calotta antartica e' un
deserto di ghiaccio, con precipitazioni paragonabili a quelle dei
deserti di sabbia, ma il loro carattere di aridita' e' ben diverso.
In effetti la percezione della siccita' come evento estremo si ha
solo quando la carenza idrica rispetto a una quantita' normale di
precipitazioni colpisce la biosfera. In questo senso, la siccita' che
gran parte dell'Europa occidentale ha vissuto nei primi mesi del 1997
e' certamente un evento anomalo. La serie pluviometrica di Torino,
citta' al centro di una delle zone piu' colpite, dispone di quasi due
secoli di osservazioni e consente verifiche statistiche di grande
qualita'. Nel trimestre febbraio-aprile 1997 sono caduti solo 5,3
millimetri di acqua contro un valore normale di 201 mm; in un anno la
media ne vuole circa 900. Calcolando gli apporti di precipitazioni
per tutte le combinazioni di tre mesi dal 1803 al 1996, si trovano
solo tre casi piu' critici dell'attuale: 0,5 mm nel 1817, 3 mm nel
1822, 4,6 mm nel 1981. Tuttavia, senza gran differenza sul piano
pratico, si possono aggiungere altri 6 casi con meno di 10 millimetri
in tre mesi, senza dimenticare situazioni ancora piu' drastiche, come
i 39 mm raccolti in 6 mesi tra l'ottobre 1989 e il marzo 1990. Dove
sta allora l'elemento che rende eccezionale il caso 1997? Nel fatto
che, al contrario di quasi tutti gli altri eventi che interessano i
soli mesi invernali, gia' di per se' asciutti, quest'anno si e' avuto
uno spostamento verso la primavera che ha soppresso una delle fasi
piu' attive della locale «stagione delle piogge». Solo nel 1817 la
carenza di pioggia aveva interessato, come oggi, il trimestre
febbraio-aprile; e, prima ancora, non si puo' tacere il 1733-34; pur
in assenza di misure pluviometriche, affido' alle cronache storiche
una delle piu' gravi siccita' del Piemonte: oltre nove mesi senza
pioggia, da agosto a maggio. Tornando al 1997, altre concomitanze
hanno amplificato gli effetti del deficit pluviometrico: un'elevata
temperatura durante l'intero periodo, prossima ai valori massimi
secolari, una bassa umidita' dell'aria causata dai continui venti di
caduta a ridosso dell'arco alpino. La vegetazione si e' svegliata
precocemente e ha subito gravi danni trovandosi a fronteggiare la
mancanza d'acqua. Le ragioni della siccita' risiedono nell'anomala
permanenza tra l'Atlantico e le coste europee, di un vasto
anticiclone di matrice subtropicale. Questo assetto viene detto «di
blocco» nei confronti delle perturbazioni che di solito transitano
sulle nostre regioni da Ovest verso Est. La VII Conferenza sulle
variazioni del clima, organizzata dall'American Meteorological
Society in California nello scorso febbraio, ha messo in luce legami
sempre piu' stretti tra la circolazione oceanica e quella
atmosferica. La lentezza e la complessita' degli scambi termici negli
abissi marini offre una prima chiave di lettura di come l'effetto
memoria possa condizionare la distribuzione di depressioni e
anticicloni. Luca Mercalli Direttore di «Nimbus»
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. UCCELLI PREPOTENTI
Il cuculo e' mafioso?
L'abitudine di usare nidi altrui
OAUTORE BOZZI MARIA LUISA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI ZAHAVI AMOTZ, DAWKINS RICHARD, KREBS JOHN
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
PER chi vive in campagna quel suo canto monotono e' un appuntamento
della primavera, come conferma una vecchia filastrocca: «Aprile e'
ritornato, col canto del cucu'!». A cantare e' il maschio che,
occupato un territorio, propone alle femmine la sua disponibilita' a
generare nuovi piccoli. I quali, come e' noto, vengono dati a balia
dalla madre a qualche altra coppia di ignari uccelletti, che per
l'impresa non ricevono alcun compenso, anzi, vengono penalizzati
dalla perdita al completo della propria figliolanza. Tanto che i
biologi si chiedono da tempo come mai le vittime del cuculo non
abbiano evoluto una qualche strategia di difesa per contenere i
danni. Molti si sono cimentati nelle risposte, l'ultima delle quali,
del biologo israeliano Amotz Zahavi, e' alquanto intrigante: se una
coppia osa ribellarsi espellendo l'indesiderato ospite, si ritrova il
nido distrutto. Insomma, il cuculo sarebbe un mafioso. Sono circa 40
le specie di cuculidi parassite del nido, tutte nel Vecchio Mondo. Da
noi vive Cuculus canorus, che utilizza come genitori adottivi dei
suoi figli le coppie di passera scopaiola, di cannaiola o di pispola.
Parassita e ospite si trovano coinvolti in una corsa alle armi
evolutiva per la messa a punto di strategie sempre piu' efficaci
l'uno per difendersi, l'altro per abbattere i sistemi di difesa. Dei
due, secondo l'ipotesi di Richard Dawkins e John Krebs, chi deve
trovarsi in posizione piu' avanzata e' il parassita, perche' corre
per la vita. Per lui la sconfitta significa l'estinzione. Per
l'ospite il danno e' limitato a una nidiata e solo per alcune coppie.
Le strategie messe a punto dal cuculo per essere in testa rispetto ai
suoi ospiti sono notevolmente raffinate. Tanto per incominciare mamma
cuculo va in cerca di un nido di una coppia di uccelletti in cova
della stessa specie dei suoi genitori adottivi. Quindi, durante una
breve assenza dei padroni di casa, preleva un uovo e lo sostituisce
con uno dei suoi, che e' mimetico - per grandezza, forma e colore -
con quelle dell'ospite. Pare che questo comportamento sia tramandato
in casa cuculo per via femminile di madre in figlia, perche' la
relativa informazione genetica e' collocata sul cromosoma W, che
determina il sesso femminile negli uccelli, dove le femmine sono ZW e
i maschi ZZ (nella nostra specie avviene il contrario: le femmine
sono XX e i maschi sono XY). La seconda strategia messa a punto dal
cuculo per vincere la corsa alle armi sta nella durata
dell'incubazione delle sue uova - un po' piu' breve rispetto a quelle
dell'ospite - cosi' che il primo nato spinge brutalmente fuori dal
nido i figli del padrone di casa non appena vengono alla luce. Terzo
espediente: una macchia di un rosso intenso nella gola del piccolo
cuculo, che negli uccelli suscita un irresistibile impulso a nutrire
qualsiasi nidiaceo la metta in mostra. L'unica possibile difesa per
gli ospiti e' abbandonare al suo destino il figlio adottivo
ricominciando con un nuovo nido e relativa covata. Oppure sbarazzarsi
dell'uovo estraneo, con il pericolo pero' di buttare via - a causa
del mimetismo - un proprio uovo invece di quello estraneo. Ma in
alcune specie le uova dell'ospite e del parassita sono completamente
differenti, eppure questo tipo di difesa non viene messa in atto.
Come mai? I pareri sono opposti: alcuni biologi sostengono che il
rapporto fra parassita e ospite e' recente e la capacita' di
riconoscimento delle uova da una parte e di mimetismo dall'altra non
e' ancora evoluta. Zahavi sostiene invece che questa e' gia' una
situazione di equilibrio, perche' siamo di fronte a un caso di mafia
ornitologica. In sostanza, per gli ospiti e' vantaggioso accettare il
parassitismo come il male minore: chi butta fuori dal nido l'uovo
estraneo o abbandona il nidiaceo adottivo per ritentare un'altra
nidiata, si trova il nido distrutto per rappresaglia da mamma cuculo,
che sorveglia da lontano la progenie affidata a balia. L'ipotesi di
Zahavi e' stata verificata recentemente in Spagna sul cuculo maculato
Clamator glandarius, una specie tipica dell'Europa meridionale che
depone le uova nel nido della gazza Pica pica. A differenza del
nostro Cuculus canorus, il nidiaceo del cuculo spagnolo non espelle i
compagni di nido, ma compete con loro per il cibo avvantaggiato dalla
ben nota macchia rossa golare che esibisce ai genitori adottivi a
piu' non posso. Nonostante cio', a conti fatti, chi accetta un
piccolo cuculo nel nido ha un successo riproduttivo piu' alto di chi
lo caccia. La popolazione di gazza Pica pica e' infatti due volte
vittima dei cuculi, che spesso ne distruggono i nidi senza tanti
riguardi per uova e nidiacei. Da notare che la razzia non viene fatta
per fame, dal momento che i cuculi si nutrono di larve di insetti
lepidotteri e non di uova. Perche' allora distruggere i nidi? Per
costringere la coppia a ricominciare da capo, cosi' da poter
aggiungere un uovo al momento della deposizione? Pero' le seconde
nidiate sono molto a rischio, perche' la coppia dei genitori adottivi
ha davanti a se' ormai una breve stagione riproduttiva. Dall'analisi
dei risultati l'ipotesi della mafia sembra proprio confermata. Nella
popolazione esaminata l'86 per cento delle gazze che hanno espulso il
piccolo cuculo si sono ritrovate il nido distrutto. Queste coppie
hanno imparato la lezione: ricostruito il nido, e avuto un altro
giovane cuculo in adozione, tutte lo hanno accettato; inoltre, avere
un giovane cuculo in adozione significa correre minori rischi di
incursioni: solo il 12 per cento delle coppie con cuculi hanno avuto
il nido distrutto, contro il 22 per cento delle coppie non
parassitate. Il nostro cuculo canoro non e' stato ancora sottoposto a
indagini, ma ci sono forti sospetti che sia mafioso quanto il suo
collega spagnolo. Intanto, nella corsa alle armi evolutive fra i
cuculi e i loro ospiti la prossima mossa tocca a questi ultimi, con
la messa a punto di una qualche strategia antimafia. Peccato che i
tempi dell'evoluzione siano dell'ordine di migliaia di anni: troppi,
per trarre qualche suggerimento per i fatti di casa nostra. Maria
Luisa Bozzi
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. CONVEGNO
I giardini storici dimenticati
OAUTORE ACCATI ELENA
OARGOMENTI botanica, conferenza, presentazione
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS botany, lecture, presentation
I giardini storici sono una parte importante del nostro patrimonio
d'arte ma purtroppo non sono abbastanza conosciuti, tutelati e
valorizzati. Molti giardini di eccezionale pregio dal punto di vista
compositivo o botanico sono in cattive condizioni per scarsa o
inadeguata manutenzione. Emblematico, in Piemonte, e' il caso del
Parco del Castello di Racconigi, esteso su di una superficie di oltre
170 ettari. La sua importanza deriva dal contributo dato nella
seconda meta' del XVII secolo dall'illustre architetto francese
Andre' Le Notre che realizzo' anche i giardini annessi alla reggia di
Versailles e di Vaux-le-Vicomte. L'impostazione formale tipica dello
stile francese fu in gran parte modificata nel 1787 dal Pregliasco,
che, su indicazione della principessa Giuseppina di Lorena, fece suoi
i nuovi criteri progettuali propri dello stile paesaggistico inglese.
Una ulteriore consistente modificazione fu apportata nella prima
meta' dell'Ottocento in epoca carloalbertina da parte dell'architetto
Xavier Kurten che elimino' ogni traccia di elemento formale
impostando il parco in base al gusto romantico in voga all'epoca. Il
lungo periodo di disinteresse seguito alla seconda guerra mondiale,
fino alla definitiva acquisizione da parte dello Stato italiano, ha
comportato danni gravi, con un progressivo inselvatichimento delle
aree a bosco e la conseguente perdita dell'impostazione originaria.
Gli interventi da alcuni anni intrapresi dalla Soprintendenza ai Beni
architettonici ed ambientali del Piemonte hanno consentito di
riportare all'antico splendore il complesso delle Margherie e in
particolare le Serre dei fiori e degli agrumi progettate
dall'architetto Carlo Sada. Anche la rete idrica, comprendente i
bacini dal contorno irregolare e sinuoso voluti per lo svago dei
reali e della corte, e' in fase avanzata di ripristino. Grande
importanza ha la realizzazione di un piano generale di ripiantamento
degli esemplari arborei costituenti il parco, allo scopo di
sostituire quelli morti, deperienti o in precarie condizioni di
stabilita'. Nell'Italia centrale uno degli esempi piu' interessanti
di parco storico e' il «Sacro bosco di Bomarzo». Nel XVI secolo il
principe Vicino Orsini, staccandosi dalle regole di geometria e
simmetria proprie del giardino all'italiana, realizzo' un giardino
popolato da gigantesche statue raffiguranti animali, mostri o realta'
puramente fantastiche. Pur nel lodevole tentativo di far rivivere il
parco grazie agli sforzi degli attuali proprietari volti a permettere
una appropriata fruizione pubblica, il bosco necessita di una attenta
opera di restauro vegetazionale che porti ad individuare le specie
estranee all'impostazione originaria e consenta nuovamente di
percepire quell'atmosfera di mistero e di sorpresa che il bosco nel
passato trasmetteva ai visitatori. Anche nell'Italia meridionale
numerosi sono i giardini di pregio in precarie condizioni di
manutenzione. Villa Trabia a Palermo ne e' un esempio. La
straordinaria ricchezza botanica caratterizzante il giardino nei
decenni passati, resa possibile anche grazie alle favorevoli
condizioni climatiche del luogo, e' progressivamente venuta meno a
seguito di cure non adeguate. A testimonianza dello splendore passato
del parco rimangono ancora monumentali esemplari arborei di Ficus ma
gnoliodes localizzati in prossimita' della villa e nel fitto della
vegetazione del bosco. Le tematiche relative al giardino storico nei
suoi piu' vari aspetti, che hanno dato origine a un progetto
finalizzato del Consiglio nazionale delle ricerche, saranno al centro
di un incontro che si terra' a Torino il 23 maggio, organizzato dalla
Scuola di specializzazione in «Parchi e giardini» della facolta' di
Agraria insieme alla facolta' di Scienze della Formazione, con
l'intento di approfondire gli aspetti legati all'uso delle forme e
dei colori nella composizione del giardino analizzandone gli aspetti
tecnico-scientifici parallelamente a quelli estetico- filosofici. Per
informazioni, tel. 011-729496. Elena Accati Universita' di Torino
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PET THERAPY
Un cane come medicina
Benefici dai piccoli animali
OAUTORE BURI MARCO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, animali, domestici
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, animal, domestic
CHE bello sarebbe se l'uomo non dicesse piu' di «avere» un animale,
ma di «essere» in rapporto con gli animali! Che gran passo avanti
sarebbe nel tempestoso, controverso ed ambiguo rapporto tra due
specie che vivono nello stesso habitat ma, a volte, tenendosi cosi'
lontani. Forse la Pet Therapy (terapia di appoggio con l'utilizzo dei
piccoli animali) potrebbe essere un ulteriore tassello per un
miglioramento della convivenza. Animali cacciati, sfruttati,
allevati, abbandonati ed ora scoperti come potenziali forme
terapeutiche per determinate patologie o condizioni disagiate
dell'uomo. Questo tipo di terapia ha un duplice scopo: migliorare la
qualita' della vita ed avere una precisa azione di benessere in
malattie sia fisiche che mentali. E' nata negli Stati Uniti nel 1972
per opera di una psicoterapeuta che si accorse degli effetti benefici
procurati dal suo cocker ad un bambino autistico. Si sono
moltiplicati studi e ricerche in varie direzioni ed oggi questa
co-terapia viene utilizzata con successo sia nei pazienti con
handicap motorio-sensoriale sia in pazienti psicotici. In
quest'ultima patologia puo' agire facendo riacquisire abilita'
cognitive attraverso il feed-back (effetto impulso-risposta) fornito
dagli animali. Questi attivano risposte nell'uomo per mezzo della
loro gestione quotidiana e con reazioni emotive grazie
all'interazione tra esseri viventi con linguaggi diversi. Il rapporto
puo' avvenire non solo con cani e gatti, ma anche conigli, delfini,
anatroccoli, cavalli, pesci ed uccelli. E' stato testato l'effetto
bradicardizzante (rallentamento del battito cardiaco) ed ipotensivo
sulla pressione sanguigna. Il gioco e la cura degli animali riduce
l'ansia, facilitando i contatti sociali di persone sole, rompendo il
loro isolamento. Coccole e carezze sono piacevoli da scambiare con
soggetti che trasmettono tenerezza come i cuccioli in generale; ma
anche l'impegno per la somministrazione del cibo, la pulizia del loro
ambiente e il controllo della salute possono restituire alle persone
la consapevolezza della loro individualita', in quanto si sentono
utili e sanno di poter contare per qualcuno. Specialmente negli Stati
Uniti alcuni animali sono stati avvicinati a strutture ospedaliere
per malattie a lunga degenza, come per malati di Aids, sempre con
effetti incoraggianti. Molti contatti di Pet Therapy si sono invece
attuati nel nostro Paese nel mondo degli anziani. Questo dolce
approccio delle persone anziane molte volte sole o chiuse in se
stesse puo' offrire compagnia, un'attenzione maggiore alla vita, una
responsabilita' ed una profonda soddisfazione. L'interazione aumenta
anche l'autostima combattendo gli agenti stressanti puramente
psicologici, regalando momenti di allegria e distogliendo la persona
da problemi ossessivi. L'animale ha un comportamento disinteressato
ma accondiscendente ed e' pronto a fornire affetto rispondendo alle
nostre richieste, rimanendoci vicino in qualsiasi circostanza. Gli
psicologi affermano che anche se non si stabilisce con l'animale un
contatto fisico e' sufficiente la sua presenza nell'ambiente
dell'uomo per determinare un effetto rilassante. Da non dimenticare
il benessere psichico e fisico creato dal contatto tra bambini e
animali che favorisce una crescita equilibrata con conoscenza e
rispetto migliore del mondo circostante. Sara' legalizzata
l'introduzione dei piccoli animali anche nelle carceri come
deterrente sui detenuti piu' violenti ma anche come tentativo di
riabilitazione. Che possano riuscire pesci ed uccellini dove non e'
riuscito l'uomo? Marco Buri
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. BIOTECNOLOGIE E GRANDI APPARECCHIATURE
L'Italia a rimorchio del resto d'Europa
Tra spreco di risorse e carenza di investimenti pubblici e privati
OAUTORE GAVOSTO FELICE
OARGOMENTI ricerca scientifica, biologia
OORGANIZZAZIONI CNR AIRC, TELETHON
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS research, biology
IN Italia le risorse investite nella ricerca scientifica biomedica
sono ancora insufficienti, inferiori a quelle di altri Paesi Europei.
In effetti, dipendiamo da altri, in misura considerevole, per
prodotti della biotecnologia e grandi apparecchiature, oltre che per
l'elaborazione di programmi avanzati di ricerca e di rinnovamento.
Questo handicap e' anche la conseguenza del fatto che la nostra
industria ha spesso trascurato il settore sanitario e farmaceutico,
non investendo nella ricerca di nuovi prodotti e nuove
apparecchiature. Il cammino verso l'Europa e' dunque ancora in salita
anche in questo settore. Le ragioni tuttavia non sono soltanto di
natura finanziaria o di scelta di spazi industriali. Alla carenza di
investimenti pubblici e privati, si sommano un notevole spreco nella
distribuzione delle risorse e alcune gravi deficienze nella
programmazione della ricerca sia sperimentale sia clinica e
soprattutto nel controllo dei risultati. Il problema concerne - oltre
che la mancanza di un sistema obiettivo, quale il cosiddetto criterio
dei «peer reviewers» nell'assegnazione delle risorse da parte degli
Enti pubblici - il controllo dei risultati, cioe' un'importante
funzione che in pratica e' ignorata in Italia. In altri Paesi, il
controllo dei risultati e dei prodotti ottenuti con le risorse
assegnate a enti pubblici per la ricerca e' di pertinenza del
Parlamento o dell'esecutivo, le cui commissioni intervengono
direttamente e drasticamente quando riscontrano carenza o inesattezza
di risultati. Negli Stati Uniti e' ormai codificato un reato: la
frode scientifica. La sostanza del problema riguarda inoltre
l'identificazione di ricercatori validi ed affidabili e la
possibilita' di arruolarli. Le assunzioni del passato, senza adeguata
selezione e spesso favorite da dispositivi di legge, hanno provocato
negli Enti pubblici mancanza di turnover ed aumento dell'eta' media
dei ricercatori, frustrazioni e assenza di stimoli oltre che carenza
di nuovi posti per i giovani. Nonostante la situazione «ambientale»
sopradescritta, sono noti alcuni eccellenti risultati scientifici
della ricerca sperimentale e clinica, concepita e svolta in Italia, a
partire dagli Anni 60. Questi risultati, originariamente isolati in
qualche centro, si sono progressivamente ampliati, particolarmente
dopo l'inizio dei progetti finalizzati del Cnr e l'impegno,
consistente anche in termini finanziari, dell'Airc e, piu'
recentemente, di altre «charity foundations» come Telethon, oltreche'
la buona gestione del progetto di ricerca Aids da parte dell'Istituto
superiore di sanita' realizzata in questi ultimi anni. Una
riflessione per i nostri politici: risorse destinate alla ricerca di
livello europeo, controlli efficienti e reclutamento piu' selettivo
dei ricercatori arricchirebbero notevolmente la ricerca biomedica
italiana portandola ad un livello piu' competitivo rispetto agli
altri grandi Paesi Europei. Felice Gavosto Ircc, Candiolo
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA
ANIMALI IN FOTO
OARGOMENTI ecologia, didattica, mostre, fotografia
ONOMI GHIRETTI MARIO, CELLI GIORGIO
OORGANIZZAZIONI PARCO LA MANDRIA, MUSEO DI STORIA NATURALE, BBC
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, VENARIA (TO)
OSUBJECTS ecology, didactics, exhibition, photography
Il meglio della fotografia naturalistica mondiale e' in mostra fino
al 25 maggio nella sala convegni del Parco La Mandria a Venaria
(Torino). Si tratta di 85 immagini selezionate fra le 17 mila
pervenute da 64 paesi agli organizzatori, il Museo di Storia Naturale
di Londra e la Bbc. La mostra, «Wildlife Photographer of the year»,
viene per la prima volta in Italia, e si svolge nell'ambito della
Festa nazionale dei parchi. L'iniziativa e' promossa dalla Provincia
di Torino e dalla Regione Piemonte. Tra il resto e' in programma una
multivisione di Mario Ghiretti su testi di Giorgio Celli sul tema:
«Animali, specchio dell'uomo». L'insieme delle mostre alla Mandria
compone un ampio progetto per le scuole, con distribuzione di
materiale didattico e un concorso, riservato agli studenti, con in
palio un weekend a Londra per due persone. Domenica 18 maggio grande
Festa della Natura e incontro (alle 15), con i migliori fotografi
della Siaf che insegneranno come fotografare gli animali.
Informazioni 011/68.28.712.
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. TRA MEDICINA E GEOGRAFIA
L'insulina e le isole del Langerhans
Non un arcipelago ma cellule del pancreas
OAUTORE BUONCRISTIANI ANNA
OARGOMENTI medicina e fisiologia, geografia e geofisica
ONOMI LANGERHANS PAUL, LAGUESSE EDOUARD
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, geography and geophisics
QUALCHE tempo fa gli spettatori di Striscia la notizia hanno
assistito a una tirata d'orecchi data a Gerry Scotti: conducendo una
trasmissione, aveva parlato delle «isole del Langerhans» come se
fossero isole in senso geografico, la cui popolazione produceva in
modo particolarmente efficace l'insulina. Non si chiedono certo
approfondite conoscenze scientifiche a un conduttore televisivo, ma
chiunque abbia fatto una scuola media superiore dovrebbe ricordare
che nel pancreas sono presenti aggregati di cellule, detti appunto
isole del Langerhans, dove si producono gli ormoni glucagone e
insulina, regolatori del metabolismo dei carboidrati. In un certo
senso, pero', si potrebbe anche dire che geograficamente quelle isole
esistono davvero. Si tratta dell'arcipelago di Madeira nell'Oceano
Atlantico, dove Paul Langerhans mori' nel 1888 dopo avervi
soggiornato per 13 anni. Nato a Berlino 150 anni fa, il 25 luglio
1847, nella sua citta' aveva studiato medicina, laureandosi alla
scuola di Virchow, il famoso fisiologo e antropologo. La tesi,
intitolata «Studi sull'anatomia microscopica del pancreas» fu la
prima ricerca approfondita su quell'organo (studiato nei conigli) e
vi si segnalava la presenza di particolari aggregati cellulari, che
poi, nel 1893, l'istologo francese Edouard Laguesse, abbino' al nome
di Langerhans. In istologia il nome e' pero' legato anche a certe
cellule presenti nell'epidermide. Egli le aveva osservate per primo,
dopo colorazione con cloruro d'oro, nel 1868, cioe' l'anno precedente
alla laurea, in un periodo in cui le sue ricerche erano indirizzate a
nuovi metodi per colorare i preparati biologici da osservare al
microscopio. Nel 1870 Langerhans accompagno' il geografo Heinrich
Kiepert in una spedizione in Egitto e Palestina. In questa regione,
stimolato dal grande interesse antropologico del suo maestro Virchow,
esegui' misurazioni del cranio e di altre caratteristiche somatiche
della popolazione. Medico militare nella guerra franco-prussiana, nel
1871 ottenne un incarico nell'ambito dei corsi di anatomia patologica
all'universita' di Friburgo; nello stesso anno divenne libero
docente. Nel 1873 riprese gli studi sulla pelle e la sua
innervazione, dedicandosi inoltre a ricerche sulla muscolatura
cardiaca e sull'apparato genitale maschile. Nel 1874 la tubercolosi
interruppe questa promettente carriera. Langerhans comincio'
un'odissea in Svizzera, Italia e Germania; nel 1875 decise di
trasferirsi a Madeira, dove si recavano allora molti europei malati
(vi soggiorno' anche la famosa Sissi, imperatrice d'Austria). La',
grazie al clima, se non la guarigione si trovava almeno sollievo alle
sofferenze. Langerhans non vi stette ozioso: esercito' la professione
di medico nella capitale, Funchal; compi' anche studi sulle cause
della sua malattia, e in un manualetto descrisse le proprieta'
climatiche e curative del luogo. Alla vigilia dei 41 anni mori' per
un'infezione renale. I diabetici diventano tali a causa di una
reazione autoimmune che distrugge le isole. Pochi giorni fa e' stata
annunciato una sorta di «vaccino» che puo' prevenire, per ora solo
nei topi, la reazione autoimmune. Anna Buoncristiani
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA
LE PAROLE DELL'INFORMATICA - S
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science
Scanner. E' uno dei dispositivi d'ingresso, «input devices», ossia
un'unita' per l'introduzione dei dati nel calcolatore. Piu'
esattamente consente l'acquisizione di immagini che vengono tradotte
in numeri e trasferite alla memoria del calcolatore. Idealmente lo
scanner scompone l'immagine in un grandissimo numero di «elementi di
quadro» o «pixel, picture elements», ottenuti con una pluralita' di
righe orizzontali e di colonne verticali, come su un foglio finemente
quadrettato. La luminosita' di ogni pixel e' misurata da opportuni
sensori ottici ed e' espressa in numeri a vario livello di
precisione. Ad esempio, in quel particolare scanner che e'
incorporato nel fax, la luminosita' di ogni pixel e' espressa da un
solo bit, che indica se quel pixel e' chiaro o scuro. Negli scanner
per personal computer la luminosita' e' generalmente espressa da 8
bit, corrispondenti a 256 livelli di grigio. Negli scanner a colori,
al dato di luminosita' si aggiungono i valori dei rapporti fra le
componenti di colore. In tal modo il numero dei bit per esprimere
luminosita' e colore di un pixel puo' essere pari a 24 bit,
corrispondenti a oltre 16 milioni di colori diversi. La risoluzione
spaziale, misurata dal numero di pixel per pollice (corrispondente a
2,54 centimetri), o dpi «dots per inch», «punti per pollice», di
norma e' di 300 X 300 dpi, ma puo' raggiungere i 2400 X 2400 dpi nei
modelli piu' raffinati. Vi sono scanner da tavolo, per fogli di varia
dimensione, generalmente A3 oppure A4, e scanner manuali, «handy
scanner», che possono essere spostati manualmente sull'immagine che
si vuole digitalizzare. Questi ultimi sono strumenti meno costosi, ma
piu' imprecisi, essendo manovrati a mano dall'utente. Le immagini
digitalizzate fornite dallo scanner possono essere modificate,
ritoccandole oppure cambiandone dimensioni e colori, e possono essere
inserite nei nostri documenti, migliorandone decisamente la qualita'.
Talora lo scanner e' arricchito da un programma particolare, chiamato
Ocr, «Optical Character Recognition», che riconosce ogni carattere,
convertendo la sua immagine nel codice corrispondente. Il processo
consente di ridurre drasticamente gli enormi volumi di informazioni
richiesti dalle immagini e di trattare la pagina con gli strumenti
classici per l'elaborazione dei testi.
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
GEOGRAFIA AL SERVIZIO DEL TURISMO
Va' dove ti porta l'Indice climatico
Come scegliere scientificamente la meta delle vacanze
OAUTORE BIANCOTTI AUGUSTO
OARGOMENTI meteorologia, medicina e fisiologia, turismo, viaggi, biologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OTABELLE C.
OSUBJECTS meteorology, medicine and physiology, tourism, tour, biology
LE tristi metropoli dell'Europa centrale sono abbandonate ormai in
ogni stagione da legioni di vacanzieri alla ricerca del loro ideale
climatico. Le mete devono essere soleggiate, piacevoli per
temperatura e umidita', refrigerate da brezze dolci. Le esigenze del
turista in fatto di condizioni meteorologiche sono oggetto di studi
specializzati che si avviano a diventare una vera e propria
disciplina scientifica. Con l'occhio attento alla fisiologia, e anche
alla patologia, molti ricercatori francesi, canadesi, brasiliani,
americani (pochissimi italiani), propongono metodi sempre piu'
efficaci per individuare i valori del comfort termico e idrico. Il
corpo umano si trova a proprio agio fra i 18 e i 31 gradi centigradi,
cioe' fra lo zero fisiologico (18 oC) al di sotto del quale devono
entrare in azione i meccanismi corporei di lotta contro il
raffreddamento, e un paio di punti in meno del calore medio della
pelle nuda (33 oC). Il benessere idrico dipende dalla tensione di
vapore, cioe' dall'umidita' assoluta dell'aria posta in relazione con
la temperatura. A questi assunti rispondono gli indici
climatico-turistici. Con calcoli relativamente semplici e' possibile
conoscere a priori quanto siano accoglienti i luoghi delle vacanze.
Un modo semplice per valutare la qualita' della stagione estiva e'
l'indice climatico balneare ICB: ICB = N/T, dove N corrisponde al
numero dei giorni con pioggia di giugno, luglio, agosto, settembre. T
e' la temperatura media degli stessi mesi. Se il risultato del
calcolo e' inferiore a 3, la localita' e' perfetta. Fra 3 e 8 le
prospettive di una bella villeggiatura sono meno rosee. Oltre 8 e'
meglio cambiare destinazione. I francesi citano con orgoglio gli
indici climatici balneari della loro costa meditarranea: l'ICB di
Tolone e' di 1,6 e quello di Montpellier di 2,6. Niente a che vedere
con i nostri litorali: Napoli vanta uno strepitoso 0,7; Sanremo con
0,4 batte tutti. In Canada il ministero dell'Ambiente ha inventato
l'Humidex, un indice termo-igrometrico che dipende dalla temperatura
dell'aria e dalla tensione di vapore. Sulla base del calcolo vengono
definite le condizioni ideali per il passeggio, l'attivita' fisica
all'aperto, il mare, addirittura per il pisolino all'ombra della
frasca. Sulla costa atlantica nordamericana della Nuova Scozia a
Halifax il valore dell'Humidex limita il periodo adatto alla spiaggia
ai mesi di luglio e agosto, mentre si puo' sonnecchiare sotto un
albero da maggio a settembre. Applicando i parametri canadesi a
Genova, all'incirca alla stessa latitudine, la balneazione sarebbe
possibile da maggio a meta' ottobre, la siesta in campagna da aprile
ai primi di novembre. La durata della «stagione» in montagna dipende
dal tempo di permanenza della neve al suolo e dallo spessore della
coltre: per essere praticabile allo sci deve raggiungere i 40
centimetri. L'innevamento precoce di fine autunno con il gelo e la
compressione produce un battente solido particolarmente apprezzato
per la sua resistenza ai raggi del sole e al passaggio degli
sciatori. Per il successo delle localita' turistiche e' essenziale
che nevichi almeno un anno ogni due prima di San Silvestro, per
fruire appieno delle vacanze natalizie: tale informazione puo' essere
ricavata dall'analisi probabilistica dei dati misurati nelle stazioni
meteorologiche. La qualita' del fondo, essenziale per i discesisti,
dipende dalla temperatura. La neve resta farinosa solo al di sotto di
0 oC, altrimenti diventa adesiva, pesante. Sotto l'azione del sole e
del vento si genera una crosta dura ideale per il principiante.
Durante i recenti campionati mondiali di sci la Regione Piemonte
impianto' a Sestriere un vero e proprio ufficio meteo per sorvegliare
lo stato del tempo e delle piste. I bollettini diffusi con
regolarita' si rivelarono importanti per programmare le gare. Sulla
base di vari fattori (l'insolazione, la tensione di vapore, il potere
refrigerante dell'aria, la velocita' del vento, la frequenza delle
piogge) e' nata la carta climatoterapica della costa mediterranea
europea. La sua consultazione puo' essere utile alle persone
spossate, desiderose di vivere un po' di tempo in un ambiente
corroborante, e a quelle ansiose, che hanno bisogno di quiete e
distensione. I climi del Sud dell'Europa sono divisi in sedativi,
lievemente stimolanti, stimolanti e iperstimolanti. I primi
prevalgono nella parte centrale del bacino, piu' riparata. Gli altri
nei settori marginali, esposti all'influenza vigorosa dell'Atlantico
e a quella ruvida delle steppe continentali dell'Est. Chi deve
calmarsi vada dunque in Sicilia in primavera e in autunno, o nel Sud
Italia. Il viaggiatore bisognoso di un'iniezione di energia passi il
giugno a Stintino nella Sardegna nord-occidentale sferzata dal
maestrale, o viva la frizzante primavera della Versilia. Gli ambienti
migliori contro la depressione sono le Meseta spagnole, secche e
ventose, la Linguadoca e l'Aquitania nel luminoso Sud-Ovest francese.
Ogni turista ha la sua equazione climatica personale. E' innegabile
che le masse dei vacanzieri sono fatalmente calamitate dalle tre «s»,
sea, sun, sand (mare, sole, sabbia). Di mare e di sabbia ce n'e'
lungo i litorali di tutti i cinque continenti. Ma di fronte alla
Scozia nelle isole Orcadi l'insolazione e' appena di 1050 ore l'anno,
e di 1035 a Abidjan nell'Africa tropicale umida. Nei deserti caldi
subtropicali il cielo e' sempre sereno: in Arizona il sole splende in
media per 3900 ore, la sabbia e' abbondante, pero' manca il mare.
Sono le coste mediterranee a soddisfare al meglio tutte e tre le
condizioni. Il Sud dello stivale e le isole totalizzano in media 3000
ore senza nubi ogni dodici mesi. Quasi tutto il nostro Paese e' un
enorme, ricchissimo giacimento climatico. Possediamo un patrimonio
permanente e rinnovabile, non soggetto ad esaurimento come accade
invece alle miniere o ai pozzi di petrolio. Sole e onde sono
ricchezze ambientali uniche nel loro genere: non possono essere ne'
trasportate altrove ne' accumulate per il futuro. Chi desidera
fruirne deve andare la' dove il clima turistico e' fabbricato dalla
natura. Come la maggior parte delle materie prime, anche il tempo
ameno e' ripartito in modo ineguale sulla Terra. Se la sorte e' stata
avara con noi di metalli, idrocarburi, carbone, ci ha donato questo
bene con generosita'. I consumatori di cieli sereni e di spiagge
tiepide aumentano nel mondo di anno in anno. Dobbiamo conoscere e far
conoscere in modo piu' scientifico cio' che possediamo. Che l'Italia
sia il Paese del sole lo sanno tutti. Adesso e' il momento di
propagandare non solo l'esistenza, la quantita' di questa risorsa, ma
anche la sua qualita' superiore, accoppiata com'e' luogo per luogo
con le giuste dosi di umidita', di brezza, oppure di neve presente al
suolo nei tempi e nei modi dovuti. E' ora di adeguarci al futuro del
turismo inventando il clima personalizzato. Augusto Biancotti
Universita' di Torino
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PROVOCAZIONE
Scienziati come calciatori?
OAUTORE GIACOBINI EZIO
OARGOMENTI ricerca scientifica
ONOMI FENDER BRIAN
OORGANIZZAZIONI HIGHER EDUCATION FUNDING COUNCIL OF ENGLAND
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, LONDRA
OSUBJECTS research
SI puo' affermare senza timore di smentita che il calcio italiano ha
mietuto negli ultimi vent'anni molti piu' allori che la nostra
ricerca scientifica. Perche' allora non adottare anche per la ricerca
i metodi del calcio? Fare una classifica periodica delle squadre
(Universita') basata sui loro successi, formare una serie A, una
serie B e cosi' via, assegnare piu' fondi ai primi e permettere la
compra- vendita di calciatori (scienziati e docenti) di alto valore
sul mercato internazionale. Questo sistema potrebbe sostituire
l'attuale spargimento a pioggia di un miserevole 1% del prodotto
nazionale lordo (come l'India) assegnato ai ricercatori del Cnr
(circa 12 milioni di lire a testa al 22 per cento dei concorrenti).
Questa proposta, che suona certamente oltraggiosa a molti colleghi
italiani, e' gia' operativa da 10 anni in Inghilterra e da mezzo
secolo negli Stati Uniti, due nazioni in testa alla classifica
mondiale della ricerca. Poiche' siamo in Europa, vediamo il caso del
Regno Unito. Alla fine di dicembre dello scorso anno, la commissione
Higher Education Funding Council of England ha reso noto alle
universita' inglesi il risultato di un lavoro molto complesso costato
tre milioni di dollari che ha esaminato la produzione scientifica e i
risultati di insegnamento di 50.000 docenti provenienti da 2700
dipartimenti di 65 universita'. La classifica e' basata su una scala
di meriti che va da 1 a 7. I criteri sono rapportati a una scala di
valori internazionali. Ad esempio, singoli ricercatori possono
utilizzare solo 4 delle loro migliori pubblicazioni degli ultimi
quattro anni in ben note riviste internazionali. Essi vengono poi
giudicati da un gruppo di esperti nazionali e stranieri. Il valore 5
indica «la maggior parte di lavoro di eccellenza internazionale»,
quello 1«quasi nessun lavoro di eccellenza di livello nazionale». In
testa alla classifica della Serie A (le prime 20 universita') vediamo
Oxford con 6,7 punti e Cambridge con 6,5, seguite da altre 18 (ultima
l'Universita' di Southampton con 5,2). A che serve il punteggio? A
distribuire oltre un miliardo di dollari per finanziare le strutture
universitarie e a pagare la ricerca di 2700 laboratori selezionati
per i prossimi tre anni. La classifica ha riservato alcune sorprese:
universita' nuove e meno prestigiose in testa (ad esempio la
semisconosciuta Universita' di Sheffield al 19o posto) e il fatto che
ben 87 istituzioni hanno almeno un dipartimento con una produzione di
alto livello internazionale. Il metodo non ha mancato di sollevare
accuse di elitismo e di concentrazione di fondi nelle mani di pochi.
Ad esse risponde il capo della commissione Brian Fender sulla rivista
«Nature» rendendo noti i risultati di uno studio sugli ultimi 10 anni
(1986-97). Questi dati dimostrerebbero che numerose universita' gia'
di serie B (al di sotto delle prime venti) sono passate poi in serie
A. Sembra pure che il nuovo metodo abbia modificato il modo di
selezionare e reclutare i docenti nelle universita' inglesi, con
l'adozione di criteri di produttivita' e di qualita' anziche' di
anzianita'. Secondo Fender «il vero vincitore sembra essere il Regno
Unito, che ha goduto di un notevole aumento di risultati di alta
qualita' in campo internazionale». Alcune universita' hanno usato la
strategia del calcio reclutando nuovi talenti (diversi dall'estero)
tramite stipendi piu' competitivi, particolarmente allo scopo di
rinforzare i settori piu' deboli. Il gruppo di scienziati chiamato
«Salviamo la scienza britannica» e' soddisfatto e sostiene che con un
altro sforzo da parte del governo, l'Inghilterra potrebbe diventare
«il laboratorio d'Europa». Ezio Giacobini
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Tutti i rischi dell'esotismo
Su Internet i consigli dell'Oms
OAUTORE GIORCELLI ROSALBA
OARGOMENTI medicina e fisiologia, comunicazioni
ONOMI ZAMPINI ANTONINO
OORGANIZZAZIONI OMS, INTERNET
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, communication
PER ora 143 schede su altrettanti Paesi del mondo, tra i quali
figurano le mete preferite dagli italiani in vacanza, ma anche quei
luoghi dove i rischi per la salute sono maggiori. Indicazioni sul
clima, le vaccinazioni, la prevenzione; informazioni pratiche, ad
esempio come preparare un kit di pronto soccorso da viaggio. E poi la
raccolta dei bollettini dell'Organizzazione mondiale della Sanita'
sulle epidemie. Tutto questo su Internet, e per la prima volta in
italiano; si puo' definire uno sportello telematico italiano
dell'Oms. E' un sito istituito dall'Ufficio sanita' Marittima e Aerea
di Venezia, che in questo modo vuole portare l'informazione a
domicilio dei singoli utenti e si rivolge agli agenti di viaggio,
obbligati per legge a informare i clienti anche in materia sanitaria.
Basta stampare la scheda del Paese di destinazione e si ottengono
informazioni dettagliate sempre aggiornate sui dati Oms. Tutto cio'
che serve e' il collegamento a Internet e una stampante. L'indirizzo
e': http:// www.portve.interbusiness.it /sanimav/Welcome.html. Per
ognuno dei 143 Paesi selezionabili, la scheda riporta: la mappa, le
caratteristiche del clima, i rischi di malattie infettive, le
vaccinazioni obbligatorie, consigliate oppure sconsigliate; la
prevenzione prima di partire e durante la permanenza all'estero, i
consigli su cosa fare al ritorno a casa se si avvertono disturbi. Poi
le notizie specifiche su malaria, febbre gialla e colera nel mondo
con segnalazioni dell'Oms su epidemie recenti o in corso.
Responsabile del progetto e' Antonino Zampini: «In Italia siamo i
primi, ma esistevano gia' alcuni programmi in inglese; e' un lavoro
che cresce e si arricchisce man mano. Il limite della diffusione e'
che non tutte le agenzie di viaggio sono collegate a Internet, e
tanto meno tutte le famiglie, ma e' un fenomeno in espansione e
abbiamo riscontri positivi, anche dalle Unita' sanitarie locali; il
sistema e' utilizzato attualmente in fase di sperimentazione dalla
Ussl di Treviso, e potrebbe essere adottato anche altrove molto
presto. Siamo comunque a disposizione anche telefonicamente per ogni
necessita' informativa». Sul sito web dell'Ufficio Sanita' Marittima
e Aerea di Venezia sono anche indicati certificati e controlli
sanitari per animali e generi alimentari in ingresso in Italia da
porti e aeroporti, stabilendo criteri di «all'erta», diversi a
seconda della provenienza della merce, che in Italia erano poco
definiti e che qui si rifanno alle procedure dell'Fda, l'ente di
controllo statunitense. Per eventuali informazioni: Ufficio sanita'
Marittima e Aerea di Venezia, tel. 041- 522.5542, fax 520.5326.
Rosalba Giorcelli
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ENERGIA DEL FUTURO
Fusione nucleare si prova con i laser
OAUTORE CONTI ALDO
OARGOMENTI energia, fisica, ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA
ONOTE NIF National Ignition Facility
OSUBJECTS energy, physics, research
DA molti anni si parla di fusione nucleare, e molti conoscono i
risultati ottenuti in laboratori come il Jet europeo: risultati che,
pur essendo incoraggianti, non fanno sperare in una soluzione del
problema in tempi brevi. Lo studio della fusione nucleare e'
importantissimo poiche', non potendo durare in eterno i combustibili
tradizionali, essa offre la possibilita' di ottenere grandi quantita'
di energia pulita e sicura. Per ottenere la fusione e' necessario
mantenere il «combustibile», deuterio e trizio, due isotopi
dell'idrogeno, a temperatura e pressione tali che due nuclei possano
giungere talmente vicini da fondersi insieme, per formare un solo
nucleo di elio. Finora la maggior parte degli esperimenti e' stata
eseguita utilizzando, per comprimere il combustibile, forti campi
magnetici, senza che si siano mai ottenute stabilmente le condizioni
desiderate. Una soluzione alternativa e' la fusione inerziale, il cui
principio e' relativamente semplice: focalizzando luce laser di
grande potenza sulla superficie esterna di una piccola sfera
contenente il «combustibile», se ne riscalda la superficie esterna
fino a una temperatura molto alta. Si forma cosi' un guscio che si
espande verso l'esterno, comprimendo verso il centro il resto del
materiale. In questo modo si raggiunge una pressione fino a qualche
milione di volte maggiore di quella atmosferica e una spinta verso
l'interno che puo' essere anche cento volte piu' grande di quella
dello Space Shuttle alla partenza. Nel centro del bersaglio la
temperatura puo' superare i 100 milioni di gradi e la densita' puo'
essere anche 20 volte maggiore di quella del piombo; sebbene la
piccola stella artificiale sopravviva al massimo per qualche
miliardesimo di secondo, il tempo e' sufficiente per fondere la
maggior parte del deuterio e del trizio. Queste ricerche non sono
molto conosciute, soprattutto per che' la tecnologia dei grandi laser
e' sempre stata coperta dal segreto militare. Ora pero' alcune cose
cominciano a cambiare. Nel 1994 il governo degli Stati Uniti ha
infatti declassificato una parte dei risultati e cio' ha permesso
l'organizzazione di alcuni congressi, in cui sono state poste le basi
per la progettazione della National Ignition Facility (NIF). Si
tratta di un nuovo laboratorio statunitense con un laser molto piu'
potente, che dovrebbe permettere un grosso salto in avanti,
realizzando per la prima volta questo tipo di fusione e fornendo
quindi importanti indicazioni per il futuro. Il progetto e' stato
definito in tempi molto brevi, tanto che la macchina dovrebbe
funzionare gia' nel 2002. Nif consistera' di 192 laser, ognuno con
un'energia tripla di quelli di Nova, il maggior sistema attualmente
funzionante, che pero' dispone solamente di 10 fasci. Il cuore di Nif
e' in realta' un singolo laser, il cui impulso viene suddiviso e
mandato a ognuna delle 192 linee di amplificatori indipendenti. Il
sistema si basa infatti sull'amplificazione crescente di un singolo
impulso iniziale, fino a giungere all'energia voluta. Via via che
l'amplificazione procede, il fascio acquista dimensioni sempre
maggiori, fino a raggiungere un'area di 40 centimetri quadrati. Alla
fine i fasci verranno indirizzati tutti in un'unica camera sferica,
del diametro di 10 metri, attraverso 48 finestre, ognuna dotata di
lenti, che focalizzeranno ogni singolo laser sul bersaglio posto al
centro. Molto importante, in questo caso, e' la precisione del
puntamento dei 192 fasci, che devono convergere con grande precisione
sulla sfera di combustibile, per evitare che eventuali sbilanciamenti
possano rovinare l'esperimento. Sempre per lo stesso motivo e'
necessario porre grande attenzione anche alla sincronizzazione degli
impulsi, che devono giungere insieme sul bersaglio, e all'uniformita'
della loro energia: un impulso molto piu' potente su un lato
provocherebbe una spinta maggiore verso l'interno. Inizialmente i
laser di Nif potranno essere utilizzati solo una volta ogni otto ore,
per un totale di circa cento «spari» in un anno. Questo tempo e'
necessario per permettere alle ottiche degli amplificatori di
raffreddarsi. Per il 2006 si prevede di aumentare notevolmente
l'energia del laser, fino a 10 volte quella iniziale, e la frequenza
di sparo scendera' ulteriormente, fino a un massimo di 10 impulsi
all'anno. I costi di costruzione e di gestione di Nif sono molto
elevati: un miliardo di dollari e poi 60 milioni di dollari all'anno
di gestione, per un totale di quasi due miliardi di dollari. I primi
esperimenti di produzione di energia non verranno effettuati prima
del raggiungimento della piena potenza, nel 2006, poiche' fino a
quella data l'energia inviata verso il bersaglio non dovrebbe
permettere di avere un vero e proprio guadagno. In questi anni verra'
quindi studiato il comportamento della materia sottoposta a queste
condizioni di temperatura e pressione, per avere precise indicazioni
sugli esperimenti futuri. Se ci sara' produzione di energia, gli
scienziati che lavorano al progetto sperano di poter costruire una
centrale pilota entro il 2025. E' prevista anche la possibilita' di
utilizzare alcuni fasci separatamente, per realizzare esperimenti
diversi. Gli studi possibili con questo strumento saranno molti. In
particolare si spera di poter risolvere alcuni problemi astrofisici,
creando per la prima volta in laboratorio una piccola quantita' di
materia con le stesse proprieta' di quella che si trova nelle stelle.
Aldo Conti Universita' di Milano
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Prigogine Ilya «La fine delle certezze», Bollati Boringhieri
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI fisica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS physics, book
ILYA Prigogine, premio Nobel per la chimica nel 1977, insiste con le
sue incursioni nel territorio dei fisici. Anni fa, quando incomincio'
una battaglia allora solitaria contro il concetto di tempo
reversibile e contro un determinismo semplicistico, le sue tesi
apparivano come pure provocazioni. Utili, ma non tali da scardinare i
paradigmi in vigore. La piega che sta prendendo oggi la ricerca,
invece, gli da' ragione: i vecchi paradigmi vacillano, la concezione
del tempo sostenuta da Prigogine apre nuovi orizzonti alla ricerca.
Di questa svolta e' difficile dubitare se anche un fisico come Murray
Gell-Mann, che non solo e' intelligentissimo ma anche molto attento
alla direzione del vento della ricerca, si e' gettato a capofitto
nelle teorie della complessita' e del caos, quasi abbandonando le sue
predilette particelle elementari. In questo nuovo saggio,
rielaborazione e sviluppo di «Entre le temps et l'eternite'» scritto
con Isabelle Stengers, Prigogine porta fino in fondo le sue
argomentazioni: dobbiamo fare i conti con la «freccia del tempo»
perche' il tempo reversibile dei fenomeni fisici elementari e' del
tutto inadeguato se si vuole interpretare la complessita' (di cui la
vita e' la massima espressione) e la teoria del caos puo' aiutarci
nell'impresa. Un saggio avvincente dal punto di vista scientifico, ma
ancora di piu' dal punto di vista filosofico.
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Capra Fritjof: «La rete della vi ta», Rizzoli
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI fisica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS physics, book
In linea con il pensiero di Prigogine si colloca il nuovo saggio di
Fritjof Capra, il fisico americano divenuto famoso per aver suggerito
una parentela tra meccanica quantistica e filosofia orientale. Come
Prigogine, Capra e' affascinato dalla complessita' e ha abbandonato
l'approccio di tipo riduzionista che pure e' stato cosi' fecondo
negli ultimi decenni. Il suo approccio e' sistemico, alla Bateson, e
con esso si dedica da autentico missionario alla fondazione di un
nuovo paradigma, che definisce «ecologia profonda», nel quale sono le
scienze della vita, e quindi della complessita', ad acquisire una
posizione centrale.
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Celli Giorgio: «Sono un gatto anch'io», Giunti
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI didattica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS didactics, book
Platone ci ha insegnato le virtu' didattiche del dialogo. Giorgio
Celli ne ha fatto tesoro. Il suo ultimo libro e' una lunga alternanza
di domande (da parte di un'ex allieva curiosa, Rita Brugnara, adulta
e bambina nello stesso tempo) e di pazienti risposte del Professore.
Si parla di gatti, cani e api, ma anche di animali meno familiari, di
pesticidi e dei loro danni, e insomma degli intricati rapporti di
parentela (metaforica e reale) tra tutte le forme viventi, animali e
vegetali. Cioe' di ecologia. Il taglio narrativo e autobiografico
rende agile la lettura, e lieve la lezione. A libro chiuso,
l'immagine che piu' rimane impressa e' quella di una gatta che
allatta amorevolmente i suoi piccoli, mentre in cielo volavano i
bombardieri della seconda guerra mondiale.
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
De Col Erio: «Le posizioni e i movimenti per stare meglio», Euro
Polis
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS medicine and physiology, book
Il mal di schiena e' una malattia molto diffusa, invalidante e quindi
di grande rilievo sociale, come ha sottolineato piu' volte la stessa
Organizzazione mondiale della sanita'. Ma diversamente da altre
patologie, il mal di schiena spesso puo' essere prevenuto o curato
con opportuni esercizi e assumendo posizioni corrette alla scrivania,
in auto e nelle varie situazioni della vita quotidiana. Questo libro
di un terapista della riabilitazione motoria ci insegna come fare.
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Polidoro Massimo: «Dizionario del paranormale», Esedra
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI didattica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS didactics, book
Dalla A di Adamenko (fisico russo che cerca invano di provare
scientificamente i fenomeni di psicocinesi) alla Z di Zorab
(parapsicologo olandese di origine armena), tutte le parole - e i
trucchi - dell'armamentario del paranormale. L'introduzione e' di
Piero Angela. Piero Bianucci
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. SCOPRI' DECINE DI NEBULOSE
Un siciliano batte' di un secolo l'astronomo francese Messier
OGENERE anniversario
OAUTORE PRESTINENZA LUIGI
OARGOMENTI astronomia, storia della scienza
OPERSONE HODIERNA GIOVAN BATTISTA
ONOMI MESSIER CHARLES,
HODIERNA GIOVAN BATTISTA
OLUOGHI ITALIA
OKIND anniversary
OSUBJECTS astronomy, history of science
LE sorprese degli archivi. Quasi meta' del celebre catalogo di
oggetti nebulari del francese Charles Messier (1774) e' stata
ritrovata in un opuscolo pubblicato piu' di un secolo prima a Palermo
da Giovan Battista Hodierna, l'enciclopedico scienziato ragusano
morto nel 1660 che costringera' con il suo «De Admirandis Coeli
Characteribus» (ritrovato da non molti anni nell'Archivio Capitolare
di Vigevano) a riscrivere un intero capitolo di storia
dell'astronomia. Hodierna, a cui da poco e' stata dedicata una mostra
dell'Osservatorio astronomico di Palermo e dell'Associazione
astrofila «Orsa» nel quarto centenario della nascita (1597), doveva
essere un osservatore celeste di rara perizia. Ammiratore e
continuatore di Galileo, per quanto poteva esserlo un ecclesiastico
dopo la condanna del grande pisano, utilizzo' all'inizio un piccolo
cannocchiale autocostruito ma in seguito (1628) ebbe un «buon
occhialone» da un certo Rondonino di Roma: tutto e' relativo, si
trattava di un rifrattore capace di 20 ingrandimenti e dotato di un
oculare galileiano, ossia piano-concavo, meno efficace dell'oculare
piano-convesso descritto da Keplero. In compenso, il prete di Palma
Montechiaro aveva a disposizione un cielo piu' limpido di quello dei
suoi contemporanei olandesi (come Huygens, di cui quasi anticipo' la
scoperta dell'anello di Saturno) o polacchi; un cielo scuro come
poteva esserlo nel Seicento in una zona agricola. Ne approfitto' per
una vera rassegna delle «nebulae», termine col quale in quegli inizi
pionieristici dell'astronomia d'osservazione si indicavano tutti gli
oggetti di aspetto diffuso, fossero nebulose vere e proprie, ammassi
stellari non risolti oppure galassie, qualcuno dei quali gia' noto a
Tolomeo o al persiano Al Sufi (secolo X); e la preoccupazione
dominante (che molto piu' tardi ispirera' il catalogo di Messier) era
quella di distinguerli da eventuali comete. Tanto e' vero che pure la
rassegna di Hodierna figura come seconda parte di un'operetta
dedicata alle comete («De Sistemate Orbis Cometici»), sulle cui
caratteristiche e provenienza lo studioso siciliano non dice nulla di
originale, rifacendosi alle convinzioni aristoteliche espresse gia'
da Galileo nel «Saggiatore». Di «nebulae», Hodierna non solo ne
osservo' parecchie decine, meta' delle quali corrispondono
effettivamente a nebulose, ammassi stellari o galassie del catalogo
di Messier, ma ne tento' fin da allora una classificazione in
«Luminosae» (nelle quali si distinguono stelle gia' a occhio nudo: le
Pleiadi), «Nebulosae» (che sono risolte in stelle soltanto dal
cannocchiale, ad esempio il notissimo ammasso del «Presepe» gia'
osservato da Galileo) e «Occultae», che i cannocchiali dell'epoca non
riuscivano ovviamente a risolvere, fra queste le galassie M31 in
Andromeda (riscoperta indipendentemente da Hodierna) e M33 nel
Triangolo, la cui scoperta puo' essergli sicuramente attribuita,
insieme con quella di M34, M36, M37, M38, M41, M47 e altri oggetti
«Messier», dopo l'accurata interpretazione che del testo latino ha
dato Federico De Maria, con preciso riferimento alle osservazioni e
ai disegni su fondo nero (malamente riprodotti) di Hodierna. Tutte
scoperte che nessuno storico della ricerca celeste poteva collocare a
meta' Seicento prima dello studio che vi dedicarono nel 1985 Giorgia
Fodera' Serio (che dalla sua cattedra sta riesplorando tutta la
storia dell'astronomia in Sicilia), Indorato e Nastasi sul «Journal
for the History of Astronomy». Ma pochi, fuor dai veri cultori, se ne
erano accorti: e invece va dato a Cesare quel che e' di Cesare e a
Hodierna quel che e' di Hodierna. Questo ha voluto sottolineare la
mostra di Roccapalumba, un lindo paesino collinare del Palermitano
che sta diventando centro di aggregazione per gli astrofili da quando
vi sorge l'Osservatorio di Pizzo Suaro, opera dell'architetto Di
Pace, gia' distintosi per eccellenti foto celesti, con strumenti che
Hodierna poteva soltanto sognare, lui che cosi' amaramente si lamenta
nei suoi testi dell'isolamento a cui lo costringeva il fatto di
risiedere a Palma Montechiaro, colonia agricola dei duchi Tomasi, nel
profondo del Sud. Luigi Prestinenza
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. MONETE E DERMATOSI
Allergici all'Euro per colpa del nichel
OAUTORE PAPULI GINO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
AI molti problemi che accompagnano la nascita della moneta unica
europea, se ne e' aggiunto - giorni fa - uno secondario ma non
irrilevante che riguarda gli «spiccioli», ossia gli Euro e le
frazioni di Euro in metallo. La Svezia, infatti, ha contestato la
prevista fabbricazione di monete contenenti nichel, in quanto il
contatto con questo elemento chimico potrebbe causare reazioni
allergiche, specialmente nelle persone di sesso femminile. In
effetti, le allergie al nichel sono note da tempo, e si e' calcolato
che dal dieci al quindici per cento della popolazione europea (di cui
l'85 per cento di sesso femminile, prevalenza dovuta, sembra, a
fattori ormonali) risenta di manifestazioni cutanee che vanno da
semplici arrossamenti fino ad eczemi diffusi. Secondo il «Nickel
Develop ment Institute», le dermatosi da contatto in ambiente
industriale sono quasi scomparse grazie alle precauzioni adottate,
mentre permangono in ambito domestico, particolarmente per l'utilizzo
di bigiotteria a buon mercato, occhiali, cerniere lampo, bottoni e
cosi' via. Bisogna aggiungere che la sensibilizzazione avviene in
seguito a contatti prolungati nel tempo con materiali che, per una
loro «instabilita'» strutturale, «liberano» nichel. Una apposita
direttiva comunitaria ha anche stabilito il valore limite di tale
diffusione, mentre un programma di ricerca al quale partecipano
diversi Paesi (per l'Italia il Centro di innovazione dell'Universita'
di Milano) con lo scopo di bloccare qualsiasi passaggio di nichel
verso la pelle, ha gia' conseguito risultati molto positivi. Per
tranquillizzare tutti noi che quotidianamente maneggiamo posate,
forbici, elettrodomestici, monete e quant'altro in acciaio
inossidabile (contenente nichel in quantita' che vanno, per lo piu',
dall'8 al 10 per cento) diciamo che non vi sono pericoli di affezioni
allergiche in quanto la stabilita' della lega non consente
dispersioni di nichel. La categoria degli acciai inossidabili trova
impiego, infatti, in tutti i settori in cui si richiedano doti di
inalterabilita' e di igiene, come, ad esempio, nell'industria
alimentare, nella chirurgia e nella medicina. Un'ultima curiosa
applicazione riguarda la «saponetta deodorante»: si tratta di un
ovoide in lamierino inossidabile, che ha la proprieta' di eliminare i
cattivi odori (pesce, aglio, cipolla, tabacco...) se lo si sfrega con
le mani sotto un getto d'acqua. Il «New York Times» ha scritto in
proposito: «L'aspetto magico e' che l'acciaio inossidabile attacca
gli odori in modo naturale: al contrario del sapone e dei detergenti,
questo aggeggio non contiene sostanze chimiche e non secca la pelle».
Ovviamente non c'e' nessuna magia; ma una spiegazione scientifica
delle proprieta' della saponetta al nichel non e' stata ancora
trovata. Gino Papuli
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. MACACHI GIAPPONESI
Campioni di sopravvivenza
E' la specie che vive piu' a Nord del mondo
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
SONO famose le statuette dei tre macachi giapponesi, che si tengono
rispettivamente le mani sugli occhi, sulle orecchie, sulla bocca.
Mimano l'antico proverbio buddista: «Non vedere, non ascoltare, non
dire cose cattive». A impersonare una massima di saggezza umana sono
state scelte proprio le scimmie che negli ultimi decenni hanno
strabiliato il mondo con le loro portentose capacita' di
apprendimento. E' di ieri la notizia che i macachi giapponesi
imparano con la rapidita' del lampo a lavare le patate dolci in mare
per renderle piu' saporite, che lasciano decantare in acqua la sabbia
mista a grano per separarne i chicchi commestibili messi ad arte
dagli sperimentatori, che trasportando con le mani patate dolci e
manciate di grano camminano per una trentina di metri o piu' in
posizione eretta su due zampe e che tutte queste abitudini assimilate
dai vari membri del branco, specie dai piu' giovani, vengono
trasmesse da una generazione all'altra. Queste cose succedevano una
quarantina di anni fa e misero a soqquadro il mondo scientifico. Si
parlo' di «civilta' delle scimmie», di «protocultura», di
«trasmissione culturale». E naturalmente si moltiplicarono le
ricerche degli studiosi su questa specie di macachi che vivono
soltanto in Giappone, in un habitat discontinuo formato da
popolazioni isolate, sparse lungo tutto l'arcipelago, su su fino alle
localita' piu' settentrionali. Nessun'altra scimmia si spinge cosi' a
Nord. Ma l'habitat discontinuo non e' stato una libera scelta dei
macachi. E' la conseguenza della crescente espansione umana. Sotto la
spinta dell'incremento demografico particolarmente imponente in
Giappone, le scimmie sono retrocesse sui rilievi montuosi, sulle
localita' piu' impervie e inaccessibili. Alcune si sono spinte
persino all'estremo Nord dell'arcipelago, dove la temperatura scende
d'inverno a dieci o piu' gradi sotto zero. Ma bisogna dire che si
sono magnificamente adattate al clima rigido e alla neve. Le loro
facce rubiconde sembrano paonazze dal freddo, ma e' questo il
colorito naturale della specie chiamata anche «macaco dal muso rosso»
(Macaca fuscata). Ne rimangono circa ventimila individui in Giappone,
in gran parte nell'habitat originario, in parte in numerosi parchi
riservati alle scimmie, disseminati per il paese. Ma poiche' la
specie, anche se non e' in pericolo imminente, e' indubbiamente
minacciata dalla pressione della popolazione umana, si e' pensato di
trasferirne alcuni nuclei nel continente americano. L'esperimento ha
avuto successo. Le scimmie, abituate a temperature molto rigide, si
sono mirabilmente adattate a climi totalmente diversi, hanno cambiato
tipo di alimentazione, si sono riprodotte felicemente e oggi la
consistenza numerica dei nuclei trapiantati e' considerevomente
aumentata. Il primo esperimento risale al l964. C'era un branco di
macachi che scorrazzava in liberta' nella provincia di Hiroshima,
saccheggiando le coltivazioni della zona. Gli agricoltori
protestavano e furono ben contenti quando il Japan Monkey Center
decise di catturare tutti i 49 membri del branco e di trasferirli
nell'Oregon. Altri macachi furono portati nel Texas. Naturalmente e'
piu' facile studiare i macachi nei recinti dove sono tenuti in
America - c'e' anche una speciale riserva nell'Ontario, in Canada -
anziche' sugli accidentati pendii innevati del loro habitat
originario. E gli studiosi hanno avuto cosi' la possibilita' di
scoprire il comportamento sociale di questi primati. In ogni branco
si stabilisce una precisa gerarchia. Al vertice si colloca un maschio
anziano che abbia almeno diciotto o diciannove anni. E' il capo. Ma
non e' necessariamente il piu' forte. Anzi, nel caso del branco
dell'Oregon, si trattava di un individuo piuttosto malandato
fisicamente, privo di canini e guercio per giunta. Evidentemente
contava soprattutto la sua esperienza. Sta di fatto che quando il
capo si avvicina al cibo piu' pregiato, gli altri non si sognano
nemmeno di contenderglielo. Si mantengono a rispettosa distanza e
aspettano che il capo abbia finito di mangiare prima di avvicinarsi a
loro volta al cibo. Sotto di lui, nella scala gerarchica, vengono i
«sottocapi», ai quali e' affidato il mantenimento dell'ordine
pubblico. Sono loro che dirimono le controversie tra i subordinati,
intervenendo con atteggiamenti intimidatori che placano di colpo le
velleita' aggressive dei contendenti. E infine ci sono i maschi
cosiddetti «periferici» che, stando appunto alla periferia del
branco, hanno piu' che altro l'ufficio di sentinelle avanzate.
Avvistano i predatori e danno immediatamente l'allarme. Ma oltre al
ruolo di sentinelle, i maschi periferici fanno anche scuola ai
giovani insegnando loro le regole sociali. Tra le femmine, la
gerarchia e' meno rigida e si osserva spesso una forma di
solidarieta' che tra i maschi non esiste. Ci sono comunque le femmine
di rango piu' elevato e quelle di rango meno elevato. Si direbbe che
il branco abbia una struttura piuttosto democratica, visto che le
femmine di alto rango si accoppiano anche con i maschi di basso
rango. Lo stesso accade per i capi e i sottocapi. Nel corso della
stagione riproduttiva, ogni individuo si accoppia con diversi
partner. Poligamia in piena regola senza distinzione di classi
sociali. Le femmine pero' hanno un ruolo determinante nella
formazione della scala gerarchica. Quando i piccoli fanno baruffa, le
madri intervengono in difesa dei rispettivi figli. E se le suonano di
santa ragione. Ovviamente la femmina dominante ha la meglio e l'altra
e' costretta a battere in ritirata col suo scimmiottino in braccio.
Da quel momento l'etichetta di «dominante» o «subordinato» si
trasferisce dalla madre al figlio e il suo rango rimane consacrato
per la vita. La maggior parte delle scimmie, com'e' noto, detesta
l'acqua. I macachi giapponesi invece hanno scoperto che, quando fa
molto freddo, si sta d'incanto nei bacini d'acqua termale di cui e'
ricca la zona in cui vivono in natura, la cosiddetta Valle
dell'Inferno. E ci si crogiolano con evidente soddisfazione. Mentre
nella loro patria d'adozione, l'America, hanno imparato a
rinfrescarsi tuffandosi nei laghetti, quando fuori il termometro
segna piu' di trentacinque gradi. Il bello e' che i piccoli prendono
subito confidenza con l'acqua e si fanno le loro brave traversate
aggrappati al dorso materno. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA
Acqui Ambiente
Un premio letterario su temi ecologici dedicato al nigeriano Ken Saro
Wiwa
OARGOMENTI ecologia
ONOMI KEN SARO WIWA
OORGANIZZAZIONI PREMIO «ACQUI AMBIENTE»
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ACQUI TERME (AL)
OSUBJECTS ecology
Il Comune di Acqui Terme ha bandito il nuovo premio letterario «Acqui
Ambiente», dedicato alla memoria del nigeriano Ken Saro Wiwa, vittima
del suo impegno per i diritti dell'uomo e dell'ambiente. Possono
concorrere autori italiani e stranieri su argomenti scientifici e
letterari. In giuria Gianfranco Bologna, Silvia Rosa Brusin, Grazia
Francescato, Giorgio Nebbia e Alessandro Cecchi Paone. Le opere
devono arrivare in 10 copie entro il 15 giugno '97 alla segreteria
del premio, Comune Acqui Terme, piazza Levi 12. Tel. 0144-77.02.72.
Data di pubblicazione delle opere: gennaio 1996-giugno '97.
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. CHEMIOTERAPIA
Il limite degli antivirali sulle infezioni latenti Per ora solamente
speranze
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
IN questi ultimi anni, specialmente sotto la spinta della diffusione
del virus Hiv dell'Aids, si sono fatti importanti progressi nella
conoscenza della fisiopatologia delle infezioni virali e nella
preparazione di molecole antivirali. Abbiamo farmaci specifici contro
l'Hiv, i virus erpetici, dell'influenza A, delle epatiti B e C e
altri. La situazione della chemioterapia antivirale e' dunque buona?
No, assolutamente no, specie se paragonata alla terapia delle
infezioni da batteri la quale, iniziata oltre mezzo secolo fa con la
scoperta della penicillina, e' al confronto, pur con tutti i suoi
limiti, una panacea. Quali le manchevolezze, quali le possibilita'
dell'avvenire? Fervono le ricerche, tanto piu' che le principali
famiglie dei virus patogeni per l'uomo sono oltre una ventina, e le
malattie virali finora note sono centinaia. La tossicita' degli
antivirali e' uno dei fattori limitanti la loro utilizzazione. Cio'
dipende dalla semplicita' dei virus: essendo la replicazione dei
virus intimamente connessa con le funzioni delle cellule aggredite,
gli antivirali non possono agire esclusivamente sui virus ma hanno
sempre un certo grado di tossicita' anche per le cellule
(citotossicita'). E' ben vero che si conosce qualche antivirale con
una citotossicita' molto bassa, per esempio l'«aciclovir», ma il
problema non e' risolto. Si puo' comunque ragionevolmente sperare che
le tecniche di modellamento molecolare producano in futuro antivirali
meglio adattati al loro bersaglio, piu' specifici, quindi meno
citotossici. Paradossalmente, pero', proprio gli antivirali piu'
specifici sono coinvolti nel secondo inconveniente della
chemioterapia, quello di selezionare mutanti del virus resistenti
agli antivirali stessi. Quanto piu' l'antivirale ha nella propria
mira un bersaglio ben circostanziato, tanto piu' le minime
modificazioni del bersaglio rendono l'antivirale inoperante, incapace
di fissarsi, ed ecco insorgere la resistenza alla terapia. Per
esempio le grandi speranze suscitate da alcuni farmaci per il
trattamento dell'Aids sono durate poco giacche' tali farmaci
selezionavano in meno d'un mese una popolazione virale resistente.
Due accorgimenti si oppongono alla formazione di mutanti resistenti:
istituire il trattamento prima che la popolazione virale sia divenuta
importante; se la popolazione virale e' importante aggredirla con
un'associazione di antivirali, ciascuno dei quali colpisca una
differente funzione del virus. Quest'ultima e' la tattica adottata
per l'Aids: la tendenza attuale e' per una terapia tripla o
quadrupla. L'effetto a lungo termine di questa polichemioterapia e'
sotto studio ma si e' ottimisti: vedi la Conferenza internazionale
sull'Aids, a Vancouver l'anno scorso. Terza questione, i virus
latenti, per esempio quello della varicella che persiste
nell'organismo dopo la guarigione e si risveglia ad anni di distanza
provocando l'herpes zoster, oppure quello dell'Aids che non da'
clinicamente segno di se' per lungo tempo dopo l'infezione. Si puo'
sperare che il tiro incrociato d'una polichemioterapia sia in grado
di annientare il silente serbatoio virale? Per il momento non si
hanno buone notizie, nessuno degli antivirali disponibili e' attivo
su un'infezione latente. Oltre che alla chemioterapia si pensa alla
terapia genica, quella che dovrebbe costituire in ogni campo della
medicina la grande rivoluzione del Duemila. Nel caso dei virus si
tratterebbe di una terapia genica «negativa», mirante non gia' a
fornire un gene normale, bensi' a sottrarre dal genoma della cellula
un gene dannoso, quello inserito dal virus. Cio' appare possibile con
tecniche molto complesse. Da tempo si studiano questi approcci di
terapia genica, per il momento in via esclusivamente teorica. In
sostanza la chemioterapia antivirale ha compiuto considerevoli
progressi ma grandi difficolta' ne limitano ancora le affermazioni.
Non dimentichiamo poi i costi della ricerca e dell'utilizzazione
nella pratica medica: e' impossibile per esempio, a proposito della
polichemioterapia dell'Aids, pensare di soddisfare i bisogni dei
Paesi poveri nei quali si trova oltre il 90 per cento dei soggetti
infetti. Ecco perche' la lotta contro le infezioni virali continua
per il momento verso la prevenzione: norme di comportamento per la
profilassi delle infezioni sessualmente trasmissibili, vaccinazioni
contro la poliomielite, il morbillo, la rosolia, la febbre gialla.
Ulrico di Aichelburg
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PER CERTIFICARE I TAGLI
L'elettronica entra in macelleria
Una card fornira' al consumatore tutti i dati
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI elettronica, carne, alimentazione
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS electronics, nourishment
CON una tessera elettronica a microprocessore (simile a quella che
usiamo tutti i giorni come carta di credito o come scheda
telefonica), sara' possibile certificare, presso le macellerie
convenzionate, la provenienza della carne, il produttore, lo
stabilimento di macellazione, Paese di nascita e di allevamento,
numero di identificazione dell'animale, classificazione commerciale.
Gia' oggi nelle Marche 50 macellerie stanno sperimentando questa
novita' rivoluzionaria ed entro maggio si arrivera' a 100 punti
vendita reperibili su Internet. Terminato questo rodaggio iniziale,
la certificazione verra' estesa ad altre regioni italiane.
Attualmente 4 consorzi di allevatori riuniti nel Consorzio nazionale
carni bovine garantite hanno aderito a questa iniziativa (Consorzio
Doc, Coalvi, Conazoo, 5R) tenendo presente il problema, oggi molto
sentito, della «rintracciabilita'», indispensabile per la sicurezza
alimentare. La Comunita' europea ha stanziato 30 milioni di ecu per
far conoscere la carne bovina di qualita' ed evitare gli episodi di
Bse, encefalopatia spongiforme. Con il suddetto sistema elettronico
ogni taglio di carne avra' una identificazione istantanea e quindi le
carte in regola per rassicurare il consumatore sulla provenienza (nel
2000 le carni dovranno essere tutte garantite). In negozio il
macellaio invitera' il cliente a digitare sul terminale il peso
acquistato ed a premere OK. Il terminale stampera' il certificato con
tutte le informazioni riducendo la quantita' di carne dalla smart
card. Quando la targhetta e' vuota, vorra' dire che il macellaio ha
terminato la carne garantita che ha in frigorifero e sul banco.
Recenti indagini svolte dall'Istituto nazionale della nutrizione
(European beef congress) hanno potuto accertare che nei bovini
allevati in Italia secondo i principi della moderna zootecnia,
risulta ridotto il contenuto totale in grassi, colesterolo, e
notevolmente cambiato il rapporto tra gli acidi grassi, con un
aumento significativo della componente insatura. La carne ha delle
specifiche indicazioni nei soggetti a rischio (bambini, adolescenti,
donne in gravidanza, anziani) perche' rispetto ai cibi di origine
vegetale fornisce una maggior densita' nutrizionale: proteine di alto
valore biologico (sono presenti tutti gli aminoacidi essenziali),
elementi minerali importanti (ferro, zinco, selenio), vitamine
(B12-B2-B6-D) necessari a numerose attivita' enzimatiche, alla
crescita, alla funzionalita' delle difese immunitarie. Anche gli
ortaggi, i legumi, la frutta sono fonti di minerali e vitamine, ma
contengono sostanze (fibre, acido fitico) che ne limitano la
disponibilita'. Ecco perche' la dieta dev'essere equilibrata e varia.
Inoltre, per soddisfare il fabbisogno proteico con gli alimenti del
regno vegetale, occorre ingerire volumi di alimenti superiori alle
dosi normali e possedere conoscenze nutrizionali adatte per praticare
le scelte piu' opportune. Purtroppo oggi la malnutrizione puo' essere
volontaria (come nell'anoressia, restrizione calorica delle ginnaste,
top-model, ballerine di danza classica), ma anche secondaria ad una
scelta dei genitori che abbracciano filosofie alimentari discutibili
per i soggetti in crescita, come la «macrobiotica», definita oggi una
«triplice mistificazione»: religiosa, filosofica e dietetica. Renzo
Pellati
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. INGLESE SCIENTIFICO
Come si dice acido solforoso?
Gli esempi linguistici sul tema inquinamento
OAUTORE CARDANO CARLA
OARGOMENTI chimica, didattica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS chemistry, didactics
ACIDO solfidrico, solforoso, solforico: come identificare prontamente
in inglese composti con nomi che si presume siano simili tra loro
come in italiano? Ecco un brano sull'inquinamento dell'aria che
permette un confronto immediato fra vocaboli. «Carbon dioxide (CO2)
dissolves in water to form the compound carbonic acid. Although
carbonic acid is much weaker than hydrocloric acid, even such a weak
acid can dissolve great quantities of rocks over a long time. When
CO2 dissolves in rainwater, the water becomes slightly acid, not
enough to be noticed by plants and animals but enough to be slowly
corrosive for feldspar. In areas where the air is greatly polluted
with solforous gases from industries or power plants burning coal
containing appreciable amounts of pyrite (iron sulfide), rainwaters
may turn to acid rain, for the sulfurous gases dissolve in rain in
the same way as CO2 to form sulfurous and sulfuric acids, both far
stronger than carbonic acid. Although rainwater contaminated with
sulfuric acid is still much to weak to sting our skins, it does
noticeable damage to fabrics, paints, and metals. It also weathers
our stone monuments and out-door sculptures at such a rapid rate
that public officials are beginnings to the notice of their
deterioration.» (Frank Press,Raymond Siever: «Earth», Freeman &
Company, New York, 1986). Hydrocloric acid: ecco come si chiama
l'acido cloridrico. Feldspar: minerali silicatici molto abbondanti
nella crosta terrestre. Polluted: inquinato. Il verbo e' pollute:
inquinare, contaminare. Altri vocaboli con la stessa origine (dal
latino polluere: contaminare, sporcare) sono pollu tant: sostanza
inquinante, pol lution (air, water pollution): inquinamento
(dell'aria, dell'acqua). Possiamo usare in italiano «polluzione»
nell'accezione anglosassone? Nelle ultime edizioni dei vocabolari
italiani, accanto al primo, tradizionale significato della parola, ne
compare un secondo, sul modello dell'inglese: «polluzione» per
inquinamento. Brutto, lecito, ma non obbligatorio! Power plant: qui
power corrisponde a energia; plant e' industria, stabilimento; le due
parole insieme: impianto per la produzione di energia, in questo caso
elettrica. Sulfide: solfuro; l'acido di riferimento e' hydrogen
sulfide, acido solfidrico. Sulfurous and sulfuric acid: acido
solforoso e acido solforico, detti anche hydrogen sulfite e hydrogen
sulfate; i rispettivi sali sono i sulfites (solfiti) e i sulfa tes
(solfati). Ad esempio. sodium sulfite e' il solfito di sodio, potas
sium sulfate e' il solfato di potassio. Weather: come verbo significa
modificare per mezzo degli agenti atmosferici. Importante termine
scientifico e' weathe ring: degradazione meteorica. Rate: qui si puo'
tradurre con ritmo, velocita'. E' una parola comunissima nei test
scientifici e tecnici dove assume specifici significati riconducibili
tutti al rapporto fra due grandezze, l'una espressa rispetto
all'altra. Esempi fra i tanti sono: rate of reactions: velocita' di
reazione; birth rate: indice di natalita'; ra te of interest: tasso
di interesse; rate of flow: portata. Carla Cardano
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. I PINGUINI IMPERATORE
Digiuno di primavera
Sopravvivono stretti uno all'altro
OAUTORE FRONTE MARGHERITA
OARGOMENTI zoologia, ecologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology, ecology
PER i pinguini del Polo Sud questi non sono mesi di primavera ma di
gelido inverno polare, la stagione in cui la sopravvivenza e' piu'
difficile un po' per la temperatura e un po' perche' sono i mesi del
lungo digiuno. Ai primi giorni di aprile, l'epoca degli
accoppiamenti, i maschi della specie del Pinguino Imperatore non
mangiano gia' da un mese e continuano a digiunare fino alla fine di
giugno, covando incessantemente le uova della futura prole. In
condizioni cosi' avverse, il segreto della tenacia di questi padri
esemplari e' stato studiato da un gruppo di ricercatori francesi ed
olandesi, che hanno trascorso l'inverno antartico in una affollata
colonia composta da circa tremila esemplari di Pinguino Imperatore,
l'unica specie antartica che si riproduce durante l'inverno. Ed e'
proprio l'affollamento la chiave per la sopravvivenza dei pinguini
che, se la colonia e' sufficientemente grande, riescono a ridurre il
proprio ritmo metabolico del 25 per cento cadendo in una sorta di
letargo collettivo che gli permette di portare a termine la cova. Fra
gli effetti dell'affollamento e' stato calcolato che i pinguini,
stretti nelle colonie, risparmiano oltre il 34 per cento di acqua
ogni giorno e che alla fine del digiuno pesano quasi il 10 per cento
in piu' rispetto agli uccelli rimasti isolati. Un comportamento reso
possibile dalla mancanza, nel Pinguino Imperatore, di atteggiamenti
aggressivi tesi a delimitare il territorio, e che rende possibile la
continuazione della specie. A riprova di questo, il gruppo europeo ha
analizzato gli effetti del freddo e del digiuno su alcuni esemplari
isolati che, infreddoliti e stanchi, hanno abbandonato le uova prima
della schiusa per andare a rifocillarsi anzitempo nelle acque
antartiche, gelide ma ricche di pesci. Margherita Fronte
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA
LE PAROLE DELL'INFORMATICA - W
OGENERE rubrica
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI informatica, comunicazioni
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS computer science, communication
World Wide Web. E' la «ragnatela che abbraccia il mondo», il www o
Web, un insieme di modalita' e strumenti, ideati al Cern di Ginevra
nel 1989, che semplificano la ricerca di informazioni su Internet.
Quando un utente o «client» si collega a uno dei milioni di
calcolatori in rete, operanti come archivi o «server», spedisce dal
suo calcolatore a quest'ultimo un messaggio di richiesta. Questo
messaggio e' formulato facendo riferimento a un indicatore chiamato
Url o «Universal Resource Locator», contenente l'indirizzo in rete
del calcolatore server ed eventualmente la specificazione del
documento richiesto. Il calcolatore server invia allora al cliente il
documento richiesto, contenente in genere testi e immagini, e sovente
anche suoni e filmati. Inoltre il documento inviato contiene parole
sottolineate o «icone» ben demarcate, che fungono da riferimento ad
altri documenti allocati sulla stessa macchina o anche su altri
calcolatori della rete, ai quali si passa con un semplice clic del
mouse sulle parole o icone stesse. Questi riferimenti sono in
sostanza altre Url, che il calcolatore utilizza, in modo automatico,
generalmente senza la percezione di quanto avviene da parte
dell'utente, per collegarsi a un nuovo server. In virtu' di questo
meccanismo, migliaia di miliardi di documenti multimediali contenuti
negli archivi di Internet assumono l'aspetto di un gigantesco
ipertesto, dove ogni documento contiene richiami ad altri documenti
ai quali si puo' passare automaticamente, in un processo di
«navigazione» praticamente infinito. E nel quale e' facile perdersi
sommersi e confusi dalla immensa quantita' di informazioni. Il
programma utilizzato dai clienti, ossia dal «navigatore», e' chiamato
«browser». Il mercato offre diverse varianti di browser nell'ambito
delle quali predominano il Netscape Navigator e l'Explorer della
Microsoft. I documenti contenuti nei server devono essere organizzati
in conformita' con protocolli ben definiti e sono generalmente
realizzati utilizzando un apposito linguaggio di «edizione» chiamato
Html, «Hypertest Markup Language». Per avere ulteriori informazioni
sul Web, sulle sue origini e sui suoi sviluppi, ci si puo' collegare
direttamente al Cern di Ginevra, al seguente indirizzo:
http://www.cern.ch/.
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. «TRAPIANTI» FAUNISTICI
Nutrie: dalle Ande al Padovano
Sfuggite agli allevamenti, si sono riprodotte
OAUTORE FABRIS FRANCA
OARGOMENTI zoologia, animali
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PADOVA (PD)
OSUBJECTS zoology, animal
ALL'ombra della Specola, l'Osservatorio astronomico nel centro di
Padova, lungo il fiume Bacchiglione, vi e' un'oasi faunistica. Qui e'
facile osservare cigni bianchi, germani reali, oche e... nutrie.
Sfuggite agli allevamenti per ricavarne pellicce (il famoso
castorino), le nutrie, molto prolifiche, hanno ormai invaso i fiumi,
i rigagnoli e le paludi vicine. La nutria (Myo potamus coypus) e'
nota con nomi diversi, tra cui miopotamo, ratto d'acqua, castoro di
palude. E' un grosso rosicante della famiglia dei Capromidi,
superstiti di antichissime famiglie di roditori, di cui e'
rappresentante tipica, dal corpo massiccio con collo grosso e corto,
muso tozzo con la punta del naso e le labbra bianche o grigio chiaro
e le orecchie piccole. La nutria conduce una vita legata all'acqua:
nelle acque si muove con destrezza, nuotando con gli arti posteriori
dai piedi palmati, mentre sulla terraferma ha movimenti lenti e
goffi. Quando nuota ricorda il castoro, dal quale si distingue per la
coda lunga, squamosa, tondeggiante, simile a quella di un ratto ma
ricoperta di scaglie. La lanugine folta e morbida forma uno strato
impermeabile. Puo' addirittura rimanere in immersione per cinque
minuti senza respirare. Le nutrie vivono a coppie o in gruppi entro
ampie tane non ramificate, scavate sulle rive delle acque dolci a
circa un metro di profondita'. Hanno incisivi a crescita continua
molto grandi che, nella faccia anteriore, sono di un caratteristico
colore rosso-marrone. E' curioso il loro modo di mangiare erbe,
radici e altri vegetali, sedute sulle zampe posteriori in prossimita'
dell'acqua, mentre con quelle anteriori lavano accuratamente i cibi.
Le nutrie sono essenzialmente vegetariane, ma non disdegnano
molluschi, lumache e bivalvi. La femmina due o tre volte l'anno
partorisce da 4 a 6 piccoli. Hanno sei paia di capezzoli, ai quali i
piccoli possono attaccarsi tenendo il capo fuori dall'acqua e
nuotando di conserva con la madre. Quando i piccoli sono in grado di
nuotare da soli, la madre li tiene uniti con richiami lamentosi e, se
non ubbidiscono, comincia a brontolare e ringhiare. Brontolano e
ringhiano anche quando sono minacciate e, se vengono attaccate, si
difendono sfoderando i grandi incisivi sporgenti. Quando pensiamo
agli allevamenti ci viene in mente il loro triste fine, ma in questo
caso dobbiamo ricordare che le nutrie sono originarie del Sud America
dove vivono anche attualmente nelle Ande del Peru', in Cile, Paraguay
e in Patagonia: nel secolo scorso hanno rischiato di estinguersi in
seguito alla caccia e solo gli allevamenti hanno salvato la specie
dall'estinzione. Franca Fabris
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PREVENZIONE
Diagnosi precoce per il tumore al colon
Accertata la connessione tra regimi alimentari e carcinomi
OAUTORE RISIO MAURO, ROSSINI FRANCESCO PAOLO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, ricerca scientifica
ONOMI VOLGELSTEIN BERT
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
OSUBJECTS medicine and physiology, research
LA frequenza del cancro del colon-retto nei Paesi occidentali e la
possibilita' di esplorare le minime alterazioni della mucosa
intestinale mediante l'esame endoscopico del colon hanno consentito
di studiare a fondo la formazione dei tumori dell'intestino. Il 90
per cento dei carcinomi colorettali inizia da anomalie della
superficie mucosa, di aspetto poliposo e dimensioni variabili da
pochi millimetri ad alcuni centimetri, costituite da tessuto
adenomatoso di tipo tumorale, non maligno: adenomi o polipi
adenomatosi. La trasformazione maligna, dapprima in forma di
microscopici focolai di carcinoma contenuti nel polipo e, in fase
piu' avanzate, di ampie zone di infiltrazione carcinomatosa della
parete intestinale, e' legata alla dimensione del polipo e,
soprattutto, alle caratteristiche istologiche del tessuto
adenomatoso. L'intervallo tra la comparsa di un piccolo polipo
adenomatoso e la sua eventuale trasformazione maligna e' di alcuni
anni. Di qui la possibilita' di limitare il trattamento delle forme
iniziali di carcinoma colorettale alla sola asportazione del polipo
per via endoscopica e di identificare e asportare tutti i precursori
del carcinoma interrompendo la progressione tumorale nella fase
premaligna. Nel 1993 i risultati del National Polyp Study Group
statunitense hanno provato che l'asportazione endoscopica dei polipi
riduce di oltre il 70 per cento l'incidenza di carcinoma del colon. I
progressi in biologia e genetica molecolare hanno consentito al
gruppo di Bert Volgelstein (Centro Oncologico Johns Hopkins di
Baltimora) di reinterpretare la trasformazione adenoma-carcinoma come
accumulo sequenziale di alterazioni in specifiche regioni del Dna
della cellula, implicate nello sviluppo e crescita del tumore. Dati
clinici ed epidemiologici hanno da tempo evidenziato una connessione
tra il regime alimentare e carcinomi nel colon-retto. Mentre e' nota,
anche in alcuni processi molecolari, l'azione di induzione tumorale
esercitata sulla mucosa intestinale da composti che si generano
durante alcune procedure di cottura dei cibi, non sono mai state
riportate prove dirette dell'azione cancerogena dei componenti
alimentari ne' informazioni convincenti sui meccanismi con cui questa
azione si svolge. Un nostro recente studio condotto in collaborazione
con la Rockefeller University di New York e il National Cancer
Institute porta risultati significativi in questo settore della
ricerca oncologica. Un gruppo di topi e' stato nutrito per tutta la
durata della loro vita esclusivamente con diete che riproducono il
regime nutrizionale dei Paesi occidentali. Si tratta,
sostanzialmente, di diete ricche di grassi animali, fosfati e polvere
in calcio, denominate «Western-style diets». Gli animali cosi'
trattati hanno sviluppato un gran numero di lesioni tumorali
premaligne del colon. Sono state quindi studiate le alterazioni
microscopiche iniziali indotte da questi regimi dietetici della
mucosa intestinale. L'aumento dell'attivita' proliferativa
dell'epitelio mucoso contribuisce alla generazione delle lesioni
tumorali nelle fasi iniziali dell'esperimento (confermando, in sede
sperimentale, analoghi risultati osservati nell'uomo), ma il ruolo
chiave pare da attribuire alla riduzione di un importante sistema di
sorveglianza, la «morte cellulare programmata» o «apoptosi».
Normalmente le cellule con anomalie tumorali vengono eliminate
perche' l'organismo attiva dei programmi iscritti nel loro Dna che le
indirizzano rapidamente al «suicidio». Le cellule intestinali
modificate dalla nutrizione a lungo termine con diete in stile
occidentale eludono il controllo della «morte cellulare programmata»,
si riproducono in maniera incontrollata e vanno incontro alla
trasformazione tumorale. Si tratta ora di identificare i meccanismi
molecolari inceppati dal trattamento dietetico. Sono attualmente in
studio le alterazioni indotte nei geni che, in condizioni normali,
regolano e bilanciano proliferazione cellulare e «morte cellulare
programmata». L'obbiettivo finale e' quello di integrare
razionalmente l'alimentazione con sostanze in grado di ripristinare i
delicati equilibri tra le due funzioni cellulari. Nelle indagini in
corso in gruppi o popolazioni umane secondo questo approccio
preventivo si integra la dieta con fibre, calcio, vitamine (A, C, D,
E). Nell'ultimo decennio l'attenzione dei ricercatori si e' appuntata
sui tumori intestinali ereditari. Almeno il 7 per cento delle
neoplasie del colon deriva dalla trasmissione familiare di caratteri
ereditari che predispongono o determinano l'insorgenza di carcinoma.
Nella poliposi adenomatosa familiare del colon l'insorgenza di un
carcinoma intestinale e' preceduta dalla comparsa di centinaia di
polipi che tappezzano l'intera superficie mucosa del colon. La
diagnosi precoce e' attualmente affidata all'individuazione mediante
un semplice prelievo di sangue, del gene responsabile, il gene Apc,
ereditato da uno dei genitori nella forma umana ed in questa forma
presente in tutte le cellule dell'organismo. La sindrome di Lynch,
invece, e' una patologia ereditaria caratterizzata dallo sviluppo di
carcinomi del colon-retto in eta' relativamente giovane,
apparentemente senza polipi precursori; per quest'ultima
caratteristica la sindrome e' denominata «carninoma colorettale
ereditario non poliposico». Nelle famiglie colpite da questa sindrome
si verificano mutazioni ereditabili di uno dei geni scoperti nel
1993, deputati alla riparazione degli errori che, anche in condizioni
normali, si verificano durante le operazioni di
copiatura-duplicazione del Dna. Anche questa affezione puo' essere
precocemente diagnosticata mediante l'analisi del Dna estratto da
cellule del sangue. Mauro Risio Francesco Paolo Rossini
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. GENETICA
Cromosomi artificiali per curare la talassemia
OAUTORE ERIDANI SANDRO
OARGOMENTI genetica, medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI CNR
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS genetics, medicine and physiology
IL clamore suscitato nei giorni scorsi dalla notizia proveniente
dagli Stati Uniti circa l'avvenuto assemblaggio di due cromosomi
artificiali umani ha suscitato un giustificato interesse nella stampa
italiana, ma ha lasciato l'impressione che queste ricerche si
facciano solo in America. Non e' cosi', almeno in questo campo. Vi e'
infatti da alcuni anni un fervore di attivita' in Europa per la
preparazione di vettori biologici comprendenti le componenti
fondamentali dei cromosomi, attivita' documentata da eccellenti
pubblicazioni; basti ricordare i lavori dei gruppi di Edimburgo e
Oxford in Gran Bretagna e dei gruppi di Wurzburg e Leiden in Germania
e Olanda. Anche in Italia si stanno conducendo interessanti ricerche
in questo campo, particolarmente presso i Laboratori del Cnr di
Milano e nell'Istituto di Genetica dell'Universita' di Pavia. Una
iniziativa di avanguardia, per esempio, e' stata quella del dicembre
scorso, quando con il professor Sgaramella e il professor Cooke di
Edimburgo abbiamo organizzato a Milano un meeting per documentare le
ricerche in corso sui cromosomi artificiali e sulle loro possibili
applicazioni. A questo convegno hanno partecipato tutti gli studiosi,
europei e americani, che hanno in corso ricerche di questo tipo,
compreso il professor Willard di Cleveland, che in questi giorni e'
alla ribalta della cronaca scientifica per il suo lavoro sui
cromosomi artificiali. Oltre a puntualizzazioni sullo «stato
dell'arte», si sono ascoltate nel Convegno di Milano relazioni di
grande interesse sulla possibilita' di utilizzare i cromosomi
artificiali sia per studi biologici di base che per effettuare
operazioni di trasferimento genico: possibilita' quindi di inserire
geni «terapeutici» in cellule di individui sofferenti di malattie
ereditarie. A questo proposito un originale approccio e' quello
seguito da ricercatori di Pavia (De Carli e Raimondi) che hanno da
tempo isolato un mini-cromosoma umano naturale e lo hanno ridotto in
successivi passaggi fino alle dimensioni di un vettore cromosomico
naturale. A tale struttura si sta ora tentando, in collaborazione con
i Laboratori del Cnr di Milano, di «agganciare» un costrutto che
comprende il gene della beta-globina umana, proprio quel gene che e'
difettoso nella Beta-talassemia e nell'anemia drepanocitica, malattie
a grande diffusione nel nostro Paese. Il passo successivo dovrebbe
consistere nell'inserimento di tale mini-cromosoma nelle cellule
primitive del sangue (i precursori dei globuli rossi) e
nell'accertamento che venga in esse prodotta una globina «sana».
Sandro Eridani Istituto di biotecnologie avanzate, Cnr, Milano
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ASTROFISICA
Stelle morte fatte di neutroni
Trent'anni fa la scoperta delle pulsar
OAUTORE MIGNANI ROBERTO
OARGOMENTI astronomia, fisica
ONOMI HEWISH ANTHONY
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy, physics
PER gli astronomi, gli Anni 60 sono stati il decennio delle maggiori
scoperte di questo secolo: sorgenti X extrasolari, radiazione cosmica
di fondo, quasar, pulsar. La storia della scoperta delle pulsar e'
curiosa e vale la pena di raccontarla perche' dimostra come anche
nella ricerca scientifica, cosi' come nella vita di tutti i giorni,
il caso sia una componente essenziale. Siamo nel 1967 - esattamente
trent'anni fa - e una giovane che preparava il dottorato
all'Universita' di Cambridge, Jocelyn Bell, osservava il cielo con un
radiotelescopio. Il suo era un lavoro piuttosto noioso, uno di quelli
che, solitamente, vengono affidati agli studenti di buona volonta'.
Un giorno, pero', il normale tran-tran delle osservazioni venne
interrotto da un evento imprevisto. Jocelyn, infatti, trovo' una
sorgente radio molto ben localizzata nel cielo, e fin qui nulla di
strano. La cosa curiosa era che l'emissione di questa sorgente era
periodica, cioe' si accendeva e si spegneva ritmicamente con un
periodo di un secondo e 377 centesimi. Dopo i controlli di rito,
Jocelyn corse tutta eccitata a raccontare la scoperta al suo
professore, Anthony Hewish, che, narra la leggenda, non la prese
troppo sul serio, considerando il segnale frutto di qualche
interferenza o di qualche baco nell'analisi dei dati. Per fortuna, la
nostra Jocelyn non era il tipo di persona che si perdeva d'animo
facilmente e dopo un po' riusci' a convincere anche i colleghi piu'
scettici che aveva scoperto veramente una sorgente radio periodica.
Quale corpo celeste poteva essere responsabile di un fenomeno di
questo tipo? La cosa piu' immediata fu pensare che il segnale fosse
originato dal susseguirsi di contrazioni ed espansioni della sorgente
o dalla sua rotazione su se stessa. In un caso o nell'altro doveva
trattarsi di una stella anche se di natura del tutto particolare. La
sorgente venne battezzata con il nome di pulsar, dalla combinazione
delle parole inglesi PULSating StAR, cioe', stella pulsante. Ben
presto si capi', pero', che la periodicita' del segnale non poteva
essere originata da un'effettiva pulsazione della stella. Espansioni
e contrazioni cosi' rapide produrrebbero condizioni di instabilita'
nell'interno della stella ed il fenomeno sarebbe destinato a
smorzarsi in tempi brevi. Le osservazioni, invece, dimostravano che
il periodo della pulsar era estremamente regolare. Esclusa, quindi,
la pulsazione, rimaneva solo la rotazione. Ma quale stella poteva
ruotare cosi' velocemente su se stessa senza disgregarsi sotto
l'azione della sua forza centrifuga? Doveva trattarsi di una stella
dalla densita' estremamente elevata, pari a quella del nucleo
atomico, vale a dire 100 milioni di tonnellate in un centimetro cubo.
L'esistenza di una stella con queste caratteristiche era stata
ipotizzata negli Anni 30. Si tratta delle stelle di neutroni,
cadaveri stellari che si formerebbero dal nucleo collassato di astri
molto piu' massicci del Sole dopo che questi sono esplosi come
supernovae. Qualche mese piu' tardi, la scoperta della pulsar
PSR0531piu'21 all'interno della Nebulosa del Granchio, resto
dell'esplosione di supernova osservata dagli astronomi cinesi nel
lontano 1054 d.C., sembro' una conferma di questa ipotesi. Da allora
molte nuove pulsar sono state scoperte ed il numero totale ammonta
ora a circa 800. La scoperta di nuove pulsar e lo studio costante di
quelle gia' conosciute ha permesso di ricostruirne il percorso
evolutivo. A quanto pare, le pulsar piu' giovani sono anche quelle
che ruotano su se stesse piu' velocemente e, quindi, i periodi di
pulsazione sono anche piu' brevi. Col passare del tempo, pero', le
pulsar tendono a rallentare e, quindi, le loro pulsazioni si fanno
sempre piu' lente e piu' deboli fino a diventare, dopo qualche
centinaio di milioni di anni, praticamente inosservabili. Nel
frattempo, grazie allo sviluppo degli osservatori orbitanti, le
pulsar sono diventate oggetto di osservazione anche in bande di
lunghezza d'onda diverse da quella radio. Una ventina di esse,
infatti, sono state identificate anche come sorgenti di raggi X e tra
queste sette risultano essere anche sorgenti di raggi Gamma (la forma
di radiazione piu' energetica esistente in natura). Un numero simile
e' stato osservato anche nella regione visuale dello spettro (dove
vengono solitamente osservate le stelle «normali»). In questo caso a
farla da protagonisti sono stati i telescopi dell'Eso (l'Osservatorio
Europeo Australe) ed il telescopio spaziale Hubble. Anche se, finora,
solo il 3 per cento delle pulsar e' stato identificato fuori della
banda radio, le osservazioni a diverse lunghezza d'onda sono
fondamentali per chiarire gli enigmi ancora insoluti e su questa
strada si muovera' la ricerca futura. Roberto Mignani Max Planck
Institut, Garching
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. TECNOLOGIA
Un successo il razzo giapponese
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, tecnologia
OORGANIZZAZIONI M-5
OLUOGHI ESTERO, ASIA, GIAPPONE
OTABELLE D.
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, technology
I giapponesi hanno collaudato con successo, in febbraio, il nuovo
razzo «M-5», che verra' usato soprattutto per il lancio di sonde
dell'ambizioso progetto interplanetario nipponico. Puo' mettere in
orbita terrestre un satellite di due tonnellate o inviare verso i
pianeti una sonda-robot di 550 chilogrammi. La filosofia e' quella
giusta; attualmente il mercato dei piccoli satelliti e' in piena
espansione, cosi' come le sonde interplanetarie che sono sempre piu'
piccole (ma non per questo meno funzionali) per contenerne i costi.
La prima che partira' con M-5 sara' «Lunar-A», pesante 540 kg., che
verra' inviata verso la Luna in agosto. Poi tocchera' a «Planet- B»,
di 550 chili, che dovra' dirigersi verso Marte, partendo dalla base
di Kagoshima nel febbraio '98. Un satellite astronomico per lo studio
delle sorgenti in raggi X chiamato «Astro E», pesante 1,6 tonnellate,
verra' lanciato nel febbraio '99, e la mini-sonda «Muses-C»,
destinata a recuperare e riportare sulla Terra i campioni
dell'asteroide «Nereus», partira' nel 2001. L'esplorazione che
colleghera' idealmente il Sol Levante ai pianeti, vedra' M-5 quale
vettore, nel 2005, per una sonda simile alla «Muses C», che avra' il
compito di effettuare analisi dall'orbita, e una mappa di Mercurio.
L'M-5 ha tre stadi (ma puo' portarne un quarto), ognuno con un motore
a propellente solido, realizzati dalla Nissan Motors, e va ad
aggiungersi ad un altro vettore giapponese di «piccola taglia», che
e' l'M3-S2, e potenziando la flotta che possiede anche il J-1 e il
grande e potente H-2, in grado di lanciare in futuro moduli e navette
spaziali, pur essendo piuttosto costoso. Il 12 febbraio M-5 ha messo
in orbita il satellite scientifico «Muses B», chiamato «Haruka»: si
tratta di un radiotelescopio largo 8 metri per lo studio di sorgenti
radio di galassie, quasar e pulsar e per interferometria su larga
scala. Ha un'antenna formata da un fascio di cavi in molibdeno
ricoperti in oro, che e' stata dispiegata il 27 febbraio per ricevere
le emissioni radio su frequenze fino a 22 Gigahertz. Muses B fara'
cosi' da supporto per i radiotelescopi terrestri del programma VLBI
Space Observatory Program; la base di interferometria su 22 Gigahertz
richiede una risoluzione angolare di 60 secondi d'arco. Questo
significa che i sistemi di osservazione possono distinguere un
granello di riso da Roma a Tokyo. Antonio Lo Campo
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. PER L'ANNO SANTO
San Pietro ai raggi X
Restauri con tecniche d'avanguardia
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI tecnologia, architettura, restauro
ONOMI MADERNO CARLO, SILVAN PIERLUIGI
OORGANIZZAZIONI ENI
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.
OSUBJECTS technology, architecture, restoration
TRE anni di studi e di lavoro delicatissimo per rivedere la facciata
della basilica di San Pietro com'era prima che il tempo e
l'inquinamento vi lasciassero le loro tracce. Un'impresa cominciata
gia' da qualche mese sotto la direzione della Fabbrica di San Pietro,
e che dovra' comcludersi entro settembre del '99, in vista dell'Anno
Santo del 2000. L'impegno prevede la ripulitura, il risanamento e la
conservazione dell'opera, compito che e' stato assunto dall'Eni,
partner scientifico e tecnologico del progetto. Primo passo:
individuare i mali della facciata, costruita in travertino ma con
numerosi inserimenti di materiali diversi e complicata da un gran
numero di elementi architettonici, di sculture, di decorazioni. La
pietra ha subito gli attacchi del tempo ma soprattutto, negli ultini
decenni, quelli dell'inquinamento, assorbendo sostanze estranee che
ne hanno modificato le caratteristiche originarie. Ma piu' in
generale si trattera' di fare una revisione in profondita' di tutta
la struttura, antica di quasi 4 secoli, essendo stata iniziata nel
1607 su progetto dell'architetto luganese Carlo Maderno e terminata
sette anni dopo; una struttura «le cui caratteristiche e il cui
comportamento - ha detto presentando il piano di restauro
l'architetto Pierluigi Silvan - non sono mai state studiate».
Occorrera' tener conto, tra l'altro, di eventi del passato, come il
cedimento che nel 1646 costrinse il Bernini a demolire il campanile
che stava costruendo sulla destra, e il terremoto che il 22 marzo
1812 causo' una vistosa crepa nelle volte dell'atrio e dell'aula
delle benedizioni (anche la cupola subi' danni); bisogna valutare gli
effetti dell'invecchiamento dei materiali, delle dilatazioni
termiche, delle sollecitazioni elastiche che hanno provocato e
continuano a provocare lesioni in vari punti; ci sono poi i guasti
dell'era moderna come l'aggressione dell'anidride solforosa, degli
ossidi di azoto, dell'ozono frutto degli impianti di riscaldamento e
della circolazione, l'ossidazione delle parti metalliche inserite
nella pietra, a cui si aggiungono muschi, alberelli spuntati nelle
fessure, guano depositato dagli uccelli e persino i fumi grassi
lasciati dalle torce usate nel lontano passato. L'Eni affrontera'
questo groviglio di problemi antichi e nuovi sfruttando le tecniche e
gli strumenti di indagine messi a punto per la ricerca petrolifera
nel campo della chimica, della geologia, della metallurgia, della
scienza dei materiali, del monitoraggio ambientale; in particolare
applicando in un intervento di restauro molto sofisticato le
conoscenze sviluppate nel campo dei fenomeni catalitici. La risonanza
magnetica, usata per studiare i giacimenti petroliferi, consente di
rilevare i fluidi all'interno dei materiali e di ottenere immagini
tridimensionali dello stato della pietra; risultati analoghi si
ottengono con la tomografia acustica che utilizza gli ultrasuoni per
ottenere informazioni sui materiali rocciosi mediante immagini
dettagliate dei componenti solidi e fluidi in essi presenti. Con la
microscopia elettronica si studieranno gli aspetti morfologici dei
materiali con una capacita' di risoluzione che arriva fino alla
dimensione dell'atomo; con la diffrazione a raggi X si esplorera'
l'organizzazione strutturale degli atomi e delle molecole nel
reticolo cristallino, indice delle proprieta' chimico-fisiche e dei
comportamenti dei materiali. Grazie ad analisi spettroscopiche con i
raggi X o con gli elettroni si studiera' lo strato superficiale dei
materiali per scoprire eventuali contaminazioni, la loro gravita' e
le differenze tra superficie e interno, importanti per prevederne il
comportamento. La facciata della basilica di San Pietro e' larga
114,70 metri e alta 45,50; la superficie complessiva e' di circa 6000
metri quadrati. Alla facciata sono addossate otto colonne alte 27,40
metri del diametro di 2,77 metri. Sulle colonne e' appoggiata la
possente trabeazione che percorre tutta la facciata e che sostiene il
frontone triangolare allineato con la cupola. L'attico e' sormontato
dalla balaustra. Sopra di essa svettano 13 statue alte 5,70 metri;
raffigurano il Redentore, S. Giovanni Battista e 11 apostoli; manca
S. Pietro, la cui statua e' nella piazza. A lavori ultimati la
facciata di San Pietro sara' pronta a stupire i pellegrini del 2000,
ma anche ad affrontare altri secoli di insidie. E' importante, per
questo, prevedere il modo per preservarla il piu' possibile. L'Eni
fornira' un sistema di sorveglianza dell'ambiente e delle strutture
basato su una capillare rete di monitoraggio computerizzato che
individuera' qualsiasi lesione o attacco di agenti inquinanti che
possano minacciare la basilica; i dati confluiranno ad un computer
dove potranno essere analizzati in tempo reale e costituire la base
per i futuri interventi di manutenzione e conservazione. Vittorio
Ravizza
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Bussola spaziale
I sensori per l'orientamento della navicella sono stati costruiti da
una azienda italiana
OAUTORE LEONCINI ANTONELLA
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, tecnologia, astronomia
OORGANIZZAZIONI NASA, SONDA CASSINI HUYGENS, ALENIA SPAZIO
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Gli anelli di Saturno
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, technology, astronomy
ANCHE l'Italia va alla scoperta di Saturno: l'Asi, la nostra agenzia
spaziale, partecipa alla missione «Cassini» progettata dalla Nasa e
sulla sonda funzioneranno, tra l'altro, sensori stellari di
navigazione costruiti dalle Officine Galileo che aiuteranno la
navicella a esplorare il pianeta e le sue lune. Le Officine Galileo a
suo tempo vinsero infatti una gara internazionale indetta dal Jet
Propulsion Laboratory di Pasadena, California, che ha preferito la
societa' della Finmeccanica ad altre aziende europee e americane. I
sensori stellari sono camere televisive ad altissima precisione e
sensibilita', capaci di puntare stelle poco luminose, non visibili a
occhio nudo, con lo scarto massimo di un secondo d'arco: cioe' quanto
un bambino visto da una distanza di 250 chilometri. I sensori
stellari della «Galileo» sono strumenti gia' forniti a satelliti
scientifici italiani (Sax) ed europei (Iso e Soho). La «Galileo» ha
fornito al Jpl tre unita' dal costo di 10 miliardi e mezzo di lire.
La missione «Cassini» e' una collaborazione internazionale. La
navicella e' costituita da due sonde con funzioni diverse: Orbiter e
Probe. L'Orbiter, fornito dalla Nasa, contiene sofisticati strumenti
scientifici per l'investigazione del sistema di Saturno: del pianeta,
delle sue lune, degli anelli e della magnetosfera. Durante il lungo
viaggio interplanetario che separa la Terra da Saturno registrera' il
maggior numero di informazioni volando in prossimita' di Giove e di
Venere: a bordo, un Vims, Visible mapping spectrometer, cioe' uno
spettrometro ottico d'immagine, consentira' di acquisire una
sofisticata documentazione fotografando l'atmosfera, il suolo di
Saturno e delle sue lune. La «Huygens Probe» deriva il nome dal
matematico e astronomo olandese che nel 1655 scopri' Titano, una
delle lune di Saturno: il modulo sara' sganciato dall'Orbiter,
atterrera' su Titano per analizzare i parametri caratteristici
dell'atmosfera e del suolo di questa luna; l'Agenzia spaziale
italiana ha firmato con la «Galileo» un contratto del valore di oltre
30 miliardi di lire. La navicella «Cassini», secondo le ultime
indicazioni fornite dalla Nasa, sara' lanciata da Cape Canaveral il
12 ottobre del 1997. Per scoperte e notizie, pero', sara' necessario
attendere degli anni. L'inserimento nell'orbita di Saturno e'
previsto per il 2003 e gli esperimenti si protrarranno per quattro
anni: quindi per conoscere i risultati definitivi della missione
occorrera' aspettare il 2007. Antonella Leoncini
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
CURIOSITA'
La tua firma nel cosmo
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, astronomia, elettronica
OORGANIZZAZIONI NASA, SONDA CASSINI HUYGENS, ALENIA SPAZIO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, astronomy, electronics
LA missione «Cassini» portera' fino al pianeta Saturno anche due
Cd-Rom. Il primo, a bordo della navicella- madre, contiene le firme
autografe di centomila americani passate allo scanner dalla Nasa per
tradurle in linguaggio digitale. Il secondo, sulla navicella- figlia
«Huygens», reca i nomi di centomila europei inviati all'Esa via
Internet. Chi lo desiderava, ha anche potuto accludere un breve
messaggio, scritto o parlato. Il Cd-Rom della sonda «Cassini»
orbitera' chissa' per quanto tempo intorno a Saturno. Quello della
«Huygens» scendera' perigliosamente nell'atmosfera del satellite
Titano e forse finira' con il galleggiare in un tetro oceano di
metano che, se non fosse a un miliardo e mezzo di chilometri da noi,
farebbe la felicita' dell'amministratore delegato dell'Italgas. In
entrambi i casi, questi messaggi sono come cartoline inviate verso
l'ignoto, senza alcun destinatario. Graffiti spaziali che ci parlano
dell'umanissimo desiderio di lasciare una sia pur minima traccia
nell'universo, del bisogno di vivere per un giorno alla «Star Trek» e
della voglia di evasione che tormenta gran parte dell'umanita'. Per
noi italiani, poi, c'e' forse una ragione in piu': l'illusione di
sfuggire, almeno simbolicamente, a Prodi e a Berlusconi, a Bertinotti
e a La Russa, a Visco e a Dini. O anche soltanto alla Venier e a
Frizzi. Quelle firme, piu' che messaggi a improbabilissimi
extraterrestri, sono la sublimazione, in verita' un po' patetica, di
desideri niente affatto stravaganti. Firme a parte, l'Italia ha messo
a bordo delle navicelle Cassini-Huygens anche qualcosa di piu'
concreto. L'antenna multifrequenza ad alto guadagno, una parabola
larga quattro metri, peso 100 chilogrammi, e' stata realizzata da
Alenia Spazio. Dovra' assicurare i contatti radio con la Terra,
permettere esperimenti sulle onde gravitazionali e fare rilevazioni
radar. Se considerate le condizioni ambientali nelle quali dovra'
funzionare - tra 200 gradi sotto zero e 150 sopra - vi renderete
conto che non si tratta di tecnologie banali. Alenia Spazio e' anche
responsabile del radar multimodo, dei sistemi a radiofrequenza,
dell'esperimento sulle onde gravitazionali e degli strumenti per
raccogliere i dati sull'atmosfera di Titano. Il lancio avverra' con
un razzo Titan IV- Centaur. A prendere il volo sara' una massa di
5630 chilogrammi comprendendo i 2150 della «Cassini», i 350 della
«Huygens», il generatore elettrico al plutonio e il propellente per
le numerose manovre in programma. Centinaia di scienziati di 14 Paesi
europei sono coinvolti nella missione. Di Titano, questo remoto mondo
dal caratteristico color arancione, sappiamo davvero pochissimo.
L'abbondanza di azoto nella sua atmosfera e' pero' un fatto
singolare, che lo apparenta alla Terra, l'unico pianeta che abbia
conservato una grossa scorta di questo gas. Ci saranno altre
affinita'? Titano puo' davvero essere una incubatrice della vita?
Piero Bianucci
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
MISSIONE SPAZIALE NASA-ESA
2004, una gita su Saturno
Il suo satellite Titano incubatrice della vita?
OAUTORE DI MARTINO MARIO
OARGOMENTI astronomia, aeronautica e astronautica
ONOMI CASSINI GIOVANNI,
OORGANIZZAZIONI NASA, ESA, ASI, SONDA CASSINI HUYGENS, ALENIA SPAZIO
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Saturno e la struttura dei suoi anelli
OSUBJECTS astronomy, aeronautics and astronautics
IL 12 ottobre una sonda iniziera' un viaggio di sette anni per
raggiungere Saturno, a una distanza dalla Terra di 1,4 miliardi di
chilometri. Lo scopo e' esplorare il pianeta, gli spettacolari
anelli, il potente campo magnetico, i numerosi satelliti ghiacciati e
la sua piu' grande e misteriosa luna, Titano. La missione si chiama
«Cassini» in ricordo dell'astronomo Giovanni Cassini che nella
seconda meta' del XVII secolo studio' Saturno scoprendone 4 nuovi
satelliti e lo spazio scuro tra gli anelli, tuttora chiamato
«divisione di Cassini». E' un'impresa internazionale che coinvolge la
Nasa, l'Agenzia Spaziale Europea (Esa), l'Agenzia Spaziale Italiana
(Asi) e numerosi centri di ricerca, universita' e industrie europee.
Il progetto e' coordinato dal Jet Propulsion Laboratory (Jpl) per
conto della Nasa. La missione consiste di due parti: la sonda
interplanetaria «Cassini», che si porra' in orbita attorno a Saturno,
costruita sotto la responsabilita' della Nasa, e la sonda «Huygens»,
dal nome del fisico olandese Christian Huygens, che scopri' Titano
nel 1655, fornita dall'Esa, che, trasportata a bordo di «Cassini», si
stacchera' durante il sorvolo di Titano e si posera' sulla sua
superficie dopo una serie di rilevazioni chimico-fisiche
dell'atmosfera. Partita da Cape Canaveral, la sonda seguira' una
complessa traiettoria che la portera' in vicinanza di Venere (due
volte), della Terra e di Giove, dai quali otterra' le spinte
gravitazionali che le permetteranno di guadagnare i circa 80 mila
chilometri all'ora necessari per raggiungere Saturno. Nessuno dei
razzi oggi disponibili sarebbe in grado di accelerare a questa
velocita' le quasi sei tonnellate complessive di «Cassini-Huygens».
Raggiunto Saturno, il 1o luglio 2004, «Cassini» accendera' il suo
motore principale per un'ora e mezzo per rallentare e mettersi in
orbita attorno al pianeta. Cinque mesi dopo la sonda «Huygens» si
separera' dall'«orbiter» dirigendosi verso Titano per immergersi
nella sua atmosfera. «Cassini» continuera' la sua ricognizione del
sistema di Saturno, della durata di circa 4 anni, nel corso della
quale effettuera' una sessantina di orbite attorno al pianeta. In
questo periodo compira' 33 sorvoli ravvicinati di Titano, almeno sei
incontri con satelliti di estremo interesse scientifico, come
Enceladus e Iapetus. Il sistema di Saturno e' gia' stato visitato
dalla sonda «Pioneer 11» nel 1979, seguito da «Voyager» 1 e 2 nel
1980 e 1981. Le telecamere delle Voyager scoprirono quattro nuovi
satelliti, portando cosi' a 18 il numero delle lune saturniane, la
piu' numerosa famiglia di satelliti di tutto il sistema solare.
Voyager scopri' anche che Titano possiede una densa atmosfera,
composta principalmente da azoto, metano e forse argon, in cui sono
state anche rilevate tracce di altri idrocarburi, idrogeno e composti
dell'azoto e dell'ossigeno. Con ogni probabilita' si tratta di
un'atmosfera simile a quella che avvolgeva la Terra quando piu' di
3,5 miliardi di anni fa si svilupparono su di essa le prime forme di
vita. «Cassini» gettera' nuova luce sull'origine del sistema solare e
ci aiutera' a scoprire la materia da cui Saturno si e' formato e la
sua evoluzione. L'atmosfera del pianeta e' molto interessante, con
venti tra i piu' veloci tra quelli presenti sugli altri pianeti del
sistema solare. Titano, poi, nasconde misteri forse unici. Cosa sta
accadendo al di sotto della sua atmosfera? I risultati di recenti
osservazioni effettuate dal telescopio spaziale indicano che sulla
sua superficie, dove la temperatura e' di circa -180o C, sono forse
presenti dei continenti e degli oceani o laghi di una miscela di
etano, metano e azoto liquidi. Le reazioni chimiche che avvengono
nell'atmosfera di Titano formano una varieta' di molecole organiche
che condensano e precipitano sulla sua superficie. Quale potra'
essere l'ambiente sulla superficie di questo satellite, di dimensioni
maggiori a quelle di Mercurio e Plutone, dove il ghiaccio d'acqua, a
causa della bassissima temperatura, e' piu' duro della roccia?
«Cassini» e «Huygens» cercheranno di dare una risposta a questo e ad
altri numerosi quesiti. Le due sonde sono le macchine meglio
equipaggiate mai inviate per esplorare un altro pianeta. L'orbiter e'
dotato di una camera multispettrale e tre spettrometri che
dall'ultravioletto all'infrarosso riprenderanno immagini e
analizzeranno l'atmosfera di Saturno, la superficie dei suoi
satelliti ghiacciati ed il sistema di anelli; un radar che traccera'
la mappa tridimensionale della superficie di Titano; vari strumenti
misureranno le particelle di polvere, le onde radio e di plasma
durante la fase di crociera e attorno a Saturno. La sonda «Huygens»,
che pesa 350 chilogrammi, trasporta un pacchetto di strumenti per
studiare l'atmosfera e la superficie di Titano. La telecamera,
durante la discesa della sonda nell'atmosfera del satellite gigante,
che verra' frenata da un sistema di paracadute, scattera' un migliaio
di foto dell'ambiente circostante, mentre altri strumenti misureranno
la velocita' dei venti, la temperatura, pressione, composizione e
conducibilita' elettrica dell'atmosfera di Titano. Se la sonda
sopravvivera' all'atterraggio si spera di ottenere informazioni e
immagini dettagliate della superficie del satellite. Un ruolo di
rilievo nella realizzazione della strumentazione della missione e'
toccato all'Italia. L'Alenia Spazio, in qualita' di capocommessa per
conto dell'Asi, ha sviluppato l'antenna ad alto guadagno e il
sottosistema di strumentazione scientifica a radiofrequenza.
L'Istituto di Astrofisica Spaziale (Ias) del Cnr e le Officine
Galileo hanno ideato e costruito il canale visibile dello
Spettrometro a immagine visibile e infrarosso (Vims), mentre
l'Universita' di Roma ha realizzato parte del pacchetto di strumenti
per rilevare temperatura, pressione, velocita' dei venti ed eventuali
fulmini nell'atmosfera di Titano (Huygens Atmospheric Structure
Instrument - Hasi). La «Cassini-Huygens», il cui costo complessivo
supera i 2 miliardi di dollari, sara' l'ultima delle grandi missioni
interplanetarie. La filosofia attuale della Nasa e delle altre
agenzie spaziali e' quella di realizzare missioni a basso costo, non
oltre i 150 milioni di dollari, che, grazie al loro rapido sviluppo e
a tecnologie dell'ultima ora permetteranno di raggiungere risultati
analoghi a quelli di missioni piu' ambiziose, con il vantaggio che,
in caso di fallimento, la perdita sara' relativamente lieve. Mario Di
Martino Osservatorio Astronomico di Torino
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE
Omini verdi?
Un libro di Piero Tempesti racconta la curiosa storia degli astri
collassati
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI astronomia, fisica, libri
OPERSONE TEMPESTI PIERO
ONOMI TEMPESTI PIERO
OORGANIZZAZIONI BIROMA EDITORE
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
ONOTE «Pulsar»
OSUBJECTS astronomy, physics, book
NON esisteva ancora un libro in italiano tutto dedicato alle pulsar,
queste massicce stelle di neutroni i cui impulsi radio li' per li'
furono scambiati per messaggi di «omini verdi». A trent'anni dalla
scoperta ha rimediato Piero Tempesti, gia' astronomo all'Osservatorio
di Teramo e professore di spettroscopia all'Universita' di Roma «La
Sapienza». E lo ha fatto con un libro di piacevole lettura, ricco di
informazioni e aggiornatissimo: «Pulsar», Biroma Editore, 350 pagine,
60 mila lire. Due volte il Nobel per la fisica ha premiato ricerche
legate alle pulsar. La prima volta (1974) tocco' a Hewish (e Ryle)
per la scoperta di questi oggetti celesti. La seconda (1993) a Russel
Hulse e Joseph Taylor, che nel 1975 individuarono una pulsar doppia:
cioe' due stelle morte superdense in orbita intorno al loro
baricentro. Ognuna di esse ha una massa pari a una volta e mezzo
quella del Sole ma il loro diametro e' appena di una decina di
chilometri. Un'orbita completa viene percorsa in 8 ore perche' le due
pulsar sono vicinissime (2-3 volte la distanza Terra-Luna). Il
risultato e' che un effetto previsto dalla relativita' generale di
Einstein - lo spostamento del perielio - viene molto amplificato. Nel
nostro caso, il perielio slitta di 4 gradi all'anno, una quantita'
ben misurabile in base ai segnali radio emessi dalle pulsar. Inoltre,
dall'accorciamento del perido orbitale, si puo' ricavare una prova
indiretta dell'esistenza delle onde gravitazionali, previste
anch'esse dalla relativita' generale: e per aver fornito questa prova
con accuratissime misure Hulse e Taylor ricevettero il Nobel. Gli
accademici di Stoccolma, invece, hanno del tutto ignorato Jocelyn
Bell, allieva di Hewish, che per prima, nel '67, osservo' una pulsar.
Come Piero Tempesti riferisce, un riconoscimento morale alla povera
Jocelyn venne pero' proprio da Taylor: il futuro premio Nobel nel '77
le dedico' un suo trattato sulle stelle di neutroni. Piccola
consolazione. (p. bia.)
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ONCOLOGIA: NUOVE TERAPIE
Cordone ombelicale tesoro da conservare
OAUTORE GAVOSTO FELICE
OARGOMENTI medicina e fisiologia, biologia, ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS medicine and physiology, biology, research
IL sangue del cordone ombelicale della placenta contiene cellule
emopoietiche con proprieta' progenitrici o staminali, cioe' in grado
di generare altre cellule sanguigne piu' mature e attive nel
trasportare ossigeno, nella lotta contro le infezioni, nell'azione
immunologica e nella coagulazione. Una delle prime prove fu ottenuta
a Torino da Gabutti, Aglietta e Foa' (Haema tologica, 1975) con la
dimostrazione che dagli elementi cellulari del cordone ombelicale
umano e' possibile sviluppare colonie di cellule ematiche mediante
coltura in vitro. Ma soltanto di recente, e dopo che la presenza di
cellule progenitrici utilizzabili per trapianto era stata documentata
anche nel sangue periferico, si e' proposto, per lo stesso scopo,
l'impiego di cellule provenienti da cordone ombelicale, piu' ricco
degli stessi progenitori. Considerata la scarsa quantita' totale del
sangue di cordone, in un primo tempo se ne prospetto' l'uso solo per
soggetti non ancora adulti. Poi si promossero ricerche per definire
tecniche di crescita in vitro delle cellule staminali da cordone, al
fine di ottenerne una quantita' sufficiente per ricostituire il
tessuto emopoietico anche negli adulti quando viene in gran parte
distrutto da un'intensa terapia antitumorale. Un importante risultato
e' stato ottenuto lo scorso anno, ancora una volta a Torino, da
Piacibello, Sanavio, Aglietta e altri (Blood, 1997). Le cellule
staminali, per essere utilizzabili, devono essere compatibili con
l'organismo ricevente, cioe' tollerate dal paziente nel quale vengono
trasferite. Se non sono compatibili, danneggiano irrimediabilmente
l'organismo che le riceve. Mentre i globuli rossi circolanti
posseggono sulla loro membrana soltanto alcuni antigeni che li
identificano, per cui e' molto facile trovare un donatore di sangue,
le cellule staminali, come tutte le altre cellule dell'organismo,
sono infinitamente piu' complesse dal punto di vista della
compatibilita', possedendo oltre un centinaio di antigeni anch'essi
trasmessi dai genitori. Di conseguenza, se il donatore e il ricevente
sono fratelli, la probabilita' che il donatore sia compatibile e'
ancora abbastanza elevata (1 su 4). Invece in una popolazione
casuale, la stessa probabilita' e' molto bassa (1 su 20.000 o meno).
E' chiaro che, sul piano puramente scientifico, la situazione ideale
si ha quando il paziente che ne necessita dispone di cellule
staminali provenienti dal proprio cordone ombelicale. E' quindi
auspicabile che un numero sempre maggiore di neonati abbia la
possibilita' di dotarsi, alla nascita, delle cellule del proprio
cordone ombelicale adeguatamente conservate, affinche', in futuro, la
maggior parte degli individui disponga di questo patrimonio.
Tuttavia, una simile situazione appare attualmente non realistica,
si' che e' ancora piu' che mai necessario cercare donatori anche
nella popolazione generale. E' quindi opportuna la costituzione di
centri e organizzazioni idonee e legalmente abilitate alla
conservazione ed all'utilizzo di cellule del cordone ombelicale,
finora eliminate insieme con la placenta. Queste iniziative puntano a
migliorare le possibilita' di cura e di guarigione di numerosi malati
affetti da tumore, spesso non definitivamente guaribili senza la
ricostituzione del midollo osseo. Le banche di cordoni ombelicali
stanno nascendo in tutto il mondo e si basano su due filosofie. Una
prima opzione considera il materiale conservato un deposito a
disposizione del donatore da utilizzare nell'eventualita' che lo
stesso, contragga un'affezione, o sia sottoposto a una terapia per la
quale sia indicato un trapianto autologo di cellule staminali. Essa
si rifa' al concetto di conservazione dell'individuo descritto da
Lorenz. La seconda opzione propone la raccolta e la conservazione di
unita' di sangue da cordone da utilizzare anche a beneficio di altri
pazienti compatibili. A questo fine e' prevista la tipizzazione di
ogni unita' di sangue cordonale prima del congelamento e
l'inserimento in un computer dei dati della tipizzazione. La madre
deve, di conseguenza, rinunciare ad ogni diritto di conservare il
campione di sangue ad esclusivo beneficio del neonato, in qualsiasi
momento della sua vita. Questa seconda iniziativa coinvolge in pieno
la seconda costante di Lorenz (conservazione della specie) ed ha, da
questo punto di vista, un notevole impatto di solidarieta' sociale di
cui la prima iniziativa e' priva. Ovviamente, anch'essa e' del tutto
legittima, anche perche' un ipotetico donatore che restasse privo
delle cellule da lui donate, puo' trovarle attraverso il computer nel
pool depositato nella banca. Sul piano tecnico, questa iniziativa
dovra' disporre di una buona probabilita' di reperire le cellule
compatibili, per cui deve affidarsi a un'organizzazione molto
efficiente, a livello nazionale o sovranazionale e disporre, a
regime, di un pool di donazioni molto ampio. Le due iniziative
possono coesistere, integrarsi soprattutto nel campo della ricerca e
non debbono assolutamente essere considerate contrapposte. La madre,
debitamente informata sugli aspetti individuali e sociali della
donazione, deve poter decidere secondo coscienza e libero giudizio;
il medico che l'assiste durante la gravidanza deve avere le
informazioni necessarie per rispondere ai quesiti posti e sciogliere
i dubbi che si possono presentare. Felice Gavosto Istituto per la
ricerca e la cura del cancro, Torino
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Ad Assago incontro sulle glicocenosi
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ASSAGO (MI)
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Sabato 10 maggio alle 10, al Centro Congressi Humana Italia, via
Edison 12, Assago (Mi), primo incontro nazionale sulle glicocenosi,
rarissime malattie metaboliche. I bambini affetti da tali malattie
sono costretti a mangiare continuamente, giorno e notte, perche' se
non si nutrono ogni tre ore, vanno in ipoglicemia, rischiando
convulsioni e coma. Il fisico dei piccoli infatti, non e' in grado di
assimilare gli zuccheri che si accumulano nell'organismo fino a
diventare veri e propri veleni per fegato, reni, milza, muscoli e
cervello. Tema dell'incontro: «La dietoterapia alla luce delle
novita' in campo nutrizionale». Relatori Rosanna Gatti, primario di
pediatria al Gaslini di Genova, Cino Galluzzo e Giacomo Biasucci
della clinica pediatrica del San Paolo di Milano, Rossella Parini
della clinica pediatrica De Marchi di Milano e Fabrizio Seidita
esperto di nutrizione enterale e rappresentante legale
dell'Associazione Italiana Glicocenosi. Informazioni alla sede
dell'associazione, via Matteotti 14, Assago telefono 02/ 45.70.33.34.
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Telemetria diagnostica in cardiologia
OGENERE breve
OARGOMENTI tecnologia, medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS technology, medicine and physiology
Un nuovo sistema elettrocardiografico di telemetria diagnostica,
chiamato T-12, e' stato presentato di recente dalla Mortara Rangoni
Europe, azienda di San Giorgio di Piano (Bo). L'apparecchiatura
trasmette il segnale di tutte e dodici derivazioni
elettrocardiografiche in modo da permettere al cardiologo di
formulare diagnosi precise. Il sistema e' composto da un'unita'
centrale che riceve ed elabora il segnale proveniente da unita'
portatili (trasmettitori), collegati ai pazienti; permette il
monitoraggio di cardiopatici ed ischemici, e consente al medico di
disporre in ogni momento, di un elettrocardiogramma completo.
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
«Le ombre del tempo» nel parco del Mella
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica, metrologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MELLA (BS)
OKIND short article
OSUBJECTS didactics, metrology
E' stato bandito un concorso per un parco gnomonico nel parco del
Mella (Brescia), ideato dall'Unione Astrofili Bresciani, per
raccogliere idee e progetti per realizzare uno o piu' orologi solari
ad uso didattico. I progetti devono pervenire entro il 31 gennaio '98
al Centro Studi e Ricerche Serafino Zani, via Bosca 24, C.P 104,
25066, Lumezzane, telefono 030/87.18.61.
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Corsi di formazione per disabili
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
Corsi per disabili sono stati organizzati a Milano dall'associazione
Vento Sociale, che ha ricevuto un contributo di sette miliardi dalla
Regione Lombardia. Tra l'altro i corsi, coordinati da Alberto Villa
della Bocconi, (inizio nel mese di maggio), comprendono giornalismo e
grafica editoriale, tecnica cartografica e sistemi informativi
territoriali, Internet e linguaggi Html, e si terranno nella libreria
«Il giardino delle idee» in largo Augusto 8, Milano. Informazioni
02/760.18.510.
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Il rebus della popolazione mondiale
QUANTO CONTINUERA' A CRESCERE?
OAUTORE V_M_CA
OARGOMENTI demografia e statistica
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE T. TAB., G. POPOLAZIONE MONDIALE
(Le cifre sono espresse in milioni di unita')
======================================================
10.000 A.C 10
-----------
1 ANNO DOMINI 300
-----------
1650 510
-----------
1800 910
-----------
1900 1600
-----------
1960 3049
-----------
1970 3721
-----------
1980 4473
-----------
1990 5320
-----------
1996 5478
-----------
2043 12.000 ?
======================================================
OSUBJECTS demography and statistics
L'INVENTORE del microscopio, Von Leeuwenhoek, il 25 aprile del 1679
annuncio' di aver calcolato che il massimo numero di abitanti del
nostro pianeta e' di 13,4 miliardi. A meta' del 1996, eravamo 5,77
miliardi. Dal 1975 al 1990 siamo aumentati a un tasso globale del
1,72% mentre dal 1990 al 1995 il tasso e' sceso allo 1,48%. Nelle
regioni meno sviluppate, il tasso nel periodo 1990-95 e' stato del
1,77%, mentre nelle regioni piu' sviluppate e' stato dello 0,4%.
Consideriamo un tasso intermedio fra 1,77 e 1,48%: 1,6%. A prima
vista, sembra poco. Non lo e' affatto. Se tale tasso fosse sempre
esistito, quando nacquero Adamo ed Eva? Nel 625 dopo Cristo, 1372
anni fa. Qualcosa non torna. Facciamo nascere Adamo ed Eva al termine
dell'ultima era glaciale, una cortesia che mi sembra doverosa. Quanti
saremmo oggi? Un numero illeggibile: uno seguito da 82 zeri! E' bene
ricordare che in tutto l'universo il numero dei protoni e' uno
seguito da 80 zeri: manca quindi il 99% della materia prima! Dulcis
in fundo: con tale tasso di crescita ci raddoppieremo in 47 anni, nel
2043 saremo circa dodici miliardi. Dal 1970, il tasso e' sceso non
per un aumento della mortalita', ma per un decremento di fertilita',
specialmente in Thailandia, Cina, Corea, India, Messico, Brasile,
Egitto ed Indonesia. Il demografo americano J. E. Cohen ha coniato il
termine «fertility evolution» per sottolineare che si tratta di un
fenomeno di importanza mondiale che rappresenta un importante passo
avanti nella coscienza collettiva dell'umanita'. Purtroppo pero', i
demografi non hanno ancora individuato la causa di questo evento e
quindi si sentono incapaci di prevedere se sia transitorio o no. In
verita', tre demografi americani, Robey, Rutstein e Morris hanno
identificato quantomeno il meccanismo di innesco in molti Paesi in
via di sviluppo ed e' lo stesso che ridusse la fertilita' in Usa
negli Anni 30: fu cioe' la grande depressione. (v.m.ca.)
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Crescita zero
I complicati calcoli per stabilire in teoria quanti uomini puo'
ospitare e nutrire la Terra
OAUTORE V_M_CA
OARGOMENTI demografia e statistica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS demography and statistics
DIECIMILA anni fa eravamo, diciamo, 5,7 milioni, oggi siamo 5,7
miliardi, mille volte tanto. Di questo passo, fra 10.000 anni saremo
mille miliardi. Poiche' la superficie della Terra e' di 510 milioni
di km2, ad ognuno spettera' una parcella di 10m2, un risultato che
non ha bisogno di ulteriori commenti. Questo ha portato alla
convinzione che l'unica alternativa reale e' un tasso di crescita
zero. Il che significa che il tasso globale delle nascite deve essere
uguale a quello della mortalita'. In questo caso l'«aspettativa di
vita», che e' data dal reciproco del tasso di mortalita', diventa
uguale al reciproco del tasso di natalita'. Ne segue quella che si
chiama l'equazione di Matusalemme: vita media = 1/(tasso di
natalita') Abbiamo quindi due scelte: basso tasso di natalita' e vita
media lunga o alto tasso di natalita' ma vita media breve. Nei Paesi
piu' poveri, i figli sono considerati un vantaggio economico poiche'
possono essere mandati a lavorare in giovane eta'. I figli assicurano
altresi' che qualcuno si prendera' cura dei genitori in eta'
avanzata. Nelle societa' piu' ricche, la prima scelta, nota anche
come «transizione demografica» e' operativa da anni. L'educazione dei
figli, che si prolunga ben dopo i vent'anni, significa che essi
consumano invece di produrre, senza contare che l'esistenza di
strutture pensionistiche ha alleviato la dipendenza degli anziani dai
figli. Nelle societa' ricche e' avvenuto quindi un cambio di
paradigma, ci si industria per creare benessere non-biologico
(benessere materiale) invece di quello biologico (figli), in
apparente contraddizione ai canoni darwiniani. Non si puo' avere una
vita media lunga, un tasso di natalita' alto ed una popolazione
stazionaria. I tre ingredienti sono incompatibili. La vita richiede
energia e la fonte primaria e' il Sole che attraverso la fotosintesi
incanala energia nelle piante (zuccheri) le quali poi la forniscono
agli animali ed infine all'uomo. E' quindi logico chiedersi quale sia
il massimo numero di persone che il processo fotosintetico puo'
sostenere. Cominciamo con la costante solare: ogni minuto, ogni
centimetro quadrato della Terra riceve gratis 1,92 calorie ovvero
2,76 chilocalorie al cm2 al giorno (ricordo che le calorie di cui si
parla in dietetica sono chilocalorie). Per coloro che studiano il
clima, questo numero e' invece 1367 watt per m2. Ora dobbiamo
moltiplicare per la superficie della Terra. Qui cominciano i dolori.
Tale superficie, includendo tutto, e' come gia' detto, 510 milioni di
km2 ma poiche' solo circa un quarto e' terra, un valore piu' idoneo
e' 127 milioni di km2. Ma nemmeno questo e' un valore attendibile
poiche' non tutta la terra e' coltivabile e quindi
foto-sinteticamente attiva. Qui cominciano le approssimazioni.
Adottero' i dati dell'oceanografo americano Revelle, che studio' a
lungo il tema, soprattutto come presidente di una commissione
presidenziale sul tema popolazione e anche perche', avendolo
conosciuto personalmente, ho sviluppato come tanti altri un grande
rispetto per la sua cautela e profonda conoscenza scientifica. Nel
1967, egli suggeri' il valore di 32 milioni di km2 (3,2 miliardi di
ettari). Il che ci da' un totale di 0,88 miliardi di miliardi di
chilocalorie al giorno. Poiche' un essere umano consuma in media 2500
kcalorie al giorno, 0,35 milioni di miliardi di persone possono in
principio sussistere. Poiche' pero' la fotosintesi ha un'efficienza
solo dello 0,1%, il totale e' di 350 miliardi di persone. Un calcolo
simile fu fatto forse per la prima volta dall'olandese C.T. de Wit il
cui risultato finale fu di 1000 miliardi di persone, tre volte
maggiore del numero che ho ricavato io. Se pero' de Wit avesse
adottato la nostra superficie coltivabile (invece dei suoi 13
miliardi di ettari), il suo valore finale sarebbe stato di 246
miliardi, piu' simile al nostro risultato. Cosa significa? Che non
dovremo preoccuparci, che c'e' energia per un mondo estrememente piu'
popolato di quello di oggi? No. Per sussistere, un essere umano ha
bisogno non solo di energia ma di spazio; se quest'ultimo e'
dell'ordine di 1500 m2, il totale crolla a 79 miliardi, cioe' 14
volte la popolazione di oggi. La conclusione e' che la crescita
demografica sara' fortemente limitata da ben altri fattori prima di
essere limitata dalla disponibilita' di energia fotosintetica.
(v.m.ca.)
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ENERGIA
A Roma primi tetti di silicio
OAUTORE RAVIZZA ANTONIO
OARGOMENTI energia, tecnologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OSUBJECTS energy, technology
L'ENERGIA fotovoltaica - cioe' prodotta trasformando direttamente la
radiazione solare in elettricita' - fa un bel salto di qualita'.
Dalle piccole superfici sufficienti a produrre l'energia elettrica
per un rifugio in alta montagna, per un faro su uno scoglio o per
ricaricare le batterie di una barca a vela in mezzo all'oceano, si
passa alle grandi superfici, interi tetti di palazzi cittadini. I
primi tre «tetti fotovoltaici» saranno installati a Roma, frutto di
una collaborazione italo-tedesca, da una parte l'Enel e dall'altra il
Ministero federale per la scienza, ricerca e tecnologia (Bmbf). Alla
progettazione e costruzione hanno partecipato da parte italiana la
Anit (Ansaldo e Agip) e da parte tedesca la Ase (Deutsche Aerospace e
Nukem). Il piu' grande dei tre impianti, ben 380 moduli di silicio,
sara' collocato sulle terrazze della Scuola Germanica, un istituto
privato frequentato dai giovani di lingua tedesca che vivono nella
capitale; ha una potenza di 20 kW e produce circa 28.000 kWh l'anno,
cioe' il 10 per cento dell'energia consumata dall'istituto. Un
secondo impianto (48 moduli di silicio, potenza di 3 kW e circa 4200
kWh prodotti durante l'anno), sara' installato sul palazzo della
direzione generale dell'Enel. Il terzo (2,6 kW per 3200 kWh l'anno)
sara' collocato al Centro nazionale di controllo dell'Enel e sara'
composto da due impianti distinti di cui il primo, composto da 12
moduli, sara' collocato sulla facciata mentre il secondo trovera'
posto su vari terrazzi. I «tetti fotovoltaici» rappresentano una
svolta perche' ad essi viene affidato il compito di dimostrare
l'efficienza e l'economicita' di impiego di questa tecnologia su
scala piu' vasta di quella finora sperimentata. Gia' ne sono in
progettazione altri 12, oltre a due impianti fotovoltaici-diesel
destinati ad alimentare comunita' isolate sull'isola di Stromboli e a
Tione, in provincia dell'Aquila. L'Enel ha gia' al suo attivo, tra le
altre realizzazioni sperimentali, la centrale fotovoltaica di Serre,
nel Salernitano, decisa nel '90; ma in questo caso si tratta di un
grande impianto, il piu' grande del mondo, con una potenza
complessiva di 3,3 MW, la cui produzione viene immessa nella rete di
media tensione. Con i «tetti», invece, integrati nell'architettura
civile o industriale, si punta alla produzione di energia elettrica
in maniera diffusa, direttamente «in casa» dell'utente, con consumo
diretto dell'elettricita' prodotta. Inoltre si utilizzano, con
notevoli vantaggi economici, le strutture stesse delle costruzioni,
come terrazzi, pensiline, tettoie, facciate. Il processo che genera
l'energia fotovoltaica sfrutta la caratteristica propria di alcuni
materiali di generare direttamente elettricita' quando sono colpiti
dalla radiazione solare; i primi passi nello sfruttamento di queste
caratteristiche risalgono al 1954, ad opera dei laboratori americani
della Bell Telephone. Da allora i laboratori di ricerca hanno dovuto
affrontare due problemi principali: trovare il materiale con le
migliori caratteristiche fotovoltaiche e accrescere il rendimento
degli impianti in modo da renderli economicamente accettabili. Negli
ultimi anni, anche grazie alla ricaduta delle esperienze fatte in
campo spaziale, la tecnologia ha compiuto progressi notevoli puntando
sul silicio cristallino ottenuto come materiale di scarto
dell'industria elettronica. Fino ad ora l'elettricita' dal Sole ha
occupato nicchie estremamente limitate, dove le particolari
difficolta' di allacciamento alla rete elettrica generale fanno
passare in seconda linea i costi ancora alti del fotovoltaico. I
«tetti fotovoltaici» hanno lo scopo di allargarne gli spazi di
applicazione; questa tecnologia assolutamente ecologica potra'
infatti decollare solo quando il suo utilizzo avra' raggiunto
dimensioni tali da giustificare ingenti spese di ricerca da parte di
grandi imprese, e sufficienti dimensioni industriali nella produzione
dei pannelli. Vittorio Ravizza
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Il diritto alla felicita'
Le prospettive per le generazioni future
OAUTORE CANUTO VITTORIO
OARGOMENTI demografia e statistica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS demography and statistics
L'ESPLOSIONE demografica che stiamo vivendo e' una discontinuita'
nella storia. Ci vollero 4 milioni di anni per arrivare al primo
miliardo di persone, attorno al 1800; ci volle pero' solo un secolo
per arrivare a due miliardi; e 33 anni per arrivare al terzo
miliardo, 14 anni per il quarto e 13 per arrivare a 5 miliardi. Il
fenonemo di base e' stato un rapido calo del tasso di mortalita',
specialmente infantile, in molti Paesi. Nei Paesi sviluppati, ci sono
tre fasi. La prima avvenne prima del 1850, quando i tassi di nascita
e di mortalita' erano quasi in equilibrio. In una seconda fase, il
tasso di mortalita' diminui' considerevolmente mentre il tasso di
natalita' rimase inalterato; questo porto' ad uno sbilancio e quindi
ad un aumento temporaneo della popolazione; la terza fase comincio' a
fine secolo con un decremento considerevole della natalita',
riportando quindi le due curve in quasi equilibrio. Nei Paesi in via
di sviluppo, la terza fase non e' ancora avvenuta. Questo, in
essenza, e' il nocciolo della temuta esplosione demografica. Oggi
l'umanita' cresce al tasso di 10.000 persone l'ora. Come dobbiamo
reagire? Con trepidazione o speranza? Dobbiamo credere alle cassandre
(demografi, biologi ed ambientalisti) o ai Dr. Pangloss (l'eterno
ottimista del «Candide» di Voltaire), in questo caso specifico i
solari economisti? O dobbiamo piuttosto prestar fede a K. Boulding
secondo cui «chiunque crede che un aumento esponenziale della
popolazione possa continuare per sempre e' o un folle o un
economista»? E' l'esplosione demografica un problema senza soluzione,
o un evento di cui rallegrarsi perche' ci regalera' tanti Einstein?
E' vero che una soluzione esiste, ma mancano le risorse per attuarla?
Il successo della pianificazione familiare in Thailandia e
Bangladesh, dove in alcuni casi si e' raggiunto il livello di
«replacement fertility» (due figli per coppia), viene spesso addotto
come esempio di una soluzione pianificata. La trappola malthusiana e'
ancora con noi. L'abbiamo sinora ingannata con la «rivoluzione
verde», che ha fatto dell'India un Paese autosufficiente, ma tale
rivoluzione sembra aver esaurito il suo potenziale, come lo dimostra
il fatto che proprio l'India nel 1992 fu costretta a importare del
grano. Malthus non era, come dicono ingiustamente alcuni dei suoi
critici, il profeta della disperazione, il nemico della popolazione,
al contrario: egli non propugno' la limitazione della popolazione per
se', ma perche' era «nemico della miseria umana». Se e' vero che dal
tempo dell'invenzione dell'agricoltura 10.000 anni fa, la genialita'
dell'uomo ha saputo moltiplicare la produzione di cibo di molte
centinaia di volte, e' altrettanto vero che la fame e' rimasta con
noi, dramma quotidiano per un troppo grande settore dell'umanita'.
Crescita perpetua e' il credo delle cellule del cancro, non
dell'umanita'. Tutti i demografi sono d'accordo che l'esplosione
demografica e' destinata a finire. Finira' in modo umano, con un
abbassamento naturale del tasso di natalita' o in modo tragico, con
aumento del tasso di mortalita'? Tendenza non vuol dire destino, e
qualcosa puo' e deve essere fatto. Nessuno purtroppo ha una formula
magica. Non si tratta solo di procreare nuovi esseri umani, ma nuovi
esseri umani «felici». Come ha notato Keyfitz, «i genitori hanno il
diritto di avere quanti figli desiderano. Cio' e' giusto ma c'e'
anche da considerare che ogni figlio ha diritto a un nutrimento
adeguato». In quale mondo vivranno le future generazioni? Le risorse
naturali come acqua e foreste non sono illimitate, l'atmosfera sta
diventando un pernicioso cocktail di gas ostili alla presente e alle
future generazioni e la diversita' biologica, da cui dipende il 50%
dei farmaci, sparisce al tasso di 27.000 specie l'anno. In ultima
analisi, il problema demografico non e' da intendersi come la somma
degli abitanti della Terra ma piuttosto come la somma delle loro
necessita'. Si tratta di una difficile scelta fra i diritti a
riprodursi della presente generazione ed i diritti alla sopravvivenza
delle generazioni future. Dobbiamo proteggere le opzioni di coloro
che non sono ancora nati e che quindi non sono in grado di
difendersi. Vittorio M. Canuto
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. TELEFONINI IN AUTO
Mi senti? Dove sei?
E' micidiale parlare al volante
OAUTORE GIACOBINI EZIO
OARGOMENTI trasporti, comunicazioni
OORGANIZZAZIONI NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS transport, communication
L'INCIDENTE d'auto coinvolge generalmente un individuo in buona
salute. E' pure noto che la causa dell'incidente per il 90% e' dovuta
ai guidatori. Non e' tanto la mancanza di destrezza nel guidare
quanto il fattore attenzione e concentrazione sulla guida, la mancata
prudenza e la velocita' troppo alta a determinare il cocktail piu'
pericoloso per un incidente. Sulla base di studi che dimostrano che
l'uso di un telefono durante la guida puo' contribuire a un incidente
distraendo il guidatore, molti Stati, tra i primi l'Australia,
Israele e il Brasile, hanno introdotto una legge che proibisce l'uso
dei telefoni cellulari mentre si guida. Ricerche con simulatori
condotte in Svezia, Inghilterra, Olanda e Usa hanno convalidato tali
sospetti. Ovviamente i fabbricanti di telefoni hanno negato tale
rischio. In Italia il codice della strada (art.173) entrato in vigore
nel '93, proibisce l'uso di telefoni guidando, come pure l'ascolto di
musica o altro in cuffia. Lo studio piu' completo e convincente
svolto finora su questa questione e' apparso sulla prestigiosa
rivista New England Journal of Medicine a febbraio. Due epidemiologi
clinici canadesi dell'Universita' di Toronto hanno condotto in tale
citta' un'inchiesta che ha coinvolto 6000 automobilisti, 700 dei
quali avevano subito un incidente ed avevano usato contemporaneamente
il telefonino dall'auto. Allo scopo di stabilire o no una relazione
tra uso del telefono ed incidente vennero analizzate ben 27.000
telefonate compiute dai 700 automobilisti nel periodo dei 14 mesi
precedenti l'incidente. Venne cosi' stabilito un rischio relativo in
cinque condizioni diverse come il compiere una telefonata
immediatamente prima dell'incidente e usando come controllo nel
giorno precedente l'incidente, un giorno di lavoro qualsiasi, il
periodo del giorno piu' utilizzato per telefonate. In base ai dati
raccolti gli autori dell'articolo (Redelmeier e Tibshirani) riportano
che il rischio di uno scontro era massimo per le telefonate compiute
nel periodo di tempo prossimo all'incidente mentre tale relazione non
era piu' statisticamente dimostrabile per telefonate compiute ad
esempio 15 minuti prima. La conclusione principale dello studio e'
che il rischio di un incidente automobilistico aumenti di quattro
volte quando si usa un telefono cellulare mentre si guida. E'
interessante notare come tale rischio non sia correlato al fattore
eta' o esperienza (anni di guida) del guidatore. Statisticamente, si
puo' dire che piu' la telefonata e' vicina all'incidente e' piu'
risulta esser pericolosa (raggiungendo un fattore di rischio di quasi
5 volte). Altra osservazione importante e' che non vi sia differenza
alcuna tra l'uso dei telefoni viva voce, e quelli che invece
obbligano il guidatore ad impegnare una mano e a guidare con una mano
sola. Tale osservazione sembra sostenere i dati rivelati dal
simulatore che suggeriscono che il grado di attenzione sulla guida e
la concentrazione del guidatore siano cruciali nell'evitare
l'incidente. Come possiamo giudicare il fattore di rischio telefonico
paragonandolo ad altri? Gli autori rispondono anche a questo quesito.
Il rischio relativo di usare il telefonino sarebbe simile a quello di
guidare sotto l'influenza di un tasso alcolico nel sangue al limite
concesso dalla legge. Si pone quindi il quesito (cui lo studio non
risponde) del rischio dovuto alla combinazione dei due. Possiamo
facilmente immaginarci lo scenario di un giovane che un sabato sera
dopo aver consumato qualche bicchiere di birra si intrattenga a
telefonare mentre guida. Il consumo di droga o di farmaci ad azione
sul sistema nervoso centrale avrebbe il medesimo effetto dell'alcol.
Sarebbe anche qui interessante analizzare i dati di tali combinazioni
in rapporto ad incidenti gravi o mortali. Come al solito e'
importante tener presente il costo per la societa' dell'uso del
telefono in macchina. Se in modo molto conservatore facciamo
l'ipotesi che il rischio di un incidente sia solo raddoppiato (invece
che quadruplicato come dimostra lo studio) il 10% circa cioe' 70 dei
700 incidenti esaminati a Toronto sarebbe causato dall'uso del
telefono in macchina. E' pure facile calcolarne il numero anche per
l'Italia che ha raggiunto ormai un numero di possessori di cellulari
del 7,5% (in percentuale della popolazione). Se poniamo che anche
solo un telefono su dieci venga usato in macchina, a parita' di
rischio per tale autoveicolo, si potrebbe stimare che circa l'1% di
tutti gli incidenti sia attribuibile all'uso del telefono. Negli
Stati Uniti cio' corrisponde ad un costo per la comunita' che va dai
2 ai 4 miliardi di dollari l'anno (30 milioni di guidatori in Nord
America!). Anche qui e' facile, tenendo conto del numero degli
autoveicoli ed il numero annuale di incidenti fare il medesimo
calcolo per l'Italia. Lasciamo tale calcolo ai lettori che si
stupiranno dell'entita' del prezzo teorico. Ultima questione.
Esistono anche dei vantaggi per la sicurezza degli automobilisti
muniti di telefono in macchina? Parrebbe di si'. Nello studio
canadese, il 40% circa dei guidatori coinvolti nell'incidente durante
una telefonata fu in grado di usare il telefono per chiamare
l'ambulanza o la polizia sul luogo dello scontro. Ezio Giacobini
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ENEA
C'e' Sosia il sole artificiale
OAUTORE FERRANTE ANNALINA
OARGOMENTI energia
OORGANIZZAZIONI ENEA
OLUOGHI ITALIA
ONOTE Sosia (Solar Simulator Apparatus)
OSUBJECTS energy
UN piccolo hangar, un grande Sole artificiale, una gigantesca ventola
che riproduce l'effetto del vento. Non e' il set cinematografico di
un film ma il laboratorio dove e' installato Sosia (Solar Simulator
Apparatus) un impianto sperimentale che riproduce fedelmente, in
ambiente chiuso, le condizioni atmosferiche normali di irraggiamento
del Sole, velocita' del vento e temperatura. Questo impianto, situato
presso il centro ricerche Enea della Casaccia, Dipartimento energia,
e' stato realizzato per valutare e misurare il comportamento dei
materiali trasparenti innovativi che si stanno ormai affacciando su
molti mercati. Le aperture trasparenti rappresentano uno dei mezzi
principali con cui un edificio, o un'automobile, scambia calore e
luce con l'ambiente circostante. L'uso di nuovi tipi di vetrature, in
particolare quelle definite «intelligenti», permette di ottimizzare
l'apporto di luce naturale per l'illuminazione degli ambienti e
ridurre contemporaneamente la dispersione di energia termica
impiegata per la climatizzazione. E' importante, quindi, che lo
scambio di energia termica e di luce tra interno ed esterno sia
opportunamente controllato, a seconda del tipo di applicazione e del
clima, in modo da garantire le migliori condizioni interne, sia
visive sia termiche. A questo punto entra in campo il simulatore
Sosia, composto da una sorgente luminosa di elevatissima potenza (125
kW), la cui luce viene collimata da un sistema di specchi in modo da
ottenere un irraggiamento piuttosto unifome sul piano di prova; da un
ventilatore con un diametro di 2 m che riproduce l'effetto del vento
e che si puo' far ruotare a velocita' differenti in modo da
riprodurre un vento con velocita' da 0 fino a 7 m al secondo e da un
sistema di condizionamento che mantiene la temperatura sotto
controllo in modo da riprodurre una situazione termica stazionaria
per componenti diversi. Il suo compito e' quello di valutare, con una
serie di prove, tutta l'energia trasmessa, ottica e termica.
L'intensita' di radiazione emessa dalla lampada puo' essere variata
da un minimo di 300 W ad un massimo di 1350 W per metro quadrato (un
tipo di radiazione presente oltre la corte dell'atmosfera) e questa
sua capacita' permette anche di condurre test su collettori solari,
vernici, rivestimenti o materiali sottoposti ad invecchiamento
accelerato. La prova energetica viene affiancata anche da una prova
ottica con un insieme di dispositivi e apparecchiature, il banco
ottico Catram (Characterization of Advanced Transparent Materials)
con i quali vengono misurate le proprieta' ottiche spettrali dei
materiali trasparenti innovativi, cioe' la capacita' di trasmettere,
assorbire o riflettere in grandezze diverse le radiazioni luminose.
Il banco ottico e' caratterizzatp da una sfera cosiddetta
«integratrice», una sfera dal diametro di un metro, bianca al suo
interno, che integra spazialmente le radiazioni che vengono trasmesse
al suo interno dopo l'interazione con il campione di vetro. I
materiali trasparenti innovativi allo studio o gia' in diffusione
sono di vario tipo: da quelli particolarmente indicati ai climi
freddi e rigidi, nei quali si cerca di massimizzare gli apporti
solari e ridurre le perdite termiche (aerogel, finestre sottovuoto,
Tim) a quelli cosiddetti «intelligenti» o cromogenici. Questi ultimi
hanno la particolarita' di avere al loro interno materiali che
reagiscono alle variazioni di temperatura e intensita' della luce e
riescono ad adattarsi alle condizioni ambientali e di uso quotidiano
o passivamente o comandati da un opportuno sistema elettronico. Il
risparmio energetico, in prospettiva, e' considerevole: si stima che
la riduzione delle dispersioni termiche che si possono ottenere
dall'installazione di questi nuovi tipi di vetri consenta un
risparmio del consumo energetico per l'illuminazione fino al 30% sul
consumo nazionale annuo, che attualmente si aggira sulla cifra di 40
miliardi di chilowattore. Annalina Ferrante
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. AGRICOLTURA
Terra e Luna
Le credenze popolari
OAUTORE MARITANO SILVANA, MARCHESINI AUGUSTO
OARGOMENTI antropologia e etnologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS anthropology and ethnology
IL grande Isaac Newton, uomo di profondissima fede, a chi gli
chiedeva se la forza gravitazionale fosse la presenza di Dio
nell'universo rispondeva: «Non chiedetemi di dirvi che cosa sia
questa forza; io posso solo dirvi come agisce». La scienza, infatti,
risponde al co me ma non al perche'. Eppure sono tuttora in molti a
credere all'influsso della Luna sul mondo biologico e a pensare che
certi fenomeni avvengano «perche'» causati dalle fasi lunari. Per
esempio secondo alcuni la semina degli ortaggi dev'essere fatta con
Luna calante; secondo altri con Luna crescente. A questo proposito
non esiste un accordo sul periodo propizio di semina: le date variano
secondo le persone interpellate. E' strano che la Luna possa influire
sulle semine secondo la soggettivita' degli interlocutori... Il
travaso del vino in primavera, secondo alcuni, dovrebbe essere
compiuto nei giorni di Luna calante, perche' altrimenti il vino
rimane torbido o si altera. Gli innesti dovrebbero essere fatti con
Luna piena perche' diversamente non attecchiranno. Il legname deve
essere tagliato in tempo di Luna calante perche' altrimenti i legni
si tarlano. E gli esempi della presunta influenza di Selene sul mondo
vegetale potrebbero seguitare. Una volta era di moda indicare nei
calendari l'influenza della Luna sul tempo meteorico; oggi, con la
rilevazione dei satelliti, non si crede piu' all'influsso lunare sul
clima. Le persone interrogate circa gli influssi lunari portano
esempi concreti, spiegano con dei perche' e portano come prova
esperienze personali. Nessuna delle persone che credono all'influsso
della Luna prende in considerazione il ricorso al termometro,
all'igrometro e al barometro. Eppure nel caso delle semine bisogna
prima di tutto fare riferimento all'umidita' del terreno, che
favorisce la germinazione, e poi alla temperatura che stimola la
germinazione stessa. Gli innesti devono essere compiuti
esclusivamente quando le piante sono «in succo», periodo nel quale la
cicatrizzazione dei tessuti avviene facilmente e i risultati sono
sicuri. Il legname d'opera deve essere secco e quindi tagliato in
stagioni fredde e deve essere lasciato in cataste ad asciugare per
acquisire le caratteristiche tecnologiche ideali. Non deve essere
lasciato all'umido al fine di evitare la deposizione delle uova del
tarlo, le cui larve, in questo caso, risulteranno molto attive. Il
vino deve essere travasato in condizioni di alta pressione per
evitare il sollevamento della feccia nel vino nuovo. L'uomo primitivo
non aveva calendari scritti e la Luna serviva come segnatempo per
stabilire i periodi di caccia, di raccolta dei frutti, eccetera. Cio'
e' stato verificato su alcuni coltelli da caccia utilizzati da uomini
primitivi: i coltelli riportavano sul manico d'osso la sequenza delle
lune; durante e in coincidenza con alcune fasi, si trovano tacche
utili per scegliere il periodo propizio per cacciare o per
raccogliere i frutti. Silvana Maritano Augusto Marchesini Istituto
sperimentale per la nutrizione delle piante, Torino
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. CRISTALLOGRAFIA
Un fratello tecnologico del quarzo
Come nascono materiali inesistenti in natura
OAUTORE DALL'AGLIO GIANNI
OARGOMENTI chimica, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS chemistry, technology
GLI alchimisti dei secoli passati cercavano di trasformare i metalli
vili in oro; era un progetto ambizioso, destinato a fallire. I
chimici e i fisici moderni cercano invece di creare sostanze nuove,
qualcosa che la natura da sola non riesce a produrre. Solo che ora
non si parla piu' di alchimia ma di ricerca sui «materiali nuovi». Si
fa questo tipo di ricerca per ottenere cristalli, leghe metalliche o
composti organici che abbiano proprieta' fisico-chimiche insolite o
semplicemente migliori di quelle possedute dai materiali naturali. Un
materiale nuovo con proprieta' interessanti e' l'ortofosfato di
gallio GaPO4; non si trova in natura, e per farlo crescere bisogna
partire da acido fosforico H3PO4 e idrossido di gallio GaO(OH) o da
gallio metallico Ga e acido fosforico in ambiente di acido nitrico
HNO3. Si e' detto che questo materiale e' il «fratello tecnologico»
del quarzo SiO2; cristallograficamente gli e' infatti molto simile:
anch'esso cristallizza nel sistema trigonale, classe trapezoedrica
(32), con la stessa struttura destrorsa o sinistrorsa del quarzo,
sostituendo gli atomi di silicio alternativamente con gallio e
fosforo; pero', mentre nel quarzo esiste una transizione a 573oC per
cui dall'alfa-SiO2, trigonale, si passa al beta-SiO2, esagonale, con
proprieta' fisiche un po' diverse, il GaPO4 non si modifica fino ai
930oC. Inoltre le sue proprieta' fisiche e chimiche sono generalmente
migliori di quelle del quarzo: oltre all'alta stabilita' termica,
resiste bene alle radiazioni, presenta un'elevata resistenza
elettrica fino alle alte temperature e soprattutto ha un effetto
piezoelettrico doppio rispetto al quarzo. Si dicono piezoelettrici i
cristalli in grado di produrre deboli correnti elettriche sulla loro
superficie quando vengono sottoposti a deformazioni meccaniche;
vengono molto utilizzati nelle telecomunicazioni e come sensori di
temperatura, di tensioni meccaniche, di usura nei rivestimenti di
superficie. Uno dei numerosi settori interessati alla ricerca sui
materiali nuovi e' quello dei sensori che lavorano ad alte
temperature: molte applicazioni industriali richiedono strumenti che
operino tra i 400o e gli 800oC; in questo intervallo molte sostanze,
semplici o composte, cambiano anche notevolmente le loro propriete'
fisiche e chimiche. E' quindi particolarmente importante che gli
apparecchi di misura che devono lavorare a queste temperature siano
fatti di materiali termicamente molto stabili. E spesso il
funzionamento di tali apparecchiature si basa sull'effetto
piezoelettrico. Crescere monocristalli di fosfato di gallio privi di
difetti (che ne degraderebbero le proprieta') e' pero' assai
difficile, cosicche' questo materiale ha trovato finora impieghi
limitati: serve solo come sensore di pressione in motori a
combustione. Se pero' si trovasse un metodo semplice e poco costoso
per ottenere cristalli di buona qualita', il fosfato di gallio
potrebbe venire utilizzato anche per quegli usi elettronici ed
elettromeccanici dove attualmente si impiega il quarzo: sensori di
pressione, di forza, di temperatura, accelerometri, microbilance,
sensori elettroacustici. Tra i progetti internazionali di ricerca
finanziati ogni anno dalla Comunita' Europea alcuni si propongono
proprio di creare nuovi materiali o di migliorare la conoscenza e le
proprieta' di materiali artificiali ancora poco noti. Uno di questi
progetti «fin de siecle» (1997-2000), riguarda il GaPO4. Si vuole
sviluppare, in tre anni, la tecnologia necessaria per la crescita di
monocristalli di GaPO4 di alta qualita'. La crescita avverra' in
condizioni definite «idrotermali», cioe' in soluzione ad alta
temperatura (circa 200oC). Non si pensi pero' all'acqua che si beve
nelle terme: in questo caso si trattera' di una soluzione di acidi
solforici e fosforici; di idrotermale, in fondo, c'e' solo il nome.
Questo progetto sara' guidato da un'industria austriaca che nella sua
sede di Graz ha accumulato una pluriennale esperienza nella crescita
di questo materiale, l'Avl; vi parteciperanno anche cristallografi e
fisici dell'Universita' di Genova, insieme con ricercatori di altre
universita' e industrie francesi e tedesche. Finora i cristalli di
GaPO4 vengono fatti crescere in un autoclave dentro cui non e'
possibile compiere alcuna misurazione: occorre aspettare che la
crescita termini, estrarre il cristallo e vedere com'e' venuto, se ha
impurezze, difetti, geminazioni. Il compito dei ricercatori italiani
in questo progetto sara' quello di «inventare» un'apparecchiatura che
permetta di osservare la crescita mentre avviene (in tempo reale),
all'interno dell'autoclave. Si useranno probabilmente tecniche
interferometriche, che hanno il vantaggio di non essere invasive,
ovvero di non richiedere strumentazioni a contatto con la soluzione o
con il cristallo; basta che il fluido possa essere attraversato da un
raggio laser. Quindi occorrera' aprire una finestra nella parete
dell'autoclave, dalla quale sara' possibile gettare un'occhiata su un
ambiente molto simile alle Malebolge infernali della Commedia
dantesca. Gianni Dall'Aglio Universita' di Genova
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE
La guerra dei tessuti
Una corsa alle nuove microfibre
OAUTORE M_FR
OARGOMENTI chimica, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
ONOTE Lycra
OSUBJECTS chemistry, technology
INTORNO agli Anni 60 l'americano DuPont de Nemours si impose sul
mercato con l'invenzione che lo rese miliardario: la Lycra, in cui le
fibre elastiche dell'elastam si alternano a fibre rigide che
consentono al tessuto di riprendere la sua forma originaria senza
deformarsi. Resistente a cloro ed acidi, la lycra si e' affermata
soprattutto nella moda sportiva, ma con collant e biancheria intima
ha conquistato anche il cuore delle donne. Il suo regno e' durato
circa 20 anni, e oggi per molte applicazioni e' stata sostituita
dalle stoffe tessute in microfibra, che consentono una migliore
traspirazione della pelle e, soprattutto, sono molto piu' leggere.
Basti pensare che 10 chilometri di microfibra pesano meno di un
grammo, misura che arriva a un millesimo di grammo per le microfibre
prodotte a partire dal poliestere. Questi sottilissimi fili sono
estremamente versatili, perche' e' sufficiente variare la loro forma
geometrica per dare al tessuto l'aspetto desiderato. Cosi', se agli
abiti da sera si addicono le stoffe luminose ottenute con una
microfibra a sezione trilobata, il tessuto opaco e morbido dei
giubbotti primaverili viene confezionato a partire da un filo di
forma cilindrica. Infine, per i capi piu' sofisticati, le microfibre
a sezione quadrata donano alla stoffa l'aspetto della porcellana. In
cellulosa o cotone, poliestere o poliamide, e le microfibre oggi
hanno un impiego vastissimo nell'industria dell'abbigliamento, ma la
ricerca non si ferma. Mentre c'e' gia' chi pensa di rubare al baco da
seta il segreto del suo pregiato prodotto, e di migliorarlo
rendendolo piu' uniforme e sottile con tecniche di ingegneria
genetica, con il filo della tela di ragno, resistente all'acqua e
all'impatto degli insetti in volo, e' gia' stato ordito un tessuto
che un proiettile da 6,35 millimetri, sparato da 5 metri di distanza,
non ha potuto trapassare. Nella guerra dei tessuti c'e' persino chi
ha trovato il modo di filare la ceramica e i cristalli, ottenendo una
sorta di lana di vetro morbida e anallergica... per le pelli piu'
sensibili.(m. fr.)
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PELLICANI
Buffi, instancabili viaggiatori e grandi mangiatori di pesce
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
A vederli camminare sul terreno, dondolando goffamente il corpo
massiccio sorretto dai larghi piedi e dalle corte zampe, i pellicani
sembrano proprio dei buffi clown che diano spettacolo. Ma non appena
distendono le ali che nel Pellicano crespo (Pelecanus crispus),
raggiungono i tre metri di apertura, ecco che si trasformano in
superbi veleggiatori, padroni dello spazio, stupendi a vedersi,
incolonnati in fila indiana oppure raggruppati in immensi, stormi.
Volano a piu' di quaranta chilometri all'ora su lunghe distanze e,
alla maniera delle aquile e degli avvoltoi, utilizzano le correnti
ascendenti per salire in quota. Dall'alto avvistano i banchi di pesci
di cui sono ghiotti e allora scendono volteggiando in direzione della
preda. Tuffarsi non possono quando scendono dolcemente, perche' il
corpo, ricco di sacchi aerei, li fa galleggiare come sugheri. Ma
basta che immergano sott'acqua il grosso becco lungo quasi mezzo
metro per acchiappare infallibilmente un pesce. Di solito la pesca
viene praticata in gruppo. I grandi uccelli si allineano in due file
un po' distanti l'una dall'altra, che man mano si avvicinano come
ballerini di quadriglie, costringendo i pesci in uno spazio sempre
piu' angusto. Oppure si dispongono a semicerchio, procedendo dalle
acque piu' fonde a quelle piu' basse. Avanzano verso la riva agitando
con forza le ali per smuovere l'acqua. I banchi di pesce, si ritirano
sempre piu', fino a che si ritrovano in poche dita d'acqua dove non
hanno piu' scampo. Fra le otto specie appartenenti al genere
Pelecanus, l'unica che si comporta da pescatore solitario e' il
pellicano bruno del Nuovo Mondo (Pelecanus occidentalis), la sola
specie spiccatamente marina. Il bellissimo uccello, piu' piccolo di
quello comune, compie picchiate prodigiose, lanciandosi a capofitto
nell'acqua da una ventina di metri d'altezza e scompare in un vortice
di schiuma. Se altri compagni lo seguono, l'acqua sembra crivellata
da una raffica di mitraglia. Di li' a poco i pelicani ricompaiono,
ciascuno col suo pesce nel becco. Non lo mangiano subito. Riempiono
il «carniere», quella grossa sacca di pelle che pende dalla
mandibola, una sacca dilatabile che puo' contenere alcuni chili di
pesce. Quando la misura e' colma, l'uccello galleggia per un po'
sull'acqua, poi, appena trova un angolino tranquillo, comprime la
sacca col becco per rigurgitare il bottino e mangia. Ma se ha i
piccoli da nutrire, non perde tempo. Appena fatto il pieno, vola
difilato al nido. E qui rigurgita per loro parte del pesce,
imbeccandoli, badando a nutrirli con le parti piu' tenere. Se invece
sono piu' grandicelli, i pellicanini si servono da soli. Vanno a
frugare loro stessi nel becco spalancato di papa' e mamma' per
arraffare il piu' possibile. E, a furia di spingersi sempre piu' in
profondita', quasi scompaiono nella bocca dei genitori, lasciando
sporgere all'esterno solo le zampette che scalciano. Un pellicano
adulto consuma giornalmente una quantita' di pesce pari al venti per
cento del suo peso, che va dai sette ai quattordici chili, secondo la
specie e l'eta'. Per allevare un figlio, dal momento in cui nasce a
quello in cui lascia il nido, dopo ll-l2 settimane, occorrono circa
settanta chili di pesce. In genere la femmina depone due uova.
Genitori straordinariamente premurosi, i pellicani si dividono i
compiti della cova. Le riscaldano tenendole tra i grandi piedi
palmati e, quando fa troppo caldo, le rinfrescano con vigorosi colpi
d'ala oppure fanno loro ombra con il corpo. Quando una delle due uova
incomincia a schiudersi, si sentono gli striduli pigolii del pulcino
che sembra invocare aiuto. E la fuoriuscita dal guscio non e' facile,
visto che il piccoletto impiega anche alcuni giorni prima di riuscire
nell'impresa. Poi finalmente viene al mondo. E' piccolo, bruttino,
cieco e implume. Solo verso gli otto giorni di eta' si riveste di un
piumino bianco o grigiastro. Il successo riproduttivo dei pellicani
dipende dalle condizioni climatiche. Con una saggezza innata il
pellicano bruno, ad esempio, si sposa e mette su famiglia soltanto
quando le condizioni climatiche sono tali che gli promettono cibo in
abbondanza per i nascituri. Nelle annate buone, quando nel mese di
gennaio (e' l'epoca riproduttiva) incominciano a soffiare forti venti
che portano in superficie le acque fredde di profondita' ricche di
cibo, i maschi iniziano subito le parate amorose. Le penne del capo
si fanno di un bel giallo brillante, quelle del collo diventano di un
intenso rosso ruggine e gli uccelli fanno un sacco di moine e di
giravolte per metterle in mostra. Sono il loro richiamo sessuale. Le
femmine non si mostrano insensibili allo spettacolo, e immediatamente
si formano le coppie. Ciascuna sceglie il ramo di un albero e lo
considera proprio territorio. Se un intruso intende accampare diritti
su quella zona, gli sposi lo accolgono col viso delle armi e si
mettono a schioccare il becco con aria minacciosa, finche' l'altro,
non sloggia. Indole molto piu' vagabonda del Pellicano bruno
americano ha l'eurasiatico Pellicano comune (Pelecanus onocrotalus),
un vero gigante con la sua apertura d'ali di oltre due metri e mezzo.
Splendido nel candore del piumaggio che si tinge di un pallido rosa
dopo la muta. Solo le ali sono ampiamente marginate di nero. Il
pellicano comune pesca nelle acque dolci, lungo i fiumi e i laghi, ma
la sua diffusione si e' molto ridotta, specialmente in Europa. Un
secolo fa milioni di individui nidificavano sul Danubio. Oggi sono
soltanto poche migliaia. Quando giunge l'inverno, i grandi uccelli
bianchi migrano verso l'Africa, le coste del Mar Rosso e quelle del
Golfo Persico. Capita ogni tanto che se ne avvisti qualcuno di passo
nelle nostre regioni. Ma e' un evento sempre piu' raro. Ormai
l'Italia non e' piu' una terra ospitale per i migratori,
sensibilissimi a qualunque azione di disturbo. Al minimo segnale di
presenza estranea o di sospetto pericolo, abbandonano nido e piccoli.
Isabella Lattes Coifmann
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. NUOVI FARMACI
Per ritrovare la memoria
OAUTORE BETTI LEDA
OARGOMENTI chimica, medicina e fisiologia
ONOMI ROSE STEVE, EDWARDSON JIM
OORGANIZZAZIONI CIBA FOUNDATION
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, LONDRA
OSUBJECTS chemistry, medicine and physiology
NELLA Grecia antica gli studenti dell'Accademia si presentavano agli
esami con il collo ornato da un ramo di rosmarino. Si pensava infatti
che la pianta odorosa avesse la proprieta' di fortificare la memoria.
Questo rafforzamento rimane anche oggi un obiettivo della
farmacologia e sul tema ha discusso di recente la comunita'
scientifica in una conferenza di due giorni svoltasi alla Ciba
Foundation di Londra. Da un lato si pensa di poter intervenire sulla
perdita delle capacita' mnemoniche che caratterizza l'invecchiamento
fisiologico o le condizioni di stress prolungato (tipico e' il caso
dello studente sotto esame); dall'altro si vuole intervenire sul
fenomeno in quanto parte della sintomatologia di gravi malattie
degenerative del sistema nervoso tra cui alcune demenze e il morbo di
Alzheimer. Il primo aspetto e' stato sollevato recentemente dalla
diffusione, su scala industriale, delle cosiddette «smart drugs»,
cioe' farmaci che migliorerebbero le prestazioni cognitive. Ma
nonostante il successo di mercato, «la maggior parte di questi 150 o
piu' composti non producono nemmeno lontanamente il risultato
desiderato», dice Steve Rose, ricercatore nel dipartimento di
Biologia alla Open University di Milton Keynes, in Gran Bretagna.
D'altro canto Rose e' ottimista sul futuro della ricerca: «Test
clinici su un nuovo farmaco, la Tacrina, non hanno condotto a
risultati di rilievo, tuttavia e' in via di sperimentazione una
seconda generazione di composti, simili alla Tacrina ma con minori
effetti collaterali e di maggiore efficacia. Diamo praticamente per
certo che nel giro di cinque anni saremo in grado di iniziare le
prove cliniche di queste sostanze». La Tacrina appartiene a una delle
classi di farmaci usati nel trattamento dei sintomi del morbo di
Alzheimer. «Questo tipo di patologia e' caratterizzato dalla carenza
fin dalle prime fasi della malattia di uno dei mediatori chimici
fondamentali del sistema nervoso centrale, l'acetilcolina», spiega
Jim Edwardson, che lavora all'ospedale britannico di Newcastle. I
mediatori chimici sono molecole che intervengono tra cellula e
cellula come messaggeri dell'impulso nervoso. La mancanza anche
parziale di questi composti interferisce con la trasmissione nervosa
a livello cerebrale. «La prima classe di farmaci impiegati nella cura
dell'Alzheimer e' proprio quella a cui appartiene la Tacrina, di
inibitori dell'acetilcolinesterasi, l'enzima che degrada
l'acetilcolina. Oltre al fatto che si tratta di un prodotto, come e'
il caso di tutti gli altri usati nell'Alzheimer, che combatte i
sintomi senza curare la malattia vera e propria, c'e' da rilevare che
e' dannoso per il fegato». Un'altra e' la classe di ormoni di tipo
estrogeno, la cui efficacia sembra anche spiegare alcuni tratti
dell'epidemiologia dell'Alzheimer. «Se ci chiediamo perche' le donne
si ammalino con maggior frequenza degli uomini, forse possiamo
trovare una risposta nella carenza estrogenica a cui va incontro il
soggetto femminile dopo la menopausa. Un altro elemento che puo'
suffragare questa tesi e' il fatto che le donne di estrazione
medio-alta oltre ad ammalarsi con minor frequenza, sono anche quelle
che piu' facilmente si sottopongono a terapia con estrogeni». C'e'
inoltre un certo sospetto, ma anche sottile curiosita', nei confronti
di un tipo di sostanze chimiche dal nome strano, le Ampachine, su cui
si stanno convogliando gli sforzi di alcuni gruppi di ricerca
statunitensi. Dai laboratori dell'Universita' della California e del
Mit arrivano notizie di come le Ampachine possano rappresentare il
rimedio migliore nei casi di deficit della memoria. Le Ampachine
agiscono legandosi a un recettore cellulare che normalmente
interagisce con un altro messaggero, il glutammato. Un sottotipo del
recettore diviene cosi' specifico per le Ampachine, dando luogo a una
serie di effetti che hanno come esito finale quello di aumentare la
forza del segnale elettrico nel neurone. L'affidabilita' di queste
nuove sostanze e' molto discussa: nessuno ne parla in termini
denigratori, alcuni si esprimono con cautela, molti sono pronti a
scommettere che saranno la chiave d'accesso a diversi problemi
cognitivi. Tutti sono d'accordo sul fatto che tra pochi anni avremo
ottimi farmaci, non importa di quale tipo, per la memoria. Un appunto
che non va tralasciato tocca la questione etica. Vari interrogativi
morali hanno fatto da sfondo alla conferenza: ad esempio se abbia
senso agire sulla memoria dei pazienti nell'incapacita' di risalire
alle cause, o se non si debba riflettere sui rischi legati alla
manipolazione dei centri della memoria. Alla questione dell'oblio non
si puo' dare una risposta puramente farmacologica; il «dimenticare»
ha spesso una sua coloritura emotiva e una propria ragione simbolica.
Leda Betti
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. CAUSE E TERAPIE
Il mistero del singhiozzo
I piu' colpiti sono i bambini
OAUTORE LEONCINI ANTONELLA
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI BROGI AMRIGO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
UN pacemaker e' la piu' avanzata risposta della ricerca medica contro
il singhiozzo, soprattutto, nei casi piu' gravi. Infatti, se
l'atteggiamento prevalente e' considerare il singhiozzo un fastidio
momentaneo, questo disturbo puo' essere, invece, il sintomo di varie
patologie, tanto che se ne puo' anche morire. Il singhiozzo puo'
manifestarsi anche prima della nascita, durante la gravidanza; i
bambini sono, inoltre, colpiti oltre tremila volte piu' degli adulti.
Il singhiozzo e' causato dalla contrazione spasmodica del diaframma,
e dei muscoli della glottide, la parte superiore della laringe:
l'interruzione dell'aria nei polmoni provoca il tipico sgradevole
rumore. Puo' essere imputato a pasti frettolosi e bolo alimentare
voluminoso, sovradistensione o irritazione gastrica per cibi
abbondanti, gassati, liquidi gassati o alcol. Se generalmente
scompare dopo pochi minuti, in alcune situazioni puo' proseguire
delle ore. «Il singhiozzo puo' anche essere associato - spiega
Amerigo Brogi, specialista in terapia del dolore al policlinico di
Siena - a squilibri cronici dell'apparato digerente, come aerofagia,
meteorismo intestinale, ernia iatale, gastrectasia, esofagite,
pancreatite, occlusione intestinale; a scompensi toracici: pleuriti e
polmoniti con irritazione diaframmica; puo' essere determinato da
problemi del sistema nervoso centrale, addirittura da meningiti,
encefalie, emorragie, neoplasie». Puo' essere provocato da
intossicazioni endogene, da diabete o insufficienze renali in fase
uremica; o da disturbi psicosomatici. Il singhiozzo e' diventato
oggetto di studio di una particolare disciplina, tanto che in
Francia, sono nati centri specializzati: alla clinica della
Salpetriere (tel. 00331/45.70.21.74) a Parigi. In alcuni casi, sono
sufficienti degli accorgimenti: inspirare profondamente e poi
trattenere il respiro, bere acqua fredda senza respirare, comprimere
gli occhi con le dita, chiudere le orecchie o bere aceto e limone; si
puo' anche mangiare una mollica di pane, un biscotto, del pane secco
e forzare la lingua con la mano oppure il torace all'altezza del
diaframma per stimolare lo starnuto o il vomito. Ma nelle situazioni
piu' preoccupanti, e' indispensabile la presenza del medico; fra le
«terapie», respirare dentro un sacchetto, limitando i riflessi
nervosi attraverso i bulbi oculari, il glomo carotideo o i punti
frenici; oppure la compressione dei polpi radiali, con inspirazione
profonda e brusco rilascio, che permette di aumentare concentrazione
di CO2 nel sangue; fra le altre possibilita', la somministrazione
orale di piccole quantita' ripetute di un anestetico locale. Alcuni
interventi implicano il ricorso alla chirurgia, come l'applicazione
di un sondino nasogastrico per svuotare lo stomaco, o ricorrendo, con
uno stimolatore elettrico, per indirizzare l'ago, al blocco
anestetico del nervo frenico, che innerva il diaframma. Infine, nei
casi ostinati, un pacemaker diaframmatico esterno, che agisce
interferendo con le contrazioni del muscolo. Antonella Leoncini
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. GENETICA
Dal Dna una conferma: Eva era africana
L'evoluzione umana secondo l'antropologo molecolare Wilson
OAUTORE ROBINO CARLO
OARGOMENTI genetica, antropologia e etnologia
ONOMI WILSON ALLAN
OORGANIZZAZIONI NATURE
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Confronto fra il cranio dell'uomo di Neandertal e quello dell'uomo
attuale
OSUBJECTS genetics, anthropology and ethnology
IMMAGINATE, rincasando, di trovare nella buca delle lettere uno
strano telegramma: «Parente esotico et dimenticato lasciatavi
favolosa eredita'». Qualcosa di simile accadde, proprio dieci anni
fa, ai lettori della prestigiosa rivista Nature. In questo caso, il
telegramma aveva l'aspetto di un lavoro scientifico a firma
dell'antropologo molecolare Allan Wilson. L'eredita' annunciata non
era di natura economica, bensi' genetica e il suo beneficiario non un
singolo individuo, ma l'intera umanita': tutti noi, si diceva in
quello studio, discenderemmo da una comune antenata africana vissuta
circa 200.000 anni fa. Wilson era giunto a formulare la sua ipotesi,
ribattezzata «dell'Eva africana», studiando il Dna contenuto nei
mitocondri, gli organelli citoplasmatici che trasformano l'ossigeno
in energia utile alle funzioni cellulari. Il Dna mitocondriale
(mtDna) vanta alcune curiose proprieta': a differenza del Dna
nucleare, che ogni individuo eredita in proporzioni uguali da
entrambi i genitori, esso viene trasmesso ai figli esclusivamente
dalla madre; in piu', la sequenza con cui le quattro unita'
fondamentali del Dna - i nucleotidi adenina, timina, citosina e
guanina - si alternano a formare la sua catena e' diversa da persona
a persona, come una sorta di impronta digitale genetica condivisa
solo da chi e' imparentato per via materna. Come si concilia, dunque,
l'idea di una singola progenitrice con l'enorme numero di sequenze
mitocondriali oggi osservabile? Bisogna tener conto del fenomeno
della mutazione, ossia dell'eventualita' che nella sintesi del mtDna
materno incorrano minuscoli errori, come la sostituzione di un
nucleotide con un altro, che vengono poi ereditati dai figli.
L'accumularsi di tali errori nel corso di centinaia di migliaia di
anni d'evoluzione umana ha fatto si' che da un unico mtDna
originario, si sia giunti all'attuale variabilita', o per dirla con i
genetisti, «polimorfismo», mitocondriale. L'Eva di Wilson e' la donna
portatrice di questo mtDna ancestrale e non ha nulla a che vedere con
la figura descritta nella Bibbia. Per ricostruire la storia di Eva,
resa intricata dalla mutazione, Wilson raccolse e analizzo' 147
campioni di mtDna provenienti da Africa, Asia, Europa ed Oceania. In
nessun continente le sequenze mitocondriali studiate, se confrontate
tra loro, presentavano tante differenze quanto in Africa. Questo
spiccato polimorfismo suggeriva che gli africani avevano avuto a
disposizione un tempo evolutivo piu' lungo per differenziarsi e
dunque costituivano la piu' antica popolazione della Terra. Wilson
creo' anche un albero genealogico delle 147 sequenze in esame.
Nell'albero ciascun mtDna era raffigurato come un ramo, i singoli
rami confluivano progressivamente attraverso «nodi», ognuno dei quali
rappresentava una mutazione, sino ad una radice comune corrispondente
all'ipotetica progenitrice mitocondriale. Con l'aiuto del computer
furono generati migliaia di alberi e tra questi fu selezionato il
piu' parsimonioso, ovvero quello che richiedeva il minor numero di
nodi per collegare la radice ai mtDna moderni. La posizione e la
profondita' della radice fornivano informazioni sul luogo e
sull'epoca d'origine di Eva. Poiche' essa separava un ramo contenente
soltanto alcune sequenze africane da un altro che conduceva a tutti i
restanti mtDna, Wilson concluse che Eva doveva essere vissuta in
Africa, attorno ai duecentomila anni fa, e che dall'Africa, in epoca
successiva, i suoi discendenti si erano mossi a popolare il mondo.
Questa interpretazione genetica degli albori dell'umanita' scateno'
un'inevitabile ondata di polemiche. Accolta con favore da numerosi
paleoantropologi che, sulla base dei reperti fossili lasciati dai
nostri antenati, avevano gia' delineato uno scenario preistorico
simile, essa fu altrettanto duramente osteggiata. Wilson venne
criticato per le tecniche di laboratorio utilizzate, la scelta dei
campioni da analizzare, i criteri su cui si fondavano la costruzione
dell'albero e la collocazione della radice. Oggi sempre nuovi dati
genetici e fossili indicano nell'Africa la culla dell'Homo sapiens
moderno e in oltre centomila anni fa l'epoca della sua comparsa.
L'ipotesi di una comune antenata africana, pur riveduta e corretta in
certi suoi aspetti, ha dunque trovato conferma e con essa l'idea
rivoluzionaria di cercare nel Dna le tracce del nostro passato
evolutivo. A quanto pare, non solo Eva e' in ottima salute, ma anche
in buona compagnia: recenti studi del polimorfismo del cromosoma Y,
il cromosoma sessuale maschile, suggeriscono che il progenitore di
tutti noi (maschietti), chiamiamolo Adamo, sia vissuto circa
duecentomila anni fa. Una data ricorrente, che visti i protagonisti
si sarebbe tentati di ribattezzare «Il tempo delle mele...». Carlo
Robino
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. MOSTRA A ROMA
Fisica nucleare a Quark 2000
OAUTORE M_CA
OARGOMENTI fisica, didattica, mostre
OORGANIZZAZIONI INFN
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
ONOTE «Quark 2000»
OSUBJECTS physics, didactics, exhibition
IL grande pallone trasparente di «Borexino» accoglie i visitatori
nella sala centrale. Enormi pannelli neri con le tracce delle
particelle elementari tappezzano i muri. Grandi strumenti con cui e'
possibile interagire, grappoli di computer collegati in rete locale e
a Internet consentono di visitare i siti Web dei principali
laboratori di ricerca. Stiamo parlando della mostra «Quark 2000» che
al Palazzo delle Esposizioni a Roma, mostra gli esperimenti, le
scoperte e le applicazioni tecnologiche della fisica nucleare e
subnucleare. L'Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare), che
insieme al Comune di Roma ha organizzato la manifestazione, non ha
risparmiato per avvicinare il grande pubblico a un campo troppo
spesso oggetto di una divulgazione superficiale, che induce la gente
a considerarlo affascinante ma incomprensibile. Stavolta invece
strumenti, apparecchiature e computer, trasportati dai centri di
ricerca o costruiti ex novo per l'occasione, descritti nel dettaglio,
ipertesti e sussidi multimediali, possono essere avvicinati e
studiati con calma, sotto la guida di studenti e laureati in fisica.
Molti sono in funzione in tempo reale, dalla camera di Wilson che
rileva l'arrivo dei raggi cosmici fino allo spettrometro che analizza
la composizione chimica di leghe e pigmenti. Viene dato spazio anche
alla realta' virtuale, di cui viene spiegata l'applicazione nella
progettazione dell'acceleratore Lhc del Cern. L'ultima sala e'
dedicata alle applicazioni tecnologiche in settori apparentemente
distanti dalla fisica fondamentale come la medicina (diagnosi precoce
di tumori con tecniche scintigrafiche), la storia dell'arte
(datazione non distruttiva di campioni, valutazione di opere d'arte)
o il monitoraggio ambientale. «Quark 2000» e' aperta fino al 9
giugno, tutti i giorni dalle 10 alle 21 tranne il martedi'. Visite
guidate venerdi', sabato e domenica, talvolta dedicate ai bambini.
Per informazioni: tel. 06/474.59.03. In margine e' stata organizzata
una serie di incontri con scienziati, giornalisti e politici. Per
informazioni: tel. 06-855.47.48. Un sito Web dedicato alla mostra si
trova all'indirizzo http://wwwdb.Inf.infn.it/Q2000/ingresso.html.
Presso l'esposizione e' in vendita il volume «Quark 2000», che
raccoglie gli interventi di scienziati italiani sui risultati
ottenuti dalla ricerca in fisica fondamentale. (m. ca.)
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA
Strafalcioni...
OAUTORE CAGNOTTI MARCO
OARGOMENTI fisica, didattica, mostre
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
ONOTE «Quark 2000»
OSUBJECTS physics, didactics, exhibition
ALCUNI mesi fa, durante un talk show televisivo a tarda ora, un
famoso romanziere, noto per la sua simpatia e il suo interesse nei
confronti dell'esoterismo e dei fenomeni paranormali, disse che «la
scienza ha dimostrato che nell'Universo esistono miliardi di
particelle che viaggiano a velocita' superiore a quella della luce».
La frase fu seguita dagli applausi del pubblico, colpito da tanta
cultura ed erudizione. Il nostro e' uno strano Paese, nel quale
confessare di non sapere chi fosse Alessandro Manzoni porta alla
inevitabile (e giusta) accusa di ignoranza, ma dire le peggiori
stupidaggini sulla scienza non comporta neppure un rimprovero da
parte dell'intervistatore di turno. Mentre molti continuano ad avere
le idee confuse e a dare credito all'irrazionalismo piu' becero, la
ricerca scientifica va avanti. E va lontano. Cosi' il divario fra la
cultura generale della gente e lo stato delle conoscenze scientifiche
continua ad allargarsi. Si crea un'elite che ha assimilato i temi e i
metodi della scienza, e una grande maggioranza priva degli strumenti
concettuali per comprenderne le scoperte. Conseguenza di cio', oltre
alla diffusione di superstizioni e atteggiamenti antiscientifici, e'
l'esclusione di molti cittadini dalla possibilita' di giudicare e
decidere con cognizione di causa su temi attuali e di forte impatto
sociale, dall'energia nucleare alle biotecnologie. Scopo della
divulgazione scientifica non e' pertanto solo quello di rispondere a
una domanda crescente di cultura scientifica di pochi, ma anche
riavvicinare alla scienza larghi strati della popolazione. «Quark
2000» e' stata allestita con questo spirito, e non ambisce a essere
esaustiva ne' a rispondere a tutte le possibili domande che possano
sorgere al visitatore. Gli organizzatori hanno voluto fornire stimoli
e spunti per approfondimenti successivi lungo percorsi individuali.
E, soprattutto, hanno inteso mostrare alla gente che la scienza non
e' appannaggio di una casta gelosa dei propri segreti, ma e' un
insieme di conoscenze che puo' diventare patrimonio di tutti perche',
almeno a grandi linee, e' comprensibile a tutti. Cosicche' in futuro,
di fronte all'ignoranza scientifica dello scrittore di moda, la gente
riconosca errori e strafalcioni. E, invece di applaudirlo, lo fischi.
Marco Cagnotti
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. EXPLORATORIUM
Dalle bolle di sapone al motore elettrico
OAUTORE PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI tecnologia, presentazione, libri
ONOMI RATHJEN DON, DOHERTY PAUL
OORGANIZZAZIONI ZANICHELLI
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Come costruire in casa un motorino elettrico
ONOTE «Gli esperimenti dell'Exploratorium»
OSUBJECTS technology, presentation, book
PER fare bolle di sapone piu' grandi e piu' belle e' sufficiente
aggiungere un cucchiaino di glicerina all'acqua saponata. Per
amplificare un suono di debole intensita' basta interporre un
palloncino pieno di anidride carbonica gassosa fra il nostro orecchio
e la sorgente sonora. Il calore di una stufetta elettrica puo' essere
concentrato in un punto usando uno specchio concavo. Questi sono
alcuni dei suggerimenti che si possono trovare nel libro, pubblicato
in questi giorni da Zanichelli, «Gli esperimenti dell'Exploratorium»
di Paul Doherty e Don Rathjen (254 pagine, 29.500 lire). Sono un
centinaio di esperimenti scientifici, nati dall'esperienza diretta di
un gruppo di insegnanti e raccolti dalla commissione didattica del
celebre Museo della Scienza di San Francisco. E' un libro prezioso
perche' puo' permettere una facile verifica sperimentale di un
discorso scientifico che la nostra scuola lascia sovente a un livello
puramente teorico, con grave danno degli allievi. Le schede di
presentazione, chiare e molto semplici, forniscono tutti gli elemeni
utili per montare ogni esperienza e per capire come «funzioni»,
attraverso una sintetica spiegazione teorica. E' un libro, come
sottolineano gli autori, che puo' essere utilizzato a tutti i livelli
scolastici, «dall'asilo infantile alle superiori», ovviamente con
approfondimenti diversi. La scelta degli esperimenti vuole mettere in
evidenza anche gli aspetti estetici della scienza. Si veda, ad
esempio, come si puo' arrivare alla scoperta dell'infinito partendo
dall'osservazione di due specchi posti l'uno di fronte all'altro
oppure si osservi il «mosaico colorato di riflessioni» creato da una
scatola piena di palline dell'albero di Natale, ognuna delle quali
riflette un'immagine diversa dell'ambiente circostante. Gli
esperimenti possono essere realizzati direttamente dagli studenti,
con materiali facilmente reperibili in cartoleria, in negozi di
ferramenta o di materiale elettrico. Alcuni pero' richiedono
strumenti particolari, disponibili comunque nella maggior parte delle
scuole, come filtri polarizzatori, specchi concavi, voltmetri o pompe
per il vuoto. Il libro riporta in appendice una serie di indicazioni
sul modo di procurarsi i materiali necessari per gli esperimenti e un
elenco di libri, riviste e centri specializzati nella didattica della
scienza, con alcuni indirizzi Internet, il primo dei quali,
assolutamente da visitare per la ricchezza dei materiali disponibili,
e' quello dell'Exploratorium, di cui abbiamo gia' parlato
(TuttoScienze, 26 giugno 1996): http://www.exploratorium.edu/
Federico Peiretti
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. A LINZ IN AUSTRIA
Multimedia e cyberspazio
Il museo del futuro «dove non si posa mai la polvere»
OAUTORE VALERIO GIOVANNI
OARGOMENTI didattica, elettronica
OORGANIZZAZIONI ARS ELECTRONICA CENTER
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, AUSTRIA, LINZ
OSUBJECTS didactics, electronics
DUEMILA metri quadrati di futuro: li ospita l'Ars Electronica Center
di Linz, in Austria, il grande «museo del domani», crocevia di arte,
scienza e nuove tecnologie. Inaugurato l'anno scorso in coincidenza
con l'apertura dell'Ars Electronica Festival (l'annuale rassegna di
cui e' il logico sviluppo), il centro di Linz ideato da Hannes
Leopoldseder si propone come punto di incontro tra le arti,
l'industria, il mondo universitario e la societa'. Ma l'Ars
Electronica Center e' anche un museo particolare, «in progress», dove
non si posa mai la polvere. Le sue attrazioni vengono sempre
aggiornate, ospitando via via le ultime novita' di realta' virtuale,
multimedia e cyberspazio. Un posto dove e' possibile provare oggi la
tecnologia di domani, toccandola con mano, all'insegna della totale
interattivita'. I quattro passi nel futuro cominciano all'ingresso,
con la consegna di una «chipcard», una carta a microprocessore che
accompagna il visitatore lungo tutto il percorso del museo,
seguendone i progressi. Nel piano superiore si entra subito nel mondo
della realta' virtuale, con un classico simulatore di volo e un Cave,
il primo installato in Europa. Cave e' un acronimo che sta per «Cave
Automatic Virtual Environment» ma che significa anche caverna,
alludendo al mito della caverna raccontato nella «Repubblica» di
Platone. Visto dall'esterno, sembra solo un grosso cubo di un paio di
metri di lato. All'interno, si ha la perfetta illusione di trovarsi
in un altro mondo. Le tre pareti del cubo e il pavimento sono
giganteschi schermi collegati a supercomputer che ricreano l'ambiente
grafico: enormi strutture molecolari, frattali, citta' aliene. Negli
Stati Uniti, il Cave viene usato da medici (per visualizzare modelli
tridimensionali del cervello ottenuti con la risonanza magnetica),
matematici e meteorologi. A differenza di altri sistemi di realta'
virtuale (come il classico elmetto), ci si puo' muovere fisicamente
nel cubo per esplorare l'ambiente sintetico, senza perdere il
contatto con la realta' e, prima di tutto, con il corpo. Cyber City,
al piano superiore, offre un panorama completo degli strumenti di
realta' virtuale disponibili per progetti architettonici e
urbanistici. Ovviamente, tutti da provare: il visitatore puo'
modificare la citta' di Linz, seguendone la storia e gli sviluppi.
Puo' aggiungere una superstrada qui e un parco la', per vedere come
si vivrebbe meglio. Al secondo piano si passa alla multimedialita'
con Knowledge Net, una sorta di aula elettronica (accessibile anche
alle scuole), dotata di strutture per telelavoro, insegnamento a
distanza e conferenze multimedia. L'ultimo dei livelli del centro e'
Sky - Media Loft, un «media cafe'» con una splendida vista (questa
volta vera) su Linz, al di la' del Danubio. E' questo il cuore degli
incontri del centro: puo' ospitare installazioni ed eventi serali,
presentazioni e conferenze. All'informale Sky si aggiungono le 75
postazioni hi-tech (tutte connesse in rete) dell'aula dei seminari.
Il centro e' aperto dal mercoledi' al sabato dalle 11 alle 19.
Informazioni, sito Internet: http://www.aec.at, oppure telefonare
allo 0043- 732-715200. Il biglietto per entrare nel futuro (e
provarlo) costa 80 scellini, meno di 12 mila lire. Giovanni Valerio
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
MICRORGANISMI DOMESTICI
Allergie da camera da letto
Un grammo di polvere puo' contenere 30 mila acari
OAUTORE BELLI ENRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE T. TAB. I CONSIGLI
=====================================================================
1) La camera sara' asciutta, ben aerata, priva di macchie di umidita'
---
2) L'arredo sara' semplice, a superfici lisce. I mobili avranno i
piedi, in modo da permettere una completa pulizia del pavimento,
che sara' in legno, marmo, ceramica o linoleum (mai moquette)
---
3) Il vestiario sara' tenuto in un armadio ben chiuso
---
4) Evitare poltrone e divani imbottiti: utilizzare sedie e
poltroncine in legno o plastica
---
5) Ricoprire con copri-materassi e copri-cuscini in materia plastica
i materassi e i cuscini, che non dovranno essere in lana (gli
acari non vivono nella gomma-piuma)
---
6) Cambiare la biancheria del letto una volta la settimana. Durante
la buona stagione esporre lenzuola e coperte al sole:
l'insolazione diretta uccide gli acari
---
7) Eliminare dalla camera libri, giocattoli di peluche, animali e
piante
---
8) Evitare tappezzerie, tappeti, tendaggi e drappeggi
---
9) Non usare umidificatori in camera
---
10) Non rifare i letti in presenza della persona allergica agli
acari: sprimacciare coperte, cuscini e materassi aumenta la
presenza di derivati degli acari nell'aria
=====================================================================
OSUBJECTS medicine and physiology
CON una diffusione esponenziale, soprattutto nei Paesi
industrializzati e nelle aree urbanizzate, le malattie allergiche
sono un problema che va oggi affrontato non soltanto dal punto di
vista clinico, ma anche socio-economico. E il problema diventa piu'
evidente in primavera, quando agli altri agenti si aggiungono anche i
pollini delle piante. Ma perche' le malattie allergiche sono in
aumento? Perche' cresce l'inquinamento del pianeta e molti fattori
inquinanti sono tali da scatenare o favorire una risposta allergica;
perche' aumenta la diffusione e l'uso di prodotti chimici: ogni anno
ne vengono messi in commercio piu' di 30 mila, molti dei quali sono
capaci di causare reazioni allergiche in persone predisposte; perche'
cresce la popolazione nelle zone abitate; e infine perche' cresce
nell'umanita' il «monte-geni allergico»: il figlio di un allergico
diventera' tale nel 38- 40 per cento dei casi, il figlio di genitori
entrambi allergici lo sara' con il 60-78 per cento di probabilita'.
L'allergologia non e' soltanto una branca dell'immunologia. E' una
scienza ecologica, che deve necessariamente tener conto delle
conoscenze di aerobiologia, di botanica, di alimentaristica e deve
quindi esaminare la complessa rete dei rapporti tra il soggetto e
l'ambiente che lo circonda. Che l'ambiente delle grandi citta' non
sia salutare non e' una novita': non e' necessario ricorrere ai dati
di rilevamento scientifico per rendersi conto di quanto l'aria sia
divenuta irrespirabile nei centri a maggiore industrializzazione. Ma
che all'interno delle nostre case si accumuli una serie di sostanze o
microorganismi potenzialmente causa di malattie bronco-polmonari di
origine allergica e' una realta' piu' difficile da accettare, ma che
deve essere fronteggiata in modo adeguato. Recentemente e' stata
rivolta una particolare attenzione ai fattori di rischio respiratorio
degli ambienti «indoor», ossia gli ambienti confinati adibiti ad
abitazionee, lavoro, svago ecc. L'allergene «polvere di casa» e'
stato oggetto di studi sin dalle prime osservazioni che mettevano in
evidenza il rapporto causa-effetto fra esso e la sintomatologia
rinitica e/o asmatica del paziente. Numerose ricerche ipotizzavano
che questo allergene fosse di derivazione biologica e condussero ad
accertare nella polvere ambientale la presenza di un organismo
microscopico, il «Dermatophagoides pteronissimus», ossia un acaro
dotato di una notevole attivita' allergizzante. Questo acaro e' di
minuscole dimesioni: vive intorno ai 25 gradi di temperatura, con
un'umidita' relativa del 75-80 per cento; dopo il primo accoppiamento
vengono deposte 25-50 uova, 15-30 dopo il secondo. Successive
osservazioni di vari autori hanno evidenziato la presenza di altri
acari: il «D. farinae» o «culinae» e altri. Dove vivono gli acari
domestici? Soprattutto nelle zone dell'abitazione dove si accumula la
polvere e in particolare nella camera da letto, nei materassi, nei
cuscini, nei tappeti, nei divani, nella moquette, nei tendaggi
pesanti. Si nutrono prevalentemente di forfora umana: il materasso,
il cuscino e la polvere della camera da letto ne sono ricchi. Ogni
grammo di polvere ottenuta con la battitura di un materasso contiene
fino a 30.000 acari. Un uomo elimina mediamente un grammo di forfora
al giorno, e che tale quantita' e' sufficiente a mantenere in vita
migliaia di acari per almeno tre mesi! Oltre alla immunoterapia
specifica, ossia le iniezioni iposensibilizzanti praticate con il
cosiddetto «vaccino» (oggi disponibile anche per via orale e in dose
unica da somministrasi una-due volte l'anno), dobbiamo prendere in
considerazione le strategie per ridurre la presenza degli acari, la
loro crescita e la concentrazione di particelle allergizzanti nelle
abitazioni. Esistono metodi biologici per la bonifica ambientale,
cioe' per distruggere e prevenire la crescita della popolazione di
acari: la temperatura (esposizione del materiale lettereccio a 25oC
per sei ore oppure a 50oC per quattro ore), l'umidita' ambientale
inferiore al 50 per cento per almeno due mesi, specie nel periodo
invernale; e' evidente pero' che sono metodi scarsamente praticabili.
Poiche' si trascorrono nella camera da letto circa 8 delle 24 ore
della giornata, dobbiamo mettere in atto una serie di misure di
bonifica, che possiamo riassumere nel «Decalogo della profilassi
ambientale» pubblicato qui accanto. Riguarda, come si vedra', arredi,
vestiario, biancheria, libri, tende, tappezzerie. La guerra agli
acari passa attarverso questo decalogo. E speriamo di riuscire a
lasciare al di la' della finestra i pollini delle piante. Enrico
Belli
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZA
Italia fanalino di coda
OAUTORE GIACOBINI EZIO
OARGOMENTI ricerca scientifica, statistiche, classifica, mondiale
OORGANIZZAZIONI UE UNIONE EUROPEA, G7
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS research, statistical data, position, world
SE esistessero le Olimpiadi della scienza l'Italia sarebbe
sicuramente tra le nazioni in coda. Nessuna medaglia d'oro (premi
Nobel), nessuna d'argento e pochissimi bronzi negli ultimi 10 anni.
Se teniamo conto del rapporto della nostra produzione scientifica col
numero degli abitanti, il prodotto nazionale lordo e la percentuale
investita in ricerca e sviluppo passiamo al fondo della classifica
delle nazioni industrialmente piu' avanzate. Uno studio presentato
recentemente su «Scienze» ci mette al corrente di questi fatti. I
dati presentati dovrebbero far riflettere seriamente i politici
italiani. Questa situazione d'allarme non fa presagire un futuro
benessere economico per l'Italia a meno di non continuare a esportare
solo scarpe e vestiti. Partiamo dalle notizie migliori. Quindici
nazioni contano per circa l'85% della produzione scientifica mondiale
stimata come numero di pubblicazioni in tutti i campi delle scienze,
dell'ingegneria e della medicina nei 15 anni tra il 1981 e il 1994.
L'Italia si mantiene al settimo posto (2,7 per cento) tra le 7
potenze economiche mondiali (i G7) con gli Stati Uniti al primo col
35 per cento della produzione mondiale (piu' delle 15 nazioni
dell'Unione europea assieme). Fin qui le cose andrebbero benino. Se
la qualita' di tali pubblicazioni viene stimata usando il numero
totale di citazioni si mantiene ancora l'ordine precedente della
classifica. Noi passiamo invece per valore relativo alla meta' delle
francesi, a un terzo delle tedesche o giapponesi e a un quarto delle
inglesi. Anche qui gli Stati Uniti fanno la parte del leone con circa
la meta' del totale. La situazione peggiora notevolmente quando
consideriamo il rapporto chiamato impatto relativo di citazione che
rappresenta il numero delle citazioni di tali pubblicazioni diviso
per il numero stesso delle pubblicazioni. Solo tre delle nazioni G7
si mantengono tra le prime dieci in classifica (Stati Uniti, Regno
Unito e Canada), la Francia viene proiettata al 14o e l'Italia al
19o. Svizzera, Svezia, Danimarca e Regno Unito balzano ai primi posti
(in quest'ordine) dopo gli Stati Uniti: e, come si faceva notare,
solo il Regno Unito e' tra i «grandi». L'Italia compare dopo nazioni
come Olanda, Finlandia e Australia con peso economico minore del
nostro. Come prevedibile le cinque nazioni che sono in testa al mondo
per produzione scientifica e qualita' della loro ricerca sono le
stesse che investono maggiormente. In testa a tutti sono Giappone e
Stati Uniti (2,9% e 2,5% del prodotto nazionale lordo speso in
ricerca) seguite da Regno Unito, Germania e Francia, tutte oltre il
2%. L'Italia ha il primato del piu' basso investimento tra le nazioni
industrializzate del mondo con poco piu' dell'1%, appena superiore a
quello dell'India. Si deve notare che Paesi come la Svezia e la
Svizzera investono proporzionalmente di piu' nella ricerca che gli
stessi Stati Uniti (3,3 e 2,7% rispettivamente). Un saggio di
qualita' della ricerca mondiale puo' esser rilevato in venti singoli
campi della ricerca che riflettono entro certi limiti un investimento
piu' selettivo di un certo Paese. Anche qui lo sforzo e' misurato
basandosi sulla popolazione e sul prodotto nazionale lordo di quel
Paese. I dati mostrano in testa gli Stati Uniti seguiti da Svizzera,
Svezia e Regno Unito con un numero maggiore di campi. Mentre certi
Paesi europei emergono ad esempio nel campo della ricerca biomedica
(Danimarca, Svezia e Svizzera), le nazioni asiatiche concentrano i
loro sforzi in ingegneria, informatica e chimica altre invece come
l'Australia, il Canada, la Nuova Zelanda e il Sud Africa puntano su
risorse naturali. Le nazioni piu' avanzate industrialmente
distribuiscono le proprie risorse in modo equo tra i campi
principali. L'Italia ha il dubbio primato di non essere inclusa tra
le prime cinque in un singolo campo dei 20 considerati. Qual e' la
performance relativa della ricerca italiana in relazione alla sua
popolazione e agli investimenti compiuti nella ricerca di base? A
parte il fatto che il maggiore successo relativo appartiene a dodici
Paesi minori dell'Italia, essa compare al fondo della classifica, al
16o posto tra le nazioni piu' industrializzate. Ezio Giacobini
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Pollini, chimica, stress
Triplicate le allergopatie nei Paesi avanzati
OAUTORE E_B
OARGOMENTI medicina e fisiologia, statistiche
OORGANIZZAZIONI ITS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, statistical data
QUASI ogni giorno si sente ripetere la domanda: ma le malattie
allergiche sono comparse soltanto adesso? Perche' una volta non se ne
sentiva parlare? Perche' continuano ad aumentare? Il progressivo
aumento delle malattie allergiche e' documentato dagli studi
scientifici, statistici, epidemiologici: l'incidenza delle
allergopatie e' quasi triplicata, in particolare nei Paesi a sviluppo
avanzato: da una percentuale oscillante fra il 3 e il 4 per cento nel
1975-1980, oggi possiamo considerare che circa il 12-20 per cento
della popolazione soffre o ha talvolta sofferto di manifestazioni
allergiche. Le cause dipendono da vari fattori che si influenzano fra
di loro: inquinamento ambientale, aumento della diffusione delle
sostanze chimiche (ogni anno ne vengono messe in commercio piu' di 30
mila), uso di sostanze alimentari sempre piu' sofisticate, aumento
dell'industrializzazione e dello stress con conseguente usura del
sistema nervoso, aumento del monte-geni allergico. E poiche' l'eta'
piu' colpita va dai 6 ai 40-50 anni, ossia i soggetti in eta' scolare
e lavorativa, sono immaginabili i riflessi economici e sociali di
questa patologia sulle assenze scolastiche nei piu' giovani e sulla
perdita di giornate lavorative nei soggetti adulti. I maggiori
responsabili delle manifestazioni allergiche sono i pollini e gli
acari domestici: i primi con la fioritura primaverile causano la
cosiddetta «febbre da fieno» (anche se raramente la sintomatologia
oculorinitica e' accompagnata da febbre), con l'acme - per quanto
riguarda l'Italia settentrionale - aprile a giugno, con la fioritura
delle graminacee. La polvere di casa in realta' e' composta da una
serie di sostanze ed organismi potenzialmente allergenici e, per
merito di Voorhost, nel 1966 si e' scoperto il vero allergene comune
alla polvere di tutte le abitazioni, che e' un derivato degli acari
del genere Dermatophagoides ed in particolare di un loro prodotto
fecale. Questi microscopici artropodi vivono nelle nostre abitazioni,
che costituiscono il loro habitat ottimale: temperatura fra 18o e 25o
e umidita' intorno al 70-80 per cento. Ne consegue la necessita' di
una bonifica ambientale, soprattutto del letto, dove gli acari si
annidano piu' frequentemente. Ma poiche' non sempre la sola bonifica
ambientale riesce a distruggere tutti gli acari, e' necessario fare
ricorso alle cure farmacologiche e immunoterapiche. Mentre le prime
sono soprattutto un presidio immediato e puramente sintomatico, ossia
con carattere di temporaneita', l'immunoterapia specifica (Its) e' la
strategia terapeutica piu' efficace per modificare la risposta
immunitaria del soggetto allergico, allo scopo di abolire o ridurre
la fastidiosa e talvolta grave sintomatologia. Pur essendo stata
introdotta da Noon nel 1911, ancora oggi non ne e' del tutto chiaro
il meccanismo d'azione, anche se gli enormi progressi in campo
immunologico hanno dimostrato le modificazioni umorali e cellulari
che l'Its induce. Tuttavia numerosi controlli ne hanno confermato
l'efficacia clinica, con notevole miglioramento della sintomatologia
asmatica e oculorinitica e della iperreattivita' bronchiale
aspecifica, che e' il problema attuale piu' importante nei pazienti
asmatici. Nel tentativo di ovviare ai rischi implicati nell'Its, sono
state messe a punto metodiche differenti per ridurre la dose
dell'allergene contenuto in quello che comunemente viene chiamato
vaccino. Una di queste e' l'Enzyme Potenziated Desensitisation (Epd),
nella quale vengono impiegate dosi molto basse di allergene,
miscelato con jaluronidasi e B-glicuronidasi. Oltre all'eliminazione
delle reazioni avverse e dei rischi, questo metodo offre numerosi
vantaggi: non esistono controindicazioni (eccetto la gravidanza od
altre vaccinazioni in corso), e' indolore e utile a chi per ragioni
di lavoro non puo' recarsi dal medico per praticare le iniezioni
settimanali per 3-4 mesi.(e. b.)
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. RAITEL
«Eloquens» la voce artificiale
OAUTORE BONZO MARIALUISA
OARGOMENTI comunicazioni, informatica
OORGANIZZAZIONI CSELT, RAITEL, FS FERROVIE SPA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS communication, computer science
BASTA alzare la cornetta del telefono, comporre un numero verde, dire
da quale citta' si intende partire, dove si vuole andare, in quale
fascia oraria e una voce gentile, anche se artificiale, fornisce gli
orari dei treni piu' comodi con le loro tariffe. Fantascienza? No,
Raitel e' un servizio sperimentale elaborato per le ferrovie da Cselt
(Centro studi e laboratori telecomunicazioni) di Torino, polo di
ricerca del gruppo Stet. Risponde Eloquens, che non e' ne' un
operatore, ne' una voce registrata, e' un sintetizzatore vocale.
Raitel e' il piu' evoluto servizio al pubblico che usa Eloquens. Il
14-12 ne e' il precursore. In questo caso l'utente digita alla
tastiera del telefono il numero telefonico e la sintesi legge
l'indirizzo corrispondente. Sia per Raitel, sia per il 14-12 un
motore di ricerca scandaglia un archivio informatico per trovare le
notizie richieste. Eloquens permette poi di convertire il testo
scritto in un formato vocale. La stringa di lettere, cifre e simboli
e' trasformata in una successione di fonemi (i suoni elementari di
una lingua) direttamente pronunciabili dalla sintesi. Per il
differente modo con cui si ricostruiscono i fonemi si distinguono due
tipi di sintetizzatori: per difoni (come Eloquens) e per formanti. In
quelli per difoni si usano per base acustica segmenti di voce umana,
dei pezzi di fonema campionati (i difoni). Questi segmenti non
vengono semplicemente riaccorpati, sono scomposti e rielaborati. La
tecnica per formanti e' piu' utilizzata nei Paesi anglosassoni. In
questo caso si generano direttamente i frammenti di onda sonora (i
formanti). I risultati ottenuti sono comunque molto simili. La
differenza tra i sintetizzatori e' strettamente legata alle ricerche
sulle caratteristiche peculiari di ogni lingua. La prima difficolta'
per l'italiano sta nel dare un accento lessicale, che e' segnato solo
per le parole tronche, a tutto il testo. Non esistendo regole per una
corretta accentazione bisogna ricavare delle norme statistiche sulla
base della terminazione delle parole. Inoltre in italiano moltissime
parole, scritte nello stesso modo, cambiano significato a seconda
della posizione dell'accento. Risolvere, se non tutti, molti dei 10
mila omografi facilita la comprensione. Per accentare un omografo non
e' sufficiente analizzarlo fuori dal suo contesto. Per distinguere
ancora da ancora occorre fare un'analisi morfologica e sintattica
delle parole confinanti. In questo caso scoprire se ancora e' un
avverbio o un sostantivo. Se ancora e' preceduta da un articolo
determinativo o indeterminativo, da una preposizione semplice o
articolata che concordi per genere e numero con la parola le si
attribuisce la categoria sostantivo per leggerla ancora.
L'accentazione e la punteggiatura sono degli agganci per costruire la
curva prosodica, cioe' per dare un'intonazione che renda
comprensibile e gradevole Eloquens. L'altra faccia del problema sta
nel capire cio' che l'utente chiede a Raitel. Esistono in commercio
dei programmi che permettono di dettare direttamente al computer.
Vengono pero' istruiti sulla voce di un singolo utente. Un servizio
al pubblico deve invece poter essere usato da chiunque e oltre tutto
per telefono. Raitel riconosce parole isolate (500 fra citta', fasce
orarie, ecc.) che devono appartenere a un vocabolario predeterminato.
La macchina confronta il segnale da riconoscere, la parola
dell'utente, con i modelli delle parole che si aspetta in quel
momento e vede a quale assomiglia di piu'. Il modello in memoria e'
costruito analizzando le caratteristiche della stessa parola
pronunciata da un migliaio di parlatori diversi. Allo Cselt stanno
gia' lavorando al riconoscimento del parlato continuo. Allora
l'utente potra' rivolgersi alla macchina come se si rivolgesse ad un
operatore. Le difficolta' maggiori stanno nello scindere le parole di
una normale conversazione e nella possibilita' di avere innumerevoli
risposte tutte diverse. Marialuisa Bonzo
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. A CACCIA DI COMETE
Rosetta e la Wirtanen
Una sonda euroamericana partira' nel 2003
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, astronomia
OORGANIZZAZIONI NASA, ESA, ISAS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, astronomy
QUATTRO piccoli razzi sono stati lanciati dalla Nasa per osservare la
cometa Hale-Bopp. I razzi, a due stadi, hanno raggiunto la quota di
386 chilometri, eliminando la turbolenza atmosferica che invece
penalizza gli osservatori terrestri. Ma non sono certo venti minuti
di studio (cinque per ogni razzo) a svelarci segreti importanti su
questi oggetti cosmici, residui della nube di polveri da cui si
formo' 4 miliardi e mezzo di anni fa il sistema solare. Le
possibilita' di andare a studiare da vicino una cometa sono state
dimostrate nel marzo 1986, quando la sonda europea «Giotto» giunse
fino a 597 chilometri dal nucleo della cometa di Halley. «Giotto»
resistette talmente bene con il suo scudo protettivo al bombardamento
delle particelle della chioma ribollente della Halley, che fu
dirottata nel 1992 verso la cometa Grigg-Skjiellerup. Attualmente una
sola missione ha per obiettivo una cometa. E' quella della sonda
euroamericana «Rosetta», che, pur tra vari problemi di budget e
ritardi dei programmi scientifici di Esa e Nasa, sta per essere
realizzata; il lancio e' previsto per il 2003 e sara' affidato ad un
potente vettore americano Titan 4, con uno stadio-propulsore Centaur.
Quest'ultimo sparera' la sonda su una lunga e tortuosa traiettoria
che la dovra' portare nel 2011 a scendere sul nucleo, del diametro di
3 chilometri, della Wirtanen, una cometa di breve periodo che porta
il nome dell'astrofilo finlandese che l'ha scoperta. «Rosetta» sara'
costituita da due sezioni: un veicolo-madre realizzato dagli
americani, che si avvicinera' al nucleo per poi sganciare un modulo
di sbarco europeo che dovra' posarsi sulla superficie. Se tutto
andra' bene, dopo la grandinata di particelle che colpiranno lo scudo
del modulo, alcuni strumenti effettueranno il prelievo di campioni
della cometa con il metodo del «carotaggio», gia' usato per prelevare
campioni dalla superficie della Luna o di Marte. Verranno poi inviati
dati e immagini a Terra. Il progetto originario di «Rosetta»
prevedeva che il modulo di sbarco stivasse i campioni in una
mini-capsula, che avrebbe poi dovuto riportarli a Terra. Ma per
motivi di costo e di tempo questa importante fase della missione e'
stata cancellata. Altri progetti spaziali destinati a comete, come il
Craf (Comet Rendez-vous Asteroid Fly- by) della Nasa, che prevedeva
di lanciare dei moduli-penetratori nel suolo cometario, o come il
progetto francese «Vesta», destinato ad alcuni avvicinamenti di
asteroidi e comete, sono stati cancellati. L'Istituto Spaziale
Scientifico giapponese Isas, che ha varato un ambizioso programma di
esplorazione interplanetaria con mezzi e costi contenuti, ha invece
in programma cio' che «Rosetta» avrebbe dovuto fare. Entro il 2005 i
nipponici hanno intenzione di inviare una piccola sonda-robot su una
cometa, con l'obiettivo di riportarne i campioni sulla Terra. I
giapponesi stanno mantenendo fede al loro programma: una sonda verra'
inviata verso la Luna in estate, e un'altra salpera' per Marte entro
il 1999. E dato che in fatto di robotica non sono secondi a nessuno,
e' molto probabile che i primi campioni di una cometa arriveranno via
Sol Levante. Antonio Lo Campo
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Carotenuto Aldo: «Il fascino discreto dell'orrore», Bompiani
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI psicologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS psychology
VAMPIRI, mostri, esseri alieni e inquietanti presenze fantastiche
abitano da sempre la nostra mente: pittura, narrativa e cinema ne
traboccano. Queste entita' e le storie «horror» in cui spesso si
esprimono, sono ricche di significati per lo psicoanalista. Aldo
Carotenuto in questo suo ultimo libro, che esce direttamente in
edizione economica, si avventura nella loro analisi, ricordandoci che
la «psicologia del profondo» deve occuparsi non soltanto della
patologia mentale, ma anche - e primariamente - di tutta la vita
psichica nel suo insieme. Una vita psichica che comprende,
ovviamente, anche la «normalita'», i processi mentali quotidiani, la
creativita' artistica e la fruizione dei suoi prodotti. Massimo
studioso in Italia del pensiero di Jung, Carotenuto insegna
psicologia della personalita' all'Universita' di Roma ed e' autore di
decine di saggi, molti dei quali tradotti all'estero (persino in
giapponese).
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Rigutti Mario: «Comete, meteoriti e stelle cadenti», Giunti
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy
La cometa Hale-Bopp sta attraversando il nostro cielo ed ecco che
arriva puntualissimo un rigoroso libro sulle comete, utile antidoto a
tante approssimazioni che in queste settimane si leggono sui
giornali. Dalla «nube di Oort», dove le comete si affollano a
miliardi, alle future missioni spaziali per studiarle da vicino,
Rigutti tratta ogni aspetto riguardante questi popolari corpi celesti
con grande chiarezza divulgativa.
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Lewis Roger: «Le origini dell'uomo moderno», Zanichelli
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI paleontologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS paleontology
Le fasi evolutive che portano all'Homo sapiens costituiscono uno dei
capitoli piu' controversi della ricerca scientifica. Ma la scarsita'
di reperti fossili negli ultimi tempi ha trovato una compensazione
nei progressi degli studi genetici e si puo' quindi sperare in
conclusioni che vedano piu' concorde la comunita' dei
paleoantropologi. Il libro di Lewis e' esemplare nell'equilibrio con
cui cerca di fare il punto sulle attuali conoscenze. Un ampio
capitolo riguarda il Dna dei mitocondri, che si trasmette solo per
via materna (teoria di Eva nera); un altro affronta il tema dello
sviluppo del linguaggio in relazione alle origini dell'uomo moderno.
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Celli Giorgio: «La scienza e i fantasmi», Aspasia
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS didactics
La scienza puo' offrire molti spunti alla narrativa. E la narrativa
puo' mettere a disposizione della scienza un'arte e una tecnica della
comunicazione che mancano al saggio scientifico diretto agli
specialisti. Eppure scienza e narrativa raramente incrociano le loro
strade. Quando succede, lo si deve al fatto che l'una e l'altra
convivono in un intellettuale completo, dalla cultura non dimezzata
come quella che affligge umanisti e scienziati «puri». Celli,
entomologo di fama, docente all'Universita' di Bologna e divulgatore
televisivo di successo, e' una di queste eccezioni. Il suo ultimo
libro illustra le due facce della medaglia: come si possa usare uno
stile narrativo per spiegare la scienza e come la scienza dia materia
al narratore. Da segnalare il micro-giallo entomologico «Come fu
ucciso Umberto Eco».
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Fasolo e Cappellari: «Psichiatria di territorio», La Garangola
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS medicine and physiology
Raccolti in un «Almanacco '97», una ventina di saggi dedicati agli
aspetti piu' vari della salute mentale: ipocondria, paranoia,
pedofilia, tossicodipendenza, aspetti sociali ed economici
dell'assistenza psichiatrica.
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Autori vari: «Astronomical and Biochemical Origins and the Search for
Life in the Universe», Editrice Compositori, Bologna
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia, biologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy, biology
Questi atti dell'importante convegno di bioastronomia svoltosi a
Capri nel luglio scorso per iniziativa di Cristiano Batalli Cosmovici
rappresentano una autorevole sintesi di tutte le ricerche in corso
per individuare forme di vita non terrestri. Piero Bianucci
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. IL CNR ALL'EVEREST
L'«energia invisibile»
La sopravvivenza alle alte quote
OAUTORE MARTINET ENRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, ricerca scientifica
ONOMI DA POLENZA AGOSTINO, BLANC ABELE, ARNAUD CLAVEL
OORGANIZZAZIONI CNR
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. La piramide del Cnr al campo base dell'Everest
OSUBJECTS medicine and physiology, research
LA «porta dell'infinito» sara' anche quella di una scoperta
scientifica? La «porta» e' a 8000 metri, ed e' il nome che gli
alpinisti hanno dato al Colle Sud, il piu' alto e magico della Terra,
sulla «spallona» dell'Everest, una sella di ghiaccio tra due giganti
himalayani, l'Everest (8846 metri) e il Lhotse (8505). Su quel
ghiaccio il 3 maggio saranno piantate le tende laboratorio di
«E.A.S.T. 1997», spedizione scientifico-alpinistica del Cnr. E i
fisiologi, con l'aiuto di alpinisti-cavie, daranno la caccia
all'«energia invisibile». L'interrogativo e': come puo' l'uomo
trovare la forza di affrontare una scalata oltre gli 8000 metri,
oltre cioe' l'altitudine che consentirebbe soltanto di sopravvivere e
anche per poco tempo? I test alla «porta dell'infinito» saranno
semplici, ma basilari. E verranno poi confrontati con quelli fatti
prima della partenza dall'Italia, durante la spedizione e al ritorno.
Al Colle Sud scienziati e alpinisti staranno due giorni, quindi gli
scalatori tenteranno la salita al Lhotse senza ossigeno. Lo faranno
per una via nuova, dal Colle appunto, lungo una cresta di ghiaccio e
roccia che mai nessuno ha finora affrontato, sia per la pericolosita'
(enormi calotte pensili sul versante cinese), sia per la lunghezza.
Il capo spedizione e' Agostino Da Polenza, ma ci saranno anche due
guide valdostane, Abele Blanc, un veterano dei progetti Cnr in
Himalaya, Clavel Arnaud, e un gruppo dei Ragni di Lecco. Al Colle Sud
per due giorni si sottoporranno ai test dei fisiologi: continui
mini-prelievi del sangue dal lobo dell'orecchio sia in condizione di
riposo sia di sforzo. I fisiologi cercano risposte dal funzionamento
del cuore, dalle capacita' respiratorie e dal metabolismo. Il mistero
dell'energia nascosta riguarda la mancanza di ossigeno, l'ipossia
cronica, dovuta appunto a una lunga permanenza a quote molto elevate.
Ipossia cronica che origina anche un paradosso scientifico,
conosciuto come «lactate paradox»: in quella situazione si registra
una diminuzione di glicolisi anaerobica, quindi di lattato nel sangue
che non dovrebbe invece verificarsi. Il lattato, cioe' l'energia di
cui potrebbe disporre l'alpinista, diminuisce proprio in assenza di
ossigeno, tanto che in cima all'Everest il consumo di ossigeno e'
ridotto del 75 per cento rispetto al livello del mare. In queste
condizioni come puo' l'uomo vivere e soprattutto faticare?
L'interrogativo qualche anno fa non si poneva neppure: sopravvivenza
e fatica erano considerate impossibili sull'Everest. L'impresa di
Messner che nel 1975 arrivo' in vetta senza ossigeno non venne
creduta in un primo tempo, poi, dopo le prove inequivocabili,
comincio' la ricerca. Molti test sono gia' stati fatti, ma a partire
dal 1990 gli esperimenti sono cominciati ad alta quota. Proprio nella
vallata del kumbu, quella chiusa dai massicci di Everest e Lhotse. A
5050 metri il Cnr ha costruito la piramide-laboratorio, un gioiello
di tecnica medica e autosufficienza energetica. Anche in questa
spedizione sara' la piramide il centro scientifico di coordinamento.
Le tende del Colle Sud saranno in costante contatto. Il campo-base
della spedizione e' quello solito dell'Everest, a 5400 metri, accanto
alla «Ice Fall», la cascata di ghiaccio come e' stata battezzata
l'enorme seraccata del ghiacciaio Kumbu. I test di fisiologia, oltre
a tentare di svelare il mistero dell'«energia invisibile», serviranno
anche per programmi alpinistici futuri. L'alpinismo ai massimi
livelli dopo aver conquistato le piu' alte vette del mondo, adesso
vuole tentare anche, a oltre 8000 metri, le concatenazioni, imprese
cioe' che hanno come obiettivo la salita di piu' vette. Proprio a
maggio la «porta dell'infinito» sara' testimone di una singolare
concentrazione di spedizioni. Con gli alpinisti del progetto
«E.A.S.T.» ci saranno anche tre climber che si sfideranno nella
traversata tra Everest e Lhotse, un'arrampicata che si svolge per
almeno una giornata oltre gli 8000: Reinhard Patsheider, Simone Moro
e Anatolj Bukreev. Enrico Martinet
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. MILANO-BRESCIA
Sessanta chilometri di autostrada sottoterra?
In molti Paesi del mondo sono gia' numerosi i concreti esempi di
infrastrutture ipogee
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI tecnologia, trasporti
ONOMI DE SIMONE FERNANDO
OORGANIZZAZIONI NOCOM, STUDIO EKO, AUTOSTRADA MILANO BRESCIA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology, transport
C'E' un progetto che a prima vista appare fantascientifico: costruire
il raddoppio dell'autostrada Milano-Brescia (ormai sovraffollata)
tutto sottoterra, in una galleria di 60 chilometri. In realta' si
tratta di un'idea ormai molto concreta, da tempo all'esame dei
tecnici e degli enti pubblici locali. Negli ultini anni la tecniche
di scavo e di costruzione nel sottosuolo hanno fatto passi
giganteschi divenendo economicamente convenienti per un ventaglio
sempre piu' ampio di applicazioni. Gli esempi vengono in prevalenza
dalla Norvegia, paese che ha accumulato una vasta esperienza in
questo campo da quando, nel 1912, e' cominciato lo scavo per la
metropolitana di Oslo. Il piu' noto e' rappresentato dalla «caverna»
di Lillehammer dove per le Olimpiadi invernali del '94 e' stato
allestito un palazzo del ghiaccio lungo 91 metri, largo 61 e alto 25
da 6000 spettatori. Ma altre opere notevoli sono ormai sparse in
tutto il paese, cone il doppio tunnel stradale di 1800 metri e sei
corsie che percorre sottoterra e sott'acqua l'intero fronte a mare
della capitale, o come le gallerie di Aalesund e Vigra che collegano
tre isole norvegesi con una strada a 140 metri sotto il mare. Con i
loro otto chilometri complessivi sono i piu' lunghi tunnel del genere
mai costruiti al mondo, ma saranno surclassati quando sara'
completato il tunnel autostradale fra Auerland e Laerdal, 24,5
chilometri, che sta per iniziare. Sono tutte opere realizzate dal
gruppo industriale Nocom, che ha ormai accumulato in questo campo un
ampio know-how. Oslo ha ben 10 chilometri di strade sotterranee che
collegano la citta' alla periferia; il vantaggio e' quello di
eliminare dal centro le auto e il relativo inquinamento; ma la
Norvegia ha ormai imparato a mettere sottoterra molte altre cose: per
esempio gli inceneritori che in superficie incontrano l'opposizione
delle comunita' locali, gli impianti di depurazione delle acque
reflue, quelli di trattamento delle acque potabili, magazzini
alimentari, parcheggi, cinema, supermercati. Costruzioni sotterranee
o sottomarine esistono in molti paesi europei, in Usa, in Canada. In
Svizzera e' allo studio una rete ferroviaria che dovrebbe correre
interamente nel sottosuolo. A proporre la Milano-Brescia in
sotterranea e' il gruppo Nocom attraverso lo studio Eko di Padova
dell'architetto Fernando De Simone. I vantaggi della soluzione in
galleria, secondo i proponenti, sono molteplici: non ci sono problemi
di esproprio perche' il sottosuolo e' libero da vincoli di
proprieta', il tracciato puo' essere disegnato senza preoccuparsi di
costruzioni preesistenti, viene eliminato alla radice il problema
nebbia che nella zona e' molto grave; d'altra parte la tecnologia
messa a punto dalla Nocom consente l'eliminazione dei gas di scarico
delle auto con una combinazione di filtri elettrostatici, camini di
ventilazione e brevi tratti a cielo aperto intercalati ai piu' lunghi
tratti in galleria. Secondo i tecnici della Nocom in Italia la
tecnologia delle costruzioni sotterranee potrebbe contribuire a
risolvere un gran numero di problemi: la citta' di Como, per esempio,
sta costruendo in caverna la nuova centrale di potabilizzazione
dell'acquedotto; in Liguria, regione poverissima di spazi
pianeggianti, sono in corso studi per collocare in caverna,
depuratori, inceneritori e grandi serbatoi di acqua prelevata durante
la stagione delle piogge per utilizzarla in estate. Chi visita Genova
non puo' non recriminare per l'oscena sopraelevata che ammazza la
parte piu' suggestiva della citta' e la taglia fuori dal suo porto,
cosa tanto piu' irritante oggi che l'antico bacino sta ridiventando
un punto di attrazione formidabile con l'Acquario, le frequenti
mostre ai restaurati «Magazzini del cotone» e tante altre iniziative.
La citta', ovviamente non potrebbe fare a meno di una strada di
scorrimento veloce. Perche', dunque, non pensare seriamente a un
tunnel sotto il porto? Vittorio Ravizza
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. TROPPI RUMORI IN MARE
Baccani sottomarini
Possibili disturbi alle specie pelagiche
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia, mare
ONOMI CLARK CRISTOPHER
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology, sea
L'INQUINAMENTO acustico e' un male dei nostri tempi. Quando si entra
in una discoteca oppure si mette piede in una sala o in una piazza
dove una folla di scalmanati urla a squarciagola le note emesse dagli
altoparlanti a tutto volume, le persone tranquille disabituate a
questo tipo di aggressione canora vengono prese da un senso di
disagio. E se il rumore si mantiene a lungo al di sopra della nostra
soglia uditiva, hanno dapprima una sensazione di dolore, poi
rischiano addirittura la sordita'. Molto meglio assistere allo stesso
concerto stando comodamente seduti in poltrona davanti alla
televisione in casa propria, dove si puo' regolare il volume della
voce col telecomando! Probabilmente non ci siamo mai posti il
problema. Ma, allo stesso modo come in terraferma, l'inquinamento
acustico va aumentando dovunque. Anche nel mare. L'immenso dominio
acquatico che abbiamo sempre considerato come un mondo a se', capace
di assorbire per le sue fantastiche dimensioni anche le scorie della
nostra civilta', e' sottoposto ad un bombardamento di rumori sempre
crescente. L'aumentato traffico commerciale di navi di tutti i tipi,
le esplosioni per la ricerca delle fonti petrolifere sottomarine, gli
impianti di trivellazione, sono tutti elementi di disturbo, di cui
non siamo in grado di valutare la portata, per gli organismi che
vivono nel mare. Come se non bastasse, ci si mettono anche gli
scienziati con il progettato «termometro acustico dei climi oceanici»
che dovrebbe monitorare le temperature oceaniche registrando il tempo
che impiegherebbe un forte suono appositamente prodotto per
attraversare il Pacifico. Non e' affatto escluso che tutti questi
rumori possano interferire nella ricerca del cibo, nella crescita o
nella migrazione di molti animali marini. Quel che sappiamo di certo
e' che gli animali acquatici della stessa specie, per lontani che
siano, dialogano tra loro. Si scambiano messaggi per mantenere i
contatti tra i vari membri del branco. E' finita da un pezzo l'epoca
in cui il mare veniva chiamato il mondo del silenzio. Quando gli
studiosi immersero per la prima volta un idrofono nelle acque
azzurrine dell'oceano, questo apparecchio capace di captare i suoni
subacquei, registro' un'incredibile varieta' di voci, mugghii,
ronzii, grugniti e canti. Parlano molti pesci, ma i piu' loquaci di
tutti sono senza dubbio i cetacei. Cristopher W. Clark, uno dei
maggiori esperti di comunicazione acustica dei cetacei, ha studiato
in particolare la voce della balena boreale (Balaena mysticetus), la
piu' ciarliera della famiglia dopo le megattere, e ha scoperto che
questo gigante del mare, lungo quasi venti metri, possiede un
repertorio musicale straordinariamente complesso. La sua voce
abbraccia nientemeno che sette ottave. E' ben misera cosa al
confronto la nostra che si estende solo per un'ottava o poco piu'. Le
balene boreali trascorrono i mesi piu' rigidi dell'anno nel Mare di
Bering. Sul finire dell'inverno, si spostano lungo la costa orientale
del Mare dei Ciukchi, passano attraverso i ghiacci al largo della
Punta Barrow, in Alaska e raggiungono il mare di Beaufort, a circa
milleottocento miglia dal punto di partenza. Ma questa migrazione si
svolge in un mondo di ghiacci dove la visibilita' e' ridotta al
minimo, soprattutto durante la lunghissima notte artica. Ed e'
naturale che in un ambiente simile l'unico mezzo per mantenersi a
contatto sia la voce. I suoni si propagano nell'acqua cinque volte
piu' rapidamente che nell'aria. Ed e' questo il motivo per cui i
richiami delle balene si diffondono in un tempo record a centinaia di
chilometri di distanza. Tutto questo succede da milioni di anni. Ed
e' probabile che i canti delle balene si siano evoluti nel tempo
proprio perche' potevano diffondersi in spazi immensi ancora
incontaminati. Anche quando la specie umana compare sulla terra, le
cose rimangono piu' o meno invariate. Ma e' negli ultimi anni, con lo
sviluppo frenetico della tecnologia che la situazione cambia di
colpo. Cosa succede infatti, da qualche tempo, nelle zone dell'oceano
attraversate da un continuo flusso di navi commerciali? Il forte
rumore delle petroliere e delle pesanti navi portacontainer, compreso
dai trenta ai duecento hertz, e' un rombo a bassa frequenza
paragonabile a quello che si estende dalla nota piu' bassa del
pianoforte al medio registro di un violoncello. E' soprattutto
nell'emisfero settentrionale che il traffico e' aumentato portando il
livello del rumore dai 75 agli 85 decibel. Quale effetto puo'
produrre nei cetacei questa accresciuta rumorosita' del loro habitat?
Probabimente ne risentono meno gli odontoceti, cioe' i cetacei
provvisti di denti come i delfini o le orche. Ma la maggior parte
delle altre balene (misticeti) e' probabile sia piu' sensibile alle
basse frequenze e quindi ai rumori di disturbo prodotti dall'uomo.
C'e' da domandarsi se con l'interferenza di questi forti rumori le
balene riescano ancora a recepire i messaggi che i loro compagni
lanciano da lontano. E nella stagione riproduttiva si tratta di
segnali della massima importanza per la riproduzione della specie. Si
tratta infatti di richiami sessuali che servono a facilitare
l'incontro tra i partner. Sta di fatto che mentre la popolazione
della balena franca australe aumenta ogni anno dal cinque al sette
per cento, quella della balena franca boreale aumenta soltanto
dell'un per cento. A queste preoccupazioni se ne aggiunge ora una
molto piu' grave. La Marina statunitense ha in programma un
nuovissimo sistema sonar capace di individuare i sottomarini nemici.
Un sistema terrificante che sottoporrebbe i cetacei ad un
inquinamento acustico miliardi di volte (sic) superiore a quello
attuale. Naturalmente un ordigno del genere danneggerebbe in modo
imprevedibile anche moltissime altre specie marine. Per fortuna il
progetto e' stato per ora bloccato e la parola decisiva sulla sua
attuazione spettera' agli ambientalisti. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ANCORA SUL GENE DELL'OBESITA'
I ciccioni e la termogenesi
Se cala il calore corporeo aumenta il grasso
OAUTORE COHEN ESTER
OARGOMENTI genetica, ricerca scientifica
ONOMI RICQUIER DANIEL, WARDEN CRAIG
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS genetics, research
IINGRASSARE o dimagrire pare non sia piu' tanto una faccenda di
diete. Gia' un paio d'anni fa la scoperta del «gene dell'obesita'»,
aveva sollevato molti, se non dai chili in eccesso, almeno dai sensi
di colpa, addossando le responsabilita' al bagaglio genetico
ereditato. Adesso una equipe di ricercatori francesi e americani ha
scovato un altro gene che produce una proteina in grado di «bruciare»
i grassi. Questo spiegherebbe perche' ci sono persone che possono
mangiare a sazieta' restando invidiabilmente snelle e altre che
aumentano le rotondita' pur tirando avanti a insalate scondite. «Da
tempo conoscevamo l'esistenza dell'Upc1 - dice Daniel Ricquier
dell'Istituto di Endocrinologia Molecolare del Centro nazionale delle
ricerche scientifiche di Parigi che ha condotto la ricerca in
collaborazione con Craig H. Warden della Davis University in
California -, un gene che nei mitocondri, cioe' negli organi
cellulari preposti agli scambi energetici, gioca un importante ruolo
nel metabolismo degli zuccheri e nella regolazione della temperatura
corporea: in pratica del consumo di calorie. Ma curiosamente l'Upc1
si trova soltanto nel grasso bruno, un tipo di tessuto adiposo
praticamente assente nell'uomo adulto». Nel corpo umano vi sono
infatti tre tipi di grasso: quello «strutturale» che fa parte
integrante di membrane e organi cellulari, quello bianco, riserva
energetica che nelle persone di peso normale dovrebbe costituire
circa il dieci per cento del peso corporeo, e quello bruno, capace di
bruciare velocemente trasformandosi in calore che pero' si trova
soltanto nel neonato, intorno alle scapole, per difenderlo dal
freddo, e negli animali che vanno in letargo e che se ne servono al
risveglio dopo un inverno di digiuno. «Il mio laboratorio - racconta
Ricquier - studiava da anni il grasso bruno. Come mai, ci siamo
domandati, se l'adulto ne e' privo, alcuni di noi ''bruciano'' di
piu' mentre altri ingrassano anche se sono a dieta? Ci doveva pur
essere qualcosa di simile all'Upc1 del grasso bruno ma questa volta
presente in tutti i tessuti». Anche per gli organismi viventi vale la
prima legge della termodinamica secondo la quale non viene creata ne'
distrutta energia nei vari passaggi del metabolismo. Cio' che
mangiamo viene scomposto e assorbito nell'apparato digerente. Entrato
in circolo raggiunge le cellule dove viene in parte usato subito e
trasformato in calore e in parte viene immagazzinato come grasso. Nel
corpo umano dunque, la produzione di calore proviene
dall'alimentazione, dalla contrazione muscolare, quella che ci fa
sentire caldo durante uno sforzo fisico, e dagli ormoni: uno spavento
ci fa sudare perche' abbiamo una scarica di adrenalina che e' appunto
un ormone surrenale. C'e' poi una regolazione «superiore» del
cervello, a livello ipotalamico, che modula il tutto, per esempio
attraverso i centri della fame e della sazieta'. Si perde invece
calore con la traspirazione, attraverso le vie respiratorie e persino
con le feci e l'urina. E' questo «bilancio termico» a far si' che
abbiamo una temperatura corporea costante. E solo grazie a questa,
frutto di un raffinatissimo processo acquisito dagli animali a sangue
caldo e dall'uomo durante l'evoluzione, che possono avere luogo tutti
gli scambi biochimici alla base della vita. Gia' nel 1783 Lavoisier e
Laplace avevano capito che la bilancia energetica dipendeva dal
rapporto fra assunzione di cibo e spesa energetica, e avevano
collegato il fatto che ci fossero persone piu' grasse di altre a una
sua alterazione. Dal secolo dei Lumi alla scoperta del Dna, che ha
permesso un approccio ereditario al problema, sono state formulate
diverse ipotesi: che sia la temperatura interna a regolare il peso
corporeo e l'accumulo dei grassi; che sia invece la quantita' di
zuccheri assunti, ovvero la glicemia; che sia, infine, il cervello
stesso a dirigere il traffico, in base a segnali ricevuti dal tessuto
adiposo. Nel 1995 il laboratorio del dottor Jeffrey Friedman della
Rockefeller University di New York ha individuato sul ratto il gene
OB che porta le istruzioni per una proteina, la leptina, una sorta di
ormone implicato nella formazione delle cellule adipose. Il livello
di attivita' di questo gene era molto piu' alto nei ratti obesi. Un
gene OB e' stato isolato anche negli umani ma resta ancora da
dimostrare che sia presente in tutti i membri di famiglie con
obesita' ricorrente e che sia assente in chi non e' obeso. Anche se
si riuscisse a provarlo non e' ancora detto che sia un solo gene a
provocare la malattia e non piuttosto, come si e' gia' visto per
altre patologie, un pool di geni in collaborazione. In questa
direzione andrebbe la scoperta dell'Upc2, testato sia nei ratti obesi
sia in quelli resistenti alle diete ricche di grassi, dove ha
mostrato una notevole influenza nella regolazione del peso corporeo.
«L'Upc2 - continua Ricquier - e' per il 59 per cento identico
all'Upc1 del grasso bruno ma si trova in gran parte dei tessuti umani
dell'adulto compresi quelli del sistema immunitario: siccome nei
processi infettivi e infiammatori si ha rialzo termico, non e'
escluso che i nostri studi possano dare un nuovo indirizzo anche in
questo senso. Abbiamo localizzato il gene sul cromosoma 7 del topo e
nell'uomo sull'11, cromosomi gia' peraltro collegati a obesita' e
diabete. Noi riteniamo che l'Upc2 agisca regolando la termogenesi e
quindi la quantita' di grasso bruciato». «E' stato provato che quando
la produzione di calore viene diminuita gradualmente, anche soltanto
dell'uno per cento nel corso di un anno, il soggetto ingrassa, a
parita' di dieta, di tre chili. Intorno alla possibilita' di regolare
la termogenesi, dunque, modulando l'attivita' dell'Upc2 - conclude
Ricquier - noi pensiamo si aprano nuove prospettive. Non solo nella
lotta all'obesita', al diabete e alle malattie infiammatorie ma piu'
in generale per tutti i problemi di inestetico e poco salubre
sovrappeso: per questo siamo gia' subissati da richieste delle
maggiori multinazionali farmaceutiche». Ester Cohen
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. FISICA
Inedite trasmissioni termiche
OAUTORE CARTELLI FEDERICO
OARGOMENTI fisica
ONOMI REGGIANI LINO
OORGANIZZAZIONI UNIVERSITA' DI LECCE
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, LECCE (LE)
OSUBJECTS physics
NEL campo della struttura della materia, importante scoperta di un
gruppo di ricercatori della facolta' di ingegneria dell'Universita'
di Lecce: esiste un materiale che possiede proprieta' di conduzione
del calore non dipendenti dalla natura del materiale stesso ne' alla
sua forma, ma dipendenti solo dalla temperatura. La ricerca rientra
nello studio del comportamento delle particelle piu' piccole (gas di
elettroni) all'interno della materia. La tendenza a miniaturizzare i
dispositivi elettronici, sino a raggiungere dimensioni di milionesimi
di millimetro e' ormai una costante della ricerca scientifica e
tecnologica attuale: si pensi alla commercializzazione di calcolatori
sempre piu' veloci e potenti e di strumenti di telecomunicazione
rapidi e sofisticati. La scoperta dei ricercatori dell'Universita' di
Lecce, guidati da Lino Reggiani, docente di Struttura della materia,
e membro dell'Istituto nazionale di fisica della materia, consiste
nella determinazione di una unita' fondamentale di conduttanza
termica di un gas di elettroni. La conduttanza termica rappresenta la
proprieta' di un sistema a condurre calore quando viene sottoposto ad
una certa gradazione di temperatura. La quale, come per quella
elettrica, assume un'importanza primaria per caratterizzare le
proprieta' di un materiale. Ad una certa temperatura infatti, in
condizioni macroscopiche, la proprieta' di conduzione di calore
dipende sia dal tipo di materiale sia dalla sua forma geometrica.
Questo, sappiamo ora, non e' piu' vero in condizioni
sub-microscopiche: la conduttanza termica diventa indipendente dal
materiale e anche dalla sua forma. La definizione di una unita'
fondamentale di conduttanza termica, oltre alle implicazioni
scientifiche di base, apre interessanti prospettive nel campo della
metrologia (disciplina che riguarda la scienza della misura). Se ne
e' gia' avuto un riscontro sperimentale in alcune misure effettuate
nei laboratori della Philips, la multinazionale olandese di
Eindhoven. L'importanza della scoperta e' paragonabile a quella del
fisico polacco Klaus Von Klitzing. Viene infatti confermata ed estesa
alla termodinamica, la validita' di cio' che fu ottenuto nel 1980 da
Von Klitzing per la conduttanza elettrica, sempre in condizioni
sub-microscopiche. Il fisico polacco (premiato con il Nobel) era
stato l'artefice della scoperta del cosiddetto effetto Hall
quantistico, associato alla variazione della conducibilita' elettrica
in presenza di un campo magnetico. E' nella fisica dei quanti che i
comportamenti degli elettroni si rivelano spesso del tutto diversi da
quelli che si manifestano in condizioni normali. Federico Cartelli
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. COME NUTRIRSI BENE
L'amido? Molto meglio dello zucchero
Un carboidrato complesso associato a fibre, proteine, sali
OAUTORE CARDANO CARLA
OARGOMENTI alimentazione
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS nourishment
OGGI leggiamo sui prodotti alimentari tabelle nutrizionali sempre
piu' particolareggiate, che sono andate affermandosi di pari passo
con la comparsa sul mercato di molti cibi «nuovi». Puo' sembrare
un'impresa faticosa acquistare qualcosa non alla cieca, considerando
ormai doverosa la lettura delle quasi onnipresenti tabelle e la
molteplicita' delle offerte. Per orientarsi fra i tanti prodotti in
vendita e' utile pensare allora come prima cosa (faremo in seguito
un'analisi piu' dettagliata) all'ingrediente comune di cui sono
fatti: cosi' la pasta e il pane derivano dalla farina e questa dal
grano, e cio' vale anche per moltissimi altri cibi che oggi si
presentano sotto mille forme diverse. Uno sguardo a partire dal
lontano passato fino ai nostri giorni ci indica poi nel grano e nei
cereali in genere la piu' diffusa ed economica fonte di prodotti
alimentari a ruolo energetico, per le loro caratteristiche di
adattamento ambientale in climi diversi, facile conservazione dei
semi ecc. Frumento, riso, mais sono stati e sono infatti alla base
dell'alimentazione di quasi tutti i popoli. Ma esistono in natura
numerose altre strutture vegetali di cui e' evidente la funzione di
riserva: cosi', oltre ai semi dei cereali, abbiamo i piselli, i
fagioli e gli altri legumi, poi le castagne, le banane e i fusti
sotterranei come i tuberi di varie piante, prima fra tutte la patata.
Tutti questi prodotti contengono lo stesso principio nutritivo in
quantita' molto abbondante: si tratta di un carboidrato complesso
chiamato amido. L'amido e' una molecola di grandi dimensioni
tipicamente sintetizzata dagli organismi vegetali a partire da
molecole di glucosio (zucchero semplice), che vengono unite insieme
un po' come le perle di una collana; ci si puo' domandare quale
vantaggio esso presenti per la pianta, rispetto al glucosio, come
sostanza di riserva, essendo di gran lunga piu' diffuso: esso e', per
cosi' dire, una sostanza «disidratata», visto che per ogni unita' di
glucosio aggiunta alla «collana» viene eliminata una molecola
d'acqua. Cio' comporta una minore massa rispetto alle unita' di
glucosio libere, cosa di notevole importanza per la vita della pianta
in certe circostanze; si pensi ad esempio ai semi che devono essere
trasportati lontano. Quale ruolo ha invece l'amido nella nostra
alimentazione? Come gia' detto, esso e' una sostanza che fornisce
energia; ma questo si puo' dire anche degli zuccheri semplici.
Perche' allora non lasciare che i piu' golosi sostituiscano
tranquillamente il pane con lo zucchero filato o la pasta con i
pasticcini? Si ritiene per varie ragioni che i cibi ricchi di amido
siano quasi sempre da preferire a quelli ricchi di zuccheri. In primo
luogo la digestione dell'amido, molto piu' lenta, oltre a mantenere a
lungo il senso di sazieta', permette un controllo piu' facile sulla
concentrazione di glucosio nel sangue (glicemia) da parte
dell'organismo. Per di piu' l'amido e' associato gia' in natura ad
altri principi nutritivi come fibre, proteine, vitamine e sali
minerali, circostanza, questa, che si verifica molto di rado per gli
zuccheri semplici. Infine l'azione di questi ultimi sui denti sembra
davvero essere piu' deleteria. Pare infatti che i batteri coinvolti
nell'origine della carie si mostrino molto piu' propensi a entrare in
azione quando c'e' dello zucchero disponibile. E allora, che cosa
aspettiamo? Bando alle caramelle e gustiamoci un bel piatto di pasta,
o, perche' no, una pizza al pomodoro! Carla Cardano
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA
LE PAROLE DELL'INFORMATICA «A»
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science
Assembler. L'assembler e' un linguaggio di programmazione molto
simile, come struttura, al linguaggio di macchina, ossia a quel
linguaggio composto da due soli simboli, 0 e 1, che i calcolatori
sono in grado di interpretare ed eseguire. I programmatori dei
calcolatori delle prime generazioni, nella seconda meta' degli Anni
40 e nella prima meta' degli Anni 50 scrivevano i loro programmi
esattamente nel linguaggio di macchina, con un'istruzione per ogni
operazione elementare che si voleva eseguire, adottando esattamente
il codice binario specifico della macchina per la quale lavoravano.
Ma si comprese ben presto che occorrevano strumenti opportuni per
ridurre la noia e il tasso di errore, e soprattutto per accrescere la
produttivita' dei programmatori. Il linguaggio di assemblaggio o
assembler fu il primo di questi strumenti. Adottando l'assembler, il
programmatore deve ancora scrivere tante istruzioni quante sono le
operazioni elementari che il calcolatore deve eseguire, nell'ordine
in cui dovranno essere eseguite. Vi e' quindi una corrispondenza
esatta, «uno a uno», fra le istruzioni del programma assembler e le
istruzioni del programma di macchina. Ma il programmatore non e' piu'
costretto a ricordare i codici di tutte le istruzioni, e puo'
utilizzare codici-alfabetico- mnemonici, scrivendo, ad esempio, ADD
anziche' 0101, o SUB anziche' 0111, e cosi' via. Analogamente, per
indicare una delle unita' di memoria fondamentali, il «registro»,
puo' scrivere Regc, come «registro C», anziche' il codice binario del
registro stesso. In secondo lungo, il programmatore non e' piu'
costretto a ricordare in quali celle della memoria centrale sono
allocate le singole variabili, ma puo' utilizzare, per le stesse
variabili, nomi simbolici da lui stesso definiti. Poiche' il
calcolatore puo' interpretare soltanto il inguaggio di macchina, il
programma scritto in assembler deve essere tradotto nello stesso
linguaggio di macchina da un opportuno programma traduttore, chiamato
anch'esso assembler o «assemblatore». Cosi' la stessa parola indica
sia il linguaggio che lo strumento per la traduzione del linguaggio.
Il limite dell'assembler, che richiede la scrittura di una istruzione
per ogni operazione elementare, venne superato con l'avvento dei lin
guaggi ad alto livello come il Basic, il Pascal, l'Algol o il
Fortran. Benche' la programmazione in assembler sia piu' difficile e
onerosa della programmazione nei linguaggi ad alto livello, questo
linguaggio si utilizza ancora oggi per realizzare piccoli moduli
software, in virtu' del fatto che il programma generato da un
assemblatore e' piu' piccolo e veloce di quello prodotto con un
linguaggio ad alto livello.
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ESPERIMENTI A TORINO
I numeri magici della natura
Verifiche di estrema precisione sulle «costanti»
OAUTORE NOVERO CARLO
OARGOMENTI fisica, astronomia
ONOMI DIARC PAUL ADRIEN MAURICE
OORGANIZZAZIONI ISTITUTO ELETTROTECNICO NAZIONALE GALILEO FERRARIS
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OTABELLE D. Evoluzione cosmica di una stella
OSUBJECTS physics, astronomy
PAUL Adrien Maurice Dirac aveva da poco ricevuto il premio Nobel per
la fisica per il suo contributo alla nascita dell'elettrodinamica
quantistica quando, nel 1937, enuncio' quella che sarebbe poi
divenuta universalmente nota come l'ipotesi dei grandi numeri.
Probabilmente non pensava, allora, che la sua speculazione puramente
teorica avrebbe aperto una branca di indagine nella fisica
sperimentale. Alla base dell'ipotesi di Dirac c'era la constatazione
che l'eta' dell'universo e un opportuno rapporto di costanti
fondamentali (legato al rapporto di intensita' delle forze
gravitazionale ed elettromagnetica) sono all'incirca uguali in
numero: questo suggeri' a Dirac che tale numero fosse a sua volta una
costante, in un certo senso piu' fondamentale delle altre. Se cosi'
e', tuttavia, bisogna essere pronti ad accettare che le costanti che
noi supponiamo da sempre fondamentali cambino di valore nel tempo,
poiche' il tempo di vita dell'universo e' una quantita' in continuo
aumento e, secondo alcune ipotesi, cambiano anche le sue dimensioni.
Quanto sia inquietante questa ipotesi e' comprensibile: le costanti
fondamentali della fisica sono come i mattoni costitutivi della
natura e la loro inalterabilita' nel tempo e' da sempre garanzia che
le leggi della natura siano universali e inalterabili. Si pensi, per
esempio, all'importanza che ha la velocita' della luce nel mondo
fisico. L'ipotesi di Dirac fin dal suo nascere fu sottoposta a
verifiche sperimentali stringenti. Una delle ultime in ordine di
tempo e' stata fatta a Torino, all'Istituto Elettrotecnico Nazionale
Galileo Ferraris, usando un orologio atomico prototipo di nuova
concezione. Non e' un caso che alla base di tutto questo ci sia uno
strumento misuratore del tempo: di tutte le grandezze fisiche, il
tempo e' quella misurata con la maggior accuratezza. Gli orologi
atomici di ultima generazione, che danno il tempo a tutto il mondo,
«sbagliano» di un secondo in alcuni milioni di anni e quelli in
progetto e che potrebbero entrare presto in funzione porteranno
questo limite ad alcune decine di milioni. E' l'atomo di un elemento
poco noto, il cesio, a dare agli orologi atomici tanta precisione
accuratezza. In realta' non e' poi cosi' vero che il cesio sia poco
noto: uno dei suoi isotopi, il 135, e' fortemente radioattivo ed e'
uno dei protagonisti piu' temuti degli incidenti nucleari. Quello che
si trova dentro gli orologi, pero', e' l'isotopo 133, che e'
completamente inerte. Non c'e' macchina piu' tranquilla di un
orologio atomico: e' pericoloso solo se cade su un piede, perche' e'
un'apparecchio piuttosto pesante. Il nuovo orologio atomico in via di
realizzazione all'Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris
e' un prototipo del tutto diverso dagli altri orologi: e' l'atomo di
magnesio a garantirgli accuratezza, e proprio questa caratteristica
ha consentito di misurare l'eventuale variazione nel tempo del valore
di alcune costanti fondamentali. Nella ricerca di incertezze sempre
piu' ridotte ci si accorse, vent'anni fa, che gli atomi degli
elementi della seconda colonna del sistema periodico, i metalli
alcalino-terrosi, hanno alcune transizioni di livello energetico che
da una parte piacciono particolarmente agli «orologiai», perche'
hanno le caratteristiche necessarie per conferire a un orologio
stabilita' e accuratezza, ma dall'altra sono basate su combinazioni
di costanti fondamentali diverse da quelle che reggono le transizioni
degli elementi della prima colonna, dove sta il cesio. La meccanica
quantistica permette di scrivere le espressioni teoriche delle
transizioni del cesio e del magnesio e ne risultano due formule
matematiche piuttosto complesse, in cui compaiono molte costanti
fondamentali, come la velocita' della luce, la massa dell'elettrone,
la massa del protone. Le singole espressioni sono molto complicate,
ma il loro rapporto e' un'espressione molto piu' semplice: restano
soltanto la massa del protone, la massa dell'elettrone e una
quantita' caratteristica del nucleo dell'atomo di cesio che si chiama
rapporto giromagnetico. Quindi, se queste costanti variassero nel
tempo, i due diversi orologi dovrebbero discostarsi. Per oltre un
anno nei laboratori torinesi si sono confrontate le frequenze delle
transizioni del cesio e del magnesio e se ne e' misurato il rapporto,
per vedere se esso si manteneva stabile o no. Dopo 400 giorni di
misurazione e' risultato che, se c'e' una variazione nel rapporto
delle due frequenze e quindi una variazione nel tempo di queste
costanti fondamentali, questa dev'essere piu' piccola di una parte su
diecimila miliardi. E' come dire che dovremmo attendere almeno cento
miliardi di anni per vedere variare dell'uno per cento la
combinazione. Ma i risultati non si fermano qui. Dalle misure di
frequenza, dai dati ottenuti in altri esperimenti,e da misurazioni di
astrofisica si puo' fissare un nuovo limite per la variazione nel
tempo di un'altra costante fondamentale, la costante di struttura
fine. E', questa, una costante quasi ignota al grande pubblico ma di
fondamentale importanza: essa e' legata alla struttura delle
transizioni atomiche e ha una importanza fondamentale nel determinare
parecchie cose del mondo fisico, a cominciare, per esempio, dalle
dimensioni degli atomi. Anche per la costante di struttura fine si e'
trovato a Torino che la variazione massima possibile, compatibile con
i dati osservativi delle frequenze del cesio e del magnesio,
all'incirca e' quella delle costanti precedenti. In conclusione, o
queste costanti fondamentali non variano con il tempo, almeno nei
limiti sopra indicati, o si dovra' lavorare ancora molto per
«misurare» il sospetto di Dirac. Carlo Novero Istituto Elettrotecnico
Nazionale Galileo Ferraris, Torino
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
«G» COME GRAVITA'
L'arcana colla dell'Universo
OAUTORE DE MARCHI ANDREA, LESCHIUTTA SIGFRIDO
OARGOMENTI fisica, astronomia
ONOMI NEWTON ISAAC
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics, astronomy
LE costanti fondamentali possono essere viste come intermediari tra
fisica e ingegneria, cioe' tra le equazioni che esprimono i modelli
fisici del mondo che ci circonda e la trasformazione di quelle
relazioni in oggetti che usiamo, siano essi treni o televisori.
Abbiamo tre categorie di costanti fondamentali. Nella prima si
trovano codificate certe caratteristiche della Natura, come la carica
di un elettrone e la velocita' della luce. Nella seconda ci sono le
costanti che governano i passaggi tra le proprieta' atomiche,
microscopiche della materia e quelle macroscopiche. Tra queste c'e'
per esempio la costante dei gas, R, che in funzione di temperatura,
numero di molecole e volume della gomma di un auto, fornisce la
pressione del pneumatico. Nella terza ci sono quelle che legano
«capitoli» diversi della fisica, come la costante di Planck, che
collega l'energia con il tempo, la costante di Boltzmann, che collega
l'energia con la temperatura o la costante di gravitazione universale
G, che lega la massa di due oggetti alla forza che si scambiano.
Quest'ultima costante e' quella che tiene assieme l'Universo, regola
l'evoluzione e i moti delle stelle e piu' prosaicamente si manifesta,
nei dintorni del nostro pianeta, tramite l'accelerazione di gravita'
che fa cadere al suolo ogni oggetto lasciato libero. Il valore di G
solleva sottili problemi conoscitivi (chi ci garantisce che G, non
cambi con il tempo se l'universo si espande?) ed e' indispensabile
nella navigazione spaziale. Tutti i calcoli di orbite attorno alla
Terra o nello spazio profondo richiedono la conoscenza di questa
elusiva costante, che fu introdotta da Newton attorno alla meta' del
'700, stimata da Maskeline usando come forza l'attrazione di una
montagna e misurata da Cavendish alla fine del '700. Questa costante
e' tra noi da due secoli, ma in 200 anni la sua misura e' migliorata
meno di un fattore 100. La misura di G richiede la valutazione degli
effetti gravitazionali di un corpo ben conosciuto (in forma e
costituzione), e quindi necessariamente piccolo, con la conseguenza
che produce effetti molto lievi. Per avere un'idea di quanto
minuscoli possano essere questi effetti si consideri che
l'accelerazione di gravita' sulla superficie di una sfera di
tungsteno di 10 centimetri di diametro e' un terzo di micron (0,001
mm) al secondo per secondo, cioe' una trentina di miliardesimi dei
9,8 m/s che sono l'accelerazione di gravita' sulla Terra («g»).
Esistono molti fenomeni di natura varia (meccanici, elettrici,
magnetici, elettromagnetici) che possono falsare una misura cosi'
delicata. Il maggior disturbo e' costituito dalla gravita' terrestre.
Si potrebbe rimediare facendo l'esperimento nello spazio ma, anche se
oggi la realizzazione sarebbe tecnicamente possibile, spese cosi'
elevate non giustificherebbero per tutti l'obiettivo. Inoltre il
problema non e' solo quello di discriminare una accelerazione piccola
da una grande. Infatti g, non e' costante e le sue variazioni sono
maggiori degli effetti producibili in modo controllato in un
esperimento. La soluzione tradizionale al problema e' stata quella di
confinare l'esperimento in un piano orizzontale che e' perpendicolare
al vettore g, utilizzando la bilancia di torsione di Cavendish. In
questi apparati l'equipaggio mobile e' costituito da due masse
(passive) uguali distanziate da una bacchetta appesa in centro al
filo di torsione, il quale fornisce la forza di richiamo. Le due
masse attive vengono avvicinate dall'esterno e causano una variazione
misurabile del periodo di oscillazione. In questo secolo vari gruppi
di ricerca hanno affermato di aver misurato le prime 4 cifre di G con
esperimenti basati su questa idea. Ma purtroppo i risultati ottenuti
si rivelano discordanti gia' alla terza cifra. L'ipotesi piu'
ragionevole, per tentare di capire le incongruenze, sembra essere
rappresentata dall'instabilita' della costante di torsione del filo.
Nasce allora l'idea di usare un pendolo, cosi' la forza di richiamo
e' la gravita' terrestre, esterna all'esperimento, e misurabile
parallelamente da un gravimetro. L'esperimento proposto consiste
nell'avvicinare lateralmente due masse (note) al pendolo in
oscillazione, misurando la variazione di periodo. Quest'ultima e'
molto piccola, circa un decimilionesimo del periodo stesso. Per
misurarla con esattezza alla quarta cifra e' necessario determinare
il periodo esattamente fino all'undicesima cifra (per la quinta cifra
occorre la dodicesima, e cosi' via). Il pendolo deve essere
sufficientemente stabile e l'orologio di riferimento molto accurato.
Nell'esperimento che si sta preparando al Politecnico di Torino
l'orologio di riferimento sara' al cesio, per soddisfare la seconda
esigenza, mentre per la prima occorre lavorare sotto vuoto, isolando
il pendolo dalle vibrazioni a bassa frequenza dell'ambiente. Andrea
De Marchi Sigfrido Leschiutta Politecnico di Torino
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Atomi come lancette
I nuovi super-orologi, ancora piu' precisi
OAUTORE A_D_M
OARGOMENTI fisica, metrologia
ONOMI HARRISON JOHN
OORGANIZZAZIONI ISTITUTO ELETTROTECNICO NAZIONALE GALILEO FERRARIS, POLITECNICO
DI
TORINO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS physics, metrology
LASER, trappole magneto- ottiche, atomi visibili singolarmente fermi
nello spazio (cioe' molto freddi), gli stessi atomi lanciati
delicatamente verso l'alto a mo' di fontanella, ancora laser... E'
passato il tempo degli orologi fatti di ingranaggi: il futuro e'
affidato ai «super-orologi» atomici. Il Politecnico di Torino da
alcuni anni coordina i progetti europei per lo sviluppo di nuovi
orologi al cesio, i cosiddetti «super-orologi», impegnandosi nella
realizzazione di un nuovo orologio esatto a 10-14 (un milionesimo di
secondo di scarto in tre anni). Inoltre un recente accordo con il
Nist americano e il «Galileo Ferraris» di Torino per lo sviluppo di
tre orologi «a fontana» punta a raggiungere una accuratezza di 10-15,
cioe' ancora dieci volte migliore. L'esistenza di questi orologi, due
vicini e uno lontano, tra l'altro, permettera' anche la messa a punto
di tecniche di comunicazione superveloci. Il Politecnico di Torino
non e' solo nella scelta di non limitarsi a ricerca applicativa, ma
di condurre anche una ricerca di base. Lo affiancano i migliori
istituti di istruzione superiore del mondo, dall'Ecole Normale
Superieure di Parigi alle univer-sita' di Oxford e Cambridge, dalla
Moscow University ad Harvard e al Mit di Boston. Ed e' proprio in
questi ultimi due istituti che gli orologi al cesio nacquero. La
storia ci racconta che nel 1700 un artigiano di nome John Harrison
dedicava la sua esistenza allo studio dei cronometri di navigazione,
totalmente meccanici, in grado di «tenere» il minuto per due mesi, il
tempo necessario per affrontare le lunghe traversate. A quell'epoca
l'esattezza richiesta, perche' gli orologi diventassero un
riferimento migliore della Luna, era di 10-5, tanto serviva ad essere
sicuri di arrivare a tiro di avvistamento della meta. Conoscere l'ora
serviva per determinare la longitudine. Poi, all'inizio di questo
secolo arrivarono gli orologi al quarzo, oggi diffusissimi, che
possono essere esatti a 10-8 10-9 e negli Anni 50 quelli atomici, nei
quali l'oscillatore al quarzo, che comanda l'orologio, e'
continuamente confrontato in frequenza alla differenza di energia tra
due livelli di un atomo. L'atomo piu' usato e' il cesio, che dal 1967
e' alla base della definizione internazionale del secondo. Da anni
sono diffusi orologi al cesio, prodotti dalle industrie, in grado di
garantire un'esattezza di 10-13. Utilizzandoli si possono creare
sistemi di navigazione di grande precisione. D'Alema va in barca vela
usando il Gps (Global Positioning System), i conducenti dei Tir
utilizzano lo stesso sistema sulle autostrade, presto i proprietari
di auto di lusso sapranno esattamente dove sono situati con le loro
vetture, le piattaforme di trivellazione possono navigare senza
rompere il tubo del greggio. Il merito va tutto agli orologi al
cesio. Ma gli orologi atomici hanno un'importanza strategica anche
nella tecnologia delle moderne comunicazioni numeriche superveloci.
L'esattezza degli orologi che scandiscono il tempo ormai a
milionesimi di milionesimi di secondo nei nodi della rete serve a
evitare che essi debbano essere continuamente risincronizzati. Negli
ultimi anni continui studi dei ricercatori delle nazioni piu'
evolute, ma ormai anche di quelle emergenti come la Corea, la Cina ed
il Messico, hanno permesso di identificare nuove soluzioni per
orologi al cesio che possono arrivare ad esattezze di 10-14 o
addirittura di 10-15. Questi permetterebbero misure di importanza
scientifica oggi impossibili. Ma qual e' il segreto che rende
possibile misurare la durata di un anno con un'incertezza minore del
milionesimo di secondo? In gran parte il trucco sta nell'allungare la
durata del confronto tra la frequenza dell'oscillatore al quarzo e
quella della risonanza atomica. Infatti, per il principio di
Heisenberg, piu' breve e' questo confronto piu' e' difficile capire
se le due frequenze sono diverse. Negli orologi finora realizzati il
cesio era «caldo» e quindi si volava a 200 m/s attraverso l'apparato,
limitando la durata del confronto a pochi millesimi di secondo. Oggi,
con i laser, e' invece possibile «raffreddare» gli atomi finche' sono
fermi nello spazio, e poi palleggiarli come fanno i giocolieri. In
questo modo il confronto puo' durare anche un secondo. I
super-orologi al cesio renderanno possibili studi ambiziosi: misure
geofisiche e astrofisiche, la rivelazione delle onde gravitazionali e
una migliore conoscenza delle costanti fondamentali. (a. d. m.)
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. INFORMATICA
Le insidie nell'oceano di Internet
OAUTORE BERGADANO FRANCESCO, CRISPO BRUNO
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science
PER navigare tranquilli, e' ovvio, ci vuole una nave sicura. E mare
calmo. In Internet, il mare non e' certo calmo, anche se le navi (i
«browser», come Netscape Navigator o Microsoft Internet Explorer)
sono ormai sperimentate da milioni di utenti e difetti gravi non
dovrebbero piu' averne. Eppure, qualche settimana fa, uno studente di
una piccola Universita' del Massachusetts ha trovato una falla nel
browser della Microsoft: lo raccontava il divertente articolo di
Angelo Raffaele Meo su «Tuttoscienze» del 19 marzo. La falla consiste
nella possibilita' di far eseguire automaticamente al browser un
programma proveniente da un sito remoto. Ora, l'esecuzione di
programmi e' l'iceberg telematico piu' pericoloso, in quanto puo'
creare nell'ambiente locale virus, contraffazioni e teste di ponte
per attacchi ad altri sistemi. Il virus potra' essere trasmesso a
parenti e amici vicini e lontani, insediarsi nei loro sistemi e nei
loro browser, mantenersi aggiornato e trasformarsi nel tempo. La
falla e' stata riparata, assicura la Microsoft. Ma il mare e' ancora
agitato. Vi sono molti modi per provocare l'esecuzione di un
programma potenzialmente insidioso nell'ambiente locale. Ne
esamineremo uno semplice ma efficace, basato sul concetto di «Web
spoofing». L'attacco si svolge in due fasi. Come sirene attireremo
dapprima il navigante con il canto, poi lo spingeremo contro le
rocce. Iniziamo con il canto. Prendiamo la «home page» di una grande
azienda, o un sito WWW ben noto al pubblico, per esempio quello della
Cnn http://www.cnn.com E' possibile copiare sul nostro calcolatore
questa pagina con tutte le sue immagini e i suoi riferimenti, e
mantenerla aggiornata. Lo abbiamo fatto, e potete consultarla su
http://maga.di.unito.it La pagina e' identica a quella della Cnn, e
l'utente che vi si collega la trova accogliente e credibile quanto
l'originale. L'unica differenza sta nell'indirizzo, che viene
visualizzato dal browser, ma che l'utente frettoloso o inesperto puo'
facilmente ignorare. Il problema ora e' far cadere un utente nella
nostra trappola, portare il nostro canto alle sue orecchie.
Occorrera' cioe' fare in modo che il suo browser carichi la nostra
copia della home page della Cnn. Cio' si puo' fare in modo
sistematico. Qui per semplicita' possiamo immaginare che l'utente
venga attirato nella trappola attraverso riferimenti ipertestuali
falsi. Per esempio inseriremo nella nostra home page personale una
frase del tipo «visitate la pagina della Cnn». Pero' assoceremo a
questa frase non il vero indirizzo della Cnn, ma l'indirizzo della
nostra copia. Una volta selezionato questo riferimento, il navigatore
ricevera' cosi' una pagina che sembra realmente provenire dalla
prestigiosa compagnia televisiva, che e' pero' stata modificata al
suo interno. E ora, il naufragio. La Cnn offre al pubblico,
attraverso la propria home page, un pacchetto solfware chiamato
«Point cast». Questo software permette di ricevere le ultime notizie
con un'interfaccia utente elegante e personalizzata. Sono molte le
aziende che offrono software gratuito attraverso il WWW. Una pagina
Web descrive e pubblicizza il software. L'utente, selezionando il
riferimento all'interno di questa pagina, potra' ottenere il prodotto
via rete e salvarlo sul proprio PC. In un secondo momento sara' poi
possibile usare il soft ware cosi' ottenuto. Anche il browser di
Netscape viene essenzialmente distribuito in questo modo. Per il
nostro esempio della Cnn, la procedura non e' diversa. L'utente, con
un semplice «click», puo' prendere il pacchetto «Pointcast», che
verra' salvato nell'ambiente locale. L'utente avra' fiducia nel
software ottenuto in quanto proveniente da un sito noto, in cui
compare un perfetto logo della Cnn. Provate a farlo dalla nostra
copia. Ora sul vostro Pc ci sara' un programma di nome
«Pointcast.exe». Un'irresistibile curiosita' vi indurra' a provarlo
ed eseguirlo. Che programma e'? Sicuro, e' un virus. Francesco
Bergadano Universita' di Torino Bruno Crispo University of Cambridge
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. FISICA & DIDATTICA
Un laboratorio virtuale
Con il libro, oltre il libro
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI fisica, didattica
ONOMI TIBONE FEDERICO, AMALDI UGO
OORGANIZZAZIONI ZANICHELLI
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics, didactics
MOLTI licei e istituti tecnici hanno aule di fisica. Ma spesso le
attrezzature sono vecchie e malconce. E in molti casi i professori
non trovano il tempo per accompagnare gli studenti nell'aula di
fisica. Ma anche quando tutto va per il meglio - la scuola ha un'aula
di fisica ben attrezzata e il professore riesce a portarvi la propria
classe - sono pochi gli studenti che possono partecipare
personalmente agli esperimenti. Ben che vada, si puo' assistere allo
«show» del tecnico di laboratorio. Forse, pero', il tempo in cui
tutti gli studenti avranno un proprio laboratorio e' vicino. Sara',
naturalmente, un laboratorio virtuale, ma con risorse che non si
trovano neppure nei laboratori veri. Ci stanno pensando, per conto
della casa editrice Zanichelli, Federico Tibone, un fisico del plasma
che ha lavorato in Inghilterra al programma Jet per la fusione
nucleare controllata, e Ugo Amaldi, del Cern di Ginevra. Da mezzo
secolo la Zanichelli mette a disposizione degli studenti un testo di
fisica prestigioso. Nato da un manuale di Enrico Fermi, e' stato
scritto da Edoardo e Ginestra Amaldi, e ora circola nella versione
aggiornata da Ugo, figlio di Edoardo. Per capire quanto successo ha
avuto quest'opera insolitamente longeva, basta una cifra: sulle sue
pagine hanno studiato la fisica due milioni di studenti. La
longevita' si spiega anche con l'evoluzione: il manuale si e'
continuamente adeguato alle nuove esigenze e ha accolto nelle proprie
pagine tutte le conquiste che via via la fisica andava facendo. Con
l'arrivo degli strumenti multimediali, eccoci all'ultimo
aggiornamento: un Cd-Rom che, appunto, affianca il libro in modo
interattivo, presentandosi come un laboratorio virtuale. La fisica, a
volte, si capisce solo vedendola. Puo' darsi che il lampadario
oscillante osservato da Galileo appartenga alla mitologia
scientifica, ma certo per afferrare le leggi del pendolo non c'e'
niente di meglio che farsene uno e stare a guardare come oscilla
variando la lunghezza. Il Cd-Rom «Fisica interattiva» che la
Zanichelli sta preparando va in questa direzione. Ugo Amaldi e Carlo
Bernardini ne presenteranno domani (ore 17) una prima versione,
ancora da completare, al Liceo Mamiani di Roma. Lo scopo
dell'anteprima e' di stimolare osservazioni e consigli da parte di
docenti e studenti, per rispondere nel modo migliore alle esigenze
dell'insegnamento. Insomma: e' diventato interattivo anche il
processo di preparazione del Cd-Rom. Multimedialita' e
interattivita', unite alla liberta' di percorso tipica degli
ipertesti, si dimostrano particolarmente utili nel ripasso e nella
verifica dell'apprendimento, mentre per lo studio di base rimane
certo piu' adeguato il «vecchio» testo sequenziale tipico del libro,
dove la sequenzialita' corrisponde a una gerarchia di argomenti, a
una logica didattica, a un passaggio delle nozioni dal semplice al
complesso. L'integrarsi di testo e ipertesto apre effettivamente
nuove prospettive all'apprendimento. Le spiegazioni contenute nel
Dc-Rom sono basate quasi sempre su semplici animazioni grafiche (si
veda ad esempio quella del «moto armonico») commentate verbalmente.
Gli esercizi utilizzano animazioni e filmati per introdurre lo
studente a veri e propri esperimenti virtuali o per sottoporgli
quesiti a risposta multipla (con imbarazzati colpetti di tosse quando
la soluzione e' sbagliata). Se e' lecito dare un consiglio, visto che
si tratta di «work in progress», suggerirei di potenziare al massimo
il numero gli esperimenti virtuali. Si impara davvero soltanto cio'
che si fa. Lo diceva gia' il buon Giambattista Vico. Quanto agli
altri strumenti multimediali della Zanichelli, va segnalato che
l'«Enciclopedia 1977» e' dotata di un Cd- Rom che, come il volume da
cui e' tratto, contiene 96 mila voci e diecimila illustrazioni; ma in
piu' offre venti minuti di brani audio, animazioni scientifiche, un
atlante, una cronologia interattiva e l'aggiornamento on-line. La
struttura e' ancora, in sostanza, quella dell'opera carta, ma il
motore di ricerca permette di estrarre dal Cd-Rom parole e
combinazioni di parole a tutto testo, una facolta' in piu' rispetto
alla tradizionale consultazione secondo l'ordine alfabetico. Piero
Bianucci
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. EMERGENZA
Un cimitero per i rifiuti radioattivi
OAUTORE PAVAN DAVIDE
OARGOMENTI ecologia
OORGANIZZAZIONI ANDIN ASSOCIAZIONE NAZIONALE DI INGEGNERIA NUCLEARE
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OSUBJECTS ecology
IN Italia abbiamo 30.000 metri cubi di rifiuti radioattivi che
attendono una sistemazione definitiva. Un convegno organizzato a Roma
dall'Andin (Associazione nazionale di ingegneria nucleare) ha
lanciato l'allarme sull'assenza di una strategia per la gestione di
questi rifiuti. Il nostro e' uno dei pochi Paesi europei che non
hanno ancora previsto uno specifico ente nazionale di riferimento,
dotato di finanziamenti adeguati e compiti definiti. Anzi, dopo il
referendum del 1987 che aveva fatto naufragare l'opzione del nucleare
in campo energetico, il problema e' stato gradualmente accantonato e
rimosso dalla memoria collettiva. Dieci anni dopo si e' ancora al
punto di partenza e i rifiuti radioattivi continuano a crescere al
ritmo di 1200 metri cubi l'anno, per effetto della produzione legata
agli impieghi ospedalieri e all'attivita' di ricerca. L'ultimo
censimento dei rifiuti radioattivi e' stato curato dall'Anpa,
l'Agenzia nazionale per la protezione ambientale, la quale, dopo aver
assorbito il personale dell'Enea-Disp, e' ormai divenuta la memoria
storica del nucleare in Italia. Circa 23.000 metri cubi di rifiuti
continuano ad essere accumulati presso i rispettivi siti di
produzione e in maggior parte sono ancora da sottoporre alle
operazioni di trattamento (riduzione del volume) e di condizionamento
(immobilizzazione in matrici inerti). Di questi, solo 5000 metri cubi
appartengono alla I categoria (a bassa attivita' radiologica e tempi
di decadimento di pochi anni), mentre 16.000 metri cubi sono di II
categoria (tempi di decadimento di alcuni secoli) e 2000 di III
categoria (tempi di migliaia di anni). A tutto cio' vanno aggiunte
circa 330 tonnellate di combustibile irraggiato, cioe' esaurito,
stoccato quasi tutto nei centri Enea, e 7000 metri cubi di
combustibile irraggiato inviati all'impianto di Sellafield
(Inghilterra) per subire il riprocessamento, ma destinati a tornare
in Italia. Il riprocessamento e' una tecnologia sviluppatasi in
Francia e nel Regno Unito che consente, attraverso una serie di
trattamenti meccanici e chimici, di recuperare dal combustibile
esaurito uranio e plutonio e contemporaneamente di solidificare il
resto delle scorie in una matrice inerte (cemento o vetro). La Bnfl
inglese, titolare del contratto con l'Enel, ha proposto di rispedire
in Italia, al posto dei rifiuti a bassa e media attivita' cementati,
volumi decisamente inferiori di rifiuti vetrificati ad alta
attivita'. L'Enel, d'accordo con il governo, pare intenzionata ad
accettare questa soluzione, una volta definiti i criteri di
equivalenza. A questo proposito rimane ancora da decidere il destino
del combustibile che si trova ancora in Italia: riprocessarlo oppure,
visto l'alto costo dell'operazione, trattarlo direttamente come
rifiuto di III categoria? Osservando piu' da vicino il fosco quadro
dei molteplici depositi temporanei di rifiuti radioattivi, alcune
situazioni (come i rifiuti di II categoria del Centro Euratom di
Ispra o i rifiuti liquidi di II e III categoria del Centro Enea di
Saluggia) presentano aspetti poco rassicuranti, tenendo presente che
gran parte delle strutture ospitanti erano state progettate negli
Anni 60 e con una previsione di durata di esercizio di circa 20-30
anni e non come depositi di lungo periodo. Sarebbe quindi necessario
realizzare al piu' presto un deposito nazionale centralizzato per lo
stoccaggio definitivo dei rifiuti a bassa e media attivita' e un
deposito per lo stoccaggio a medio termine dei rifiuti ad alta
attivita'. Inoltre si dovrebbero riprendere gli studi sullo
smaltimento definitivo dei rifiuti di III categoria in formazioni
geologiche profonde, ormai considerato dalla comunita' scientifica
internazionale la soluzione piu' valida e sicura. La speranza e' che
anche l'Italia possa allinearsi presto ai Paesi dove la gestione dei
rifiuti radioattivi e' a livello molto avanzato (Francia, Belgio,
Germania, Giappone, Spagna, Svizzera, Usa), superando le attuali
indecisioni e i fattori di rischio che ne derivano. Davide Pavan
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ECOLOGIA
Un cocktail di idrocarburi
Genova, analisi sugli inquinanti marini
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI ecologia
ONOMI FOCARDI SILVANO
OORGANIZZAZIONI ACQUARIO DI GENOVA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology
UNA volta la settimana una bettolina lascia il porto di Genova e si
dirige al largo; ritorna poco dopo carica di... acqua. E' cosi' che
viene rifornito l'Acquario genovese, il piu' grande d'Europa: 48
vasche da quattro milioni e mezzo di litri in cui vivono 5 mila tra
pesci, rettili, anfibi, mammiferi, uccelli e insetti, piu' altre 100
vasche nei sotterranei (4 milioni di litri) per l'ambientamento e la
cura degli animali. La nave-cisterna attinge l'acqua a una
profondita' minima di 4-5 metri per evitare di imbarcare le impurita'
che galleggiano alla superficie. Ma questo non basta a dare la
sicurezza. «Prima di essere immessa nelle vasche l'acqua viene
sottoposta ad accurate analisi», dice Matteo Perelli, responsabile
del laboratorio chimico dell'Acquario. E che cosa contiene l'acqua
del nostro mare? Gli inquinanti piu' comuni sono gli idrocarburi
policiclici aromatici (antracene, benzopirene, fenantrene, residui
del petrolio e sicuramente cancerogeni), gli idrocarburi lineari
(nonano, decano, dodecano...), e i composti organici clorurati
(esaclorobenzene, pentaclorobifenile, esaclorobifenile, prodotti di
sintesi usati come solventi, nelle materia plastiche, nel trattamento
del legno, come isolanti e antiparassitari). «Le concentrazioni
riscontrate sono quasi sempre inferiori ai limiti di accettabilita'
delle acque potabili per uso umano, che noi abbiamo preso come
termine di riferimento; se tali limiti sono oltrepassati ributtiamo
l'acqua in mare», dice Perelli. La necessita' di affrontare giorno
dopo giorno questi problemi per mantenere sani i preziosi esemplari
loro affidati ha portato i tecnici dell'acquario ad allargare il
campo delle ricerche piu' in generale agli effetti dell'inquinamento
marino sugli esseri che vi abitano. «Ormai - dice Perelli - un po'
tutti i mari del pianeta sono inquinati dai residui della civilta',
com miriadi di molecole inorganiche e organiche fluttuanti
liberamente nell'acqua; alcuni di questi residui, come il Ddt, i
policlorobifenili, l'esaclorobenzene si concentrano all'interno degli
organismi marini e sono probabilmente la causa di varie patologie». I
piu' esposti sono i mammiferi marini, sia perche' si trovano al
vertice della catena alimentare sia perche' hanno una minore
capacita' di metabolizzare gli agenti inquinanti rispetto agli
uccelli e ai mammiferi terrestri. «Questo perche' non hanno ne'
traspirazione ne' ghiandole sebacee e nemmeno meccanismi di scambio
sangue-acqua come le branchie dei pesci; sono, in sostanza, dei
sistemi chiusi. Non esiste la certezza che i composti inquinanti
siano la causa diretta della morte di molti mammiferi marini, ma gli
idrocarburi clorurati sono noti per provocare immunodepressione e
problemi agli organi riproduttivi». E' certo che negli animali di
laboratorio causano atrofia degli organi linfatici e quindi abbassano
la resistenza alle infezioni. L'Acquario di Genova e' in contatto con
Silvano Focardi, del dipartimento di biologia ambientale
dell'Universita' di Siena, che da anni studia i cetacei venuti ad
arenarsi sulle spiagge italiane; altri cetacei vengono studiati in
mare prelevando loro piccoli frammenti di pelle mediante dardi da
biopsia scagliati con una balestra. Gli studi di Focardi indicano che
idrocarburi alogenati sono stati rinvenuti in diverse specie; Ddt e
policlorodifenile, ad esempio, sono stati rintracciati in stenelle e
tursiopi. La concentrazione di idrocarburi clorurati risulta
particolarmente alta nel melone, la struttura di tessuto adiposo che
si trova sotto la fronte di delfini, focene e narvali, e nel
«blubber», lo strato di grasso tipico di tutti i cetacei. Cio' si
spiega con il fatto che questi inquinanti sono lipofili e quindi si
concentrano negli organi in cui e' maggiore la presenza di grasso;
pare inoltre che tra i grassi preferiscano i trigliceridi, che
rappresentano il 99 per cento del melone e del blubber, piuttosto che
i fosfolipidi, contenuti per oltre il 55 per cento nel cervello.
Questi inquinanti sono presenti in quantita' maggiore nei maschi che
nelle femmine e questo, sembra, perche' le femmine ne smaltiscono il
90 per cento nella gravidanza e nell'allattamento. Purtroppo cio' va
a danno della prole: uno studio sui beluga canadesi che vivono nel
fiume San Lorenzo ha mostrato che nel grasso dei piccoli la
concentrazione dei policlorobifenili e' doppia di quella delle madri.
Nei mammiferi del Mediterraneo gli inquinanti, secondo i ricercatori
che fanno capo a Focardi, sono presenti in quantita' maggiori che
nelle popolazioni che vivono negli oceani, evidentemente perche' e'
un bacino quasi chiuso con un'alta pressione antropica;
particolarmente critica la situazione presso le coste dove sono
diffuse le coltivazioni industriali sotto serra. Sono risultati
allarmanti; per la salute dei mari, dei suoi abitanti in genere, dei
mammiferi in particolare; ma sono allarmanti anche per l'uomo, cosi'
simile biologicamente ai mammiferi marini ed esposto, a terra, agli
stessi pericoli. Vittorio Ravizza
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL GIPETO RITORNA SULLE ALPI
Un volatore solitario
Buone speranze per la reintroduzione
OAUTORE FRAMARIN FRANCESCO
OARGOMENTI zoologia
OORGANIZZAZIONI SOCIETA' ZOOLOGICA DI FRANKFURT, WWF
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
QUESTO dovrebbe essere un anno importante per i gipeti (avvoltoi
barbuti) reintrodotti nelle Alpi. Se tutto va bene, infatti, verso
meta' aprile dovrebbe nascere il primo piccolo della prima coppia di
uccelli nati in cattivita', liberati, poi cresciuti e viventi in
natura. La reintroduzione di questa specie d'avvoltoio - il piu'
grande uccello delle Alpi, qui sterminato all'inizio del secolo, ma
per fortuna ancora vivente su montagne dell'Asia e dell'Africa -
inizio' nel 1986 con il rilascio in quattro localita' alpine dei
primi individui nati da genitori tenuti negli zoo europei. Il
progetto, partito nel lontano 1978 in Austria con l'appoggio della
Societa' Zoologica di Frankfurt e del Wwf, e subito appoggiato da
numerosi appassionati nelle altre nazioni alpine e non solo in
quelle, e' cresciuto piu' del previsto. Si calcola che sia finora
costato un paio di miliardi di lire, senza contare il lavoro
volontario. A tutt'oggi ha portato alla nascita di circa 150 gipeti e
alla liberazione di 68. Molti di questi ultimi, probabilmente fra
meta' e due terzi, sono tuttora vivi e autosufficienti. Cio' non era
scontato. Gli uccelli liberati, a parte i pericoli di un habitat
ristretto e deteriorato rispetto a una volta, non possono contare
sull'aiuto dei genitori e devono subito provvedere da soli alla
propria alimentazione (la quale, come si sa, e' costituita in
prevalenza da ossa di animali morti). I gipeti reintrodotti hanno
sorvolato praticamente tutti gli angoli delle Alpi, anche se
frequentano di preferenza alcune aree (fra le quali vi sono, com'era
prevedibile, i grandi parchi nazionali). Per un paio d'anni i singoli
esemplari sono riconoscibili da marcature bianche su ali e coda, poi
mutano le penne e assumono una colorazione del corpo rossiccia,
tipica dell'eta' adulta. La maturita' sessuale e' raggiunta a 7 anni
e questa e' la principale ragione della lunga attesa del lieto evento
annunciato: certamente meno della meta' dei gipeti alpini sono
adulti. Benche' tutti si muovano parecchio, la popolazione
complessiva e' piccola e dispersa, e le possibilita' che formino
coppie stabili (dureranno tutta la vita) sono evidentemente poche. La
coppia di gipeti nidificanti si trova in Francia, non lontano da una
delle quattro localita' di rilascio. La coppia aveva tentato di
nidificare anche l'anno scorso, ma senza successo. I tempi di
riproduzione della specie sono lunghissimi: di solito in dicembre
hanno luogo le parate nuziali e i primi accoppiamenti, in gennaio la
deposizione delle uova, in marzo la schiusa, in luglio l'involo
dell'unico piccolo (che verra' infine allontanato dai genitori
all'inizio del nuovo ciclo). La specie offre un tipico esempio di
dinamica riproduttiva «di tipo K», cioe' basata non sull'alta
produttivita' di giovani, ma sulla bassa mortalita' degli adulti (che
sono fra l'altro assai longevi, potendo vivere oltre 40 anni, almeno
in cattivita'). Se altre coppie di gipeti si formeranno sulle Alpi,
com'e' prevedibile, quando si potra' dire che si e' formata una
popolazione autosufficiente e si potra' quindi cessare l'immissione
artificiale di uccelli? Benche' sembri strano, la risposta teorica e'
mai. Infatti la popolazione di gipeti in grado di saturare le Alpi
sembra verosimilmente dell'ordine di una o due centinaia di coppie e
per i grandi vertebrati questo numero e' teoricamente indicato come
insufficiente a rendere trascurabile la probabilita' dell'estinzione.
Ma c'e' un motivo pratico che induce a pensare che il Progetto Gipeto
restera' in vita ancora a lungo. Esso ha mostrato che e' possibile
reintrodurre la specie in altre aree dove anticamente viveva:
l'Andalusia, la Sardegna, forse un giorno i Balcani. Con situazioni
tranquille e con adeguato interesse locale, progetti simili
potrebbero partire in quelle regioni. Senza contare eventuali
rafforzamenti di alcune esigue popolazioni residue nel Mediterraneo.
Cosi' alla fine si potrebbe riavere una popolazione abbastanza
consistente, anche se frammentata. Francesco Framarin
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. RICERCA & BIOETICA
Clonazione, no ai decreti
Primi esperimenti gia' negli Anni 20
OAUTORE MARCHISIO PIER CARLO
OARGOMENTI ricerca scientifica, bioetica
ONOMI SPEMANN HANS
OORGANIZZAZIONI DIBIT
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS research, bioethics
LA pecora clonata di Edimburgo ha prodotto fiumi di parole. Come
spesso avviene non e' stato tanto l'aspetto scientifico della notizia
a fare scalpore quanto le implicazioni etiche dell'esperimento e la
sua potenziale applicabilita' all'uomo. Che il progresso della
biologia rappresenti di per se' un motivo di avanzamento della
cultura interessa a pochi. A troppi interessa solo l'aspetto
scandalistico della scienza. Puntualmente, tutti i politici, in testa
il presidente degli Stati Uniti, si sono sentiti in dovere di
proporre blocchi alla sperimentazione genetica sui mammiferi, poco e
male valutando i limiti di questi divieti che rischiano di rallentare
un progresso con radici profonde nella storia della genetica e
dell'embriologia. Il primo scienziato a produrre il clone di un
animale e a dimostrare la pluripotenza genetica delle cellule fu John
Gurdon nel 1962. Questo esperimento provo' che l'informazione
genetica e' regolabile, cioe' che i geni contenuti in una cellula
adulta e differenziata sono gli stessi che controllano lo sviluppo
iniziale di un individuo. L'esperimento di Gurdon fu un grande passo
avanti, ma esperimenti di studio della regolazione dello sviluppo
furono fatti fin dagli Anni 20 nel laboratorio di Hans Spemann e gli
portarono grande fama, e il Nobel nel 1935. Che da un singolo genoma
si possano ottenere individui uguali e' ormai patrimonio della
cultura biologica e la natura ha fatto, di per se', lo stesso
esperimento con i gemelli monozigoti. Quale paura deve ispirare
l'esperimento di Wilmut se non quella che esso possa essere esteso
all'uomo? E' una paura irrazionale poiche' e' noto a tutti che
duplicare un embrione e' tecnicamente possibile fin dai tempi di
Spemann. Bloccare questo per de creto e' semplicemente assurdo: gia'
da tempo separare due o quattro blastomeri e farli sviluppare
individualmente nell'utero di un'ospite umana rientra nel bagaglio
tecnico di qualunque centro di fecondazione assistita. I problemi
sono ben diversi, come dimostrano le esperienze di analisi del
comportamento dei gemelli omozigoti, che non sono altro che cloni
geneticamente identici. Il problema e' che l'uomo e' un animale
complicato e piu' di altri animali risente delle influenze ambientali
e della cultura dove cresce e si sviluppa. Possibilmente niente
decreti e niente isterismi collettivi. Porre limiti a questo tipo di
sperimentazione e' tipico di una mentalita' intollerante, di sfiducia
nel potere di autoregolamentazione della scienza e, in ultima
analisi, di quel modo di vedere la scienza da noi cosi' radicato per
motivi storici. Vediamo invece quali potrebbero essere le disastrose
conseguenze di un blocco precipitoso della sperimentazione genetica.
Innanzitutto, conoscendo l'ottusita' dei burocrati, la prima
conseguenza naturale sarebbe il nascere di pastoie intollerabili
all'intero libero progresso della biologia molecolare. In
particolare, la nascita della terapia genica, gia' difficile per
molte ragioni, verrebbe rallentata da leggi, leggine e ordinanze.
Poi, verrebbero meno ipotesi terapeutiche legate alla creazione di
banche di cellule staminali e di tessuti, tutti originati dallo
stesso individuo. Gli esempi negativi potrebbero moltiplicarsi fino a
mettere in forse il progresso biologico in atto che e' per molti
versi simile a quello straordinario della fisica negli Anni 30.
Attenzione quindi a politici e moralisti, ma anche ai funamboli della
riproduzione! Il comportamento etico corretto e' parte del bagaglio
culturale dello scienziato, purtroppo non di coloro che si atteggiano
tali ma mancano di solide basi. Tutti i veri uomini di scienza sanno
darsi regole e ben sanno che non e' il caso di scoperchiare senza
controlli il vaso di Pandora. Pier Carlo Marchisio Dibit, S.
Raffaele, Milano
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZA DELLA VITA. PRO E CONTRO
Sulla variabilita' genetica
Biodiversita': allarme ingiustificato
OAUTORE PIAZZA ALBERTO
OARGOMENTI genetica
ONOMI VERNA MARINA, MARCHESINI ROBERTO
OORGANIZZAZIONI TUTTOSCIENZE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS genetics
IL 26 marzo su «Tuttoscienze» sono comparsi due articoli intitolati
«Le parole della clonazione» e «Frankenstein postmoderni»,
rispettivamente di Marina Verna e Roberto Marchesini, che mi hanno
colpito per la diversita' del tono e per la differente qualita' del
messaggio scientifico: mentre il primo riporta un glossario dei
termini che oggi vengono usati, spesso a sproposito, sulla
clonazione, il secondo, fin dal titolo, benche' motivato dalle
migliori intenzioni, rischia di diffondere informazioni inesatte e
suscitare allarmi infondati. La tesi di Marchesini e' che l'esempio
di Dolly, l'ormai famosa pecora clonata, «non rappresenti un pericolo
immediato per l'uomo, bensi' decreti la fine degli animali
domestici». Perche'? Perche' «la diversita' biologica, in un mondo
abituato all'uniformita' organolettica, viene vissuta come un
disvalore e pertanto anche la zootecnia si adegua». Mi sembra una
spiegazione sbrigativa, piu' adatta a uno slogan che fondata su
argomentazioni rigorose. La prima osservazione da fare e' che la
scelta riproduttiva sessuale, diversamente da quanto si dice
nell'articolo, non e' stata nella storia evolutiva «una scelta
vincente» se per storia evolutiva s'intende quella di tutti gli
organismi e non esclusivamente quella dei vertebrati. Da un punto di
vista teorico e' ancora molto discusso se la riproduzione sessuale
sia piu' efficace della riproduzione agamica (quale e' il meccanismo
della clonazione) per generare piu' variabilita' genetica. Infatti,
se e' vero che la riproduzione sessuale attraverso il meccanismo
della ricombinazione e' in grado di moltiplicare rapidamente il
numero delle varianti nuove del patrimonio genetico di una specie, e'
anche vero che la mutazione, soprattutto quando agisce su un numero
di individui molto grande che si riproducono in tempi brevi e quando
ha un tasso superiore a quello che si riscontra nella specie umana,
genera uguale se non maggiore diversita' genetica. In altre parole
non e' scontato che l'effetto della clonazione, in generale, debba
ridurre la variabilita' genetica quando venga associata a sufficiente
mutazione. Se poi dal generale passiamo allo specifico dell'uomo,
dobbiamo essere ben coscienti che ogni intervento terapeutico puo'
risultare un attentato alla diversita' genetica della nostra specie:
sinora non ci siamo posti il problema di questo rischio perche' si
puo' facilmente calcolare che il suo effetto sara' lontano nel tempo
e abbiamo la fondata speranza che l'evoluzione culturale trovera' il
modo di neutralizzarlo. Tuttavia, tra gli argomenti di Marchesini
quello che meno mi ha convinto e' un altro: che la clonazione debba
per forza decretare «la fine degli animali domestici» perche'
verrebbero creati «altri» animali, i «Frankenstein postmoderni,
realizzati assemblando pezzi di diversa origine». Mi ribello a questa
visione fantascientifica. 1) L'allevamento degli animali domestici,
iniziato in modo sistematico con la nascita dell'agricoltura nel
Neolitico 10.000 anni fa, e' derivato da un'applicazione tecnologica
che ha trasformato l'animale selvatico in un essere ad uso e consumo
dell'uomo, contribuendo in modo determinante al progresso della
nostra specie e non certo a quella degli animali selvatici. Mi sembra
inconsistente e un poco ipocrita, dopo piu' di 10.000 anni di
tecnologie sempre piu' raffinate tese a trarre sempre maggiori
vantaggi dagli animali (nell'alimentazione, nel trasporto, nello
sport) allarmarsi se oggi essi vengono usati per produrre, in
quantita' industriale, sostanze utili all'uomo anche dal punto di
vista terapeutico. In ogni caso la generazione di animali transgenici
cui l'articolo allude, aumenta (per definizione) anziche' diminuire
la variabilita' genetica. 2) Molto concretamente uno degli scopi
pratici che Wilmut e i suoi collaboratori si sono proposti con la
clonazione della pecora e' quello di produrre una quantita'
industriale di una sostanza utile nella cura dell'enfisema polmonare.
Se il metodo si rivelera' economicamente vantaggioso, nei confronti
di chi dovra' essere applicato il «principio di responsabilita'»
citato nell'articolo? Nei confronti della pecora clonata in quanto
mette in pericolo la variabilita' biologica delle pecore, o nei
confronti dei nostri figli? 3) Paradossalmente, la clonazione, che va
intesa come una tecnologia da adottarsi con fini ben precisi e
regolamentati anche sotto il profilo di una possibile sofferenza
degli stessi animali, potrebbe servire, se economicamente
proponibile, per ripopolare rapidamente un'area ecologica di specie
in via di estinzione. La biodiversita' degli animali domestici - su
cio' concordo pienamente - e' un patrimonio che la nostra specie ha
il dovere di salvare: ma la clonazione, se e quando verra' adottata
nei loro confronti, soprattutto se verra' controllata nei fini e nei
modi, non ne costituisce necessariamente un attentato. Anche sulla
biodiversita' occorre fare chiarezza. La varieta' biologica degli
animali domestici dipende principalmente dalla complessita' culturale
delle societa' in cui vengono allevati. In Nigeria, per esempio, dove
abitano ben 235 gruppi etnici diversi, ma dove la domanda di cultura
e di mercato e' scarsa, vivono 14 milioni di pecore e capre, ma due
sole varieta': una per le pecore e una per le capre. Oggi esistono al
mondo piu' di 3000 varieta' di animali domestici, la cui
distribuzione geografica dipende sia dall'ecologia, sia, soprattutto,
dalla qualita' culturale dell'insediamento umano: in questo contesto
reale, mi sembra che la clonazione animale, nella misura in cui si
dimostrera' utile all'uomo e l'uomo sara' in grado di controllarla,
potra' costituire un attentato alla biodiversita' degli animali
domestici cosi' lontano nel tempo da non dovercene preoccupare oggi.
Credo invece che cio' di cui dobbiamo preoccuparci sia
l'insufficienza di una comunicazione adeguata tra mondo scientifico e
mondo «laico», in questo includendo anche gli organi politici,
culturali e di stampa. Non che oggi in Italia non si parli di
argomenti scientifici e non vi siano ottimi divulgatori, ma si ha
ancora la sensazione che la scienza sia patrimonio di pochi e che
essa entri con difficolta' nella cultura dei piu': in altre parole,
che alla scienza manchi la capacita' di incidere sulla vita della
nazione e di arricchirla, anche materialmente. Alberto Piazza
Universita' di Torino
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. ENERGIA
La memoria del pendolo e il caos
OAUTORE BEDARITA FEDERICO
OARGOMENTI energia
ONOMI DAVIES PAUL, SILARI MARCO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS energy
GLI storici distingueranno tre livelli d'indagine nello studio della
materia: il primo e' rappresentato dalla meccanica newtoniana, il
trionfo della necessita'; il secondo e' costituito dall'equilibrio
termodinamico, il trionfo della probabilita'. Ora vi e' un terzo
livello che emerge dallo studio dei sistemi lontani dall'equilibrio.
Cosi' scrive Paul Davies nel suo libro «Il cosmo intelligente» nella
traduzione di Marco Silari, editore Mondadori. Prigogine e altri
chiamano questi sistemi strutture dissipative. I sistemi dissipativi
sono quelli in cui un'energia nobile (meccanica, elettrica, chimica)
si trasforma in calore (energia degradata) e che riforniti nel tempo
di energia nobile secondo una qualche legge possono a un certo punto
assumere comportamenti caotici, a prima vista imprevedibili. Si e'
cominciato in questi casi a fare uso della parola caotico (caos
deterministico) in contrapposizione alla parola aleatorio, che
definisce un comportamento disordinato puramente casuale. Nascono in
questo modo le sfumature di gergo proprie della fisica, a cui i
dizionari non fanno a tempo ad adeguarsi, e che costituiscono il
cruccio degli insegnanti di italiano, qualche volta sollecitandone
l'ironia. Il pendolo reale puo' essere un esempio relativamente
semplice di struttura dissipativa. Ce ne sono altre estremamente
complesse, come il tempo meteorologico, e proprio perche' troppo
complesse lasciamole perdere. Esistono tanti tipi di pendolo. Nel
caso piu' elementare il pendolo semplice e' costituito da un corpo di
piccole dimensioni, sospeso all'estremita' di un filo, la cui massa
deve essere trascurabile per non complicare il sistema dinamico. La
lunghezza del filo deve rimanere rigorosamente costante. Questo
pendolo ideale, isolato e senza attrito, una volta messo in moto
continuera' a oscillare senza fine. Se mentre oscilla gli si da' un
impulso, il pendolo si muovera' secondo un nuovo schema di moto, che
continuera' a mantenere anche in seguito. Il pendolo conserva per
sempre memoria del disturbo subito. Il periodo del pendolo, definito
come il tempo necessario a fare un'oscillazione completa, e'
direttamente proporzionale alla radice quadrata della lunghezza del
filo e inversamente proporzionale alla radice quadrata delle gravita'
del luogo dove l'oscillazione avviene. Questo vuol dire che piu'
lungo e' il pendolo, piu' lungo e' il tempo per fare un'oscillazione
completa; e vuol anche dire che se l'attrazione di gravita' varia, il
periodo di oscillazione varia in modo inverso. Su un'astronave,
l'attrazione di gravita' g diventa piccola, perche' in gran parte
compensata dalla forza centrifuga. Un astronauta che facesse
oscillare il pendolo in quelle condizioni, lo vedrebbe oscillare
molto lentamente, con un periodo lunghissimo. Poiche' la relazione
tra il periodo e g dipende nella formula dall'inverso della radice
quadrata, la gravita' ridotta a 1/10.000 di g, come nelle normali
astronavi, fara' aumentare di 100 volte il periodo di oscillazione
(100 e' l'inverso della radice quadrata di 1/10.000). Di conseguenza,
un pendolo che sulla Terra abbia un periodo di un minuto, sullo
Shuttle fara' un'oscillazione in un'ora e 40. Naturalmente un
astronauta che perdesse tempo a fare un esperimento di questo genere
rischierebbe di essere licenziato subito: abbiamo soltanto fatto un
esempio per definire il pendolo ideale. Ma il pendolo reale e' una
cosa diversa dal pendolo ideale, perche' siamo in presenza
dell'attrito, che consuma energia producendo calore (energia
degradata). Qualunque sia il suo moto iniziale, se non intervengono
forze dall'esterno, il pendolo reale pian piano si ferma. Il pendolo
ha perso memoria della sua vita passata. Se invece, dall'esterno,
viene sollecitato da forze, per esempio di tipo meccanico (energia
nobile), puo' diventare in certe condizioni un sistema totalmente
disordinato, che non ha piu' niente a che vedere con l'ordine ritmico
che di solito gli e' proprio. Il pendolo e' diventato un sistema
caotico. Federico Bedarida Universita' di Genova
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. MOSTRA A TORINO SUL RICICLAGGIO
Le mille vite dei rifiuti: altro che immondizia
Indirizzata ai ragazzi ma piena di insegnamenti per gli adulti. Fino
al 30 aprile
OAUTORE V_RAV
OARGOMENTI ecologia, riciclaggio, rifiuti, mostre
OORGANIZZAZIONI AMIAT, REGIONE PIEMONTE, PROVINCIA DI TORINO, ABET LAMINATI,
WASTE
MANAGEMENT, R.D.F., SACME, REPLASTIC
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OTABELLE T. CRESCITA DELLA RACCOLTA DIFFERENZIATA DEI
CONTENITORI IN PLASTICA PER LIQUIDI DAL 1994 AL 1997
OSUBJECTS ecology, laundering, waste, exhibition
SIAMO sommersi dai nostri rifiuti! Quasi un astratto luogo comune
che, a furia di sentirlo, alla fine non allarma piu' di tanto. Ma la
mostra ospitata nel palazzo del Museo dell'Automobile di Torino,
«Conoscere e giocare con i rifiuti», ha, tra gli altri meriti, quello
di farcene letteralmente toccare con mano l'inoppugnabile concretezza
gia' prima di entrare, con quei due alberi fatti di cartapesta e di
contenitori di plastica, e poi, appena entrati, con quell'ammasso di
ferraglia, radiatori, televisori sfondati, molle e rubinetti
arrugginiti, spazzatura di officina metalmeccanica, resti di un
naufragio tecnologico. Una mostra, «interattiva e multimediale»,
realizzata da Radio Torino Popolare insieme con Regione Piemonte,
Provincia, Comune di Torino, Amiat, programmaticamente indirizzata ai
ragazzi ma piena di insegnamenti per i grandi; fatta non solo di
denunce drammatiche, ma soprattutto di gioco e di ironia perche',
sembra essere il sottinteso, se questi ragazzini che oggi trafficano
con plastiche e metalli per costruire fantasiosi giocattoli sotto la
guida di animatori avranno imparato la lezione, il futuro potrebbe
essere meno catastrofico del presente. «E' difficile disfarsi dei
rifiuti, non basta gettarli via», dice uno slogan della mostra. E
allora via attraverso un autentico percorso di guerra, assediati
dalla spazzatura, tra labirinti di bottiglie di plastica, balle di
carta da recupero, blocchi di metallo, una «500» ridotta a un cubo di
lamiere schiacciate, immagini di immensi campi di vecchi pneumatici
per uscire infine dall'incubo e incontrare concetti come riciclaggio,
raccolta differenziata, materia prima seconda (quella ricavata da
materiale di scarto e pronta per essere rilavorata), rifiuto come
preziosa risorsa; ecco, perfettamente funzionanti, modellini di
impianti per il recupero di contenitori in plastica per liquidi
(quello del consorzio Replastic di Novate Milanese), o per lo
sfruttamento di vecchi pneumatici, spezzettati, macinati e avviati a
una nuova vita, o ancora per il riciclaggio di bottiglie di vetro.
Ecco, infine, alcuni prodotti ottenuti con i rifiuti sottratti al
seppellimento nelle discariche: le bottiglie e i flaconi di plastica
di Pet (polietilentereftalato) lavorato dal consorzio Replastic sono
ridotti in scaglie o «flakes» che serviranno per la produzione di
fibre, imbottitura e «pile»; la successiva lavorazione dei «flakes»
ad opera della Montefibre da' il fiocco di fibra tessile «Terital
Eco» di elevata qualita' con cui si fabbricano i morbidi e caldi
tessuti esposti, capi in «pile», maglioni, pellicce ecologiche (un
capo di abbigliamento pesante 400 grammi «contiene» 10 bottiglie ex
acqua minerale). Oggetti in plastica mescolati alla rinfusa senza
tenere conto delle diverse carat-teristiche possono essere utilizzati
ugualmente: la «plastica eterogenea», come viene definita, serve per
costruire mobili da giardino, panchine, fioriere. Il Tefor ideato
dalla Abet Laminati e' il primo laminato plastico ottenuto da scarti
di produzione: e' utilizzato nel settore automobilistico e in genere
dei trasporti, per imballi, come componente degli elettrodomestici. I
pneumatici, frantumati fino a ridurli in polvere, si trasformano in
suole per scarpe o guarnizioni o possono essere mescolati all'asfalto
nelle pavimentazioni stradali che guadagnano in durata e resistenza.
Un prodotto chiamato R.D.F. prodotto dal gruppo Waste Management
derivato da rifiuti industriali e urbani contiene carta, cartone,
plastica, legno, tessuti e costituisce un buon combustibile, usato in
particolare nei cementifici. Ed infine ecco il materiale futuribile,
che si produce con materia prima rinnovabile e non inquina quando
finisce la sua vita attiva: e' il MaterBi, prodotto dalla Novamont:
e' ricato dal mais, e' completamente biodegradabile e puo'
trasformarsi in concime. Con questo materiale la Sacme produce
sacchetti di plastica, la Lecce Pen una penna, la Ciuffogatto ossi
per cani, la Ivalda bastoncini per la toeletta delle orecchie. La
mostra «Conoscere e giocare con i rifiuti» sara' aperta fino al 30
aprile, tutti i giorni dalle 10 alle 18 eccetto il lunedi'; il
biglietto (che da' diritto anche alla visita del Museo dell'Auto)
costa 10 mila lire, ridotto 7000, studenti 4000, gratuito per gli
insegnanti. Visite scolastiche: preferibile la prenotazione;
telefono: 011-677.666.(v. rav.)
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
WESLEY CONTRO HEISENBERG
Violato il principio d'incertezza?
Veniva scoperto esattamente settant'anni fa
OAUTORE OREFICE ADRIANO
OARGOMENTI storia della scienza
ONOMI HEISENBERG WERNER, BOHR NIELS, J.P. WESLEY
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS history of science
ESATTAMENTE settant'anni fa, nel 1927, veniva formulato dal fisico
tedesco Werner Heisenberg - nell'ambito della nascente meccanica
quantistica - il famoso «principio di indeterminazione» o «di
incertezza». Per inquadrarne il contenuto e il significato, si
supponga (le cose non vanno poi tanto diversamente) che per misurare
posizioni e velocita' di un corpo si debba, man mano, «sparargli»
addosso dei proiettili, risalendo poi dalla rilevazione delle loro
deviazioni alla descrizione del moto studiato. Se i proiettili sono
piccoli e poco energici, e se il corpo e' molto massiccio, i suoi
stati fisici non saranno troppo disturbati dal processo di
osservazione, e la descrizione risultera' pienamente soddisfacente.
Via via che il corpo osservato diminuisce di massa e volume, pero',
e' chiaro che le sue posizioni e velocita' cominceranno ad essere
sempre piu' alterate dall'impatto con i proiettili stessi. Dato poi
che i proiettili disponibili (i fotoni) hanno la proprieta' che piu'
«piccoli» sono (e atti quindi a determinare con precisione la
posizione del corpo) piu' sono energici (e tali percio' da
perturbarne, colpendolo, la velocita') esistera' un limite alla
possibilita' di conoscere con precisione lo stato fisico (di
posizione e moto) di un corpo microscopico. E' questa la sostanza del
principio di indeterminazione, o di incertezza, nella forma «ingenua»
intuita da Heinsenberg (allora venticinquenne) nel 1927. Si sara'
notato che (anche se l'atto della misurazione tende a disturbare le
proprieta' fisiche osservate) Heisenberg non metteva minimamente in
dubbio il fatto che tali proprieta' esistessero. L'interpretazione di
Heisenberg doveva pero' cambiare presto drasticamente, sotto
l'influsso del ben piu' anziano e agguerrito Niels Bohr. Ecco i
diversi stadi del progressivo mutamento concettuale. Primo stadio:
«Se c'e' un limite alla misurabilita' della realta' fisica, allora
tale realta', oltre quel limite, potrebbe anche non esistere».
Secondo stadio: «Tale realta' e' percio' una nostra astrazione, e non
esiste affatto». Terzo stadio: «Se, sotto il livello di
osservabilita' stabilito da Heisenberg, si verificassero eventi
abitualmente ritenuti inaccettabili (come la comparsa di energia dal
nulla) tali eventi non potrebbero (ovviamente!) essere osservati».
Quarto stadio: «Quindi tali eventi potrebbero anche verificarsi.
Anzi, devono farlo (sia pure entro un'ampia gamma di possibilita'
virtuali) senno' la certezza della loro assenza sarebbe in contrasto
col principio di indeterminazione». Questa versione del mitico
Principio e' alla base di molta della fisica piu' avanzata e della
moderna cosmologia: oggi si sospetta che l'universo stesso sia
scaturito da una fluttuazione clandestina del nulla (il cosiddetto
«vuoto quantico»). Premesso tutto cio', e' interessante riferire che
sul numero di settembre (1996) della rivista «Physics Essays» e'
apparso un articolo dell'americano J. P. Wesley, dall'inquietante
titolo «Failure of the Uncertainty Principle». In un linguaggio piano
e suggestivo l'articolo riporta tutta una serie di esempi chiari e,
almeno apparentemente, convincenti (basati sull'atomo di idrogeno,
sul decadimento radioattivo, su microscopi ottici e a scansione, su
apparecchi radio e su altri semplici sistemi fisici) in cui il Sacro
Principio viene, e di gran lunga, violato. Dell'abituale «Via Crucis»
percorsa da ogni lavoro innovativo ma scomodo (prima fase: non essere
accettato per la pubblicazione; seconda fase: venire ignorato dalla
comunita' scientifica internazionale; terza fase: divenire oggetto di
una seria discussione), l'articolo di Wesley ha superato la prima
prova. Inviato nel 1994, l'articolo e' stato lungamente vagliato dai
recensori, che gli hanno dovuto infine accordare l'im primatur. Siamo
ora in viva attesa delle fasi successive. Ma se gli «scandalosi»
esempi del terribile Wesley non verranno colti in fallo, la fisica
non sara' piu' la stessa. Adriano Orefice Universita' di Milano
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SUDDIVISIONE DI UN SEGMENTO...
Ancora altre soluzioni
Dai lettori nuovi procedimenti
OAUTORE PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI matematica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS mathematics
ALCUNI lettori hanno scritto o telefonato per segnalare nuove
soluzioni al problema risolto dai due giovani studenti americani,
Dave e Dan, di cui avevamo dato notizia su «Tuttoscienze» del 19
febbraio scorso. Sono costruzioni che partono sempre da un rettangolo
avente come base il segmento da dividere in un dato numero di parti
uguali. Purtroppo e' impossibile riportare le numerose pagine
relative alle diverse dimostrazioni, ma vogliamo ringraziare, per il
loro interesse al problema, Bruno Sulotto e Stefano Turato di Torino,
Paolo Boggio Togna di Ventimiglia, Claudio Bruzzone di Albisola
Marina (Savona) e Piero Brunet di Introd (Aosta). Riportiamo soltanto
un cenno al procedimento seguito da Piero Brunet, simile a quello
trovato da altri lettori (una dimostrazione e' arrivata senza firma).
Il procedimento dei due giovani americani risolve separatamente la
suddivisione del segmento in un numero pari oppure in un numero
dispari di parti uguali mentre il nuovo procedimento risolve il
problema per un numero qualsiasi di parti. La figura illustra
chiaramente il nuovo algoritmo, che presentiamo con il consenso del
suo autore. Lasciamo ai nostri lettori, e in particolare allo
studente interessato, il compito di dimostrare, attraverso la
similitudine di triangoli facilmente individuabili, che (vedi figura)
e cosi' via. Federico Peiretti
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. I PATRIMONI DELL'UNESCO
I tesori dell'umanita'
Oltre 500 siti protetti in piu' di cento Paesi
OAUTORE GIULIANO WALTER
OORGANIZZAZIONI UNESCO
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE T.
COMPIE 25 anni l'impegno dell'Unesco - l'organizzazione delle Nazioni
Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura - nel campo della
conservazione del patrimonio mondiale. Natura, storia, cultura.
L'eredita' lasciata dall'uomo nel corso della sua avventura sul
pianeta e l'ambiente nel quale essa si e' potuta sviluppare va
tutelata, preservata per il futuro. Il patrimonio mondiale
dell'umanita' e' sotto controllo speciale dal momento in cui, nel
novembre 1972, a Nairobi, fu adottata la Convenzione per la
protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale. A occuparsi
del vasto progetto di inventario di questi beni e' stata chiamata
l'Unesco. Un impegno al tempo stesso materiale e spirituale, di
grande delicatezza, con l'obiettivo di fare dell'intera umanita' non
solo l'erede ma anche la custode del patrimonio ambientale e
monumentale del pianeta. La lista del «patrimonio mondiale» e' ricca
di 506 beni, suddivisi in 380 siti culturali, 107 naturali e 19 siti
misti, situati in 107 Paesi. Si e' appena arricchita di 37 nuove
ammissioni decise, come ogni anno, da una speciale commissione
riunita a Merida (Messico) nel 1996. Si tratta di uno scrigno di
bellezze naturali, artistiche, architettoniche, paesaggistiche,
monumentali che rappresentano un capitale insostituibile, spesso
indispensabile al mantenimento stesso della vita sul pianeta. E che
nonostante cio' e' minacciato quotidianamente dall'azione
irresponsabile degli uomini che troppo poco fanno per tutelarlo,
difenderlo dall'azione distruttiva delle guerre, da quella non meno
preoccupante del crescente inquinamento, oppure dell'urbanizzazione
accelerata e del turismo di massa. L'idea fondante dell'Unesco e' che
questo patrimonio travalica l'interesse e le competenze dello Stato
sul cui territorio si trova l'opera da tutelare, per diventare
competenza dell'intera umanita'. Dunque la conservazione e la
valorizzazione di questo patrimonio comune richiede l'attiva
cooperazione internazionale e i singoli stati sono incoraggiati e
sostenuti sul piano legislativo, tecnico, finanziario e
amministrativo dalle iniziative dell'Unesco. Uno specifico comitato,
costituito da una ventina di rappresentanti degli oltre 140 Stati che
hanno ratificato la convenzione, valuta annualmente i beni candidati
a essere iscritti nella lista e proposti dai singoli Stati che
contestualmente impegnano in primo luogo se stessi nella salvaguardia
del sito. Se questo sara' accolto nella lista potra' inoltre contare
sull'aiuto dello specifico fondo istituito dalla convenzione e
mantenuto grazie ai contributi degli Stati membri e a donazioni di
privati e istituzioni che consentono di fornire supporti materiali,
tecnici o in materia di formazione professionale per personale
specializzato. I beni inseriti in questa «mappa delle meraviglie»
comprendono, per quanto riguarda la sezione cultura, i monumenti
propriamente detti, dalle opere di architettura, pittura e scultura,
ai reperti archeologici, alle incisioni rupestri, agli insiemi di
edifici e, dal 1993, anche i cosiddetti «paesaggi culturali». La voce
«patrimonio naturale» raccoglie invece i monumenti naturali
costituiti da formazioni fisiche e biologiche o loro raggruppamenti,
significativi sotto l'aspetto estetico o scientifico, le formazioni
geologiche e fisiografiche, nonche' le zone che rappresentano gli
habitat di specie animali e vegetali minacciate che abbiano valore
scientifico o per la conservazione. Per entrambe le grandi categorie
e' inoltre indispensabile il carattere di valore universale
eccezionale. Questo e' stato definito, nell'ambito degli orientamenti
operativi della convenzione messi a punto per valutare il patrimonio
mondiale, ricorrendo a specifici criteri. Perche' un sito possa
essere inserito nella lista del patrimonio mondiale, e accedere al
fondo internazionale di intervento, dovra' rispondere ad almeno uno
dei criteri. Per i beni culturali sono sei: 1) rappresentare un
risultato artistico o estetico unico: 2) aver esercitato un'influenza
notevole sugli sviluppi successivi nel campo dell'architettura o
delle arti; 3) essere la testimonianza eccezionale di una tradizione
o di una cultura; 4) figurare tra gli esempi piu' caratteristici di
un tipo di struttura; 5) rappresentare un esempio eccezionale di un
insediamento tradizionale; 6) essere associato con eventi o con
tradizioni di importanza universale fuori della norma. Le direttive
specificano inoltre che il sito deve qualificarsi per la sua
autenticita' e carattere originale in rapporto alla o alle culture di
cui e' espressione e deve essere autentico nella sua forma, nei
materiali, nelle tecniche di lavorazione in relazione al suo
contesto. I criteri per la selezione dei beni naturali sono quattro:
1) essere esempi rappresentativi dei grandi stadi della storia della
Terra, comprese le testimonianze della vita, dei processi geologici
in corso nello sviluppo delle forme terrestri o elementi geomorfici o
fisiografici di grande significato; 2) essere rappresentativi dei
processi ecologici e biologici in corso durante l'evoluzione e lo
sviluppo degli ecosistemi e delle comunita' di piante e animali
terrestri, acquatiche, costiere o marine; 3) rappresentare fenomeni
naturali o aree di una bellezza naturale e di una importanza estetica
eccezionale; 4) contenere gli habitat naturali piu' rappresentativi e
importanti ai fini della conservazione in sito della diversita'
biologica, ivi compresi quelli in cui sopravvivono specie minacciate
di grande importanza per la scienza o la conservazione. Vedremo
prossimamente, in dettaglio, alcuni esempi rappresentativi di questi
tesori dell'umanita'. Nel disegno sono segnati solo alcuni dei tanti
luoghi protetti in Europa. Ricordiamo che in Italia i siti sotto
l'egida Unesco sono solo sette: le incisioni rupestri in val
Camonica, Santa Maria delle Grazie a Firenze e il centro storico,
Venezia, piazza del Duomo a Pisa, e i centri storici di Roma e di San
Geminiano in Toscana. Tra i posti piu' famosi in elenco e segnati
sulla cartina: i menhir di Stonehenge in Gran Bretagna; Mont St.
Michel e le cattedrali gotiche di Amiens e Chartres (Francia); le
grotte di Altamira e la cattedrale di Burgos (Spagna), i centri
storici di Varsavia e Cracovia (Polonia), la citta' di Budapest; la
Medina di Tunisi e l'anfiteatro romano di El Djem (Tunisia); i parchi
naturali del Tassili N'Ajer e l'oasi di Tadrart (Sahata algerino). Le
rovine romane di Cirene in Libia; il Monte Athos, Delfo ed Epidauro
(Grecia), la citta' vecchia di Istambul. Walter Giuliano
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
La grande COMETA i giorni dello show La rivedremo fra tremila anni
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia
OORGANIZZAZIONI NASA
OLUOGHI ITALIA
ONOTE Cometa Hale-Bopp
OSUBJECTS astronomy
IERI, 1o aprile, alle 5 e 20 ora italiana, la cometa Hale-Bopp ha
circumnavigato il Sole. Invertita la rotta, sta ora dirigendosi
un'altra volta verso l'esterno del sistema planetario. Il punto
dell'orbita piu' vicino al Sole, il perielio, lo ha raggiunto a 136
milioni di chilometri dalla nostra stella. Il piu' lontano, l'afelio,
e' a 60 miliardi di chilometri, dieci volte piu' lontano di Plutone.
Un lungo viaggio attende dunque l'astro che vediamo splendere nel
cielo della sera. Il periodo orbitale era di 4200 anni quando Hale e
Bopp il 22 luglio '95 fecero il primo avvistameto. L'influsso
gravitazionale di Giove lo ha ridotto, attualmente, a 2380 anni. E'
il Sole a vestire le comete, con la sua radiazione e con il «vento»
di particelle atomiche che soffia intorno a se'. Ora che, come una
farfalla attratta da una candela, ha raggiunto e superato il massimo
avvicinamento, la Hale-Bopp interpretera' il meglio del suo show. Il
calore solare ha fatto in parte sublimare il ghiaccio di anidride
carbonica e di acqua che costituisce il nucleo cometario; i gas
stanno uscendo a 50 chilometri al secondo dai crepacci della crosta
carboniosa come potenti zampilli e vanno a potenziare la coda di gas
e di polveri, allungandola di molti milioni di chilometri. Cometa del
secolo? Si', adesso possiamo dire, finalmente, che la Hale-Bopp ha
mantenuto la promessa. Bisogna risalire al 1811 per incontrare
un'altra cometa cosi' luminosa e con un nucleo cosi' grande (40-70
km). La chioma ha rivelato una eccezionale quantita' di polveri, ma
anche ossido di carbonio, cianogeno e altre molecole complesse,
confermando che le comete sono laboratori di materiale pre-biologico.
Dimensioni e quantita' di polveri (basta un piccolo telescopio per
vederne vari gusci intorno al nucleo) fanno pensare che la Hale-Bopp
appartenga alla famiglia di quei corpi celesti che formano la
«cintura di Kuiper» oltre l'orbita di Plutone, dove sono gia' stati
individuati piu' di 30 planetoidi ghiacciati dal diametro sui 200
chilometri, strani ibridi tra asteroidi e gigantesche comete. Gli
astronomi stanno lavorando per ricavare dalla Hale-Bopp il massimo di
informazioni. Il satellite europeo Iso, che osserva il cielo
nell'infrarosso, ha scoperto nelle sue polveri l'olivina, un minerale
individuato anche nelle nebulose da cui nascono nuovi sistemi
planetari. La Nasa ha lanciato tre razzi per cercare neon e argon,
gas nobili che ci darebbero notizie sulle origini della cometa; un
quarto razzo partira' il 5 aprile. In quel giorno la Hale-Bopp sara'
nella posizione piu' favorevole per l'osservazione dal nostro
emisfero. Affinche' tutti possano ammirare la Hale-Bopp, i sindaci di
molte citta' in Italia e nel mondo hanno deciso di spegnere, il 5
aprile, il grosso dell'illuminazione pubblica per un paio d'ore:
straordinaria occasione per distogliere, una volta tanto, gli occhi
dalla tv e per scrutare il cielo notturno, questa meravigliosa
finestra cosmica, inesauribile fonte di riflessioni sul senso
dell'esistenza. Fara' eccezione Torino. A quanto pare, i torinesi
dovranno attendere il prossimo passaggio della Hale-Bopp, tra 2380
anni. E un'altra giunta. Piero Bianucci
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ASPETTANDO IL SALVATAGGIO
I 23 centimetri persi da Venezia
OAUTORE ANTONETTO ROBERTO
OARGOMENTI geografia e geofisica, mostre
OORGANIZZAZIONI MUSEO CORRER
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, VENEZIA (VE)
OTABELLE C. La laguna di Venezia
ONOTE «Laboratorio Venezia»
OSUBJECTS geography and geophisics, exhibition
POCO meno di due anni fa, proprio su questo giornale, «il
prolungamento indefinito delle discussioni sulle opere di difesa di
Venezia e di riequilibrio della laguna» era stato denunciato da Mario
Fazio come «non piu' sopportabile». Ora e' arrivato (ed e' gia' alle
nostre spalle) il trentennale del tragico 4 novembre 1966, giorno in
cui la citta' lagunare venne messa in ginocchio da un'acqua alta di 1
metro e 94 centimetri, la piu' catastrofica da due secoli a questa
parte. Tra i riti della mesta ricorrenza, uno piu' degli altri sara'
forse servito a scuotere gli animi, soprattutto dei giovani: la
mostra «Laboratorio Venezia», tuttora in corso nelle sale del Museo
Correr. Una mostra che, senza volerlo, finisce per essere anche una
messa in mora dei responsabili di ogni ulteriore lacerazione
scientifica, ritardo politico o pastoia burocratica. Nelle immagini e
nei tabelloni didattici (perfino «scolastici», e ben venga la
comprensibilita' per i non addetti ai lavori!) c'e' tutta la
dimensione di una crisi ambientale che, trattandosi di Venezia, e'
certamente la piu' grave del nostro Paese; e nello stesso tempo la
dimensione di un'impresa scientifica e tecnologica che, se pienamente
realizzata, sara' una delle piu' complesse e impegnative di questo
scorcio di millennio. I termini della crisi sono una specie di
bollettino di guerra. Venezia si e' «abbassata» in un secolo di oltre
23 centimetri a causa di fenomeni congiunti della subsidenza e
dell'eustatismo, cioe' dell'abbassamento del suolo e
dell'innalzamento del mare. Fra il 1950 e il 1970, anni di maggior
cecita' ecologica, l'estrazione dal sottosuolo di acqua per scopi
industriali ha fatto «scendere» Marghera di 12 centimetri e Venezia
di 8. Cosi', se all'inizio del secolo Piazza San Marco - il punto
piu' basso della citta' - si allagava sei o sette volte all'anno, ora
succede anche quaranta volte. La laguna e' un organismo
morfologicamente violentato, non piu' in grado di mantenere in
equilibrio gli opposti fenomeni della sedimentazione e dell'erosione.
Ogni anno perde fino a un milione di tonnellate di sedimenti a favore
del mare. Barene e velme (i caratteristici fondali appena affioranti
dalle acque) si sono ridotte alla meta' della superficie che avevano
all'inizio del secolo: da 90 a 45 chilometri quadrati. Si punta il
dito, fra l'altro, sulle casse di colmata create a Marghera per il
polo industriale; sulla profonda ferita che fu, alla fine degli Anni
Sessanta, lo scavo del «Canale dei Petroli» per fare arrivare le
grandi petroliere a Porto Marghera. Di petroliere, in laguna, ne
passano ogni anno 1200, trasportando 12 milioni di tonnellate di
prodotti petroliferi: un agguato mortale per Venezia, invano
denunciato. Poi, l'inquinamento: ogni giorno 3 milioni e mezzo di
metri cubi di acque di scarico industriale, piu' gli apporti del
bacino scolante dell'entroterra con i fosfati delle colture agricole
e zootecniche. Potrebbe essere immaginata una macchina piu' perversa
per la morte di Venezia? E trent'anni di progetti e di discussioni
sono arrivati a contrapporre un «sistema» coerente e globale di
rimedi? Nelle sale del Correr, al di sotto dei tabelloni e dei
grafici si sentono covare ancora i tizzoni del dissidio scientifico,
intellettuale e politico. Ma c'e' anche l'impressione che tutto
quanto si poteva studiare, approfondire e discutere e' stato
studiato, approfondito e discusso. Che la scienza, su Venezia, ha
detto tutto, e a volte anche il contrario di tutto. Ora bisogna
tirare le somme. Il tempo della gestazione e' finito. C'e' sul
tappeto, a difesa dalle acque alte eccezionali, una gigantesca opera
di sbarramenti mobili alle bocche di porto, i tre varchi (Lido,
Malamocco e Chioggia) che mettono in contatto la laguna con il mare.
Si tratta di una schiera di paratoie incernierate sul fondale delle
bocche, da sollevare sfruttando la spinta di galleggiamento in caso
di acque alte superiori al metro, in modo da fare argine temporaneo
al mare. L'opera, probabilmente la maggiore mai concepita
dall'ingegneria civile italiana, e' stata progettata dal «Consorzio
Venezia Nuova», concessionario dello Stato per gli interventi a
salvaguardia di Venezia. E c'e' sul tappeto una progettualita', a sua
volta imponente, che mira al riequilibrio idrologico e morfologico
generale della laguna e al suo disinquinamento. Dalle tante polemiche
sono stati comunque partoriti un cospicuo allargamento del problema e
un'enorme massa di documenti scientifici. E di interventi, nel
frattempo, ne sono stati fatti, sia ad opera dello Stato sia dalle
istituzioni locali: tra gli altri il rinforzo di chilometri di
litorali e la ricostituzione di barene, mentre si e' riavviata dopo
trent'anni di inerzia la sacrosanta pratica della pulizia dei 170 rii
veneziani dai depositi di fango. Entro l'anno si conoscera' il
destino della grande diga mobile sommersa. Si sarebbe dovuta
realizzare fra il 1995 e il 2003, con un costo di 5300 miliardi. Non
e' stato cosi'. Nell'ottobre del 1994 il Consiglio superiore dei
lavori pubblici ha approvato il progetto di massima, gia' concluso da
alcuni anni anche nella sua fase sperimentale con un prototipo
denominato «Mose». Ma e' stata voluta ancora una valutazione di
impatto ambientale. La sentenza e' attesa per i prossimi mesi. E
allora: o l'idea delle paratoie si buttera' a mare, o esse serviranno
contro il mare (non prima di una decina d'anni). Purche', Venezia,
finalmente, da laboratorio diventi cantiere globale. Roberto
Antonetto
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Le emozioni e le domande che suscita questo eccezionale visitatore
celeste
Un simbolo di quell'ignoto che da sempre attrae l'uomo
OAUTORE FERRARI ATTILIO
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
ONOTE Cometa Hale-Bopp
OSUBJECTS astronomy
LA cometa Hale-Bopp sta conquistando tutti. Dappertutto di sera o
prima dell'alba si vedono gruppi curiosi che in angoli bui si
affannano con binocoli e piccoli telescopi. Perche' tanta agitazione?
In fondo sappiamo che e' solo un minuscolo grumo di ghiaccio e
polvere del diametro di 40 chilometri (300 volte piu' piccolo di
quello terrestre) che viene dagli estremi limiti del sistema solare,
posti a oltre 10 miliardi di chilometri dal Sole, da quella che si
chiama la Nube di Oort. Si accende della sua fantastica coda solo
perche' nei dintorni del Sole, al perielio, e' investita dalla
radiazione e dal vento solare. La Hale-Bopp e' passata a 200 milioni
di chilometri da noi: quindi nessun rischio di impatti o di
catastrofi. Se anche la tenue, estesissima coda ci sfiorasse, non la
sentiremmo neppure. Eppure, se non la paura, l'ansia c'e'. La cometa
e' un visitatore che viene dallo spazio profondo. E' un misterioso
viaggiatore che ci sfiora e, senza degnarci di alcuna attenzione, se
ne tornera' chissa' dove. Ripassera' dalle nostre parti, ma solo fra
tre o quattromila anni: la vedranno i nostri pro-pro-pro-nipoti. Nel
suo precedente passaggio al perielio ne' Atene ne' Roma ancora
esistevano. Oltre che un viaggiatore nello spazio la cometa e' un
messaggero che viaggia nel tempo. Qualche anno fa, nel 1986, ci
passo' accanto la tanto celebrata cometa di Halley, che nel 1911 si
era dispiegata in tutta la sua bellezza agli occhi dei nostri nonni.
Che delusione per noi! Poco appariscente quest'ultima volta, quasi
avesse tradito il messaggio di continuita' tra i nostri nonni e noi.
Forse e' proprio in questo aspetto di comunicazione oltre la durata
della vita umana che sentiamo nella cometa il segno di un universo
che ci trascende. La Hale-Bopp ci fa sentire parte di uno spazio e di
un tempo estesissimi, forse infiniti. In fondo ci rendiamo conto che
la nostra stessa civilta' non e' che un soffio, poche migliaia di
anni nel tempo e poche decine di migliaia di chilometri nello spazio.
Si', abbiamo mandato recentemente sonde oltre le soglie del sistema
solare, oltre l'orbita di Plutone. Ma si e' trattato di una bottiglia
buttata nel mare dell'universo nella speranza che qualcun altro
risponda o venga a cercarci; non si e' trattato ancora della
conquista dello spazio. Anzi, la fisica d'oggi non ci permette
neppure di sognare di andare laggiu' dove invece la cometa e' stata e
tornera'. Siamo tanti sulla Terra, ma per ora soli e isolati
nell'universo! E' vero che possiamo «vedere» lontano, raccogliendo i
fotoni che ci vengono dalle galassie lontanissime, addirittura dal
Big-Bang. Ma e' veder l'universo in fotografia, non si tratta di una
vera visita. Quindi l'emozione che proviamo ha una radice molto
profonda. E' il segno della curiosita' meravigliosa che da' senso
alla vita dell'uomo sulla Terra, curiosita' che appartiene a tutti.
Spesso, affranti dalle fatiche, dalle tasse, da guerre, disastri,
delusioni, incidenti e accidenti, dimentichiamo di essere qualcosa di
piu' che semplici entita' fisiche tese alla sopravvivenza materiale.
Invece l'uomo e' pur sempre alla ricerca di conoscenze nuove, piu' o
meno importanti, ma in cui sempre si rinnova. La ricerca scientifica,
per esempio, e' una continua e affascinante caccia alle comete, una
ricerca di verita' che trascendono la realta' di tutti i giorni, ma
che ci permettono di migliorare questa realta' e noi stessi. Che cosa
vuol dire indagare la struttura intima della materia, o le
aggregazioni di galassie primordiali, o il rigenerarsi delle cellule,
o la dinamica caotica dell'atmosfera, se non sfiorare essenze e
fenomeni appena percettibili, in un certo senso invisibili,
intangibili comunque? I risultati della ricerca scientifica vanno e
vengono come le comete, antiche e nuove: alcuni risultati si
stabilizzano per un certo tempo su orbite stabili, rimangono come
parte del del nostro sistema di conoscenza, altri passano brevemente.
Ma se qualche risultato svanisce, altre ricerche porteranno nuovi
elementi stabili. E soprattutto: come non e' la singola cometa a
definire il sistema solare, cosi' non esistono teorie definitive,
vere per sempre, bensi' solo modelli sempre piu' perfetti. Ma quando
l'uomo sfiora nella sua ricerca un «risultato giusto», un modello che
funziona, almeno per un po', prova la stessa emozione di chi guarda
affascinato la cometa, felice di aver compreso che cosa sia, ma allo
stesso tempo curioso di immaginare che cosa si porti dietro, e che
mai verra' dopo. La cometa e' un elemento del mondo meraviglioso che
ancora non abbiamo compreso, men che mai conquistato. Esistono alcune
semplici valutazioni che permettono di calcolare che la nostra
civilta', se vorra' sopravvivere al di la' di qualche centinaio di
migliaia di anni (ma forse potra' estinguersi anche molto prima),
deve uscire da questo pianeta. Non solo perche' le risorse planetarie
potrebbero esaurirsi, ma soprattutto perche' altrimenti si
isterilirebbe la spinta conoscitiva, il desiderio di vivere. In
questo senso «seguire virtute e conoscenza» vuol dire cercare di
comprendere l'universo attraverso l'umile coscienza che ne facciamo
parte, si' come comete, ma non insensibili come comete. Attilio
Ferrari Direttore dell'Osservatorio di Torino
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. LA FIERA DI HANNOVER
Pronto, mi vedi?
Alle frontiere dell'elettronica
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI elettronica, fiera
OORGANIZZAZIONI CEBIT
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, GERMANIA, HANNOVER
OSUBJECTS electronics, fair
E' l'affare del momento. Le telecomunicazioni fanno gola a tutti e
chiunque ha la possibilita' di fare affari con telefonia cellulare e
reti telematiche, computer multimediali e schermi piatti,
microtelecamere per videoconferenze e cavi in fibra ottica, ci si
butta a capofitto. Al Cebit di Hannover, la piu' importante fiera
europea dell'informatica e dell'elettronica che si e' svolta a meta'
marzo, questa linea di tendenza e' stata confermata da tutti i
settemila espositori presenti. Tanto per fare qualche esempio, la
Philips nel solo 1996 ha investito 2 mila miliardi per potenziare il
proprio settore di telefonia mobile. In Svezia e' il terzo produttore
di cellulari e potrebbe presto diventarlo anche in Italia, specie se
andra' in porto una trattativa con Omnitel. Anche la Bosch, che non
si era mai interessata troppo di telecomunicazioni, sta mettendosi al
passo con i tempi: nel '96 la sua divisione Tecnica delle
comunicazioni ha investito ben il 10 per cento del fatturato nello
sviluppo di nuovi prodotti (la media e' del 4-6 per cento). La
telefonia mobile e' forse il settore piu' in espansione. Ormai
esistono prodotti affidabili a partire da 400 mila lire (attenzione,
pero', alla qualita' delle batterie) e la battaglia si gioca sulla
versatilita' e sulla raffinatezza degli accessori. Il produttore
danese Dancall, praticamente introvabile in Italia, ha presentato il
WorldPhone, il primo cellulare capace di funzionare sia sulla rete
europea sia su quelle nordamericana, giapponese e australiana. Con un
solo numero di telefono si puo' essere rintracciati in ogni angolo
del globo. Sullo stesso versante e' il Microtac International 8800
della Motorola a doppia banda, che puo' appoggiarsi sia alla rete Gsm
a 900 MHz, sia sulla Dcs a 1800 MHz, un prodotto interessante per chi
si muove in Europa e ha bisogno di scegliere di volta in volta il
servizio migliore. Dal punto di vista hardware l'oggetto piu' curioso
e' il Philips Genie (il piu' leggero Gsm del mondo: 95 grammi) che e'
lungo 11 centimetri e ha un microfono retrattile per poterlo
avvicinare meglio alla bocca. Dieci numeri possono essere memorizzati
e composti automaticamente semplicemente pronunciando a voce il nome
dell'amico che si vuol chiamare. Interessante anche il videotelefono
cellulare della Bosch (per il momento poco piu' che un prototipo) che
funziona con lo standard H.324 e si appoggera', quando sara'
completata, alla rete Dect. Sul versante personal computer, in attesa
di veder arrivare sul mercato il lettore Dvd- Rom (per ora c'e' solo
quello della Pioneer) e il network computer, tre sono gli aspetti
piu' interessanti: la disponibilita' di nuovi schermi piatti anche
per i pc da tavolo, l'ultima generazione di calcolatori «palmari» (ne
parliamo nella scheda qui accanto) e il riconoscimento vocale, che
sta diventando «di serie» per quasi tutte le marche e facilitera' ai
profani l'uso del computer. Per gli utenti professionali la gamma
degli schermi tradizionali a tubo catodico e' stata ulteriormente
perfezionata (con i Sony Trinitron, gli Hitachi e i Philips
Brilliance in testa), mentre l'utente occasionale o casalingo puo'
ora scegliere per un display a cristalli liquidi. Con la ricca
esperienza accumulata sui portatili, la tecnologia Lcd ha dimostrato
di aver compiuto un salto di qualita' e anche per quanto riguarda la
precisione dei dettagli e i colori. Se ne guadagna in spazio (il
PlanFlat Lc40 della Panasonic e' spesso appena 6 centimetri) e in
salute: senza voler entrare nella polemica sulle radiazioni emesse
dagli schermi, con i monitor a cristalli liquidi il problema e'
eventualmente risolto alla radice. Sul retro dello schermo e' poi
anche possibile incorporare in tutt'uno processore, hard- disc e
lettore cd-rom. Come hanno gia' fatto numerosi produttori. La Intel
ha presentato il suo ultimo processore, l'Mmx (ma per il lancio sul
mercato, in estate, il nome di battaglia sara' Pentium 2),
appositamente studiato per applicazioni multimediali con una
velocita' di elaborazione simultanea di suoni, dati e immagini (con
qualita' televisiva) superiore del 60 per cento rispetto al Pentium
di oggi. Due le velocita' di clock (150 e 166 MHz), un basso consumo
energetico che lo rende particolarmente adatto ai portatili e una
spiccata propensione per le immagini digitali: elaborazioni in 3D,
videoconferenza, applicazioni grafiche. Sempre per assecondare la
crescente voglia di multimedialita' del mercato dei computer
domestici, la Panasonic ha realizzato un nuovo drive per cd-Rom a 24
velocita'. L'accesso e' appena di 85 millisecondi, la quantita'
massima di trasferimento dati e' di 3,6 KB al secondo. Andrea Vico
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE
Il tuo ufficio, dovunque
Va all'attacco il computer palmare
OAUTORE A_VI
OARGOMENTI elettronica, fiera
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, GERMANIA, HANNOVER
OSUBJECTS electronics, fair
ORMAI il personal computer portatile dev'essere multimediale:
hard-disk da almeno 1 giga, schermo a colori, lettore per cd- rom,
processore adeguato e batterie all'altezza della situazione. Nel
migliore dei casi, 2,7-2,8 chilogrammi da portarsi a spasso tutti i
giorni. Per chi non ha bisogno in ogni momento di un portatile, ma
non vuol rinunciare alla «portabilita'» del proprio ufficio, c'e'
oggi una soluzione intermedia offerta dai computer «palmari».
Calcolatori che stanno nel palmo della mano, non ancora potenti come
un pc e senz'altro piu' evoluti di una data-bank, quelle agendine
elettroniche in circolazione da 5-6 anni. Accanto alle solite
funzioni di agenda e rubrica telefonica, sono stati potenziati i vari
programmi editor, contabilita' e foglio elettronico. Gli utenti di
questi calcolatori tascabili sono infatti soprattutto giornalisti,
operatori finanziari, agenti di commercio che devono tenere
aggiornati gli ordinativi e il magazzino. Di tutto rispetto le
prestazioni: mediamente 2 mbyte di rom e 4 di ram, schermo a
cristalli liquidi da 25-30 linee per 60-80 caratteri, interfaccia a
icone, 300-400 grammi di peso, dimensioni al di sotto dei 20x10
centimetri e non meno di 60 ore di stand-by. Quasi tutti offrono una
facile connessione con un telefonino e la posta elettronica. La
Hewlett Packard propone il 200Lx, particolarmente attrezzato per la
matematica finanziaria e la gestione del listino di Borsa, mentre tra
le novita' della Sharp, figura il Pmc1 (Personal mobile
communicator), dove il palmare e' tutt'uno con un telefonino Gsm e la
tastiera e' sostituita da uno schermo su cui si agisce con
un'apposita penna. Anche la Panasonic ha scelto di abolire i tasti
per il suo Jacket Pocket S10 (un minuscolo 486 a 32 bit): sul display
a cristalli liquidi si agisce con uno stilo, ma si puo' far comparire
una sorta di «tastiera virtuale». In questo particolare settore del
mercato si inserisce, ora, un nuovo nome, la Philips. Ad Hannover ha
presentato il Velo 1 che al suo esordio ha gia' conquistato gli
addetti ai lavori (e ha vinto due primi premi come miglior novita'
hardware). Il Velo e' perfettamente compatibile con qualsiasi
personal anche perche' ha preinstallata un'apposita versione di
Windows 95, che caratterizza anche il Libretto, il «tiny-pc» della
Toshiba. I prezzi? dalle 700- 800 mila lire delle macchine piu'
semplici, ai circa 1 milione e 700 mila lire per i palmari piu'
sofisticati.(a. vi.)
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. NOVITA'
Lenti di gas per i laser piu' potenti
OAUTORE FURESI MARIO
OARGOMENTI ottica e fotografia
ONOMI BANG-LI XIE, NOTENT MARK, MICHELIS MAX
OLUOGHI ESTERO, ASIA, CINA, PECHINO
OSUBJECTS optics and photography
A Pechino tre ricercatori, il cinese Bang-Li Xie della locale
Accademia delle Scienze e i sudafricani Mark Notent e Max Michelis
dell'Universita' del Natal stanno portando a termine un progetto
ideato anni or sono da un nucleo di ricercatori della Bell e poi
abbandonato. Il progetto e' incentrato sull'idea di sostituire, nel
congegno direzionale di un laser ad alta potenza, le normali lenti di
vetro con altre fatte di gas. Questo nuovo genere di lenti offre vari
vantaggi, a iniziare da una migliore concentrazione dei raggi laser
che, di conseguenza, acquistano maggiore energia e occupano una
minore superficie guadagnando in precisione. Possono inoltre
consentire piu' numerose applicazioni ed estenderle a campi dove,
come in quello della fusione nucleare, le lenti di vetro trovano
difficile impiego. Va aggiunto che le lenti di gas offrono maggiore
sicurezza quando i raggi laser sono ad alta potenza. Va infine
rilevato che le lenti di vetro presentano due inconvenienti che non
sussistono usando quelle di gas: la riflessione dell'8 per cento dei
raggi laser e il rischio di andare in frantumi quando i raggi
superano una data potenza. Il funzionamento delle lenti di gas si
basa sullo stesso fenomeno naturale che da' origine ai miraggi e, in
particolare, a quello noto come «fata morgana». Un fenomeno che, per
esempio, e' facile osservare, in certe condizioni atmosferiche,
quando alla costa calabra si guarda verso quella sicula e si vedono
apparire, sopra la superficie marina, costruzioni che simulano il
panorama di una citta' trasformando in torri e castelli virtuali le
casupole e le scogliere della spiaggia. Similmente avviene che,
cambiando la temperatura, cambia l'indice di rifrazione della lente
di gas, mutando di conseguenza la direzione del raggio laser; cioe'
la stesso risultato che si otterrebbe con una lente di vetro. Mario
Furesi
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. INCENERITORI DI NUOVA GENERAZIONE
Bicarbonato per «digerire» i fumi inquinanti
Immesso nei filtri, trasforma in sale l'acido cloridrico
OAUTORE BASSI PIA
OARGOMENTI chimica, ecologia
ONOMI MORSELLI LUCIANO
OORGANIZZAZIONI SOLVAY ITALIA
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. L'inceneritore che non inquina
ONOTE Sistema Neutrec
OSUBJECTS chemistry, ecology
LA quantita' dei rifiuti solidi urbani prodotti in Italia supera i 26
milioni di tonnellate annui, un quantitativo che a lungo andare
potrebbe coprire tutto il territorio nazionale di discariche. La
termodistruzione appare come l'unica soluzione al problema. Molti
Paesi industrializzati l'hanno gia' adottata: la media europea
oscilla fra il 50 e l'80 per cento, con relativo recupero energetico,
mentre in Italia solo il 10 per cento dei rifiuti viene
termodistrutto. Un ritardo che si spera sara' colmato con
l'applicazione della legge Ronchi, art. 5, che dal 1o gennaio 2000
consente di smaltire in discarica solo i rifiuti inerti, che
presumibilmente saranno un 20 per cento del totale. Non solo le
leggi, soprattutto la ricerca e le nuove tecnologie applicate agli
inceneritori di vecchia concezione - che diventano cosi' impianti di
termodistruzione con recupero energetico obbligatorio - fanno cadere
le obiezioni che in passato hanno bloccato gli inceneritori. Gli
impianti moderni, ormai e' dimostrato perche' sono stati adottati
anche da grandi agglomerati urbani europei quali Bruxelles,
Barcellona, Stoccolma e cosi' via, ora possono essere l'alternativa
valida alle maleodoranti discariche pubbliche, fonti di malattie per
la proliferazione di virus e batteri. In questa ottica la Solvay
Italia, azienda nota per la produzione della soda e del bicarbonato,
ha messo in atto dal 1991 un nuovo sistema denominato Neutrec
(neutralizzazione e recupero), applicato agli impianti di depurazione
dei fumi prodotti negli inceneritori durante la combustione, per
mezzo del bicarbonato. I composti dispersi nei fumi sono per la
maggior parte acido cloridrico, ossido di zolfo, mentre le temibili
diossine, in passato causa della lotta agli inceneritori, sono in
realta' in rapporto all'acido cloridrico solo un decimo di
milionesimo. La tecnologia Neutrec e' tanto semplice quanto efficace:
si inietta del comunissimo bicarbonato di sodio macinato nel condotto
fumi prima del filtro finale. Il bicarbonato a contatto con i fumi
caldi in uscita dalla caldaia si trasforma in carbonato di sodio
poroso che reagisce ad esempio con l'acido cloridrico presente nei
fumi formando il cloruro di sodio (ovvero normale sale da cucina),
che verra' recuperato e ritrasformato. In un inceneritore inoltre,
l'odore tipico di decomposizione che accompagna gli ammassi dei
rifiuti non c'e' piu'; in primo luogo perche' i rifiuti sono stoccati
al coperto, all'interno dell'impianto stesso, in prossimita' della
bocca del forno che viene alimentata con braccio robotizzato, in
secondo luogo essendo l'odore composto di particelle organiche, esse
vengono aspirate e convogliate all'interno del forno. Neutrec ha
trovato la sua applicazione in Italia in 26 impianti di cui 13
inceneritori di rifiuti (Lombardia, Triveneto, Emilia Romagna,
Toscana), monitorati periodicamente. La regione che ha piu' impianti
d'incenerimento con recupero energetico e' l'Emilia Romagna, che fin
dagli Anni 70 ha sviluppato questa politica fornendo per di piu'
teleriscaldamento per l'inverno e telecondizionamento per l'estate
agli abitanti di Reggio Emilia. In particolare, l'impianto di Reggio
Emilia, monitorato anche dai laboratori dell'Enel di Piacenza, da'
valori molto al di sotto di quelli proposti dalla direttiva Cee
94/67, applicata con severita' in Germania e Olanda. Luciano
Morselli, docente al dipartimento di chimica dei materiali
all'universita' di Bologna, che sta conducendo per conto della
regione Emilia Romagna il piano dell'incenerimento e del recupero
energetico, come previsto dal decreto Ronchi, e' certo che la
tecnologia della termocombustione e' l'unica via d'uscita al problema
rifiuti che troppo spesso crea serie problematiche d'ogni tipo alla
societa' intera e sottolinea che soltanto per smaltire i rifiuti
ospedalieri speciali infettivi occorrerebbero in Italia entro il 2000
almeno 80 nuovi impianti di termocombustione: attualmente ne abbiamo
29. Ovviamente per l'economia dell'impianto esso deve essere
costruito nelle vicinanze dell'agglomerato urbano, in questo modo si
eviterebbe il trasporto dei rifiuti, seppure selezionato alla fonte
dal cittadino, per chilometri e chilometri, essendo le discariche
confinate nelle campagne, purtroppo anche in quelle coltivate, con
altrettanto disagio per l'agricoltura. Pia Bassi
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. TECNOLOGIA
Cavi elettrici sicuri ed ecologici
OAUTORE A_V
OARGOMENTI tecnologia
OORGANIZZAZIONI CEAT CAVI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, SETTIMO TORINESE (TO)
OSUBJECTS technology
LA nostra vita e' appesa a un filo: quello elettrico. Senza
elettricita' ormai non sapremmo piu' vivere: in un appartamento in
media ci sono 800 metri di cavi elettrici. Che raddoppiano
considerando tutti i fili elettrici contenuti negli elettrodomestici.
Un vero e proprio sistema nervoso che deve garantire efficienza e
sicurezza per evitare folgorazioni e lo sviluppo di incendi in caso
di cortocircuito. Da qualche anno pero' si pensa anche all'ambiente:
che succede, infatti, quando un cavo elettrico finisce in discarica?
Attualmente buona parte dei cavi a bassa tensione (quelli normalmente
usati nelle abitazioni) e' isolata grazie a un rivestimento a base di
cloruro di polivinile, meglio noto come Pvc, utilizzato in campo
industriale fin dal 1946. Per garantire la non propagazione delle
fiamme, nel 1969 il rivestimento di Pvc e' stato rinforzato con
paraffina clorurata, ossidi di metalli pesanti e cariche minerali
attive. Questa miscela non prende fuoco, ma nella combustione il
cloro contenuto nel polimero si libera nell'aria sotto forma di acido
cloridrico. Un gas letale. Un altro passo avanti per la sicurezza
delle persone si e' fatto inserendo, nella seconda meta' degli Anni
70, piombo e altri minerali capaci di evitare i fumi di acido
cloridrico. Con gravi conseguenze per l'ambiente. Come si puo'
immaginare, abbandonato tra gli altri rifiuti di una discarica il
piombo del rivestimento dei cavi inquina il terreno circostante. La
quadratura del cerchio? La nuova linea di cavi Ecopartner sviluppata
dai laboratori Bicc Ceat Cavi di Settimo Torinese ed entrata in
produzione da pochi mesi. Un rivestimento in gomma «Pvc & lead free»,
che garantisce la stessa affidabilita' e la stessa sicurezza in caso
di incendio dei vecchi cavi elettrici senza danneggiare l'ambiente
ne' quando il cavo e' in servizio, ne' quando finisce in
discarica.(a. v.)
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. LE PULCI (O AFANITTERI)
Campioni di salto in alto
I maggiori studiosi sono dei Rothschild
OAUTORE STELLA ENRICO
OARGOMENTI zoologia, collezionismo, mostre
ONOMI ROTHSCHILD CHARLES, ROTHSCHILD MIRIAM, NEVILLE HANCE CHARLES
OORGANIZZAZIONI BRITISH MUSEUM
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, LONDRA
OSUBJECTS zoology, collecting, exhibition
CHI, entrando in un locale disabitato, ha provato le punture
simultanee di un esercito di pulci rese fameliche dal digiuno, non
serbera' un buon ricordo di questi «gioielli» dell'evoluzione
animale. Non sappiamo quando gli afanitteri o sifonatteri (tali sono
i nomi attribuiti al gruppo zoologico delle pulci) siano comparsi
sulla scena del nostro pianeta. Qualche reperto fossile, pervenutoci
intatto perche' incluso nell'ambra del Baltico, risale, piu' o meno,
a 50 milioni di anni fa e rivela che le forme vissute in quel lontano
periodo rassomigliavano gia' alle attuali. Ma gli afanitteri (il
termine greco vuol dire ali invisibili'') derivano da insetti molto
piu' antichi. Abbiamo validi motivi per ritenere che i loro
progenitori fossero dotati di due ali, come le mosche, e che in
origine, frequentando le tane degli animali vertebrati, si
alimentassero di rifiuti. Fu un antenato piu' intraprendente a
scoprire i vantaggi del pasto di sangue e a dare il via a un
progressivo adattamento alla vita parassitaria, non scevra di rischi,
ma redditizia. Oggi le pulci ci appaiono mirabilmente foggiate per
farsi strada e fissarsi tra i peli dei mammiferi o tra le piume degli
uccelli: le ali, che sarebbero d'impiccio, sono scomparse, e il corpo
compresso in senso laterale presenta speciali setole e spine (alcune
hanno la forma di pettini) disposte in modo da agevolarne i movimenti
anche in seno a una folta pelliccia. Se si esclude qualche specie
sedentaria che penetra nei tessuti dell'ospite, gli afanitteri sono
formidabili campioni di salto, come si puo' arguire osservando la
lunghezza delle due ultime paia di zampe animate da una possente
muscolatura toracica. La moderna storia delle pulci e' strettamente
legata ad alcuni autorevoli nomi della famiglia Rothschild, i
notissimi banchieri internazionali. Basti dire che la piu' famosa
collezione di sifonatteri del mondo, conservata in una sezione del
British Museum, e' opera di Charles Rothschild, la cui figlia Miriam,
libera ricercatrice ad Ashton (Peterborough) e membro della Royal
Society di Londra, figura tra i maggiori specialisti contemporanei di
quest'ordine d'insetti. Dobbiamo proprio a lei una serie di studi
sulle prodezze atletiche delle pulci. Dai suoi lavori emerge tra
l'altro un dato che farebbe impallidire qualsiasi medaglia d'oro
olimpionica: la specie Echidnophaga gallinacea puo' coprire con un
rapidissimo balzo la distanza di 116 millimetri, cioe' duecento volte
la lunghezza del proprio corpo; un uomo altrettanto capace
schizzerebbe in cima a una torre alta 350 metri! Sembra incredibile,
ma grazie a sofisticati sistemi di registrazione si e' stabilito che
le pulci del ratto, adeguamente eccitate, riescono a spiccare
seicento salti all'ora, e possono farlo per tre giorni di fila, senza
concedersi tregua. La cinematografia scientifica ha permesso
l'analisi di ogni balzo, accertando che l'insetto prima di atterrare
puo' girare su se stesso, rovesciarsi piu' volte, impennarsi e cosi'
via. Non a caso Hence Charles Neville e la stessa Rothschild
affermano che i sifonatteri «volano con le zampe»: infatti l'apparato
del salto include un particolare legamento che nelle pulci
preistoriche apparteneva alle ali; fondamentale composto di questa
struttura e' la resilina, una proteina elastica, assai piu'
efficiente della gomma, che immagazzina energia e la libera di colpo
nel momento in cui l'insetto distende gli arti per scattare in alto e
in avanti; la dispersione in calore e' davvero minima: appena il tre
per cento. Questo rapido modo di spostarsi e' di vitale importanza
per i parassiti che sotto gli stimoli della fame possono aver bisogno
di raggiungere seduta stante una vittima in transito. Ogni anno molti
possessori di cani e di gatti, assenti da casa per le vacanze,
tornano nel proprio appartamento disabitato e vengono aggrediti da
una folla di pulci; migliaia di minuscoli vampiri, sbucati chissa' da
dove, saltano addosso agli ospiti appena rientrati, tormentandoli con
le loro punture. Ed ecco la chiave del mistero. Come tanti altri
insetti, i sifonatteri subiscono una metamorfosi completa. Dalle uova
(una femmina ne depone circa cinquecento, a piu' riprese) sgusciano
diafane larvette vermiformi, che in casa si annidano negli interstizi
dei pavimenti, nutrendosi di detriti, compreso il sangue disseccato
emesso con le feci dei genitori. Al termine dello sviluppo
costruiscono un bozzoletto di seta mista a granelli di polvere,
dentro il quale si trasformano in pupe, e poi in adulti. A questo
punto, uno degli stimoli piu' importanti che inducono le pulci ad
abbandonare l'involucro e' rappresentato dalle vibrazioni del suolo,
provocate dal passaggio di un ospite da pungere. Se la casa e'
temporaneamente deserta, gli insetti, maturati in tempi diversi,
possono digiunare a lungo, purche' rimangano immobili nei loro
astucci, risparmiando energie; ma appena avvertono il minimo
scuotimento, evadono tutti insieme dai bozzoli e si dirigono verso la
fonte alimentare di cui percepiscono il calore e l'odore. Secondo la
recentissima «checklist» della fauna italiana (1995), il nostro Paese
ospita 81 specie di afanitteri; ognuna ha il suo ospite preferito, ma
spesso attacca indifferentemente animali diversi. La pulce del
coniglio (Spilopsyllus cuniculi) ci offre invece uno straordinario
esempio di adattamento a un ospite esclusivo del quale non puo' fare
a meno per moltiplicarsi. La procreazione dell'insetto e' influenzata
e addirittura regolata dai cicli ormonali del roditore! Miriam
Rothschild ha dimostrato che gli adulti di S. cuni culi non maturano
sessualmente finche' non si nutrono sulle orecchie di una coniglia
gravida, nel cui sangue circola uno stimolante cocktail di ormoni,
compresi i corticosteroidi. Non basta: per celebrare il rito nuziale
le pulci devono attendere la nascita dei coniglietti; soltanto
allora, dopo essersi trasferite sul corpo dei neonati e averne
sorseggiato il sangue ricco di ormone della crescita (somatotropina),
possono finalmente accoppiarsi. E li', nel nido dove il lieto evento
garantisce la presenza di tanti nuovi roditori da sfruttare piu'
tardi, mamma pulce depone le uova, assicurando alla prole un futuro
di lauti banchetti. Enrico Stella Universita' di Roma «La Sapienza»
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. INDOCINA
Le dighe sul Mekong
Ciclopici progetti per il 2010
OAUTORE MORETTI MARCO
OARGOMENTI tecnologia, edilizia, dighe
OORGANIZZAZIONI ASIAN DEVELOPEMENT BANK
OLUOGHI ESTERO, ASIA, CINA
OTABELLE C. Il percorso del fiume Mekong
OSUBJECTS technology, building, dam
IL Mekong, «il fiume piu' bello e selvaggio» della Terra secondo
Marguerite Duras, sta per essere ridisegnato in un ciclopico progetto
di sviluppo incentrato su comunicazioni e produzione di energia
elettrica. Dalla sua sorgente sulle montagne dell'Himalaya tibetano
fino al delta vietnamita nel Mar Cinese Meridionale, il Mekong scorre
lentamente per 4500 chilometri attraverso sei Paesi in cui vivono 230
milioni di abitanti. Cina, Birmania, Laos, Vietnam, Cambogia e
Thailandia concorrono a una conferenza interstatale di cooperazione
per lo sviluppo della regione del Mekong. Il piano, articolato in
oltre cento «progetti prioritari» per un budget complessivo di 40
miliardi di dollari, prevede la costruzione entro il 2010 di quindici
dighe - con relative centrali idroelettriche - sul Mekong e sui suoi
affluenti solo nella provincia cinese dello Yunnan. Una strada
asfaltata servira' l'asse Bangkok-Phnom Penh-Ho Chi Minh (la vecchia
Saigon). L'asfalto coprira' anche 34 piste al crocevia tra Laos,
Thailandia e Yunnan: la regione piu' incontaminata dell'Indocina dove
vivono alcune delle ultime etnie tribali. Una linea ferroviaria
colleghera' Kunming, il capoluogo dello Yunnan, a Bangkok e Singapore
attraverso il Laos. E' gia' in costruzione il primo tratto dalla
frontiera thailandese a Vientiane. Con sbarramenti e dragaggi il
Mekong sara' reso navigabile dallo Yunnan al delta. L'intera regione
sara' inclusa in un'unica rete telefonica e telematica a fibre
ottiche. E la costruzione di aeroporti e alberghi di lusso
trasformera' il bacino del Mekong in un nuovo polo turistico
incentrato sulle spettacolari citta' dei templi: Pagan in Birmania,
Luang Phabang in Laos, Angkor Wat in Cambogia e Lijiang in Yunnan. Un
piano che dovrebbe sollevare le diseredate economie di Birmania,
Laos, Cambogia e Vietnam: Paesi poveri con infrastrutture rudimentali
e gran parte della popolazione con un'economia di sussistenza. Paesi
provati da guerre e dittature che oggi avanzano legittime aspirazioni
di sviluppo. I primi dubbi sul progetto vengono pero' proprio da
questi Paesi. Mentre lo sviluppo della regione del Mekong e'
sostenuto a spada tratta da Cina, teatro da tempo di una crescita del
10 per cento annuo, Thailandia, in pieno boom economico, Giappone e
Singapore, soggetti finanziari del progetto. A preoccupare e'
soprattutto l'impatto delle dighe sull'ecosistema del fiume. Gli
sbarramenti in Yunnan darebbero garanzie energetiche alla Cina ma -
insieme a quelli in Laos - avrebbero il principale scopo di
alimentare lo straordinario boom della Thailandia che consuma i due
terzi dell'energia della regione. La principale diga costruita in
Yunnan creerebbe un bacino capace d'imprigionare per 6 mesi il 20 per
cento delle acque del fiume, che ha un fluire approssimativo annuo di
500 miliardi di metri cubi d'acqua. La Cina garantisce che l'impianto
regolera' il corso del fiume, ma la possibilita' continua a
inquietare i Paesi a valle. Il minor flusso del Mekong aumenterebbe
le infiltrazioni di acqua salina nella regione del delta mettendo in
pericolo le risaie del «granaio» del Vietnam, oltre alla fauna
lacustre. L'abbassamento delle acque rischia di vanificare la pesca
nel lago di Tonli Sap in Cambogia. E il progetto in Laos di una mega
diga (la Nam Theum 2) sull'altopiano del Nakai, capace di 1500
megawatt (10 volte l'attuale produzione del Paese), prevede
l'allagamento di meta' di un altopiano oggi coperto di foresta
pluviale e popolato da specie animali in pericolo d'estinzione come
la tigre, l'orso e l'antilope muntjat. Senza contare i danni arrecati
a popolazioni tribali come i Meo, i Soh, i Luan, i Thai Bor e i
Kaleung che abitano da secoli le regioni tra il Laos e lo Yunnan:
spostando altrove i loro villaggi smarrirebbero per sempre parte
delle loro culture. Considerazioni ambientali che hanno sollevato le
proteste delle organizzazioni ecologiste internazionali e hanno
rimesso in discussione il finanziamento della Banca Mondiale a una
parte del progetto. La costruzione delle dighe ha sponsor chiari come
la Cina e la Thailandia finanziate dall'Asian Development Bank,
grazie all'immediato ritorno dell'operazione in due Paesi in piena
crescita. Un oleodotto tra la Birmania e la Thailandia e' gia' stato
pagato dalle compagnie petrolifere. Lo sviluppo del trasporto aereo
sara' opera della Thai: principale vettore della regione. E quello
delle strutture alberghiere dalle multinazionali del settore. E'
invece molto meno chiaro chi paghera' per realizzare le opere
stradali, ferroviarie e per rendere navigabile il fiume: interventi
costosissimi che permetterebbero pero' la creazione di una futura
rete di distribuzione commerciale. In prima fila ci sono le
megafinanziarie giapponesi, interessate domani a collocare i loro
prodotti sul nuovo mercato del Mekong e gia' oggi a trovare nuove
fonti per placare l'insaziabile domanda di legno di Tokyo. In tutto
il Sud-Est Asiatico l'industria nipponica del legname ha disboscato
all'impazzata: nelle isole Filippine le foreste sono state ridotte
dal 60 al 10 per cento del territorio. In Vietnam sono diminuite dal
43 al 27 per cento (un calo per meta' dovuto alla guerra chimica), ma
Laos, Cambogia e Birmania sono ancora in buona parte coperte da
foreste vergini. Un'ottima - quanto preoccupante - ragione per
modernizzare la loro rete di trasporti. Marco Moretti
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. 7 APRILE: GIORNATA DELLA SALUTE
Allarme globale
Epidemie in aumento
OAUTORE ROTA ORNELLA
OARGOMENTI medicina e fisiologia, sanita', statistiche
OORGANIZZAZIONI OMS, ONU
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA
OSUBJECTS medicine and physiology, health board, statistical data
MALATTIE infettive emergenti: allarme globale, risposta globale. E'
questo il tema della Giornata mondiale della Salute 1997, che si
celebra il 7 aprile. Il logo dell'Oms - Organizzazione mondiale della
sanita', organismo Onu con sede a Ginevra - propone il profilo dei
continenti; in basso, la scritta «Global alert», dalla quale parte un
motivo a freccia che, diventando sempre piu' grande, scontorna
l'intera figura e culmina nelle parole «global response». Tornano,
minacciose, malattie come la malaria (anche nella versione dengue,
comune nelle zone tropicali), la tubercolosi, la peste, la difterite,
la meningite, la febbre gialla, il colera. Compaiono, almeno
altrettanto inquietanti, contagi finora sconosciuti - particolari
tipi di febbri emorragiche, ad esempio, o di epatite, o di marasma
neurologici presumibilmente collegati al morbo della «mucca pazza».
Affezioni misteriose sono sempre esistite; inedita e', pero', la
rapidita' con la quale esse emergono oggi. Nessun dubbio, che
l'allarme sia globale. C'e' il concreto timore che lo sia meno,
invece, la risposta. Occorrerebbe infatti tutta una serie di misure
di difficile attuazione. Aumentare il numero di laboratori ed enti
che collaborano con l'Oms nel mondo in via di sviluppo, aggiornarli
dal punto di vista tecnologico e scientifico, organizzare uno scambio
organico, via computer, di dati ed esperienze. Studiare nuove
combinazioni per mettere a punto antibiotici completamente efficaci
(negli ultimi vent'anni, i microbi sono diventati sempre piu'
resistenti), produrre in quantita' maggiore quelli che gia' ci sono,
limitarne la vendita alle farmacie e ai centri sanitari, rendere piu'
consapevoli dei loro effetti sia chi li prescrive sia chi li assume.
Individuare i mezzi per indurre le autorita' sanitarie dei vari Paesi
a denunciare la presenza di malattie infettive sul loro territorio,
cosi' come prescrive quella «Normativa internazionale sulla salute
pubblica» che e' tuttora l'unica legislazione in materia, ma non ha
poteri legali per costringere all'adempimento. Per essere avviato e
portato a compimento, questo programma esige fondi ingenti. Che non
sono disponibili. Il problema e' che se non si troveranno, diventera'
indispensabile erogarne molti di piu', a breve-medio termine. Come
nel caso dell'Hiv, riconosciuto solamente dopo che aveva infettato
gran numero di persone. L'esperienza sembra del resto non insegnare
granche', anche quando e' generalizzata. Nella prima parte del nostro
secolo, le malattie infettive risultavano in netto e costante calo,
parallelo al miglioramento dell'igiene e dell'alimentazione, alla
diffusione degli antibiotici (anche se delle resistente comparvero
subito, senza pero' attirare l'attenzione piu' di tanto), all'avvento
di vaccini che negli Anni 70 consentirono lo sradicamento del vaiolo.
A quel punto, i fondi destinati alla salute pubblica furono subito
incanalati in altre direzioni; gli esperti lasciarono il campo e le
nuove leve furono attratte da settori piu' gratificanti. Il
conseguente, progressivo, peggioramento indusse l'Oms, gia' nel '93,
a dichiarare la tubercolosi emergenza globale, e, nel '95, a creare
un'apposita Divisione per la sorveglianza e il controllo di malattie
riemergenti e di altre, nuove, che via via affioravano. Pochi giorni
fa l'Oms ha annunciato un nuovo metodo di cura della tubercolosi
chiamato Dots: e' basato sulla associazione di quattro farmaci e
dovrebbe portare a un dimezzamento delle morti per tubercolosi entro
i prossimi anni. Global alert, global response. Speriamo sia cosi'.
Ornella Rota
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Genodermatosi a Parigi
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, FRANCIA, PARIGI
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Sono circa 5000 le malattie rare, cioe' quelle che colpiscono da 1 a
5 persone ogni centomila abitanti. Tra queste e' la genodermatosi, la
cui trasmissione avviene per via genetica. Per prevenirla e' nato il
Progetto Genodermatosi, promosso dall'Universita' di Milano in
collaborazione con Janssen-Cilag. Di questa malattia si parlera' a
Parigi dal 10 al 13 aprile nell'ambito di un seminario di
dermatologia.
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Materiale edilizio dai fanghi di cartiera
OGENERE breve
OARGOMENTI ecologia, rifiuti, industria
OORGANIZZAZIONI BURGO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS ecology, waste, industry
Dalla lavorazione della carta deriva una grande quantita' di fanghi
che finora hanno trovato sistemazione nelle discariche. Una sola
cartiera, come la Burgo di Verzuolo (Cuneo), produce 30 mila
tonnellate all'anno di fanghi, e in Italia esistono decine di
stabilimenti simili. Questi fanghi potrebbero essere utilizzati come
materiale edilizio: lo dimostra con ampia documentazione una tesi di
laurea discussa al Politecnico di Torino, facolta' di Architettura,
da Frabrizio Anlero. Due le destinazioni possibili dei fanghi: un
granulato utile per riempimenti e un calcestruzzo-carta derivato dal
granulato.
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Giovani scienziati: un premio europeo
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica, premio
OORGANIZZAZIONI FAST
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)
OKIND short article
OSUBJECTS research, prize
Il Premio europeo per giovani scienziati ha un nuovo logo, opera di
un designer italiano scelto tra 200 candidati. Al premio, giunto alla
nona edizione, hanno partecipato 120 ricercatori di 25 Paesi.
Cerimonia alla Fast, Milano, il 13 settembre. La Fast, Federazione
delle associazioni scientifiche e tecniche senza scopo di lucro,
celebra quest'anno i cento anni di vita. Informazioni: 02-760.156.72.
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Cugine scimmie mostra a Torino
OGENERE breve
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND short article
OSUBJECTS zoology
Dal 12 aprile al 13 ottobre si potra' visitare a Torino, presso il
Museo regionale di scienze naturali, la mostra «Primates: noi e le
scimmie». Eccezionale il patrimonio esposto. Per informazioni,
011-432.3062.
ODATA 26/03/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IL PUNTO SULLA LOTTA AL CANCRO
Un timer innesca i tumori
Studi sull'«orologio biologico» delle cellule
OAUTORE TOSTESON DANIEL
OARGOMENTI medicina e fisiologia, biologia
ONOMI UNIVERSITA' DI HARVARD, FACOLTA' DI MEDICINA
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. La genesi di un tumore maligno nel tessuto epiteliale
OSUBJECTS medicine and physiology, biology
IL '900 e' stato il secolo della fisica. Esplorando le proprieta'
elementari della materia e dell'energia, grandi fisici come i premi
Nobel italiani Guglielmo Marconi ed Enrico Fermi hanno dato un
contributo fondamentale alla creazione di tecnologie che hanno
cambiato il mondo, dalla radio alla fissione nucleare per generare
energia, dalla elaborazione elettronica dei dati al laser. Scrutando
il cielo gli astrofisici, moderni discepoli di Galileo, hanno
stabilito quale sia il posto dell'uomo nell'universo, insegnandoci
che siamo gli abitanti di un prezioso piccolo pianeta blu che ruota
tra un miliardo di stelle e di galassie. Io credo che il ventunesimo
secolo sara' quello della biologia - specialmente della biologia
medica - dal momento che abbiamo incominciato a utilizzare i nostri
strumenti tecnologici piu' avanzati per svelare i segreti dei
tessuti, delle cellule e dei geni del nostro corpo. La ricerca nella
genetica, nella biologia molecolare e nello sviluppo (lo studio della
crescita embrionale) e' sulla buona strada per comprendere le
interazioni biochimiche fondamentali che generano e mantengono le
migliaia di miliardi di cellule specializzate dell'organismo umano.
Cosi' come, in breve tempo, le idee germogliate dai fisici si sono
trasformate in realizzazioni tecnologiche, la comprensione della
struttura e delle funzioni della cellula certamente mettera' i
ricercatori in grado di porre rimedio ai danni genetici che provocano
il piu' misterioso e devastante morbo che affligge l'umanita': il
cancro. Grazie alla rivoluzione biotecnologica degli ultimi 25 anni,
i ricercatori in Europa, Asia e Nord-America - inclusi quelli che ho
l'onore di rappresentare in qualita' di Rettore della Facolta' di
Medicina dell'Universita' di Harvard - hanno fatto scoperte
fondamentali sugli errori molecolari delle cellule che scatenano il
cancro. Nell'embrione in via di sviluppo uno dei compiti piu'
importanti della cellula e' dividersi, cioe' fare copie di se stessa
per popolare i tessuti e gli organi, e assumere caratteristiche
specifiche, per esempio quelle dei muscoli, delle ossa o del sistema
nervoso. Gli artefici di queste funzioni nell'interno della cellula
sono le proteine, catene di aminoacidi le cui proprieta' biochimiche
sono determinate in gran parte dalla loro conformazione
tridimensionale. La conformazione di una proteina dipende dalla
precisa sequenza dei suoi aminoacidi, informazione che e'
immagazzinata nel Dna. Questa informazione (il gene) e' contenuta nel
nucleo della cellula ed e' usata come stampo ogni volta che e'
necessario sintetizzare la proteina. Tuttavia, non solo e' importante
costruire la proteina in modo corretto: e' critico costruirla secondo
un programma preciso, altrimenti il piano di sviluppo dei tessuti e
degli organi viene alterato. Oggi i biologi vedono il cancro come una
versione alterata del programma di sviluppo, una malattia in cui i
processi normali della sintesi delle proteine e della divisione
cellulare sono innescati in momenti inappropriati e non possono
essere facilmente arrestati. Un sistema molecolare noto come
«l'orologio del ciclo cellulare» determina quando la divisione
cellulare debba iniziare. La ricerca degli ultimi sei anni ha
dimostrato che un intreccio di segnali molecolari fra le cellule
controlla questo orologio e impartisce l'ordine di arrestarsi o di
progredire. Questi segnali mantengono le cellule in armonia
reciproca. Infezioni virali, esposizioni a cancerogeni chimici,
radiazioni, o semplicemente errori nella duplicazione del Dna durante
la divisione cellulare, possono cambiare o eliminare geni che
codificano proteine con un ruolo cruciale in questa rete di
comunicazione, talvolta con conseguenze disastrose. In alcune donne,
per esempio, due proteine chiamate pRB e p53 sono inattivate nelle
cellule infettate dal virus del Papilloma. La funzione della proteina
pRB e' di arrestare la divisione cellulare legandosi ad altre
proteine che stimolano l'espressione dei geni. La p53, invece, e' un
«correttore di bozze» che controlla che la duplicazione del Dna sia
esatta e che spinge la cellula al suicidio se trova degli errori.
Senza questi guardiani molecolari l'orologio del ciclo cellulare
sfugge a ogni controllo. Queste scoperte hanno generato una messe di
prospettive affascinanti per combattere il cancro. Per esempio,
all'Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Torino, diretto
da Felice Gavosto, i ricercatori coordinati da Paolo Comoglio stanno
studiando come un gene necessario allo sviluppo dell'embrione umano,
chiamato MET, possa trasformare le cellule sane in letali cellule
cancerose. Questo gene codifica una proteina con funzione di
recettore che attraversa la membrana delle cellule epiteliali, come
quelle che rivestono l'intestino. Quando una proteina con funzioni di
segnale intercellulare, chiamata HGF (Epatocyte Growth Factor), e'
captata dal recettore Met, viene attivato un programma genico che
porta alla proliferazione e alla migrazione della cellula. I
ricercatori di Torino hanno scoperto che nel cancro del colon un
errore nella produzione del recettore Met spinge le cellule a
proliferare e a muoversi anche in assenza del segnale HGF. Se gli
scienziati potranno trovare il modo di spegnere il recettore
malfunzionante, si potra' impedire alle cellule del cancro del colon
di proliferare senza controllo. I miei colleghi della Facolta' di
Harvard e io personalmente siamo lieti che, grazie alla generosita' e
alla lungimiranza del conte Giovanni Auletta Armenise e della sua
defunta moglie Dianora Bertacchini, si siano potute stabilire nuove
collaborazioni internazionali che permetteranno a queste ricerche di
svilupparsi ancora piu' rapidamente in futuro. In gennaio la
Armenise-Harvard Foundation for Advanced Scientific Research ha
selezionato quattro centri italiani di eccellenza per produttivita'
scientifica. A questi sono stati assegnati i fondi necessari per
stabilire una collaborazione nel campo della ricerca biomedica
avanzata. Quesli centri, che includono l'Istituto per la Ricerca e la
Cura del Cancro di Torino, riceveranno sostegno finanziario per
collaborare con la Scuola di Medicina di Harvard per almeno tre anni.
Quattro centri analoghi sono stati creati dalla Fondazione a Boston,
presso la Facolta' di Medicina di Harvard. Credo che il ventunesimo
secolo eguagliera' le stupefacenti conquiste scientifiche del secolo
che finisce anche svelando i segreti dei meccanismi che portano al
cancro. Credo anche che per arrivare a questi risultati sia
necessario un lavoro di squadra che superi le barriere tra le
discipline scientifiche e le nazioni. E' la strada che stiamo
seguendo. Daniel Tosteson Rettore della Facolta' di Medicina
Universita' di Harvard, Usa
ODATA 26/03/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Scomoda eredita'
I geni del cancro della mammella
OAUTORE DI RENZO MARIA FLAVIA
OARGOMENTI medicina e fisiologia, genetica
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE G., D. Cancro mammario: sopravvivenza in Italia.
Percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi
per i vari tipi di tumore nell'uomo e nella donna
OSUBJECTS medicine and physiology, genetics
MEDICINA molecolare e' un'espressione che da tempo circola, come un
crescente rumore di fondo, non solo nei circuiti accademici ma anche
in quelli dell'informazione di massa. Questa medicina, senza
contrapporsi a quella clinica, si propone di fare diagnosi e terapia
partendo dalle conoscenze molecolari. E' quasi finito il grande
sforzo di ottenere la sequenza del Dna della specie umana (il famoso
Progetto Genoma); sono stati identificati moltissimi geni
responsabili di malattie note; si sta passando all'applicazione delle
informazioni scientifiche acquisite alla medicina. Ormai le notizie
scientifiche circolano anche nei supermercati dell'informazione
(giornali popolari e salotti televisivi) e percio' richiedono una
divulgazione rigorosa e una regolamentazione adeguata. Infatti la
richiesta da parte del pubblico di conoscere e utilizzare le ultime
scoperte scientifiche e' tanto piu' forte e confusa quanto piu' la
malattia in questione, come il cancro, spaventa per la sua grande
diffusione e l'insorgenza insidiosa. Nel caso del tumore della
mammella, la possibile ereditarieta' e' nota da tempo. Ora sappiamo
che circa il 10 per cento della popolazione porta in specifiche zone
del proprio Dna (i geni) alterazioni che predispongono al tumore
della mammella. Queste alterazioni provocano un elevato rischio di
sviluppare il tumore. Alcuni dei geni coinvolti - ma non tutti - sono
stati identificati: in circa il 20 per cento dei casi il gene non e'
ancora identificabile ma la famigliarita' e' certa. Il sospetto e'
fondato quando almeno tre parenti in primo grado (mamma, nonna,
bis-nonna o sorelle) abbiano avuto un tumore della mammella. I geni
gia' noti (chiamati Brca1, Brca2, Brca3 e Atm) hanno grandi
dimensioni e struttura complessa. Le alterazioni che li colpiscono
possono essere le piu' diverse. Queste informazioni suggeriscono che
per ora uno scree ning di massa della popolazione per identificarei
portatori sia difficilmente proponibile. La diagnosi genetica
famigliare invece deve essere proposta alla famiglia del paziente
portatore di un tumore identificato, se questo presenta un'incidenza
famigliare rigorosamente documentata. L'analisi puo' essere eseguita
solo in un centro accreditato multidisciplinare, dove la competenza
medica e scientifica si integrino. Ma soprattutto il centro deve
essere in grado di assistere a lungo termine quel nuovo tipo di
paziente fisicamente sano ma «malato molecolare», per il quale gli
inglesi hanno coniato il termine di «unpatient». Da piu' parti gli
istituti per la ricerca sul cancro, tra cui quello di Candiolo in
Piemonte, sono stati indicati come le istituzioni idonee per lo
svolgimento di questa attivita' di diagnosi e prevenzione secondaria
avanzate. Essendo impegnati sul fronte della ricerca, sono i centri
piu' qualificati per il trasferimento in tempo reale delle
informazioni dalla ricerca alla clinica, nel rispetto delle regole
etiche. I problemi etici oggi vengono enfatizzati, sulla scia delle
disposizioni adottate con urgenza negli Stati Uniti per le ricadute
sul sistema assicurativo-assistenziale. Nel nostro paese, la
Commissione oncologica nazionale del ministero della Sanita',
coordinata dai professori Rilke e Chieco-Bianchi, ha indicato con
equilibrio i criteri generali per la prevenzione e la diagnosi dei
tumori ereditari. La Commissione ha identificato i pazienti che
potrebbero giovarsi della diagnosi genetico-molecolare, adeguando
l'intervento medico all'interesse del paziente e dei suoi famigliari.
La Commissione ha delineato le caratteristiche dei centri da
accreditare e ha posto gli appropriati limiti etici. Le polemiche da
sempre accompagnano la storia della ricerca sul cancro. Anche la
vicenda dei geni che predispongono al tumore della mammella si e'
rivelata fin dall'inizio (nove anni fa) un crocevia in cui le vie
della scienza incrociano le vie della divulgazione. I primi articoli
su questi geni suscitarono un passa-parola che rimbalzo' sulle pagine
dei giornali a larga diffusione prima che le informazioni tecniche
potessero essere lette dagli addetti ai lavori sulle riviste
scientifiche. Gli uffici stampa delle istituzioni scientifiche
dovettero fronteggiare una tale pubblicita' che alcuni di essi, come
l'Imperial Cancer Research Fund inglese, istitui' dei corsi di
comunicazione per insegnare ai suoi medici a rispondere a domande
specifiche senza tradire il rigore scientifico e senza alimentare
speranze improprie. Un simile clamore ha suscitato recentemente
l'offerta al pubblico negli Stati Uniti, da parte di una compagnia
biotecnologica, per «solo» 295 dollari, di un test per
l'identificazione di una delle lesioni di uno dei geni noti, il gia'
citato gene Brca1. Si rivelo' presto che l'analisi offerta al grande
pubblico in realta' aveva valore solo per una comunita' ristretta,
quella degli ebrei Ashkenazi, in cui quella lesione e' frequente.
L'informazione, giunta incompleta e mal commentata al grande
pubblico, aveva suscitato speranze e aspettative sbagliate.
Un'informazione appropriata invece e' quella che accompagna il buon
lavoro di quei centri che sono in grado di offrire ai pazienti e alle
loro famiglie l'assistenza idonea. Maria Flavia Di Renzo Universita'
di Sassari
ODATA 26/03/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Al via l'Istituto di Torino
Avviati i laboratori, presto la clinica
OARGOMENTI medicina e fisiologia, ricerca scientifica
ONOMI GAVOSTO FELICE, BERGOGLIO CORDARO EMILIA, ZANETTA GIAN PAOLO
OORGANIZZAZIONI ISTITUTO PER LA CURA E LA RICERCA SUL CANCRO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, CANDIOLO (TO)
OTABELLE D. Cellula di mammifero. Associazione con
tumori umani, strategia di cura
OSUBJECTS medicine and physiology, research
FINALMENTE Torino ha il suo Istituto per la cura e la ricerca sul
cancro. Sotto la direzione scientifica di Felice Gavosto, nel
settembre scorso e' gia' iniziata l'attivita' di ricerca con
l'apertura della Divisione di biologia molecolare. Seguiranno altre
due divisioni: oncologia clinica e immunologia oncologica. Con
l'Ordine Mauriziano, rappresentato dalla presidente Emilia Bergoglio
Cordaro e dal direttore generale Gian Paolo Zanetta, e' stata
stipulata una convenzione per l'attivita' di cura. A luglio si
apriranno gli ambulatori e i laboratori di diagnostica, entro
dicembre il Day Hospital e il primo reparto di degenza, con 80 posti
letto. Ricerca di base, ricerca applicata e terapia si troveranno
dunque a stretto contatto: una situazione che e' la premessa per una
piu' efficace lotta contro i tumori, come dimostrano ormai numerose
esperienze straniere. Si completa cosi' la «fase 1» della
realizzazione dell'Istituto e parte la «fase 2», che prevede una
seconda struttura per le degenze, con 90 posti letto. La «fase 1» ha
richiesto un investimento di 70 miliardi, raccolti dalla Fondazione
Piemontese per la ricerca sul cancro in parte grazie a offerte di
cittadini e in parte tramite contributi di Italgas, San Paolo, Cassa
di Risparmio e azionisti Fiat. Il Centro, che sorge nel Comune di
Candiolo, sara' funzionalmente integrato con l'Ospedale Umberto I, e
collaborera' strettamente con l'Universita' di Torino. L'obiettivo
finale e' un Istituto per la ricerca e la cura del cancro «a
carattere scientifico», in modo da dotare anche il Piemonte di un
istituto di questo tipo (in Italia ce ne sono sette).
ODATA 26/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. EUTANASIA DI UNA NAVICELLA SPAZIALE
La Nasa abbandona Pioneer 10
Fu la prima sonda a uscire dal sistema solare
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OORGANIZZAZIONI PIONEER 10
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Il viaggio della sonda spaziale Pioneer 10
oltre il Sistema Solare
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
NELLA geografia di Omero e dell'eroe Ulisse, le Colonne di Ercole si
collocavano a Gibilterra. Oggi sono a piu' di dieci miliardi di
chilometri da noi, ben oltre l'orbita di Plutone, pianeta estremo del
sistema solare. Come Ulisse nel suo ultimo viaggio si avventuro'
nell'ignoto oceano Atlantico, cosi' due navicelle da anni stanno
addentrandosi in quegli spazi tenebrosi: «Pioneer 10» e «Voyager 2».
Ma gli Ulisse contemporanei, cioe' gli scienziati della Nasa, per
«seguir virtute e conoscenza» devono fare i conti con i finanziamenti
del governo americano; e dato che questi scarseggiano, a virtute e
conoscenza bisogna forzatamente rinunciare. Cosi', tra cinque giorni,
il 31 marzo, verra' definitivamente interrotto il contatto radio con
«Pioneer 10». La malinconica decisione e' stata annunciata al Jet
Propulsion Laboratory e al Centro Ames in California il 3 marzo,
cioe' esattamente nel venticinquesimo anniversario della partenza del
«Pioneer 10», che fu lanciato da Cape Canaveral nel 1972 con un razzo
Atlas- Centaur. A tagliare lunedi' prossimo il cordone ombelicale
sara' il direttore della missione Fred Whirt. Eutanasia di una sonda
spaziale. Con la sua piccola radiotrasmittente da 8 watt (una
lampadina da frigorifero), «Pioneer 10» continua a inviare dati sulla
radiazione cosmica e sull'eliosfera: messaggi che, per via della
distanza, impiegano 10 ore ad arrivare fino a noi. Quattro dei 12
strumenti di bordo funzionano ancora. Eppure la navicella - 250
chilogrammi, un'antenna parabolica da 2,74 metri - era progettata per
campare solo tre anni. E' stata lei a inviarci, il 3 dicembre 1973,
le prime immagini ravvicinate di Giove e dei suoi satelliti: una
impresa che da sola basterebbe a darle un posto nella storia della
scienza. Il 13 giugno 1983, dieci anni dopo l'incontro con Giove,
«Pioneer 10» divenne il primo oggetto costruito dall'uomo a lasciare
il sistema solare. Cosi' la tecnologia incominciava a percorrere
quegli itinerari che l'immaginario aveva gia' mille volte sondato,
cosi' sfidava quei confini che fino ad allora erano appartenuti alla
fantascienza. Quando «Pioneer 10» supero' l'orbita di Plutone - le
Colonne d'Ercole interplanetarie - correva a 49.198 chilometri orari.
Sembra molto, e lo e'. Non pero' su scala astronomica. Di questo
passo la navicella americana potra' incontrare la stella piu' vicina,
Proxima Centauri, tra 26.135 anni. Fra 32.610 anni sara' nei dintorni
di Lambda Serpentis. E fra 227 mila anni raggiungera' Altair, nella
costellazione dell'Aquila. Non sapremo mai che cosa vedra', chi
incontrera'. Del resto la sua fonte di energia e' gia' vicina
all'esaurimento. Non e' cosi' per la sonda «Voyager 2». Anche questa
navicella ha oltrepassato l'orbita di Plutone, ma le sue pile
nucleari funzioneranno fino al 2018. C'e' ancora la possibilita' di
avere informazioni importanti sui dintorni del sistema solare, e in
particolare notizie sul campo magnetico del Sole. Nella primavera '93
- per esempio - questa sonda spaziale ci ha inviato i primi dati sul
confine della regione chiamata «eliosfera», la zona di transizione
dove il vento di particelle atomiche soffiate a gran velocita' dal
Sole si disperde e si confonde con il rarefattissimo «mezzo
interstellare». E ora avanza nella regione da cui proviene la cometa
che sta attraversando i nostri cieli, la Hale-Bopp. Ma dopo il 2018,
sempre che i bilanci della Nasa non richiedano pure in questo caso
una eutanasia, calera' il silenzio anche sul «Voyager 2». La
navicella potra' pero' - eventualita' improbabilissima - portare un
suo messaggio a qualche essere alieno, qualche signor E. T. che
venisse a trovarsi lungo il suo cammino. A bordo, infatti, c'e' un
disco dorato che riporta molte notizie sulla Terra e sull'umanita'
che la abita. Tra l'altro, in quel disco sono incisi brani musicali
(da Mozart a Beethoven fino a qualche battuta di jazz e di rock),
rumori come lo sciabordio del mare e il rombo di un'eruzione
vulcanica, persino lo schiocco di un bacio. Rimane da appurare se
nella Galassia siano disponibili giradischi. E' piu' rudimentale, ma
un messaggio viaggia anche sul «Pioneer»: e' una targa dorata che
riporta la rotta della sonda, alcune nozioni scientifiche
fondamentali e il disegno di un uomo e una donna nudi. All'epoca del
lancio fiori' su quei graffiti una polemica curiosa perche' l'uomo
appare inciso sulla targa con i suoi attributi sessuali, la donna no.
Linda Sagan, che disegno' quelle figure preoccupandosi anche di
mettere nei lineamenti del volto qualcosa di tutte le razze umane,
era stata infatti censurata dalla Nasa. A 25 anni di distanza il
costume sembra aver fatto tanta strada quanto la sonda. Ma ormai il
signor E. T. non potra' piu' avere informazioni obbiettive
sull'anatomia della nostra specie. Quanto all'astronomo Carl Sagan,
profeta della vita extraterrestre e ideatore dei messaggi messi su
«Pioneer» e «Voyager», se n'e' andato anche lui, per un tumore, il 20
dicembre dell'anno scorso. Scusate, questo e' un articolo triste.
Piero Bianucci
ODATA 26/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. RICERCA
La «scossa» che solidifica un liquido
OAUTORE LAPENTA GIOVANNI
OARGOMENTI fisica, ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics, research
LA comprensione dei sistemi complessi e' una delle principali sfide
scientifiche contemporanee. Gli oggetti, naturali e tecnologici, sono
composti da molte parti che interagiscono tra loro. Molto spesso
l'interazione reciproca tra le parti fa assumere al sistema un
comportamento che puo' sembrare inatteso. Ad esempio, se a un liquido
non acquoso (come gli oli sintetici) vengono mescolate particelle
finissime di materiali solidi, si puo' ottenere un nuovo liquido che
all'apparenza si comporta normalmente, ma se inserito tra due
elettrodi collegati a una batteria diventa solido. Quando la batteria
viene staccata il materiale ridiventa liquido. Questo effetto,
chiamato elettroreologico, fu scoperto 50 anni fa. Subito si
intravidero prospettive di applicazione pratica, tanto che lo
scopritore, Winslow, brevetto' l'invenzione. Da allora molti brevetti
sono stati depositati e innumerevoli applicazioni sono state
proposte, soprattutto in Russia. Nuovi ammortizzatori intelligenti in
grado di attutire completamente ogni sbalzo anche sulle strade piu'
devastate. Muscoli elettroreologici per robot e per l'industria
aerospaziale. Ma in commercio non c'e' un solo apparato che utilizzi
l'effetto elettroreologico. La ragione e' semplice: i fluidi
elettroreologici finora ottenuti con tentativi empirici o per caso
non sono adatti a un uso industriale perche' solidificano troppo
lentamente e restano troppo molli. Il fallimento e' dovuto sia a
ragioni economiche sia al modo in cui sono state condotte le
ricerche. La causa economica risiede nel fatto che le industrie
interessate all'uso dei fluidi elettroreologici (settore
automobilistico) non sono le stesse che li potrebbero sviluppare
(settore chimico). Ma oltre a questo, la ricerca, per scarsita' di
mezzi, ha finora proceduto per tentativi cercando in modo empirico.
Uno dei piu' grandi successi e' stato ottenuto da uno studente
americano che ha scoperto che la sua cioccolata, se fusa, era un buon
fluido elettroreologico. Sembra ragionevole ritenere che metodi piu'
sistematici potrebbero dare risultati piu' sostanziosi. Come
funzionano i fluidi elettroreologici? L'effetto principale e' dovuto
all'allineamento delle particelle solide disperse nel fluido. La
presenza di elettrodi carichi polarizza le particelle solide cioe'
tende a far migrare le cariche positive nell'estremo della particella
rivolto verso l'elettrodo negativo, e le cariche negative
nell'estremo rivolto verso l'elettrodo positivo. Le particelle, pur
mantenendo una carica netta nulla, assumono opposte polarita' ai loro
estremi. Questo fa si' che esse si attraggano e respingano tra di
loro, fino a che non si raggiunge una situazione in cui le particelle
formano catene in cui la regione carica positivamente di una
particella e' in corrispondenza della regione negativa di un'altra
particella. Queste catene si estendono da un elettrodo all'altro e
causano una resistenza meccanica simile a quella dei solidi. Cosi' si
spiega la transizione da liquido a solido. Appena si stacca la
batteria, le particelle perdono la polarizzazione, le catene si
spezzano e si disperdono, e il materiale ritorna liquido. Il
meccanismo cosi' descritto e' praticamente tutto quello che si sa, e
si e' sempre saputo fin dalla prima scoperta, sui fluidi
elettroreologici. Bisognerebbe invece capire quanto si polarizzano le
particelle sospese, con che forza di attraggono tra loro per formare
le catene e con che velocita' si formano le catene. Con queste
risposte si potrebbero progettare fluidi di interesse industriale
scegliendo con cognizione di causa i materiali che compongono il
liquido. Come ottenere queste risposte e andare oltre la cioccolata
fusa? La risposta e' probabilmente nei computer. La simulazione al
computer dei processi industriali e degli oggetti di uso comune sta
diventando una nuova frontiera della scienza. Sono stati simulati
sistemi composti da migliaia di particelle solide sospese in un
fluido ed effettivamente si e' vista la formazione delle catene sopra
descritte. Affinando e perfezionando queste tecniche si potra'
prevedere la forza dell'effetto elettroreologico in materiali diversi
e si potranno progettare fluidi migliori, finalmente di interesse
commerciale. Giovanni Lapenta Politecnico di Torino
ODATA 26/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ANALISI CHIMICHE DEL CNR
La Fenice, escluso un incendio accidentale
Le ceneri conservano tracce dei meccanismi all'origine delle fiamme
OAUTORE STURARO ALBERTO
OARGOMENTI chimica, perizia, incendi, teatro
OORGANIZZAZIONI LA FENICE, CNR
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS chemistry, appraisal, fire, theatre
GLI incendi non sono tutti uguali: possono differire tra loro per le
cause che li hanno generati. L'individuazione della causa delle
fiamme e' richiesta con sempre maggiore insistenza in campo forense,
assicurativo e legale in modo da stabilire se l'incendio e' di natura
dolosa o accidentale. E' il caso, per esempio, del rogo che ha
distrutto il teatro La Fenice di Venezia. Alla soluzione del problema
finora ha contribuito l'ingegnere, che sulla base di osservazioni sul
posto, quali la zona di innesco, la velocita' e le traiettorie di
propagazione del fuoco, la sequenza temporale degli eventi, il
verificarsi di eventuali fenomeni elettrici (corto circuito,
surriscaldamento di apparecchi elettrici) ed elaborazioni al computer
sulla resistenza al fuoco di determinati materiali e/o strutture,
puo' indicare le cause del fenomeno. In questo quadro si puo'
inserire, a pieno titolo, il chimico il quale e' attrezzato a
individuare e riconoscere la presenza di eventuali liquidi
infiammabili (acceleranti) impiegati per innescare e alimentare
l'incendio nelle sue prime fasi. La persona che provoca il dolo e'
fondamentalmente convinta che «tutto vada in fumo». Invece il
processo di combustione realizzato in maniera cosi' poco scientifica,
ha rendimenti modesti. A limitare la combustione del liquido
infiammabile intervengono, oltre a fattori fisici quali la
difficolta' a vaporizzare, anche impedimenti legati al luogo di
innesco dell'incendio. L'accelerante puo' essere assorbito dai
materiali con cui viene a contatto, nonche' incunearsi tra le fessure
e fughe del pavimento e quindi esser preservato dalla combustione
mantenendo pressoche' inalterata la sua composizione chimica.
Materiali come il legno, le stoffe e i tappeti svolgono una funzione
insostituibile in appoggio al chimico che punta a individuare queste
microsacche di infiammabile nei materiali o zone potenzialmente
additivate. L'individuazione di questi residui dell'incendio nella
zona di innesco, operando in stretta collaborazione con l'attivita' e
le competenze dell'ingegnere, puo' risultare vincente nella
classificazione di qualsiasi incendio. La caratteristica peculiare di
questi infiammabili e' che non sono un composto puro, ma in genere
una miscela variegata di specie chimiche, appartenenti alla famiglia
degli idrocarburi. E' sulla base di questo dato che avviene il
riconoscimento in quanto il tracciato strumentale ottenuto da ogni
campione viene confrontato con quello derivante dai prodotti di
riferimento (benzina, gasolio, cherosene e altri). Tuttavia, la
soluzione non e' cosi' semplice perche' l'infiammabile, una volta
versato, subisce una naturale e/o forzata concentrazione che lo porta
con discreta velocita', dell'ordine di giorni, ad arricchirsi nei
componenti meno volatili, per cui il tracciato di riferimento si
modifica nel tempo. In questo processo vengono messe in evidenza con
il trascorrere del tempo le impurezze e i componenti pesanti,
modificando a favore di questi ultimi i rapporti relativi tra tutti i
composti presenti nella miscela originale. Nella perizia
sull'incendio del teatro «La Fenice» di Venezia, data la complessita'
dell'evento e l'interesse dell'opinione pubblica, il Pubblico
Ministero ha attivato un gruppo di esperti di varie discipline in
modo da recuperare il massimo delle informazioni utili alla soluzione
del caso. Nell'occasione sono state messe in campo, per un'azione
sinergica, le competenze e la professionalita' di un esperto in
prevenzione incendi, la professionalita' e la memoria storica
sull'evento di chi ha seguito in diretta l'evoluzione del sinistro.
Inoltre c'e' stata l'accurata ricostruzione degli impianti elettrici
e degli utensili in uso assieme alla ricerca e alla scientifica
datazione della documentazione fotografica sull'argomento, nonche' le
oltre 200 analisi eseguite dal mio gruppo dell'Ufficio sicurezza e
prevenzione del Cnr di Padova su 55 campioni nei quali sono state
ricercate le tracce di 18 potenziali acceleranti. Le conclusioni
della perizia, con il contributo di tutte le competenze, hanno
permesso di escludere con sicurezza la causa accidentale. Alberto
Sturaro Cnr, Padova
ODATA 26/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IN GERMANIA
Cani aggressivi a scuola
Corsi obbligatori per animali e padroni
OAUTORE MOLINARIO PIER VITTORIO
OARGOMENTI zoologia, animali, domestici, lezioni
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, GERMANIA
ONOTE Corsi di educazione canina
OSUBJECTS zoology, animal, domestic, lesson
LA decisione del governo del Nord-Reno-Westfalia in Germania, di
imporre la frequenza di «Corsi di educazione canina» ai padroni di
cani aggressivi, pone il problema di distinguere il concetto di
educazione da quello di addestramento. Nella terminologia
sperimentale, addestrare un animale significa insegnargli (renderlo
destro, abile) a svolgere determinate operazioni, mentre educarlo
significa abituarlo a essere gestito e manipolato con facilita'. I
due procedimenti di solito non hanno molto in comune, anche se i
risultati dell'uno possono interferire pesantemente con quelli
dell'altro: un animale insufficientemente «educato» rende male
nell'addestramento, uno affaticato o traumatizzato dall'addestramento
puo' diventare difficile da gestire. Applicato alle pratiche
cinofile, il concetto di addestramento ha subito nei decenni passati
una notevole semplificazione. Mentre un tempo si riferiva
esclusivamente all'apprendimento e al perfezionamento di mansioni
specialistiche (addestramento alla caccia, alla conduzione del
bestiame, alla guida dei ciechi, alla difesa, ecc.), in tipi razziali
o attitudinali appositamente selezionati, diffondendosi l'uso di un
sempre maggiore numero di razze per scopi di compagnia, esso ha
finito col riguardare soprattutto le pratiche di obbedienza
restrittiva: quelle che consentono ai proprietari di tenere gli
animali sotto controllo anche in situazioni ambientali critiche
(critiche per la presenza ma anche per l'assenza di particolari
stimoli: ad esempio per inattivita', per noia). Inevitabilmente la
generalizzazione degli scopi ha portato a generalizzare anche le
tecniche utilizzate, che sono diventate le stesse per tutte le razze
e spesso anche per tutti i tipi caratteriali. Il che ha cominciato
ben presto a porre, oltre che problemi di resa, anche problemi di
tolleranza. L'autocontrollo reattivo che si puo' pretendere da un
cane da pastore (che e' stato in un certo senso «inventato apposta»
per un uso specifico) non e' certo lo stesso che si puo' pretendere
da un mastino. D'altra parte il grado di inattivita' e di monotonia
ambientale che un mastino riesce a tollerare e' del tutto
improponibile, ad esempio, per un cane da pastore. Per queste e altre
ragioni, nei Paesi di piu' radicata cultura cinofila si sono venuti
precisando, negli ultimi anni, sia nuovi e piu' differenziati metodi
di addestramento all'obbedienza, sia un piu' rigoroso, piu'
responsabile e soprattutto piu' aggiornato (in senso tanto affettivo
che comportamentale) concetto di educazione canina. Negli Stati Uniti
esistono gia' da diverso tempo Classi di Obbedienza differenziata sia
per obiettivi sia per tipi razziali o caratteriali, alle quali i
proprietari di cani potenzialmente pericolosi o «problematici»
vengono precauzionalmente indirizzati dagli stessi veterinari. Ma e'
soprattutto con le informazioni di tipo educativo che gli specialisti
del comportamento (Behavior Consultants, che possono affiancare i
veterinari generici o essere essi stessi medici veterinari
specializzati), divenuti ormai figure professionali molto diffuse nel
Paesi anglosassoni, si sforzano di facilitare fin dall'inizio il
rapporto cani-proprietari-ambiente. Il presupposto teorico (e non
solo teorico, visto che e' ampiamente dimostrato), e' che qualsiasi
cane, dotato di un normale equilibrio neurofisiologico, a partire dal
secondo- terzo mese di vita, impieghi tutte le proprie energie per
adattarsi positivamente (o vantaggiosamente: per lui, s'intende)
all'ambiente sociale che lo ospita, e che questo sforzo sia tale da
riuscire a modificare anche molto profondamente le tendenze innate,
razziali o individuali, che lo caratterizzano. Il problema e'
consentirglielo. O meglio, il problema e' far si' che questo
adattamento, che in ogni caso si verifica, si accordi con le presenti
e, soprattutto, con le future esigenze del proprietario. Le
principali difficolta' che i proprietari incontrano nel facilitare
questo adattamento spontaneo sono essenzialmente e in ordine
d'importanza e di frequenza: a) l'ansia, di solito per le conseguenze
immediate di tale spontaneita'; b) l'incapacita' o il rifiuto di
dare, innanzi tutto a se stessi, delle regole di comportamento; c)
l'impossibilita' o l'indisponibilita' ad interagire attivamente con
l'animale per un periodo di tempo giornaliero socialmente
significativo (tale da non comportare senso di abbandono o
superficialita' di rapporti: diciamo, orientativamente, un'ora al
mattino e una al pomeriggio); d) i pregiudizi razziali o
caratteriali, sia negativi che positivi, riguardo alle capacita' dei
singoli animali. Come si vede, non rientrano nella lista ne' le
difficolta' imposte dall'ambiente fisico (diciamo che non deve
trattarsi di un'astronave!) ne' l'esperienza o le specifiche
attitudini dei proprietari. Per credere basta interrogare uno dei
tanti gestori di pompe di benzina che hanno consentito ai loro
animali di adattarsi perfettamente e nella piu' totale liberta' alle
esigenze del loro lavoro. Pier Vittorio Molinario
ODATA 26/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. CAPELLI: CADONO IN PRIMAVERA
Una molecola cura la calvizie
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI CENTRO RICERCHE OREAL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, research
I capelli sono tanto importanti nel determinare l'aspetto di una
persona da assumere anche significati simbolici. Per i monaci
orientali, ad esempio, il cranio rasato e' simbolo di castita' e
celibato, per i religiosi del mondo occidentale la tonsura e' stata,
e rimane, un segno di umilta'. L'uomo moderno, invece, laicamente
teme la caduta dei capelli, e quindi la calvizie, per motivi
estetici. In primavera questo problema si ripresenta perche' la
caduta dei capelli subisce un naturale incremento (come del resto
avviene in autunno). Fin dal tempo dei tempi, contro la caduta dei
capelli sono stati suggeriti i rimedi piu' disparati. Dalle
applicazioni di grasso di serpente degli antichi egizi, agli infusi
di erbe dei ricettari di Caterina Sforza. Ora pero' siamo ad una
svolta. Le ricerche si sono orientate in modo rigoroso sul follicolo
pilifero, che e' la struttura anatomica che accoglie la radice del
pelo. Si e' notata una differenza fra quello presente in un soggetto
colpito da alopecia androgenetica (calvizie comune) e quello di un
soggetto normale. Nel primo caso si rivela un maggiore spessore, una
zona infiammatoria al livello del bulbo e soprattutto un fenomeno di
fibrosi progressiva. In altre parole, un indurimento del tessuto di
sostegno (collagene), un invecchiamento precoce. In questa situazione
la radice del capello viene letteralmente ostacolata nei suoi
processi vitali e portata verso l'esterno dove muore per mancanza di
nutrimento. A questo punto il capello viene espulso e il bulbo va
incontro a una prematura interruzione del ciclo pilifero. Di
conseguenza la capigliatura si dirada progressivamente, fino alla
calvizie. Queste ricerche (effettuate nel 1992 da A. M. Kligman)
hanno consentito al Centro ricerche Oreal di studiare una molecola
(Aminexil o 2-4 diaminpirimidina 3-oxide) che agisce in modo mirato
alla radice dei capelli arrestando il processo di indurimento del
collagene: inibisce l'enzima lisil-idrossilasi, responsabile delle
striature ialinizzate e granulamatose tipiche del collagene indurito.
La nuova molecola, utilizzata in soluzione concentrata all'1,5 per
cento per applicazioni locali, in associazione con principi
antiinfiammatori (Triclosan, Piroctone Olamina), si oppone quindi al
fenomeno della fibrosi, mantiene il collagene morbido, porta alla
normalita' il metabolismo del cuoio capelluto. Di solito i prodotti
utilizzati in cosmesi non sono sperimentati nell'ambito ospedaliero.
Aminexil invece e' stato sottoposto a indagini in tre istituti
(Fondazione A. De Rothschild, Hopital Saint-Louis (Francia), Amersham
General Hospital, in Gran Bretagna), coinvolgendo 351 volontari e
paragonando i risultati ottenuti al placebo (sostanze inerti). Dalle
analisi risulta un aumento dell'8 per cento del capelli in fase di
crescita dopo 6 settimane di trattamento, con un aumento della
densita' della capigliatura del 5 per cento. Ovviamente, per ottenere
dei risultati convincenti, bisogna tener presenti i fattori che
influenzano lo stato di salute del capello (smog, colorazioni,
acconciature e cosmetici impropri, eccesso di sebo, farmaci). I
capelli risentono anche di un'alimentazione squilibrata? La risposta
e' senz'altro si', ed e' verificabile nelle persone che subiscono
dimagramenti eccessivi (anoressia nervosa), oppure praticano diete
dimagranti drastiche e troppo protratte. Un'alimentazione troppo
ristretta, povera come qualita' proteica, carente in vitamine e sali
minerali puo' rendere i capelli fragili e scarsi. Per avere capelli
robusti, bisogna tagliarli corti? Non ci sono esperienze cliniche
controllate su questo problema. Comunque il taglio incide sul fusto
del capello, che non e' vitale, e non incide sul follicolo, che e' la
parte direttamente interessata alla crescita. Renzo Pellati
ODATA 26/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL CILENTO E L'UNESCO
Un sonoro orizzonte di campane
La zona di Paestum «patrimonio dell'umanita'»?
OAUTORE GRANDE CARLO
OARGOMENTI acustica, antropologia e etnologia
ONOMI LAUREANO PIETRO, ANZANI GIUSEPPE, MAURANO CARLA, NICOLETTI DOMENICO,
BOUCHENAKI MOUNIR
OORGANIZZAZIONI UNESCO
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, FRANCIA, PARIGI; EUROPA, ITALIA, PAESTUM (SA)
OSUBJECTS acoustics, anthropology and ethnology
DIMMI cio' che senti e ti diro' chi sei: il rapporto tra «paesaggio
sonoro», cioe' i suoni e rumori che si avvertono ogni giorno, e
l'appartenenza a una comunita' e' uno degli aspetti piu' originali
del dossier inviato alla sede dell'Unesco a Parigi, dagli architetti
Pietro Laureano, Giuseppe Anzani, Carla Maurano e Domenico Nicoletti,
per chiedere che Paestum e il Cilento in Campania, diventino
«patrimonio dell'umanita'». La terra dei miti, di Enea e del
nocchiero Palinuro, di Ulisse in fuga dal canto delle sirene
sull'isoletta di Licosa, possiede atout culturali e naturali
invidiabili: e' considerato un gioiello paragonabile alle Meteore in
Grecia o a Hierapolis-Pamukkale in Turchia, gia' nella lista protetta
dell'Unesco. Colpisce pero' il ricorso anche a questo parametro
«scientifico» per testimoniare l'antichissima unita' culturale
dell'area. Il progetto del quale si sta discutendo a Parigi
rappresenta una novita' assoluta: sarebbe la prima volta, almeno per
il nostro Paese, nella quale viene «adottato» a livello
internazionale non solo un singolo sito archeologico, ma anche
l'ampia regione che lo contiene. Le vestigia archeologiche ospitate
dal Cilento sono importantissime: dalla greca Posidonia, ribattezzata
Paestum da italici e romani (con i suoi templi dorici, tra i piu'
belli del Mediterraneo), a Velia, «figlia» di esuli focei e patria di
dei filosofi Parmenide e Zenone. Il «paesaggio sonoro» e' invece
legato al suono delle campane. Fin dall'alto Medioevo, quando non
esisteva ancora il «tempo dei mercanti» misurato meccanicamente, esse
erano orologio e calendario del tempo civile e religioso. Le
parrocchie potrebbero essere considerate proprio lo spazio acustico
definito dalla portata del suono delle campane, che raccoglievano
attorno a se' la comunita'. Un'improbabile etimologia agli inizi del
Duecento faceva addirittura derivare il termine «campana» dalla gente
che viveva nei campi. Osservando, nel «dossier Cilento» presentato al
direttore parigino Mounir Bouchenaki, la tavola con le emergenze
sonore del '500 e i cerchi concentrici che ne indicano l'intensita'
(inversamente proporzionale al quadrato della distanza dall'origine),
si scopre che fra le aree c'erano molte sovrapposizioni, segno che
gran parte del territorio era «coperto» da una o piu' campane. Gli
abitanti avvertivano quindi di appartenere a una comunita'
policentrica, ma non e' affatto escluso - anzi e' molto probabile -
che il loro orecchio potesse distinguere il suono della «loro»
campana, sulla base delle diverse caratteristiche timbriche. La
campana, un po' come un «mass media» oggi, segnava con rintocchi
opportunamente codificati (a martello, a morto, a stormo) le
informazioni piu' importanti per la vita collettiva. Annunciava
solennita', calamita', l'«Angelus» e il calar della notte,
l'avvicinarsi della Pasqua. Dal giovedi' al sabato della settimana
Santa le campane del Cilento venivano legate in segno di lutto ed
erano sostituite da strumenti di legno di varia foggia, detti
«crepitacoli». Il rumore che producevano era in netta opposizione con
il suono «divino» del bronzo. Naturalmente il paesaggio sonoro si
modifica nel tempo: puo' essere «hi-fi» o «lo-fi» (come hanno
appurato alcuni studiosi) cioe' con un rapporto segnale/disturbo piu'
o meno elevato. Ebbene, nel corso dei secoli l'«antropizzazione» del
territorio ha limitato di molto la qualita' della colonna sonora
delle nostre giornate. La rivoluzione industriale ha provocato il
drastico abbassamento della «fedelta'», introducendo suoni continui,
veloci e ridondanti. In eta' pre-industriale, invece, il paesaggio
sonoro era assolutamente «hi-fi»: si distinguevano nitidamente i
suoni degli uomini e quelli naturali, come il vento fra gli alberi, i
versi degli animali, lo scroscio dell'acqua fra le rocce. Combinando
ad esempio il soffio del vento su una prateria con il rumore di una
cascata, ognuno era in grado di definire l'impronta sonora («sound
marck») del proprio territorio, l'aspetto sonoro del suo ge nius
originario. Alla fine del Medioevo dovevano essere ben pochi i suoni
prodotti dall'uomo in grado di gareggiare con quelli naturali: oggi
contro i decibel di aerei, camion, elettrodomestici e automobili
sembrano esserci scarsi rimedi. Se non, per rubare una battuta a
Oreste del Buono, «studiare da sordi». Il dossier-Cilento presentato
all'Unesco fornisce un altro insolito indicatore
archeologico-culturale: la fitta rete di sentieri, anche preistorici,
che collegavano il territorio al suo interno e con le aree
circostanti, dal Tavoliere alle Murge, fino all'Adriatico e allo
Ionio. Paestum, alla foce del Sele, era un importantissimo incrocio
commerciale fra le rotte del Tirreno e le due vie carovaniere che si
inoltravano all'interno: una verso Metaponto, l'altra verso Sibari.
La regione tra il golfo di Salerno e il Vallo di Diano, dunque,
rappresenta il vero ombelico geografico e culturale del Mediterraneo,
punto di scambio tra le antiche genti italiche, tra mare e montagne,
tra Oriente e Occidente. Il Cilento e' inoltre un'eccezionale
cerniera biologica fra il centro Europa e il clima arido africano. Il
ministero per l'Ambiente ne ha fatto un parco nazionale: molti tratti
delle coste tra capo Palinuro e Marina di Ascea sono coperte di
ulivi, agavi, pini d'Aleppo e ginestre, e sono ancora miracolosamente
intatte. Le «linee di cresta», cioe' sulle cime dei monti, erano fin
dalla piu' remota antichita' percorse da pastori per la transumanza.
Erano sentieri circondati da boschi per cacciare e grotte in cui
rifugiarsi, piu' confortevoli, delle paludi di fondovalle, dove era
necessario guadare i fiumi. Sulla Costa Palomba, vicino a S. Angelo a
Fasanella, un grande guerriero scolpito nella roccia (l'«antece», in
lingua locale, cioe' l'«antico») guarda ancora le alture circostanti.
Sindaci, Provincia di Salerno e responsabili del parco attendono
dunque lo sbarco dell'Unesco: avra' miglior fortuna, assicurano, di
Carlo Pisacane e dei suoi trecento, sbarcati a Sapri, nel vicino
golfo di Policastro. Carlo Grande
ODATA 26/03/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. DNA, ZIGOTE, GAMETI
Le parole della clonazione
Un piccolo glossario scientifico
OAUTORE VERNA MARINA
OARGOMENTI bioetica, genetica, linguistica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS bioethics, genetics
CLONE non e' certo parola sconosciuta nel dizionario della lingua
italiana: nel suo significato biologico di «insieme di cellule o
organismi geneticamente identici derivati per riproduzione agamica da
una singola cellula o organismo» (Zingarelli) e nel suo significato
metaforico di «copia identica». Ma quando l'attualita' l'ha
improvvisamente tolta dalla sua nicchia un po' nascosta mettendola al
centro della scena sotto le sembianze di una pecora molto speciale,
ha subito una serie di metamorfosi che l'hanno trasformata in una
parola multiuso, anche se non sempre adoperata in modo corretto.
Ancor piu' difficile e' stato spiegare al grande pubblico in che cosa
consista la clonazione. La piu' chiara, fantasiosa, ma anche calzante
esemplificazione l'ha data un biologo: ricostruire un'intera pecora
partendo da un «pezzo» del suo corpo e' come ricostruire un'intera
automobile partendo da un volante o una ruota. Ma «clone» e derivati
non sono gli unici termini scientifici che nelle ultime settimane
hanno riempito le pagine dei giornali. Come guida ai dibattiti in
corso, ecco un piccolo glossario dell'indispensabile, tratto dal
libro di Gianna Milano «Bioetica dall'A alla Z» (Feltrinelli).
Clonazione. Indica la rimozione del nucleo da un'unica cellula matura
di un individuo adulto, poi trapiantato in un uovo il cui nucleo e'
stato rimosso. L'uovo ibrido cosi' ottenuto puo' in teoria produrre
individui geneticamente identici al donatore del nucleo. Gamete.
Cellula sessuale maschile (spermatozoo) e femminile (ovocita).
Durante la fecondazione i gameti si fondono dando luogo allo zigote,
dal quale derivera' l'embrione. La riproduzione agamica della
clonazione non fa ricorso a questo tipo di cellule. Embrione.
Prodotto del concepimento, che nasce dall'unione tra uno spermatozoo
e un ovocita. Questa fase corrisponde ai primi due mesi di
gestazione, poi si parla di feto. Fecondazione (o insemina zione)
artificiale. Tecnica ben nota ai veterinari, che la utilizzano da
decenni con gli animali. L'inseminazione puo' avvenire «in vivo» o
«in vitro». Nel primo caso, si introduce seme maschile, fresco o
congelato, nell'utero di una donna, nel momento piu' favorevole per
la fecondazione. Nel secondo caso, la fusione tra l'ovocita e lo
spermatozoo avviene fuori dell'utero, in una provetta, usando una
grande varieta' di tecniche e ricorrendo anche a seme e ovuli altrui.
Nel mondo, i figli della fecondazione artificiale sono oltre 150 mila
e di questi 30 mila sono stati concepiti in provetta. Biotecnologie.
Qualsiasi processo produttivo che preveda l'utilizzo di agenti
biologici, cellule e loro prodotti. Integra conoscenze e tecniche di
varie scienze, dalla microbiologia alla chimica, dalla genetica
all'immunologia, dalla biologia all'ingegneria genetica ed e' usato
con piante (pomodori, soia, latte) e animali (topi transgenici da
laboratorio). Le possibilita' di inserire, con bisturi e sonde
molecolari, geni estranei nel corredo genetico di piante o animali in
modo da conferire sia a loro sia alla loro progenie nuove
caratteristiche sembrano infinite. Dna. Acido desossiribonucleico: e'
presente nei cromosomi del nucleo delle cellule e gli e' affidata la
sintesi delle proteine. E' responsabile della trasmissione e
dell'espressione dei caratteri ereditari. Dna ricombinante. Tecniche
di riprogrammazione genetica; consistono nel tagliare e congiungere
chimicamente il Dna per ottenere microorganismi, piante e animali
geneticamente modificati. Biodiversita'. Il processo evolutivo di
tutti gli organismi viventi si basa su fenomeni, come mutazioni e
ricombinazioni genetiche, che generano variabilita'. La selezione
naturale sceglie poi quei pochi che sono piu' «adatti» a sopravvivere
in un certo ambiente. I progressi scientifici e tecnologici nel campo
della genetica sembrano offrire la possibilita' di intervenire sulla
selezione naturale, impoverendola, sulla diversita' genetica. Questo
puo' portare a cambiamenti evolutivi piu' rapidi e alla
destabilizzazione di caratteristiche delle specie generate dalla loro
coevoluzione con l'ambiente. Non e' facile prevederne gli effetti
sulla lunga distanza. Bioetica. Neologismo coniato nel 1971, a
partire da due vocaboli greci: bio-vita ed etos-morale. Esprime la
necessita' per lo scienziato, posto di fronte a radicali mutamenti
della scena biomedica, di ripristinare un rapporto tra valori morali,
cultura umanistica e scienze della vita. Marina Verna
ODATA 26/03/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. «NUOVI» ANIMALI DOMESTICI
Frankenstein postmoderni
E' in pericolo la diversita' genetica
OAUTORE MARCHESINI ROBERTO
OARGOMENTI genetica, zoologia
OORGANIZZAZIONI COMITATO DIFESA ANIMALI D'ALLEVAMENTO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS genetics, zoology
SI e' parlato diffusamente del caso Dolly, ovvero della possibilita'
di clonare mammiferi, e questo ha offerto lo spunto per discutere di
ingegneria genetica applicata, di quello che l'innovazione
scientifica puo' portare nella nostra vita futura. Tutti discorsi
molto pertinenti, e tuttavia io guardando Dolly ho pensato
soprattutto agli animali domestici: a quale brutta fine abbiamo
decretato per loro. Si', perche' il dibattito dei nostri giorni si e'
concentrato soprattutto sull'uomo: si e' parlato di dignita' della
vita umana, di grande dono divino da salvaguardare, di un pericolo
faustiano postmoderno... tutte sacrosante verita', ma tutte intrise
di un antropocentrismo sconcertante. E questo e' ancora piu'
sorprendente se si tiene conto che non gia' la scienza e'
responsabile di queste aberrazioni applicative, ma proprio
l'antropocentrismo. Possibile che davvero siamo cosi' ciechi ed
egoisti? In fondo se non abbiamo un occhio di riguardo per gli
animali domestici, che sono stati i compagni storici del progresso
umano, quale altra diversita' potremmo comprendere e salvaguardare?
L'esempio di Dolly, infatti non rappresenta un pericolo immediato per
l'uomo, bensi' decreta la fine degli animali domestici. Un tempo,
molti lo ricorderanno, c'erano le razze locali, frutto del lavoro
paziente dei nostri progenitori, e questi animali avevano
caratteristiche rispondenti all'ambiente in cui vivevano. Poi con
l'avvento dei capannoni intensivi tutto questo patrimonio genetico e'
stato distrutto con estrema superficialita'. Oggi si corre verso la
produzione in scala di uno stesso animale, attraverso tecniche
particolari - come la divisione chirurgica degli embrioni, il
cosiddetto splitting, e per l'appunto la clonazione - e il perche' e'
presto detto. In un mondo abituato all'uniformita' organolettica, si
pensi alle bibite o alle merendine, la diversita' biologica viene
vissuta come un disvalore e pertanto anche la zootecnia si adegua. Ma
i biologi sanno benissimo che in natura la diversita' genetica e' un
valore, per questo la scelta riproduttiva sessuale, che crea
continuamente individui diversi nel patrimonio innato, e' stata nella
storia evolutiva una scelta vincente. La diversita' all'interno di
una specie e' un bene prezioso perche' permette alla popolazione di
fronteggiare con plasticita' le malattie, le variazioni climatiche, i
rivolgimenti ambientali. Ecco perche' questa corsa all'omologazione
genetica e a mio avviso il primo passo verso la distruzione delle
specie domestiche. I maiali, cui sono stati inseriti ormoni della
crescita umani, hanno uno sviluppo spaventoso, ma poi le loro
articolazioni e le loro ossa si spezzano perche' non sono in grado di
sopportare quel peso. Un altro esempio sono gli animali mosaico,
realizzati fondendo embrioni di specie differenti - la famosa
quallina, frutto della fusione di un embrione di quaglia con uno di
gallina, e la caprecora, frutto della fusione di un embrione di capra
con uno di pecora. Questi animali hanno quattro genitori e in pratica
non hanno un'identita' genetica perche' albergano nel loro corpo
popolazioni cellulari differenti. Sono dei Frankenstein postmoderni,
realizzati assemblando pezzi di diversa origine. La difesa delle
specie in via di estinzione e' diventata ormai patrimonio culturale
di tutti, quello che invece stenta ad essere compreso e' il grande
debito morale che l'uomo ha nei conversi degli animali domestici.
Questi animali sono infatti il frutto di un intervento storico
dell'uomo che ne e' stato a tutti gli effetti, non dico l'artefice,
ma il fattore coevolutivo piu' importante.Roberto Marchesini
Presidente del Comitato difesa animali d'allevamento
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. VITA AL MICROSCOPIO
Uno zoo dentro una goccia d'acqua
OAUTORE BENEDETTI GIUSTO
OARGOMENTI biologia, ottica e fotografia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Alcuni microrganismi contenuti in una goccia d'acqua visibili al
microscopio
OSUBJECTS biology, optics and photography
Prendete un quarto di litro d'acqua (va bene anche quella del
rubinetto), aggiungete un po' di fieno, un po' di erba e 15-20
chicchi di grano. Fate bollire il tutto per 2-3 minuti e lasciate
riposare per qualche giorno, fino a che non si formera' una leggera
patina di muffa sulla superficie. Aggiungete a questo punto un
cucchiaio di terra, un paio di foglie marce e un bicchiere di acqua
di stagno (meglio se viene raccolta raschiando il fondo e se contiene
anche qualche pianta acquatica). Lasciate riposare l'infuso per 5-6
giorni. Non si tratta, come si potrebbe pensare a prima vista, di un
intruglio stregonesco, ma del modo migliore per ottenere una ricca
coltura di microrganismi di acqua dolce; una goccia di quest'infuso,
posta sotto il microscopio a un centinaio di ingrandimenti, vi
svelera' uno straordinario mondo animale e vegetale. Il microscopio
non e' altro che un tubo che contiene un sistema di lenti: la lente
sotto la quale si trova l'oggetto da osservare e' detta obiettivo,
quella a cui si avvicina l'occhio e' detta oculare. Alcuni microscopi
(i cosiddetti binoculari) sono muniti di due oculari, per poter
osservare con entrambi gli occhi contemporaneamente. Alcuni hanno
anche piu' obiettivi, installati su un disco detto revolver: girando
il revolver si puo' cambiare obiettivo e variare l'ingrandimento
dell'immagine. Il tubo e' sostenuto da uno stativo, piuttosto robusto
e pesante per impedire eventuali vibrazioni che renderebbero
difficoltosa l'osservazione. Allo stativo sono fissate le viti di
messa a fuoco: si tratta di rotelline che, girando, alzano e
abbassano il tubo per portare l'obiettivo alla giusta distanza dal
preparato. Nei microscopi piu' semplici esiste una sola vite di messa
a fuoco, che fa compiere al tubo movimenti piuttosto grossolani; in
quelli piu' raffinati, esiste una seconda vite, la vite micrometrica,
che fa compiere al tubo movimenti minimi per una messa a fuoco
perfetta. Il preparato da osservare si appoggia sul piatto, una
piccola superficie piana con un foro al centro. Attraverso il foro (e
attraverso il preparato microscopico) deve difatti passare della
luce. E la luce viene fornita da uno specchio mobile, posto sotto il
piatto. In molti microscopi, lo specchio e' sostituito da un
illuminatore elettrico. E vediamo ora cosa si deve fare. Innanzi
tutto il microscopio deve essere posato su di un tavolo robusto e
privo di vibrazioni; il tavolo puo' trovarsi in qualsiasi punto della
stanza se il microscopio e' provvisto di illuminatore, mentre deve
essere di fronte a una finestra se l'illuminazione e' a specchio. In
quest'ultimo caso, si deve muovere lo specchio guardando
nell'oculare, fino a che si ottiene la migliore illuminazione del
campo di visione. Si allestisce poi il preparato, posandolo su un
vetrino portaoggetti. L'oggetto che si vuole osservare deve essere
molto piccolo, e soprattutto deve essere trasparente, in modo che la
luce possa attraversarlo. E' quindi inutile, ad esempio, cercare di
osservare un pezzo di carta, un insetto intero e cose simili:
vedreste soltanto una macchia scura e poco piu'. Qualunque sia
l'oggetto che volete osservare, e' comunque utile, per migliorare la
visione, coprirlo con una goccia d'acqua e coprire il tutto con un
vetrino coprioggetti. A questo punto, si posa il vetrino sul piatto
in modo tale che il preparato si trovi esattamente sopra il foro e...
non si guarda! Non e' uno scherzo: prima di avvicinare l'occhio
all'oculare, girate la vite di messa a fuoco e fate scendere il tubo
fino a toccare il vetrino. Poi, finalmente, potrete avvicinare
l'occhio all'oculare e, facendo risalire lentamente il tubo, cercare
la giusta messa a fuoco dell'immagine. Questa operazione vi evitera'
di rompere inavvertitamente il vetrino (o, nei casi piu' sfortunati,
la lente dell'obiettivo) muovendo il tubo nella direzione sbagliata.
Giusto Benedetti
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. NELL'ACQUARIO DI GENOVA
Tutti i mari del mondo
Cinquemila specie tra pesci, rettili, mammiferi
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI zoologia, animali, mare, ecologia, didattica
OORGANIZZAZIONI ACQUARIO DI GENOVA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, GENOVA (GE)
OTABELLE T. Un percorso nel profondo blu
OSUBJECTS zoology, animal, sea, ecology, didactics
In grande acquario e' riprodotto l'ambiente di mari, laghi, lagune,
fiume e ne sono presentati gli abitanti: animali e vegetali.
L'Acquario di Genova e' il piu' grande d'Europa e uno dei piu' grandi
del mondo. E' coposto di 48 vasche, che diventano 52 se si considera
che quattro sono doppie e possono viste sia dall'alto che dal basso:
contengono 4,5 milioni di litri di acqua. Altre 100 vasche con 4
milioni di litri non sono visibili al pubblico ma servono per
l'ambientamento e la cura degli animali. Nelle vasche vivono oltre 5
mila esemplari tra pesci, rettili, anfibi, mammiferi, uccelli e
insetti. Per nutrirli vengono consumati ogni settimana 175 kg di
pesci e crostacei, oltre zooplancton per invertebrati e piccoli pesci
e ad alimenti specifici per serpenti (ratti e topi) e anfibi. L'acqua
e' attinta in mare da una nave cisterna e scaricata in 4 vasche di
«transito»; qui e' analizzata, filtrata da una serie di 21 grandi
filtri a sabbia, se ne controlla il Ph (per abbassarlo si aggiunge
acido cloridrico, per alzarlo si usa la soda), la salinita', la
quantita' di nitriti e di nitrati; la si riscalda o la si riscalda
per renderla adatta alle diverse specie cui e' destinata; la
temperatura oscilla fra i 1o gradi per i pinguini in inverno e i 26
delle vasche della foresta equatoriale, delle Molucche, del Mar Rosso
e dei Caraibi. Per la creazione degli ambienti fluviali si usa
l'acqua dell'acquedotto eliminandone il cloro. L'intero funzionamento
dell'acquario avviene grazie ai computer che mediante un gran numero
di sensori controllona che tutto nelle vasche resti nella norma. La
temperatura dell'acqua di ciascuna vasca deve rimanere entro limiti
precisi, diversi a seconda delle specie che vi vivono; se tali limiti
vengono oltrepassati o se sono alterati gli altri parametri (Ph,
salinita', quantita' di nitriti e nitrati, etc) nella sala di
controllo il computer lancia un allarme sonoro e indica la natura
dell'anomalia. Vittorio Ravizza
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
STANDARD
Milioni di bit risparmiati con un trucco
OARGOMENTI elettronica, tecnologia
OORGANIZZAZIONI DVD, MPEG
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS electronics, technology
Il segreto del Dvd e' uno standard di comprensione dei dati chiamato
Mpeg-II. Con una specifica serie di algoritmi, l'Mpeg codifica tutti
i dati che definiscono un'immagine, li stiva in un video compact disc
e quando questo viene inserito nel lettore del computer un'altra
scheda Mpeg decodifica e invia sullo schermo le immagini archivate.
Per un secondo di televisione servono 25 schermate, composte da 576
righe con 720 punti elementari (pixell) per ogni riga e per ogni
pixell occorre definire il colore, la brillantezza e la luminosita'.
In totale un singolo secondo di trasmissione digitale ha bisogno di
167,5 milioni di bit, sonoro compreso. Ipotizzando di trasmettere via
cavo un film digitale di media durata (90 minuti) con i piu' potenti
modem a disposizione oggi a livello domestico (28 mila bit al
secondo) servirebbero non meno di 8970 ore di collegamento (373
giorni). Immaginiamo ora che i 25 quadri di un secondo di immagini
siano 25 fotografie che abbiamo sul tavolo una accanto all'altra.
Riusciamo a notare la differenza tra la prima e la seconda foto? E
tra la seconda e la terza? Probabilmente no. E' invece piu' facile
cogliere le variazioni tra la prima foto e la ventiquattresima. Lo
standard Mpeg-II trasmette per intero il primo quadro (6-7 milioni di
bit), poi solo le differenze che intervengono tra il primo e il
secondo, tra il secondo e il terzo e cosi' via (generalmente non piu'
di 800 mila bit). Si e' visto che in media ogni 12 quadri occorre
trasmettere la totalita' delle informazioni perche' le differenze
sono diventate troppe. Ma e' comunque un enorme vantaggio perche'
anziche' 25 intere foto al secondo se ne trasmettono solo 2. I
tecnici stanno gia' studiando il passo successivo. Anziche' le
differenze tra un quadro e l'altro, all'inizio di ogni scena il primo
computer (la fonte) dara' al secondo computer (il destinatario) tutte
le informazioni del caso: nel bosco un uomo e una donna fanno un pic
nic. Poi lo avvertira' di cosa succedera' in quella scena: il terzo
albero a sinistra cade e la donna aiuta l'uomo a scansarsi. Quindi il
secondo computer immaginera' la scena, la ricostruira'
elettronicamente sul video utilizzando i dati a sua disposizione: il
terzo albero da sinistra che si schianta e' un pino marittimo alto 10
metri, mentre la donna che interviene e' alta 1 metro e 75, ha i
capelli rossi e corti e indossa uno svolazzante gonnellino a fiori.
Il tutto come se avesse in memoria la scena girata dalla cinepresa.
A_Vi
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. COME FUNZIONANO GLI STABILIZZATORI
Due pinne contro le tempeste
Producono oscillazioni uguali e contrarie al rollio della nave
OARGOMENTI tecnologia, trasporti, navali
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.T. TAB. Come funzionano le pinne stabilizzatrici di una nave
=====================================================================
Due pinne ripiegabili situate sotto la linea di galleggiamento delle
due fiancate dello scafo possono essere manovrate in modo da
influenzare il movimento della nave con una spinta verso l'alto o
una verso il basso. Se si orienta una pinna in modo da dare una
spinta verso l'alto mentre l'altra da una spinta verso il basso la
nave rolla, cioe' oscilla intorno al proprio asse longitudinale.
Quando il mare e' grosso l'oscillazione artificiale prodotta dalle
pinne, uguale ma opposta a quella prodotta dalle onde cancella gli
effetti del moto ondoso. Come avviene per le parti mobili delle ali
di un aereo (flap, diruttori, aerofreni) le pinne stabilizzatrici
delle navi funzionano solo quando l'imbarcazione e' in movimento e
quando le condizioni del mare lo consigliano; quando il mare e' calmo
o quando la nave manovra per entrare in porto vengono ripiegate per
evitare l'inutile attrito con l'acqua o urti contro la banchina.
---------------------------------------------------------------------
Il sensore che misura lo sbandamento cioe' l'ampiezza delle
inclinazioni laterali, e' situato in corrispondenza dell'asse di
rollio dello scafo; quando il mare si alza e l'imbarcazione comincia
a sbandare da un lato e dell'altro esso comincia a trasmettere con
continuita' istante per istante una serie di segnali a un computer
collocato nella sala comando; questo a sua volta invia una
corrispondente serie di impulsi all'apparato idraulico degli
stabilizzatori affinche' siano messe in funzione le pinne. Un
pannello luminoso in sala comando dice al capitano se le pinne sono
estese e lo informa circa il loro orientamento. Un allarme di bassa
velocita' fa accendere una lampadina per avvertire quando la nave
procede troppo lentamente per consentire alle pinne di lavorare
efficacemente.
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IL SENSORE. Il sensore che registra il rollio si basa su un prisma
metallico che viene fatto vibrare da dispositivi piezoelettrici
collocati su ciascuna delle due facce. La rotazione del prisma sul
proprio asse altera le forze che agiscono su ciascuno dei dipositivi
piezoelettrici, forze che si manifestano come cambiamenti nei segnali
elettrici prodotti dai dispositivi stessi. Questi segnali sono
processati, in pratica interpretati, in modo da ottenere la misura
dell'angolo di sbandamento e dell'accelerazione.
OSUBJECTS technology, transport, ship
QUANDO il mare e' grosso e la nave balla le pinne stabilizzatrici
raggiungono lo scopo di ridurre il rollio, cioe' il continuo e
fastidioso movimento oscillatorio dell'imbarcazione lungo il suo asse
longitudinale, alternativamente su un fianco e sull'altro. Sulle navi
passeggeri e sui traghetti questo apparato e' ormai largamente
applicato perche' e' essenziale per il benessere dei viaggiatori, ma
si va diffondendo anche sulle navi mercantili perche' contribuisce
alla stabilita' del carico; infatti lo spostamento dei pesi nella
stiva durante le tempeste - sia che si tratti di merci accatastate
sia che si tratti di veicoli - puo' causare lo sbandamento o
addirittura il rovesciamento della nave.
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. STAMPANTE A GETTO D'INCHIOSTRO
Ugelli come un capello
Due sistemi: termico e a cristalli piezoelettrici
OARGOMENTI tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Il funzionamento della stampante a getto d'inchiostro
e della stampante «piezoelettrica»
OSUBJECTS technology
Le stampanti a getto d'inchiostro danno risultati assai simili alle
stampanti laser ma sono molto piu' economiche; inoltre sono meno
rumorose perche', a parte l'inchiostro, nessuna parte meccanica tocca
la carta. La testina stampante contiene sessantaquattro piccolissime
camere d'iniezione terminanti in un ugello (grande la meta' di un
capello) rivolto verso la carta; le camere di iniezione sono piene
d'inchiostro. Ogni ugello e' comandato per mezzo di un segnale emesso
dal software della stampante, in pratica il computer che costituisce
il «cervello» della macchina. Quando un ugello viene messo in
attivita' spruzza una minuscola macchiolina d'inchiostro sulla carta.
Ogni lettera e' costituita da una serie di queste macchioline che
assumono la forma di una lettera dell'alfabeto, di un numero o di un
altro segno qualunque. Una volta che l'inchiostro tocca la carta
avviene una reazione chimica che produce una sostanza leggermente
acida la quale fissa l'inchiostro impedendogli di allargarsi fino a
formare una macchia indistinta. Per provocare il getto d'inchiostro
esistono due modi. Nelle stampanti «termiche» ogni camera d'iniezione
e' provvista di un minuscolo sistema di riscaldamento; esso quando
riceve il segnale dal software viene attraversato da una corrente
elettrica e porta la temperatura a circa 400 gradi C e fa vaporizzare
l'inchiostro; si forma cosi' una piccola bolla che spinge
l'inchiostro fuori dall'ugello e lo proietta verso la carta. Quando
il sistema di riscaldamento si spegne, la bolla si dissolve
richiamando nella camera dal «calamaio», o cartuccia, nuovo
inchiostro per ricominciare il ciclo, il funzionamento della camera
e' rapidissimo: in un secondo il ciclo si ripete migliaia di volte.
L'altro sistema usa al posto del metodo di riscaldamento ora
descritto particolari cristalli, detti cristalli piezoelettrici che
hanno la caratteristica di cambiare forma quando sono attraversati da
una corrente elettrica. Su comando del software una corrente
elettrica attraversa i cristalli che repentinamente aumentano di
dimensione e spingono l'inchiostro fuori dall'ugello.
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. CORSI D'ADDESTRAMENTO
I cani da valanga
Vanno «a scuola» sempre insieme al conduttore
OAUTORE MINETTI GIORGIO
OARGOMENTI zoologia, animali
OORGANIZZAZIONI SOCCORSO ALPINO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, SANTA CATERINA VALFURVA (SO); EUROPA, ITALIA,
BARDONECCHIA (TO)
OTABELLE D. Tecniche di ricerca
OSUBJECTS zoology, animal
Parlare di cani da valanga in quest'era in cui la tecnologia
elettronica subentra all'istinto animale, sembra anacronistico.
Eppure in certi casi questi animali sono ancora utilissimi. Antenati
degli attuali cani da valanga sono quei robusti animali allevati
all'Ospizio del San Bernardo da cui prendono anche il nome. La loro
presenza e' segnalata fin dalla seconda meta' del XVII secolo. I cani
di questa razza iniziarono la loro attivita' di soccorso in modo
spontaneo. Quando una guida cercava persone scomparse nella nebbia o
tempesta, i cani capivano immediamente lo scopo delle ricerche e una
volta puntata la persona smarrita guidavano il loro padrone sulle sue
tracce. Tra il seguire una traccia e scovare una persona coperta da
neve il passo fu breve. Anche se allora questi animali non
dimostrarono di possedere le capacita' degli attuali addestratissimi
cani da valanga, essi salvarono molte vite umane. Oggi un cane di
qualsiasi razza che abbia buon fiuto, che sia resistente al freddo e
sappia muoversi sulla neve, puo' essere addestrato allo scopo.
Generalmente vengono impiegati cani di razza «da pastore tedeschi» o
«belgi razza Groenendaal». Il principio su cui si basa la capacita'
di ricerca del cane sono le possibilita' ricettive da parte
dell'animale dell'«odore» della vittima. Infatti l'«odore» «sale» in
conseguenza della porosita' della neve, poiche' la vittima e'
«calda». L'aria calda infatti, che porta l'odore, sale essendo piu'
leggera di quella fredda contentuta nei vuoti della neve. La stessa
cosa non puo' dirsi in presenza di neve pesante primaverile, poiche'
l'acqua ottura i pori e non lascia piu' circolare l'aria. E' chiaro
quindi che piu' tempestivo e' l'intervento del cane e quindi il
trasporto sulla valanga, piu' facilitate saranno le operazioni di
soccorso. L'azione di ricerca da parte del cane iniziera' appena
giungera' sul posto e continuera' nelle ore e nei giorni successivi,
fiutando alle volte, come «testimoni», oggetti persi dalla vittima
sul luogo. E' ovvio che sul luogo della valanga occorre non
disturbare l'olfatto del cane disperdendo rifiuti di qualsiasi genere
che potrebbero confonderlo. Questo concetto pero' ormai si sta
superando poiche' oggigiorno l'operativita' dei cani ha raggiunto
tali livelli che gli animali sono abituati ad agire su terreni
altamente inquinati da personale e mezzi che hanno calpestato la zona
prima del loro intervento. Oggi circa la meta' delle operazioni di
soccorso a cui prendono parte cani da valanga danno esito positivo:
cioe' gli animali trovano la vittima viva o morta. Le probabilita' di
successo sono in funzione della densita' della neve della valanga.
Con neve molto bagnata o compatta il limite di ricerca e' di 1,20
metri, mentre con neve asciutta non vi sono praticamente limiti alla
profondita' a cui si puo' trovare un corpo. Anche la temperatura
condiziona la possibilita' di successo. Si considera come limite
massimo - 20 gradi, sono anche controindicati i venti molto forti.
Poiche' le possibilita' di successo di un'operazione condotta da cani
non dipende solo dalle capacita' dell'animale ma anche dal padrone o
conduttore, in ogni nazione alpina vengono organizzati corsi di
addestramento e di aggiornamento per «unita' cinofile», costituite
sempre da un cane e dal suo conduttore che e' generalmente il
proprietario. I cani iniziano l'addestramento con eta' da 9 a 18
mesi, ma sia il cane sia il padrone debbono frequentare due corsi di
10 giorni (uno all'anno classe A e B) prima di raggiungere un grado
di qualificazione tale da ottenere il brevetto. La capacita'
dell'animale viene mantenuta con corsi di aggiornamento annuali o
biennali. Le «unita' cinofile» fanno parte del Corpo nazionale del
Soccorso Alpino all'interno del quale operano due scuole: una
nazionale per cani da valanga a Santa Caterina di Valfurva e una
nazionale per ricerca in superficie a Bardonecchia. Attualmente sono
gia' stati fatti trentuno corsi per cani da valanga. Ai corsi possono
accedere solo conduttori iscritti al Soccorso alpino con cani propri
o forniti dallo stesso Soccorso alpino. Prima del corso pratico con i
cani il conduttore segue un corso di cinque giorni su neve e valanghe
che si svolge al Passo dello Stelvio. In Italia operano 122 unita'
cinofile del Soccorso alpino, dislocate perlopiu' nelle regioni
alpine. Presso i corpi militari (finanza, carabinieri, forestale)
esistono unita' cinofile che operano per proprio conto e seguono
corsi di addestramento e aggiornamento al Passo Rolle. Il nuemro
telefonico nazionale per chiedere l'intervento di queste unita' e' il
«118». Giorgio Minetti
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
LA MODA DEL FUTURO
Vestite di tecnologia
In laboratorio tessuti eccezionali
OGENERE copertina
OAUTORE FRONTE MARGHERITA
OARGOMENTI tecnologia, moda, abbigliamento
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND features
OSUBJECTS technology, fashion
AVREMO tutti una linea perfetta, saremo in forma, belli e magri,
almeno fino a che resteremo vestiti. Un po' come il Wonderbra, il
reggiseno che da qualche anno rende formose tutte le donne, i vestiti
del futuro modelleranno il corpo, e nello stesso tempo saranno
morbidi e «naturali» come una seconda pelle. Mentre a Parigi sta
concludendosi la maratona delle sfilate di primavera, con le solite
modelle piu' o meno anoressiche e le trovate piu' o meno stucchevoli
degli stilisti, proviamo a lanciare un colpo di sonda nei tessuti e
nella moda del futuro. Nei laboratori delle industrie tessili, sempre
alla ricerca di nuove soluzioni per esaudire ogni desiderio, la
guerra dei tessuti e' gia' cominciata da un pezzo, e le prime novita'
non tarderanno a comparire sul mercato. Ecco qualche esempio:
soffrite di insonnia? Il pigiama massaggiatore concilia-sonno, che
controlla anche l'elettricita' statica del corpo, e' quello che fa
per voi (non vi affollate, non e' ancora in commercio). Siete
allergici agli acari che si annidano nella polvere? Presto arrivera'
il tessuto scaccia acari. Progettate un viaggio in Amazzonia ma
odiate le formiche? La stoffa contro gli insetti vi sara' certamente
utile. Se invece volete trascorrere qualche giorno fra le dune del
Sahara potrete mettere in valigia un abito confezionato con la stessa
stoffa delle divise che i Marines americani hanno utilizzato nella
Guerra del Golfo: da -5oC a piu' 45oC non avrete ne' freddo ne'
caldo, e sarete anche protetti da eventuali aggressioni chimiche. Non
si sa mai... Ma e' soprattutto nel campo dell'abbigliamento sportivo
che si attendono le maggiori innovazioni. Gia' da qualche anno il
tennista Andre Agassi ha sostituito i poco pratici jeans tagliati al
ginocchio con dei pantaloncini, molto piu' utili per uno sportivo,
progettati per massaggiare la muscolatura in modo da prevenire i
crampi. Un costume da bagno contenente microsfere idrofobiche, cioe'
che respingono l'acqua, e' invece indossato dalle campionesse di
nuoto. Brevettato da un'industria italo-francese il costume crea un
sottilissimo cuscino d'aria che si interpone fra il corpo della
nuotatrice e l'acqua della piscina, facendo aumentare la velocita'
dell'atleta. Pare che verra' presto commercializzato, non tanto per
assicurare a tutti prestazioni olimpioniche nella piscina comunale,
ma perche' e' comodo e si asciuga subito una volta usciti dall'acqua.
Dalla spiaggia alla montagna: anche il maglione da sci potrebbe
passare di moda, ed essere sostituito da una comoda giacca di cotone.
Un cotone un po' speciale pero' contenente microgranuli di plastica
che trattengono il calore, ed ottenuto recentemente con tecniche di
ingegneria genetica nei laboratori della compagnia americana
Agracetus. Nel Dna della pianta di cotone sono stati inseriti due
geni che nel batterio «Alcaligenes eutrophus» servono a produrre
poli-idrossibutirrato, una sostanza plastica utilizzata come riserva
energetica dal microorganismo. Risultato: il cotone per la tuta da
sci. Una tuta biotecnologica che, per ora, non e' ancora stata
lanciata sul mercato. E, a dire il vero, la maggioranza di queste
innovazioni e' ancora chiusa nei laboratori, oppure viene utilizzata
solo in particolari settori, come ad esempio nello sport agonistico
ad alti livelli. Ma a giudicare dall'intensa attivita' di ricerca in
questo campo, sembra proprio che la rivoluzione del tessuto sia
dietro l'angolo. E le industrie tessili sono davvero pronte a
inventare qualunque stoffa pur di soddisfare le richieste piu'
esigenti, ed avere la meglio sulla concorrenza. Persino il tessuto
snellente anti-stress e' gia' stato progettato. Si tratta di una
fibra sintetica che modella la figura e al cui interno sono
incorporate delle palline microscopiche, del diametro di un millesimo
di millimetro, che massaggiando costantemente la pelle procurano una
sensazione di sollievo e di benessere. Le microcapsule possono anche
essere utilizzate per somministrare sostanze che favoriscano la
circolazione alleviando la sensazione di gonfiore alle gambe. Per
snellire la figura sono allo studio anche dei tessuti, leggeri come
la seta, ma rinforzati con nikel-titanio, o fra le cui maglie
appaiano degli ologrammi - immagini in tre dimensioni - che
contribuiscano a creare l'effetto curve mozzafiato. E in attesa che
la tecnica si perfezioni, in Giappone, ad Osaka, una boutique gia'
confeziona i collant davanti alle clienti in funzione dei difetti
delle loro gambe. Massaggianti, snellenti, morbidi, leggeri, gli
abiti del futuro aboliranno le diete e le faticose ore di palestra.
Una sola controindicazione: prima di sfilarseli bisogna spegnere la
luce. Margherita Fronte
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
CLONAZIONE
Sara' difficile dare regole agli scienziati
OAUTORE CAROTENUTO ALDO
OARGOMENTI ricerca scientifica, genetica, biologia, etica, regolamento
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS research, genetics, biology
ERA inevitabile che le questioni poste dal primo esperimento di
clonazione su un mammifero suscitassero polemiche fondate piu' sulle
emozioni che non su un lucido esame dei fatti. Diciamo subito che
personalmente sono favorevole all'aprirsi di queste nuove prospettive
e che i divieti avanzati da piu' parti mi paiono avere un aspetto
quasi grottesco. E' ovvio che tutto dipendera' dall'uso che si fara'
di queste realizzazioni ma non si dimentichi che l'uomo ha gia' fatto
la sua scelta da millenni: i miti fondanti nella nostra cultura ci
dicono che la vicende terrana dell'uomo nasce dal bisogno di
conoscere. E' una colpa che la divinita' punisce, ma la punizione e'
esattamente il nostro destino di creature mortali, e finche'
rimarremo tali vorra' dire che quel debito non e' stato saldato, e
che l'umanita' continua a «mangiare dei frutti dell'albero della
conoscenza». Voler conoscere e' il nostro destino di esseri
condannati a morire, e non si puo' chiedere all'uomo di rinunciare ai
suoi tentativi di carpire alla natura i suoi segreti. Si potrebbe
allora pensare di limitare il campo d'azione a quella che
sommariamente viene definita come «scienza applicata». Ma anche
questa e' una aspirazione velleitaria. Il confine tra ricerca pura e
ricerca applicata diventa sempre piu' labile. Certo, oggi lo
scienziato interviene sull'oggetto della sua ricerca in modo molto
piu' invasivo: pensiamo al fisico che per studiare una particella la
bombarda provocandone la scissione. Quanto alla biologia in generale,
e alla biologia genetica in particolare, la ricerca e' ormai cosi'
costosa che a finanziarla, se non sono i governi nazionali (e lo sono
sempre meno) provvedono le istituzioni private: che ovviamente
promuovono soprattutto quelle ricerche che promettono applicazioni
pratiche nei campi piu' disparati, dalla medicina alla produzione
alimentare, dovunque si prospetti un profitto. Regolamentare la
ricerca applicata significa in pratica regolamentare tout-court la
ricerca. Inoltre, non va ignorata quella che, a mio parere, sarebbe
una conseguenza inevitabile di un atteggiamento proibizionista in
questo campo, come lo e' gia' in altri del resto: il proliferare di
queste pratiche nella clandestinita'. Assodata questa dolorosa ma
inevitabile prospettiva, va aggiunto che se una regolamentazione
sara' comunque necessaria, questa dovra' rispondere a valori il piu'
possibile universali; la regolamentazione dovra', insomma, esprimere
un'etica inevitabilmente «altra» rispetto a quelle tradizionali,
religiose o laiche che siano, le quali non possono esserci di grande
aiuto in queste tematiche - anche se spesso vengono invocate a
sostegno di un'accusa o di una assoluzione. Non ci aiutano molto ne'
la Bibbia ne' il giuramento di Ippocrate, ne' il diritto positivo ne'
la Dichiarazione dei diritti dell'uomo. Un'etica ispirata
esclusivamente a criteri religiosi avrebbe presa solo su singoli
scienziati obbedienti a quel credo; gli altri, tutti gli altri, non
si sentirebbero in colpa a trasgredire, magari in segreto, a una
convenzione. Come psicologo mi preme chiarire, pero', un equivoco di
fondo riguardo all'ipotesi della clonazione umana, ovvero l'eventuale
duplicarsi di una identita' psichica. Questa evenienza, che appare
come uno degli aspetti piu' inquietanti di tutta la questione, non ha
alcun fondamento reale, semplicemente perche' la psiche si forma e
muta continuamente con gli stimoli della realta', le emozioni, le
infomazioni, le esperienze anche apparentemente irrilevanti. Essere
clonati con le cellule di un santo o di un genio non significa
proprio niente se non si tiene conto dell'ambiente che accogliera'
queste particolari nascite. Anche gli esempi dei gemelli omozigoti,
separati dalla nascita e allevati in ambienti diversi, dimostrano
ampiamente l'importanza del fattore ambientale rispetto all'eredita'
genetica. E' altrettanto vero pero' che abbiano il diritto (e il
dovere) di mettere nel conto gli eventuali disturbi psichici che
potrebbe soffrire una persona che venisse a sapere di essere il
prodotto di una clonazione, «un replicante». Aldo Carotenuto
Universita' di Roma
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IPOTESI DI STUDIOSI AUSTRIACI
Una cometa causo' il diluvio?
Sarebbe precipitata sulla Terra 9600 anni fa
OAUTORE TIBALDI ALESSANDRO
OARGOMENTI astronomia, antropologia e etnologia, meteorologia
ONOMI TOLLMANN ALEXANDER
OORGANIZZAZIONI UNIVERSITA' DI VIENNA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy, anthropology and ethnology, meteorology
QUANDO alcuni ricercatori di varie discipline, coordinati da
Alexander Tollmann dell'Universita' di Vienna, approfondirono lo
studio comparato delle grandi tradizioni sul Diluvio Universale, dal
mito di Veda fino alle culture degli Indiani d'America e degli
aborigeni australiani, certo non si aspettavano di scoprire centinaia
di testimonianze coerenti tra loro di una sequenza ben precisa di
fenomeni come terremoti, incendi e clima torrido, onde del mare
gigantesche, piogge torrenziali, oscurita' e freddo, seguiti da
un'estinzione in massa di animali. Comparando questa sequenza con le
conseguenze causate dall'impatto di una cometa, l'analogia risulto'
sorprendente. Per affrontare in modo scientifico questa singolare
spiegazione del Diluvio Universale, i ricercatori hanno studiato
migliaia di relazioni sugli effetti tipici prodotti dall'impatto di
meteoriti cadute sulla Terra in epoche geologiche lontane: per
esempio l'impatto che causo' l'estinzione dei dinosauri. I
ricercatori hanno inoltre raccolto tutti i dati che permettono di
datare con sicurezza l'ultima catastrofe che ha sconvolto il nostro
mondo, e che dovrebbe corrispondere al Diluvio Universale, anche
tramite metodi geologici basati sullo studio degli effetti nei
depositi di migliaia di anni fa. Infine hanno comparato tutto cio'
con un'analisi dei processi fisici individuabili nelle centinaia di
miti e tradizioni di tutto il mondo sul Diluvio Universale. Miti
peruviani, persiani, indiani ed ebraici, indicano che, prima del
Diluvio, sette stelle principali e numerose minori caddero sulla
Terra. Questo coincide con le moderne osservazioni sulla
frammentazione delle comete in prossimita' del campo gravitazionale
di un pianeta. Per esempio, nel '94 la cometa Shoemaker-Levy 9 si e'
frantumata passando vicino a Giove e vi e' precipitata. Esistono
prove geologiche che sette frammenti principali di una cometa sono
caduti sulla Terra circa diecimila anni fa. I ritrovamenti sono stati
fatti in Australia, in Vietnam e, tra i tanti, anche nella vicina
valle di Otz in Tirolo austriaco. L'ordine degli impatti segue una
direzione preferenziale, cosi' come si e' osservato su Giove. Le
tradizioni dicono poi che «le rocce e gli alberi iniziarono a danzare
mentre le montagne crollavano e tutto veniva sconvolto». Non e'
difficile individuare in questo gli effetti dei terremoti che
tipicamente avvengono in seguito all'esplosione da impatto di corpi
extraterrestri. E' stato calcolato che l'impatto che ha portato
all'estinzione i dinosauri ha rilasciato un'energia equivalente a
cinque miliardi di bombe atomiche di Hiroshima. Da vari miti e
tradizioni di tutto il mondo, emergono inoltre testimonianze di
incendi e di un grande calore dell'aria. Gli aborigeni australiani
tramandano che il calore proveniente dal cielo tinto di rosso era
talmente insopportabile che obbligo' i padri a uccidere i figli, le
mogli e infine se stessi. La scienza moderna ci dice che l'impatto di
frammenti di comete vaporizza le rocce circostanti creando una specie
di fungo atomico le cui particelle, con temperature di centinaia di
gradi, ricadono causando incendi e un surriscaldamento dell'aria. E
ora arriviamo al diluvio in senso stretto. Frammenti della cometa
caduti in mare hanno sicuramente indotto alte ondate - tipo quelle
dei maremoti - che si sono propagate verso l'interno dei continenti.
Contemporaneamente, le grandi masse di polveri e particelle di
combustione disperse nell'atmosfera dall'impatto e dai numerosi
conseguenti incendi, hanno filtrato i raggi solari oscurando e
raffreddando la Terra. Centinaia di miti di tutto il mondo
raccontano, infatti, che il sole, le stelle e la luna vennero
divorati da un demone terribile. La notte duro' una settimana intera,
mentre l'inverno continuo' per tre anni. Questa improvvisa e
perdurante variazione climatica puo' rapidamente aver portato
all'estinzione di molti animali, come i mammuth, appunto intorno a
diecimila anni fa. Giungiamo cosi' alla datazione del Diluvio
Universale. I ricercatori hanno comparato i risultati di decine di
metodi di datazione diversi. Questi vanno dalla datazione dei
depositi geologici contenenti i frammenti delle meteoriti,
all'analisi radioattiva degli alberi uccisi dagli impatti,
all'individuazione di un improvviso abbassamento della temperatura
mondiale attraverso lo studio di depositi fossili di pollini, di
campioni di ghiaccio estratti nelle parti profonde delle calotte
glaciali e del tasso di accrescimento di alberi fossili. Tutti i
risultati convergono nell'indicare che la catastrofe avvenne circa
9600 anni fa. Ma attraverso studi letterari e geologici e' stato
possibile fare un passo successivo. Citando tre esempi, la tradizione
degli Indiani canadesi Chippewa indica che una grande nevicata, quasi
ininterrotta per piu' di un anno, inizio' nel mese che oggi
denominiamo settembre. Una tradizione trascritta dal prete Berosus di
Babilonia indica che il grande Diluvio inizio' nel mese «Daisos»,
corrispondente al nostro equinozio di autunno (21 settembre). Infine,
i villaggi costieri della popolazione Yamana della Terra del Fuoco,
in Sudamerica, vennero improvvisamente sommersi, mentre le terre
ancora emerse vennero ricoperte dai ghiacci per numerosi anni di
seguito. Questo avvenne all'inizio di una loro primavera di molte,
molte centinaia di anni fa, che corrisponde quindi all'inizio di un
tremendo autunno nel nostro emisfero. Alessandro Tibaldi Universita'
di Milano
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. IN PROGETTO AL CERN
Una fabbrica di anti-atomi
Chiarira' questioni fondamentali per la fisica
OAUTORE MACRI' MARIO
OARGOMENTI fisica
OORGANIZZAZIONI CERN, FARMILAB
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA; EST, AMERICA, USA, ILLINOIS,
CHICAGO
OSUBJECTS physics
FIN dalla scoperta del positrone, l'antiparticella dell'elettrone
ipotizzata da Dirac nel 1928 e rivelata nel 1932 da Anderson negli
Usa e da Blackett e Occhialini in Europa, i fisici si sono
interrogati sull'esistenza di antimateria. L'avventura sperimentale
e' continuata alla ricerca dell'antiprotone e dell'antineutrone.
L'antiprotone fu scoperto nel 1955 e l'antineutrone l'anno dopo.
Poiche' i protoni, gli elettroni e i neutroni sono i costituenti
degli atomi, era lecito chiedersi se ci fossero degli antiatomi,
formati da antiprotoni antielettroni e antineutroni. Il primo
antinucleo (antideuterio) fu scoperto nel 1965: non si riusci' pero'
a formare un atomo completo. Molti metodi sono stati proposti ma fino
ad oggi l'antiatomo esisteva solo in teoria. Gli interrogativi dei
teorici hanno finalmente oggi trovato una risposta con i risultati di
due esperimenti che usano la stessa tecnica: il primo, condotto nel
laboratorio del Cern di Ginevra ha consentito nell'autunno del 1995
l'osservazione di atomi di antiidrogeno (l'atomo formato da un
antiprotone e un antielettrone), il secondo e' attualmente in corso
nel laboratorio intitolato a Fermi, vicino a Chicago. Dai primi 9 del
Cern, siamo oggi arrivati alla produzione giornaliera di atomi di
antiidrogeno. Dall'autunno 1996 al laboratorio di Chicago un
esperimento osserva la sorgente dove viene prodotto l'antiidrogeno e
lo rileva. Rifacciamo in breve la storia. La tecnica di produzione
che ha permesso di conseguire questo risultato e' frutto
dell'ingegnosita' di ricercatori e tecnici dell'Istituto nazionale di
fisica nucleare (Infn) di Genova. All'inizio degli Anni 80 proponemmo
un esperimento che usava un nuovo strumento (nuovo per la fisica
delle particelle): un fascio molecolare «clusterizzato» (agglomerati
di un grande numero di molecole) che abbiamo trasformato in un
bersaglio interno a una macchina acceleratrice di particelle.
L'esperimento dette ben presto splendidi risultati, tanto da spingere
i colleghi americani a chiedere di impiantare lo stesso strumento, in
una configurazione migliorata, nell'accumulatore di antiprotoni a
Fermilab: cosa che fu realizzata nel gennaio 1988. Alcuni fisici
teorici, viste le potenzialita' di questa nostra tecnica calcolarono
anche la probabilita' di formare su questo bersaglio antiatomi di H
cioe' antiidrogeno. Ma Fermilab cercava il top quark: l'esperimento
fu quindi penalizzato da un altro obiettivo che appariva allora
prioritario. La sua realizzazione fu rinviata alla conclusione della
prima fase della ricerca del quark top. Nel frattempo (1991) avevamo
installato un fascio molecolare dello stesso tipo al Cern. Sulla
macchina Lear. Era giusto del resto che la scoperta avvenisse al Cern
al cui bilancio l'Italia contribuisce con un importante
finanziamento. Alla fine del 1994 il gruppo Infn di Genova decise che
il momento per tentare l'avventura era venuto. In collaborazione con
gruppi tedeschi fu lanciato il progetto PS210, nell'ambito del quale
il nostro gruppo ha messo a punto il getto di gas xenon, senza il
quale non si sarebbero potuti ottenere i risultati in cui speravamo.
Oggi l'esperimento al Fermilab e' finalmente iniziato e la produzione
di atomi di antiidrogeno e' una realta' giornaliera. Non passa giorno
senza che alcuni atomi vengano rivelati. Il procedimento e' semplice:
c'e' un fascio di antiprotoni che viaggia in un acceleratore quasi
circolare. Ad ogni giro il fascio urta contro il bersaglio: in
seguito a questo urto vengono prodotte coppie di elettroni e
positroni. Se l'antiprotone e il positrone si muovono nella stessa
direzione e viaggiano alla stessa velocita', c'e' una certa
probabilita' che le due particelle si leghino insieme, formando un
atomo di antiidrogeno. Confezionare un certo numero di antiatomi e'
un risultato raggiunto grazie alle caratteristiche del gas impiegato
ma anche alla opportuna scelta della sua densita': se il getto fosse
molto piu' denso, l'anti-idrogeno si formerebbe ugualmente, ma si
dissocerebbe troppo presto. Il bersaglio e' un getto di gas ad alta
pressione e bassa temperatura, che viene fatto espandere attraverso
un foro molto piccolo. In questo modo si crea un flusso molto ben
«collimato» (dai contorni cioe' ben definiti) che puo' procedere in
linea retta per una lunghezza considerevole. Cio' permette di
recuperare il gas senza farlo disperdere nella macchina
acceleratrice. Questa tecnologia usata gia' in altri tipi di
esperimenti, si e' rivelata decisiva. Per altro verso nella macchina
utilizzata a Fermilab circola un fascio di antiprotoni costituito da
piu' di 500 miliardi di particelle che attraversa il bersaglio di
idrogeno oltre 500 mila volte in un secondo. Anche questa condizione
si rivela essenziale per il successo dell'esperimento. L'antiidrogeno
e il suo fascio di antiprotoni continuano dunque a viaggiare nella
stessa direzione all'interno della macchina; poi incontrano un
magnete che deflette le particelle cariche (antiprotoni), mentre
lascia passare le particelle neutre (antiidrogeno) in un foglio molto
sottile, sempre all'interno del vuoto dell'accumulatore di
antiprotoni. Qui l'atomo e' separato nei suoi due componenti,
l'antiprotone e il positrone. Il positrone viene registrato da uno
spettrometro magnetico che ne misura l'energia in un contatore a
scintillazione, dove il positrone si annichila con un elettrone della
materia producendo energia sotto forma di raggi gamma. Essi vengono
osservati da appositi contatori. L'antiprotone viene registrato da
uno spettrometro magnetico che misura la traiettoria, dopo il tempo
di volo (cioe' la percorrenza), la massa e la carica. La coincidenza
tra i due eventi e' la prova che l'evento osservato e' quello della
dissociazione di un atomo di antiidrogeno. Possiamo ora dare una
prima risposta sperimentale a molte domande che i fisici si sono
poste fin dal 1933. In quell'anno Dirac in una relazione sulla teoria
degli elettroni e positroni avanzo' l'ipotesi che l'antimateria
stabile dovesse esistere. Egli pensava a galassie di materia e
antimateria separate per evitare le annichilazioni. Ma i fisici
pensano oggi che il Big-Bang abbia avuto una fase durante la quale
gli anti quark (i costituenti degli antiprotoni) sono stati
annichilati. L'antiidrogeno e' quindi assente dall'universo di oggi.
Aver trovato una «fabbrica» di antiidrogeno ci permettera' di
studiare l'antimateria stabile. Si cerchera' dunque di determinare se
la luce emessa dall'idrogeno e' la stessa di quella emessa
dall'antiidrogeno (se i livelli energetici sono uguali) come previsto
da un teorema fondamentale della fisica delle particelle secondo cui
i fenomeni che avvengono in un mondo costituito da materia sono
indistinguibili da quelli di un mondo di antimateria. Un'altra
domanda cui si cerchera' di trovare risposta e' se, come per la
materia, la massa inerziale e la massa gravitazionale
dell'antimateria sono proporzionali: questo principio di equivalenza
e' alla base della formulazione e della comprensione della
gravitazione universale. Per migliorare la precisione di queste
misure si lavora a una nuova tecnica di formazione di atomi di
antiidrogeno, che dovrebbe beneficiare di una nuova installazione che
sara' costruita al Cern: il deceleratore di antiprotoni, che fornira'
fasci di antiprotoni di bassissima energia. Questi fasci dovrebbero
consentire di formare atomi di antiidrogeno che possano essere
osservati durante lunghi periodi con conseguente aumento della
precisione di misura. La chiave per ottenere questo risultato
consiste nella possibilita' di intrappolare atomi di bassa energia in
opportune strutture magnetiche come gia' avviene con atomi di
idrogeno. La nuova tecnica dovrebbe darci i primi risultati
sperimentali all'inizio del 2000. Mario Macri' Cern, Ginevra
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. BIOCHIMICA
La vita da una stella morente?
Il mistero delle cellule sinistrorse
OAUTORE BONANNI AMERICO
OARGOMENTI biologia, chimica
ONOMI BONNER WILLIAM, CRONIN JOHN, PIZZARELLO SANDRA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS biology, chemistry
LA luce di una stella morente avrebbe guidato, quasi come un faro, la
nascita della vita sulla terra, orientando la disposizione delle
molecole organiche fondamentali. L'ipotesi, avanzata da William
Bonner dell'Universita' di Stanford, avrebbe trovato una prima
conferma grazie allo studio di un meteorite caduto in Australia nel
1969. La ricerca si deve a John Cronin e Sandra Pizzarello, chimici
dell'universita' dell'Arizona, ed e' comparsa il 14 febbraio sulla
rivista «Science». Gli studi si sono indirizzati verso un aspetto
particolare della biochimica terrestre: la struttura molecolare degli
aminoacidi, gli elementi di base delle proteine. Come avviene anche
per altri composti, ciascun aminoacido puo' esistere in due forme
differenti definite stereoisomeri. Sono molecole identiche in tutto
tranne in un dettaglio: l'una e' esattamente l'immagine riflessa
dell'altra. In altre parole gli atomi possono disporsi in modo da
creare una molecola «sinistra» oppure una «destra» dello stesso
aminoacido (i termini chimici sono levogiro e destrogiro). «Il modo
migliore per spiegare questo fenomeno - dice Cronin - e' immaginare
che le due forme molecolari siano come le nostre mani: mettetele una
sull'altra e vedrete che non coincidono, eppure sono del tutto
identiche». La particolarita' della biologia terrestre e' che tutti
gli aminoacidi delle forme viventi sono orientati a sinistra (tranne
uno, che non ha stereoisomeri). Diversi studi hanno dimostrato che
questa uniformita' di orientamento e' indispensabile alla vita,
altrimenti sarebbe stato impossibile creare grandi molecole, come le
proteine, in grado di essere riprodotte dal codice genetico. Pero' in
laboratorio le cose non funzionano cosi': quando si crea un
aminoacido artificialmente le molecole ottenute sono sempre meta'
sinistre e meta' destre, e non sembra esistere alcuna preferenza per
una delle due forme. Cosi' gli scienziati sono alle prese con un vero
paradosso: al momento della comparsa della vita sulla Terra qualcosa
ha fatto scegliere le forme sinistre, ma non sembra esistere alcun
meccanismo che possa spiegare questa preferenza. Secondo l'ipotesi di
Bonner, ripresa da Cronin e Pizzarello, la risposta si trova nello
spazio: a indirizzare gli aminoacidi sarebbe stata la radiazione
emessa da una stella di neutroni. Questi corpi celesti sono quel che
resta alla fine della vita delle stelle di grande massa. Inizialmente
passano attraverso lo stadio di supernova, una violenta esplosione
che in 10 giorni disperde la stessa energia prodotta dal nostro Sole
in diecimila anni. Poi la materia stellare collassa e si condensa in
un oggetto non piu' largo di 30 chilometri: appunto una stella di
neutroni. Tra le caratteristiche delle stelle di neutroni c'e' il
fatto che emettono luce polarizzata circolarmente. Puo' essere utile
una analogia tra il raggio luminoso e la corda di una chitarra: se
guardiamo la corda da uno dei due capi la vediamo oscillare in tutte
le direzioni a 360 gradi. Lo stesso avviene per la luce normale. Se
fosse luce polarizzata, invece, la vedremmo oscillare in una
direzione ben precisa (definita piano di polarizzazione). Quella
circolare e' ancora diversa: in essa le oscillazioni avvengono tutte
sullo stesso piano, ma questo piano ruota continuamente. Il risultato
concreto e' che le onde luminose partite dalla stella di neutroni
descrivono una specie di spirale mentre viaggiano nello spazio. Gli
stereoisomeri sono sensibili alla luce polarizzata, e infatti la
definizione di isomero destro o sinistro si riferisce proprio alla
capacita' della molecola di ruotare il piano di polarizzazione quando
viene colpita da un raggio luminoso. Nel caso della polarizzazione
circolare, poi, i due isomeri degli aminoacidi la assorbono in modo
differente a seconda che la spirale sia orientata verso sinistra o
verso destra. Con queste premesse l'ipotesi dei ricercatori americani
e' che la radiazione di una vicina stella di neutroni possa aver
influito sull'evoluzione dei primi aminoacidi. Le molecole sarebbero
state bombardate mentre si stavano formando nello spazio, dentro la
nube di gas e polvere dalla quale e' poi originato il Sistema solare.
«La luce polarizzata - spiega Cronin - potrebbe aver agito in modo da
degradare una delle due forme molecolari degli aminoacidi, lasciando
intatta l'altra». L'unico sistema per provare questa affermazione e'
studiare gli aminoacidi presenti nelle meteoriti o nelle comete. Una
prevalenza di molecole sinistre sarebbe una prova decisiva, visto che
le meteoriti sono rimaste intatte dalla formazione del sistema solare
ad oggi. Purtroppo i meteoriti che cadono sul nostro pianeta vengono
rapidamente contaminati dalle molecole terrestri, e cio' rende
difficile distinguere le sostanze originarie. Cronin e Pizzarello
hanno aggirato il problema studiando solo alcuni aminoacidi che sulla
Terra non esistono e la cui origine interplanetaria e' quindi sicura.
Secondo la ricerca pubblicata da «Science», tra gli aminoacidi
contenuti nel meteorite e' stato effettivamente riscontrato un
eccesso di forme sinistre che va dal 2 al 9 per cento. E' un notevole
passo avanti nella affascinante ipotesi di un «faro» interstellare
che possa guidare la nascita della vita nei suoi dintorni. Ma la
prova piu' importante per questa teoria arrivera' nel 2003, quando la
sonda spaziale «Rosetta» si incontrera' con la cometa Wirtanen. Uno
degli esperimenti previsti e' proprio lo studio degli aminoacidi
contenuti nel corpo celeste e la ricerca di eventuali disparita' nel
rapporto tra forme sinistre e destre. Americo Bonanni
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. NUOVA ARMA USA
Un cannone laser abbattera' i missili
OAUTORE RIOLFO GIANCARLO
OARGOMENTI armi
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS weapons
A sei anni dalla Guerra del Golfo, il Pentagono non ha dimenticato
l'incubo dei razzi Scud lanciati da Saddam Hussein contro Israele e
contro le basi americane in Arabia Saudita. C'e' preoccupazione,
anzi, per il crescente numero di Paesi in possesso di missili
balistici: oggi sono una ventina, con diecimila vettori e un arsenale
di testate convenzionali, chimiche, batteriologiche. E alcuni hanno
la tecnologia per costruire bombe atomiche. Come fronteggiare la
minaccia? Abbandonato con la fine della guerra fredda il progetto di
«scudo spaziale», gli Stati Uniti hanno dato il via allo sviluppo e
alla costruzione di un'arma rivoluzionaria che, sia pure con
obiettivi meno ambiziosi, ne ricalca le orme: un potente cannone
laser. Montato su uno speciale Boeing 747, permettera' di distruggere
i missili subito dopo il lancio. Il sistema, chiamato ABL (sigla di
Airborne Laser, cioe' laser volante), verra' realizzato per conto
dell'Air Force da un team composto da Boeing, Lockheed Martin e Twr,
con un investimento di un miliardo 100 mila dollari, 1700 miliardi di
lire. Nella decisione ha pesato non poco l'esperienza della Guerra
del Golfo. Allora, per difendersi dagli attacchi degli Scud, vennero
impiegate batterie di missili Patriot: presentati come quasi
infallibili, ottennero in realta' risultati modesti. Il Patriot,
d'altronde, e' nato come sistema antiaereo e colpire missili
balistici e' un'altra cosa. Secondo i programmi, l'Air Force
ricevera' sette Boeing 747 ABL. Grazie all'autonomia
intercontinentale, potranno raggiungere in poche ore l'area di una
crisi internazionale, stendendo un ombrello a protezione dei
possibili obiettivi di un attacco. Volando in circolo a 12 mila metri
di quota, questi aerei potranno scoprire il lancio di missili a
centinaia di chilometri di distanza e seguire la traiettoria con un
sensore a infrarossi realizzato dalla Lockheed Martin. Il sistema di
puntamento, sempre della Lockheed, indirizzera' con precisione sul
bersaglio il raggio del laser ad alta energia, distruggendo il
missile durante l'ascesa, nella fase del volo in cui e' piu'
vulnerabile, mentre si trova ancora sul territorio del Paese
aggressore e - in caso di testate multiple - prima che queste si
separino. La costruzione del laser e' affidata alla Trw di Cleveland,
azienda che studia da anni la possibilita' di impiegare fasci di luce
ad alta energia per la difesa antimissile. Il prototipo risale
addirittura al 1972 e venne sperimentato con successo sei anni piu'
tardi contro un bersaglio in volo. In tempi piu' recenti, la Trw ha
realizzato due laser chimici da piu' di un megawatt di potenza:
l'Alpha, costruito per l'Air Force con i finanziamenti stanziati per
lo scudo spaziale, e il Miracl, commissionato dalla Marina.
Quest'ultimo e' stato collaudato in un poligono del Nuovo Messico. E'
riuscito a colpire e a distruggere una serie di missili lanciati da
terra. Giancarlo Riolfo
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ARMI CHIMICHE IN NATURA
Gli insetti bombardieri
Almeno 500 specie si difendono con gas letali
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI EISNER THOMAS
OORGANIZZAZIONI CORNELL UNIVERSITY
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
UNO spray tossico e bollente e' un'arma di tutto rispetto contro le
aggressioni. Lo possiede lo Stenaptinus del Kenya, un insetto
tropicale lungo due centimetri e mezzo che e' senza dubbio uno dei
«bombardieri» piu' singolari della natura. Il funzionamento della sua
arma di difesa e' stato svelato dall'entomologo Thomas Eisner della
Cornell University di New York. Bisogna convenire che si rimane
stupefatti di fronte alla straordinaria varieta' di armi chimiche in
possesso non solo di molti insetti, ma di parecchie specie degli
altri artropodi (con questo termine si indicano tutti quegli animali
che hanno «i piedi articolati», come insetti, ragni, scorpioni,
crostacei e miriapodi). Eisner ha scoperto che lo Stenaptinus
mediante ghiandole separate fabbrica idrochinone e acqua ossigenata.
Quando viene aggredito, combina queste sostanze in presenza di un
catalizzatore. La reazione e' esotermica, cioe' sviluppa calore e
produce ossigeno e benzochinone, sostanza tossica dall'odore assai
penetrante. La tecnica e' praticamente identica a quella usata
dall'uomo per le piu' moderne e micidiali armi chimiche: due sostanze
di per se' innocue vengono immagazzinate separatamente e combinate al
momento giusto, in modo da provocare l'emissione di gas letali. Ed
esistono nientemeno che cinquecento specie di insetti bombardieri che
in modi diversi ottengono lo stesso risultato. Tra le varieta'
nostrane il piu' noto e' il Brachynus crepitans. E' un insettino
lillipuziano, lungo meno di un centimetro, con testa e zampe di un
color fulvo intenso e le elitre (le ali anteriori coriacee) di un bel
verde a riflessi bluastri. Trovarlo non e' facile, perche' ama
nascondersi sotto le pietre o i detriti vegetali nei luoghi piu'
umidi e freschi. E' raro che sia isolato, di solito un bel gruppetto
di individui condivide lo stesso habitat. Anche il Brachynus, come lo
Stenaptinus, tiene le sue armi ben separate in due vescichette vicine
all'apertura anale, divise da una specie di sportello ribaltabile.
Nemico in vista? Immediatamente lo sportello si solleva e le due
secrezioni si mescolano in presenza di un'enzima che attiva una
reazione esplosiva. Il gas che si sviluppa viene proiettato con
violenza attraverso una lamina bucherellata che crea un effetto
spray. Se la prima scarica non sortisce l'effetto desiderato, il
Brachynus ne lancia una seconda e poi una terza, sino a che le
vescichette non abbiano completamente svuotato il loro contenuto. In
meno di un giorno il bombardiere e' in grado di rifabbricare la sua
scorta di esplosivo. In genere una cosi' massiccia azione difensiva
messa in opera da tutto il clan dei Brachynus raggiunge lo scopo. Ma
anche quando un solo bombardiere capita nella bocca di un rettile o
nel becco di un uccello, gli basta un'energica spruzzata, perche' il
vertebrato sputi immediatamente la preda lasciandola fuggire.
L'Eleodes longicollis, un altro insetto studiato da Eisner, avverte
il nemico quando sta per attaccarlo. Si mette a testa in giu' con
l'addome puntato verso l'alto. Come se gli dicesse «o te ne vai o
sparo». Se il nemico non demorde, l'Eleodes gli lancia contro un
liquido bruno gialliccio dall'odore acre che emana vapori corrosivi,
pericolosi soprattutto per le mucose e per gli occhi. Un
atteggiamento difensivo paragonabile a quello dell'Eleodes l'assume
anche il Mastigoprocteus giganteus, lungo una decina di centimetri,
che appartiene ad uno dei gruppi piu' antichi di aracnidi. Avvistato
il nemico, anche lui fa un brusco dietrofront e gli punta contro
l'estremita' dell'addome. Ma la violenza dello spruzzo e soprattutto
la precisione della mira sono nel suo caso incomparabilmente
superiori. La secrezione corrosiva viene sparata anche a sessanta
centimetri di distanza, sei volte la lunghezza dell'animale. La cosa
piu' straordinaria del Mastigoprocteus e' che il suo getto e'
orientabile. Il foro di uscita del liquido si trova infatti
all'estremita' posteriore dell'addome su un pomello rotante che puo'
essere rivolto in tutte le direzioni. Se diretto contro uccelli o
mammiferi lo spruzzo viene orientato di preferenza verso gli occhi
per accecare l'avversario. Quegli artropodi che noi chiamiamo
impropriamente «millepiedi» (in realta' di piedi ne hanno al massimo
centoventi paia) sono anche loro bocconcini appetitosi per una
quantita' di predatori. Per difendersi in caso di aggressione,
trasudano sostanze repulsive e irritanti. Le formiche, appena sentono
l'odore mefitico delle goccioline difensive, desistono dall'attacco e
battono in ritirata. Una specie che vive nella Nuova Guinea e' capace
di spruzzare la secrezione con un getto finissimo che arriva a
ottanta centimetri di distanza. Se colpisce la pelle umana o quella
degli animali domestici, la parte colpita si annerisce, poi la pelle
si desquama e viene a formarsi una piaga dolorosa che guarisce con
estrema lentezza. Se il getto colpisce gli occhi si rischia la
cecita'. Nei Paesi tropicali e' abbastanza frequente il caso di
galline accecate dai millepiedi.Tattica diversa quella della Romalea
microptera, un ortottero americano che l'equipe di Eisner ha
accuratamente studiato. E' una locusta lunga otto centimetri che non
sa volare per via delle alette minuscole. Appena un ragno o una
formica le si avvicinano con intenzioni ostili, questa locusta si
mette a stridere, cacciando fuori dai fianchi una schiuma di migliaia
e migliaia di bollicine che scoppiano l'una dopo l'altra liberando
vapori irritanti. Se l'aggressore non se ne va, la locusta ricorre a
mezzi ancora piu' energici. Gli vomita addosso il contenuto dello
stomaco che e' particolarmente disgustoso perche' quest'insetto si
ciba di vegetali oltremodo maleodoranti. Ma ci sono, fra gli uccelli,
i predatori furbi che sanno aggirare l'ostacolo. Le ghiandaie, che
sono molto ghiotte di questi ortotteri, che cosa fanno per renderli
inoffensivi? Con rapida mossa li decapitano e insieme con la testa
strappano via anche il tubo digerente. Dopo di che divorano
tranquillamente il resto del corpo che diventa perfettamente
commestibile. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. METEOROLOGIA
Il 23 marzo «giornata» del clima
OARGOMENTI meteorologia
OORGANIZZAZIONI OMM ORGANIZZAZIONE METEOROLOGICA MONDIALE, SOCIETA' ITALIANA
DI
METEOROLOGIA APPLICATA
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA; EUROPA, ITALIA, ROMA
ONOTE «Giornata Meteorologiaca Mondiale»
OSUBJECTS meteorology
FRA tante ricorrenze e celebrazioni, ne esiste anche una dedicata
alla meteorologia. E' la «Giornata Meteorologica Mondiale», che viene
celebrata ogni anno il 23 di marzo per ricordare l'entrata in vigore
della Convenzione dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale,
approvata nel 1950. Domenica prossima, quindi, la scienza del tempo e
del clima vivra' la sua «giornata». L'Organizzazione meteorologica
mondiale (Omm) e' una agenzia speciale delle Nazioni Unite, con sede
a Ginevra, in uno dei tanti palazzi di vetro sulle rive del lago
Lemano. Svolge un ruolo di primo piano, in quanto garantisce il
funzionamento della complessa e capillare rete di scambio dei dati
meteorologici che ogni tre ore fluiscono nel Global
Telecommunications System, una sorta di sistema nervoso che consente
ad oltre 170 nazioni (pressoche' la totalita' di quelle esistenti) di
disporre delle previsioni meteorologiche. Quasi cinquant'anni di
lavoro scientifico e di piena operativita' fanno dell'Organizzazione
Meteorologica Mondiale un eccezionale esempio di stabilita' e
coesione che supera ogni tipo di barriera politica, nella
consapevolezza che il fluido atmosferico puo' essere controllato e
compreso solo con un grande, unico sforzo congiunto. E poi c'e' il
supporto alla didattica, la formulazione delle normative, il
coordinamento dei programmi internazionali di ricerca sul clima, il
sostegno ai Paesi in via di sviluppo... Vale la pena fare un viaggio
nelle pagine Internet (http://www.wmo.ch), per scoprire quanto e'
vasto e poliedrico questo settore in costante evoluzione. Tornando
alla Giornata Meteorologica Mondiale, ogni anno le si associa un
tema. Quello del 1997 e' «Meteorologia e risorse idriche nelle zone
urbane». Un argomento quanto mai attuale, visto l'enorme impatto che
il rapido tasso di crescita della popolazione urbana sta producendo
sull'ambiente e sull'uso delle risorse naturali. Pochi numeri a
conferma di cio': nel 1950 la popolazione mondiale ammontava a 2,5
miliardi di persone, dei quali un terzo localizzate nelle citta';
entro il 2000, oltre la meta' della popolazione prevista, pari a 6,2
miliardi di persone, vivra' in grandi agglomerati urbani. L'alta
densita' di popolazione espone dunque le citta' a un rischio
amplificato nei confronti dei disastri naturali, della cui totalita'
il 70 per cento deriva da eventi meteorologici estremi. La presenza
degli edifici, l'impermeabilizzazione delle superfici e il forte
consumo di energia creano inoltre un particolare clima urbano, a
volte molto differente dalle zone rurali adiacenti. La temperatura e'
generalmente piu' elevata (effetto «isola di calore», i temporali
piu' intensi, la circolazione del vento disturbata, l'accumulo degli
inquinanti favorito, tutti aspetti che interagiscono con i consumi
energetici, il benessere, la salute e la sicurezza degli abitanti. Il
clima urbano, sebbene artificialmente modificato, diviene di giorno
in giorno piu' importante in quanto influenza direttamente la vita e
l'economia della maggior parte degli abitanti della Terra. In linea
con questa riflessione, due giorni dopo la data ufficiale della
ricorrenza Omm, si terra' a Roma l'incontro «Meteorologia ed Aree
Metropolitane», voluto dal Dipartimento di Fisica dell'Universita'
«La Sapienza» di Roma, dalla Societa' Italiana di Meteorologia
Applicata e dalla Societa' Meteorologica Subalpina. Sara' un momento
importante per fare il punto su alcuni aspetti dell'atmosfera che
circonda le nostre grandi citta', Roma, Milano, Torino, Venezia, solo
per citarne alcune, e fornire elementi quantitativi che non
dovrebbero essere trascurati dagli amministratori locali. Luca
Mercalli Direttore di Nimbus
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. MORTE PROGRAMMATA
Le cellulle suicide
Il piu' efficace antitumorale
OAUTORE MAESTRONI GEORGES
OARGOMENTI biologia, genetica
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Una cellula con i suoi vari costituenti disegnati ad ingrandimenti
diversi secondo l'interpretazione strutturale basata sulla
microscopia
elettronica
OSUBJECTS biology, genetics
LA vita si nutre della morte. Questa verita' biologica e' ovvia ed
evidente quando si parla di ecologia e di catene alimentari. Tutti
sanno che gli erbivori si nutrono dei produttori primari, cioe' i
vegetali, e che a loro volta servono da cibo per altri animali, i
carnivori e cosi' via. E' chiaro cioe' che la morte di alcuni esseri
viventi e' necessaria per la vita degli altri e l'equilibrio
ambientale si basa proprio sulla varieta' e proporzione delle specie
viventi. Meno nota e' forse l'esistenza di un simile equilibrio tra
le cellule che compongono qualsiasi organismo pluricellulare e quindi
anche l'organismo umano. Nel patrimonio genetico di ogni cellula e'
scritto un programma di morte. Al momento giusto il programma attiva
una serie di eventi che portano al suicidio della cellula. Il
meccanismo, che viene anche chiamato «apoptosi», conduce in qualche
ora alla denaturazione del Dna e quindi alla morte cellulare. Le
proteine enzimatiche in grado di degradare i Dna o endonucleasi
vengono sintetizzate di nuovo o attivate. La cromatina del nucleo che
contiene il Dna si condensa e la cellula raggrinzisce, muore e viene
rapidamente eliminata dagli spazzini dell'organismo, i macrofagi. Non
si tratta, attenzione, di fenomeni di senescenza o del fenomeno di
necrosi che interviene in mancanza di ossigeno, come nel caso
dell'ischemia miocardica che porta all'infarto. La morte cellulare
programmata o apoptosi scatta nel momento in cui alla cellula arriva
un segnale specifico. L'informazione puo' essere costituita dalla
presenza o mancanza di ormoni, fattori di crescita o data dai
linfociti killer ed e' di vitale importanza poiche' sta alla base del
rinnovamento tissutale, delle difese immunitarie e quindi del
mantenimento dell'integrita' biologica dell'organismo stesso. Per
fare un esempio, il complesso fenomeno dell'emopoiesi, e cioe' della
formazione delle cellule sanguigne, avviene grazie ad una continua
serie di moltiplicazione e differenziazione cellulare a partire da un
ristretto numero di cellule madri o staminali che risiedono nel
midollo osseo. Ora, sia la proliferazione sia la differenziazione
vengono guidate da fattori di crescita o chitochine che hanno il
compito di mantenere la giusta proporzione di linfociti, granulociti,
piastrine e globuli rossi. Il meccanismo chiave attraverso il quale
vengono selezionate le cellule che devono proliferare e quindi il
meccanismo che mantiene la giusta proporzione tra le cellule del
sangue e' proprio l'apoptosi. Un altro chiaro esempio e' dato dalle
cellule della pelle, che si rinnovano continuamente grazie alla morte
programmata. Ma tutte le cellule dell'organismo possiedono il
programma di morte e grazie a questo tutti gli organi vengono
continuamente rinnovati, con l'eccezione del sistema nervoso, le cui
cellule hanno una limitatissima capacita' di rinnovamento, nonostante
la presenza del programma. Si puo' ben dire che nel corso della
nostra vita moriamo e rinasciamo diverse volte. Oltre che di un
raffinato sistema di rinnovamento e mantenimento della funzionalita'
organica, il programma di morte costituisce anche un'efficace
prevenzione contro la possibilita' di mutazione cellulare. Infatti,
normalmente le mutazioni cellulari, che peraltro avvengono con una
certa frequenza, inducono proprio l'attivazione del programma di
morte. Questo previene la possibilita' che le cellule mutate possano
sopravvivere e quindi sfuggire ai normali meccanismi di controllo e
dare origine a processi patologici tra cui la malattia neoplastica.
Le cellule in cui l'apoptosi e' piu' facilmente attivabile sono
infatti le cellule che mantengono la capacita' di proliferazione. I
linfociti, per esempio, dopo aver indotto l'apoptosi nelle cellule
bersaglio, attivano in loro stessi il programma di morte e cio'
previene una pericolosa espansione di cellule linfatiche che potrebbe
accrescere il rischio di linfomi o malattie autoimmunitarie. Si
tratta della famosa opzione «better dead than wrong» (meglio morte
che sbagliate) che cellule importanti come i linfociti mettono in
essere per salvaguardare l'integrita' dell'organismo. La morte
programmata delle cellule costituisce quindi il maggiore meccanismo
antitumorale che l'organismo possieda. Quando per una qualsiasi
ragione la mutazione va a incidere direttamente sulla capacita' della
cellula di «suicidarsi» e cioe' sul programma dell'apoptosi ecco che
puo' scattare il pericolo di cancro. Di conseguenza uno degli
orientamenti e una speranza della ricerca contro il cancro sta nello
sviluppo di strategie farmacologiche o genetiche in grado di indurre
l'apoptosi o di ridare alle cellule cancerose il programma di morte.
Paradossalmente, cio' che rende mortale il cancro e' la mancanza del
programma di morte. Georges Maestroni Istituto di patologia, Locarno
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. EMICRANIA
Responsabile e' anche un gene
OAUTORE PINESSI LORENZO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, genetica
OORGANIZZAZIONI CELL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, genetics
L'emicrania e' una delle piu' frequenti malattie neurologiche. Il 24
per cento delle donne e il 10 per cento degli uomini puo' subire, nel
corso della vita, le lunghe e fastidiose crisi di cefalea pulsante,
spesso associata a vomito. I costi sociali dell'emicrania sono
enormi: uno studio condotto nel Regno Unito dal Mi graine Trust dice
che il 40 per cento dei lavoratori si assenta dal lavoro per almeno
due giorni all'anno per emicrania. Nonostante la rilevanza sociale
del mal di testa, finora i ricercatori hanno dedicato scarsa
attenzione al problema. I pazienti sono curati, spesso, in modo
inadeguato e non sempre sono seguiti da strutture assistenziali
competenti. L'emicrania si presenta, clinicamente, in modo
eterogeneo: la frequenza, la durata e la gravita' degli attacchi
varia notevolmente da paziente a paziente, risultando talora
addirittura invalidante. Spesso la malattia e' «di famiglia». Diversi
studi indicano che i fattori genetici svolgono un ruolo di primo
piano in tale patologia. Il rapido sviluppo delle tecniche di
genetica molecolare ha permesso, in questi ultimi anni, di isolare i
geni responsabili di diverse malattie neurologiche, stimolando, anche
nel settore della patologia cefalalgica, indagini di neurogenetica.
Di recente sono stati pubblicati su «Cell», una importante rivista
scientifica, i risultati di uno studio genetico-molecolare condotto
da un gruppo di neurologi olandesi in collaborazione con il Lawrence
Livermore National Laboratory in California. Lo studio di alcune
famiglie che presentavano una rara forma di emicrania associata a
deficit motori transitori (Familial Hemiplegic Migraine - Fhm) ha
portato all'isolamento del gene responsabile di una delle varianti di
questa malattia. Il gene dell'Fhm e' stato mappato sul cromosoma 19
(19p13) e, con grande interesse per i ricercatori, e' risultato
essere responsabile della sintesi di un canale del calcio presente in
modo selettivo a livello cerebrale. Il movimento del calcio
all'interno dei neuroni regola il rilascio di neurotrasmettitori che
risultano essere elementi critici nella comunicazione cellulare.
Questa scoperta sembra porre fine alle lunghe discussioni sulle cause
dell'emicrania tra i sostenitori di una origine periferica della
malattia (teoria vascolare) e coloro che avevano ipotizzato una
alterazione dei meccanismi centrali di regolazione vascolare
(l'alterazione del sistema trigemino-vascolare). E' verosimile che
anche nelle forme piu' comuni di emicrania, con aura e senza aura,
siano presenti alterazioni nei canali che trasportano ioni
all'interno delle cellule del sistema nervoso (canalopatie). Questa
scoperta apre interessanti prospettive per una terapia farmacologica
piu' selettiva e invita a proseguire le ricerche in questa direzione.
Lorenzo Pinessi Direttore Centro Cefalee Universita' di Torino
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. INTERNET
Explorer: c'era un baco clandestino
Scoperto da uno studente ed eliminato da Microsoft
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE
OARGOMENTI informatica
ONOMI GREENE PAUL
OORGANIZZAZIONI INTERNET, MICROSOFT, WORCESTER POLYTECHNIC INSTITUTE
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, MASSACHUSETTS
OSUBJECTS computer science
UNO studente del Worcester Polytechnic Institute nel Massachusetts,
Paul Greene, ha pubblicato nella sua «home page» su Internet una
notizia clamorosa, che ha turbato gli operatori di Borsa e i
ricercatori della leggendaria Microsoft. Il navigatore o «browser»
diffuso dalla Microsoft con il nome di «Internet Explorer» contiene
un baco che potrebbe compromettere la sicurezza del calcolatore del
navigante. Il browser e' uno strumento fondamentale per navigare su
Internet. Chi e' interessato a informazioni su un certo argomento si
collega a un calcolatore della rete. Il calcolatore interrogato, o
«www server», invia al calcolatore interrogante un primo documento
contenente informazioni varie, testi, dati numerici, immagini. Lo
stesso documento puo' contenere parole o frasi sottolineate o icone
particolari funzionanti come riferimenti ad altri documenti posti
nello stesso calcolatore o anche su altri calcolatori della rete. Per
esempio, fate questo esperimento. Attivate il browser del vostro
calcolatore e collegatevi all'indirizzo «www.altavista.com», dove
risiede un «motore di ricerca» contenente un immenso indice
universale. Gli chiedete di ricercare tutti i documenti disponibili
in rete ove si parli di «Meo». Altavista vi risponde con il seguente
messaggio: «Sono disponibili piu' di 30.000 documenti ove si parla di
Meo. Vuoi vedere i primi 10?». Rispondete di si' e compare un elenco
di 10 documenti. Qua e la' compaiono parole sottolineate o icone
funzionanti come riferimento ad altri documenti. Ad esempio, in prima
posizione compare l'informazione relativa ad un articolo del
sottoscritto che risale al 1962. Il nome dell'autore e' sottolineato
cosi' come il titolo dell'articolo. Se, muovendo il mouse, spostaste
il cursone sul nome, vi comparirebbe probabilmente il suo curriculum,
mentre se vi spostaste sul titolo ricevereste il testo dell'articolo
stesso. Non fate ne' una cosa, ne' l'altra, sia perche' autore e
titolo non hanno alcuna rilevanza scientifica, sia perche' il
documento N. 6 presenta altri spunti di interesse. Infatti il
documento N. 6 contiene l'invito di una signorina orientale di nome
Meo, che offre immagini non molto castigate di se'. «Cliccate» sul
nome Meo del documento N. 6 e compaiono sul video le immagini
promesse. Soffermiamoci su quest'ultimo passaggio. Il vostro
calcolatore era collegato ad una delle sedi americane della Digital
Equipment Corporation ove risiede Altavista, e il calcolatore di
Altavista vi aveva inviato un particolare documento contenente
l'elenco dei primi dieci documenti ove si parla di Meo. Quel
documento era accompagnato dagli indirizzi di altri calcolatori della
rete, uno per ogni parola sottolineata o altro riferimento; quegli
indirizzi non comparivano sul vostro video ma erano noti al vostro
programma di navigazione. Cosi', quando avete «cliccato» sulla parola
Meo del documento N. 6, in modo interamente automatico il vostro
calcolatore si e' collegato ad un calcolatore molto lontano dal
vostro e da quello di Altavista e il nuovo calcolatore ha trasferito
al vostro le fotografie della citata signorina (che non appartiene
alla famiglia del sottoscritto). Con un analogo meccanismo un «www
server», ossia un calcolatore come quello di Altavista, avrebbe
potuto trasmettere al vostro calcolatore un programma ed ordinarne
l'esecuzione. Ad esempio, avrebbe potuto trasmettere al vostro
calcolatore un programma che cancellasse tutto il vostro hard disk.
Ma il vostro «browser» non lo avrebbe probabilmente permesso, perche'
di norma si predispongono meccanismi protettivi che non consentono la
ricezione e l'esecuzione di programmi. Proprio in questi meccanismi
protettivi risiedeva il baco scoperto da Paul Greene nel brow ser
della Microsoft. Questo era stato arricchito da alcune funzionalita'
nuove ed interessanti che avevano pero' aperto la porta ad intrusioni
non desiderate. Lavorando alacremente i tecnici della Microsoft hanno
rimediato al baco e forniscono gratuitamente (e ci mancherebbe...) la
«patch» relativa all'indirizzo «www.microsoft.com». Pare che nessun
utente di Internet Explorer abbia subito alcuna intrusione, ma
l'inconveniente e' stato sottolineato con malcelata soddisfazione dai
concorrenti di Microsoft. La scoperta di Paul Greene ripropone la
questione della sicurezza di Internet, ma non deve allarmare. Negli
ultimi mesi si sono sviluppati molti strumenti che consentiranno
livelli molto elevati di sicurezza nei confronti delle intrusioni e
degli errori nei processi di autenticazione. La firma elettronica e'
gia' ora piu' sicura di quella manuale e presto tutti gli aspetti
della sicurezza saranno completamente risolti in modo da consentire
nuove importanti aree applicative come la banca ed il commercio
elettronici. Angelo Raffaele Meo Politecnico di Torino
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. SETTIMANA DELLA SCIENZA
Centri di ricerca a porte aperte
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI ricerca scientifica, didattica
OORGANIZZAZIONI ISTITUTO ELETTROTECNICO NAZIONALE GALILEO FERRARIS
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
ONOTE «Settimana della cultura scientifica e tecnologica»
OSUBJECTS research, didactics
QUELLA che stiamo vivendo e' la «Settimana della cultura scientifica
e tecnologica», una iniziativa del ministero della Ricerca che si
propone di diffondere tra i cittadini, e specialmente tra gli
studenti, una informazione adeguata sui centri di ricerca, gli
istituti e i musei scientifici, pubblici e privati, sparsi nel nostro
Paese. Dalle Alpi alla Sicilia sono circa 1200 le manifestazioni
organizzate tra il 17 e il 22 marzo, quasi tutte sostenute da uno
spirito di volontariato. Siamo alla settima edizione di questa
iniziativa: la «Settimana della scienza» dovrebbe ormai essere
consolidata. Purtroppo pero' consolidata e' anche l'inefficienza
ministeriale nel farla conoscere. Si sono avvicendati ministri e
governi di tendenza opposta, ma in questo le cose non sono cambiate.
Anzi, sono peggiorate. Negli anni scorsi il catalogo delle
manifestazioni in programma giungeva in redazione sempre a
«Settimana» conclusa: avevamo quindi molte difficolta' a informare i
lettori. Nel 1996 il catalogo non e' neppure arrivato. Quest'anno,
infine, non abbiamo ricevuto neanche un generico comunicato stampa.
Ci auguriamo, a questo punto, che catalogo e comunicati siano almeno
giunti nelle scuole. Eventualmente, fatecelo sapere. Tra le 1200
iniziative, segnaliamo le celebrazioni che l'Istituto elettrotecnico
nazionale ha organizzato in ricordo di «Galileo Ferraris», lo
scienziato a cui l'istituto stesso e' intitolato. Dal 17 al 21 marzo,
il «Galileo Ferraris» (Torino, corso Massimo d'Azeglio 42 e Strada
delle Cacce 91, tel. 011 39.19.727) si apre alle scuole e propone
visite guidate ai laboratori di misure elettromagnetiche, di tempo e
di frequenza. Una buona occasione per vedere da vicino gli orologi
atomici che ci danno il segnale orario. Sono cosi' precisi che in un
milione di anni avrebbero uno scarto inferiore a un secondo! Piero
Bianucci
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Ma e' polemica
«Non puo' funzionare»
OAUTORE M_FR
OARGOMENTI energia, fisica
ONOMI DORLAND WILLIAM, KOTSCHENREUTHER MARSHALL
OORGANIZZAZIONI SCIENCE, ITER
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
OSUBJECTS energy, physics
IL metodo elaborato da Dorland e Kotschenreuther ha scatenato una
serie di polemiche, prima fra tutte quella fra gli stessi autori e la
prestigiosa rivista americana Scien ce, che in un numero del dicembre
scorso, riportando i risultati dei due ricercatori, attribuiva loro
l'opinione che l'Iter non funzionera' mai. Eppure il tono con cui i
due annunciavano la notizia era tutt'altro che pessimistico, fin dal
principio. Ma la replica di Dorland e Kotschenreuther non si e' fatta
attendere molto e, sul numero del 17 gennaio, Science ha pubblicato
la lettera di risposta dei due, che ribadiscono le loro previsioni
ottimistiche riguardo al funzionamento del reattore, qualora
venissero apportate le modifiche che il loro metodo suggerisce.
Scrivono gli inventori del sistema: «Riteniamo che alcuni lettori,
forse influenzati dalle idee di Glanz - l'autore dell'articolo
apparso su Science a dicembre - possano concludere che le nostre
previsioni gettino delle ombre oscure sul futuro di Iter (...). Non
c'e' nulla di piu' lontano dalla realta'». Un boccone amaro per Scien
ce, anche perche' la protesta di Dorland e Kotschenreuther non e' la
sola e, sullo stesso numero, la rivista ha dovuto pubblicare altre
lettere di ricercatori coinvolti nel programma sulla fusione
nucleare, che con toni piu' o meno accesi accusano Glanz di aver
frainteso il lavoro dei due. Bisogna comunque precisare che fino ad
oggi nessuna teoria - neppure quella di Dorland e Kotschenreuther -
e' in grado di dimostrare in maniera definitiva se Iter funzionera'
oppure no, perche' le grandi dimensioni del reattore non consentono
di effettuare delle stime precise. Alle previsioni ottimistiche si
affiancano i pareri negativi, come quello autorevole di Bruno Coppi,
del Massachusetts Institute of Technology, che col suo progetto
Ignitor sviluppo' molti dei concetti che sono alla base del
funzionamento dei reattori a fusione al plasma. (m. fr.)
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA
LE PAROLE DELL'INFORMATICA
OGENERE rubrica
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI informatica, storia
ONOMI KURTZ THOMAS, KEMENY JOHN
OORGANIZZAZIONI DARTMOUTH COLLEGE
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS computer science
BASIC. Uno dei piu' semplici e piu' diffusi linguaggi di
programmazione. E' un acronimo di «Beginner's All-purpose Symbolic
Code», cioe' «Linguaggio simbolico per tutte le applicazioni rivolto
ai principianti», ma e' anche un aggettivo inglese che significa
«elementare», «di base». Il Basic venne messo a punto nel 1964 da
Thomas Kurtz e John Kemeny al Dartmouth College, negli Stati Uniti.
Lo scopo era quello di venire incontro alle esigenze di studenti e
principianti che volevano provare a scrivere qualche programma non
troppo complicato, senza aver l'ambizione di voler diventare
programmatori di professione. Si tratta comunque di un linguaggio
completo e piu' che sufficiente per soddisfare qualsiasi necessita'.
Se un problema e' risolubile con il piu' avanzato linguaggio di
programmazione, lo e' anche con il Basic. Esistono molte versioni del
Basic, dalle prime installate direttamente sugli «home computer»,
come il vecchio Commodore 64, fino alle piu' recenti maggiormente
strutturate. Non esistono grandi differenze fra le varie versioni,
almeno ai primi livelli, ed inoltre le versioni piu' recenti sono
sempre in grado di interpretare anche i programmi scritti nelle
versioni piu' vecchie. In virtu' della semplicita' strutturale del
linguaggio, soprattutto di quello delle prime versioni, e'
relativamente facile realizzare, per la traduzione dei programmi,
interpreti efficienti (si tenga presente che un in terprete traduce
ed esegue un'istruzione alla volta, a differenza di un compilatore
che traduce invece tutto il programma in blocco, per un'esecuzione
successiva). Un interprete consente una facile verifica della
correttezza di un programma a costo di una perdita di efficienza che
si puo' recuperare utilizzando in un secondo tempo un compilatore.
Questo fatto, associato alla semplicita' intrinseca e alla
distribuzione gratuita insieme al sistema operativo Dos sui personal
computer, ne ha determinato il successo.
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. IL 14 MARZO
La Festa del Pi Greco, il numero dei numeri
L'idea del Pi Day lanciata dall'Exploratorium di San Francisco
OAUTORE PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI matematica, storia della scienza
ONOMI TAKAHIRO SAKAI
OORGANIZZAZIONI MUSEO DELLA SCIENZA «EXPLORATORIUM»
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, CALIFORNIA, SAN FRANCISCO
OSUBJECTS mathematics, history of science
NON c'e' solo la Festa della Mamma o quella del Papa', c'e' anche la
«Festa del Pi Greco». A lanciare l'idea del Pi Day e' stato
l'Exploratorium di San Francisco, il grande Museo della Scienza, che
da alcuni anni, il 14 marzo (una data che in inglese si scrive 3,14)
celebra il numero piu' misterioso e piu' famoso del mondo matematico
con una serie di giochi, musiche, filmati ed altre iniziative tutte
ispirate al pi greco. Un numero che nasce semplicemente dal rapporto
tra il perimetro della figura perfetta, il cerchio, e il suo diametro
e che ritroviamo quindi nel disco del Sole o in quello della Luna,
nei cerchi creati da un sasso lanciato in uno stagno e in mille altre
situazioni che nulla hanno a che fare con i cerchi. E' un numero
trascendente, cioe' un numero irrazionale che non e' soluzione di
alcuna equazione algebrica a coefficienti razionali, ma che compare
come limite di molti procedimenti infiniti. Leibniz, ad esempio,
trovo' la prima serie numerica per il calcolo di pi greco: 4 (1 - 1/3
piu' 1/5 - 1/7 piu' 1/9...). Le cifre decimali di pi greco sono
infinite e la loro successione sembra sfuggire a qualsiasi regola,
anche se molti matematici pensano che non sia del tutto casuale:
3,14159265358979... Il 14 marzo e' anche il giorno della nascita di
Einstein, un motivo in piu' - dicono i responsabili
dell'Exploratorium - per festeggiare questa data. Sull'esempio
dell'Exploratorium molti altri centri scientifici, scuole e
universita' di tutto il mondo celebrano quest'anno il Pi Day. Non
abbiamo purtroppo notizia di alcuna iniziativa italiana, ma chi fosse
interessato alla ricorrenza puo' collegarsi all'Exploratorium:
http://www.exploratorium.edu/learning-studio/pi/ Qui trovera', oltre
al programma della giornata, anche un'ampia selezione di siti
dedicati al pi greco e di collegamento in collegamento potra'
scoprire i molti aspetti del celebre numero. L'idea piu' originale e'
quella di un giovane tecnico del suono giapponese, Takahiro Sakai.
Egli ha semplicemente sostituito le cifre decimali del pi greco con
le note, usando la notazione anglosassone. Ad esempio, ha fatto
corrispondere C3 a 1, D3 a 2, E3 a 3... C4 a 8, D4 a 9 ed E4 a 0.
Quella che ha ottenuto in questo modo e con altre sostituzioni simili
non e' una successione di suoni disarticolati, ma un'affascinante
melodia che sembra riflettere una struttura a noi sconosciuta,
interna al pi greco stesso, una melodia che riflette l'infinito e che
sicuramente Spielberg, se l'avesse conosciuta, avrebbe usato come
messaggio musicale dei terrestri nei suoi «incontri ravvicinati del
terzo tipo». Possiamo ascoltare questa musica collegandoci
all'indirizzo di Takahiro Sakai: http://www.netlaputa.or.jp/~
s-taka/index- p.html Un altro sito da visitare e' quello del Club
degli Amici del Pi Greco, fondato nel 1991 e ospitato
dall'Universita' di Vienna: http://www.ast.univie.ac.at/ ~
wasi/Pi/pi-club.htm «Gli Amici del Pi Greco - dicono i responsabili
dell'Associazione - vanno oltre gli orizzonti della sua
irrazionalita', tra scendenza e normalita', per chiedersi quale sia
il suo valore estetico». E chi vuole iscriversi al club deve recitare
a memoria, in «modo estetico», le prime cento cifre del pi greco. Ma
c'e' anche il Club dei Mille: http://www.ts.umu.se/ ~
olletg/pi/club-1000.html Per farne parte bisogna ricordare a memoria
almeno mille cifre, poca cosa rispetto al record attuale di
memorizzazione del pi greco che e' di 42 mila cifre. Lo studente
interessato ad approfondire le questioni matematiche del pi greco si
colleghi al Ncsa, National Center for Supercomputing Applications,
dell'Universita' dell'Illinois, la Uiuc:
http://www.ncsa.uiuc.edu/edu/RSE/RSEorange/Piactivities.html In
questo sito trovera' la storia del pi greco, una serie di esercizi e
di attivita' collegate a questo numero ed anche un curioso progetto
internazionale pizza-pigreco i cui risultati saranno resi noti il
prossimo 14 marzo, il Pi Day, celebrato anche da questa universita'.
Lasciamo al lettore il piacere di altre scoperte sul pi greco, nella
ricerca ipertestuale su Internet, tra musiche, poesie e racconti,
dipinti, giochi e stramberie varie ispirate al grande numero dei
numeri. Federico Peiretti
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. TUMORI AL FEGATO
I ribozimi contro le cellule maligne
Si provano in Usa enzimi sintetici a basso costo
OAUTORE PONZETTO ANTONIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, ricerca scientifica, tecnologia, chimica
ONOMI GRIGIONI WALTER
OORGANIZZAZIONI HEPATOLOGY
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
OTABELLE D. Il fegato
OSUBJECTS medicine and physiology, research, technology, chemistry
ABBASSA la tua radio per favor... Detto con le parole di una vecchia
canzone, e' questo l'invito che si dovrebbe talora rivolgere al
nostro fegato. Quando si ammala di epatite, ogni giorno alcune sue
cellule muoiono e devono essere sostituite, per mantenere in piena
funzione sia il fegato stesso sia il nostro organismo nel suo
insieme. L'ordine alle cellule di moltiplicarsi e' dato da una
sostanza chiamata Hgf (iniziali di Hepatocyte Growth Factor = fattore
di crescita degli epatociti). Il fegato malato vive in un bagno di
questa sostanza ma per sentire l'ordine «crescete e moltiplicatevi»
deve accendere il sistema di ricezione, cosi' come per sentire la
musica radiotrasmessa in cui siamo immersi bisogna accendere la
radio. Il sistema di ricezione delle cellule e' una proteina che si
affaccia sulla superficie esterna per captare il segnale, e su quella
interna per trasmettere gli ordini ai meccanismi di riproduzione
della cellula. Il suo nome e' c-met, e la sua identificazione e' un
vanto della scuola medica torinese. L'ordine dato da Hgf e':
riproducetevi; ma se il fegato ubbidisce ciecamente dopo poco sarebbe
cosi' grande da non poter piu' stare nel corpo. E allora? Semplice,
basta spegnere la ricezione dell'ordine. Ma se l'interruttore non
funziona? La conseguenza e' il cancro del fegato, spiega Walter
Grigioni, su «Hepatology». Alcuni pazienti con cirrosi epatica,
seguiti per anni, hanno sviluppato un tumore del fegato. Le cellule
maligne continuavano a replicarsi perche' avevano il recettore per
Hgf «acceso» e per di piu' ad un volume tanto piu' alto quanto
maggiore era il grado di malignita' delle cellule del cancro. Si
pote' valutare il «volume» della ricezione in base alla quantita' di
recettori presenti sulla superficie degli epatociti ammalati, e il
grado di malignita' in base a criteri istologici standard. Se sulle
cellule maligne c'e' troppo c-met, appare logico ipotizzare che una
terapia per il cancro del fegato sia spegnere c-met. In laboratorio
questo si fa gia': nel topo si puo' modificare il sistema di
ricezione c- met con tecniche di ingegneria genetica. Perche' allora
non possiamo avere questa terapia? Proprio perche' si fonda su
tecniche di modificazione genetica. Si tratterebbe infatti di
«spegnere» quella porzione del Dna che porta le informazioni e le
regolazioni per un gene. Per riuscire a farlo e' necessario
sviluppare tecnologie che potrebbero servire per «manipolazioni»
genetiche, con fini ben diversi dalla terapia, il che ha ovviamente
sollevato problemi e polemiche di carattere etico. Per la terapia si
puo' tentare un'alternativa: intervenire non sul materiale genetico,
ma sul passo successivo, cioe' sui progetti gia' stampati.
Immaginiamo la cellula come una fabbrica: il progettista (il Dna) e'
il solo a sapere che cosa si deve produrre e come; deve dunque
elaborare progetti molto precisi, dettagliati, comprensivi dei tempi
di esecuzione. I progetti stampati, nella cellula, sono gli Rna
messaggeri, ben specificati come quantita' e tempo di esistenza in
vita. Distrutti i progetti, la fabbrica non produce piu' nulla. Noi
vogliamo distruggere solo i progetti specifici per un singolo
prodotto indesiderato, e non per tutti gli altri 2000 che il fegato
deve fare in continuazione. In laboratorio si puo' oggi costruire una
copia «al negativo» del progetto: quando le due meta' (positiva e
negativa) si incontrano e si incastrano perfettamente, l'esecuzione
del progetto e' bloccata, perche' questo non puo' piu' esser letto
dalla catena di montaggio della cellula. Questa tecnologia si chiama
«anti-senso»; e' efficace e facilmente modulabile, ma presenta alcuni
problemi: 1) il costo di produzione e' molto elevato; 2) e'
necessaria una molecola di anti-senso per ogni singolo Rna
messaggero; 3) e' necessario far arrivare 24 ore su 24, ogni giorno,
per sempre, la copia negativa la' dove deve agire. Questo richiede
iniezioni giornaliere del farmaco, per tutta la durata della vita del
paziente, il che rende tale terapia di difficile attuazione. Bisogna
inventare qualcosa di piu' semplice, che sia attivo per un tempo piu'
lungo (percio' con rare somministrazioni) ed agisca molte volte di
seguito, a ripetizione, e quindi con dosaggi molto ridotti. Come
fare? Ci ha pensato madre natura, miliardi di anni fa. All'inizio
della vita sulla Terra non esistevano gli enzimi, le preziose ma
complesse proteine che permettono l'esecuzione di ogni reazione
chimica negli organismi viventi; c'erano solo molecole semplici, fra
cui gli Rna. Alcuni di questi erano - e sono - capaci di
«sforbiciare» altri Rna (i «progetti» della cellula) con accuratezza,
rapidita' e precisione. Gli studiosi hanno chiamato «ribozimi»
(Rna-enzimi) questi particolari Rna. L'uso dei ribozimi in terapia e'
stato approvato a gennaio di quest'anno dalla Food and Drug
Administration, l'organismo che negli Stati Uniti controlla
l'introduzione dei farmaci per l'uso umano. Un ribozima puo' agire
migliaia di volte sul suo Rna bersaglio, percio' ne basta poco; puo'
essere assolutamente specifico per uno ed uno solo dei progetti della
cellula, percio' non causa danni a tutto il resto dell'organismo;
puo' esser molto piccolo, percio' facile da sintetizzare e a basso
costo. Forse presto sapremo se la terapia si arricchira' anche di
queste meravigliose invenzioni della natura. Antonio Ponzetto
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. L'OLIVO
Un albero domestico da 5000 anni
OAUTORE ACCATI ELENA
OARGOMENTI botanica, storia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS botany
NELLE feste pasquali l'olivo, albero mediterraneo per eccellenza,
assurge a simbolo di pace, perdono, resurrezione. E' innegabile che
l'olivo per la leggerezza del suo portamento e la luminosita' del suo
fogliame argentato si faccia apprezzare soprattutto nella stagione in
cui la natura impone la sua tavolozza di colori pastello dai gialli,
i primi a comparire, ai bianchi, ai rosa. Olea purpurea sativa (la
forma coltivata) discende presumibilmente dall'olivastro, Olea eu
ropea oleaster, olivo selvaggio diffuso nella macchia costiera piu'
calda della Spagna meridionale e dall'Africa settentrionale fino alla
Palestina e alla Siria. La domesticazione sarebbe avvenuta non meno
di 5000 anni fa. Gli antichi greci sarebbero stati i primi a
coltivare l'olivo domestico attribuendo alla pianta sacralita',
poteri magici e simbolici, come propiziatrice di pace. Ad Atena,
secondo Erodoto, sarebbero stati chiesti i polloni degli olivi
coltivati in vicinanza del suo tempio. Ulisse avrebbe dormito in un
letto fatto di legno di olivo, mentre, sempre secondo Omero, la clava
di Polifemo sarebbe stata fatta con questo legno; con olio di oliva
veniva unta la muscolatura di atleti e guerrieri. L'aspetto sacrale
accomuna ebrei e cristiani: nella Genesi la colomba reca a Noe' un
ramoscello di olivo per annunciare la fine del diluvio e il battesimo
cristiano avvenne con l'olio di oliva. Ai greci spetta il merito di
aver diffuso l'olivo in Italia anche se si conoscono sulle colline di
Fara e di Lugo (Vicenza) reperti fossili di foglie e ramoscelli di
olivastro. La forma selvatica e' la specie forestale piu' termofila
della flora europea, la si rinviene su balze e roccioni riparati
insieme al carrubo, alla fillirea, al lentisco, al corbezzolo e al
leccio, specie tipiche della macchia mediterranea, un ambiente di
straordinaria bellezza, importante per la difesa del suolo, di forte
interesse naturalistico ed ecologico. Se lasciata indisturbata la
macchia puo' mutarsi lentamente in foresta vera e propria. L'olivo
domestico ha, invece, una flessibilita' ecologica maggiore: certe sue
varieta' possono sopravvivere ai rigori invernali della fascia
mediterranea e di quella submediterranea. Gli oliveti del lago di
Garda sopravvissuti senza danno al terribile inverno del 1985 sono
una testimonianza dell'adattabilita' climatica dell'olivo. Piante
assai longeve, gli olivi, hanno un lento accrescimento; tenaci e
frugali possono raggiungere eta' venerabili: in Sicilia si additano
ancora olivi piantati dai saraceni, a Fara in Sabina (Rieti) esiste
un olivo di 2000 anni ancora produttivo; e sarebbero ancora vivi due
olivi dell'orto di Getsemani. La coltivazione dell'olivo ha avuto da
noi vicende alterne, pur rimanendo l'Italia sempre uno dei maggiori
produttori ed esportatori. Attualmente l'Istituto per l'olivicoltura
del Cnr sta cercando di rilanciare questa coltura, sia perche'
l'olivicoltura tradizionale e' caratterizzata da piante vecchie e di
eta' differente, sia perche' si intravedono nuove aree produttive
extra mediterranee su superfici di migliaia di ettari in Argentina,
Cile, Sud Africa e Australia che richiedono che l'olivicoltura
italiana punti su di un prodotto di elevata qualita'. L'Italia sta
svolgendo un ruolo importante sia dal punto di vista scientifico che
tecnologico in questo settore: basti pensare alla giornata di studio
che organizzera' prossimamente l'accademia dei Georgofili di Firenze:
si parlera' delle tecniche piu' moderne di propagazione, della
situazione della Puglia dove esiste un Consorzio Vivaistico che si
occupa di materiale certificato, e dei risultati di un ampio
programma di miglioramento genetico. Questo ha interessato 17
varieta' per complessive 127 combinazioni genetiche in cui sono state
valutate le drupe (i frutti) in base al peso, alla pezzatura, alla
forma, al colore dell'epidermide e della polpa, alla precocita', al
rapporto polpa-nocciolo con lo scopo di ottenere varieta' con frutti
maggiormente adatti alla trasformazione di quelle attualmente
impiegate. Elena Accati Universita' di Torino
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCEINZE DELLA VITA. I CAVALLI DELL'ESERCITO
Docili e vigorosi
Gli allevamenti di Grosseto
OAUTORE MARTINENGO ROBERTO
OARGOMENTI zoologia, animali, forze armate
ONOMI REITANO MARCO
OORGANIZZAZIONI SCUOLA DI CAVALLERIA, ESERCITO ITALIANO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, GROSSETO (GR)
OSUBJECTS zoology, animal, forces
UN maligno ma spiritoso commentatore delle vicende storiche italiane
ha detto che l'esercito italiano e' sempre pronto a vincere l'ultima
guerra. Quella passata. Per controbattere a questa antipatica battuta
siamo andati a vedere un luogo dove la modernizzazione delle
strutture militari e' abbastanza avanti e le tecniche sono volte al
futuro. Il servizio veterinario dell'esercito ha acquisito nuove
tecnologie e le sta applicando nel luogo e nella situazione piu'
antichi: l'allevamento dei cavalli. Lo Stato italiano alleva a
Grosseto i cavalli necessari per il suo servizio. A pochi chilometri
dalla citta', in belle strutture che serbano l'impronta medicea,
vengono prodotti, se ci si passa il termine bassamente merceologico,
70/80 puledri l'anno che, a seconda delle loro attitudini e
capacita', verranno poi impiegati nei servizi della struttura
militare. Cavalli sono necessari per: impegno strutturale e
agonistico della Scuola di cavalleria; mantenimento dei centri ippici
periferici appoggiati ai reggimenti di cavalleria; carabinieri a
cavallo; polizia a cavallo; Accademia militare di Modena e Livorno.
L'esigenza fa si' che lo Stato italiano sia il primo allevatore di
cavalli di mezzo sangue della nazione. Trottatori e galoppatori di
puro sangue per le corse sono un altro discorso. Vediamo ora come
vengono fatti nascere e crescere questi cavalli, quindi istruiti,
selezionati e allenati. Innanzitutto il parco fattrici. Le fattrici
di Grosseto hanno diverse provenienze, ma un dato in comune. Il
codice genetico e quindi l'attitudine a un determinato impiego. I
veterinari che se ne curano scelgono le madri con criteri freddamente
selettivi in vista del prodotto che vogliono ottenere. Vogliono un
«sella italiano» docile, vigoroso, sensibile, adatto ai servizi piu'
vari, ma con la segreta speranza che da questa qualita' media emerga
il cavallo da gara che attinga ai trionfi di Piazza di Siena e ai
lauri olimpici del salto ostacoli e del completo. Piu' precisamente
le cavalle vengono scelte tra quelle, di proprieta' dello Stato, che
hanno terminato una buona carriera sportiva, oppure che abbiano una
promettente linea di sangue, o che diano piu' modeste garanzie di
robustezza e salute. Ma fin qui l'ingegneria genetica e' abbastanza
semplice. Le cose si complicano quando arriviamo agli stalloni. Non
sempre grandi padri generano grandi figli. L'esempio, per restare in
patria, e' il grande, grandissimo Ribot, che non ha mai dato un
fuoriclasse tra i suoi discendenti. E allora la ricerca, l'acquisto e
la messa in razza di buoni stalloni e' il grande problema di ogni
allevamento. A Grosseto, dopo aver provato molte linee di sangue con
stalloni promettenti, ma con risultati non sempre buoni, tentano, e
con successo, di mettere in pratica le nuove tecniche di
inseminazione artificiale, ferma restando la presenza in loco di
buoni padri. Entrando nei particolari: un buono stallone, per avere
assicurata una lunga vita feconda, puo' fare 60/80 monte all'anno. Di
contro il suo seme, ottenuto con tecniche sulle quali e' inutile
dilungarsi, e' suddivisibile, conservato e/o congelato con tecniche
opportune, in moltissime fecondazioni invece che in una sola. I
veterinari militari possono cosi', a Grosseto, fecondare le loro
fattrici con seme congelato di stalloni che vivono, in molti casi, a
migliaia di chilometri di distanza. I dati che seguono sono stati
forniti dal tenente colonnello Marco Reitano, direttore
dell'Infermeria Quadrupedi Presidiaria della Regione militare
centrale e nome di punta nel campo delle nuove tecniche applicate
alla scienza veterinaria. Nell'allevamento militare la tendenza e'
quella di usare il seme fresco diluito suddiviso che, come gia'
detto, ha il vantaggio di poter essere ripartito tra molte fattrici.
Il seme congelato puo' viaggiare senza grandi difficolta', ma
l'indice di fertilita' non e' alto. Normalmente e' sotto il 50 per
cento. L'uso del seme bruto (senza manipolazioni) e' sconsigliato in
quanto ha il solo vantaggio di poter essere ripartito, mentre i
diluitori favoriscono il mantenimento del seme in condizioni
igieniche ottimali prevenendo al massimo il rischio di malattie da
contatto sessuale. Abbiamo ora i puledrini, figli - come abbiamo
spiegato - di un padre residente nella stessa tenuta oppure di un
altro a migliaia di chilometri. Vivono con la madre fino a 6/8 mesi,
poi vengono riuniti per eta' in branco. Si chiama allevamento semi-
brado. Ovvero i puledri stanno in grandi paddocks con un riparo
aperto per la notte, guidati e nutriti dall'uomo che ne controlla
alimentazione, pascolo, abbeverata. Al terzo anno vengono ammansiti.
Significa che cominciano ad avere un trattamento individuale e non
piu' da branco. Conoscono la bardatura e la sella. Infine la monta
dell'uomo. Nel frattempo l'occhio vigile dei tecnici ha gia'
apprezzato carattere, caratteristiche individuali, attitudini. Si
crea una piramide di merito per cui alla fine del terzo anno vengono
avviati al loro destino. I piu' promettenti vengono mandati alla
Scuola di Cavalleria, dove apprendono i rudimenti della futura
carriera agonistica in apposito settore riservato ai puledri. Finito
questo «corso» vanno sotto le sapienti mani dei cavalieri della
Scuola ed introdotti nella carriera agonistica. In questa trafila
sportiva si inseriscono per suggerimenti sulle tecniche di lavoro i
veterinari studiosi del cavallo atleta. Un recentissimo studio di due
ottimi professionisti (Colli-Reitano) sulla capacita' aerobica e
sulla lattacidemia ha analizzato in un test l'incidenza dello sforzo
atletico su queste componenti. Il test viene effettuato su una
distanza di 1200 metri da percorrere al galoppo alle varie velocita'
con segnali ogni 200. Al termine di ogni fase si opera un prelievo
ematico che fornisce successivamente i dati da confrontare con la
frequenza cardiaca in rapporto alla velocita' tenuta. Possiamo dire
che i dati forniti da questo tipo di studi sono di prezioso aiuto per
i tecnici preposti alle discipline olimpiche attinenti al cavallo.
Quindi, seguendo l'esempio di Paesi tecnicamente piu' avanzati, non
ci si affida piu' solamente alle capacita', forzatamente empiriche,
anche del tecnico piu' sperimentato, ma si ha una valida base di dati
tecnici su cui lavorare per una migliore utilizzazione dell'atleta
cavallo. Da', forse, un'impressione di freddezza introdurre la
scienza dei numeri tra prati verdi e puledri caracollanti. Ma va
considerato che, in questo modo, i nostri amati cavalli nasceranno
meglio, verranno seguiti meglio e allenati meglio. Roberto Martinengo
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. NUOVO SOFTWARE
Oblazione o multa?
Un'arma contro i burocrati
OAUTORE CONTI ANGELO
OARGOMENTI informatica, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science, technology
LA pubblica amministrazione non sempre scrive per farsi capire dal
cittadino. Anzi, il piu' delle volte si affida ad un linguaggio
complesso, oscuro e formale. Prima di comprendere il reale contenuto
e significato di una norma, occorre talvolta compiere difficili
lavori di interpretazione. Di questo problema si e' fatta carico
persino la Costituzione che, all'articolo 98, pretende dalla pubblica
amministrazione «una comunicazione chiara ed univoca». Invece il
linguaggio burocratico deve fare i conti con la pesantezza che deriva
dalla vastita' della terminologia amministrativa; e' difficoltoso
perche' si deve muovere in mezzo a circa 150 mila leggi diverse, e'
formale perche' spesso sottende ordini e disposizioni tassative, e'
ripetitivo perche' quasi sempre i dipendenti preferiscono fare
diretto riferimento a documenti gia' scritti in passato, evitando
rigorosamente il nuovo. Il Dipartimento Funzione Pubblica della
presidenza del Consiglio si e' dato da fare per superare questo
problema, affidando ad un gruppo di esperti l'elaborazione di un
«Codice di stile delle comunicazioni scritte» da cui e' stato tratto
un software, in grado di affidare ai computer l'elaborazione ed il
miglioramento del linguaggio burocratico. A questa sorta di gara
hanno partecipato alcune software- house italiane e la scelta e'
infine caduta su Errata Corrige- Pubblica Amministrazione che e' in
grado di automatizzare tutte le procedure necessarie alla stesura di
un documento, rispettando le regole dettate dal Codice di stile,
senza intervenire sui contenuti. Il software e' inoltre in grado di
applicare migliaia di regole di ortografia, grammatica e anche stile
in poche frazioni di secondo. Utilizzando questo correttore di testi,
il personale che si occupa della stesura e revisione degli scritti
pubblici puo' anche non conoscere nel dettaglio il Codice di stile
perche' le regole da applicare sono gia' contenute all'interno delle
procedure del programma ed applicate autonomamente ad ogni singolo
paragrafo, frase, parola e sillaba. Cosi' mancato accoglimento
diventera' rifiuto, versamento sara' pagamento, oblazione diventera'
multa, ripetere una somma diventera' chiedere una somma, effettuare
la cancella zione diventera' cancellare e allo scopo diventera'
semplicemente per. Esiste anche una funzione per uniformare le sigle
e anche un vasto glossario tecnico. Alla fine e' possibile verificare
e valutare la bonta' del lavoro svolto dal software compiendo sui
testi controlli di leggibilita' corredati persino di una indicazione
sul livello di istruzione delle persone a cui il testo in esame e'
destinato. Il programma viene fornito su dischetti da 3,5 pollici e
puo' girare gia' con un processore 386 con appena 4 mb di Ram. Si
tratta di una configurazione minima, tecnologicamente molto modesta,
perche' il programmatore ha dovuto produrre un software capace di
girare su tutti i computer delle pubbliche amministrazioni,
solitamente vecchiotti e superati. Angelo Conti
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. PROGRAMMA «ABSTRACT»
Leggi e riassumi...
Ora il computer lo puo' fare
OAUTORE LENTINI FRANCESCO
OARGOMENTI informatica, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science, technology
UN'edizione del «New York Times» contiene 10 milioni di parole, ma
quante vengono prese in considerazione dai lettori? Nel mondo escono
1000 libri al giorno, ma chi li legge? Tonnellate di documenti,
valanghe di Cd- Rom, migliaia di pagine Web giungono a saturare i
canali del cervello umano, che spesso reagisce generando ansia. Le
difese contro la tempesta informativa globale sono scarse. Per
esempio i politici usano delegare la lettura dei quotidiani a
collaboratori specializzati, che fungono da filtro. E prima di
pubblicare una relazione scientifica in forma integrale se ne fa
circolare un estratto, un «abstract». E cosi' via. L'invenzione del
computer avrebbe dovuto mettere ordine nel mare magnum delle
informazioni, ma ha di fatto contribuito a innalzare il livello di
questo mare. Tutto cio' finche' non si riuscira' a usare il computer
stesso per invertire la tendenza. E' cio' che ho tentato di fare con
il programma Abstract. La prima versione, da considerarsi
sperimentale, e' capace di leggere e riassumere testi della lunghezza
tipica di un articolo o di una pagina Web. Funziona per ora in due
lingue (italiano, inglese) e cerca di mantenere (possibilmente) il
senso del testo originale. Nel caso in cui cio' non avvenisse si puo'
reiterare il processo variando due soli parametri, operazione che
richiede appena qualche secondo su un computer Pentium con sistema
operativo Windows 95. Lo scopo di questa versione, distribuita gratis
via Internet, e' di mettere alla prova il «motore» a intelligenza
artificiale di Abstract. L'obiettivo e' stabilire i parametri
migliori per ogni lingua. Anche se le future versioni saranno capaci
di riassumere testi molto piu' lunghi, gia' oggi Abstract puo' essere
essere utile. Per esempio e' di grande aiuto quando si adopera
un'enciclopedia su Cd-Rom per fare ricerche scolastiche. Se
l'argomento in questione e' trattato in modo troppo esteso, basta
trasferirlo nella finestra principale di Abstract (con una semplice
operazione copia/incolla) per vederlo ridotto a dimensioni piu'
ragionevoli. Importanti applicazioni possono aversi nell'ambiente
Internet/Intranet. Per esempio e' possibile ritagliare da una pagina
Web una porzione di testo ritenuta interessante ed estrarne le frasi
salienti. Oggi quasi tutti i documenti sono in forma elettronica e
circolano all'interno dell'azienda veicolati da una rete locale o da
una vera e propria Intranet. Bene, quando il tempo stringe si puo'
evitare di leggere per intero un rapporto o una relazione, delegando
il compito al proprio computer. Abstract e' utile anche ai produttori
di linguaggio parlato o scritto, come gli oratori e i giornalisti.
Qualunque discorso o articolo puo' essere «limato» ricorrendo alle
quasi stupefacenti prestazioni di Abstract. Poiche' Abstract lavora
come un text- editor, sia pure intelligente, si puo' sempre
intervenire sul riassunto per apportare le modifiche ritenute
necessarie. L'intelligenza di Abstract sta nella capacita' di capire
quali sono le frasi piu' importanti rispetto al contesto, come si
insegna a fare nei corsi di lettura rapida. Francesco Lentini
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. FISICA
Da La Thuile ultime notizie sul preone
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI fisica
ONOMI BRUEL PHILIPPE, LIMENTANI SILVIA, TRUC FABIO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, LA THUILE (AO)
OSUBJECTS physics
I «Rencontres de physique de la Vallee d'Aoste» che si sono appena
conclusi a La Thuile sono un appuntamento annuale molto utile per
fotografare lo stato dell'arte della ricerca in campi che vanno dallo
studio delle particelle elementari alla cosmologia. Quest'anno
l'attenzione del centinaio di fisici convenuti da tutto il mondo
sulle montagne valdostane e' stata attratta soprattutto dalle
relazioni di Philippe Bruel dell'Ecole Polytecnique di Palaiseau e di
Silvia Limentani dell'Universita' di Padova, rispettivamente
messaggeri degli esperimenti «H1» e «Zeus» in corso da tre anni con
la macchina «Hera» in un laboratorio di Amburgo. Il mondo e' fatto di
quark e di elettroni. Ma forse, quando si guarda dentro la materia
con macchine che permettono di distinguere particolari di un
centomilionesimo di miliardesimo di metro si vede qualcosa che sta al
di la' dei quark. E' appunto questo il sospetto dei fisici dei due
gruppi Amburgo. Come gia' ha riferito Luciano Maiani su queste pagine
il 26 febbraio, sparando elettroni o positroni contro protoni, si e'
visto che in qualche caso i proiettili rimbalzano come se
incontrassero un ostacolo duro piu' piccolo dei quark. A La Thuile e'
stato possibile analizzare criticamente i dati. Qual e' la
situazione? Vacilla il modello standard delle particelle elementari?
Si apre una nuova fisica? Siamo di fronte a una svolta simile a
quelle storiche che portarono prima alla scoperta del nucleo atomico,
poi dei nucleoni e infine dei quark? Le relazioni dei due gruppi di
Amburgo suscitano impressioni apparentemente in contrasto: da un lato
l'analisi fatta dagli sperimentatori e' apparsa molto affidabile e
quindi ci sarebbe da credere alla «grande svolta», dall'altro lato
gli eventi anomali osservati, per quanto ben documentati, sono ancora
statisticamente pochi, e cio' induce alla massima cautela.
L'esperimento Zeus ha rivelato 5 eventi in eccesso rispetto all'unico
evento che ci si attenderebbe in base al modello standard;
l'esperimenzo H1 ha trovato 12 eventi in eccesso rispetto ai 4
giustificabili. Nessuno tra i ricercatori riuniti a La Thuile ha
potuto mettere in discussione il rigore dei lavori presentati. Ma
sulle interpretazioni c'e' molta prudenza. Una spiegazione dei
fenomeni osservati potrebbe consistere in un leptoquark, una
risonanza che decade molto rapidamente; un'altra fa riferimento alle
teorie supersimmetriche, che di particelle nuove ne prevedono a
go-go; infine ci sono le due ipotesi piu' suggestive, gia' avanzate
da Maiani: una nuova forza che compare ad altissime energie o nuove
particelle oltre i quark, i cosiddetti preoni. «Solo una estensione
delle osservazioni - ci dice Fabio Truc, fisico del Politecnico di
Torino che ci ha aiutati a raccogliere queste informazioni - potra'
fare luce sui fenomeni osservati ad Amburgo». La sei giorni di La
Thuile ha avuto anche il merito di fare il punto su altre questioni.
Il quark Top, scoperto nel 1995, e' stato pesato con piu' precisione:
la sua massa e' ora indicata in 174 GeV, con una incertezza di 6 GeV.
C'e' pero' ancora molto lavoro da fare per consolidare le idee sul
quark Top: la statistica rimane modesta. Ampissima e' invece la
statistica sulle particelle W e Z scoperte nel 1982 da Carlo Rubbia e
studiate a fondo con l'acceleratore Lep al Cern di Ginevra. In
cosmologia le ultime notizie fornite dal telescopio spaziale «Hubble»
abbassano un poco l'eta' dell'universo, sollevando qualche difficola'
del modello del Big Bang; avanza, intanto, la conoscenza sulle stelle
di neutroni e diventa sempre piu' sicura l'esistenza di massicci
buchi neri nel cuore delle galassie. Infine, l'eterno problema della
massa del neutrino, fondamentale sia per la cosmologia sia per la
comprensione dei meccanismi con cui il Sole e le stelle producono la
loro energia. Con senso dello humour Arnon Dar, di Haifa, ha
sintetizzato le cose in questa battuta: «Non comprendiamo la
superficie del Sole perche' la vediamo; comprendiamo bene il suo
interno perche' non lo vediamo». Piero Bianucci
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Mal di testa problema sociale
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
In Italia quasi tre milioni e mezzo di persone soffrono di emicrania.
La fascia di eta' piu' colpita e' quella tra i 30 e i 40 anni. Il mal
di testa ha enormi costi sociali: e' la prima causa di assenza dal
lavoro, con un danno di duemila miliardi all'anno. Sul tema «La
cefalea, impatto sociale e stato dell'arte» si terra' un convegno a
Torino Incontra il 21-22 marzo organizzato dal Centro cefalee diretto
da Alessandro Riccio. La prima giornata e' aperta agli interventi del
pubblico.
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Eso: telescopio automatico
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy, technology
All'Osservatorio australe europeo, che sorge in Cile, sulle Ande, a
La Silla, procedono con successo i test per rendere automatico l'uso
del telescopio a nuova tecnologia (NTT) da 3,5 metri di apertura.
L'automazione, estesa ai telescopi della prossima generazione,
permettera' di raccogliere piu' dati in meno tempo.
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
«Quark 2000» mostra a Roma
OGENERE breve
OARGOMENTI fisica
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS physics
Dal 17 aprile all'11 giugno il Palazzo delle esposizioni di Roma
ospitera' la mostra «Quark 2000: la fisica fondamentale italiana e le
sfide del nuovo millennio», organizzata dall'Istituto nazionale di
fisica nucleare. Tel. 06-85.58.748.
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Telethon e' su Internet
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica, comunicazioni
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS research, communication
Da qualche giorno e' possibile consultare su Internet il sito di
Telethon, con le principali informazioni sulla sua storia, sulle sue
attivita', sulla destinazione dei fondi e sui risultati della
ricerca. Anche il volume sulle 42 malattie genetiche piu' diffuse in
Italia, di recente pubblicato da Telethon, e' disponibile on-line.
L'indirizzo e': http://telethon.tigem.it
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Intelsat in orbita con «Ariane»
OGENERE breve
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, comunicazioni
OORGANIZZAZIONI INTELSAT, ARIANE
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, communication
Il razzo europeo «Ariane» ha messo in orbita il primo «Intelsat»
della serie 8, una nuova generazione di satelliti per
telecomunicazioni. Il consorzio internazionale Intelsat ha gia'
affidato al razzo europeo 17 satelliti per un peso totale di 55
tonnellate in orbita.
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. NORME INTERNAZIONALI
Armi chimiche al bando
Convenzione in vigore alla fine di aprile
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI armi, chimica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS weapons, chemistry
ENTRO dieci anni gli arsenali di armi chimiche dovranno essere
distrutti, gli impianti di produzione smantellati, lo sviluppo di
nuove sostanze vietato. Questo dispone la Convenzione di Parigi del
13 gennaio '93 firmata finora da 160 Paesi; ratificata da 67 (tra cui
l'Italia) entrera' in vigore il 29 aprile. Sarebbe da ingenui
ritenere che tutti gli Stati si adegueranno, ma sara' comunque un
punto di partenza per cancellare un'infamia nell'infamia della
guerra. Le armi chimiche, sotto forma di gas asfissianti, fecero il
loro macabro esordio nell'aprile del 1915 ad opera dei tedeschi; si
trattava di gas di cloro e fosgene, sostanze che distruggevano i
polmoni e provocavano la morte per soffocamento; poi, ancora per mano
dei tedeschi, fu la volta dell'iprite, gas vescicante lanciato sulle
trincee nemiche a Ypres, in Belgio, nel '17 (da qui il nome). Poi le
armi chimiche furono messe al bando dal Protocollo di Ginevra del
1925, ma cio' non fermo' l'Italia fascista che le uso' ugualmente in
Etiopia. Negli ultimi anni a riportare alla ribalta la questione
delle armi chimiche, che nel frattempo si erano arricchite di nuove e
piu' terribili sostanze, e' stato il conflitto Iran-Iraq; nel marzo
dell'88 nel villaggio di Halabaja gli iracheni sterminarono migliaia
di civili inermi; e poco dopo arrivo' la guerra del Golfo con la
minaccia di Saddam Hussein di un impiego massiccio del deterrente
chimico. Oggi a possedere arsenali chimici sono sicuramente Usa (38
mila tonnellate dichiarate), Russia e gli altri Stati dell'ex Unione
Sovietica (50 mila tonnellate), Francia, Iraq, Libia, Siria,
Afghanistan, Vietnam e Corea del Nord; probabilmente ne hanno anche
Egitto, Etiopia, Somalia, Birmania e Cina. Accanto ai vecchi killer
oggi troviano i gas nervini (sarin, tabun, soman, VX) che bloccano la
muscolatura e quindi la respirazione. La tecnologia di produzione e'
relativamente semplice, e uno stabilimento di diserbanti, di
medicinali, di anticrittogamici puo' essere facilmente convertito in
una fabbrica di bombe chimiche; le materie prime sono le stesse
utilizzate in innocenti produzioni civili. Questo, insieme con i
bassi costi, spiega perche' siano soprattutto i Paesi del Terzo
Mondo, esclusi dal club nucleare, a puntare su questo tipo di
armamento. E spiega anche perche', finora, le maggiori opposizioni al
bando delle armi chimiche sia venuta proprio da questi Paesi. Ma alla
fine la convenzione e' una realta' anche se non vi hanno ancora
aderito Stati come Iraq, Egitto, Libia, Siria, Corea del Nord e se
non l'hanno ancora ratificata Russia, Cina, Iran e Stati Uniti. Essa,
oltre a imporre la distruzione degli arsenali esistenti, ha il fine
d'impedire che si fabbrichino nuovi ordigni; per questo impone
stretti controlli sull'industria chimica in tutti i settori, dal
farmaceutico al tessile, dalla plastica alla ceramica. Le aziende
avranno l'obbligo di denunciare ogni anno i materiali usati e
dovranno accettare ispezioni internazionali. Le sostanze poste sotto
controllo, circa 10 mila, sono elencate in tre tabelle in funzione
della loro pericolosita', con il divieto di commerciarle con i Paesi
che non firmano la convenzione. Le ispezioni, improvvise, saranno
compiute da tecnici dell'Organizzazione per la proibizione delle armi
chimiche che ha sede all'Aia sia per iniziativa propria sia su
richiesta di uno Stato membro che ne sospetti un altro di violare la
Convenzione. La legge italiana che ha ratificato la convenzione, la
496 del '95, ha fissato anche le sanzioni penali: fino a 12 anni di
reclusione. Per l'industria chimica la convenzione comporta una serie
di adempimenti e intralci piuttosto pesanti; eppure sia
l'associazione delle aziende italiane del settore, la Federchimica,
sia il Conseil europeen de l'industrie chimique l'hanno decisamente
appoggiata e hanno collaborato a metterla a punto. Perche'? «Perche'
in questo modo le aziende - spiegano alla Federchimica - vedono
tutelata la loro immagine da potenziali e infondate accuse o
strumentalizzazioni riguardanti un loro ipotetico coinvolgimento in
attivita' illecite collegate alle armi chimiche». Vittorio Ravizza
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ASTRI PIENI DI SORPRESE
Ultima enigmatica scoperta: emettono raggi X
La radiazione viene dallo spazio che precede la chioma
OAUTORE MIGNANI ROBERTO
OARGOMENTI astronomia, fisica
ONOMI DENNERL KONRAD
OORGANIZZAZIONI MAX PLANCK INSTITUTE FUR EXTRATERRESTRISCHE PHYSIK
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, GERMANIA, GARCHING
OSUBJECTS astronomy, physics
L'INTERESSE popolare per le comete riaffiora quando uno di questi
astri passa (o ripassa) in prossimita' della Terra o quando va a
sfracellarsi sulla superficie di un altro corpo celeste, come e'
successo per la cometa Shoemaker- Levy, che e' precipitata su Giove
nel luglio 1994. In questi giorni e' la Hale-Bopp ad attirare
l'attenzione, grazie alla sua notevole luminosita', che la rende
osservabile anche da parte di chi non si intende di astronomia. Ma
l'anno scorso le comete sono salite agli onori della cronaca anche
per l'osservazione di un fenomeno del tutto inaspettato. Il satellite
tedesco Rosat aveva, infatti, rilevato una emissione di raggi X
proveniente dalla cometa Hyakutake durante il suo massimo
avvicinamento alla Terra (circa 10 milioni di chilometri). La
notizia, divulgata da alcuni colleghi del Max Planck Institute fur
Extraterrestrische Physik di Garching (Germania), fece un immediato
scalpore in tutti gli ambienti scientifici, anche perche' l'emissione
rivelata era almeno cento volte piu' intensa di quanto ci si potesse
aspettare in base alle previsioni piu' ottimistiche e,
inaspettatamente, variabile su tempi dell'ordine di qualche ora.
Dalle conoscenze scientifiche attuali sappiamo che le comete sono
corpi freddi: grosse palle di ghiaccio che diventano luminose (e,
quindi, osservabili) solo in virtu' della luce che esse riflettono
quando passano in prossimita' del Sole. Essendo corpi freddi risulta
difficile spiegare perche' le comete possano emettere raggi X.
L'emissione di raggi X, infatti, e' associata a corpi celesti di
temperatura estremamente elevata (dell'ordine di qualche centinaio di
migliaio di gradi) come, ad esempio, le stelle di neutroni, oppure a
particelle cariche che si muovono all'interno di campi magnetici
milioni di volte piu' potenti di quello del nostro Sole. Entrambe le
condizioni sono del tutto estranee alle comete. Immediatamente gli
astrofici si misero a lavorare dal punto di vista teorico per cercare
un'interpretazione scientifica plausibile. Un utile indizio e'
fornito dal fatto che la massima intensita' dell'emissione X non si
osserva in coincidenza con il nucleo cometario, ma a qualche decina
di migliaia di chilometri oltre, lungo la direzione cometa-Sole. Una
delle possibili spiegazioni potrebbe essere, quindi, che le nubi di
gas che circondano il nucleo cometario assorbono l'emissione X
proveniente dal Sole e la riemettono per fluorescenza. Quasi
contemporaneamente sono iniziate le campagne osservative rivolte a
individuare eventuali emissioni in raggi X da parte di altre comete
prossime al sistema solare. I risultati non si sono fatti attendere
troppo. Nella primavera/estate dello scorso anno, ricerche minuziose
nell'archivio dati del satellite Rosat hanno permessso di
identificare una seconda cometa, la Tsuchiya-Kiuchi (C/1990 N1), con
una anonima sorgente di campo osservata circa sei anni prima.
Incoraggiati da questo risultato, Konrad Dennerl e i suoi
collaboratori del Max Planck hanno continuato a setacciare i dati
d'archivio scoprendo emissione X anche da parte delle comete Levy
(C/1990 K1), Honda- Mrkos-Pajdusakova e Arai (C/1991 A2). In
particolare, quest'ultima passera' alla storia per essere stata
osservata prima in raggi X che nella banda ottica, anche se la sua
identificazione e' avvenuta solo a posteriori. Nei mesi di settembre
e ottobre dello scorso anno, inoltre, il satellite Rosat ha puntato
la cometa Tabur rivelando, anche in questo caso, emissione X a
livelli superiori al previsto. Inoltre, per tre di queste comete (la
Hyakutake, la Levy e la Tsuchiya-Kiuchi) e' stata trovata evidenza di
emissione anche nella regione dell'estremo ultravioletto utilizzando
sempre uno degli strumenti a bordo di Rosat. Con queste ultime
rilevazioni il totale delle comete osservate in raggi X sale, quindi,
a sei, dimostrando che non si tratta di un semplice «scherzo della
natura» ma di un fenomeno reale e, come tale, di assoluto interesse.
Non solo. Queste scoperte hanno anche il merito di allargare gli
orizzonti dell'astrofisica delle alte energie e di fornire nel
prossimo futuro ai cometologi un nuovo strumento per studiare la
fisica di questi oggetti. E ora, naturalmente, l'attenzione degli
astrofisici e' calamitata dall'imminente passaggio al perielio della
cometa Hale-Bopp. Roberto Mignani Max Planck Institut, Garching
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
UN ASTRO ECCEZIONALE
Non perdetevi la cometa del secolo
La Hale-Bopp offre il suo spettacolo nel cielo
OAUTORE FERRERI WALTER
OARGOMENTI astronomia
ONOMI HALE ALAN, BOPP THOMAS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy
E' molto probabile che la cometa Hale-Bopp, che sta ora splendendo
nei nostri cieli e piu' ancora splendera' all'inizio di aprile, sia
la piu' luminosa mai vista dai nostri lettori. Infatti, la cometa
apparsa l'anno scorso, la Hyakutake, a prescindere dalla fugace
apparizione, non arrivo' ad essere cosi' luminosa. Altrettanto vale
per la West del 1976 e per la Bennett del 1970, per non parlare delle
deludenti Halley (1986) e Kohoutek (1973). Sulla carta l'Ikeya-Seki
del 1965 brillava di piu' della Hale-Bopp, ma questa cometa passata
molto vicino al Sole fu visibile con difficolta', annegata tra le
foschie poiche' era molto bassa sull'orizzonte. La Hale-Bopp, invece,
dalla meta' di marzo diventera' ben visibile alla sera dopo il
tramonto del Sole, risplendendo come un astro magnifico a Nord-Ovest.
Questa cometa venne scoperta da Alan Hale e Thomas Bopp il 23 luglio
del 1995 e percio' porta i loro nomi. A stupire subito i ricercatori
fu la sua notevole luminosita', benche' si trovasse a oltre un
miliardo di chilometri. Avvicinandosi al Sole e alla Terra, la
Hale-Bopp e' cresciuta abbastanza regolarmente in luminosita'
divenendo poco per volta un astro magnifico. Come previsto, ha
sviluppato una coda (anzi, piu' code) relativamente lunga e ben
visibile a occhio nudo. Il comportamento mostrato finora non e' stato
pero' del tutto normale. Durante l'autunno del 1995, la cometa
mostro' una serie di esplosioni. Comunque, da allora fino all'inizio
di luglio '96, la Hale-Bopp aumento' notevolmente in luminosita'. Ma,
dopo la prima settimana di luglio, l'aumento cesso' per i seguenti 3
mesi e mezzo. Di nuovo si ebbe un cambiamento intorno al 15 ottobre,
quando la cometa inizio' ad aumentare di brillantezza come un corpo
solido privo di gas (ad esempio un asteroide). Infine, dalla meta' di
novembre, la luminosita' subi' un brusco aumento: cio' che tutti si
attendevano. Secondo Marsden, uno dei piu' grandi studiosi di comete
a livello internazionale, la Hale- Bopp e' una delle comete piu'
brillanti mai viste cosi' lontane dal Sole. Tra le comete
addentratesi all'interno dell'orbita della Terra, occorre risalire
indietro fino al 1577 per trovarne una intrinsecamente piu'
brillante! La cometa del passato che piu' di ogni altra ricorda la
Hale-Bopp e' la Grande Cometa del 1811, che rimase visibile ad occhio
nudo per un lungo periodo di tempo. I calcoli ci dicono che la cometa
Hale-Bopp passera' nel punto piu' vicino alla Terra il 22 marzo;
allora si trovera' a 196 milioni di chilometri dal nostro pianeta;
una distanza considerevole, superiore a quella che ci separa dal
Sole. Rispetto al Sole, la Hale-Bopp avra' il passaggio piu'
ravvicinato (cioe' passera' al perielio) il primo aprile, a 136
milioni di chilometri. Questo significa che verra' a trovarsi tra
l'orbita della Terra e quella di Venere. Il piano in cui si muove
questo astro insolito e' inclinato di circa 90 gradi rispetto a
quello della Terra; la cometa appare arrivare da Sud, dirigersi verso
Nord e quindi ripiombare nel cielo australe. Ma, per nostra fortuna,
il periodo di maggiore visibilita' corrisponde alla posizione
boreale, favorendo gli osservatori situati nell'emisfero
settentrionale. In questo periodo (dal 5 marzo al 1 aprile) la cometa
e' cosi' boreale da essere visibile sia al mattino sia alla sera! Al
mattino la si scorge bene un'ora e mezzo prima che sorga il Sole in
direzione Nord-Est; alla sera, un'ora e mezzo dopo il tramonto, ma
versoNord-Ovest. Contemporaneamente essa si sposta a Sud delle
costellazioni del Cigno e di Cassiopea, dirigendosi poi verso Perseo.
Le migliori osservazioni nel cielo mattutino si collocano da questa
settimana in avanti, perche' la Luna quasi nuova non disturba piu'
l'astro chiomato con la sua luce. In molte citta' italiane il 5
aprile si spegnera' l'illuminazione pubblica per due ore per favorire
l'osservazione da parte del grande pubblico. Uno spettacolo
inconsueto si e' presentato a coloro che si sono recati ad osservare
l'eclisse totale di Sole del 9 marzo nelle gelide regioni del Nord
della Mongolia e nella Siberia orientale: hanno potuto vedere la
Hale-Bopp profilarsi 46 gradi a Nord del disco del Sole eclissato. E'
raro osservare una cometa durante un'eclisse di Sole; l'ultima volta
avvenne nel 1948. All'inizio della primavera (20 marzo) la cometa,
che si muove verso Ovest, si trovera' a ben 45 gradi a Nord del Sole.
Da quella data sara' piu' alta sull'orizzonte al tramonto anziche'
all'alba; diciamo che sara' piu' un astro della sera, molto piu'
comodo da osservare. In quegli stessi giorni la Luna quasi piena
ostacolera' l'osservazione della coda, ma un piccolo break avra'
luogo il 24, quando una provvidenziale eclisse di Luna togliera' al
nostro satellite naturale gran parte del suo bagliore. Insomma, un
fenomeno nel fenomeno! Walter Ferreri
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TUTTOSCIENZE SCUOLA. IL RADIOTESCOPIO
Deboli messaggi dalle stelle
Grandi antenne paraboliche amplificano le radionde
OARGOMENTI astronomia, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE T. D. Il funzionamento del radiotelescopio e del telescopio ottico
OSUBJECTS astronomy, technology
Galassie e stelle emettono radioonde contemporaneamente all'emissione
di luce, entrambe forme di radiazioni elettromagnetiche in grado di
attreversare l'atmosfera terrestre. Il radiotelescopio viene
impiegato per scrutare l'universo proprio come il telescopio ottico
ma con la differenza che non fornisce immagini nel vero senso della
parola; cio' che il radiotelescopio puo' fornire e' la misura della
lunghezza d'onda dei segnali radio che giungono da una certa regione
del cielo. Questo consente agli astronomi di individuare anche quegli
oggetti celesti che non emanano luce. I segnali radio che giungono
dallo spazio sono debolissimi; l'intera energia captata in un
decennio da un radiotelescopio non sarebbe sufficiente ad accendere
una torcia elettrica per un secondo. E' per questa ragione che, per
poter captare e utilizzare i deboli dati cosi' ricevuti, occorrono
apparecchiature molto complesse. Una grande antenna parabolica, in
genere con un diametro di circa 30 metri, viene fatta ruotare in modo
da poter puntare qualsiasi regione del cielo; essa fa convergere le
onde radio verso un unico punto focale, dove queste sono amplificate
migliaia di volte. I dati sono quindi passati ad un centro di
controllo che li registra e che, in base ad essi, programma
l'ulteriore puntamento dell'antenna. I dati registrati vengono in
seguito analizzati sul computer. Il principale limite di un
radiotelescopio isolato e' la scarsa «risoluzione», cioe' la scarsa
capacita' di individuare i dettagli. I migliori telescopi ottici
riescono a distinguere i due fari di un'auto alla distanza di 300
chilometri; per ottenere lo stesso risultato un radiotelescopio
dovrebbe avere un'antenna parabolica di 40 chilometri di diametro.
Questa limitazione e' stata superata collegando elettronicamente piu'
radiotelescopi; in questo modo i rispettivi segnali vengono combinati
insieme come se provenissero da una parabola di diametro equivalente
alla distanza tra di essi.
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
LUCI INUTILI
Da Torino un pessimo esempio
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI energia, ecologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS energy, ecology
DI chi e' il cielo stellato? Di tutti, si puo' supporre che sia la
risposta giuridica. Tutti, infatti, abbiamo il diritto di contemplare
questa meta' del paesaggio che sta sopra di noi, non meno importante
di quella che sta sotto. Anzi, forse anche piu' importante, perche'
e' una finestra sull'universo che ci pone le grandi domande sul
significato dell'esistenza. E invece questo bene comune che e' il
cielo stellato ci viene sottratto da amministrazioni comunali
maldestre o, peggio, da discoteche che attirano i clienti con fasci
di luce laser. Se la legge contro l'inquinamento luminoso verra'
approvata, anche Torino dovra' ripensare il proprio sistema di
illuminazione. Che e' tra i piu' «casual». Ci sono lampade di ogni
tipo: a lanterna (imitazione kitsch di quelle antiche); a palla (piu'
recenti, installate, per esempio, in piazza Solferino); a stelo
altissimo (come in piazza Carducci). Quanto alla tecnologia
impiegata, va dal vecchio tungsteno ai vapori di mercurio o di sodio.
Non c'e', oggi a Torino, una unita' stilistica dell'illuminazione
pubblica. Il solo aspetto che accomuna i piu' vari tipi di lampada
sta nella loro irrazionalita'. Quasi mai il punto-luce e' coperto da
un cappelletto riflettente verso il basso, per cui si ha dispersione
verso l'alto: cosi' in buona parte la luce non va sulle strade, dove
servirebbe, ma verso il cielo, dove cancella le stelle. Si calcola
che evitando queste dispersioni in Italia si potrebbero risparmiare
400 miliardi all'anno di elettricita'. Sconcertante, poi, e'
l'illuminazione della Mole Antonelliana o di monumenti come quello a
Vittorio Emanuele II: fari da parecchie decine di kilowatt sparati al
cielo, talvolta cosi' mal diretti da non lambire neppure il loro
bersaglio. Mentre risultati migliori si potrebbero ottenere con una
illuminazione dall'alto al basso. Ma per farlo ci vorrebbero
sensibilita' culturale e competenza. Merce rara.(p. bia.)
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PROGETTO INTERNAZIONALE
Energia da fusione, passo avanti
Calcoli ottimistici per il reattore «Iter»
OAUTORE FRONTE MARGHERITA
OARGOMENTI energia, fisica, progetto
ONOMI DORLAND WILLIAM, KOTSCHENREUTHER MARSHALL
OORGANIZZAZIONI ITER
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
OTABELLE D.T. La macchina Iter
OSUBJECTS energy, physics, plan
SI chiama Iter la macchina che dovrebbe diventare il prototipo piu'
avanzato di reattore a fusione nucleare: utilizzando il processo
fisico che fa brillare il Sole e le stelle, dovrebbe dare
all'umanita' una nuova risorsa energetica. Non ancora realizzata a
causa delle difficolta' tecniche da risolvere nella costruzione dei
reattori, la fusione nucleare controllata promette energia pulita e
praticamente inesauribile, essendo alimentata da elementi come il
deuterio, disponibile in abbondanza nell'acqua. Frutto di una
cooperazione fra Stati Uniti, ex Unione Sovietica, Europa e Giappone,
Iter sara' il primo reattore nucleare a fusione in cui la miscela che
alimenta la reazione raggiungera' la temperatura e la densita' idonee
affinche' il processo possa automantenersi e produrre una quota di
energia superiore a quella spesa per avviarlo. La progettazione del
reattore e' al centro di un'intensa attivita' tesa a perfezionarne le
prestazioni prima dell'avvio ufficiale dei lavori di costruzione, che
dovrebbero svolgersi fra il 1998 e il 2010. Un importante progresso
per il miglioramento di Iter, ma che potrebbe ritardarne la
realizzazione, e' stato compiuto recentemente presso l'Istituto per
le Ricerche sulla Fusione dell'Universita' del Texas. Affrontando uno
dei problemi cruciali che potrebbero compromettere la resa energetica
del reattore, William Dorland e Marshall Kotschenreuther hanno messo
a punto un metodo per calcolare con precisione la quantita' di calore
che viene persa dal sistema a causa dei moti turbolenti delle
particelle che compongono il plasma, che costituisce il carburante
che alimenta la reazione di fusione nelle macchine tipo tokamak, come
sara' Iter. Il plasma si ottiene riscaldando la miscela di trizio e
deuterio in modo che gli elettroni che ruotano attorno ai nuclei
atomici si distacchino dalla loro orbita; in questo modo tutte le
particelle che compongono il fluido assumono una carica elettrica ed
e' possibile confinarle dall'esterno per mezzo di un forte campo
magnetico. Per un reattore nucleare al plasma, quello della perdita
di calore non e' certo un problema da poco, se si considera che il
sistema deve raggiungere temperature di milioni di gradi affinche'
possa verificarsi la fusione di due atomi, e che l'energia spesa per
consentire il raggiungimento di tali temperature e' tutt'altro che
trascurabile. Per questo motivo per molti anni i ricercatori hanno
studiato metodi per valutare la velocita' con cui il calore viene
disperso a causa del moto turbolento delle particelle che compongono
il plasma che alimenta le macchine tipo tokamak; finora tuttavia i
sistemi utilizzati si basavano sull'estrapolazione di dati
sperimentali ed erano poco soddisfacenti. Il procedimento dei due
ricercatori statunitensi si basa invece sui principi fisici ben noti
che riguardano la conduzione del calore e, a detta degli autori,
consente di fare dei calcoli molto precisi sulla sua velocita' di
dispersione. «Utilizzando questi metodi - ci spiega William Dorland -
sara' possibile progettare gli esperimenti di fusione nucleare con
maggiore accuratezza». I dati ottenuti sperimentalmente sembrano
avvalorare la bonta' del procedimento e, se saranno confermati, sara'
necessario riprogettare alcune componenti strutturali di Iter.
Tuttavia, anche se le operazioni di costruzione ne verrebbero
rallentate, i miglioramenti apportati grazie all'applicazione del
sistema elaborato presso l'Universita' del Texas avrebbero il merito
di aumentare di molto la resa energetica del reattore. Sebbene si
tratti solo di un prototipo sperimentale, Iter, nella cui
realizzazione e' coinvolto l'Enea con il suo programma per la fusione
nucleare, sara' in grado di produrre una quantita' di energia
paragonabile a quella fornita da una centrale a carbone. Margherita
Fronte
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. TOMOGRAFIA A EMISSIONE DI POSITRONI
Fa vedere il cervello in funzione
Ma serve anche per indagare cuore e polmoni
OARGOMENTI tecnologia, medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. La macchina per la tomografia a emissione di positroni
(in sigla Pet Positron Emission Tomography)
OSUBJECTS technology, medicine and physiology
La macchina per la tomografia a emissione di positroni (in sigla, Pet
da Positron Emission Tomography) consente di «vedere» il
funzionamento del cervello e di diagnosticarne le disfunzioni. La
tecnica consiste nell'iniettare nel sangue una sostanza resa
radioattiva che va ad accumularsi nei punti in cui vi e' un'attivita'
biochimica. La macchina consente di rilevare le emissioni radioattive
di questa sostanza che, una volta analizzata al computer, danno una
fotografia istantanea dell'attivita' del cervello. La Pet e'
utilizzata anche per scandagliare altri organi, come il cuore e i
polmoni, e per individuare i tumori. Il cervello e' un organo molto
attivo e per questa ragione consuma, come «combustile» una grande
quantita' di gluscosio. Per l'impiego della macchina Pet vengono
introdotte nel sangue delle molecole di gluscosio «marcate» con
fluoro radioattivo. Il gluscosio va a depositarsi nelle varie aree
del cervello in quantita' piu' o meno elevata a seconda del livello
di attivita' di esse. Con l'aiuto del computer si riesce a valutare
il livello di consumo di glucosio per cui, conoscendo i dati relativi
al livello normale di consumo delle varie aree, e' possibile valutare
se esistono delle anomalie di funzionamento di una o dell'altra zona:
per esempio le istantanee dell'attivita' di certe regioni del
cervello possono rivelare l'esistenza di un tumore o indicarci
l'origine di un'attivita' epilettica. Rispetto ad altre forme di
investigazione, come i raggi X, e gli ultrasuoni, la Pet ha il
vantaggio di consentire di osservare gli specifici processi
biochimici con una precisione che non ha paragoni.
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN UN CD 4 ORE DI IMMAGINI
Il Dvd, le tue serate
Arriva l'elettrodomestico assoluto
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI elettronica, tecnologia
OORGANIZZAZIONI DVD, MPEG
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Schema di un Dvd
OSUBJECTS electronics, technology
IL Dvd, il video disco digitale di cui tanto si e' parlato negli
ultimi tempi (anche su «Tuttoscienze»), e' finalmente una realta'.
Dopo averlo lanciato sul mercato giapponese nello scorso autunno e su
quello statunitense ai primi di febbraio, nei prossimi sei mesi i
colossi dell'elettronica presenteranno il loro prodotto in Europa.
Nasce l'elettrodomestico assoluto: in un solo marchingegno sono
riunite ed esaltate le funzioni di un televisore, di un hi-fi e di un
computer multimediale. In un solo dischetto argentato, esternamente
identico agli attuali compact disc, possono essere stivati una enorme
quantita' di suoni ad alta fedelta', fino a 4 ore di immagini, giochi
sempre piu' spettacolari e applicazioni multimediali con un'agilita'
di consultazione che non ha paragoni con gli attuali cd-rom. Il Dvd
inoltre manda in pensione il segnale analogico: musicassette e
videocassette (cioe' il nastro magnetico), che si consumano con gli
anni e sono cosi' fragili, non avranno piu' ragion d'essere. Questo
nuovo tipo di compact disc sara' anche una pietra miliare nella
storia dell'elettronica e della definizione degli standard di
codifica di un segnale per telecomunicazioni (lo standard e' la
lingua con cui gli apparecchi elettronici parlano fra di loro). Tutti
ricorderanno, all'inizio degli Anni 80 la «prima guerra del format»,
la battaglia tra il Betamax e il Vhs, risolta poi in favore di questo
secondo formato. Nel 1994 due distinte cordate, ciascuna con il
proprio standard, erano pronte a scontrarsi in una «seconda guerra
del format». Da un lato Philips e Sony proponevano l'Mmcd (Multi
media compact disc), dall'altra un consorzio di 17 societa' (tra cui
Time Warner, Metro Goldwin Mayer, Thomson e Toshiba) rispondevano con
il Sd-Dvd (Super density Digital video disc). Ma, considerata la
dolorosa esperienza del passato, le grandi case cinematografiche
hanno imposto all'industria elettronica l'accordo su un'unica
tecnologia. Il Dvd, appunto. Un formato che, tra l'altro, presto si
affermera' come standard universale: verra' adottato dalla tv
digitale (via satellite e via cavo) e in numerosi altri ambiti
multimediali. Perche' il Dvd rivoluzionera' il mercato enterteinment
dell'informatica? Oggi la stragrande maggioranza di film e video
viene generata e distribuita al pubblico con formati analogici
perche' gli standard digitali hanno stentato ad affermarsi per motivi
di mercato. Le immagini digitali sono molto ingombranti e servono
computer discretamente potenti (e costosi) per fare lo stesso lavoro
che sbriga un qualsiasi videoregistratore (alla portata di tutte le
tasche). E' la «cruna dell'ago» della multimedialita': l'informatica
mette a disposizione sistemi di immagazzinamento di dati sempre piu'
potenti, ma sorge il problema di come utilizzare in tempo reale tale
mole di informazioni. Un modo per risolvere il problema e' quello di
comprimere le informazioni digitali riducendole alla quantita' minima
necessaria senza svilirne la qualita'. Nel caso del Dvd lo standard
di compressione-decompressione adottato si chiama Mpeg (Motion
pictures experts group), un sistema studiato a livello internazionale
da tutti i principali centri di ricerca pubblici e privati che si
occupano di telecomunicazioni. Il sostanzioso contributo italiano e'
stato assicurato dallo Cselt, il Centro di ricerca della Stet, mentre
il Centro ricerche Rai ha curato l'applicazione del nuovo formato in
ambito televisivo (Dvb, Digital video broadcasting). I dischetti
argentati saranno sempre da 120 millimetri di diametro per 1,2 di
spessore. In realta' il Dvd potra' contenere una massa di
informazioni fino a 14 volte maggiore. Il sistema di
scrittura/lettura dei dati e' lo stesso: una serie di microscopici
fori esplorati da un raggio laser; un fotorivelatore legge il raggio
di luce di ritorno traducendone la variazione dell'intensita' in
suoni o immagini secondo il solito sistema binario. Ma impegnando un
nuovo laser infrarosso a semiconduttore, molto piu' preciso, con il
Dvd e' possibile leggere fori piu' piccoli e piu' ravvicinati. Da
0,83 micrometri si e' passati a fori di 0,4 micrometri, mentre la
distanza tra una pista e l'altra scende da 1,6 a 0,74 micrometri (un
micrometro equivale a un cinquantesimo del diametro di un capello).
Se il cd ha una densita' di dati di 0,1 gigabit per centimetro
quadrato, il Dvd ha una densita' base di almeno 0,5 gigabit per
centimetro quadro. Il Dvd puo' avere una doppio strato di dati, uno
superiore e uno inferiore separati da una pellicola che in parte
riflette il raggio laser (permettendogli di leggere i fori dello
strato numero 1), in parte si fa penetrare per consentirgli di andare
a leggere le informazioni contenute sullo strato 2. Un dischetto a
due facciate, come per i vecchi dischi in vinile, che pero' non ha
bisogno di essere capovolto. Se poi accettassimo la «fatica» di
girare il disco, potremmo avere un Dvd a 4 strati, due per facciata.
Da 4,7 gigabyte di un Dvd semplice si passa ai 9,4 gigabyte di un Dvd
a doppio strato fino ai 17 gigabyte di quello a 4 strati. Sul Dvd e'
possibile registrare scene riprese contemporaneamente da piu'
angolazioni (permettendo allo spettatore di scegliere il «suo» punto
di vista), realizzare fino a otto differenti doppiaggi del film e
inserire sottotitoli in 32 lingue diverse. Grazie a frequenze di
campionamento pari a 48 o 96 kilohertz (i cd attuali hanno frequenze
di soli 44 kHz), accanto al tradizionale sonoro stereo si puo'
abbinare il Surround Dolby, ma anche i recentissimi sistemi
cinematografici a 6-8 canali. E quanto costera' tanta meraviglia? I
primi modelli che usciranno (da collegare al televisore come ora si
fa con il videoregistratore) dovrebbero costare tra il milione e il
milione e mezzo di lire. Nel 1998 arriveranno anche i lettori per
Dvd- rom (da applicare sul computer) che costeranno ancora meno:
600-800 mila lire. Andrea Vico
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Il catalogo? Si parte con 150 titoli
Film, videogiochi (e anche pornografia)
OAUTORE A_VI
OARGOMENTI elettronica, tecnologia, film, video, dischi
OORGANIZZAZIONI DVD
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS electronics, technology, film, videotape, record
E' la solita storia del serpente che si morde la coda: l'industria
elettronica e' pronta a lanciare sul mercato il Dvd nel momento in
cui l'acquirente ha a disposizione un catalogo di film e giochi vasto
e appetibile, mentre le grandi case cinematografiche per pubblicare i
loro film con il nuovo standard aspettano che siano state vendute un
numero sufficiente di apparecchiature. Dal punto di vista
industriale, il Dvd sarebbe stato pronto per le vetrine dei negozi
anche un anno fa. Ma non avrebbe avuto senso lanciare un prodotto
rivoluzionario se poi l'utente non avesse potuto apprezzarne le
qualita' per mancanza di un adeguato catalogo. Meglio temporeggiare,
allora, in attesa che venisse dipanata con le majors del cinema tutta
una intricata serie di questioni legali. Dal punto di vista
commerciale tutti hanno interesse a far uscire un film su videodisco
anziche' sul nastro magnetico delle videocassette perche' stampare su
cd e' piu' semplice e meno costoso. Inoltre vi sono ulteriori
risparmi sull'imballaggio e il trasporto (una videocassetta e' piu'
ingombrante e patisce l'umido). Inoltre con un solo prodotto si
raggiungono otto mercati contemporaneamente: su ogni Dvd c'e' spazio
per il sonoro in otto lingue diverse (e, volendo, anche di piu'). In
ogni caso entro dicembre dovrebbero esser disponibili sul mercato
statunitense circa 250 titoli, di cui 100-150 arriveranno anche su
quello europeo (il grosso uscira' per Natale). Circa la meta' saranno
film piu' o meno recenti, un 30 per cento del catalogo sara'
riservato ai videogiochi, il restante 20 per cento e' per la
pornografia. Tra i primi film in Dvd annunciati per il mercato
italiano c'e' «Fantozzi alla riscossa». E i prezzi? Un Dvd potrebbe
costare tra le 50 e le 150 mila lire, a seconda del contenuto. A
questo punto ogni produttore adotta la sua strategia: Panasonic ha
ufficialmente presentato sul mercato italiano il suo apparecchio Dvd
pochi giorni fa, Philips (che lo ha lanciato sul mercato Usa ai primi
di febbraio) lo commercializzera' in Europa in autunno, mentre Sony
lo presentera' ufficialmente in agosto per poi renderlo disponibile
all'acquirente entro Natale. Il Dvd della Thomson potrebbe arrivare
anche prima dell'estate. Nel primo anno si prevede che, in tutto il
mondo, saranno venduti 10 milioni di lettori Dvd. Nel Duemila saranno
quasi venti volte tanto: 170-180 milioni di apparecchi. Che si
affiancheranno ai 200 milioni di lettori Dvd-Rom da inserire nei
computer. Chi ha un videoregistratore, pero', non abbia fretta di
buttarlo via. Per ora il Dvd puo' soltanto leggere dischetti, non e'
ancora capace di registrare dati. Quindi chi ama videoregistrare
dalla tv, almeno fino all'estate 1998, dovra' farlo su Vhs.
Nell'attesa che il catalogo cresca, chi ha acquistato un Dvd puo'
godersi gli altri dischetti che ha in casa (in Europa e' disponibile
un catalogo di video-cd con ben 1400 titoli). La compatibilita' pero'
non e' scontata. Tecnicamente il Dvd puo' leggere qualsiasi altro cd,
ma solo se il costruttore ha predisposto l'opzione. Gli apparecchi di
fascia bassa leggeranno solo i cd- audio, quelli piu' raffinati
potranno anche leggere video-cd, cd-Rom e photo-cd, mentre rimane
escluso il cd-I: l'interattivita' non dipende dallo standard in
quanto e' legata alle caratteristiche tecniche del lettore. (a. vi.)
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. INTERNET
Vuoi l'ultima notizia? Usa PointCast
OAUTORE CONTI ANGELO
OARGOMENTI comunicazioni, informatica
OORGANIZZAZIONI INTERNET
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS communication, computer science
CAMBIERA' il modo di navigare su Internet, con enormi ripercussioni
(e non tutte positive) per l'accesso alle informazioni disponibili
sulla Grande Rete. Si chiama PointCast ed e' un software che, entro
pochi mesi, entrera' in tutti i pacchetti Internet. Questo programma
e' capace di mantenere infallibilmente aggiornato il navigatore,
riuscendo a rilevare in tempi brevissimi ogni aggiornamento dei siti
prescelti, segnalandolo sul monitor cosi' da permettere immediate e
rapide verifiche. L'importanza di questa novita' e' grande: offre
immediate e radicali applicazioni, ad esempio, nel mondo delle
agenzie di stampa. Lo hanno capito anche alla Microsoft e alla rete
tv americana Nbc, che hanno immediatamente costituito una joint
venture facendo nascere la Msnbc, destinata a diventare, entro poche
settimane, il primo fornitore di notizie dedicate a PointCast. Mentre
la software- house proprietaria di questo rivoluzionario prodotto si
impegnera' a integrarlo con il browser Microsoft Explorer. PointCast
(www.pointcast. com) ha costituto anche un net work virtuale capace
di fornire ogni giorno una selezione di notizie e informazioni tratte
da qualificate fonti giornalistiche (fra cui Cnn, Reuter e «New York
Times»). L'informazione puo' essere catturata e personalizzata
secondo gli interessi di ciascuno, in tempo reale. Culturalmente e'
una rivoluzione nel modo di gestire la notizia e l'informazione,
tecnologicamente e' un passo in avanti sulla strada dell'uso
consapevole e razionale delle risorse informatiche. Gli utenti
PointCast ricevono notizie e aggiornamenti sui temi di loro interesse
senza perdere tempo in ricerche tra i siti di Internet. Attraverso i
«news profiles» gli utenti del servizio di pointcasting possono
specificare quali notizie vogliono ricevere sul proprio desktop, con
quali aggiornamenti e con quale frequenza. Notizie sportive,
quotazioni in Borsa, cronaca, previsioni meteo: non c'e' limite alle
possibilita' di personalizzazione del servizio. E i profili
naturalmente possono essere modificati in qualsiasi istante. Le
notizie vengono consegnate attraverso la tecnologia SmartScreen, uno
screen saver attivo che presenta finestre con headlines. Cliccando
sulle singole headlines gli utenti accedono direttamente al Channel
Viewer di PointCast, che contiene i testi completi delle notizie di
cui si e' ricevuto il titolo. Il Channel Viewer non e' costantemente
connesso a Internet, ma si connette automaticamente con la frequenza
e negli orari che l'utente imposta. Il prodotto e' gratuito
(scaricabile via Internet), il servizio eccellente, i vantaggi
innumerevoli. Eppure non tutti sono entusiasti delle nuove tecnologie
di web casting. Anzi, sono proprio i manager dei sistemi informativi
e i responsabili delle reti di dati ad avere gli atteggiamenti piu'
freddi e cauti, intravedendo una debolezza nell'architettura di fondo
che potrebbe frapporre ostacoli all'utilizzo di queste risorse. Il
primo problema e' nel «downloading selvaggio» che gli utenti stanno
gia' provocando per accaparrarsi l'applicazione. Che va a sommarsi a
tutto il traffico normalmente generato per scaricare le ultime
versioni di Netscape o di Explorer, oltre alle migliaia di altre
applicazioni. Superata la questione dell'approvvigionamento
dell'applicazione, rimane il problema serissimo dell'uso che di
questa viene fatto. L'utente configura il tipo di contenuti che
vorrebbe ricevere (operazione intuitiva, ma non priva di
trabocchetti), e il client PointCast comincia a scaricarli. E' facile
immaginare che cosa puo' succedere se migliaia di utenti cercano di
ricevere notizie aggiornate ogni ora, magari con acquisizione delle
mappe meteorologiche a ogni passaggio del satellite! C'e' da mandare
in tilt la piu' robusta architettura di rete. Prevarra' il buon
senso? Si troveranno soluzioni tecnologiche per smorzare il pericolo?
O Internet vacillera', sotto la pressione del primo prodotto capace
di mettere on-line sui monitor di casa nostra esclusivamente cio' che
vogliamo. Senza perdere un secondo. Angelo Conti
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. FISICA
E' nato il laser atomico
Forse servira' a costruire micro-macchine
OAUTORE REGGE TULLIO
OARGOMENTI fisica
OORGANIZZAZIONI MASSACHUSETTS INSTITUTE OF TECHNOLOGY
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
OSUBJECTS physics
UN gruppo di fisici del Massachusetts Institute of Technology (Mit)
ha annunciato sulla rivista americana «Science» la realizzazione del
primo laser atomico. Prima di entrare nel merito all'annuncio sara'
meglio chiarire la natura e il funzionamento del laser normale. Tutto
e' iniziato con un celebre lavoro di Max Planck del 1900 in cui
appare una formula che descrive con stupefacente esattezza la
composizione spettrale e in ultima analisi il colore della luce
emessa da un corpo caldo, ad esempio il filamento di una lampada, in
funzione della sua temperatura. Nel derivare la sua formula Planck
assunse che la luce venga trasmessa in pacchetti o quanti di luce,
detti comunemente fotoni, la cui energia e' proporzionale alla
frequenza della luce. Ne segue che i fotoni violetti hanno energia
circa doppia di quelli rossi. I fotoni si comportano come atomi di
luce ma sono anche onde dalla lunghezza ben definita. La loro natura
duale onda- particella diviene evidente quando trattiamo con una
popolazione di moltissimi quanti la cui distanza relativa e' minore
della loro lunghezza d'onda. In questo caso i quanti tendono a
preferire delle configurazioni coerenti ed a disporsi nello stesso
stato. Questa loro tendenza, teorizzata dal fisico indiano Bose e
dallo stesso Einstein, e' alla base del funzionamento del laser
ottico che ben conosciamo. Possiamo immaginare il laser come un
contenitore di atomi eccitati in cui gli elettroni stanno in una
configurazione di energia superiore a quella solita. In queste
condizioni gli atomi tendono a disfarsi dell'energia eccedente
emettendola sotto forma di fotoni che escono tutti nella stessa
direzione in virtu' della proprieta' sopra esposta, formando il
raggio laser. Per sua natura questo raggio e' «coerente»: in pratica
tutte le singole onde dei fotoni che lo costituiscono sono
rigorosamente allineate e sincronizzate. Secondo la meccanica dei
quanti il dualismo onda-materia si estende a qualsiasi porzione di
materia e quindi a tutte le particelle ed a tutti gli atomi. Esistono
due tipi di particelle, i fermioni e i bosoni, le cui proprieta'
richiamano alla mente rispettivamente i numeri dispari e quelli pari.
Unendo due fermioni otteniamo un bosone, unendo un fermione con un
bosone otteniamo un fermione e cosi' via. I bosoni tendono ad
aggregarsi nello stesso stato mentre i fermioni obbediscono al
«principio di esclusione» di Pauli che lo proibisce. Qualsiasi bosone
potrebbe essere usato in linea di principio al posto dei fotoni per
costruire un fascio coerente simile a quello del laser. Il difficile
sta nell'ottenere bosoni la cui lunghezza d'onda sia sufficientemente
grande da superare la distanza tra atomi vicini. Per una particella
che non sia un fotone, la lunghezza d'onda e' inversamente
proporzionale alla massa dell'atomo e alla sua velocita'. Conviene
quindi trattare con atomi molto lenti e di massa non troppo elevata.
Solo di recente i fisici sono riusciti, usando raggi laser
convenzionali e campi magnetici, a intrappolare intere popolazioni di
atomi in una zona ristretta al punto in cui la loro natura di onda
diventa evidente e gli atomi tendono a radunarsi in una goccia di una
nuova forma di materia chiamata «condensato di Bose-Einstein», dove
la meccanica dei quanti si esprime in forma macroscopica. Il gruppo
dei fisici del Mit e' riuscito a produrre gocce contigue ma separate
di condensato e a farle interagire ottenendo frange di interferenza
che confermano la loro natura ondulatoria. Mettendo in movimento
queste gocce di condensato, otteniamo l'analogo atomico del laser
convenzionale, cioe' un laser in cui i fotoni sono sostituiti da
atomi. Va detto che solo l'occhio allenato del fisico riesce a vedere
questa analogia. Il laser normale puo' attraversare un mezzo
trasparente mentre un laser atomico e' confinato nel vuoto spinto e
sarebbe immediatamente distrutto dall'aria. Esistono laser di
altissima potenza capaci di fondere e tagliare metalli durissimi o
anche di distruggere un satellite distante migliaia di chilometri ma
nulla di questo appare possibile o anche naturale per un laser
atomico. Al momento si tratta della classica soluzione in cerca di un
problema (che non manchera' di essere trovato). Quasi certamente il
laser atomico potra' diventare un ingrediente essenziale della
nascente nanoingegneria, una tecnica con cui si costruiranno macchine
sulla scala del nanometro (miliardesimo di metro) capaci delle
imprese piu' mirabolanti, come l'assemblaggio mirato atomo per atomo
di complessi circuiti logici. O servira' ad altri scopi per noi
ancora inimmaginabili, ma che voglio sperare non siano nefandi.
Tullio Regge Politecnico di Torino
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. RICERCHE A TRENTO
Fabbrica di materiali esotici
Per le future centrali a fusione nucleare
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI energia, fisica, ricerca scientifica
ONOMI DAPOR MAURIZIO, MIOTELLO ANTONIO
OORGANIZZAZIONI CENTRO MATERIALI E BIOFISICA MEDICA, ISTITUTO TRENTINO
DI CULTURA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TRENTO (TN)
OSUBJECTS energy, physics, research
IL Big Bang ha creato tre elementi: idrogeno, elio e un pizzico di
litio. Le stelle e le esplosioni delle supernove hanno sintetizzato
gli 89 nuclei piu' pesanti. L'uomo, mescolando questi ingredienti,
oggi crea materiali dalle proprieta' sorprendenti. E talvolta li
progetta e costruisce atomo per atomo, come se maneggiasse minuscoli
mattoni. La ricerca sui nuovi materiali e' un campo molto vasto,
interdisciplinare (richiede fisici, chimici, ingegneri) e strategico
per l'industria. Se ne occupano, in Italia, aziende private, Cnr,
Universita', Enea, Istituto nazionale di fisica dei materiali,
Istituto nazionale di fisica nucleare. Tra gli attori di queste
ricerche c'e' anche il Centro materiali e biofisica medica, una
costola dell'Istituto Trentino di Cultura. Il settore nuovi materiali
ha sede a Povo, in un moderno edificio dove lavorano 300 ricercatori.
Altri settori lavorano in fisica teorica, matematica, tecnologie
avanzate, fisica degli stati aggregati. Nell'ambito dei nuovi
materiali spicca un tema di ricerca d'avanguardia: lo sviluppo di una
ricopertura capace di resistere alle eccezionali condizioni che si
creeranno nei futuri reattori a fusione nucleare controllata. Ne
parliamo con Maurizio Dapor, dell'Istituto trentino, e con Antonio
Miotello, dell'Universita' di Trento. La fusione nucleare controllata
e' al momento l'unica soluzione a lungo termine che si intravveda per
il problema energetico. Consiste nel riprodurre in piccolo e con
continuita' le reazioni che avvengono in modo esplosivo nella bomba
H: nuclei di idrogeno (o di suoi isotopi, deuterio e trizio) vengono
trasformati in nuclei di elio. Nella reazione, una piccola parte di
massa si converte in una enorme quantita' di energia. Nella camera a
confinamento magnetico in cui avvengono le reazioni le temperature
raggiungono decine di milioni di gradi e si formano potenti flussi di
neutroni. Finora nessun reattore a fusione ha funzionato per un tempo
significativo e producendo piu' energia di quella che consuma. Si
spera di arrivare al traguardo entro una quarantina di anni. «Ma
anche se ci arrivassimo oggi - spiega Miotello - non avremmo ancora
materiali in grado di resistere alle condizioni estreme che si creano
in un reattore a fusione». Cruciale e' la prima parete del reattore,
a diretto contatto con idrogeno, trizio e neutroni. La struttura e'
di acciaio, un materiale in cui idrogeno e trizio alla lunga si
infiltrano, indebolendolo. Occorre quindi depositare sull'acciaio uno
strato sottile (un «film» dicono i tecnici) di un materiale capace di
resistere. E' questa moderna pietra filosofale, che si sta cercando.
Deve respingere l'idrogeno, aderire perfettamente all'acciaio, non
produrre composti volatili che bloccherebbero la reazione di fusione,
essere in grado di rivestire in modo perfettamente uniforme superfici
molto grandi con uno strato spesso pochi millesimi di millimetro. Si
lavora, oggi, su ossidi di alluminio, nitruri e carburi di titanio.
«Ci aiuta molto - dice Dapor - la simulazione al computer: conoscendo
le proprieta' atomiche dei materiali e le condizioni che ci saranno
nei reattori, possiamo fare dei test virtuali». Altri nuovi materiali
di grande interesse sono i «vetri intelligenti», le plastiche
riciclabili o biodegradabili, i materiali ultraleggeri ma con
prestazioni paragonabili a quelle dell'acciaio, i materiali
biocompatibili. Quest'ultimo e' un altro settore nel quale
all'Istituto Trentino si lavora intensamente, specie per cio' che
riguarda le protesi dell'anca. Ogni anno si fanno in Italia 30 mila
interventi sulle ossa. Il materiale piu' adatto per rimpiazzare le
ossa e' il titanio, ricoperto con nitruro di titanio. Ma e' ancora
difficile che le protesi attuali resistano piu' di dieci anni. Come
nel caso dei reattori a fusione, c'e' quindi ancora molto lavoro da
fare. La competizione internazionale e' dura, ma l'Italia e' ancora
in buona posizione anche rispetto ai Paesi piu' agguerriti. Cio' che
manca - dicono Miotello e Dapor - e' la percezione a livello politico
del valore strategico di queste tecnologie. I finanziamenti, quindi,
non sono adeguati. E il rischio e' di andar fuori gara, come e' gia'
successo nella microelettronica. Piero Bianucci
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Malformazioni: un kit didattico
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
Ogni anno in Italia nascono 28 mila bambini con malformazioni
congenite. Per diffondere la prevenzione e' in corso il progetto
«Generazione Futuro», che prevede l'invio alle scuole superiori di un
kit didattico costituito da una videocassetta e da materiale
informativo destinato agli insegnanti e agli alunni. Il kit, con lo
slogan «La rosolia non e' un liquore - Guida per conoscere i tuoi
geni», e' in distribuzione gratuita. Per informazioni: 06-683.00.527.
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Il tunnel piu' lungo
OGENERE breve
OARGOMENTI trasporti
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, NORVEGIA
OKIND short article
OSUBJECTS transport
E' iniziata la costruzione di quello che sara' il tunnel autostradale
piu' lungo del mondo: 24,5 chilometri, fra Auerland e Laerdal, in
Norvegia. Lo realizza il gruppo norvegese Nocon, che ha gia'
costruito la piu' grande caverna artificiale del mondo e la piu' alta
piattaforma petrolifera in cemento armato, la «Troll» (472 metri).
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Microsoft per le scuole
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica, concorsi, scuola, informatica
OORGANIZZAZIONI MICROSOFT, INTERNET
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS didactics, competition, school, computer science
In collaborazione con il ministero della Pubblica Istruzione la
Microsoft ha lanciato in Italia un concorso rivolto alle scuole
statali medie inferiori e superiori sul ruolo di Internet nella
didattica. Diecimila presidi stanno ricevendo la documentazione. La
scadenza per le iscrizioni e' fissata al 15 aprile, il montepremi
consiste in 100 milioni di attrezzature hard ware e software per la
didattica multimediale. Altre informazioni: 02-70.39.28.63.
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Aspettando la supercometa
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia, conferenza
OORGANIZZAZIONI SCUOLA DI ASTRONOMIA ZAGAR
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy, lecture
Alla fine di marzo potremo vedere la cometa Hale-Bopp, che si
annuncia come una delle piu' luminose del secolo. Per diffondere
l'informazione scientifica su questi affascinanti corpi celesti la
Scuola di Astronomia Zagar organizza a Torino (Centro Incontri Crt,
corso Stati Uniti 23) quattro conferenze tenute da astronomi
dell'Osservatorio di Torino. Inizio 11 marzo, ore 21, ingresso
libero. Informazioni: 011-5807.299.
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
La nuova fisica a La Thuile
OGENERE breve
OARGOMENTI fisica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, LA THUILE (AO)
OKIND short article
OSUBJECTS physics
E' in corso a La Thuile (Valle d'Aosta) l'annuale convegno
intenazionale «Rencontres de physique». Tra i temi: futuri
acceleratori di particelle, astrofisica, antimateria, quark Top e gli
ultimi «strani» dati ottenuti ad Amburgo con «Hera».
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Con i rifiuti si puo' giocare
OGENERE breve
OARGOMENTI ecologia, mostre
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND short article
OSUBJECTS ecology, exhibition
Fino al 30 aprile al Museo dell'automobile di Torino si puo' visitare
«R come rifiuti», mostra interattiva che punta all'educazione
ambientale attraverso l'esperienza e il gioco. Per informazioni:
011-677.666.
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. IN LIGURIA E IN PIEMONTE
Anche in Italia prove tecniche di telelavoro
Gli Stati Uniti all'avanguardia, da noi sono quasi pronti i primi
villaggi cablati
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI informatica, elettronica, lavoro
ONOMI DE CARLO GIANCARLO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, COLLETTA DI CASTELBIANCO (SV); EUROPA,
ITALIA,
ALTARETTO (TO)
OSUBJECTS computer science, electronics, work
LAVORARE restando a casa, collegati via computer alla propria
azienda, evitando il traffico, dedicando piu' tempo alla famiglia,
allo sport, alla cultura. Un sogno che per qualcuno e' gia' realta' e
sta diventando possibile per un numero via via maggiore di persone.
Nel '95 negli Stati Uniti c'erano gia' otto milioni di
telelavoratori, con una tendenza all'aumento che dovrebbe portarli a
quaranta milioni nel 2010. In Europa la Gran Bretagna e' in testa con
1,6 milioni, seguita da Francia e Germania. In Italia, invece, per
adesso le esperienze di telelelavoro si contano sulle dita delle
mani: a Telecom Italia con il servizio del «12» (elenco abbonati),
all'Italtel, alla Seat, allo Cselt e in poche altre aziende. Ma
intorno al telelavoro c'e' oggi un vasto interesse, ci sono
iniziative di vario genere che vanno dai progetti dell'Unione Europea
fino al recupero, gia' in corso, di antichi abitati per trasformarli
in «citta' cablate». Il telelavoro puo' essere dipendente o autonomo,
si puo' telelavorare da soli o in luoghi decentrati (telecenter o
telecottage), distanti dall'aziende dieci o diecimila chilometri.
Condizione fondamentale e' la disponibilita' di telecomunicazioni
avanzate, efficienti e affidabili; di computer piu' o meno potenti
(dipende dal tipo di telelavoro); di modem per collegarsi alla rete
telefonica. Quali lavoratori possono aspirare a diventare
telelavoratori? Sicuramente gli addetti al telemarketing, i
progettisti di software, i teleoperatori (come appunto quelli del
12), i programmatori, i tecnici di progettazione in Cad-Cam, gli
operatori di Borsa oggi che le contrattazioni telematiche hanno
soppiantato le concitate «grida» nelle «corbeilles», i traduttori, i
giornalisti; molte grandi imprese europee e Usa hanno trasferito in
India, Indonesia, Filippine, Singapore dove i costi sono minori,
attivita' come l'elaborazione dati o la contabilita', biglietteria
aerea e gestione carte di credito; quando si prenota per telefono una
camera d'albergo o un posto in aereo ci sono ormai molte probabilita'
che l'operazione venga eseguita da un teleoperatore in Estremo
Oriente. Quindi un universo potenzialmente molto vasto, frenato
tuttavia nella sua espansione da vari ostacoli, per esempio dalle
norme sul lavoro e dall'organizzazione centralizzata delle imprese;
il progetto Mirti (Models of industrial ralations in telework
innovation) dell'Unione Europea dovra' mettere a punto entro il '98
una serie di modelli di contratti di telelavoro. Nascono numerose
iniziative per la creazione di reti telematiche, come quelle che
coivolgono il Comune di Torino e la Regione Piemonte nel progetto
Bangemann (che prevede 10 milioni di telelavoratori in Europa entro
il 2000); o come quelle dell'Associazione dei lavoratori anziani
della Banca Crt, la Cassa di Risparmio di Torino, che ha bandito un
concorso, con tre premi da tre milioni, per tesi di laurea sul
telelavoro discusse tra il 1o ottobre '95 e il 31 luglio '97 (vanno
inviate entro il 15 settembre '97 al Gruppo Anziani Banca Crt, via
Nizza 10, a Torino; informazioni allo 011/662.4641). Intanto, in una
vallata ligure che si apre sul mare di Albenga, la Val Pennavaira, un
paesino abbandonato da molti anni rinasce conservando intatte le sue
antiche case ma riempiendosi di tecnologia telematica che lo mettera'
in contatto con il mondo intero. Colletta di Castelbianco, restaurato
dalla Sivim di Alessandria su progetto dell'architetto Giancarlo De
Carlo e con la collaborazione di Telecom Italia, sara' un «borgo
cablato». Da ogni casa si potra' accedere a tutti i servizi
telematici attuali e alle future evoluzioni, dalla rete Internet al
massimo livello di accesso, alla tv interattiva, alla rede Idsn che
consente di usare videotelefono e teleconferenza. A restauro
ultimato, nel '99, sara' il luogo ideale per telelavoratori, che
potranno essere in contatto diretto con le proprie aziende pur
abitando in un tranquillo villaggio medioevale in faccia al mare. Un
esempio che gia' sta facendo scuola: c'e' un progetto simile in valle
di Susa, ad Altaretto, frazione di Gravere, una trentina di
antichissime case abbandonate a 800 metri di quota. Vittorio Ravizza
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. SCOPERTA
Estrogeni, cosi' salvano le ossa
OAUTORE TRIPODINA ANTONIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI PACIFICI ROBERTO, WASHINGTON UNIVERSITY
OORGANIZZAZIONI ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA'
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
TRA le conseguenze della menopausa che piu' preoccupano le donne, ha
un posto di primo piano il rallentamento del ricambio del calcio:
rallentamento che porta alla perdita di questo elemento chimico
fondamentale per la struttura delle ossa. La conseguenza e'
l'osteoporosi, un infragilimento osseo che spesso si traduce in
fratture, tanto piu' probabili e gravi con l'aumentare dell'eta'
della donna. Si sa ormai da parecchi anni che il miglior modo per
prevenire l'osteoporosi, consiste nel somministrare alle donne in
postmenopausa degli ormoni (estrogeni) in sostituzione di quelli che
l'organismo non fabbrica piu' in quantita' sufficiente. Tuttavia,
fino a poco tempo fa, non era chiaro l'intimo meccanismo attraverso
cui questi ormoni svolgono la loro azione protettiva sull'osso. Ora
grazie a raffinate ricerche di biologia molecolare sembra si sia
giunti al cuore del problema e parte del merito e' da attribuire a un
giovane ricercatore italiano, Roberto Pacifici, che lavora alla
Washing ton University di St. Louis (Stati Uniti). Dati illuminanti
sono emersi da studi condotti su ratti a cui erano state asportate le
ovaie: mettendo in un «terreno di coltura» dei macrofagi prelevati
dal loro midollo osseo, si e' avuto da parte di queste cellule (che
derivano dai monociti circolanti e che costituiscono con questi il
sistema di difesa fagocitario mononucleare) un'esaltata produzione di
alcune citochine (sostanze che attivano la risposta immunitaria,
stimolando altre cellule), in particolare di IL-1 (interleuchina-1) e
di TNF («tumor necrosis factor»). Queste due citochine sono
importanti per la difesa immunitaria (attivano i linfociti), ma hanno
anche dimostrato di essere fra i piu' potenti fattori di
riassorbimento osseo: se messe a contatto con tessuto osseo ne
provocano il riassorbimento e se iniettate in vena nei ratti
provocano perdita di massa ossea e ipercalcemia. E cio' perche'
stimolano la formazione degli «osteoclasti», le cellule ossee
deputate al riassorbimento osseo. Gli esperimenti in campo umano si
sono avvalsi di colture di monociti circolanti, una categoria di
globuli bianchi che ha la particolarita' di riflettere esattamente
l'attivita' secretoria dei macrofagi del midollo osseo, dei quali,
come gia' detto, sono i precursori. Con questa raffinata metodica si
e' potuto osservare in tutte le donne che entrano in menopausa un
immediato aumento di interleuchina-1, il cui livello persiste alto
per circa sette anni, per poi ritornare ai livelli pre-menopausali;
in alcune donne (un terzo circa, sicure candidate all'osteoporosi) la
produzione di tale citochina oltre che essere ancora piu' elevata fin
dall'inizio, permane alta per molto piu' tempo, oltre quindici anni.
Altra osservazione di grande interesse e' che il trattamento con
estrogeni (sia precoce che tardivo) blocca questa iperproduzione fin
dal primo mese di trattamento. Questi dati dimostrano oltre ogni
dubbio che e' l'aumento di IL-1 e TNF, che si determina in una
situazione di carenza estrogenica, la causa preminente
dell'osteoporosi post-menopausale, essendo in grado di esaltare la
formazione degli osteoclasti, le cellule del riassorbimento osseo,
che finiscono col prevalere nettamente sugli osteoblasti, le cellule
della neo-formazione ossea. A ulteriore conferma di tale ipotesi si
e' osservato che trattando i ratti a cui erano state asportate le
ovaie con un «antagonista del recettore» dell'interleuchina-1 (per
cui veniva impedita l'azione biologica di tale citochina), non si
verificava una maggiore perdita ossea. Queste ricerche, oltre che
confermare l'utilita' (e in alcuni casi la necessita') della terapia
sostitutiva con estrogeni, fanno intravedere la possibilita' di un
futuro impiego degli antagonisti dei recettori dell'interleuchina-1
(gia' prodotti tramite Dna ricombinante) per contenere l'osteoporosi
post-menopausale, definita dall'Organizzazione Mondiale della Sanita'
uno dei «maggiori problemi sanitari mondiali». Antonio Tripodina
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. RICERCA INGLESE
Il balio asciutto
I capezzoli di papa' scimmia
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI DIXSON, GEORGE (RICERCATORI), GOLDIZEN WILSON
OORGANIZZAZIONI ISTITUTO DI ZOOLOGIA
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, LONDRA
OSUBJECTS zoology
PERCHE' i maschi dei primati hanno i capezzoli? Cosa se ne fanno
visto che non allattano? Che siano lo sbocco delle ghiandole mammarie
e' risaputo, ma queste ghiandole entrano in funzione soltanto nelle
femmine subito dopo il parto, sotto l'effetto della prolattina,
l'ormone lattogeno che viene secreto dal lobo anteriore dell'ipofisi.
Cosa succede invece nei maschi? Una risposta la suggeriscono uistiti
e tamarini, la scimmiette sudamericane appartenenti alla famiglia dei
callitricidi. In questi animali formato mignon i parti gemellari sono
molto frequenti. Partorire, allattare e allevare due piccoli
contemporaneamente non e' una faccenda di poco conto per una bestiola
che nelle specie piu' grandi pesa poco piu' di mezzo chilo e in
quelle piu' piccole (come l'uistiti pigmeo) pesa soltanto 85 grammi.
Ed ecco che si fanno avanti i padri. E i piccoli se li tengono loro
per la maggior parte del tempo. Li passano alla moglie giusto al
momento della poppata. Quei minuscoli cuccioli, come tutti i
mammiferi neonati, cercano istintivamente con la bocca i capezzoli
dell'adulto che li tiene in braccio. E succhiano, o per lo meno
leccano. Proprio questa azione di leccaggio sui capezzoli paterni
potrebbe fare da stimolo alla produzione dell'ormone lattogeno. Sta
di fatto che, a quanto risulta dall'indagine di due studiosi
dell'Istituto di Zoologia di Londra, Dixson e George, il tasso di
prolattina contenuto nel plasma sanguigno dei padri baby sitter e'
cinque volte maggiore di quello dei maschi che non portano figli in
braccio. Non e' questa l'unica sorpresa che ci riservano le
callitricidi. In queste scimmie la riproduzione e' consentita solo
alla coppia dominante. Per gli altri individui del branco accoppiarsi
e mettere al mondo figli e' assolutamente tabu'. Cosa che accade
anche in altri mammiferi, come ad esempio negli eterocefali, i
curiosi ratti-talpa che conducono vita sotterranea. Prima
dell'accoppiamento, maschi e femmine si rincorrono per alcuni metri
tenendo il dorso arcuato e il pelo ritto. Ogni tanto interrompono la
corsa e irrorano la parte inferiore della regione genitale con la
secrezione delle ghiandole odorose situate in quella zona. Poi il
maschio si avvicina alla femmina facendo schioccare le labbra e
serpeggiando la lingua che viene allungata fuori dalla bocca
ritmicamente per varie volte. I due animali avvicinano i musi, in
modo che le lingue possano toccarsi. Durante le successive
schermaglie amorose, il maschio pettina il pelo della femmina,
dandole piccoli morsi affettuosi con i denti incisivi. Si accoppiano,
dunque, soltanto gli esemplari di grado elevato. Una limitazione
cosi' drastica diminuisce notevolmente la prolificita' della specie.
E oggi le deliziose scimmiette sudamericane corrono serio pericolo di
estinzione sia perche' i bracconieri danno loro la caccia per
rivenderle come animali di compagnia ai numerosi amatori, sia perche'
le foreste in cui vivono vanno gradualmente scomparendo. Si era
sempre pensato che le uistiti fossero strettamente monogame e invece
la ricercatrice Anne Wilson Goldizen dell'Universita' del Michigan
che ha studiato a lungo il comportamento del tamarino a dorso bruno
(Tamarinus fuscicollis) nel Parco Nazionale Manu del Peru' e' giunta
a conclusioni diverse. Non esiste una regola fissa. Oltre alle coppie
monogame si formano anche spesso e volentieri dei veri e propri
«menage a trois» formati da due maschi e una femmina. Le cose stanno
in questo modo. E' fuori dubbio che la femmina da sola non ce la
farebbe ad allevare i figli se non avesse un valido aiuto. Alla
nascita i gemellini pesano un quinto del peso materno. E' vero che se
li prende subito il padre. Ma anche per lui e' una fatica non
indifferente portarseli in groppa mentre percorre circa un chilometro
al giorno attraverso l'intrico della vegetazione. Questo significa
avere meno tempo per nutrirsi e aver bisogno di un maggiore periodo
di riposo. Ecco quindi che la coppia e' costretta a ricorrere a un
aiutante. I casi sono due: o c'e' un figlio delle generazioni
precedenti che rinuncia a metter su famiglia per dedicarsi ai
fratellini minori, oppure la femmina si accoppia con un secondo
marito. Cosi' ha a disposizione due baby sitter invece di uno. Gli
etologi chiamano questa situazione «poliandria facoltativa». In
cattivita' le cose procedono diversamente. La coppia se la cava
benissimo da sola, senza ricorrere all'aiuto di nessuno, ne' del
figlio della generazione precedente, ne' del marito aggiuntivo. Come
mai? Semplice. Le condizioni della prigionia sono diverse da quelle
naturali. La scimmietta non e' costretta a vagabondare per un ampio
territorio in cerca di cibo, in quanto il pasto le arriva a
domicilio. E allora si capisce come la coppia ce la faccia a tirar su
i gemellini con le sue sole forze. Il figlio cresciuto che si
sacrifica per aiutare i genitori lo fa, secondo la teoria di
Hamilton, per un'inconsapevole senso di altruismo. Perche' in questo
modo, favorendo la sopravvivenza dei fratelli, consente il
perpetuarsi di quella parte di geni che ha in comune con loro. Ci si
aspetterebbe comunque che fossero le figlie femmine ad aiutare i
genitori, spinte da un istinto materno o da una forma di imprinting.
E invece sono i figli maschi che, contrariamente a quanto avviene in
altre specie animali, rimangono nel nucleo familiare. La studiosa
americana ha potuto osservare parecchi casi di «menage a trois». E ha
notato che in tutti la femmina impalma un secondo marito quando
nessuno dei figli precedenti le da' una mano. I tre si dividono il
compito di portarsi in groppa i vispi figlioletti e tutto procede a
meraviglia. Ma se, col susseguirsi delle cucciolate, a un bel momento
il piu' vecchio dei figli della generazione precedente e' cresciuto
abbastanza da poter funzionare egregiamente da bambinaio, allora la
scena cambia di colpo. Il marito numero due si sente ormai inutile e
se ne va pacificamente. Ne' la coppia muove un dito per richiamarlo.
Isabella Lattes Coifmann
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. BIOTECNOLOGIE
La lezione di Dolly, pecora clonata
Nata dopo 277 tentativi, ci fa capire meglio il Dna
OAUTORE SGARAMELLA VITTORIO
OARGOMENTI genetica, tecnologia, ricerca scientifica
ONOMI WILMUT IAN
OORGANIZZAZIONI ISTUTUTO ROSLIN
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, SCOZIA, EDIMBURGO
OTABELLE T. TAB. LA COLONAZIONE
=========================================================
1 - Da una pecora si estrae un ovulo
2 - Si toglie dall'ovulo il nucleo con il suo Dna
originario
3 - Si preleva una cellula matura dalla ghiandola
mammaria della pecora che si vuole clonare
4 - Da questa cellula si estrae il nucleo di Dna
contenente l'intero patrimonio genetico
5 - Il nucleo della cellula mammaria viene immesso
nell'ovulo
6 - L'ovulo viene impiantato nell'utero di una pecora
«ospite». Dall'ovulo si sviluppa l'embrione
7 - Terminata la gravidanza nasce il clone della pecora
donatrice del Dna estratto dalla cellula mammaria
=========================================================
OSUBJECTS genetics, technology, research
LA nascita di Dolly, una copia geneticamente identica di una pecora
adulta, e il suo sviluppo fino alla soglia dell'eta' riproduttiva,
hanno dato a un gruppo di ricercatori scozzesi che lavorano
all'Istituto Roslin di Edimburgo sotto la guida di Ian Wilmut un
primato di tutto rispetto: sono i primi ad aver prodotto un animale
superiore, un mammifero, mediante la fusione di una cellula uovo non
fecondata e privata del suo nucleo con una cellula somatica (cioe'
differenziata: nel caso specifico, della ghiandola mammaria) e il suo
successivo trapianto nell'utero di una portatrice. L'altro ieri, poi,
un gruppo americano ha annunciato la clonazione di scimmie, cioe' di
mammiferi ancora piu' evoluti. Il dibattito su questi esperimenti sta
scuotendo l'opinione pubblica e il mondo dei ricercatori. E' vera
scienza? E' ricerca seria? Dissento da quanti dicono di no. La
domanda alla quale l'esperimento vorrebbe dare risposta e'
fondamentale nella biologia dello sviluppo: il Dna dei miliardi di
cellule somatiche che ci forma e ci fa funzionare come individui
sviluppati e differenziati, e' identico o no a quello che e' presente
nella cellula germinale (uovo o spermatozoo, a seconda che parliamo
di madri o di padri) e che unendosi al Dna dell'altra cellula
germinale ci ha fatto nascere? Il modo piu' diretto per avere una
risposta e' prendere tutto il Dna di un individuo adulto e vedere se
puo' riprogrammare lo sviluppo di una cellula in un individuo
identico al donatore del Dna, il suo clone. La cellula ovviamente
indicata per un simile esperimento e' l'uovo: se ne dovrebbe
sostituire il programma genetico con quello di una cellula somatica
del donatore. Occorre quindi che il Dna dell'uovo venga eliminato: a
questo fine si rimuove con un intervento microchirurgico il nucleo
della cellula uovo e si introduce il nuovo programma genetico
fondendola con una cellula somatica opportunamente scelta e trattata
in modo da ottimizzare la funzionalita' del suo nucleo. Ben 277
fusioni sono state effettuate per far nascere Dolly, un clone della
donatrice del nucleo, una pecora di 6 anni gravida, geneticamente sua
sorella gemella. La risposta pare quindi positiva: il Dna di un
adulto puo' riprogrammare una cellula uovo e svilupparla in un
individuo maturo e normale, anche se la sua capacita' riproduttiva e'
ancora da dimostrare. Le prove finora disponibili erano limitate alle
rane, prodotte trent'anni fa per trasferimento di nucleo ancora da un
inglese, Gurdon. Piu' recentemente uno svizzero, Illmensee, aveva
trapiantato nuclei di cellule embrionali di topo in uova fecondate e
private del nucleo: i risultati sono considerati incerti. Si arriva
cosi' a questo esperimento, dove si e' avuto un solo caso riuscito su
277: e' poco. In piu' gli stessi ricercatori ammettono di non
conoscere le caratteristiche della cellula donatrice del nucleo e non
possono quindi escludere che a programmare Dolly sia stato il nucleo
non di una cellula matura, bensi' di una rara cellula «staminale»,
progenitrice, e quindi relativamente indifferenziata, cioe' piu'
simile alle cellule embrionali che a quelle adulte. Se le cose stanno
cosi', e visto che le cellule staminali sono si' cellule somatiche,
ma sono immature, rare e difficili da separare, l'esperimento rimane
positivo ma un po' meno rilevante dal punto di vista delle
applicazioni. Se per ottenere un clone occorre tentare quasi 300
fusioni, siamo ai limiti della fattibilita'. Rimane pero' intatto il
valore del problema scientifico: lo sviluppo e il differenziamento
causano la perdita irreversibile della «totipotenza» del Dna, cioe'
della sua capacita' di dare origine a ogni tipo di cellula? Se si',
come? Se no, che effetti pratici puo' avere, per esempio, sulla
zootecnica? Credo effetti importanti, se si pensa che questo settore
e' da decenni imperniato sulla fecondazione artificiale con seme di
animali scelti proprio per i loro caratteri utili che si vorrebbero
propagare. Con il trapianto di nucleo che abbiamo prima descritto, la
loro frequenza verrebbe sganciata dalle segregazioni proprie della
riproduzione sessuale e potrebbe aumentare di molto. E le conseguenze
per l'uomo? Se il Dna delle cellule somatiche e' effettivamente
totipotente, e se lo e' anche nell'uomo, non se ne eviteranno usi
immorali esorcizzando questi esperimenti e snobbandoli come non seri
o come pura tecnologia: la scienza moderna lo e' spesso e, per
esempio, far produrre insulina umana dai batteri lo e' appieno. Non
e' facile ne' auspicabile fermare la ricerca, ma certo non si deve
tollerare un vuoto normativo, specialmente in un settore delicato e
importantecome questo: il nocciolo dei problemi delle attuali
ricerche sulla procreazione e' qui. Le sue degenerazioni piu' vistose
si sono avute non in Inghilterra, dove questa ricerca biomedica e'
nata, ma in Italia, dove e' stata espropriata dall'affarismo e dal
consumismo, e le leggi si invocano ma non si fanno. Nell'attesa che
altri esperimenti, di questa o altra natura, confermino o smentiscano
la totipotenza del Dna di cellule somatiche, anche nei primati
antropomorfi come nell'uomo, e l'eventuale trasferibilita' dei loro
nuclei, occorre ribadire con forza che uno dei diritti fondamentali
di ogni uomo e' quello di essere unico e insostituibile, e di essere
riconosciuto tale non sulla base del suo Dna. La clonazione umana lo
violerebbe. Vittorio Sgaramella Universita' della Calabria
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. PER CAPIRE I «BUGIARDINI»
E' un medicinale: usare con cautela
Una lettura indispensabile, soprattutto per le autosomministrazioni
OAUTORE ROSSI LAURA
OARGOMENTI medicina e fisiologia, farmaceutica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
SIAMO sinceri: nonostante la ben visibile scritta riportata su tutte
le confezioni di medicinali «Per l'uso leggere attentamente le
istruzioni interne», quante volte ci e' davvero capitato di aprire e
leggere con attenzione il «bugiardino», cioe' il foglietto
illustrativo di un farmaco? La pigrizia forse, un po' di presunzione,
ma soprattutto il linguaggio utilizzato, astruso e incomprensibile al
profano, funzionano non di rado da deterrenti. Eppure si tratta di
una fonte di informazioni indispensabile, sia allorche' facciamo uso
dei «prodotti da banco», sostanze la cui vendita e' consentita nelle
farmacie senza l'obbligo della ricetta medica, sia soprattutto quando
ricorriamo all'autosomministrazione di farmaci prescrivibili solo dal
medico ma che tutti, per i piu' svariati motivi, conserviamo in casa
(sull'opportunita' o no dell'autosomministrazione si potrebbe molto
discutere). Proviamo a leggere insieme alcuni di questi foglietti,
cercando di interpretarne i contenuti, pur senza la pretesa di
comprendere tutto cio' che vi e' scritto. Cominciamo dal nome: i
farmaci piu' utilizzati sono noti con il loro nome commerciale
(quello per intenderci che ha inventato per loro l'industria
farmaceutica che li produce) ma analizzandone la composizione e'
facile rendersi conto che prodotti commerciali diversi contengono il
medesimo principio attivo, e che l'unica differenza e' data dagli
eccipienti (ad esempio amido o altri zuccheri). A composizioni
analoghe corrispondono stesse indicazioni (sintomi e stati
patologici per cui il farmaco e' efficace). Il foglietto riporta poi
sempre le controindicazioni (gli stati, patologici e non, in cui
l'uso del farmaco e' sconsigliato se non pericoloso) e la posologia
(quantita' e modalita' di assunzione). E' molto importante attenersi
alle istruzioni per quanto riguarda quest'ultimo punto poiche' ad
esempio un farmaco assunto per via orale prima dei pasti presenta il
vantaggio di un assorbimento piu' rapido e completo di uno assunto
durante o al termine degli stessi, ma puo' essere fortemente
irritante per la mucosa dello stomaco (e' notoriamente il caso dei
comuni antinfiammatori come l'acido acetilsalicilico, che vanno
sempre assunti dopo i pasti). Gli effetti collaterali consistono in
una serie di sintomi, spesso (ma non sempre) di modesta entita' e
transitori, che possono comparire durante la somministrazione del
farmaco, indice a volte di una reazione allergica da parte
dell'organismo (nei casi piu' comuni prurito, orticaria o altre
manifestazioni cutanee). Tra le avvertenze troviamo quasi sempre
richiamata la necessita', per le donne in gravidanza o durante
l'allattamento, di assumere il medicinale solo sotto stretta
sorveglianza medica. Molti farmaci comuni (come gli antistaminici,
usati per le piu' svariate manifestazioni allergiche) possono poi
provocare in chi li assume sonnolenza, sensazioni simili a vertigini
e intontimento: in tutti questi casi e' espressamente sconsigliato di
mettersi alla guida di autoveicoli o di manovrare macchinari
pericolosi dopo la somministrazione. Un paragrafo importante del
foglietto illustrativo riguarda le possibili interazioni con altre
sostanze: da non dimenticare ad esempio che i farmaci non vanno mai
ingeriti in concomitanza di bevande alcoliche (questo a causa degli
effetti indesiderati che l'alcool puo' avere sull'assorbimento e
sull'azione dei farmaci, in particolare di quelli attivi sul sistema
nervoso e degli antistaminici) e che l'assunzione contemporanea di
due medicamenti comporta sempre il pericolo che essi si influenzino
reciprocamente con risultati imprevedibili e spesso pericolosi, come
nel caso dell'associazione degli antinfiammatori con i cosiddetti
«anticoagulanti orali» usati per prevenire ulteriori complicazioni
cardiocircolatorie in chi ha gia' avuto un infarto: l'effetto delle
due sostanze, sommandosi, potrebbe portare ad emorragie
inarrestabili. Per concludere, un suggerimento: se avete trovato
interessante l'esercizio proposto, potreste proseguire compilando una
specie di dizionarietto dei termini medici che compaiono piu' di
frequente nei foglietti illustrativi. Vi sara' senz'altro utile.
Laura Rossi
ODATA 05/03/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. INFORMATICA
Un diario scolastico anche interattivo
OAUTORE A_CO
OARGOMENTI informatica, didattica, scuola
OORGANIZZAZIONI DIARIO SCOLASTICO MULTIMEDIALE GENSOFT, UNIVERSITA' CATTOLICA,
GUIDA
MULTIMEDIALE DELLO STUDENTE
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS computer science, didactics, school
DUE novita' dal mondo dell'informatica per quello della scuola. Il
primo riguarda il lancio del primo Diario Scolastico Multimediale,
realizzato dalla Gensoft (prezzo 99.000 lire). Permette ai bambini a
partire dagli 8 anni di creare addirittura dei propri libri, con la
possibilita' di stampare il layout di pagina a doppia facciata e in
quattro formati, proprio come se si trattasse di una pubblicazione
vera. Il software fornisce tutti gli strumenti ed offre la
possibilita' di apportare modifiche come un vero e proprio
elaboratore di testi. Dispone di tutte le funzioni dei programmi di
grafica professionale, per sviluppare le capacita' di scrittura
creativa e di disegno. L'altra anticipazione arriva dalla Microsoft
che, rafforzando una collaborazione gia' in atto con l'Universita'
Cattolica, ha realizzato una Guida Multimediale per lo studente, che
sara' distribuita gratuitamente a tutti gli iscritti. Nel cd sono
disponibili informazioni di tipo didattico, quali programmi dei
corsi, orari di esami e lezioni, numeri di telefono, scadenzari, ma
anche indicazioni sulla struttura dell'Universita' e, ad esempio,
persino una visita guidata all'interno dell'Ateneo, attraverso una
serie di immagini commentate da brani di musica classica. Il cd rom
e' corredato anche da una versione speciale, ad uso dell'Universita'
Cattolica, del classico browser Internet Explorer 3, che e' anche lo
strumento per la lettura dell'intero cd. Disponibili anche utilissimi
viewer, cioe' applicazioni che consentono di leggere e stampare
documenti Word, Excel e Power Point senza essere in possesso dei
costosi programmi originali. Completa il panorama software Net
Meeting, applicazione studiata per rendere possibili le conferenze
elettroniche e le «chat» vocali. (a. co.)
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
UN REBUS DELLA MEDICINA
Quei prigionieri di se stessi
Autismo: e' legato alla carenza di un enzima?
OGENERE copertina
OAUTORE COHEN ESTER
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI KANNER LEO
OORGANIZZAZIONI ASSOCIAZIONE NAZIONALE GENITORI SOGGETTI AUTISTICI
OLUOGHI ITALIA
OKIND features
OSUBJECTS medicine and physiology
A quasi dieci anni dal successo di «Rain Man» che e' valso l'Oscar a
Dustin Hoffman nel ruolo di un autistico, Hollywood sta per fare il
bis con «The Newports». Diretto da Steven Spielberg e interpretato da
Robin Williams, il nuovo film raccontera' la storia vera di un amore
fra due persone affette da autismo. Il cinema ha provato spesso a
descrivere il misterioso mondo di questa malattia, fino al recente
«Nell» con Jodie Foster. Cosi' pure la letteratura, da William
Faulkner a Pearl S. Buck, da Philip K. Dick a Stephen King, ha
presentato personaggi dai tratti autistici anche prima che il medico
Leo Kanner, nel 1943, tentasse una prima descrizione scientifica
della sindrome. L'autismo e' tuttora una sfida per i ricercatori, un
«puzzle» di cui sono noti solo alcuni tasselli. Se ne conoscono
soprattutto le manifestazioni esteriori, un po' come se, per fare un
esempio, volendo descrivere la cecita' si potesse soltanto dire che
chi ne e' colpito urta frequentemente gli oggetti sul suo percorso
oppure che non dirige lo sguardo verso chi gli si para davanti.
Persino il nome «autismo» e' in qualche modo improprio perche'
mutuato dal gergo della psicologia, dove e' impiegato per descrivere,
negli adulti, comportamenti di fuga dalla realta'. Cinquant'anni di
studi dimostrano che e' vero piuttosto il contrario: l'autistico e'
prigioniero dentro se stesso e, pare, per cause che nulla hanno a che
fare con il desiderio inconscio di evitare il mondo esterno. Secondo
il Dsm-IV (Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders)
dell'Organizzazione mondiale della sanita' l'autismo e' un disturbo
dello sviluppo che compare entro i primi tre anni di vita, colpisce
prevalentemente il sesso maschile e ha un'incidenza maggiore della
sindrome di Down, 15 casi ogni 10 mila. Non e' mai stato dimostrato
alcun nesso fra autismo e etnie di provenienza, ceti sociali, culture
e neppure comportamenti negativi dei genitori, sebbene su
quest'ultimo punto sia basata la teoria della cosiddetta «mamma
frigorifero». Il bambino autistico comincia a mostrare i primi
sintomi intorno ai 24-30 mesi: il linguaggio si sviluppa lentamente,
le parole sono spesso slegate dal loro significato, la comunicazione
e' prevalentemente gestuale, scarsa la capacita' di attenzione.
Spesso preferisce trascorrere la maggior parte del tempo da solo, non
fa amicizia con i coetanei, evita lo sguardo altrui e non sorride;
risponde in modo anormale agli stimoli sensoriali di vista, udito,
tatto, dolore. A una scarsa attivita' immaginativa e di astrazione,
si accompagna un comportamento talvolta di iperattivita' e talvolta
di passivita' totale. Un bambino autistico puo' essere molto
aggressivo e violento, anche verso se stesso, e ha una notevole
tendenza a ripetere gesti e parole. La descrizione e' necessariamente
generica: c'e' infatti una grande varieta' di combinazioni fra queste
manifestazioni e due bambini autistici possono comportarsi in modo
del tutto differente. I disturbi autistici vengono tuttavia suddivisi
in quattro principali categorie sotto la sigla Pdd, Pervasive
developmental disorder (ce ne sono in realta' molte altre e
soprattutto una diagnosi differenziale deve poter escludere le forme
franche di ritardo mentale a sua volta non di rado associato a
autismo): l'autismo vero e proprio, il Pdd-nos (not otherwise
specified che si manifesta piu' tardi), la Sindrome di Asperger, che
a differenza dell'autismo, presenta un linguaggio ben sviluppato, e
la Sindrome di Rett che colpisce soltanto le femmine. Non esiste una
teoria universalmente accettata sulle cause dell'autismo anche se,
almeno su un fatto, gli esperti sembrano concordare: l'autismo non e'
una malattia mentale. La ricerca ha preso molte strade, dalla
genetica all'immunologia, dalla neurologia alla biochimica e ciascuna
ha ottenuto finora risultati significativi. Indagini con la
tomografia a emissione di positroni (Pet) e con la risonanza
magnetica (Rnm) hanno talvolta evidenziato differenze nella struttura
del cervello degli autistici. Una ipotesi che gode oggi di buon
credito, anche grazie al riscontro pratico nella terapia, e' quella
dell'intolleranza alimentare, che avrebbe all'origine una carenza
enzimatica, in particolare al glutine, sostanza proteica contenuta
nei cereali, e alla caseina del latte e dei latticini. Osservando
diete rigorosissime molti autistici prima violenti e non comunicativi
hanno avuto straordinari miglioramenti. La microbiologia ha poi
dimostrato un legame tra le infezioni da candida, un fungo che vive
normalmente sulle mucose dell'organismo, e autismo: anche in questo
caso si sono registrati successi terapeutici somministrando un buon
antimicotico. Per curare l'autismo, oltre alla sorveglianza
alimentare e pochi farmaci, la scienza ha sviluppato metodi di
«rieducazione» comportamentale (fra i piu' noti il Lovaas e il
Teacch) che perlopiu' tentano di rendere autosufficiente il soggetto
almeno nelle funzioni essenziali sebbene si conoscano molti casi di
persone autistiche meno gravi che sono in grado di condurre una vita
quasi normale. A questi si aggiunge l'integrazione sensoriale,
esercizi per facilitare la visione (anche per mezzo di occhiali
speciali) e l'udito. Uno dei sistemi oggi al centro dell'attenzione e
delle polemiche e' quello della «comunicazione facilitata». Molte
celebrita', da Richard Burton a Sylvester Stallone, hanno avuto figli
autistici e si sono impegnati per la causa: «Sly» ha addirittura
creato una fondazione per lo studio e la cura dell'autismo, scoprendo
di essere in compagnia di milioni di persone. In tutto il mondo
migliaia sono i centri di ricerca e trattamento e le associazioni di
famigliari e volontari. Basta lanciare su Internet la parola «Autism»
per vedersi a disposizione oltre 10 mila pagine. In Italia
l'Associazione nazionale genitori soggetti autistici (Angsa, via
Casal Bruciato 15, Roma, tel. 06-43.58.75.55), sorta nel 1985 e con
14 sedi regionali, ne inaugurera' una nuova, quella piemontese, l'8
marzo a Torino. L'autismo e' una tragica condizione che
inspiegabilmente affascina chi l'avvicina. Chi volesse saperne di
piu' puo' leggere di A. Lurija «Viaggio nella mente di un uomo che
non dimenticava nulla» (Armando Editore) e del celebre Oliver Sacks
(quello di «Risvegli»), «Un antropologo su Marte» (Adelphi). Ester
Cohen
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ESPERIMENTI
Quando l'autistico comunica
OAUTORE E_CO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, comunicazioni, malati
OORGANIZZAZIONI LINK, INTERNATIONAL AUTISM ASSOCIATION
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, communication
LA «comunicazione facilitata» e' un metodo importato dall'Australia
da Douglas Biklen dell'Universita' di Syracuse, Stati Uniti, e
recentemente introdotto anche in Italia da Patrizia Cadei. Cerchiamo
di far capire in che cosa consiste. Un tecnico specializzato e
autorizzato sorregge (a seconda della gravita' della malattia, che
comporta a volte gravi difficolta' di coordinazione motoria) la mano
o il braccio dell'autistico per consentirgli di usare una tastiera di
macchina per scrivere o computer. Grazie a quello che puo' apparire
soltanto un aiuto molto modesto, si e' ottenuto che molti autistici
scrivessero, e quindi comunicassero, raccontando la loro condizione
«dall'interno», spesso esprimendo una situazione di drammatica
solitudine e di grande desiderio di espressione fino a quel momento
imbrigliato. Sulla rivista «Link», dell'International autism
association - Europa, e' recentemente apparsa la testimonianza,
scritta con il metodo Biklen, di un autistico lieve, J.G.T. Van
Dalen: «Ho scoperto nel corso degli anni - dice - che il mio modo di
percepire le cose e' molto diverso da quello di tutte le altre
persone. Per esempio, quando io sono davanti a un martello,
inizialmente per me e' unicamente un insieme di pezzi senza alcun
rapporto: noto un pezzo di ferro di forma cubica e, vicino, per pura
coincidenza, una barra di legno (...). La parola martello non e'
immediatamente a portata di mano, ma emerge quando la configurazione
e' stata sufficientemente stabilizzata (...). Per me la percezione di
qualche cosa equivale a ''costruire'' un oggetto». Nell'articolo
racconta poi come da queste difficolta' che riguardano anche la
percezione uditiva, dello spazio e del tempo, derivi la tipica
resistenza degli autistici ai cambiamenti e la loro costante paura di
tutto. La persistente osservazione di un oggetto «per ricostruirlo»
nella mente e dargli un senso e' alla base di particolari abilita'
degli autistici: chi non ricorda Dustin Hoffman in «Rain Man» davanti
alla scatola di fiammiferi rovesciati che, sbalordendo il fratello
Tom Cruise, ne sapeva dire il numero preciso? «Normalmente io vivo lo
sguardo altrui come ''doloroso'' - prosegue Van Dalen - nel senso che
e' troppo penetrante. Mi piace paragonare gli occhi di un autistico
agli occhi sfaccettati di un insetto: ci sono numerosi dettagli ma
essi non sono integrati».(e. co.)
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCOPERTA AD AMBURGO
C'e' qualcosa oltre i quark
Si annuncia una svolta per la fisica
OAUTORE MAIANI LUCIANO
OARGOMENTI fisica
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, GERMANIA, AMBURGO
OSUBJECTS physics
LA direzione del laboratorio Desy di Amburgo mercoledi' scorso ha
annunciato che i due esperimenti (denominati «Zeus» e «H1») che
studiano le collisioni tra positroni e protoni all'anello di
accumulazione «Hera» hanno messo in evidenza un numero di urti
superiore a quanto prevede l'attuale teoria delle forze subnucleari,
in una regione di energia finora inesplorata. La probabilita' che i
fenomeni osservati siano una fluttuazione statistica e' inferiore
all'uno per cento. Che cosa si nasconde dietro questo comunicato
fatto con il linguaggio iniziatico dei fisici delle particelle
subnucleari? Proviamo a spiegarlo. «Hera» e' un complesso di macchine
in cui vengono accelerate e fatte scontrare particelle di due tipi
diversi: protoni (nuclei dell'atomo di idrogeno) con una energia di
800 gigaelettroni Volt (pari a 800 volte l'energia racchiusa nella
massa del protone) ed elettroni o positroni (antiparticelle
dell'elettrone, con identiche proprieta' meccaniche e carica
elettrica positiva), con una energia di 25 gigaelettroni Volt. Hera
e' in sostanza un potente microscopio, capace di sondare la struttura
interna del protone ad una risoluzione di circa un millesimo del
raggio del protone stesso, almeno un ordine di grandezza inferiore a
quanto mai ottenuto in precedenza. Fin dagli Anni 70 sappiamo che il
protone, a queste risoluzioni, appare composto da costituenti
elementari: i quark, identificati gia' negli Anni 60 come costituenti
del protone, e i gluoni, particelle associate alle intense forze che
legano i quark stessi dentro il protone. Elettroni e positroni
rimbalzano sui quark per effetto delle forze elettrodeboli, alle
quali sono soggetti i quark ma non i gluoni. Questo effetto,
accuratamente calcolabile nel quadro della teoria attuale - il
cosiddetto «modello standard» delle particelle elementari -,
diminuisce all'aumentare dell'angolo di deflessione dell'elettrone e
diventa molto improbabile per urti che corrispondono a un rimbalzo
«all'indietro» nel sistema del centro di massa quark-elettrone (o
positrone). Proprio in questa regione, mai esplorata prima, si e'
osservato l'eccesso di eventi rispetto al previsto. E' un effetto
relativamente piccolo (una decina di eventi in tre anni) ma molto
sorprendente, vista l'accuratezza con cui la teoria attuale descrive
i fenomeni finora osservati. «E' come sparare dei proiettili e
vederseli ritornare indietro dritti sul naso», ha detto uno dei
responsabili dell'esperimento. Proprio come nello storico esperimento
di Rutheford che porto' a identificare il nucleo atomico e le forze
nucleari. Se verra' confermato, l'effetto osservato ad Amburgo
potrebbe avere diverse interpretazioni, tutte di grande portata
concettuale: l'esistenza di nuove forze tra quark e positroni a
piccolissima distanza, la creazione di particelle mai osservate prima
o, infine, un primo indizio di una struttura interna dei quark (si
parla di particelle chiamate preoni). E' molto interessante, a questo
proposito, ricordare che deviazioni analoghe sono state osservate
qualche tempo fa al Fermilab di Chicago (Usa) nell'urto tra protoni e
antiprotoni. L'interpretazione del risultato del Fermilab e' resa
piu' confusa dagli urti tra gluoni, la cui distribuzione nel protone
non e' conosciuta cosi' bene come quella dei quark. Ma potrebbe
essere significativo che entrambi i risultati, se dovuti a una nuova
forza, indichino per quest'ultima una energia caratteristica
dell'ordine del teraelettrone- Volt (mille volte la massa del
protone), energia alla quale diverse teorie prevedono un cambiamento
di regime delle forze. I dati del prossimo anno permetteranno di
trarre conclusioni piu' precise. L'industria italiana ha contribuito
in modo significativo alla costruzione di Hera, per iniziativa di
Antonino Zichichi, allora presidente dell'Istituto nazionale di
fisica nucleare (Infn) e tuttora uno dei principali responsabili
dell'esperimento Zeus, con la costruzione di circa meta' dei grandi
magneti superconduttori che formano il cuore dell'anello che accelera
i protoni. Cio' ha permesso di formare in Italia una competenza
industriale nei campi ad alta tecnologia della superconduttivita' e
della criogenia, con importanti ricadute anche in altri settori. La
nostra industria ha inoltre realizzato il grande magnete
superconduttore di Zeus che serve a identificare la carica delle
particelle. Fisici dell'Infn e delle universita' italiane (piu' di 60
ricercatori provenienti da universita' e da sezioni dell'Infn di
Bologna, Cosenza, Firenze, Padova, Roma e Torino) partecipano ai due
esperimenti, con una presenza particolarmente massiccia
nell'esperimento Zeus. Luciano Maiani Presidente dell'Infn Istituto
nazionale di fisica nucleare
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ECOLOGIA
L'aria, laboratorio chimico
Come interagiscono gli inquinanti nelle citta'
OAUTORE NATALE PAOLO
OARGOMENTI ecologia, chimica, inquinamento
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology, chemistry, pollution
LA constatazione che nell'aria delle grandi citta' industriali, dove
maggiore e' la sensibilita' ambientale, da anni diminuiscono i
principali inquinanti tenuti sotto controllo, maschera il dato che al
di fuori dei «punti caldi» la tendenza e' di verso opposto. Anche se
sfugge alla normale percezione, le quantita' di inquinanti gassosi
originati dall'attivita' umana, sono, per un Paese a consumo
energetico medio-alto come l'Italia, maggiori di quelle dei rifiuti
solidi: circa 3-4 kg al giorno per abitante. Cioe' scarichiamo
nell'aria una quantita' di rifiuti gassosi quasi doppia di quella che
allo stato solido gettiamo nei cassonetti della spazzatura. Su scala
planetaria i quantitativi emessi sono ormai da molti anni dell'ordine
di 20 miliardi di tonnellate/anno. Poiche' l'atmosfera ha un peso di
circa 5,1 milioni di miliardi di tonnellate, e' come se ogni anno
aggiungessimo in ogni kg di aria 5 milligrammi di inquinanti. Poiche'
fenomeni di accumulo sono noti solo per poche sostanze (biossido di
carbonio, metano), esistono evidentemente meccanismi con i quali le
sostanze immesse vengono modificate e/o rimosse. Perlopiu' le
molecole immesse nell'aria non sono ossidate o lo sono parzialmente.
Che l'ossidazione ulteriore si verifichi in atmosfera potrebbe
apparire scontato dato che questa e' costituita per oltre il 20 per
cento dall'ossigeno, la presenza del quale e' ovviamente necessaria
ma non sufficiente. Perche' si verifichi rapidamente l'ossidazione di
un composto stabile, ad esempio di un idrocarburo, e' necessario
fornire alle molecole una iniziale energia di attivazione (la fiamma
in un bruciatore a gas o gasolio, la scintilla in un motore a
benzina). E' quindi in apparenza incomprensibile che l'atmosfera
riesca a ossidare molecole anche molto stabili che di solito sono
sottoprodotti di reazioni di combustione, quindi sopravvissute a
condizioni termodinamiche molto piu' dure di quelle che si incontrano
nell'aria. Cio' e' dovuto alla presenza in essa di una serie di
reattivi in tracce: ozono, acqua ossigenata, frammenti radicalici,
particelle metalliche o carboniose oltre a radiazione ultravioletta
ad alta energia, il tutto rimescolato senza posa dalla gran macchina
eolica e solare. Infine esiste in natura una disponibilita'
illimitata della variabile tempo invece minimizzata nelle reazioni di
combustione. La natura, al contrario dell'uomo, non ha fretta. Questo
insieme di fattori chimici e fisici rende l'atmosfera un gigantesco
reattore chimico e un efficace impianto di abbattimento per la
maggior parte delle sostanze. Il problema dell'energia da fornire
inizialmente alle molecole stabili per portarle allo stato attivato
nel quale soltanto sono in grado di reagire, e' aggirato con due
meccanismi complementari. 1) La prima via si basa sulla
disponibilita' di radiazione ultravioletta in grado di scindere
alcune molecole (ozono, biossido di azoto, aldeide formica) in
frammenti di particolare reattivita' chimica chiamati radicali (OH,
O, HO2, NO3). Il fatto che questi frammenti e i composti
potenzialmente degradabili siano presenti in tracce rende improbabile
l'incontro e la reazione, ma la probabilita' aumenta con il tempo,
che replica senza posa gli incontri tra molecole. I frammenti
instabili citati sono in grado di promuovere reazioni con prodotti
anche molto stabili: paraffine, monossido di carbonio, idrocarburi
aromatici. Per ogni molecola esistono spesso diversi meccanismi
concorrenti di degradazione della struttura chimica e geometrica
spaziale e dei vari radicali con i quali essa interagisce. La
difficolta' di prevedere l'evoluzione anche di una singola specie e'
comprensibile quando si consideri che la velocita' delle varie
reazioni in concorrenza, quindi dei prodotti che si formano,
determinata oltre che dalle concentrazioni iniziali dei componenti,
anche da radiazione e temperatura (variabili con clima, quota,
latitudine, stagione, ora del giorno). Inoltre i prodotti di
degradazione derivanti dalle molecole di partenza possono reagire a
loro volta con reazioni e prodotti a cascata. Poiche' i soli
idrocarburi sono centinaia i derivati potrebbero essere migliaia. 2)
Il secondo grande gruppo di reazioni invece di avvenire col supporto
della luce solare e dei radicali avviene in soluzione acquosa
all'interno delle gocce che costituiscono i corpi nuvolosi. Molti
inquinanti si sciolgono con facilita' nelle gocce in fase di
crescita; nella soluzione sono sempre presenti anche ioni metallici o
materiali carboniosi, che rappresentano i nuclei attorno a cui si e'
verificata la condensazione della goccia; essi fungono da
catalizzatori naturali, facilitando le reazioni di ossidazione (ad
esempio il biossido di zolfo viene convertito in triossido di zolfo e
quindi in acido solforico, il biossido d'azoto in acido nitroso e
nitrico). Successive reazioni di neutralizzazione conducono alla
formazione di sali neutri o parzialmente acidi (solfati e nitrati di
calcio, di ammonio). Quando le gocce aggregandosi raggiungono
dimensioni sufficienti, precipitano trasferendo gli inquinanti
contenuti nella nube al suolo. Questo meccanismo, noto come
deposizione umida, e' il piu' efficiente con cui l'atmosfera si
depura degli inquinanti. Ironizzando su di un noto spot si potrebbe
dire «piu' ne mandi su (di inquinanti), piu' ne vengon giu'».
Insomma, esiste una chimica atmosferica dei cieli sereni e una delle
nuvole, una chimica diurna e una notturna, una chimica dei bassi
strati atmosferici dove abbondano le molecole da degradare ed e'
scarsa la radiazione ultravioletta e una dell'alta troposfera con
caratteristiche opposte. Come scrisse Shakespeare: «Vi sono piu' cose
in cielo, Polonio, di quante tu ne possa immaginare»; anche se certo
non si riferiva agli inquinanti. In definitiva da questo complesso
insieme di fenomeni emerge che gli inquinanti immessi in atmosfera
sono soggetti a una serie di reazioni che modificandoli possono
renderli talora significativamente piu' aggressivi e quindi piu'
pericolosi sia per l'uomo, sia, piu' spesso, per ecosistemi
vulnerabili (foreste e laghi su suoli acidi, coltivazioni di
particolare sensibilita'). L'atmosfera rischia di apparirci come un
vaso di Pandora nel quale conosciamo poco e male cosa viene
introdotto e ancora meno cosa puo' uscire. In linea generale,
tuttavia, la reattivita' dei composti degradati sinora identificati
indica che queste molecole sono caratterizzate da una vita breve, il
che impedisce un accumulo nell'ambiente aereo proporzionale alle
quantita' dei precursori emesse negli anni. I meccanismi di rimozione
dall'atmosfera delle molecole inquinanti trasferiscono tuttavia il
problema dall'ambiente aereo all'interfaccia suolo-atmosfera, dotata
di maggiori, ma pur sempre limitate, capacita' di assorbimento. Paolo
Natale
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. INCENDIO IN ORBITA
Americani ospiti della Mir
Malconcia la «casa» spaziale russa
OAUTORE GUIDONI UMBERTO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, incidenti, incendi
ONOMI BLAHA JOHN, KORZUN VALERI, KALERI ALEXANDER
OORGANIZZAZIONI MIR, SPACE SHUTTLE
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. La stazione Nir
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, accident, fire
UN piccolo incendio ha creato allarme l'altro ieri sulla stazione
spaziale russa Mir. Il problema e' stato prontamente risolto. Ma
rimane il fatto che le condizioni di Mir sono ormai molto degradate.
Le operazioni tuttavia continuano con regolarita'. Alcune settimane
fa John Blaha e' tornato a casa secondo il programma previsto, ma la
presenza americana su Mir continua con Jerry Linenger, che si e'
stabilito in quella che sara' la sua nuova casa fino a maggio. Blaha
ha rimesso piede sul nostro pianeta dopo 128 giorni passati in orbita
e un viaggio di oltre 7 milioni di chilometri attorno alla Terra. Il
momento piu' emozionante della missione e' stato senz'altro quello
dell'apertura del boccaporto che mette in comunicazione la cabina
dello Space Shuttle con la Mir. Lo scambio del rappresentante
americano a bordo della stazione russa e' stato solo uno degli
obiettivi della missione dello Shuttle Atlantis. La navetta spaziale
ha trasportato infatti un carico di tre tonnellate fra
equipaggiamento, materiale logistico e campioni che verranno usati da
Linenger e dai suoi colleghi russi per portare a termine gli
esperimenti previsti nei prossimi mesi. Utilizzando speciali
contenitori, l'equipaggio e' stato anche in grado di trasportare una
tonnellata di acqua dallo Space Shuttle ai serbatoi della stazione
spaziale. L'acqua e' un elemento preziosissimo a bordo e l'unica
fonte di approvvigionamento e' rappresentata dai razzi Proton che
periodicamente visitano la Mir per assicurare il supporto logistico.
Per varie ragioni, l'acqua e' sempre stata piuttosto scarsa e
soltanto con le visite dello Shuttle si e' avuto un rifornimento
idrico piu' che adeguato. La navetta spaziale usa «celle a
combustibile» per produrre l'elettricita' necessaria a bordo. Sono
dispositivi che utilizzano il combustibile dei motori - idrogeno e
ossigeno allo stato liquido - per generare energia elettrica
attraverso una reazione catalitica che fornisce, come sottoprodotti,
calore ed acqua. Normalmente entrambi vengono dispersi nello spazio
ma, nel caso delle missioni destinate alla Mir, l'acqua viene
raccolta per essere trasportata a bordo della stazione. Certamente la
microgravita' viene in aiuto di questi «facchini dello spazio» ed
anche una ragazza minuta come Marsha Ivins puo' consegnare a
domicilio, senza troppa fatica, i contenitori con oltre cento litri
d'acqua. Mentre lo Shuttle era attraccato alla Mir, i due equipaggi
si sono scambiati visite di cortesia e hanno avuto una discreta vita
sociale. Uno degli aspetti piu' interessanti di questo programma
russo-americano e' proprio nella possibilita' di lavorare insieme e
di mettere a confronto le proprie esperienze di vita di tutti i
giorni. Nei quattro mesi passati a bordo, Blaha ha avuto modo di
approfondire la sua amicizia con i due cosmonauti russi: Valeri
Korzun e Alexander Kaleri, che hanno condiviso con lui il periodo di
training di oltre un anno in Russia. «Durante i mesi di addestramento
a Star City abbiamo imparato a conoscerci» ha detto Blaha, «e una
delle cose piu' importanti che porto con me sulla Terra, dopo questa
esperienza a bordo della Mir, e' l'amicizia che si e' consolidata con
i due compagni di viaggio». Non sorprende quindi lo scambio di
abbracci che c'e' stato quando l'equipaggio americano e' tornato
sull'Atlantis dopo sei giorni sulla Mir. Prima di abbandonare
definitivamente l'orbita, la navetta ha compiuto due rivoluzioni
attorno alla stazione a una distanza di circa 150 metri per
effettuare una survey fotografica delle superfici esterne. La Mir e'
ormai alla fine della sua vita operativa e la manutenzione che gli
astronauti devono effettuare in orbita e' un elemento di primaria
importanza per la sicurezza dell'equipaggio. Blaha ha viaggiato in un
sedile speciale, quasi una culla, collocata nel compartimento
inferiore dello Shuttle. Disegnato per facilitare il riadattamento
alla gravita' terrestre dopo un prolungato periodo di microgravita',
questo sedile e' stato usato per la prima volta da Shannon Lucid, al
suo rientro dalla missione che ha stabilito il record di durata per
un astronauta americano. La reazione dell'organismo e' sempre
un'incognita. Anche se in orbita si osserva uno stretto protocollo -
con esercizi fisici quotidiani per mantenere il tono muscolare e
ridurre la decalcificazione ossea - con un monitoraggio costante, da
parte dei medici del centro di controllo di Mosca, c'e' sempre un
margine di incertezza su quali saranno le reazioni, una volta rimesso
piede sulla Terra. Gli organi di equilibrio sono saturati dalla
gravita' terrestre e mantenersi in piedi puo' essere a volte molto
difficile, almeno nelle prime ore dopo l'atterraggio. Ma nel caso di
Blaha, come d'altra parte per Lucid, non ci sono state grosse
sorprese e la loro esperienza sara' utilissima per gli altri
astronauti in lista di attesa per la Mir. L'Atlantis ritornera'
presto a visitare la stazione russa: a maggio partira' la missione
STS- 84, nel corso della quale l'astronauta Mike Foale dara' il
cambio al connazionale Linenger. Umberto Guidoni Astronauta
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. CEMENTO IN ASSENZA DI PESO
Una betoniera sullo Shuttle
OAUTORE RUSSO SALVATORE
OARGOMENTI tecnologia
OORGANIZZAZIONI MASTER BUILDER TECHNOLOGIES
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology
LE ultime novita' sul calcestruzzo e sui materiali cementizi non
arrivano da un convegno di accademici, ma da una recente missione
dello Shuttle. Al termine di un esperimento eseguito a bordo della
navetta spaziale si e' infatti avuta la conferma sulla possibilita'
di produrre cemento nello spazio. Non si tratta di un progetto
bizzarro, come forse si potrebbe immaginare ad un primo sguardo
superficiale, ma di un programma di ricerca molto ambizioso, iniziato
gia' ai tempi di «Apollo 16», quando il suolo lunare venne utilizzato
come aggregato da calcestruzzo. Le ricadute scientifiche, ma anche
commerciali, sono evidenti. In primo luogo la possibilita' di
confezionare un buon cemento in assenza di gravita' rilancia i
numerosi progetti di costruzione di basi fisse di ricerca sui
pianeti, e sollecita un approfondimento delle tecnologie costruttive.
D'altro canto, l'ambiente spaziale puo' essere ora immaginato come un
cantiere di lavoro autosufficiente, con il recupero sul posto di
aggregati e l'inizio delle procedure di miscelazione del cemento.
Qualche dato sull'esperimento. Lo studio e' stato eseguito su malta
di cemento di tipo Portland, mentre un analogo campione veniva
confezionato sulla Terra, seguendo le stesse procedure di impasto.
Tra gli obiettivi principali, la rilevazione per confronto della
resistenza a compressione e la valutazione mediante microscopio
elettronico dell'idratazione del cemento e degli eventuali effetti
della microgravita' sulla struttura della malta. L'impasto della
malta a bordo dello Shuttle si e' rivelato tutt'altro che semplice.
Per questo, la «Master Builder Technologies», che peraltro ha seguito
l'intero progetto, ha predisposto una camera di miscelazione
robotizzata, con un programma di lavoro gia' memorizzato: inizio
della fase di miscelazione due ore dopo il lancio, con un periodo di
8 minuti, 12 giorni di esposizione in ambiente con microgravita' e
temperatura costante pari a 20oC. Dopo 12 giorni di viaggio e 27 di
maturazione, il provino di malta di cemento Portland e' stato
sottoposto a prove meccaniche. La resistenza a compressione e'
risultata sensibilmente superiore nel campione confezionato a bordo
della navicella, con un valore pari a 52 Mpa (Megapascal) rispetto al
valore di 39 Mpa rilevato nel campione confezionato sulla Terra.
Secondo i ricercatori, cio' probabilmente e' dovuto a un processo di
idratazione piu' adeguato. Tra gli altri risultati, un buon livello
di indurimento, l'assenza di bolle d'aria e una perfetta
riconoscibilita' dello «scheletro» della microstruttura della malta.
Quest'ultimo dato e' particolarmente interessante: a differenza del
campione confezionato a Terra, quello miscelato in assenza di
gravita' sembra conservare la memoria completa del processo
formativo. Salvatore Russo
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. VITA DA GALLINE
Dal pollaio alla galera
La tortura degli allevamenti intensivi
OAUTORE BOZZI MARIA LUISA
OARGOMENTI zoologia, zootecnia
ONOMI STAMP DAWKINS MARIAN
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology, zootechnics
C'ERA una volta la gallina, il piu' felice degli animali domestici.
Qualche compagna, un gallo e un nido per le uova nell'aia polverosa
di un contadino era il meglio che potesse avere al mondo. Poi, dagli
Anni '60, e' salite la domanda di carni alternative e di uova.
Stipata in una batteria, o ammassata con altre 2000 galline in un
allevamento, la nostra e' precipitata in uno stato di assoluta
infelicita'. Ma in questi lager di sofferenza ha trovato un avvocato
difensore di grande prestigio: Marian Stamp Dawkins, l'etologa
dell'Universita' di Oxford che ha fatto del benessere degli animali
un principio etico da perseguire con approccio scientifico. Secondo
Marian Dawkins, un animale non prova soltanto sofferenza fisica per
una ferita o una malattia. Non diversamente da noi, prova dolore per
l'impossibilita' di soddisfare un bisogno, e ugualmente prova paura,
noia, frustrazione, fame: stati emotivi sgradevoli frutto della
selezione naturale che gli consentono di riprodursi e di sfuggire ai
predatori. Caso emblematico, l'infelice gallina e' diventata il suo
oggetto di studio, come Marian stessa ci racconta. «E' l'ultimo nella
scala dei valori degli animali domestici. Perdere un maiale, una
mucca o un cavallo per una allevatore non ha la stessa importanza che
perdere una gallina. Percio' il suo benessere conta veramente poco.
Poi, come ho iniziato a studiarla, ho scoperto che e' un animale
intrigante: ha una buona memoria, e' molto curioso, impara in fretta.
Riconosce chi lo accudisce e gli da' da mangiare. E ha una
ricchissima vita sociale». Ne da' un'idea il gallo della giungla
delle regioni asiatiche, considerato il progenitore di tutti i polli
domestici. Immaginate un galletto amburghese con qualche tocco di
rosso in piu', mettetelo a capo di un harem di 5 o 6 galline della
sua stazza e inquadrate il gruppetto in una foresta, dove vaga
compatto raspando nella lettiera alla ricerca di germogli di bambu'.
Di tanto in tanto gli animali si scavano una buca concedendosi un
bagno di polvere, che ha la funzione di liberare le penne dai
parassiti. Nel gruppo tutti si conoscono fra loro e ognuno sa qual e'
il suo rango e quello degli altri. Fra le galline esiste infatti un
ordine gerarchico, che viene stabilito e mantenuto a suon di beccate.
Trasportata nell'aia di un contadino, in migliaia di anni di vita
domestica una gallina non ha cambiato le abitudini piu' di tanto. Ha
continuato a far parte di un harem, dove ognuno si comporta secondo
le regole della gerarchia sociale. Solo se un animale nuovo entra nel
gruppo o se le galline vengono trasferite in un posto non famigliare,
si ristabiliscono i ranghi a suon di beccate. Ha continuato a raspare
per terra, a fare i bagni di polvere e a deporre le uova in un nido:
comportamenti naturali della sua specie che, come ha dimostrato
Marian Dawkins, equivalgono a bisogni. Come si conciliano queste
necessita' con le condizioni di un allevamento moderno?
Nell'allevamento in batteria ci sono 4 o 5 animali per gabbia. Quindi
la situazione sociale e' vicina a quella del gruppo naturale. Qui le
galline non possono raspare, ne' fare un bagno di sabbia, non hanno
un posatoio, ne' un contenitore dove deporre le uova. Pero' si
conoscono fra loro e non si azzuffano in continuazione. Invece negli
allevamenti di grandi dimensioni, compresi quelli all'aperto dove
sono libere di razzolare, si ha una situazione innaturale di migliaia
di galline costrette a vivere insieme. Per accedere al cibo,
all'acqua e ai nidi, una gallina deve muoversi da un posto all'altro
e incontrare in continuazione «facce» sconosciute. Risultato:
continue zuffe a suon di beccate. Una incomincia, e subito le vicine
la seguono accanendosi sulla vittima. Se una pollastra al primo uovo
perde sangue, viene assalita da una compagna, che e' attirata dal
colore rosso della ferita. Si ha il 10% di mortalita' per queste
aggressioni. Allora paradossalmente l'allevamento in batteria e'
migliore. In realta' nessuno dei due e' l'optimum. Certo le continue
beccate hanno conseguenze piu' gravi. In batteria si possono
controllare le malattie, pero' una gallina ha a sua disposizione
soltanto 450 cmq, la superficie di una pagina di una guida
telefonica, sufficiente per consentirle di stare accovacciata. Non
puo' allargare le ali, ne' correre, o starnazzare. Di conseguenza le
ossa sono molto fragili e le zampe spesso si rompono, quando una
gallina viene trasferita in una stia per il viaggio al macello. Con
2000 polli da maneggiare, un allevatore non puo' che andare per le
spicce, senza tanti riguardi. E non c'e' modo di ridurre
l'aggressivita' nei grandi allevamenti? In alcuni si ricorre
all'espediente di abbassare la luce. Dopo un periodo di oscurita'
completa, il «giorno» e' una grigia atmosfera dove gli animali
mostrano scarsa vitalita'. Neanche questa e' una buona soluzione. Non
sappiamo, perche' non e' stato studiato finora, se negli allevamenti
di massa si potrebbero diminuire gli svantaggi distribuendo i punti
di ristoro e i nidi in modo che si possano formare gruppi di animali
famigliari fra loro. A questo punto e' chiaro che la felicita' di una
gallina e' strangolata dalle regole di mercato. Potra' mai avere
condizioni piu' «umane», come le spetterebbe di diritto? Maria Luisa
Bozzi
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. OBESITA'
Si ricerca il «gene candidato»
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, genetica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, genetics
LE cause dell'obesita', cioe' dell'eccessivo e diffuso accumulo di
trigliceridi nell'interno delle cellule adipose con il conseguente
aumento della loro massa, sono molte. Oggi si studia in particolare
la genetica dell'obesita'. La definizione di obesita' fa riferimento
a un limite convenzionale, peraltro difficile da stabilire. Apposite
tabelle indicano i pesi «desiderabili» per le varie eta' in rapporto
all'altezza. In genere si considera obeso colui nel quale l'accumulo
di trigliceridi supera del 20 per cento il peso «desiderabile».
L'obesita' non e' soltanto un inconveniente estetico; accresce anche
i rischi per la salute: cardiopatia coronarica, ipertensione,
diabete, calcoli biliari, artrosi. Le cause sovente si intrecciano
fra loro: mangiare troppo, sedentarieta', difetti del metabolismo,
fattori genetici. A proposito di questi ultimi, in una popolazione
omogenea socio- economicamente i fattori genetici devono essere
importanti nel determinare l'obesita'. Si calcola che il 20% degli
europei e dei bianchi degli Usa fra i 20 e i 60 anni siano obesi, ma
si arriva al 40% se si considerano le donne dell'Europa dell'Est e
del Mediterraneo e le donne di colore degli Usa. In certi Paesi
dell'Asia e dell'Africa l'obesita' e' meno frequente, 10-15%, in Cina
il 7%, in India addirittura il 3%, nell'America del Sud e nei Caraibi
invece e' prossima a quella degli europei. Vi sono poi casi
particolari come gli abitanti della Melanesia, della Micronesia e
della Polinesia: il 70% delle donne e il 65% degli uomini dell'isola
di Nauru, in Micronesia, sono obesi. Certamente qui i fattori
genetici prevalgono. Negli ultimi tempi i genetisti hanno fatto
indagini sui gemelli, gli adottati, e vari membri di famiglie con
casi di obesita'. Sembra che l'ereditarieta' dell'indice della massa
corporea (Body mass index, Bmi = peso-statura) sia compresa fra il 25
ed il 40%. In una ricerca svolta da Bouchard a Quebec dodici coppie
di gemelli ricevettero per 100 giorni mille calorie in piu' delle
loro necessita' abituali: vi fu un aumento significativo del peso e
del tessuto adiposo, ma con importanti differenze, non casuali bensi'
caratteristiche dei due membri di ciascuna coppia. Nel genotipo vi
sarebbe dunque la spiegazione dei mutamenti del peso e della massa
adiposa in seguito ad una prolungata modificazione del bilancio
energetico. L'obiettivo e' identificare i geni dell'obesita'. Il
metodo piu' comune e' quello del «gene candidato», ossia un gene il
cui prodotto possa essere implicato nei processi fisiopatologici che
determinano l'obesita'. Le tecniche di biologia molecolare permettono
di individuare numerosi geni coinvolti nello sviluppo d'un eccesso di
massa grassa: geni corresponsabili della termogenesi, del metabolismo
del tessuto adiposo. Parecchie associazioni sono state descritte ma
l'interpretazione e' delicata. Ricerche sono in corso attualmente in
molti laboratori. E' importante lo studio di animali aventi nella
loro patologia, a somiglianza dell'uomo, l'obesita'. Vi sono topi che
possono manifestare precocemente una obesita' accentuata, associata a
iperfagia e riduzione dei consumi energetici. E' stato identificato
con la sigla ob un gene (Y. Zhang e altri su Nature, 1994) nel
cromosoma 6, da ritenere per molte ragioni responsabile in quanto, se
alterato, non codificherebbe una proteina importante per la
regolazione del peso (J. Halaas su Scien ce, 1995). La
somministrazione di questa proteina al topo produce in due settimane
una perdita di peso del 30%, associata a una riduzione del consumo di
cibo e a un aumento dei consumi energetici, probabilmente per
un'azione a livello dell'ipotalamo. J. Friedman ha proposto di
chiamarla «leptina» (ormone dell'esilita'). Sono ricerche all'inizio
ma in pieno sviluppo. Certamente, ripetiamo, il numero dei geni in
rapporto con l'obesita' e' elevato. Per il momento non si puo'
parlare di identificazione dei predisposti, tuttavia la genetica
dovrebbe condurre a una migliore comprensione, cellulare e
molecolare, dell'obesita', da cui potrebbero derivare nuovi indirizzi
terapeutici fondati su precisi meccanismi fisiopatologici. Ulrico di
Aichelburg
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ALBERI E ACQUE
Dai suoni della natura alla musica nei parchi
OAUTORE ACCATI ELENA
OARGOMENTI ecologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology
IL giardino - come disse Ionesco - e' un viaggio attraverso paesaggi
reali o immaginari visitati o sognati. E' bello entrare in un
giardino o in un parco semplicemente per vederlo, per scoprirlo. Da
quell'incanto dovremmo lasciarci aiutare a svolgere la nostra storia
interiore, la nostra avventura, leggendo i messaggi del mondo
naturale. Uno di questi messaggi ci viene dal suono prodotto dal
vento che stormisce tra le fronde degli alberi o soffia impetuoso,
dagli uccelli, dall'acqua che saltella da un sasso all'altro,
zampilla dalle fontane, scorre in percorsi piu' o meno serpeggianti,
si infrange in cascate spumeggianti. La storia del giardino e'
profondamente legata all'acqua, interpretata nelle varie nazioni e
lungo i secoli in modi diversi: nei climi caldi del Medio ed Estremo
Oriente con le grandi vasche coltivate a ninfee; come simbolo di
tranquillita' e perfezione nel giardino cinese e giapponese.
Nell'Europa medioevale la sorgente e il pozzo diventano il punto
focale del giardino claustrale: l'acqua e' elemento purificatore,
mentre la vasca con le carpe e' fonte di cibo e lo stagno in cui il
martin pescatore si tuffa a caccia delle sue prede e' luogo di
divertimento. In Spagna le fontane e i cortili dell'Alhambra con le
loro acque aggiungono vitalita' e suono a un superbo complesso che
altrimenti avrebbe un aspetto rigido e severo. Con il Rinascimento e
poi il periodo barocco l'acqua raggiunge il suo apice di impiego in
Italia e in Francia grazie all'abilita' di scenografi e di ingegneri
idraulici che seppero creare giochi d'acqua, teatri d'acqua, scherzi
d'acqua insuperabili. Basti pensare a Villa d'Este a Tivoli, modello
imitato in tutta l'Europa per le affascinanti melodie del Viale delle
Cento Fontane, della Fontana del Drago, dell'Ovato, della Natura e di
Nettuno. Qui si trova il celebre organo idraulico, un automa
costruito con grande arte che per mezzo dell'aria spostata dal
precipitare di cascate d'acqua faceva risuonare delle canne d'organo
e metteva in movimento delle figure. A Villa Lante a Bagnaia, nel
Lazio, in una villa di campagna realizzata per il Cardinal Gambara,
l'acqua scorre lungo una catena di pietra dalla forma di gambero.
All'Isola Bella, sul Lago Maggiore, in dieci terrazze a forma di
piramide tronca, abbellito da vasche e fontane si snoda il giardino
barocco piu' importante d'Italia; qui il Verbano, il Toce, il Ticino
e due Ninfe acquatiche zampillano da una costruzione a forma di
conchiglia. A Pegli, a Villa Durazzo Pallavicini, il Canzio aveva
realizzato i famosi giochi d'acqua nascosti tra la vegetazione:
manovrando alcuni congegni, i visitatori ignari venivano investiti da
spruzzi di acqua creando meraviglia e trambusto. L'uso dell'acqua a
Versailles ha raggiunto l'aspetto piu' spettacolare: pompe e mulini
portavano l'acqua dalla Senna per fare funzionare ben 1400 fontane!
Con l'avvento del giardino inglese, l'acqua ha assunto aspetti piu'
naturali: furono scavati grandi laghi, creati canali, valli furono
chiuse da dighe, il paesaggio veniva ridisegnato. Oggi l'acqua rimane
il sogno di molti progettisti: con essa si ottiene una maggiore
vitalita' e flessibilita' nel disegno del giardino e del parco,
consentendo anche l'inserimento di specie interessanti, come la
Brunnera, una pianta rustica con foglie a forma di cuore e minuscoli
fiori di colore blu, o la Gunnera manicata, celebre per la dimensione
delle sue foglie (e' infatti la specie a foglie piu' grandi che si
possa fare crescere nel giardino), o la Hosta fortunei, dalle foglie
grigio verdi, o la Caltha palustris dalle foglie a forma di cuore con
fiori simili a piccoli ranuncoli. Sul tema del suono nei parchi, per
iniziativa dell'associazione La Nuova Arca, il 21 e 22 marzo si
terra' negli studi televisivi della Rai di Torino, in collegamento
con la Columbia University (New York) e l'Istituto italiano di
cultura a Los Angeles, il convegno «Accordi incidentali».
Parallelamente al convegno viene rivolto l'invito a compositori
europei di realizzare opere musicali ispirandosi ai parchi della
Regione Piemonte. Elena Accati Universita' di Torino
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PSICHE E CUORE
Stress artificiale in laboratorio
OAUTORE QUAGLIA GIANFRANCO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, psicologia
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE MAUGERI
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, psychology
STRESS e patologie cardiovascolari, stress e infarto. In un
laboratorio sulle colline del Novarese si riproducono emozioni e
sensazioni sgradevoli per verificare quanto un soggetto e' a rischio
e sino a che punto ci sia una correlazione tra psiche e cuore. Alla
Clinica di Veruno Fondazione Maugeri, l'unico centro in Piemonte
specializzato in medicina riabilitativa qualificata, il laboratorio
per lo studio dello stress e del sistema nervoso autonomo si avvale
di medici e psicologi e di una strumentazione preparata da
bioingegneri in grado di captare anche le minime reazioni cardiache.
Una camera ovattata e insonorizzata, il paziente disteso sul lettino
con i sensori applicati a torace-braccia-mani-dita-caviglie e
collegati a monitor, sfigmomanometro, elettrocardiografo. Muti i
telefoni, luci soffuse e sottofondo musicale dolce. Insomma, tutte le
condizioni di relax che trasmettono a uno dei monitor il segnale
prevalente del sistema vago rispetto a quello simpatico: la
dimostrazione che il paziente e' in condizioni di riposo. A questo
punto il test assume una svolta imprevista, e a sorpresa, con
l'intervento di una psicologa che riproduce per il soggetto una
condizione disagevole e opprimente. S'inizia con un calcolo
aritmetico: «Che cosa fa 1013 meno 17, risponda veloce, non ci
pensi... ha sbagliato, ricominciamo daccapo... piu' veloce, impiega
troppo tempo». E via di seguito in rapida successione. Uno stress
mentale che dura una decina di minuti e che coinvolge emotivamente il
paziente, il quale non riesce ad arrivare sotto la soglia dei 960, ma
quasi sempre sbagliando e ricominciando. La psicologa e' riuscita a
riprodurre in laboratorio una condizione abbastanza comune di vita
quotidiana, quando dobbiamo confrontarci con un superiore o non siamo
in grado di rispondere con calma e in modo adeguato a una situazione,
appunto, di stress. Ed ecco la reazione dell'organismo, che i medici
definiscono «distress»: mentre la frequenza cardiaca oscillava fra i
64 e i 74 battiti, la pressione arteriosa e' passata - in quei dieci
minuti che sembravano opprimenti e interminabili - da 115 a 140. E
anche la curva del sistema simpatico ha avuto un'impennata,
annullando quello vago. Seconda fase. L'«intervista strutturata», che
comprende altri coinvolgimenti emotivi, riguardanti la vita privata
(situazione finanziaria, rapporti di lavoro, relazioni affettive,
sfera sessuale): ma sempre sotto l'incalzare ferreo della psicologa.
Gli effetti dell'attivazione psico-emotiva sono essenziali quando, di
fronte a soggetti affetti da cardiopatia ischemica, diventano
essenziali per analizzare le risposte normali o patologiche. Il test
comprende anche lo «Stroop color word», che richiede il
riconoscimento del colore di una parola, in contrasto con la tendenza
(piu' forte) di denunciare il significato della parola stessa.
Gianfranco Quaglia
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. In cucina
Il legno batte la plastica
OAUTORE CAMPANA STEFANELLA
OARGOMENTI tecnologia, alimentazione
OORGANIZZAZIONI ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA', FEDERLEGNO, JOURNAL OF FOOD
PROTECTION
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology, nourishment
MEGLIO il buon vecchio tagliere di legno o quello di plastica ormai
sempre piu' diffuso? Quale materiale offre maggiori garanzie contro
il rischio di contaminazioni da parte di microorganismi? Questo umile
ma utile strumento di lavoro che troviamo nelle nostre cucine, nei
ristoranti, nelle macellerie e nei grandi mattatoi e' stato al centro
di un'accesa diatriba che ora, finalmente, dovrebbe essere superata
da una direttiva europea in procinto di essere accolta dalla
legislazione italiana. Una direttiva - spiegano alla Federlegno,
l'associazione investita del problema - che non si schiera a favore
di uno dei due materiali, ma semplicemente precisa come i taglieri,
non importa se in legno o in plastica, devono essere accuratamente
puliti dopo il loro uso. Anche l'Istituto Superiore di Sanita', che
si era avvalso della consulenza del professor Caserio
dell'Universita' di Bologna, nel rispondere al quesito della
Federlegno era arrivato alla stessa conclusione della Direttiva
europea. L'Istituto, dopo aver ricordato che la legislazione italiana
vieta l'utilizzo del legno negli stabilimenti di sezionamento e
disosso e nei macelli riconosciuti (decreto legislativo n. 286 del 18
aprile '94), ma al contrario consente l'uso di ceppi, taglieri e
superfici di legno nelle macellerie, spacci di salumerie e
gastronomia, cucine e ristoranti - riferiva una lettera del ministero
della Sanita' indirizzata alla Federlegno. In questa si precisava che
«l'utilizzo dei taglieri in legno come di quelli costituiti da altri
materiali e' comunque subordinato ad una loro accurata sanificazione
dopo l'uso, attraverso idonee operazioni di pulizia». Come dire che
la contaminazione di germi patogeni dagli alimenti alle superfici, e
viceversa, e' sempre in agguato se non ci si attiene alle debite
attenzioni di pulizia e igiene nonche' alle operazioni di ordinaria
manutenzione, ovvero raschiamento con coltello e con spazzola,
disinfezione, raschiamento finale con spazzola. Comunque, stando al
verdetto dell'Istituto Superiore della Sanita', non c'e' differenza
di rischio microbiologico tra un tagliere in plastica e uno in legno.
Ma c'e' chi, invece, spezza una lancia a favore di quelli in legno.
Uno studio pubblicato nel 1994 sul «Journal of Food Protection» si
schierava a favore dei taglieri di legno in quanto prove sperimentali
di contaminazione avrebbero messo in evidenza una minore carica
batterica rispetto a quelli in plastica. Non solo. Sempre secondo la
stessa pubblicazione, i batteri presenti sul grasso residuo sarebbero
eliminati piu' facilmente pulendo i taglieri in legno con acqua
bollente, a differenza - sempre secondo la stessa rivista - delle
superfici in plastica, che rimarrebbero piu' profondamente incise
dalle lame dei coltelli. Anche una ricerca effettuata in due giorni
(31 maggio e 3 giugno '96) sui taglieri in uso presso la cucina
centrale dell'ospedale regionale di Bolzano (in legno di faggio e in
teflon) ha portato un contributo di chiarezza. E ha confermato le
conclusioni dello studio riportate dal «Journal of Food Protection».
A 18 ore dalla pulizia con strigliatura e bruciatura con alcol dei
taglieri non erano emerse sostanziali differenze di rischio
microbiologico. Eppure il tagliere di legno si aggiudicava una
piccola vittoria nei confronti del piu' «moderno» tagliere di
plastica: risultava infatti, al termine della fase di lavorazione
delle carni, meno colonizzato da microorganismi. Stefanella Campana
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. MULTIMEDIA
Enciclopedie e atlanti ormai tutto in cd-rom
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI elettronica, comunicazioni, didattica
OORGANIZZAZIONI RIZZOLI
OLUOGHI ITALIA
ONOTE «Grande Atlante del corpo umano»
OSUBJECTS electronics, communication, didactics
L'ULTIMA generazione dell'era di Gutenberg, cioe' quella cresciuta
esclusivamente sulla carta stampata, ha ben presente il problema
delle enciclopedie: invecchiano. La lotta contro le rughe
enciclopediche e' frustrante. Quando l'opera esce, alcuni personaggi
registrati come viventi sono gia' morti. Nuove scoperte sono avvenute
in ogni settore scientifico. Personalita' emergenti non esistono
ancora tra le voci registrate. Confini geografici sono cambiati.
Regimi politici sono caduti. Le redazioni provvedono agli
aggiornamenti, e' vero. Ma e' sempre difficile mettere insieme i vari
pezzetti che periodicamente vanno a formare i volumi di
aggiornamento. Oggi accanto alle enciclopedie su carta, che peraltro
rimangono indispensabili, incominciano ad affermarsi quelle su
cd-rom. E qui il problema dell'invecchiamento puo' trovare la sua
cura radicale. E' il caso dell'«Enciclopedia Rizzoli 97»: ogni mese
puo' essere aggiornata accedendo a un archivio su Internet. Le voci
possono cosi' seguire l'evoluzione dell'attualita' in tempo quasi
reale. L'opera, che costa 199 mila lire e richiede un personal
computer di prestazioni modeste (8 MB di Ram, lettore di cd-rom a
doppia velocita'), ha una base informativa di 70 mila lemmi, di cui
il 60 per cento enciclopedici e il 40 per cento lessicali. Ben 15
mila immagini, un'ora di documenti audio, 30 minuti di documenti
video, una cronologia e 250 cartine geografiche interattive integrano
i testi. E poiche' l'opera si rivolge ai giovani, contiene anche vari
giochi di apprendimento. La Rizzoli affianca la sua enciclopedia
multimediale a molti altri cd-rom progettati con specifiche finalita'
didattiche: un «Atlante del mondo» con 4 ore di audio e duemila
animazioni e illustrazioni; un «Grande Atlante del corpo umano» con
90 mila termini e 100 animazioni; un «Grande Atlante della scienza»
con 80 mila parole e due ore di audio; una storia delle 200 piu'
comuni invenzioni, intitolata «Funziona cosi'»; un «Grande Atlante
della natura»; una «Enciclopedia dei minerali» che si avvale di 60
modellini animati. Insomma: quella che va delineandosi e' una vera e
propria biblioteca scolastica multimediale. Le distanze tra i
videogiochi e i cd-rom didattici si accorciano sempre piu'. La
grafica e le varie interfacce sono quasi sempre molto accattivanti e
ben progettate per favorire la «navigazione» attraverso gli
ipertesti. La possibilita' di stampare le pagine che interessano
consente agli studenti di riorganizzare le informazioni in «ricerche»
personalizzate. Non si pensi pero' che questi preziosi strumenti
didattici rendano inutili i libri e le lezioni: anzi, presentando un
sapere fortemente destrutturato, esigono piu' che mai una guida alla
visione critica e d'insieme delle informazioni presentate. Senza
questo inquadramento, c'e' il rischio che lo studente apprenda molte
nozioni, ma in modo appiattito, senza la capacita' di valutarle e di
disporle in un ordine gerarchico. Un insieme di nozioni,
ricordiamocelo, non e' di per se' una garanzia di cultura. Piero
Bianucci
ODATA 26/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA
LE PAROLE DELL'INFORMATICA - A
OGENERE rubrica
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS computer science
Analogico. E' analogico un apparato di elaborazione o comunicazione
che opera su segnali i quali riproducono la forma del fenomeno fisico
che si vuole rappresentare. Per esempio, la tradizionale telefonia e'
analogica perche' il segnale elettrico che viene trasmesso sul filo
riproduce con continuita' la forma dell'onda di pressione che
l'apparato vocale di chi parla - polmoni, corde vocali, cavo orale e
nasale, lingua, labbra - produce nell'aria. Il concetto di analogico
e' generalmente contrapposto a quello di digitale o numerico
caratterizzato dalla trasmissione di soli numeri che rappresentano
generalmente i valori dei segnali a intervalli regolari di tempo. Ad
esempio, nella telefonia digitale della rete ISDN, Integrated
Services Digital Network, ormai diffusa sull'intero territorio
nazionale, la voce viene trasmessa come successione di 8000 numeri al
secondo. Questi numeri rappresentano i valori del segnale a
intervalli regolari di tempo. Un orologio a lancette puo' essere
considerato analogico, perche' le lancette si spostano con
continuita', mentre un orologio a indicazione numerica dell'ora e'
evidentemente uno strumento digitale. La tecnologia digitale consente
una qualita' piu' elevata di quella analogica, per cui in prospettiva
le tecnologie analogiche oggi ancora dominanti - telefono, radio,
televisione - verranno progressivamente sostituite dalle
corrispondenti tecnologie digitali. Un calcolatore analogico e' uno
strumento usato per modellare la realta' e le sue leggi con tecniche
analogiche, ossia che utilizza componenti generalmente elettronici
per trattare segnali variabili con continuita'. Ad esempio, un
sommatore analogico e' un circuito elettronico a due ingressi e
un'uscita, il cui valore di tensione e', istante per istante, uguale
alla somma dei valori dei segnali di tensione applicati agli
ingressi. La maggior flessibilita' e facilita' di programmazione dei
calcolatori numerici (o digitali che dir si voglia) ha praticamente
determinato la scomparsa dei calcolatori analogici dalla scena
dell'informatica.
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SU INTERNET UNA FARMACIA PERICOLOSA
OAUTORE GIACOBINI EZIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, informatica
OORGANIZZAZIONI INTERNET
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, computer science
VI sentite depressi e volete curarvi da soli senza l'aiuto di uno
psichiatra? Volete abbassarvi la pressione arteriosa senza ricorrere
all'ordinazione di un farmaco? Volete condurre da sole una terapia
antitumorale avanzata? O piu' semplicemente volete farvi una buona
scorta di melatonina, la pillola magica contro l'invecchiamento?
Ebbene, oggi non avete piu' bisogno di ricorrere al medico per una
ricetta e al farmacista per l'acquisto poiche' basta che usiate un
codice di accesso Internet e una lunga lista di medicamenti apparira'
sullo schermo del vostro computer. Potrete acquistare liberamente
potenti antidepressivi senza ricorrere al medico per una ricetta ed
un dosaggio. Troverete la pubblicita' di varie ditte europee
specializzate nella vendita mediante messaggeria computerizzata
(e-mail) che si vantano di potervi fornire a domicilio anche i
farmaci piu' difficili a reperire nelle farmacie a prezzi
concorrenziali. Vi si informera' che troverete di tutto, comprese le
«smart drugs» a prezzi inferiori a quelli praticati negli Stati
Uniti. Dopo aver fatto la vostra ordinazione sul computer occorrera'
attendere una decina di giorni. Potrete regolare il conto con un
assegno o tramite una carta di credito. In ogni caso non vi sara' mai
richiesta una ricetta medica, una giustificazione o una qualsiasi
informazione sul vostro problema di salute o di motivare il vostro
bisogno di usare ad esempio dell'ormone umano dell'accrescimento
(indicato solo per certi tipi di nanismo e di difficile dosaggio) o
degli antitumorali potentissimi e molto tossici (addirittura mortali
senza controllo adeguato). Il governo francese e la commissione
intercantonale svizzera di controllo dei medicamenti (Oicm) hanno
espresso una seria preoccupazione per il fatto che il 75 per cento
dei farmaci posti in vendita sulle liste Internet risultino
potenzialmente pericolosi se somministrati per motivi non ben
giustificati (diagnosi medica inaccurata), dosaggio inesatto
(possibilita' di effetti tossici gravi a dosi troppo alte anche
mortali o mancanza totale di effetto a dosi inadeguate) e paziente
sbagliato per eta' o per condizioni generali. Tenendo poi conto della
possibilita' di interazioni di questi farmaci con altri farmaci
assunti contemporaneamente dal paziente (sono numerosi i pazienti
anziani con un numero medio di 5 farmaci al giorno) o di
controindicazioni particolari (allergie, gravidanze) si puo' arrivare
senza il controllo del medico a un limite di estrema pericolosita'.
Il comitato Oicm svizzero ha preparato a questo proposito un
documento molto circostanziato con il quale si richiede d'urgenza una
legge internazionale che legiferi a livello mondiale su questo grave
problema che minaccia la salute pubblica di molti Stati europei
inclusa la Gran Bretagna e gli Stati Uniti dove sono fiorite per
prime iniziative commerciali dette «home products» (prodotti da
ordinare in casa) e «home shopping pharmacy» (farmacie casalinghe)
per ordinazioni di farmaci via computer. Scorrendo la lista apparsa
sul mio computer mi rendo conto della pericolosita' costituita dal
fatto che un paziente possa ottenere senza guida alcuna farmaci
contro l'ipertensione cosi' potenti da procurare un collasso
cardiovascolare ad una sola dose in una persona in buona salute (non
vogliamo pensare a un anziano), oppure provocare uno stato
confusionale acuto o di ipertensione arteriosa polmonare nel caso
della fenfluramina, un anorettico di tipo amfetaminico proibito in
Francia (al di fuori degli ospedali) e in altri Paesi per il pericolo
di farmacodipendenza e ora venduto liberamente su Internet. Che cosa
dire dell'inganno permanente delle «smart drugs» reclamizzate su
Internet per «migliorare l'intelligenza, aumentare la memoria e
affinare la concentrazione», effetti in realta' mai dimostrati
nell'uomo con studi clinici controllati? Pare quindi particolarmente
urgente visto il pericolo di automedicazione di farmaci via computer
informare ed educare il pubblico (via mass media e sulla stessa rete
Internet che li reclamizza) sui pericoli ed i rischi di tale pratica
prima che si diffonda l'uso del «fatevi da soli la farmacia in casa».
Ezio Giacobini
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
INTERNET & SALUTE
Consulti virtuali
In aiuto al medico
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, informatica
OORGANIZZAZIONI INTERNET
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, computer science
ANCHE nel futuro del medico c'e' una societa' dell'informazione e
della comunicazione, dunque l'informatica. E non e' il caso di
esclamare indignati, come ancora qualche volta accade: «La diagnosi
la faccio io, non la macchina!». Infatti l'elaboratore non fa le
diagnosi, come non scopre nuove verita' scientifiche o non crea opere
d'arte. Nell'informatica - diciamo cose che tutti sanno -
l'essenziale non e' lo strumento ma l'algoritmo, il software, cioe'
l'insieme dei procedimenti e dei programmi di elaborazione per
rendere possibile l'automazione della soluzione di un determinato
problema. In altri termini, l'elaboratore non fa la diagnosi ma pone
in evidenza legami tra fatti in apparenza indipendenti, traduce il
caos di dati in informazioni strutturate e ordinate, e' lo strumento
di chi vuole «mettere insieme» le cose. Secondo gli ultimi dati oltre
l'80 per cento dei medici in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi usa un
computer per gestire i dossier e le comunicazioni con l'esterno. Ma
questa micro-informatica, il personal computer, non basta piu'
all'evolversi dei tempi. Comincia l'era delle reti per connessioni
telefoniche (network com puter), e all'origine di questa evoluzione
c'e' lo sviluppo esplosivo della comunicazione on-line, la quale puo'
fornire l'informazione desiderata. Lo sviluppo delle reti, e la
connessione alla rete delle reti, cioe' Internet, passaggio obbligato
per interrogare le banche di dati, aprono le porte all'accesso
illimitato all'informazione. Le reti dei dati e le reti delle
conoscenze sono le due espressioni della comunicazione «in linea» nel
campo della medicina, e l'attivita' del medico ne sara' sempre piu'
profondamente influenzata. E' sufficiente questo per dire che la
«verita'» uscira' dalle reti? Certamente no, ma il passaggio dalla
scheda al documento elettronico, dall'enciclopedia allo schermo,
sara' importante. L'informatica medica permettera', ad esempio, di
quantificare il valore indicativo di un sintomo o di un esame di
laboratorio: un aspetto fondamentale dell'esercizio della medicina. E
ancora, puo' aiutare il medico o il chirurgo a definire una strategia
ottimale di terapia ed a realizzarla. Ma soffermiamoci un attimo su
un'attivita' essenziale, la presa d'una decisione. Il medico,
continuamente costretto a decidere, sovente in condizioni di
incertezza, ha sempre cercato un modo di procedere, per esempio
appellandosi a strumenti matematici quali la teoria delle
probabilita': la probabilita' delle diagnosi possibili e delle
conseguenze della decisione. L'elaboratore si spinge oltre, serve a
comporre il problema, a fornire le conoscenze e i dati utili, non
basandosi unicamente su strumenti matematici ma su altre possibilita'
quale l'intelligenza artificiale. Lo scopo di quest'ultimo e'
realizzare sistemi «intelligenti», ossia elaboratori non soltanto
esecutori di algoritmi forniti dall'uomo ma capaci di costruire essi
stessi gli algoritmi per risolvere problemi. Si ha cosi' un sistema
informatico che integra le conoscenze del medico ed e' in grado di
coltivarle - di «ragionare» - imitando il procedimento dello
specialista. Tale sistema permette la manipolazione di grandi
quantita' di informazioni, anche imprecise e incerte. Cio' modifica
sensibilmente la situazione nella quale il medico prende la sua
decisione. Naturalmente si e' ancora lontani dal possedere quei
sistemi ideali che si vorrebbero, ma gia' numerosi sono i progetti,
per esempio Aim (Advanced In formatics in Medicine). Va da se' che
rimarra' sempre al medico il compito di utilizzare l'informatica col
senno che usa con le altre sue fonti d'informazione. Ulrico di
Aichelburg
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TRA LATINO E RICERCA
Pregiudizi sulla scienza
Riforma scolastica e geni incompresi
OAUTORE REGGE TULLIO
OARGOMENTI ricerca scientifica, didattica
ONOMI BERLINGUER LUIGI, ANTISERI DARIO, DI TROCCHIO FEDERICO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS research, didactics
LA proposta del ministro Berlinguer di rendere facoltativo il latino
ha scatenato un mare di proteste che ricalcano in parte difese
d'ufficio ormai logore ma anche nuovi punti di vista sul ruolo che il
latino potrebbe avere nella scuola del futuro. Dario Antiseri
sostiene sul Corriere della Sera che tradurre (dal latino) e' «au
tentico lavoro scientifico» mentre non lo e' di regola l'insegnamento
delle scienze basato sull'esercizio che «non deve in ventare niente,
non deve di scutere, non deve sbagliare». Dal suo intervento deduco
che Antiseri ha avuto un insegnante di alto livello che ha fatto
amare il latino ai suoi allievi. Vorrei che questo accadesse piu'
spesso anche e soprattutto nelle materie scientifiche, il cui
insegnamento, ai tempi in cui frequentavo il liceo scientifico, era
ridotto in uno stato deplorevole. Non condivido invece il giudizio da
lui espresso sull'insegnamento della scienza, che richiama le
condanne sommarie di Capanna. Inoltre non tutti gli insegnanti sono
pari al compito, ne ho incontrati alcuni capaci di far odiare una
materia qualsiasi e a volte mi reputo fortunato per non avere
studiato storia della musica al liceo: se l'avessi fatto forse
detesterei Mozart. Non accetto la traduzione di testi antichi come
lavoro scientifico se non nei casi eccezionali in cui venga eseguita
da personaggi di alto livello dotati di ampia visione storica. Il
commento di Antiseri illustra invece molto bene la visione distorta
della scienza che ancora caratterizza vasti settori della cultura
italiana. In primo luogo non possiamo ridurre d'imperio la scienza a
sterile esercizio come non possiamo ridurre il lavoro del medico alle
analisi cliniche o la musica al solfeggio. Esistono esercizi noiosi,
e altri che permettono varianti di grande interesse; esistono grandi
letture, anche in latino, che ci aprono la mente ai grandi problemi
ma che vengono regolarmente censurate nei licei. La riforma Gentile
ha eretto barriere di ogni tipo per impedire che la scienza alzasse
la cresta e avesse dignita' di cultura. La scienza e' anche
sentimento di meraviglia, ben illustrato da Platone e da Aristotele,
davanti alle cose che ci circondano e il desiderio di vederle e
interpretarle sotto punti di vista inaspettati e che la traduzione di
un testo di Tacito non puo' darci. Tutto questo illustra i limiti di
un insegnamento basato esclusivamente sul primato e sulle virtu'
taumaturgiche del latino, una lingua che ha regnato per quasi 25
secoli ma da cui i latinisti hanno depennato con inaudita
meticolosita' e ferocia gli ultimi 15 secoli, tra cui quelli in cui
e' nata la scienza contemporanea. In breve, il latino e' oggi lingua
morta assassinata dagli stessi latinisti, che dopo averlo imbalsamato
continuano ostinatamente a proporlo come lingua internazionale negli
scambi scientifici senza essersi mai degnati di leggere un solo
paragrafo dei Principia di Newton o del Sidereus Nuncius di Galileo
Galilei. Un altro sintomo del permanere di pregiudizi antiscientifici
viene dal libro «Il Genio Incompreso» di Federico Di Trocchio
(Mondadori), dove viene illustrata la continua persecuzione delle
eresie scientifiche da parte della scienza ufficiale. L'autore dedica
vari capitoli a personaggi come il matematico Evariste Galois, morto
a 22 anni in duello e a cui si fa risalire la prima formulazione
della teoria dei gruppi. Di Trocchio dedica un intero capitolo a
Velikovsky, definito come «doppio di Einstein», e non manca di citare
Arp, portato in palma di mano da un esercito di eretici. Molti di
questi episodi sono ben noti e scavando nella mia memoria potrei
aggiungerne altri. L'impressione che si ricava dal libro e', come al
solito, che gli scienziati siano i veri depositari dell'intolleranza.
Di Trocchio non si rende conto che gli scienziati sono dopotutto
uomini con tutte le loro debolezze e virtu' e che episodi simili a
quelli riportati nel libro si ritrovano in tutte le attivita' umane,
nessuna esclusa. Van Gogh mori' in miseria, una nota casa editrice
rifiuto' Il Gatto pardo, la grandezza di Bach fu riconosciuta
solamente un secolo dopo la sua morte. Il principe Eugenio di Savoia
fu snobbato dal Re Sole e chissa' quanti dirigenti d'azienda di alto
livello sono stati licenziati perche' vedevano lontano. Nella ricerca
come in tutto il nostro vivere dobbiamo prendere delle decisioni su
dati incompleti e possiamo sempre sbagliarci. A parte qualche
intrigante nessuno nega che il sistema attuale di finanziamento della
ricerca faccia acqua da tutte le parti e che in particolare i
concorsi a cattedra e per ricercatori, a volte preda del nepotismo
piu' sfacciato, debbano essere riveduti a fondo. La colpa non e'
solamente nostra ma anche dei politici che tardano ad intervenire. In
ogni caso il marciume o il conservatorismo non sono monopolio degli
scienziati, regnano ovunque. Il pericolo insito in questa visione
settoriale e antiscientifica e' l'apoteosi finale della ciarlataneria
e della superstizione e l'abolizione di tutti i controlli: se questo
avvenisse chiedero' che le mie stupende opere grafiche vengono
esposte al Louvre accanto alla Gioconda. Non possiamo mettere sullo
stesso piano Einstein e Velikovsky e confrontare una visione
scientifica che e' passata attraverso quasi un secolo di numerosi ed
estenuanti controlli con una fantasia buona al piu' per Star Trek.
Non possiamo confondere fanti con santi e paragonare lo stesso
Velikovsky con Arp, un vero astrofisico anche se in odore di eresia.
Tullio Regge Politecnico di Torino
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Autori vari: «La laguna di Venezia», Filippi Editore, Venezia
OGENERE rubrica
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI ecologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS ecology
LA laguna di Venezia e' qualcosa di unico per molti aspetti:
geologici (si pensi al bradisismo in atto), naturalistici (il
delicato ecosistema tra terra, mare e isole), economici e
antropologici. Questo libro presenta una visione d'insieme
dell'ecosistema lagunare, con speciale attenzione al ruolo dell'uomo:
acquacoltura, pesca, scenari di disinquinamento, difesa idraulica,
qualita' della vita.
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Scheer Hermann: «Strategia solare», Cuen
OGENERE rubrica
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI energia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS energy
La Terra intercetta soltanto mezzo miliardesimo dell'energia che il
Sole emette, e tuttavia anche una piccolissima parte di questa
quantita', se fosse sfruttata adeguatamente, basterebbe a tutti i
bisogni dell'uomo. Hermann Scheer, sociologo ed economista tedesco,
con questo libro ci mette davanti a un vero e proprio «manifesto»
dell'energia solare, la sola fonte che sia autenticamente rinnovabile
e con piccolo impatto ambientale. La presentazione e' di Gianni
Silvestrini.
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Pellati Renzo: «Cibi e bevande dalla A alla Z», Mondadori; Autori
vari: «Cibi che fanno bene, cibi che fanno male», Selezione
OGENERE rubrica
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI alimentazione
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS nourishment
Una alimentazione corretta e' essenziale per la salute. Eppure in
questo settore la cultura dei cittadini e' molto bassa. Diete
improvvisate da pseudoesperti e cattiva informazione giornalistica
aggravano la situazione. Il libro di Pellati, autore ben noto ai
lettori di «Tuttoscienze», e' un bel tentativo di togliere di mezzo
errori e pregiudizi e di fondare una seria cultura alimentare. La
disposizione alfabetica e' molto pratica. Concepita in modo analogo,
ma allargata anche a voci di carattere generale, e' la guida di
Selezione.
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Jeanneney Jean Noel, «Storia dei media», Editori Riuniti
OGENERE rubrica
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI comunicazioni
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS communication
La storia dei mezzi di comunicazione di massa e' un inestricabile
intreccio di politica e di tecnologie. Partendo dai giornali, questo
saggio analizza un percorso che giunge alle televisioni via satellite
e alle enormi potenzialita' della fibra ottica. Una vicenda dalla
quale dipende la democrazia planetaria.
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Ferrari-Medici: «Alberi e arbusti d'Italia»; Musmarra Alfio,
«Dizionario di botanica», Edagricole
OGENERE rubrica
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS botany
Un dizionario e un manuale per chi si occupa di botanica, sia a
livello dilettantistico sia a livello professionale o accademico.
Ottimo l'apparato illustrativo, specie per il volume dedicato alla
vegetazione italiana. (p. bia.)
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ASTROFISICA
Lampi gamma in cielo
Un fenomeno che resta misterioso
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI fisica, astronomia
ONOMI COSTA ENRICO, OCCHIALINI GIUSEPPE
OORGANIZZAZIONI CNR, ASI
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics, astronomy
QUANDO esplode, una bomba atomica emette la sua energia in un
milionesimo di secondo, in gran parte sotto forma di raggi gamma. Al
tempo degli esperimenti atomici nell'atmosfera, una rete di satelliti
serviva ai russi e agli americani per sorvegliarsi a vicenda.
Talvolta pero' i satelliti segnalavano raggi gamma anche in assenza
di test nucleari. Si scopri' allora che lampi di raggi gammma si
verificano quasi ogni giorno in remote plaghe dell'universo, ma
ancora oggi non sappiamo quale sia la loro origine. Certo sono lampi
che ci parlano di eventi terribilmente violenti perche' giungono da
enormi distanze e durano talvolta alcune decine di secondi. Gli
astrofisici li chiamano Grb, Gamma Ray Burst. E vorrebbero sapere da
dove vengono, che cosa li causa. Finora non sono riusciti a
stabilirlo. C'e' chi ritiene che la loro origine sia dentro la nostra
galassia e chi invece pensa che arrivino dalla profondita' degli
spazi extragalattici in seguito a colossali esplosioni. Per
sciogliere il dilemma bisognerebbe riuscire a identificare con
precisione un oggetto cosmico che emetta quei lampi. Bene: forse
siamo finalmente vicini a questo traguardo. Il satellite italiano per
lo studio del cielo in raggi X «Sax», soprannominato «Beppo» in
ricordo di Giuseppe Occhialini (un fisico che fece ricerche e
scoperte pionieristiche nel campo dei raggi cosmici), l'11 gennaio,
alle 10,43 ora italiana, ha registrato un potente lampo gamma nella
costellazione del Serpente, con tre picchi di emissione in 50
secondi. Il gruppo del Cnr di Frascati guidato da Enrico Costa ha
avuto i riflessi pronti: in 16 ore soltanto e' riuscito a ripuntare
il satellite sulla sorgente gamma e a determinarne la posizione con
una precisione mai raggiunta: un trecentesimo di grado, cioe' un
seicentesimo del diametro apparente della Luna. Non basta: due
sorgenti X sono chiaramente visibili nelle immediate vicinanze, e una
di esse, la piu' forte, potrebbe nascondere il misterioso oggetto che
ha emesso il lampo gamma. Satelliti e telescopi sparsi per il mondo
stanno ora frugando quell'angolo del cielo. Il satellite «Beppo Sax»
e' una creatura dell'Agenzia spaziale italiana e, come si e' detto,
e' nato per osservare il cielo in raggi X: gli strumenti che ha a
bordo gli consentono di farlo su tutto lo spettro di questa
radiazione, dagli X «molli» (cioe' di bassa energia) agli X «duri»,
che confinano con i raggi gamma. Il problema e' che quando si arriva
a lunghezze d'onda cosi' piccole e a frequenze cosi' elevate, le
radiazioni si comportano piu' come particelle che come onde, e quindi
gli strumenti non possono focalizzarle. Di conseguenza le indicazioni
sulla loro direzione di arrivo diventano molto approssimative. «Beppo
Sax» pero' imbarca una serie di strumenti che, usati in cascata per
restringere via via il campo, hanno permesso di localizzare la
sorgente gamma. Le operazioni di ripuntamento con satelliti nei casi
normali richiedono un paio di settimane. Cosi' i telescopi arrivano a
guardare nella stalla quando ormai i buoi sono scappati. Ma questa
volta la rapidita' delle operazioni e' stata tale che ci sono buone
speranze di scoprire ancora qualche traccia lasciata dal lampo gamma.
I tre picchi sono intervallati da 9 secondi, con intensita' di 4500,
5500 e 700 conteggi per secondo. Lanciato il 30 aprile dell'anno
scorso e in funzione dal 22 settembre '96, «Beppo Sax» ha gia'
compiuto piu' di quattromila orbite intorno alla Terra, ha riversato
100 gigabytes di dati e ha fatto 320 osservazioni di 89 sorgenti. I
primi risultati, presentati qualche settimana fa al Cnr, sono molto
interessanti: per galassie attive e quasar i dati sembrano confermare
l'esistenza nel loro cuore di buchi neri giganteschi (milioni di
masse solari); le immagini X di campi profondi stanno rivelando
sorgenti remote (probabilmente quasar) che contribuiscono alla
radiazione X che permea l'intero universo; si e' anche osservata la
radiazione X proveniente da corone stellari, da pulsar e dal centro
della nostra galassia. Un bottino promettente per i primi sei mesi di
un satellite che dovrebbe avere davanti a se' 4 anni di vita. Piero
Bianucci
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. DAL FERRO ALL'INVAR
La Tour Eiffel sale e scende
OAUTORE PAPULI GINO
OARGOMENTI fisica
ONOMI GUILLAUME CHARLES
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, FRANCIA, PARIGI
OTABELLE D. L'altezza variabile della Tour Eiffel
OSUBJECTS physics
IL fenomeno della dilatazione dei corpi per effetto del calore e'
noto a tutti. Meno diffusa e' la conoscenza dell'entita' del fenomeno
e del fatto che questo varia da materiale a materiale. Ad esempio,
una delle cose che piu' colpiscono i turisti che, a Parigi, visitano
la Tour Eiffel, e' l'apprendere che la dimensione verticale del
monumento (300 metri in cifra tonda) varia sensibilmente dall'inverno
all'estate: per una escursione di temperatura di 50 oC (da -10 a
piu'40) la differenza e' di 18 centimetri. Se, in via ipotetica, la
Torre fosse di alluminio anziche' di acciaio, la differenza sarebbe
doppia, ossia di 36 centimetri qualora, invece, la si ricostruisse in
«invar», tra estate e inverno la variazione scenderebbe ad appena 2,2
centimetri. L'«invar», infatti, e' una lega ferrosa a bassissimo
coefficiente di dilatazione termica, il cui nome e' chiaramente
derivato dall'aggettivo «invariabile». Questa lega venne ideata e
sperimentata, alla fine del secolo scorso, dal francese Charles E.
Guillaume, un funzionario dell'Ufficio Pesi e Misure al quale
spettava il compito di favorire la diffusione del sistema metrico
decimale che la Francia aveva adottato sin dal 1791. Il metro era
stato definito come la decimilionesima parte del meridiano terrestre
passante per Parigi, e la sua lunghezza era rappresentata da una
«barra-campione» costruita in platino-iridio, ossia con un metallo
inalterabile ma di costo elevatissimo. Le ricerche di Guillaume,
tendenti a trovare un materiale che alle stesse caratteristiche
tecniche unisse un costo ridotto, vennero soddisfatte dall'impiego
del nichel: l'«invar», infatti, e' una lega costituita dal 63,8 per
cento di ferro, dallo 0,2 per cento di carbonio e dal 36 per cento di
nichel. Prima di arrivare alla definizione di questa «ricetta»,
Guillaume aveva trovato che le leghe con il 15-20 per cento di nichel
avevano caratteristiche termiche molto simili a quelle del vetro, per
cui si prestavano bene all'impiego negli strumenti con lenti ottiche,
come microscopi, telescopi, teodoliti. Guillaume mise in luce, anche,
che molte leghe al nichel perdevano il magnetismo al di sopra di
determinate temperature; il che le rendeva adatte - tra l'altro -
alla funzione di sensori termici e, quindi, alla costruzione di
interruttori automatici. Per l'apporto dei suoi studi allo sviluppo
delle scienze, nel 1920, a Guillaume fu attribuito il Premio Nobel,
il primo - cronologicamente - nel settore della metallurgia. Da
allora, molte cose sono cambiate, a cominciare dalla stessa
definizione del metro, che e' stata riformulata nel 1967 e nel 1983
(l'ultima formulazione e' riferita alla lunghezza d'onda del cripto
86). Ma sbaglierebbe chi pensasse che l'«invar» sia un materiale da
museo. Esso trova largo impiego, oggi, nell'industria criogenica e in
quella aerospaziale: settori nei quali si opera con escursioni
termiche cosi' estese da porre gravi problemi strutturali e
funzionali. In particolare, nell'impiego dei materiali compositi
(fibre di carbonio in matrice epossidica) utilizzati per la
costruzione di aleroni, ipersostentatori, pannelli ed altre parti di
velivoli di grandi dimensioni, l'«invar» serve ad allestire le
«forme» sulle quali i compositi vengono modellati e sottoposti a
«cottura» in autoclave. Si possono ottenere, in tal modo, tolleranze
di lavorazione strettissime, rispondenti alle esigenze del prodotto.
Quando le temperature di trattamento termico superano i 200 oC, il
coefficiente di dilatazione dell'«invar» cresce rapidamente; si fa
ricorso, allora, ad una lega con il 42% di nichel. Di recente,
inoltre, e' stata messa a punto una lega «super-invar» adatta ad
apparecchiature laser che richiedono precisioni operative di un
centesimo di micron. Gino Papuli
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. CHIMICA
Cloro, se lo conosci non fa paura
Nuove norme europee per usarlo in sicurezza
OAUTORE FOCHI GIANNI
OARGOMENTI chimica, regolamento
OORGANIZZAZIONI UE UNIONE EUROPEA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS chemistry
FA paura, ma e' un elemento indispensabile alla civilta' moderna. Se
non e' trattato con le dovute cautele puo' diventare molto
pericoloso, perche' e' estremamente reattivo: corrode parecchi
materiali e aggredisce i tessuti biologici: Ma e' proprio per la sua
grande reattivita' che risulta utile, nell'industria come nella
disinfezione o nel candeggio dei panni. Negli ultimi quarant'anni,
comunque, in Europa non ci sono stati incidenti gravi ne' durante la
produzione ne' durante il trasporto. In poche parole, e' sotto
controllo. Stiamo parlando del cloro, al quale e' stato dedicato
recentemente un convegno nazionale dall'Assobase, l'associazione dei
produttori, consci che da parte loro ci vuole sempre piu'
trasparenza. Solo cosi' l'uomo della strada potra' abbandonare i
timori ingiustificati, conoscere gli sforzi compiuti per la sicurezza
e l'ambiente, rendersi conto che il cloro e' un elemento fondamentale
per la qualita' della vita'. L'intenzione di confrontarsi apertamente
con l'opinione pubblica, da parte d'una categoria industriale
particolarmente sotto il tito dei movimenti ambientalisti e degli
organi d'informazione, e' quanto mai positiva. Sul cloro la gente
deve farsi idee proprie partendo da fondamenti concreti e da
un'informazione corretta e completa, visto che il sistema economico
mondiale non intende affatto rinunciare a quest'elemento e a molti
dei suoi composti: anzi, c'e' una netta tendenza alla crescita della
sua produzione nei paesi emergenti dell'Estremo Oriente. Quanto
all'Europa, nel '95 si era stabili a nove milioni di tonnellate, con
quasi due milioni di addetti. La quota italiana e' un significativo
dieci per cento. D'accordo, dira' qualcuno; ma non e' che per gli
aspetti economici favorevoli corriamo rischi inaccettabili? Ebbene,
oltre al vantaggio intrinseco che l'odore acre del cloro viene
avvertito prima che si raggiunga la soglia di pericolo, produzione e
applicazioni sono sempre piu' rispettose dell'ambiente. Si puo'
citare come esempio la riduzione (pari a un quarto del totale, fra il
1970 e il 1990) del consumo di mercurio, metallo tossico impiegato
nella grande maggioranza delle celle elettrolitiche che producono
cloro dall'acqua di mare concentrata. E' ora allo studio in Italia un
accordo volontario per ridurre ancora le emissioni di mercurio grazie
a miglioramenti tecnici. In molti casi si e' dimostrato possibile
compiere passi significativi verso il rispetto dell'ambiente anche da
parte dell'industria che utilizza cloro o suoi derivati. Negli ultimi
anni, ad esempio, per le zincherie smaltire l'acido cloridrico era
diventato assai gravoso. C'e' chi viene a ritirarlo facendosi
compensare per lo smaltimento, ma un'azienda leader ha sviluppato un
impianto dal costo accettabile (mezzo miliardo di lire), che ricupera
l'acido cloridrico e produce cloruro ferrico smerciabile. Con
l'entrata in vigore di una nuova legge molto vicina alle norme
europee (25 febbraio) anche il costo per lo smaltimento salira' allo
standard europeo, e quindi il ricupero si presenta anche come
business. Le norme legali riescono talvolta a intralciare le
iniziative non solo per eccesso di pastoie, ma anche per il loro
perenne e spesso incoerente rinnovarsi, che rende difficile
programmare nuovi investimenti: vengono dunque penalizzati - secondo
una lamentela degl'industriali - la crescita e lo sviluppo. Le
commissioni che stilano le norme non si rendono conto sempre che
l'analisi dei rischi in un impianto chimico e' molto piu' complicata
rispetto all'ingegneria civile; magari alcune aziende vorrebbero
seguire criteri di sicurezza piu' avanzati di quelli stabiliti, ma
cio' le porrebbe fuori legge. Oltre la produzione, anche il trasporto
preoccupa l'opinione pubblica. In realta' in Europa vengono
trasferite ogni anno senza incidenti di rilievo circa un milione e
quattrocentomila tonnellate di cloro. In Italia si ricorre per lo
piu' alle autobotti, essendo le ferrovie poco adeguate allo scopo.
Guardando le cose a lungo termine, ci si muovera' verso la fonte,
costruendo i nuovi utilizzatori di cloro presso gli stabilimenti di
produzione. Questa sara' la strategia futura, anche se in genere il
produttore non ha interesse ad accettare accanto a se' un'azienda
piccola o media, che forse impone piu' accorgimenti per la
salvaguardia dell'ambiente di quanto renda in termini di smercio.
Gianni Fochi Scuola Normale di Pisa
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL PAVONE INDIANO
Mangiatore di serpenti
Splendido piumaggio e voce sgraziata
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI RIDEY MATT
OLUOGHI ESTERO, ASIA, INDIA
OSUBJECTS zoology
CI sono donne bellissime che non dovrebbero mai aprir bocca. Perche'
hanno un timbro di voce cosi' sgradevole che, parlando, perdono tutto
il loro fascino. Lo stesso puo' dirsi del pavone, il superbo uccello
originario dell'India che ci abbaglia con la magnificenza del suo
piumaggio. In contrasto con la sua bellezza aristocratica, ha una
voce che sembra proprio una tromba stonata. Per fortuna la fa sentire
di rado, soprattutto quando sta per scoppiare un temporale. E il suo
grido sgraziato viene interpretato dagli Indu' come «minh-ao», che
significa «arriva la pioggia». Sarebbe gia' un benemerito come
meteorologo, ma a questa dote se ne aggiunge un'altra: mangia
volentieri i serpenti, perfino i velenosissimi cobra. E questo spiega
il rispetto e la venerazione di cui e' circondato in patria, dove
simboleggia addirittura il dio Krishna. Con occhio piu' distaccato lo
guardano gli etologi che si domandano perche' mai l'evoluzione abbia
consentito l'enorme sviluppo della coda, anzi, per essere piu'
esatti, delle penne copritrici della coda. Per cui i maschi sono
costretti a portarsi dietro quello strascico ingombrante lungo piu'
di un metro (puo' raggiungere anche un metro e sessanta) che
costituisce un handicap negli spostamenti. Eppure e' sfuggito al
filtro della selezione naturale, la quale elimina implacabile organi
e strutture che rendono l'animale inadatto al suo ambiente. E' quindi
evidente che quella coda vistosissima che si apre a ventaglio nelle
parate prenuziali deve avere una precisa funzione. E la spiegazione
sembra trasparente. Serve come mezzo di seduzione per attrarre le
femmine. Come se lei dicesse: «Che bella coda hai». E lui
rispondesse: «E' per sedurti meglio!». I pavoni selvatici sono
poligami. I maschi combattono tra loro, secondo le usanze di buona
parte degli animali, per stabilire la scala gerarchica. Gli individui
vincitori diventano i dominanti e assumono un atteggiamento
prepotente nei confronti dei subordinati. Spesso impediscono loro di
fare la ruota, e si accaparrano cosi' il maggior numero degli
accoppiamenti. E' noto da tempo che la scelta sessuale spetta alla
femmina, la quale da' la preferenza ai maschi dalle ruote piu' grandi
e appariscenti. Per spiegare questa propensione femminile a
scegliersi il partner dal ventaglio piu' imponente, c'e' chi ipotizza
che la coda rappresenti per lei un'incomparabile fonte di
informazione. Indicherebbe i pregi del soggetto, il suo vigore
fisico, la sua forza nei confronti dei predatori, la tempra di
riproduttore. Ma c'e' lo zoologo inglese Matt Ridey che azzarda
un'ipotesi piu' suggestiva. Secondo lui la femmina rimane
letteralmente ipnotizzata da quella selva di occhi che le si parano
improvvisamente davanti quando il pretendente dispiega le lunghe
penne della coda. Piu' numerosi sono gli occhi policromi, piu'
sottile il potere ipnotico che emanerebbe dall'uccello maschio.
Qualcosa paragonabile insomma al colpo di fulmine che attrae
irresistibilmente i partner di una coppia umana. Esistono due specie
di pavoni selvatici, il pavone comune o crestato (Pavo cristatus)
proprio dell'India, e il pavone mutico (Pavo muticus) che vive a
Giava, a Sumatra e in Indocina. In entrambe la femmina e' una sorta
di Cenerentola dai colori scialbi e poco appariscenti. Il maschio
invece, lungo circa un metro e venticinque, oltre allo strascico che
di solito ne misura altrettanto, sfoggia meravigliosi riflessi verde
azzurri sulla piccola testa, sul lungo collo e sul petto, e un
azzurro cupo sulla parte centrale del dorso, mentre il resto del
corpo e' ricoperto da penne di un verde brillante bordate di bronzo
dorato. Il pavone crestato porta sul capo un piccolo ciuffo di penne
filiformi civettuolo, mentre il pavone mutico ha sulla testa un
ciuffetto foggiato a spiga. Il fantastico ventaglio della coda e'
formato da un grandissimo numero di penne sottili di diversa
lunghezza (fino a un centinaio), che sono di uno splendido verde
metallico. Le loro barbe formano in cima a ciascuna penna uno dei
caratteristici «occhi di pavone». Al centro di ciascun occhio vi e'
una «pupilla» nera circondata da un'«iride» azzurro intenso o verde
smeraldo, secondo l'angolo di incidenza della luce. Accanto a queste
due specie selvatiche, vi sono le varieta' domestiche che l'uomo ha
prodotto con l'allevamento. Le piu' note sono il pavone bianco, una
varieta' albina che in origine fu l'effetto di una mutazione, ma in
seguito venne fissata per selezione, il pavone maculato e il
bellissimo pavone dalle ali nere, comparso anch'esso come mutazione
tra le razze dei pavoni crestati inglesi. Durante il corteggiamento,
il maschio si sceglie un palcoscenico su cui esibirsi in una danza a
ritmo di rumba. Incede con sussiego, come si conviene al sultano di
un harem (possiede da due a cinque femmine), e apre la splendida
ruota che brilla sotto lo sfavillio del sole. Non e' detto pero' che
le femmine cadano subito ai suoi piedi. Spesso per un pezzetto le
femmine non lo degnano di uno sguardo. Continuano a piluccare come se
niente fosse. Solo quando ne ha voglia, una delle femmine si decide
ad accettare le avance del pretendente e si corica davanti a lui in
segno di gradimento. Nel corso dell'accoppiamento lui le becca
energicamente il collo e capita spesso che una penna gli rimanga
impigliata nel becco, quasi a testimoniare le nozze avvenute. Dopo le
nozze, la femmina fabbrica un nido piuttosto rudimentale sui rami
degli alberi, fra i cespugli o in una semplice depressione del
terreno e vi depone da otto a dieci uova dal guscio color crema. Poi,
da buona madre di famiglia, attende all'incubazione per circa quattro
settimane. Dopo ventotto giorni ecco rompersi i gusci e far capolino
i graziosi pulcini che si trattengono timorosi sotto la coda della
madre. Crescono lentamente. Ci vogliono circa tre anni prima che i
giovani maschi acquistino le superbe penne copritrici della coda che
costituiscono la nota piu' saliente del loro fascino. Isabella Lattes
Coifmann
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Che cosa fa crescere le cellule muscolari
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI PONZETTO CAROLA
OORGANIZZAZIONI UNIVERSITA' DI TORINO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Una ricerca di Carola Ponzetto (Universita' di Torino) in
collaborazione con l'European Molecular Biology Laboratory di
Heidelberg ha portato a individuare il fattore che controlla la
crescita e la motilita' delle cellule muscolari. Lo studio,
finanziato da Telethon, e' pubblicato su «Cell» e promette notevoli
progressi nella cura delle malattie neuromuscolari.
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Copertina di «Science» a uno studio italiano
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI TESTI ROBERTO, GALLUZZO ALDO, RUBERTI GIOVINA
OORGANIZZAZIONI SCIENCE
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Una scoperta compiuta da studiosi italiani ha conquistato la
copertina di «Science», la piu' prestigiosa rivista americana. Il
gruppo di Roberto Testi dell'Universita' di Roma Tor Vergata, il
gruppo di Aldo Galluzzo dell'Universita' di Palermo e il gruppo del
Cnr di Roma diretto da Giovina Ruberti hanno individuato il
meccanismo biochimico di una malattia della tiroide, la tiroidite di
Hashimoto. Si tratta di una infiammazione cronica che uccide le
cellule della ghiandola.
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
L'officina della scienza
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica, concorsi
OORGANIZZAZIONI EDITORIALE SCIENZA, CUEN
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS didactics, competition
Sono in svolgimento il concorso «L'officina della scienza» e il
premio «Tessere in classe», organizzati dalle case editrici Cuen e
Editoriale Scienza. Rivolti alle scuole elementari, medie inferiori e
medie superiori, i due concorsi accoglieranno i lavori degli studenti
fino al 31 marzo. Per conoscere i temi e i particolari ci si puo'
rivolgere ai tel. 040-63.76.83 (elementari e medie inferiori) e
081-2301.119 (superiori).
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Computer: cura per il virus 2000
OGENERE breve
OARGOMENTI informatica
ONOMI FERARRESE MICHELE
OORGANIZZAZIONI CAP GEMINI ITALIA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)
OKIND short article
OSUBJECTS computer science
I computer di tutto il mondo rischiano di andare in crisi il 1o
gennaio del 2000 in quanto molti programmi in uso fanno riferimento
alla data e indicano l'anno con due sole cifre: quindi le cifre 00
potranno essere scambiate con quelle dell'anno 1900. A Milano
nascera' un centro di studi informatici per risolvere il grave
problema. Lo ha annunciato Michele Ferrarese della Cap Gemini Italia.
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Bologna: mostra «I sensi del mondo»
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica, mostre
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, BOLOGNA (BO)
OKIND short article
OSUBJECTS didactics, exhibition
Fino al 18 maggio a Bologna e' aperta la mostra «I sensi del mondo:
esperimenti sui nostri sensi e su quelli dei nostri dissimili».
L'esposizione e' interattiva e permette al visitatore di scoprire
l'universo percettivo di altre specie animali: ad esempio dei
pipistrelli (che sentono gli ultrasuoni e li usano come un radar per
volare al buio) o i serpenti (che avvertono i raggi infrarossi). Al
Museo di Zoologia, via Selmi 3. Informazioni: 051-204.776.
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Anestesia: convegno via satellite
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia, congresso
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, SVEZIA, STOCCOLMA
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology, congress
Il 22 febbraio si terra' a Stoccolma un convegno sull'anestesia. Via
satellite 21 citta' italiane saranno collegate con Stoccolma. La sede
di Torino sara' al Lingoto. Informazioni: 167.309.779.
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. EPILESSIA
Si cura anche con la chirurgia
In Italia colpisce mezzo milione di persone
OAUTORE LUBRANO TOMMASO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI CENTRO EPILESSIE, DARTMOUTH-HITCHCOCK MEDICAL CENTER
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
L'EPILESSIA e' una malattia che si trascina dietro da millenni un
gran numero di pregiudizi che, ancora oggi, si sommano ai problemi
medici che essa comporta. Il termine deriva dal greco (epilepsia =
convulsione) e identifica modificazioni funzionali del sistema
nervoso causate da alterazioni dell'attivita' elettrica cerebrale. Il
disturbo fondamentale e' costituito da scariche parossistiche, non
controllate e ipersincrone dei neuroni, cioe' delle cellule
cerebrali. Ogni episodio della malattia (o «crisi») si manifesta con
un comportamento alterato che puo' essere di tipo motorio, sensitivo,
emotivo, cognitivo, configurando una grande varieta' di quadri
clinici. I progressi fatti negli ultimi anni nel campo dei
neurorecettori e dei neurotrasmettitori, hanno consentito una
migliore comprensione dell'«accesso parossistico ipersincrono» che
costituisce il fulcro dell'epilessia, ma non di comprenderlo del
tutto. Grazie a questi progressi si puo' tuttavia sperare di mettere
a punto farmaci che agiscano con azione mirata su uno o piu'
meccanismi biochimici della crisi, cosa che in parte sta gia'
avvenendo. Poiche' la maggior parte dei pazienti necessita di cura, e
d'altro canto una persona che sia incorsa una volta in una crisi
epilettica (di qualsiasi tipo) va incontro a un forte rischio di
ricadute (dal 31 al 71% secondo le casistiche), la terapia con
farmaci e' il caposaldo del trattamento della malattia. Obiettivo
primario della moderna ricerca farmacologica e' quello di realizzare
molecole in grado di incidere positivamente sulla qualita' di vita
dei pazienti, al di la' della pura riduzione della frequenza delle
crisi, per esempio sintetizzando sostanze sprovviste di effetti
collaterali, in particolare sulla sfera cognitiva. Vi sono gia'
alcuni farmaci che hanno dimostrato di possedere tali vantaggi. Uno
di questi e' la lamotrigina. Altra molecola di ultima generazione
«costruita» su un modello biochimico sperimentale e' il felbamato,
che oltre ad avere analoghe caratteristiche, sembra essere efficace
su vari tipi di epilessia e nei casi refrattari alle usuali terapie.
Cio' e' spiegabile con il fatto che questo farmaco oltre a possedere
un meccanismo di azione comune ad altre molecole, e' il primo a
inibire il complesso recettoriale post-sinaptico dell'aminoacido NMDA
(n-metil- d-aspartato) da cui dipendono i meccanismi della
neurotrasmissione eccitatoria. Questo sito recettoriale ha un ruolo
fondamentale nel bilanciamento degli stimoli eccitatori e inibitori.
Nell'ambito della epilessia e' stato notato che un'alterazione di
questo equilibrio aumenta l'attivita' comiziale, e il felbamato in
questo senso esercita un'attivita' anticomiziale. Tuttavia,
nonostante questi continui progressi, rimane una percentuale pari al
15-20% dei pazienti epilettici che non risponde alla terapia
farmacologica. Di fronte all'impossibilita' di ottenere un controllo
di questo imprevedibile male, dopo aver provato tutti i farmaci a
disposizione, si puo' pensare, in alcuni casi, all'intervento
chirurgico: se il paziente e' affetto da una forma di epilessia
parziale (circa i due terzi di tutte le forme di epilessia), si puo'
procedere alla resezione del focus epilettogeno. La notizia proviene
dal Centro Epilessie del Dartmouth-Hitchcock Medical Center del New
Hampshire. Un dettagliato studio prechirurgico del paziente con
monitoraggio elettroencefalografico e con le tecniche di diagnostica
per immagini (angiografia, tomografia a emissione di positroni e
soprattutto risonanza magnetica nucleare) permette quasi sempre di
identificare l'area cerebrale responsabile delle scariche convulsive.
Se e' stato possibile stabilire con precisione la sede del focus, si
puo' procedere alla sua asportazione chirurgica anche se non c'e' una
lesione evidente, a condizione che l'area epilettica non sia in una
zona deputata a funzioni primarie, come ad esempio il linguaggio. Se
il paziente e' stato accuratamente studiato, la sicurezza nella
resezione raggiunge quasi la totalita' dei casi. La procedura
chirurgica e' molto costosa, ma questo e' poco rilevante se
paragonato ai costi necessari per la cura dei pazienti epilettici e
ai costi sociali che la malattia comporta. In Italia questi
interventi vengono praticati gia' da tempo all'Universita' Cattolica
di Roma; a Milano, all'ospedale Niguarda, e' nato il Centro regionale
per la chirurgia della epilessia. Con una frequenza calcolata tra il
2 e il 5% sulla popolazione mondiale, la malattia epilettica, che nel
nostro Paese conta mezzo milione di pazienti (un terzo costituito da
bambini) e ogni anno annovera dai 25 ai 30 mila nuovi casi, e' la
piu' diffusa tra le patologie neurologiche gravi, intendendo per
grave una condizione che compromette non solo la qualita' ma anche la
durata della vita. Tommaso G. Lubrano
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. LA FONDAZIONE HOLLMAN
Per piccolissimi ipovedenti
Vicino a Verbania, ogni anno in cura 150 pazienti
OAUTORE BODINI ERNESTO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, bambini
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE ROBERT HOLLMAN
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, CANNERO RIVIERA (VB)
OSUBJECTS medicine and physiology, child
LA Fondazione Robert Hollman di Cannero Riviera (Verbania) e' un
centro specializzato nella cura precoce per bambini con deficit
visivo. Istituito nel 1972 su iniziativa dell'imprenditore olandese
Robert Hollman, il centro di riabilitazione (diretto dalla psicologa
Erika Gorgen) e' attivo dal 1988 ed e' l'unico in Europa in grado di
riabilitare bambini (da zero a 4 anni) ipovedenti o non vedenti,
anche nei casi in cui abbiano altri handicap. Sulla premessa che ogni
bambino, pur con grave deficit, abbia potenziali capacita' di
sviluppo, l'obiettivo e' quello di scoprire queste potenzialita' con
opportuni metodi differenziati di valutazione e pianificare per
ciascuno interventi riabilitativi, aiutandoli a sviluppare
un'attivita' propria senza dipendere totalmente dal terapista. Tra i
vari interventi riabilitativi, le stimolazioni visive (low vision
training) per esercitare e mantenere l'uso della vista residua; la
fisioterapia come contributo a prevenire gli effetti di ritardi
motori; la terapia orofacciale, indispensabile nei disturbi della
suzione, masticazione, deglutizione e del linguaggio; la
psicomotricita' che, attraverso il movimento, concentra l'attenzione
sul corpo; e l'idroterapia come mezzo per stimolare le capacita'
motorie. Gioco e stimolazioni basali sono invece finalizzati allo
sviluppo globale del bambino; la musicoterapia, fondata sull'analisi
del rapporto uomo-suono e sulla risonanza corporea; la pet-therapy,
come intervento «dolce» che stabilisce armonia tra uomo e natura,
attraverso il contatto con un animale dotato di caratteristiche
specifiche; mentre il baby-massage facilita e rafforza il contatto
affettivo tra i genitori e il bambino, per concludere con un
programma di opportune tecniche di rilassamento e ginnastica per le
mamme e colloqui psicologici per il loro sostegno. Oltre a svolgere
attivita' ambulatoriale al fine di valutare la condizione clinica del
bambino, per il trattamento riabilitativo il centro organizza periodi
di soggiorno per il bambino e la mamma, della durata di quattro
settimane la prima volta e di due settimane per ogni anno successivo,
intervallati da visite ambulatoriali. Per ogni soggiorno possono
essere ospitati otto bambini contemporaneamente ai rispettivi
genitori, ai quali non viene richiesta alcuna retta. La Fondazione,
che e' conosciuta in diversi Paesi europei, ogni anno ospita circa
150 bambini ed e' punto di riferimento per 400 famiglie provenienti
da tutte le regioni d'Italia, dalla Germania, Svizzera, Austria,
Francia, Ungheria, Croazia. Fanno parte dell'equipe due infermiere
professionali, una psicologa e tre pedagogiste; una
oculista-genetista, un neuropsichiatra infantile, una logopedista, un
musicoterapeuta e un ottico costituiscono il gruppo di consulenti
esterni. La Fondazione Robert Hollman collabora inoltre a vari
programmi di ricerca e di formazione, finalizzata all'integrazione
dei disabili. La sede e' in via Oddone Clerici 6; telefono:
0323-788.485. Ernesto Bodini
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. GEOMETRIA
Il dopo Euclide
Exploit di due ragazzi Usa
OAUTORE PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI matematica
ONOMI DIETRICH CHARLIE
OORGANIZZAZIONI GREEN FARM ACADEMY
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, CONNECTICUT, WESTPORT
OTABELLE D. Suddivisione di un segmento AB in un numero dispari
di parti uguali. Suddivisione di un segmento AB in un
numero pari di parti uguali
OSUBJECTS mathematics
QUANDO il professor Charlie Dietrich diede un esercizio da svolgere a
due suoi allievi, anche se erano tra i piu' bravi in matematica, non
immaginava certo che potessero trovare qualcosa di nuovo. Si tratta
infatti di un normale esercizio di routine: «dividere un segmento in
un dato numero di parti uguali». La soluzione tradizionale del
problema e' una costruzione con riga e compasso, riportata su tutti i
testi di geometria delle superiori. «Ma quando vidi il loro lavoro -
dice Dietrich - provai un tuffo al cuore. Dopo trentatre' anni di
insegnamento istintivamente capii che i ragazzi avevano trovato
qualcosa di originale. Forse la prima nuova soluzione del problema
dai tempi di Euclide». Dave e Dan, quattordici anni, stavano seguendo
un breve corso estivo di geometria alla Green Farm Academy, una
scuola del Connecticut, vicino a Westport. Per risolvere il problema
avevano lavorato due ore al computer, utilizzando un programma di
geometria molto diffuso negli Stati Uniti, il Geometer's Sketch pad.
Dopo vari tentativi, avevano trovato una costruzione che permetteva
di dividere un segmento in tre parti uguali, determinando il punto P3
ed erano arrivati alle due costruzioni riportate in figura, valide,
la prima, per la suddivisione di un segmento in un numero dispari di
parti e la seconda, per la suddivisione in un numero pari di parti.
Sono costruzioni molto semplici. Si tenga presente che i rettangoli
hanno altezza qualsiasi e che la base e' il segmento AB che si vuole
suddividere in parti uguali. Non sara' poi difficile scoprire
l'algoritmo con cui sono stati costruiti i punti P3, P5, P7...
oppure, sulla seconda figura, P2, P4, P6,... tali che AP2, AP3, AP4,
AP5 siano le parti del segmento che volevano determinare. «Dopo aver
completato la nostra costruzione - dicono Dan e Dave - dovevamo
ancora provare che questa era valida per qualsiasi unita'
frazionaria. Decidemmo per questo di usare sia la geometria che
l'algebra, partendo dalla suddivisione in un numero dispari di parti.
In meno di mezz'ora eravamo riusciti a dimostrare geometricamente la
validita' della costruzione nei casi particolari di ''un terzo'' e di
''un quinto'', ma non riuscivamo a trovare una dimostrazione
generale, valida per qualsiasi numero di parti. Il nostro professore,
a questo punto, ci illustro' il principio di induzione matematica,
come si poteva applicare e sotto quali condizioni si poteva ritenere
valido. Con le sue spiegazioni e con il suo aiuto riuscimmo cosi' a
trovare la dimostrazione definitiva della validita' del nostro
procedimento, completando il nostro lavoro con una dimostrazione
algebrica e scoprendo inoltre un curioso collegamento tra successione
dei numeri di Fibonacci e una delle costruzioni scoperte durante la
nostra ricerca». A questo punto, dopo aver ancora esaminato
attentamente i loro risultati, i protagonisti di questa avventura
matematica decisero di renderli pubblici, battezzando con le iniziali
dei loro nomi, GLaD, la costruzione che avevano scoperto. I
matematici hanno dovuto ammettere con stupore che due ragazzi avevano
trovato una soluzione imprevista, mai ipotizzata, a un problema noto
da duemila anni. Ed ora Dan e Dave si godono il loro momento di
gloria, invitati a seminari e convegni per esporre la loro scoperta e
il loro metodo di indagine. In aprile saranno a Minneapolis per
l'incontro annuale del National Council of Teachers of Mathematics,
l'associazione degli insegnanti americani di matematica, dove per la
prima volta due studenti terranno una relazione ai docenti. Piu'
della loro costruzione e' importante il modo in cui ci sono arrivati,
il percorso didattico esemplare che hanno seguito, guidati da un
insegnante che trascurando i soliti esercizi, sempre uguali, svolti
meccanicamente (quelli che portano molti ragazzi ad odiare la
matematica, confusa con una ripetizione assurda di calcoli sterili e
inutili), ha saputo lasciare spazio alla loro fantasia e creativita'.
Il loro lavoro e' stato pubblicato sul numero di gennaio della piu'
importante rivista americana di didattica della matematica, Mathe
matics Teacher, alla quale rimandiamo chi fosse interessato ad
approfondire l'argomento. Si trova su Internet:http: //www.nctm. org.
Altre notizie si trovano nel sito della scuola di West port: http:
//www.academy.org/GLaD/. Ma, prima di andare a vedere la soluzione
del problema, si tenga presente che un ragazzo del primo o secondo
anno delle superiori ha tutti gli elementi necessari per poterlo
risolvere. Potrebbe essere una grande soddisfazione ritrovare da soli
la soluzione. Federico Peiretti
ODATA 19/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PRIMA DEI LUMIERE
Le macchine della finzione
A Torino una mostra del pre-cinema
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI ottica e fotografia
OORGANIZZAZIONI MUSEO DEL CINEMA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS optics and photography
LA nascita del cinema ha una data e un luogo precisi: 28 dicembre
1895 al Grand Cafe' di Parigi, prima proiezione pubblica dei fratelli
Lumiere. Ma gli approcci risalgono al 1646, anno in cui fu pubblicato
il libro di Athanasius Kircher intitolato «Ars Magna Lucis et
Umbrae». Per i 100 anni ufficiali del cinema una grande, stupefacente
mostra alla Promotrice delle Belle Arti al Valentino di Torino, «La
magia dell'immagine - Macchine e spettacoli prima dei Lumiere»
allestita con il materiale proveniente dal Museo del Cinema di
Torino, rifa' il lungo percorso del pre-cinema. La mostra e'
ripartita in 7 spazi. 1. I primi strumenti precursori del cinema
vengono costruiti usando lenti e specchi a partire dalla seconda
meta' del '600 contemporaneamente ai primi cannocchiali, microscopi e
telescopi, frutti della neonata scienza ottica. Hanno nomi curiosi
come poliscopio, simmetroscopio, anamorfosi catottrica, paradosso
diottrico, caleidoscopio, lanterna magica. 2. In Italia sono indicati
come «mondi nuovi», all'estero come optique, perspective box, guck
kasten, rareeshow, peepshow: si tratta di visori di stampe che
cominciarono a diffondersi all'inizio del '700, scatole provviste di
fessure, sportelli, oblo' attraverso i quali paesaggi esotici, scene
storiche e folcloristiche potevano essere osservati sotto diverse
condizioni di illuminazione simulanti, ad esempio, il passaggio dal
giorno alla notte. 3. Il teatro d'ombre ha origine in Cina e Medio
Oriente; in Europa raggiunge grande fama a partire dal 1770 con gli
spettacoli di Francois Dominique Seraphin e resta popolare per tutto
l'800. 4. La lanterna magica, descrita nel 1646 da Kircher, doveva
servire alla scienza; una fonte di luce (una candela), uno specchio
concavo e un sistema di lenti consentivano di proiettare su uno
schermo l'immagine ingrandita di un oggetto, di un insetto, di una
figura piana, in genere disegnata su un vetro. Tuttavia dalla fine
del '700 e per tutto l'800 divenne un oggetto popolare destinato allo
spettacolo. 5. La scoperta del fenomeno della persistenza delle
impressioni luminose sulla retina determina all'inizio dell'800 la
realizzazione di una serie di apparecchi dai nomi diversi ma tutti in
grado di riprodurre il movimento attraverso una sequenza di immagini
ferme; sono il fenachistiscopio costruito da Joseph Plateau, lo
stroboscopio di Simon Stampfer, lo zootropio di Horner. 6. «La Nature
a coup d'oeil» era una sorta di scenario a 360 gradi raffigurante
paesaggi che il pittore inglese Robert Barker brevetto' nel 1787 e
che divenne noto come «panorama»; lo spettatore stava al centro e
aveva la sensazione di essere immerso in un paesaggio reale.
Successivi perfezionamenti portarono al diorama di Charles Bouton e
Louis-Jacques Daguerre, l'inventore della dagherrotipia (1822). 7.
Dopo la dagherrotipia e lo sviluppo della fotografia il tentativo di
mettere a punto macchine e tecniche capaci di fissare il movimento su
una successione di lastre sensibili occupera' nell'800 una infinita
schiera di ricercatori, come l'astronomo francese Jules Janssen col
suo «revolver fotografico», il fotografo inglese Edward Muybridge, i
francesi Etienne- Jules Marey e Georges Demeny mentre in America
Edison con il kinetoscopio sperimentava la proiezione di sequenze
animate. La piccola, umile cinepresa di legno costruita a Torino nel
1897 che chiude la mostra e' il simbolico punto di approdo della
lunga ricerca. La mostra e' aperta fino al 31 marzo, orario 9-19,
venerdi' 9- 23; martedi' chiuso. Biglietti 10.000, ridotti 5000,
ridotti scuole 3000. Per informazioni numero verde 167-329329.
Vittorio Ravizza
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ADROTERAPIA
Contro i tumori una raffica di protoni
OAUTORE VITE' DAVIDE
OARGOMENTI medicina e fisiologia, ricerca scientifica, fisica, tecnologia
ONOMI AMALDI UGO
OORGANIZZAZIONI CERN
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA, EUROPA, ITALIA, MIRASOLE (MN)
OTABELLE D. Il centro nazionale di adroterapia oncologica
che nascera' a Mirasole
OSUBJECTS medicine and physiology, research, physics, technology
FISICA delle particelle: da un lato ricerca pura, dall'altro
applicata alla cura del cancro. I due aspetti si unificano in Ugo
Amaldi, impegnato nella ricerca pura al Cern di Ginevra e nella
realizzazione in Italia di una macchina per l'adroterapia dei
tumori.
A giugno iniziera' un nuovo periodo di funzionamento del Lep,
l'ultimo gioiello del Cern. Il piu' grande collisore circolare di
elettroni e positroni del mondo, inaugurato nel 1989 e lungo 27
chilometri, riceve i fasci pre accelerati e li porta ad una energia
di 80 miliardi di elettroni-volt (GeV), battendo ogni record per un
sincrotone del suo tipo.
La scorsa estate sono state prodotte per la prima volta coppie di
Wpiu'W--, le particelle cariche che trasmettono la forza debole e
che erano state scoperte proprio al Cern nel 1983, fruttando il
Premio Nobel a Carlo Rubbia. Le W sono molto pesanti: la loro massa
di 80 GeV corrisponde a quella di 85 protoni o di 157.000
elettroni. Nel 1996 le W sono ritornate al Cern in grande stile,
grazie al raddoppio dell'energia del Lep.
Delphi, uno dei quattro esperimenti (gli altri si chiamano L3,
Opal e Aleph), ha avuto la fortuna di registrare il 9 luglio scorso
la prima coppia prodotta, inaugurando una nuova stagione di ricerca
dopo un quinquennio di funzionamento alla soglia di produzione
della Z, la compagnia neutra delle W, di massa pari a 97 protoni.
Si e' parlato molto di questo primo evento: una reazione - attesa
ma non ancora osservata - fra un elettrone e la sua
antiparticella che, scontrandosi, scompaiono producendo i due
bosoni W. Questi a loro volta decadono in 4 sciami di particelle,
formando le tracce fotografate dai rivelatori, gli occhi
elettronici dell'esperimento.
Ugo Amaldi e' stato il primo portavoce di Delphi, rimasto in
carica per piu' di dieci anni a partire dalla nascita della
collaborazione nel 1980. Con le sue ricerche Amaldi ha contribuito
in modo essenziale alla fisica degli ultimi trent'anni: del 1975 e'
la sua idea di un collisore lineare superconduttore, un tipo di
acceleratore di particelle di cui oggi si parla molto.
Nato a Roma nel 1934, figlio del fisico Edoardo Amaldi, Ugo Amaldi
inizio' la sua collaborazione con il Cern nel 1960, lavorando per
due anni su esperimenti del Ps, il sincrotrone a protoni allora
appena inaugurato. Nel 1973 ritorno' definitivamente al Laboratorio
di Ginevra, diventando un punto di riferimento per le centinaia di
giovani che vi svolgono ricerca.
Qual e' il bilancio della prima fase del Lep?
"Abbiamo sorpassato in tutte le misure ogni previsione - spiega
Amaldi -. La luminosita', cioe' il numero di interazioni al secondo
fra gli elettroni e le loro particelle, l'angolo di mescolanza fra
le forze elettromagnetiche e deboli, la massa del bosone Z sono
stati determinati con un'altissima precisione, permettendo di
provare oltre ogni aspettativa la validita' del Modello Standard
delle particelle e delle interazioni".
In particolare, Delphi per primo ha misurato la costante
di accoppiamento a tre gluoni, confermando la previsione della
teoria. Il Modello Standard racchiude in modo elegante la fisica
delle particelle di oggi grazie alle scoperte e agli esperimenti di
questi ultimi decenni, riassumendo le conoscenze e spiegando molto
bene i fenomeni che si osservano. Ma la visione globale di tutto il
campo della fisica mostra che il modello va completato, e con il
passaggio alla seconda fase del Lep si spera di evidenziare
qualcosa di nuovo.
"Ogni esperimento ha registrato alcuni eventi anomali, ma lo
studio e' ancora in una fase preliminare ed occorreranno altri dati
e alcuni anni di lavoro", spiega Amaldi. Si trattera' della
particella di Higgs, l'anello mancante oggi alla teoria, di
particelle supersimmetriche, teorizzate elegantemente ma non ancora
trovate, oppure di altro? "Se dobbiamo giudicare dal passato, la
natura ci ha abituato a scoperte inattese...".
Ma oggi Ugo Amaldi si dedica quasi completamente all'adro terapia
oncologica, lo studio dell'utilizzo delle particelle pesanti -
formate da quark - per la terapia dei tumori, e ne ha inventato il
nome stesso.
"Abbiamo deciso di portare in Italia le tecniche moderne di
irradiamento dei pazienti con protoni e ioni carbonio. Alla fine
del 1993 ho concluso la direzione di Delphi - racconta Amaldi - e
ora vorrei vedere realizzato nel nostro Paese il primo centro di
protoni e ioni europeo. L'Italia ha le competenze e la storia per
farlo, e siamo i piu' avanzati in Europa, mentre esistono gia'
alcuni centri ospedalieri di adroterapia negli Stati Uniti e in
Giappone".
Piu' di duecento medici, fisici, ingegneri e informatici lavorano
in Italia sul Programma Adroterapia, che si articola in tre
attivita' principali: la realizzazione di un centro nazionale di
adroterapia oncologica (Cnao), presso l'abbazia di Mirasole, tra
Milano e Pavia, dove si svolgeranno i trattamenti terapeutici; lo
sviluppo di acceleratori compatti di protoni, di dimensioni e costi
contenuti, che saranno installati in sedi esistenti (il progetto
Paco); la rete Rita (Rete Italiana Trattamenti Adroterapici), che
collegando medici e ospedali con il Cnao permettera' lo scambio di
informazioni mediche e l'identificazione dei pazienti sottoponibili
al trattamento, evitando viaggi non necessari.
Il San Paolo di Torino ha sostenuto la Fondazione Tera, creata da
Amaldi per l'adroterapia, con 210 milioni di lire nel 1996,
assegnando gia' altri 140 milioni: e' il secondo sponsor del
progetto dopo la Fondazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, che
ha finanziato 600 milioni nel solo anno passato.
Ma non ci sarebbero le applicazioni di alta tecnologia, con i
benefici delle ricadute economiche, sanitarie e ambientali, se non
fossero stati svolti in precedenza programmi di ricerca astratta,
di base, sulla quale bisogna continuare ad investire. Per questo la
ricerca fondamentale nei campi di punta della conoscenza e' e
restera' indispensabile.
Davide Vite'
Universita' di Ginevra
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. SCAFFALE
Cosmacini, Gaudenzi, Satolli: "Dizionario di storia della salute",
Einaudi
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS medicine and physiology
La salute
e' il fondamento di una buona qualita' della vita. Da come una
societa' protegge la salute e' possibile trarre valutazioni
culturali, politiche, giuridiche, storiche, economiche,
esistenziali. Giorgio Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi e Roberto
Satolli hanno assunto il punto di vista del "valore salute"
attraverso il tempo e ne hanno fatto l'aspetto unificante di un
dizionario che va da A come "aborto" a Z come "zucchero".
Attenzione: non e' (soltanto) un dizionario di medicina, pur
contenendo molte voci appartenenti a questa disciplina. Sotto il
meccanismo ad accesso casuale che e' l'ordine alfabetico si
nasconde una storia dell'uomo vista nella sua ontologica
oscillazione tra salute e malattia.
Piero Bianucci
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. SCAFFALE
Di Trocchio Federico: "Il genio incompreso", Mondadori
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS research
La scienza procede in due modi: a piccoli passi e a balzi
improvvisi. I piccoli passi si possono fare anche con gambe corte e
sono tipici del ricercatore medio. Anche i piccoli passi, per
accumulo, portano a superare grandi distanze. Ma certo il genio
scientifico si distingue dal fatto che procede a balzi. E i balzi
spesso non possono essere capiti da chi ha gambe corte. Cosi', tra
normalita' e rivoluzione, tra artigianato e arte, tra educata
accademia e sberleffo anticonformista, si dipana la storia della
conoscenza. Scavando in questo dato ovvio, Di Trocchio ha messo
insieme una serie di storie di incomprensioni reali e presunte tra
apparato della scienza accademica e geni innovatori. Da Cristoforo
Colombo al cosmologo Alton Arp, da Keplero a Marconi. Naturalmente,
a guardare le cose piu' in profondita', la storia vera e' molto
piu' complessa. Ma l'aneddotica diverte. E paga.
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. GARA EUROPEA
Dirigibili
un ritorno
"sportivo"
OAUTORE FILTRI TULLIO
OARGOMENTI trasporti
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS transport
IL vecchio dirigibile sta riprendendo quota. Rinnovato nei
materiali, nella struttura, nelle prestazioni si appresta a dare un
modesto ma prezioso contributo all'aviazione civile. In primavera
volera' un moderno dirigibile di nuova generazione; lo "Zeppelin
NT", di 7200 metri cubi.
Si sta organizzando ora una competizione per dirigibili su scala
europea, da tenere nel 1998. E' promossa dalla Ciel (Competitions
Internationales d'Engins Legers), che ha sede a Cambourcy in
Francia, nei pressi di Parigi. La competizione e' inquadrata in
quattro classi: 1) Modelli radiocomandati con cubatura inferiore ai
25 mc, per ambienti chiusi; 2) Modelli radiocomandati con cubatura
superiore ai 25 mc per dimostrazioni all'aperto; 3) Dirigibili
pilotati, con cubatura dai 300 ai 1500 mc; 4) Grandi dirigibili.
Forma dell'involucro, struttura, energia, sono stati lasciati alla
libera scelta dei concorrenti; affidate al loro ingegno, alla loro
fantasia, alla loro inventiva. Per il gas di sostentamento si puo'
scegliere tra elio e aria calda-elio. Possono gareggiare scuole,
universita', ditte e singoli, specialmente studenti e giovani.
Sinora si sono iscritte due universita' americane, due francesi,
due inglesi. Sono arrivate 33 intenzioni di partecipazione. Il
primo degli italiani e' Domenico Fodaro, autore di un pregevole
progetto di dirigibile per alta quota. Presentera' un
minidirigibile radiocomandato di sua invenzione.
Si e' costituito un Comitato italiano di coordinamento per la gara
intereuropea per dirigibili: ha sede in Trento, presso il Museo
Aeronautico Caproni. Ad esso tutti possono rivolgersi per ulteriori
informazioni e per organizzare la partecipazione.
Tullio Filtri
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. SCAFFALE
"Eruzioni vulcaniche", Le Scienze
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI geografia e geofisica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS geography and geophisics
Vulcani vicini e lontani in una raccolta di articoli tratti da "Le
Scienze" e aggiornati con interventi appositi sulla recente
eruzione che ha sconvolto i ghiacci dell'Islanda, sul programma di
evacuazione in caso di risveglio del Vesuvio e sul riuscito
intervento per deviare le lave dell'Etna nel '93. A cura di Franco
Barberi, vulcanologo di fama internazionale e sottosegretario al
dipartimento per la Protezione civile.
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. SCAFFALE
Fasolo Franco: "Grottesche", Ed. Libreria Cortina, Padova
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI psicologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS psychology
"Entro' in un caffe' e ne bevve uno". E' sintesi? E' umorismo? O e'
solo cattiva scrittura? Fatto sta che una volta mi capito' di
leggere l'articolo di un collega che conteneva questa frase.
Conoscendo l'autore posso dire che si trattava della terza cosa. Ma
questo non esclude che fossero vere anche le prime due. L'umorismo
e' veloce. Quindi sintetico. La sintesi, cambiando il prolisso
punto di vista abituale, spesso ha effetti umoristici. In ogni caso
il sorriso e' segno di salute mentale e alla salute mentale fa
bene. Tautologicamente. Percio' psichiatri e psicoanalisti da tempo
si applicano allo studio del comico. Franco Fasolo e' tra i piu'
attenti, e questo suo libro volutamente frammentario, misto negli
spunti e nei toni, ipertestuale, rappresenta un provocatorio
excursus sul tema: ancorato all'esperienza psichiatrica, ma anche
sottilmente divertente per un lettore laico, senza camice e senza
camicia (di forza).
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA ASTRONOMIA
Gli osservatori
dei maharaja
OAUTORE TARALLO PIETRO
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ESTERO, ASIA, INDIA
OSUBJECTS astronomy
LA scienza astronomica in India e' fino dall'antichita' intrecciata
con l'astrologia, e sovente la prima e' spesso in funzione della
seconda. Nelle scritture del "Rig Veda" e dall'"Atharva Veda"
appaiono le prime codificazioni delle conoscenze astronomiche dei
fenomeni celesti. Risale al 300 a.C. il "Jyotishavedanga", il primo
testo organico su questi argomenti, dove sono introdotti per la
prima volta calcoli e matematiche per la misurazione del tempo e
dello spazio. A cui fa seguito, nel VI d.C., il Brihatsamhita (il
"Grande Compendio"), del celebre astronomo- astrologo Varahamihira.
Opera fra le piu' importanti della scienza indiana degli astri e
che nello stesso tempo rappresenta un vero e proprio trattato di
astronomia e di astrologia.
Alcuni secoli dopo il maharaja di Jaipur, Sawai Jai Singh II
(1686-1743), tenta di realizzare una suggestiva utopia: fa
costruire giganteschi strumenti per studiare meglio il "Grande
Libro del Cielo". E' il Secolo dei Lumi e anche in India si
riannoda il filo rosso che, dalla Francia di Diderot e D'Alembert,
si dipana attraverso il mondo nel segno della scienza e della
ricerca scientifica. Inspiegabilmente a migliaia di chilometri di
distanza dall'Europa il pensiero degli Illuministi fa adepti e
anche in India trova studiosi e principi illuminati disposti a
finanziare gli studi e la ricerca scientifica. Sawai Jai Singh II
e' appunto uno di questi. Appassionato di astronomia e di
matematica, si circonda di esperti di queste discipline, da' vita
ad una vera e propria scuola di astronomia, raccoglie testi rari su
tali argomenti, chiama alla sua corte alcuni gesuiti, fra cui il
portoghese Padre Figueredo che viveva a Goa. Inoltre cura
personalmente la redazione delle tavole astronomiche "Zij Muhammad
Shahi" ("I movimenti dei corpi celesti"). Ma soprattutto fa erigere
cinque osservatori astronomici a Jaipur, Delhi, Benares, Mathura
(l'unico andato perduto) e Ujjain, dotati di strumenti colossali
realizzari in pietra, marmo, mattoni e arenaria. Metafisiche forme
rigorosamente geometriche, di estrema eleganza architettonica e dal
preciso rigore scientifico, che ancora oggi si possono ammirare in
tutta la loro surreale e intrigante bellezza. Strumenti che
consentono di determinare: le coordinate dei pianeti, ossia la
latitudine e la longitudine, attraverso una lettura diretta (Kranti
Vrit Yantra); le distanze e gli azimuth dei pianeti in rapporto
alla Terra (Ram Yantra); gli azimuth in generale (Digamsa Yantra);
l'ora di mezzogiorno (Narivalaya Yantra); le coordinate eclittiche
(Rashivalaya Yantra); l'altezza dei corpi celesti (Unnatansha
Yantra); le coordinate equatoriali di un astro, l'angolo orario e
la distanza polare (Chakra Yantra); le distanze dei corpi
celesti quando sono sul meridiano (Dakshino Yantra); le parti
visibili della sfera celeste (Yantra Raja); la misurazione del
tempo in ore, minuti, secondi (Samrat Yantra). E ancora: la
longitudine, la latitudine, la declinazione, i meridiani, i
paralleli, gli equinozi, i solstizi, le eclissi. Tutti e cinque gli
osservatori sono chiamati Jantar Mantar. Termini derivati dal
sanscrito che significano "strumenti di calcolo". Ma non contento
di tutto cio', il principe-astronomo segue personalmente la
realizzazione di alcuni astrolabi in bronzo, del diametro da 1 a 3
metri ciascuno e di vario tipo (come l'astrolabium planisphaerum e
quello marinum). E sempre a Jaipur costituisce una collezione unica
di strumentazioni, compresi alcuni rari astrolabi, arabi e
persiani, oggi conservate nei principali musei indiani, oltre che
nel City Palace della "Citta' Rosa".
E veniamo agli osservatori.
New Delhi. Alla fine dell'animatissima Jampat Road, in un giardino
di piante tropicali, l'osservatorio risale al 1724. Gli strumenti
in mattoni dipinti di rosso hanno dimensioni notevoli.
Jaipur. Accanto al City Palace, il fantasmagorico Palazzo del
Maharaja della citta', si trova il Jantar Mantar. L'osservatorio
astronomico piu' completo e integro di tutta l'India, costruito dal
principe-astronomo dal 1728 al 1733. Contiene 18 strumenti.
Benares. Nel palazzo voluto nel 1600 da Man Singh I, raja di
Amber, nei pressi del Mandir Ghat, ci sono gli osservatori
astronomici (1693).
Ujjain. Una delle sette citta' sacre dell'induismo, a 55
chilometri da Indore, conserva in Jiwajii Singh Pura Road il Jantar
Mandar (1733).
Pietro Tarallo
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. TRATTAMENTO DEI TUMORI
I "fattori di crescita" dopo la chemioterapia
Linfomi e mielomi curati con un nuovo tipo di autotrapianto di
cellule
OAUTORE PILERI ALESSANDRO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, genetica
OORGANIZZAZIONI ISTITUTO TUMORI DI MILANO, DIVISIONE UNIVERSITARIA DI EMATOLOGIA
DI
TORINO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, genetics
DA alcuni anni e' entrato nella pratica clinica l'uso dei "fattori
emopoietici di crescita". Queste sostanze, presenti
fisiologicamente nel nostro organismo, possono essere somministrate
dopo la chemioterapia per stimolare la rigenerazione delle cellule
del sangue. L'uso dei fattori di crescita ha consentito di ridurre
i rischi nella somministrazione dei chemioterapici, specialmente ad
alte dosi. Inoltre, grazie ai fattori di crescita si e' potuto
ideare un nuovo tipo di autotrapianto, utilizzando non piu' le
cellule midollari ma cellule prelevate dal sangue circolante in
particolari fasi della terapia. E' questo l'autotra pianto di
cellule periferiche, che viene ampiamente utilizzato sia nei
tumori del sangue sia nei tumori solidi: ormai ha soppiantato la
vecchia procedura dell'autotrapianto di midollo.
Gli studi pionieristici sulla chemioterapia ad alte dosi, i
fattori di crescita e l'autotrapianto di cellule periferiche furono
condotti alla fine degli Anni 80 dall'Istituto tumori di Milano, in
collaborazione con la Divisione Universitaria di Ematologia di
Torino. Venne allora ideato uno schema innovativo, denominato Hds
(High Dose Sequential), inizialmente utilizzato per le forme di
linfoma a rapida crescita. I risultati furono molto soddisfacenti e
in seguito questo approccio e' divenuto la base per il trattamento
di altri tumori in Italia e all'estero.
L'esperienza maturata negli anni con lo schema Hds e
l'autotrapianto di cellule periferiche ha permesso recentemente ai
medici ricercatori della Divisione universitaria di Ematologia di
Torino di elaborare nuove strategie terapeutiche per altre forme di
linfoma. Un originale schema di terapia intensificata, ideato
principalmente da Tarella, e' stato applicato in linfomi
follicolari, neoplasie che sinora venivano gestite con blande
terapie volte principalmente a contenere l'evoluzione della
malattia. Lo scopo e' stato quello di ottenere la massima riduzione
delle cellule tumorali e in questa ottica si e' fatto un attento
monitoraggio dei pazienti, basato su un sofisticato esame
diagnostico molecolare. Il test, chiamato Pcr (da Polymerase Chain
Reaction), individua le cellule tumorali anche quando sono in
piccolissime quantita', fino a una ogni milione di cellule normali.
L'analisi molecolare, messa a punto da Corradini, ha permesso di
verificare che molti pazienti, circa il 70% dei casi sinora
studiati, hanno ottenuto non solo la remissione clinica della
malattia ma anche il ritorno alla negativita' del test in Pcr.
Il risultato e' rilevante sotto diversi aspetti. Innanzitutto si
e' dimostrato che programmi intensivi con autotrapianto possono
essere applicati anche in forme di linfoma ove sinora si teneva un
atteggiamento terapeutico di attesa, intervenendo con trattamenti
non intensivi e solo per controllare i sintomi della malattia.
Inoltre il risultato dell'analisi molecolare contraddice il
concetto che il linfoma follicolare sia una neoplasia con scarsa
sensibilita' alla chemioterapia. I risultati clinici e ancor piu' i
risultati dell'indagine molecolare dimostrano invece che anche nei
linfomi follicolari si puo' ricercare una forte riduzione del
tumore. Il tempo e l'analisi su vaste casistiche potranno dire se
questo risultato puo' essere il preludio di una lunga sopravvivenza
ed eventualmente della guarigione. E' proprio per rispondere a
questi quesiti che diversi centri ematologici italiani hanno ora
intrapreso uno studio policentrico sui linfomi follicolari
utilizzando lo schema ideato a Torino.
Sulla stessa linea si collocano i risultati ottenuti nel mieloma
multiplo in pazienti di eta' avanzata. Anche in questo caso si
tratta di pazienti in cui sinora un atteggiamento terapeutico
aggressivo era precluso a causa dei rischi di tossicita'. In genere
l'autotrapianto si considera eseguibile non oltre i 60 anni. Uno
schema che si basa sull'uso delle cellule periferiche per
l'autotrapianto e' stato ideato da Boccadoro e Palumbo (ematologia
universitaria, Torino) per pazienti oltre i 60 anni. Il programma,
che prevede ripetute chemioterapie intensificate, ha potuto essere
attuato in quasi tutti i pazienti senza particolari complicanze. I
risultati preliminari sono nettamente superiori a quelli delle
terapie convenzionali.
In conclusione, le nuove opportunita' terapeutiche, in particolare
i fattori di crescita e l'autotrapianto di cellule periferiche,
consentono di considerare trattamenti intensivi in un sempre
maggior numero di forme tumorali ematologiche. In campo medico,
soprattutto in campo oncologico, occorre avere sempre molta cautela
nell'esaminare nuovi approcci terapeutici. Tuttavia, i recenti
risultati ottenuti con lo schema Hds e con i suoi successivi
adattamenti prospettano un reale miglioramento delle aspettative di
vita di molti pazienti con tumori del sangue.
Alessandro Pileri
Universita' di Torino
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. UN'APPLICAZIONE DELLA MECCANICA DEI QUANTI
I computer del futuro
Useranno micromagneti superfreddi?
OAUTORE GATTESCHI DANTE, SESSOLI ROBERTA
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science
UN articolo uscito pochi giorni fa sul "New York Times" con il
titolo "Micromagneti possono rivoluzionare i computer" riportava la
scoperta di molecole che si comportano come magneti, attribuendone
il merito a una equipe formata da ricercatori americani e spagnoli.
La notizia e' certo interessante, ma in effetti le molecole in
questione furono isolate per la prima volta in Polonia al principio
degli Anni 80, e le loro proprieta' magnetiche furono descritte in
un nostro articolo uscito su Nature nel '93.
I magneti sono diventati ingredienti importanti nella nostra vita
di tutti i giorni: basti pensare ai servomeccanismi che ci
consentono di alzare i cristalli della macchina e agli elementi
delle memorie presenti nei computer con cui ci colleghiamo a
Internet. In queste ultime applicazioni e' necessario avere
particelle magnetiche sempre piu' piccole per poter raggiungere
densita' di informazione sempre piu' alte. Esattamente come c'e'
un'intensa ricerca per capire i limiti inferiori delle dimensioni
raggiungibili per un circuito elettronico, molti studiosi stanno
cercando di capire quali siano i limiti inferiori delle dimensioni
di una particella perche' questa possa avere una magnetizzazione
permanente. Ora sembra che questo limite sia stato individuato.
Il magnetismo e' associato all'esistenza di centri contenenti
elettroni spaiati. Ogni centro ha un momento magnetico, ma ad alta
temperatura l'agitazione termica fa si' che ogni magnete elementare
oscilli rapidamente tra due orientazioni opposte, dando un momento
magnetico nullo. Per avere una risultante non nulla, e quindi
magnetizzazione permanente, e' necessario che i magneti elementari
non possano piu' oscillare liberamente, ma si orientino secondo
direzioni ben precise e stabili. In altre parole i magneti
elementari sono obbligati ad irreggimentarsi e comportarsi tutti
nello stesso modo. La domanda su cui la scienza ora si concentra e'
quanto grande debbano essere i reggimenti di magneti elementari
perche' si possano osservare delle proprieta' magnetiche massive.
La scoperta fiorentina e' che sotto la temperatura di ebollizione
dell'elio, 4,2 K, -269oC, si possono comportare come magneti
permanenti oggetti delle dimensioni di una molecola.
La molecola-magnete cui fa riferimento l'articolo del "New York
Times" e' formata da 12 ioni manganese, 12 ioni ossido, 16 ioni
acetato e acqua quanto basta. Sotto 4 K i magneti elementari sugli
ioni manganese si orientano e ogni molecola si comporta come un
piccolo magnete. Il polo Nord del magnete puo' essere su o giu', a
seconda del trattamento subito. Le molecole sono bistabili e quindi
e' possibile immagazzinare informazione (ad esempio "su"
corrisponde a 1 e "giu'" a 0). Le particelle magnetiche
tradizionali hanno dimensioni dell'ordine di un milionesimo di
metro, mentre le molecole hanno dimensioni di circa un miliardesimo
di metro. Le proprieta' magnetiche restano inalterate se le
molecole sono disciolte in un solvente adatto o anche in un film
polimerico. Questa proprieta' diversifica completamente questi
nuovi magneti da quelli classici, in cui solo i cristalli hanno
proprieta' magnetiche massive.
L'aspetto forse piu' eccitante di questi nuovi magneti e che, se
per certi versi si comportano gia' come magneti grossi, in realta'
sono ancora cosi' piccoli da mostrare le anomalie affascinanti del
mondo quantistico. Un oggetto macroscopico o e' qua o e' la', non
puo' essere in due posti contemporaneamente. Un magnete classico
puo' avere il suo polo Nord o su o giu' e puo' cambiare la sua
orientazione solo superando una barriera di potenziale. Nel mondo
dei quanti un magnete puo' cambiare la sua orientazione senza
superare barriere, ma scavandosi una galleria (effetto tunnel
quantistico). Le nuove molecole-magneti mostrano questo
comportamento quantistico a basse temperature, come e' stato
provato per la prima volta da ricerche di Sessoli e Novak nel 1995,
poi confermate dai ricercatori americani citati dal "New York
Times", e dal gruppo fiorentino in collaborazione con ricercatori
di Grenoble nel 1996.
Il comportamento di questi nuovi magneti a bassissima temperatura
e' una sfida per la teoria dei quanti stessa, che si applica agli
atomi e alle molecole, e per la sua coesistenza con i modelli
classici che si applicano per oggetti macroscopici. Numerosi
ricercatori, tra i quali fisici teorici fiorentini, lavorano
attivamente in questo campo.
Quali sono le possibili applicazioni dei nuovi magneti?
Certo immagazzinare informazione in una molecola e' una prospettiva
attraente, perche' in linea teorica e' possibile costruire memorie
magnetiche di centinaia di gigabytes sulla testa di uno spillo. Un
altro aspetto interessante e' legato alla possibilita' di leggere
l'informazione con mezzi ottici. Misure da noi fatte in
collaborazione con l'Universita' di East Anglia mostrano che la
bistabilita' delle molecole puo' essere misurata con un laser. La
natura quantistica di questi oggetti apre la prospettiva di nuovi
tipi di calcolatori quantistici, in cui gli elementi di memoria
possano tenere piu' bit di dati simultaneamente, mentre i
dispositivi attuali possono avere un solo bit alla volta.
Dante Gatteschi
Roberta Sessoli
Universita' di Firenze-INCM
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. CASSAZIONE
Il dovere
di informare
il malato
OAUTORE LOVERA GIORGIO
OARGOMENTI bioetica, medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS bioethics, medicine and physiology
ANCORA una volta la corte di cassazione ha dovuto ribadire, in una
sua sentenza, il principio che il cittadino italiano, quando si
ammala, ha il diritto di essere adeguatamente informato non
solamente su diagnosi, prognosi e terapie, ma anche sui possibili
rischi e sulle alternative terapeutiche. Ancora una volta - dunque
- si ricorda ai medici il loro dovere, di cittadini italiani, di
rispettare la normativa giuridica che subordina il compimento di
qualsiasi atto terapeutico al consenso del paziente, che
costituisce, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge,
un presupposto per il regolare svolgimento dell'attivita' medica.
Con il consenso ogni cittadino esercita il proprio diritto alla
salute (articolo 32 della Costituzione), esercizio che e'
volontario, e insieme tutela i propri diritti primari di liberta',
dignita' e autodeterminazione.
Questi principi sono stati accolti nel nuovo Codice Deontologico
dei medici italiani varato nel 1995, un codice che, garantendo il
"rispetto dei diritti del paziente", sancisce il riconoscimento
della sua autonomia e partecipazione attiva al processo di cura.
Una riflessione su questi punti puo' farci intravedere il rischio
che i medici, nella difficolta' di adeguarsi ai cambiamenti sociali
e psicologici che investono l'attivita' sanitaria, passino da un
atteggiamento paternalistico di beneficialita' ("il bene del
paziente deciso dal medico") a comportamenti giuridicamente
diligenti, ma impietosi, di informazione ai loro pazienti su "tutta
la verita'". Entrambi questi atteggiamenti sono espressione di una
gestione unilaterale del rapporto di cura, lontana da un'autentica
considerazione della persona del malato.
E' una sfida della medicina del 2000 quella di riuscire a
integrare i progressi scientifico- tecnici con il rispetto
giuridico e morale della soggettivita' dei cittadini e insieme
salvare i valori di una buona relazione psicologica tra medico e
paziente, che e' ritenuta un significativo motore emotivo di ogni
processo di cura. Nel contesto antropologico dell'attivita'
sanitaria, che si connota come "rapporto di aiuto", la sola
informazione diagnostico-terapeutica, per quanto corretta, non e'
sufficiente. Essa puo' mantenere la sua natura di atto medico,
cioe' rivolto all'interesse del paziente, solo se si realizza nel
quadro piu' ampio di una comunicazione dotata di empatia (capacita'
di immedesimarsi nell'altro).
Strumento per questo obiettivo e' il "colloquio", che ha sue
regole metodologiche. Intanto non puo' essere affrettato, ma e'
piuttosto una progressione di incontri, in cui informazione
graduale e dialogo possono permettere al paziente di orientarsi e
fare domande. Del resto anche il medico ha bisogno di orientarsi e
di capire: capire la personalita' del paziente; conoscerne
l'ambiente sociale e familiare; indagarne il grado di informazione
gia' in suo possesso. Poiche' l'atteggiamento da cui partire non e'
di come falsificare una realta', ma di come far arrivare una
informazione comprensibile e leale sulla "verita'" medica a "quel"
paziente.
Per fare cio' la comunicazione medica ha bisogno di tempi di
ascolto, su due versanti: ascolto del paziente, delle sue ansie e
aspettative; auto-ascolto del medico, per evitare di proiettare
sulla situazione del paziente il proprio modo di pensare e di
sentire.
Seguendo queste linee-guida, anche nei casi di gravi malattie, si
ritiene oggi che una informazione chiara e veritiera, oltre che
adeguarsi alla normativa giuridica, possa aspirare a raggiungere
obiettivi piu' propriamente medici: contribuire a instaurare un
rapporto di fiducia e di alleanza terapeutica; svolgere un'azione
di psicoprofilassi, prevenendo le dannose conseguenze psichiche
dell'isolamento dei pazienti nell'ignoranza o nell'incertezza;
promuovere la speranza, per favorire nei pazienti un atteggiamento
attivo di partecipazione alle terapie.
Giorgio Lovera
Per una svista, sotto l'articolo sull'Aids pubblicato il 5 febbraio
e' stata omessa la firma della coautrice Adriana Albini.
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCOPERTO UN NESSO TEMPERATURA-EPIDEMIE
L'effetto serra scatena il colera
Mutamenti del clima, nuovo motivo di allarme
OAUTORE CANUTO VITTORIO
OARGOMENTI meteorologia, medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS meteorology, medicine and physiology
A prima vista, effetto serra, colera e malaria, sembrano senza
alcun rapporto causale. Invece non e' cosi'. La correlazione si sta
lentamente delineando: una brutta sorpresa che ci fa capire quanto
fuorviante sia pensare all'effetto serra (ES) come un ad un
semplice aumento della temperatura media di 2-4oC: sono le
conseguenze collaterali quelle che piu' ci toccheranno da vicino,
dall'innalzamento del livello degli oceani allo scioglimento dei
ghiacciai dell'Antartide. Inoltre questi fenomeni sono destinati a
colpire popolazioni che poco o nulla hanno contribuito alla causa
iniziale, che e' stata invece innescata dai Paesi sviluppati:
pensiamo alle decine di milioni di persone che in Egitto e in
Bangladesh si troverebbero a dover affrontare un mare mezzo metro
piu' alto.
A questo scenario si aggiungono ora studi epidemiologici che ci
ammoniscono che un aumento della temperatura potrebbe causare un
aumento dell'incidenza di colera e malaria. Cominciamo con la
malaria, una infezione trasmessa dalla femmina di zanzara
(Anopheles) che ospita ben 4 parassiti malarici (Plasmodium). La
femmina si infetta ingerendo sangue umano infetto per poi
trasmettere il parassita ad altri esseri umani del cui sangue si
nutre. Le condizioni climatiche ottimali sono: 20-30oC,
umidita' del 60% e temperatura invernale superiore ai 15oC. Il 95%
di tutti i casi di malaria si ha nella regione del Sub-Sahara: qui
ogni anno muoiono mezzo milione di bambini. La popolazione a
rischio e' oggi di 2,1 miliardi e le persone infette sono 270
milioni. L'effetto serra, causando un aumento della temperatura,
farebbe salire la malaria verso il Nord, in regioni dove oggi i
mosquitos vettori non pongono ancora un pericolo, per esempio, in
Kenya e Zimbabwe.
Consideriamo ora il colera, un antico flagello delle fasce piu'
povere della societa'. L'etimologia piu' attendibile lo farebbe
derivare dal greco chole (bile) e reo (scorro). Il batterio del
colera, Vibrio cholerae, e' trasmesso da acqua e cibi contaminati.
L'infezione e' gia' descritta in testi in sanscrito del 500 a.C.,
nonche' in Grecia piu' di duemila anni fa. Un flagello antico:
endemico, e di tanto in tanto epidemico. In Inghilterra arrivo' nel
1849 e qui avvenne un fatto importante. Il medico della regina
Vittoria, John Snow, fu il primo a capire che l'infezione era
dovuta ad acqua contaminata. In un classico studio di
epidemiologia, nel 1854 dimostro' che su 10.000 case, ben 315 casi
di morte risultarono in case alimentate da una sorgente (Southwark
and Vauxhall Company) contro 37 casi di morte in case alimentate da
un'altra sorgente (Lambeth Company) meno contaminata.
In Africa, nel 1991 ci furono 45.149 nuovi casi di malaria con una
mortalita' di 3488, circa l'8%. Un numero assai piu' elevato di
quello in America Latina dove ci furono 251.533 nuovi casi con una
mortalita' di 2618, cioe' dell'1 per cento. Il caso dell'America
Latina e' particolarmente importante perche' ci ha rivelato un
fattore nuovo, la relazione con il clima. Il colera arrivo' in
Peru' nel 1991. In tre settimane si sparse su una regione costiera
di 2000 chilometri; i casi riportati furono 30.000 con 114
fatalita'. Il primo caso fu a Chancay, 60 km da Lima, ed il giorno
dopo a Chimbote, un porto 400 km a Nord di Chancay.
L'ipotesi originale che navi ancorate al porto del Callao avessero
scaricato acque contaminate non poteva essere vera data la quasi
simultanea occorrenza dell'epidemia. Si capi' invece che il
fenomeno era dovuto alla fioritura del plancton marino a causa del
fenomeno climatico El Ni~no in cui acque calde (di circa 1oC) si
originano lungo le coste peruviane spostandosi verso il Pacifico
(Tahiti) dove si e' verificata, con vari satelliti, una vasta
regione di acque calde. Per rimpiazzare tali acque, lungo le coste
peruviane avviene uno spostamento verticale di acque profonde che
portano alla superficie nutrienti, da qui una fioritura del
fitoplancton. Usualmente il fenomeno El Ni~no (che avvenendo verso
Natale prende il nome da Gesu' Bambino, El Ni~no in spagnolo), e'
della durata media di un anno, ma nel 1990-1995 si verifico' il
caso piu' prolungato nella storia di tale fenomeno. E questo
coincise con l'epidemia del colera.
Il colera puo' diventare endemico, per esempio, in Bangladesh c'e'
un'epidemia annuale che coincide con la fioritura delle alghe
(Anabaena) nelle acque salmastre lungo le coste. L'organismo del
colera, il Vibrio cholerae, sopravvive nell'ambiente in cui si
trova nascondendosi e riparandosi negli strati mucosi di svariate
alghe e fitoplancton che sono molto sensibili alle condizioni
climatiche prevalenti nel luogo. E' stato recentemente portato a
termine uno studio durato 3 anni, dal 1987 al 1990, in Bangladesh.
Si impiegarono dieci stazioni fisse, 2 corrispondenti al delta di
fiumi e 8 villaggi lagunari, 46 km a Sud della capitale Dacca.
Campioni di acqua ed alghe (cianobatteri, diatomi, alghe blu...)
venivano prelevati ogni due settimane. Il risultato fu chiarissimo:
l'abbondanza di Vibrio cholerae aumenta con l'abbondare dei
copepodi (fra i piu' numerosi gruppi di zooplancton). Il risultato
verra' presentato in una pubblicazione degli autori: Colwell, Huq,
Russek-Cohen e Jacobs. Nella figura riportiamo un recentissimo
risultato dove si nota una chiara correlazione fra l'incidenza di
colera e l'aumento della temperatura del mare in Bangladesh. I
massimi e minimi sono troppo ben correlati.
Abbiamo discusso su queste pagine (4 dicembre 1996) recenti
esperimenti che tenterebbero di mitigare l'effetto serra
fertilizzando gli oceani con ferro che porta ad una fioritura del
fitoplancton del 3000 per cento. Ma se cio' avvenisse nei pressi di
terra abitata, l'incidenza colerica sarebbe catastrofica.
Se e quando l'esperimento verra' discusso seriamente su scala
globale, gli epidemiologi avranno molto da insegnarci, e noi molto
da imparare sulla nostra complicata biosfera.
Vittorio M. Canuto
Nasa, New York
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IPERTENSIONE
L'utilita'
dei calcio
antagonisti
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, chimica
ONOMI FLECKENSTEIN ALBERT
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, chemistry
FRA i minerali, il calcio e' quello presente nell'organismo in
maggior quantita': circa 1250 grammi (1,5-2 per cento del peso
corporeo). Il 99 per cento si trova nelle ossa e nei denti. L'uno
per cento e' distribuito nei tessuti molli, dove svolge funzioni
essenziali: e' indispensabile alla contrazione muscolare, alla
funzionalita' del cuore, alla coagulazione del sangue, agisce sulla
permeabilita' delle membrane ed e' un attivatore di numerose
reazioni enzimatiche. Su tutti questi processi, che avvengono nelle
cellule, il calcio agisce da interruttore, a dosi mille volte
inferiori alla concentrazione extracellulare.
Molte indagini hanno dimostrato che gli ipertesi hanno alterazioni
dell'assorbimento e del trasporto degli ioni calcio. La maggior
concentrazione di ioni calcio all'interno delle cellule della
muscolatura liscia vasale, aumenta lo stato contrattile delle
cellule stesse, provocando la vasocostrizione delle arterie
periferiche. In altre parole: l'aumento della concentrazione di
calcio a livello vascolare concorre a produrre un aumento della
pressione arteriosa. Se viene a mancare il calcio di origine
alimentare, l'organismo ricorre al tessuto osseo (grazie
all'intervento dell'ormone paratiroideo). L'ormone paratiroideo
pero', facilita un eccessivo ingresso di calcio nella cellula
muscolare della parete vasale.
Vent'anni fa Albert Fleckenstein scopri' le possibilita' d'impiego
di particolari molecole ("calcio-antagonisti") che hanno lo scopo
di regolarizzare il movimento degli ioni calcio attraverso le
membrane e il reticolo sarcoplasmatico delle cellule che compongono
il muscolo liscio vascolare. Un'ulteriore conferma dell'utilita'
dei calcio-antagonisti nell'ipertensione si e' avuta dai risultati
dello studio VHAS (Verapamil Hypertension Atherosclerosis Study)
che e' durato 4 anni e che ha coinvolto 79 centri italiani di
cardiologia e 1443 pazienti. Lo studio, presentato a Praga qualche
settimana fa, aveva lo scopo di valutare negli ipertesi l'efficacia
della terapia a lungo termine nelle varie eta', eventuali effetti
collaterali, e soprattutto il comportamento della parete carotidea
(analizzata mediante ecografia). Le pareti della carotide degli
ipertesi, infatti, presentano con l'andar del tempo, alterazioni
che predispongono alla formazione di trombi e alla stenosi.
Regolando la pressione arteriosa con il calcio-antagonista si e'
visto che viene rispettata maggiormente l'integrita' anatomo
funzionale della parete arteriosa rispetto ad altre terapie
(diuretici in particolare), senza effetti indesiderati. Il modello
dello studio VHAS messo a punto da tre istituti universitari
italiani (Zanchetti, Milano; Dal Palu', Padova; Leonetti, Bologna)
dimostra che le concentrazioni intracellulari dello ione calcio
hanno grande importanza sia nei normali processi fisiologici sia
nell'ipertensione, sia in malattie associate come aterosclerosi e
ischemia miocardica.
Renzo Pellati
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA
MA DISONESTO PIONIERE DEI MODERNI STUDI LINGUISTICI
OAUTORE A_B
OARGOMENTI storia della scienza
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS history of science
GRAN conoscitore di lingue, tra cui l'arabo, studioso di
letteratura greca e latina, ricercatore di antichi testi italiani,
provenzali, francesi, catalani, Francesco Redi fu anche un pioniere
dei moderni studi linguistici, ebbe l'incarico di lettore pubblico
di lingua toscana nello Studio Fiorentino, curo' un vocabolario di
voci aretine ed entro', fra i primi, nell'Arcadia.
Come prosatore scrisse le briose e umanissime Lettere, come poeta
e' famoso soprattutto per il ditirambo "Bacco in Toscana", lode dei
vini della regione, gia' celebri in quei tempi, che fu seguito
dall'incompiuto "Arianna inferma", dedicato alle acque. Il Redi fu
nominato Arciconsolo dell'Accademia della Crusca, della quale
corresse il Nuovo Vocabolario. In questo abbandono' il latino e il
greco nella nomenclatura di animali, piante e minerali,
introducendo termini toscani usati alla corte medicea.
Se proprio era costretto a ricorrere a vocaboli classici, li
ritoccava in modo che si potessero adattare alla struttura
fonomorfologica della lingua italiana. Purtroppo nel lavoro al
Vocabolario il celebre studioso non fu molto onesto: altero' e
invento' autori e testi.
Errare humanum est, perseverare diabolicum... E il nostro
continuo' nella frode per tutto l'arco dei quarant'anni di
collaborazione al monumentale Vocabolario, lasciando cosi' una
disonorevole macchia sulla sua fama di grande uomo di cultura. (a.
b.)
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. GEOMETRIA & GEOMETRIE
Quando Pitagora
viaggia in auto
OAUTORE ODIFREDDI PIERGIORGIO
OARGOMENTI matematica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS mathematics
TUTTOSCIENZE ha ricevuto, in seguito al mio articolo "Pitagora
K.O.", una serie di lettere risentite, a causa di un paragrafo che
riporto testualmente: "La geometria della scacchiera e' strana: ad
esempio, in essa fallisce il teorema di Pitagora. Se infatti
dividiamo la scacchiera lungo una diagonale, si ottiene un
triangolo rettangolo in cui sia i lati che la diagonale hanno una
lunghezza di 8 caselle: in altre parole, un triangolo retto
equilatero".
I lettori mi hanno accusato di lesa maesta' e di eresie
matematiche per aver infangato il buon nome del povero Pitagora da
un lato, ed aver divulgato notizie false e tendenziose dall'altro,
perentoriamente intimandomi di fare pubblica ammenda. Ma, come e'
noto, i criminali sono recidivi: colgo dunque l'occasione per
tornare all'attacco del teorema di Pitagora, mostrando un'altra
situazione in cui fallisce.
Questa volta coinvolgero', invece degli scacchisti, gli
automobilisti: anch'essi adottano, per questioni di forza maggiore,
una geometria che non e' quella solita. Andando da un punto
all'altro della citta' non si puo' infatti (fortunatamente!)
procedere attraverso le case (stiamo parlando di automobili, e non
di ruspe), ma si e' costretti a girare attorno agli isolati,
seguendo un percorso a zig-zag lungo le strade: la distanza che
interessa l'automobilista non e' dunque quella (euclidea) "in linea
d'aria", ma quella stradale.
Se l'automobilista si trova a Torino, fra le tante sfortune
relative al traffico ed ai parcheggi esso avra' almeno una fortuna:
a causa della disposizione romana "a scacchiera" (rieccoci!) delle
vie, la distanza stradale tra due punti si puo' calcolare
facilmente, sommando i due cateti del triangolo retto di cui il
segmento congiungente i due punti costituisce l'ipotenusa.
Per evitare incomprensioni e' bene specificare che la distanza
appena definita, benche' ovviamente diversa da quella euclidea, e'
comunque perfettamente legittima, come dimostra il fatto che
proprio essa (e non quella in linea d'aria) e' registrata dal
contachilometri. Ma cambiare la nozione di distanza significa anche
cambiare il tipo di geometria: non c'e' nulla di scandaloso in
questo, poiche' la matematica non e' una religione. Diversamente
dal vero Dio, che e' unico per dogma, le geometrie sono infatti
tante, e tutte ugualmente "vere": l'unica richiesta che la
matematica fa e' di essere consistenti con le proprie assunzioni.
Vediamo allora che cosa succede nella strana geometria dell'auto.
La figura 1 mostra un triangolo retto equilatero. Per andare da A a
B si devono infatti percorrere sei isolati, in linea retta; e
analogamente si devono percorrere sei isolati per andare sia da A a
C, che da C a B, questa volta a zig-zag (facendo cioe' una o piu'
svolte di 90 gradi): tutti i tre lati hanno dunque la stessa
distanza di sei isolati.
L'esempio precedente mostra che nella geometria dell'auto il
teorema di Pitagora e' falso: l'ipotenusa ha lunghezza 6, e dunque
il suo quadrato e' 36; ma anche ciascun cateto ha lunghezza 6, e
dunque la somma dei quadrati dei cateti e' 72; non e' dunque vero
che il quadrato dell'ipotenusa e' uguale alla somma dei quadrati
dei cateti. Sempre l'esempio precedente mostra che nella geometria
dell'auto non e' vero che triangoli isosceli hanno angoli alla
base uguali: il triangolo e' infatti equilatero, ma non equiangolo.
Forse ancora piu' sorprendente e' la figura 2, ottenuta
raddoppiando il triangolo precedente: quello che appare come un
quadrato della geometria euclidea e' invece un cerchio della
geometria dell'auto!
La distanza stradale di ciascun punto dal centro e' infatti sempre
di tre isolati, come si puo' verificare direttamente per ciascuno
dei punti evidenziati.
Le varie geometrie alternative inventate dai matematici, di cui
quella dell'auto non e' che un esempio molto banale, non sono puri
divertimenti: applicazioni a parte, che ci sono, esse mostrano ai
semplici che, come direbbe Amleto, ci sono piu' cose in cielo e in
terra di quante se ne sognino nella loro matematica.
Piergiorgio Odifreddi
Universita' di Torino
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. SCIENZIATO E LETTERATO
Redi, parassitologo, nemico di Aristotele
Archiatra al servizio del Medici, moriva 300 anni fa
OAUTORE BUONCRISTIANI ANNA
OARGOMENTI storia della scienza
ONOMI REDI FRANCESCO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS history of science
QUEST'ANNO ricorre - forse - il terzo centenario della morte di
Francesco Redi, straordinaria figura di scienziato e letterato.
Perche' forse? Perche' la controversia sull'anno in cui egli mori'
non e' ancora stata risolta. I biografi sono infatti divisi fra il
1697 e il 1698, mentre non hanno dubbi sul giorno (1o marzo).
L'incertezza e' molto curiosa, visto che di lui si conoscono bene
tante cose.
Nato il 18 febbraio 1626, a ventun anni il Redi si laureo' a Pisa
in filosofia e medicina. L'anno successivo entro' al servizio dei
Medici, granduchi di Toscana, di cui divenne archiatra, vale a dire
medico capo, e sovrintendente alla spezieria, ma anche amico,
consigliere e quasi segretario. Per conto di Cosimo III dovette
perfino occuparsi dei progetti di matrimonio dell'erede.
Le beghe in cui lo invischiava la vita a corte erano pero'
compensate dai vantaggi. Uno dei granduchi, Ferdinando II, non solo
si comportava da mecenate, ma seguiva personalmente le ricerche dei
naturalisti. Il Redi si trovo' a contatto con filosofi
e scienziati, come l'anatomista e geologo danese Nicola Stenone,
con cui collaboro' a vari esperimenti. Fece anche parte
dell'Accademia del Cimento, fondata dallo stesso Ferdinando II e
dal fratello Leopoldo.
La permanenza alla corte medicea gli permise di avere sottomano
anche animali esotici - una preziosa rarita' scientifica per
quell'epoca - come scorpioni della Tunisia, cammelli, gazzelle,
tigri. Su di essi fece gli esperimenti piu' vari, seguendo
procedimenti d'indagine molto avanzati per quei tempi.
I risultati erano poi riferiti in forma di lettera, in una prosa
chiara ma dotta, intercalata qua e la' da citazioni degli autori
piu' svariati: Aristotele, Virgilio, Petrarca, Dante e addirittura
studiosi arabi, tutti nelle lingue originali che conosceva bene.
Nel 1664 scrisse una lunga lettera al conte Lorenzo Magalotti,
segretario dell'Accademia del Cimento, letterato di grido e suo
amico intimo. Intitolata "Osservazioni intorno alle vipere", essa
condensava i risultati di oltre trecentocinquanta esperimenti.
L'occasione era stata data dall'arrivo di un battello carico di
vipere proveniente da Napoli. Esse servivano per preparare, nella
spezieria granducale, la triaca, un medicamento allora considerato
efficace per ogni male. Il Redi sfato' la credenza che il veleno
fosse la bile del serpente: era invece contenuto in ghiandole poste
alla base dei denti. Smenti' anche che si trattasse normalmente di
un liquido innocuo, destinato a diventare tossico come allora si
pensava, (anche se raramente mortale), solo nel momento in cui
l'animale, disturbato, vi trasferiva la sua ira.
Quattro anni dopo lo scienziato pubblico' il suo capolavoro,
"Esperienze intorno alla generazione degli insetti", dove
dimostrava la falsita' della generazione spontanea: le mosche
nascono nella carne putrefatta solo quando vi siano state deposte
le uova; se con carta o garza si proteggeva la carne, infatti, non
vi si sviluppava nessuna mosca.
Altri esperimenti, condotti su insetti e vermi presenti nella
frutta, nelle galle delle piante e all'interno degli animali,
dettero invece risultati contraddittori. Il Redi, ligio al
principio che ogni affermazione va dimostrata, non se la senti'
dunque di rifiutare in quei casi la vecchia teoria, e l'ammise in
via provvisoria. Pensava di tornare in seguito sull'argomento, ma
fu preceduto dal Malpighi, il quale nel 1679 dimostro' che neanche
nelle galle vi era generazione spontanea.
Ci vollero pero' altri cento anni perche' Lazzaro Spallanzani la
considerasse inesistente negli infusori, e cento anni ancora per le
esperienze di Louis Pasteur, che la negarono anche per i batteri.
Aristotele, grande fautore della generazione spontanea, continuo'
insomma a imporsi fino a tempi molto recenti, e va a onore del Redi
l'aver cominciato a intaccarne l'autorita' su questo argomento.
Nel 1684 pubblico' il primo trattato sui vermi parassiti dei piu'
svariati animali, che insieme col precedente ispiro' i livornesi
Giovan Cosimo Bonomo, medico sulle galee della flotta granducale, e
Giacinto Cestoni, speziale e naturalista. Costoro nel 1687
sottoposero alla correzione del Redi un lavoro rivoluzionario
sull'acaro della scabbia.
Fino ad allora si credeva che i parassiti esterni si installassero
sul corpo umano dopo che una malattia ne aveva alterato gli umori.
Qui invece si sosteneva che erano proprio gli animaletti a creare
la malattia! Insomma, si sovvertivano le convinzioni del tempo,
sulla scia di Galileo: queste scoperte naturalistiche erano
sconvolgenti almeno quanto la teoria secondo cui era la Terra che
girava intorno al Sole e non viceversa.
Si arrivo' all'ipotesi che le malattie avessero origine da
quegli organismi minuscoli di cui il microscopio - magico
marchingegno inventato in quei tempi dall'olandese Van Leeuwenhoek
- stava rivelando l'esistenza.
Fu cosi' aperta la strada alle teorie dei contagi, che portarono
quasi due secoli dopo alle scoperte di Koch e Pasteur.
L'impronta indelebile lasciata da Francesco Redi nella
parassitologia e' rivelata ancora oggi dal termine redia (forma
larvale di certi vermi piatti), coniato come omaggio verso la meta'
dell'Ottocento dallo zoologo Filippo De Filippi.
Anna Buoncristiani
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. SCAFFALE
Smil Vaclav: "Energetica generale", Edagricole
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI energia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS energy
ECCO finalmente un libro che del tema dell'energia da' una visione
sistemica: si parte dal bilancio energetico del pianeta Terra
investito dal flusso della radiazione solare per passare
all'analisi delle destinazioni di questa energia, al metabolismo
nelle specie viventi, agli accumuli di energia fossile e al loro
uso, alle prospettive del problema energetico a lungo termine. Che
non sono allegre, perche' l'unica soluzione davvero definitiva, la
fusione nucleare controllata di idrogeno in elio, rimane ancora
lontanissima.
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. CAVALLUCCI MARINI
Strage di Hippocampus
Ogni anno pescati 20 milioni di esemplari
OAUTORE BOZZI MARIA LUISA
OARGOMENTI zoologia, mare, strage, animali, ecologia
ONOMI VINCENT AMANDA
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Le varie specie di Hippocampus
OSUBJECTS zoology, sea, slaughter, animal, ecology
BRUTTE notizie per il cavalluccio marino, da tempi immemorabili
simbolo del mare. Per sua sfortuna in Cina e' un ingrediente
fondamentale di farmaci che curano dall'asma all'arteriosclerosi,
passando per l'impotenza e la frigidita' sessuale; altrove e'
ricercato morto o vivo come curiosita'. Risultato: piu' di 20
milioni di esemplari pescati ogni anno, mentre ignoriamo a quanto
ammonta la popolazione mondiale, e della sua biologia si conosce
solo il periodo riproduttivo. Non si sa dove passa l'inverno, ne'
quale sia la struttura sociale durante quel periodo. Intanto gli
effetti della pesca massiccia sono evidenti sia nella consistenza
delle popolazioni, sempre piu' esigua, sia nella taglia degli
animali pescati, sempre piu' piccola.
A lanciare il grido di allarme e' Amanda Vincent, la zoologa
canadese che da 11 anni e' votata allo studio di questi pesci.
Un amore a prima vista, dal momento che il maschio del cavalluccio
marino e' dotato - unico nel regno animale - di un marsupio dove la
femmina depone le uova che qui completano lo sviluppo embrionale, e
Amanda Vincent e' una scienziata con interessi per l'evoluzione
della sessualita' e una donna con una certa inclinazione al
femminismo. Grazie alle sue osservazioni, le prime condotte in
ambiente naturale, sappiamo che i cavallucci marini, 39 specie
tutte appartenenti al genere Hippocampus, famiglia Signantidi, sono
gli unici pesci a formare coppie monogamiche, senza cedimenti ad
avventure extraconiugali.
Dal Canada alla Tasmania, i cavallucci marini si riproducono
durante la stagione calda lungo le coste con praterie di Posidonia,
o formazioni coralline, o mangrovie. Attaccati a un'alga o a un
corallo con la coda prensile, sono pressoche' invisibili. Mimetici,
i cavallucci marini sono i camaleonti del mare: cambiano colore a
seconda dello sfondo e delle situazioni. Gli individui di una
popolazione si spartiscono l'ambiente in territori, secondo una
proporzione che privilegia la femmina come superficie ma che in
realta' salvaguarda i bisogni alimentari di ognuno. Perche', se lui
si occupa dello sviluppo, e' lei che deve provvedere di nutrienti
le uova. Quindi, poco meno di un metro quadro a un maschio e 10
volte di piu' a una femmina. Anche quando formano coppia fissa,
maschio e femmina mantengono le loro dimore e salvaguardano la
relazione con visite quotidiane.
Come sempre avviene, tutto comincia con una tenzone fra rivali. I
due lui si azzuffano sparandosi a vicenda getti di acqua,
puntandosi addosso il muso appuntito come fosse un fucile. Oppure
avvinghiati per la coda, si sfidano in una sorta di braccio di
ferro ciascuno tirando con tutte le forze, finche', il perdente si
fa marrone scuro e molla la presa. Nel mondo dei cavallucci marini
il bruno scuro e' il colore della sconfitta e il beige chiaro
quello dell'amore. Tutto splendente di toni chiari, il vincitore si
avvicina alla sua bella e con una serie di contorsioni le esibisce
le sue virtu' come possibile padre di famiglia. In breve le mostra
la capacita' del marsupio, pompando dentro acqua ed espellendola
fuori a viva forza. Conquistata, lei risponde illuminandosi di toni
chiari e subito i due si scambiano una promessa di matrimonio, che
nel linguaggio dei cavallucci marini si esprime con una danza a
minuetto.
Attaccati per la coda a una stessa alga, compiono un lento giro
tutto attorno; quindi, coda nella coda, si spostano su un'altra
alga per ripetere lo stesso passo. Il tutto va avanti per circa 6
minuti, poi ventre contro ventre, lei infila l'ovopositore nel
marsupio del compagno e vi depone circa duecento uova, che lui
subito provvede a fecondare. A testimonianza che il matrimonio e'
stato consumato, lei ora e' tutta piatta e lui ha un bel pancione.
Dentro il marsupio paterno gli embrioni ricevono ossigeno e
nutrimento, come nell'utero di una qualsiasi mamma di mammifero.
Durante le 3 settimane della gravidanza, la femmina non abbandona
il compagno, neanche se ha l'opportunita' di tradirlo.
Perche' non lo faccia e' una bella domanda, che pero' non c'entra
con la nostra storia. Fatto sta che ogni mattina all'alba lei fa
visita allo sposo incinto in un luogo prestabilito e qui, tutti
splendenti di toni chiari, i due rinnovano con la danza a minuetto
il patto d'amore del primo giorno. Subito dopo il parto sono pronti
a un nuovo accoppiamento.
Questa particolare biologia, con una lunga gravidanza, un legame
stabile di coppia, nonche' la vita solitaria in ampi territori,
rende il cavalluccio marino un animale fragile se e' soggetto, come
avviene, a una pesca massiccia e se si distrugge l'ambiente
costiero in cui si riproduce. Secondo le testimonianze dei
pescatori filippini, i maggiori in questo settore, la resa del
pescato e' diminuita del 70% negli ultimi 10 anni.
Non solo ce ne sono di meno, sono anche piu' piccoli. Nel
frattempo e' cresciuta la domanda e il cavalluccio marino paga con
la pelle il fiorire economico della Cina. Oggi al mercato di Hong
Kong vale 1200 dollari al chilo: di fronte a tali cifre non ci sono
argomenti per limitarne la pesca. Secondo Amanda Vincent, non
rimane che coinvolgere i pescatori nel problema, stabilendo delle
regole alla pesca. Pioniere nell'esperimento il villaggio di
Handumon nell'isola di Jandayan delle Filippine, i cui pescatori
hanno costruito in mare speciali nursery di reti dove portano ogni
maschio in gravidanza che capita nel loro pescato. Solo a parto
avvenuto il maschio puo' essere catturato di nuovo e venduto. Per
ora non si sa se e quanto questo sistema funziona. In attesa dei
risultati, se ci tenete a questo pesce dal menage cosi' speciale,
evitate di incoraggiarne la pesca. Non comprate un cavalluccio
marino, morto o vivo che sia.Maria Luisa Bozzi
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Tuttoscienze
in Cd-Rom
OARGOMENTI informatica, didattica, editoria, elettronica, scienza
OORGANIZZAZIONI TUTTOSCIENZE, LEONARDO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS computer science, didactics, publishing, electronics, science
PIU' di mille articoli pubblicati nel 1995 da "Tuttoscienze",
centinaia di illustrazioni didattiche, una antologia dei servizi
piu' significativi del telegiornale scientifico della Rai
"Leonardo", un semplice ma funzionalissimo sistema di navigazione
per cercare le informazioni desiderate partendo da qualche
parola-chiave: e' il Cd-Rom "Tuttoscienze '95 e Leonardo", pronto a
girare su qualsiasi personal computer multimediale.
Chi non fosse riuscito a trovarlo in edicola puo' ordinarne una
copia contrassegno tramite il tagliando qui accanto. Il prezzo e'
quello dell'edicola, senza aggravi di spese postali.
ODATA 12/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. TECNICA DELL'ILLUMINAZIONE
Valsusa, in scena la storia
Luci sulle opere architettoniche
OAUTORE SCAGLIOLA RENATO
OARGOMENTI tecnologia, energia
ONOMI FERRERO RICHI, CANTORE MARCELLO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OTABELLE C. Il «triangolo luminoso» composta dal forte di Exilles,
Fenestrelle e Sacra di San Michele
OSUBJECTS technology, energy
LE piu' recenti soluzioni dell'illuminotecnica, la poesia, arcaiche
architetture religiose e militari, le montagne: sono gli
ingredienti di un curioso triangolo geografico appena nato in
Piemonte, a cavallo tra le Valli Susa e Chisone. I tre vertici
dello scaleno alpino sono la fortezza di Fenestrelle (Val Chisone),
quella Exilles (Val di Susa), e il millenario monastero della Sacra
di San Michele all'imbocco di quest'ultima. Tutti e tre i monumenti
sorgono isolati tra i boschi e tutti e tre sono stati illuminati di
recente con poderosi impianti luce.
Ultima ad uscire dalle tenebre e' stata la fortezza di Exilles, a
mille metri d'altezza, che a giugno diventera' sede staccata del
Museo della Montagna di Torino. In questo caso i criteri di
illuminazione sono stati "cinematografici", firmati da Richi
Ferrero, torinese, regista del Gran Teatro Urbano, che da anni
lavora con la luce. Ogni posizionamento dei fari e' stato fatto a
vista, con prove dirette sul campo. Alla fine sono state usate 22
lampade a ioduri metallici a luce fredda, da 1800 watt ciascuna,
per non guastare le nuances naturali delle pietre, due lampade a
gas che producono un tenue colore verde azzurro, "freddo", per
esaltare i volumi interni della piazzaforte, e alcuni riflettori da
mille watt. C'e' un solo faro a vapori di sodio (arancione), che
spezza l'uniformita' cromatica oltre l'ingresso della ripida Strada
dei Cannoni. Decine di migliaia di lumen hanno prodotto un
miracolo, trasformando un tetro edificio militare sabaudo, in una
specie di monastero tibetano, una magia notturna, che scompare di
colpo, alle 2 quando scattano gli interruttori a tempo.
L'allestimento ha tenuto conto anche di altri fattori, come
l'inquinamento luminoso, non solo del cielo, ma delle foreste
circostanti. I riflettori sono stati quindi opportunamente
schermati o "bandierati", per non accecare ne' le stelle, ne' cervi
e daini che popolano il parco del Gran Bosco di Salbetrand.
L'immane fortezza di Fenestrelle in Val Chisone e' stata invece
illuminata dall'Enel, con un progetto (realizzato con simulazioni
al computer), di Ferdinando Prono, un tecnico che da anni e'
responsabile di illuminazione pubblica e monumenti. Qui l'impresa
e' stata piu' impegnativa ancora, dato che il monumento parte dal
fondo valle e s'inerpica per circa 700 metri di dislivello fino
alle ridotte in quota. In questo caso sono stati posizionati 108
punti luce, lampade a vapori di alogenuri metallici a luce bianca,
scartando le lampade a vapori di sodio (luce arancione), che
avrebbero alterato i colori naturali. Bastioni e risalti di difesa,
sono di serpentino grigio (pietra locale), con venature verdi e
tracce di ferro: questi riflessi mettallici sarebbero stati in
pratica oscurati. Le lampade hanno una durata media di 4/5 mila
ore, che possono quasi raddoppiare grazie a stabilizzatori di
corrente.
La Sacra e' stata illuminata per prima, gia' nel '94, su progetto
di Marcello Cantore, ingegnere della Toelco di Caprie. Trenta i
kilowattora impiegati, per 32 centri luminosi, composti da lampade
accoppiate di alogenuri e vapori di sodio. Anche qui e' stata fatta
una simulazione al computer, salvi poi gli aggiustamenti sul campo.
Grandi le difficolta' del terreno, poiche' il monumento sorge a
picco sulla valle, e grande cura nell'occultare fari e cavi, che
risultano invisibili di giorno.
Renato Scagliola
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. UNA PROTEINA CHIAMATA TAT
Aids: ecco i meccanismi molecolari
Primi dati positivi da esperimenti a Torino e Genova
OAUTORE BUSSOLINO FEDERICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI UNIVERSITA' DI TORINO, ISTITUTO TUMORI DI GENOVA
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. La struttura del virus HIV, l'agente dell'Aids, ricostruita a
livello molecolare
OSUBJECTS medicine and physiology
L'Hiv-1, il virus dell'Aids, e' un organismo semplice costituito da
poche proteine, sufficienti pero' a indurre una malattia
devastante. La strategia del virus consiste nell'utilizzare le
proprie proteine per piu' scopi, ovviamente con il fine ultimo di
replicarsi nelle cellule dell'individuo infettato. Gli sforzi
congiunti tra il laboratorio di Biologia vascolare dell'Universita'
di Torino e quello dell'Istituto Tumori di Genova hanno permesso di
definire i particolari meccanismi molecolari con cui una proteina
del virus attiva le cellule umane. La proteina in questione e'
chiamata Tat e viene utilizzata dal virus in due modi. La proteina
Tat innesca la replicazione del virus dopo che si e' introdotto
nelle cellule del sistema immune; in secondo luogo puo' uscire
dalle cellule infette e attivare la crescita di quelle sane, ad
esempio quelle che ricoprono i vasi sanguigni (cellule endoteliali)
che mediano sia l'infiammazione sia lo sviluppo di nuovi capillari.
L'attivazione cellulare e' mediata da recettori, strutture
presenti sulla parete cellulare che ricevono segnali dall'esterno e
li trasmettono all'interno. I dati sperimentali dei gruppi di
Torino e di Genova, che sono stati pubblicati nel numero di
dicembre della rivista "Nature Medicine", dimostrano che la
proteina Tat, per agire sulle cellule dei vasi, si serve in modo
opportunistico dello stesso recettore utilizzato da una proteina
presente nell'organismo, Vegf, che regola lo sviluppo dei vasi
sanguigni in situazioni fisiologiche e patologiche, come lo
sviluppo del feto, la vascolarizzazione della mucosa dell'utero, la
riparazione delle ferite, la crescita dei tumori. Il recettore che
regola queste funzioni di Vegf si chiama Kdr ed e' proprio quello
che i due gruppi italiani hanno scoperto come recettore abusivo di
Tat.
Ma tutto cio' cosa puo' significare? Provianmo a metterci nei
panni del virus. Il virus si replica meglio nelle cellule che
crescono, come i linfociti. Il virus entra nelle cellule
endoteliali, ma non riesce a replicarsi perche' queste cellule che
tappezzano i vasi normalmente non si riproducono.
La Tat, stimolando la crescita dell'endotelio, puo' aiutare il
virus Hiv-1 a replicarsi anche dove e' sfavorito. Come conseguenza,
la proliferazione dei vasi contribuisce alla progressione
dell'Aids. Grazie alla sua azione mimetica di un fattore vascolare
Tat, contribuisce inoltre ad alcune manifestazioni cliniche, come
lo sviluppo di tumori, del sarcoma di Kaposi, di malattie della
cute e delle mucose. Al di la' del puro interesse scientifico,
questa scoperta puo' aiutarci a migliorare la qualita' di vita dei
pazienti? Da questi dati non e' pensabile avere una ricaduta sulla
salute a breve termine. Tuttavia, l'avere scoperto come una
proteina del virus attiva il sistema vascolare, permettera' la
costruzione mediante l'ingegneria genetica di molecole che
impediscano alla Tat di interagire con il recettore o l'utilizzo in
modelli sperimentali di anticorpi gia' sviluppati dall'industria
farmaceutica per inibire il recettore di Vegf con lo scopo di
arrestare la crescita dei tumori. E questa sara' una nuova tappa,
da cui ripartire.
Federico Bussolino
Universita' di Torino
e Istituto Tumori di Genova
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
NUOVE TECNOLOGIE
Arriva il microscopio a raggi X "molli"
Ci fa vedere a forte ingrandimento anche tessuti viventi
OAUTORE VOLPE PAOLO
OARGOMENTI tecnologia, ottica e fotografia, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.
OSUBJECTS technology, optics and photography, technology
LA possibilita' di vedere oggetti impercettibili a occhio nudo e'
uno dei cardini del progresso scientifico e tecnologico. Senza
microscopio ottico non vi sarebbero state gran parte delle scoperte
in microbiologia, medicina, metallurgia, botanica, cristallografia.
Un altro enorme passo in avanti si fece alla meta' di questo
secolo con la messa a punto del microscopio elettronico: con
ingrandimenti circa mille volte superiori a quello ottico, permise
di analizzare oggetti molto inferiori al milionesimo di millimetro.
Circa trent'anni fa e' stato messo a punto il microscopio ionico
che, sfruttando la minor lunghezza d'onda delle particelle pesanti
rispetto quella degli elettroni, consente di raggiungere
risoluzioni ancora maggiori. In tempi relativamente recenti,
infine, e' stato realizzato il microscopio basato sullo
sfruttamento delle forze atomiche, uno strumento che addirittura
permette di distinguere le sagome degli atomi sulla superficie del
campione sotto esame.
Meno conosciuto e' il microscopio a raggi X, gia' costruito piu'
di trent'anni fa ma poco applicato perche' di uso limitato e con
risultati non sempre soddisfacenti. Con le nuove tecnologie, laser
e eccimeri e materiali fotografici di alta qualita', l'apparecchio
viene ora ripreso con il fine di perfezionarne le prestazioni. La
risoluzione visiva, cioe' la possibilita' di vedere i dettagli in
un oggetto, e' legata alla lunghezza d'onda della radiazione usata
per la visualizzazione: piu' essa e' breve, piu' penetra nei
particolari dell'oggetto sotto osservazione, favorendone la
nitidezza.
La luce visibile all'occhio umano, quella usata al microscopio
ottico, e' una radiazione elettromagnetica che ha una lunghezza
d'onda di circa un millesimo di millimetro. Elettroni, ioni e raggi
X possono essere prodotti con lunghezze d'onda molto inferiori,
consentendo quindi un alto potere di risoluzione ad ingrandimenti
impensabili per l'ottica tradizionale. Tuttavia la visualizzazione
con elettroni, ioni e raggi X ha due inconvenienti: 1o) l'occhio
umano non e' ad essi sensibile e quindi si deve ricorrere
all'osservazione indiretta, spesso preceduta (quasi sempre per i
campioni biologici) da un trattamento di "colorazione". 2o) per
permettere agli elettroni, ioni e ai raggi X di propagarsi senza
assorbimento, si deve lavorare in assenza d'aria e quindi si deve
porre nel vuoto anche il campione da esaminare.
Al primo inconveniente si ovvia facilmente proiettando l'immagine
su uno schermo televisivo, dove la si puo' osservare evidenziandone
i particolari desiderati che poi possono essere fissati in
fotografia. Il secondo inconveniente e' piu' sostanziale, specie
quando si tratta di organismi - al limite viventi - nei quali
l'acqua e' costituente fondamentale. Infatti, poiche' l'acqua,
messa nel vuoto, evapora istantaneamente danneggiando sia lo stesso
campione sia l'apparecchio, i campioni biologici devono essere
trattati, sostanzialmente disidratati, prima di esser introdotti
nel microscopio.
Una cellula ad esempio o un batterio, non possono percio' esser
fotografati esattamente come sono allo stato vivente, cosa che
probabilmente lascia una lacuna nella comprensione della loro
natura. Il problema puo' essere risolto dalla microscopia a raggi X
"molli".
Si chiamano cosi' i raggi X di energia relativamente bassa (sotto
i mille elettronvolt, eV) ma che hanno tuttavia una lunghezza
d'onda da 200 a 300 volte minore di quella della luce visibile
e permettono una risoluzione paragonabile a quella del microscopio
elettronico. Raggi X cosi' deboli - i raggi X piu' comuni, quelli
usati per le radiografie, per intenderci, hanno energie che vanno
da qualche decina a centinaia di migliaia di eV - si propagano con
difficolta' nell'aria perche' vengono facilmente assorbiti o
diffusi, ma il loro cammino non e' turbato da sottilissimi strati
di materiale solido.
Nel caso della microscopia essi vengono prodotti irraggiando con
la luce di un laser a eccimeri (ecco uno dei miglioramenti che
probabilmente riportera' in auge la tecnica) un bersaglio di rame
e, filtrati e selezionati da fogli di alluminio e vanadio, hanno
lunghezze d'onda comprese tra i 2 e 3 millesimi di micrometro.
Durante l'analisi l'intera apparecchiatura e' posta sotto vuoto
spinto, ma la fotografia del campione puo' avvenire senza la
disidratazione perche', durante l'esposizione ai raggi X molli,
esso e' protetto da uno strato di nitruro di silicio (circa 1
micrometro). A differenza dalla luce visibile, che si puo' far
divergere o convergere con lenti ottiche, o degli elettroni, docili
ai campi elettrici e magnetici, i raggi X sfuggono al controllo e
possono esser usati solo in fasci paralleli. Percio' questa prima
fotografia avviene in dimensioni reali, cioe' e' anch'essa
microscopica; tuttavia, grazie allo spessore del fotoresist, essa
e' in bassorilievo; per di piu' l'acqua, benche' presente nel
campione cosi' da preservarne la forma reale, e' trasparente ai
raggi X della lunghezza d'onda usata e quindi non opacizza i
particolari caratterizzanti del campione.
E' poi questa microlitografia del campione - ad esempio un
microorganismo vivente addirittura nel suo ambiente acquoso - che
viene immessa nel microscopio elettronico per essere ingrandita,
fornendo l'immagine reale; anzi, poiche' la microlitografia
ottenuta e' tridimensionale e i raggi X penetrano il campione,
quello che risulta e' una vera e propria microradiografia.
Paolo Volpe
Universita' di Torino
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. FISICA DELLA NEVE
Candida, scivolosa
e fonoassorbente
OAUTORE CAGNOTTI MARCO
OARGOMENTI fisica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics
GLI amanti degli sport invernali e gli albergatori delle localita'
di montagna quest'anno sono stati fortunati: il freddo e le
nevicate hanno garantito ottime "settimane bianche". Fra una
discesa e l'altra, magari appollaiati sugli impianti di risalita,
puo' essere divertente cercare una spiegazione dei fenomeni legati
al ghiaccio e alla neve.
A prima vista sembrerebbe che il peggior nemico degli sciatori sia
l'attrito. Non per nulla si fa abbondante uso di scioline per
ridurlo. Eppure non sempre e' necessario: spesso l'attrito dinamico
favorisce un aumento della velocita'.
In effetti il motivo per cui si scivola con tanta facilita' sulla
neve e' dovuto a uno straterello di pochi micron (un micron e' pari
a un millesimo di millimetro) di acqua sotto gli sci. Se non ci
fosse l'attrito dinamico, che scalda la neve e la scioglie, non si
scivolerebbe. Infatti l'attrito statico, che non produce calore,
consente di restare fermi su pendenze fino a una ventina di gradi.
Nel processo di scioglimento non e' indifferente il materiale con
cui gli sci sono realizzati: se fossero di metallo il calore si
disperderebbe troppo rapidamente impedendo la formazione dello
strato lubrificante. Ha senso intervenire con la sciolina quando la
neve e' troppo soffice, oppure troppo fredda, e fin dall'inizio si
attacca al fondo formando croste ghiacciate che inibiscono la
lubrificazione.
Il meccanismo fisico che consente di pattinare sul ghiaccio e'
diverso da quello che agisce nel caso degli sci. La formazione di
un sottile strato di acqua fra la lama e il ghiaccio non avviene a
causa dell'attrito, bensi' per l'elevata pressione sviluppata: il
peso di una persona concentrato su una superficie di pochi
millimetri quadrati puo' portare infatti a pressioni superiori a
mille atmosfere. Conseguenza di cio' e' l'abbassamento del punto di
fusione del ghiaccio di alcuni gradi. Alla temperatura della pista
l'acqua puo' allora rimanere allo stato liquido sotto la lama, e
permette di pattinare. Questo e' un comportamento peculiare del
ghiaccio d'acqua: altre sostanze, come il ghiaccio secco (anidride
carbonica solida), non si sciolgono aumentando la pressione e
quindi non sarebbero adatte al pattinaggio.
Rientrando a casa, la sera, si possono vedere lungo strade e
ferrovie le palizzate antineve. Uno sguardo meno distratto porta a
chiedersi perche' non si sia scelto di erigere un muro, che
apparentemente dovrebbe trattenere piu' efficacemente la neve. La
ragione va cercata nei vortici che un ostacolo solido
provocherebbe, che sono meno forti nel caso di una barriera forata.
Se l'aria che l'attraversa si muove a una velocita' inferiore a
quella necessaria a sostenerla, la neve puo' posarsi ed essere
trattenuta. Il fenomeno e' lo stesso che spiega per quale ragione
essa si accumula di preferenza contro gli ostacoli sottili, come
gli alberi o i pali, piuttosto che sui lati delle case esposti al
vento. Infatti per depositarsi deve avvicinarsi all'ostacolo, ma un
oggetto di grandi dimensioni fa divergere il flusso del vento che
la trasporta gia' ad alcune decine di metri di distanza. Un palo o
una pianta, al contrario, devia meno l'aria e permette alla neve di
avvicinarsi e accumularsi.
Un fattore che rende affascinanti le serate invernali
e' l'atmosfera silenziosa e ovattata: una nevicata recente
attutisce ogni rumore all'esterno, certo piu' di quanto e'
giustificabile con l'assenza di persone e di automobili. Il manto
nevoso agisce infatti in maniera non diversa dai pannelli
fonoassorbenti degli uffici; gli interstizi fra un fiocco e l'altro
sulla superficie tendono a smorzare la riflessione sonora.
Ovviamente l'effetto si riduce se la neve e' "vecchia", con una
superficie gelata e compatta.
Marco Cagnotti
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Cardiopatie:
caccia ai geni
OGENERE breve
OARGOMENTI genetica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS genetics
Un bambino su 170 nasce con una cardiopatia e nel 98 per cento dei
casi questa ha un'origine genetica. Un gruppo di ricerca finanziato
da Telethon ha ora individuato un difetto del cromosoma 22 che
coinvolge una decina di geni il cui cattivo funzionamento e'
all'origine della sindrome di DiGeorge, malattia caratterizzata da
cardiopatia e da altre disfunzioni dell'organismo.
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. INFORMATICA & MATEMATICA
Computer come Euclide?
Un teorema dimostrato "a macchina"
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE
OARGOMENTI informatica, matematica
ONOMI LOLLI GABRIELE, MCCUNE WILLIAM, WOS LARRY
OORGANIZZAZIONI IL MULINO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science, mathematics
NEL saggio "La macchina e le dimostrazioni. Matematica, logica e
informatica" (il Mulino), Gabriele Lolli ricorda una domanda che
nel lontano 1908 Poincare' rivolgeva provocatoriamente alla
comunita' dei logici del suo tempo: "Ma se ci vogliono 27 equazioni
per stabilire che 1 e' un numero, quante ne occorreranno per
dimostrare un teorema?".
La battuta tradiva l'insofferenza del matematico puro, in parte
giustificata, nei confronti della logica prima e dell'informatica
poi (un atteggiamento che perdura ai nostri giorni come mostrano
gli ordinamenti dei corsi di laurea in matematica. Mi perdonino gli
amici matematici questa battuta, tesa ad ampliare l'insegnamento
dell'informatica nei loro corsi di laurea).
Nel momento in cui Poincare' manifestava le sue perplessita' nei
confronti del sogno leibniziano di realizzare un "calculus
rationator" che "avrebbe potenziato i poteri della ragione, piu' di
quanto qualsiasi strumento ottico avesse mai esaltato quelli della
visione", non poteva prevedere che sarebbero nati i calcolatori
elettronici e che questi, novanta anni dopo, sarebbero stati capaci
di fare milioni di deduzioni logiche al secondo, per cui il numero
delle equazioni da risolvere non sarebbe certo stato la piu' grave
delle difficolta'.
Non poteva neppure prevedere che entro la fine del secolo si
sarebbero realizzati alcuni "theorem prover", o dimostratori
automatici di teoremi, che nell'ambito di un ben definito sistema
formale sarebbero stati in grado di determinare milioni di teoremi
deducibili da un dato insieme di ipotesi.
In verita' finora i dimostratori automatici di teoremi non hanno
portato contributi rivoluzionari al progresso della matematica o di
altre discipline scientifiche. Sono rapidissimi nel dedurre nuovi
teoremi, ma incapaci di identificare, nei milioni di nuovi teoremi
proposti in pochi passi di deduzione, quali debbano essere
selezionati come pietre miliari per il progresso scientifico.
Il primo risultato importante ottenuto da un "theorem prover" e'
la dimostrazione, nel 1976, del teorema dei quattro colori (che
risale al lontano 1853). Il problema proposto riguardava la
possibilita' di colorare una carta geografica con quattro colori,
in modo che regioni con confini in comune non avessero mai lo
stesso colore. La dimostrazione suggerita dal calcolatore 120 anni
dopo la prima formulazione della congettura, fu pero' oggetto di
molte riflessioni critiche perche' basata su molta intelligenza
naturale dispiegata nell'impostazione della dimostrazione.
Ora, la svolta. William McCune e Larry Wos, dell'Argonne National
Laboratory in Illinois, hanno annunciato di aver dimostrato la
congettura di Robbins con l'impiego completamente automatico di un
loro "theorem prover" assolutamente generale e non con un programma
sviluppato specificatamente per quella dimostrazione.
La congettura di Robbins riguarda la terza di un insieme di tre
equazioni che esprimono le condizioni necessarie e sufficienti
perche' un'algebra sia Booleana. Nel 1933 Huntington aveva proposto
tre equazioni di base, ma un suo studente, destinato a divenire una
personalita' importante nel mondo della ricerca, Herbert Robbins,
aveva suggerito la sostituzione della terza di queste equazioni con
una relazione piu' semplice, senza tuttavia riuscire a dimostrare
che la nuova terna di equazioni fosse sufficiente a definire
un'algebra Booleana.
Risparmio al lettore il confronto delle equazioni di Huntington e
Robbins, perche' troppo ermetico per i non addetti ai lavori.
Inoltre, a giudizio del sottoscritto, la congettura di Robbins non
e' molto importante dal punto di vista scientifico ed ha una
rilevanza applicativa ancora inferiore a quella concettuale.
L'importanza di quell'algebra di Boole dal punto di vista della
logica, ossia la possibilita' di attribuire alle sue operazioni
elementari di somma, prodotto e complementazione il significato di
"oppure", "e inoltre" e "non" nelle valutazioni della verita' o
falsita' delle proposizioni, era stata ampiamente analizzata, a
meta' del secolo scorso, dal suo ideatore George Boole, che aveva
introdotto quel calcolo come strumento di base per "l'analisi delle
leggi del pensiero".
L'importanza della notizia non e' nelle sue implicazioni per il
progresso scientifico, ma per la novita' di un teorema interamente
dimostrato da un calcolatore. Un nuovo strumento si affianca ad
altri mezzi di indagine, ben consolidati nei secoli.
Due note di cronaca per chiudere. Herbert Robbins, ora ottantenne,
professore emerito alla Rutgers University (New Brunswick), ha
commentato il suo trionfo su alcuni dei piu' noti logici del secolo
dopo una disputa che si trascinava da sessant'anni, con poche
parole al New York Times: "Sono lieto di essere vissuto
abbastanza", quasi a lasciar intendere che la lunga vita fosse piu'
importante della congettura.
Subito dopo l'annuncio di McCune e Wos, lo studioso francese
Pierre Lescanne dell'Universita' di Orleans ha annunciato
un'analoga dimostrazione della congettura di Robbins, basata su un
diverso "theorem prover" sviluppato nel suo laboratorio.
Una riflessione finale per tranquillizzare gli amici matematici.
La congettura di Robbins, cosi' come il teorema dei 4 colori, non
e' stata il frutto di intelligenza artificiale, in quanto il
calcolatore si e' limitato alla sua dimostrazione.
Un "theorem prover" e' uno strumento importante, ma solo uno
strumento, che ha bisogno di molta intelligenza naturale per
raggiungere i suoi obiettivi. Il calcolatore produrra' in futuro
molti teoremi anche importanti, ma sara' sempre incapace di capirne
il significato.
Angelo Raffaele Meo
Politecnico di Torino
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
I parchi
da leggere
OGENERE breve
OARGOMENTI ecologia, parchi naturali
OORGANIZZAZIONI PIEMONTE PARCHI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS ecology
"Piemonte Parchi", 70 numeri bimestrali in 13 anni di
pubblicazione, e' una rivista bimestrale di informazione
naturalistica sulle aree protette. Prima e unica rivista pubblica
del settore, ora si misura sul terreno del "mercato". Inviata
ancora gratuitamente a enti e scuole (in circa 25 mila copie), va
in abbonamento ai privati. L'abbonamento annuale (sei numeri) anche
per il 1997 e' di 15 mila lire (conto corrente postale n. 36620102,
intestato a Regione Piemonte, abbonamento a Piemonte Parchi, piazza
Castello 165, Torino).
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. GALILEO FERRARIS
Il padre dell'elettrotecnica
Cento anni dalla morte del grande scienziato
OGENERE dati storici, dati biografici
OAUTORE LESCHIUTTA SIGFRIDO
OARGOMENTI storia della scienza
OPERSONE FERRARIS GALILEO
ONOMI FERRARIS GALILEO
OORGANIZZAZIONI REGIO MUSEO INDUSTRIALE, POLITECNICO DI TORINO, SCUOLA
CON
LABORATORIO DI ELETTROTECNICA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND historical data, biografic data
OSUBJECTS history of science
NON si sentiva bene, ma la sera di domenica 31 gennaio 1897, da
appassionato melomane quale era, ando' a teatro. L'indomani inizio'
la lezione di elettrotecnica al Regio Museo Industriale, ma dopo
mezz'ora la sospese; ebbe un malore, ma non volle essere
riaccompagnato a casa. Polmonite che divenne pleurite e che lo
porto' a morte sei giorni dopo, il 7 febbraio. Non aveva
cinquant'anni. Cosi' scomparve Galileo Ferraris, uno dei piu'
grandi scienziati italiani della fine del secolo scorso.
Al di fuori di ogni retorica, fu grande per numerosi aspetti: come
ricercatore, come ingegnere, come didatta e organizzatore, ma anche
come uomo attento alla societa' nella quale viveva e ai suoi
bisogni. Ci troviamo infatti dinanzi a un uomo particolarmente
versato nelle discipline fisiche e matematiche, ma partecipe
diretto, e non solo come testimone, del travolgente sviluppo della
elettrotecnica, che e' uno degli elementi costitutivi del nostro
vivere. E' lui il grande didatta che per primo avvia a Torino
scuola e laboratorio universitari dedicati alla nuova disciplina ma
che trova anche il tempo per "spezzare il pane della scienza", con
conferenze e con l'assidua partecipazione alla vita pubblica, come
consigliere comunale, come assessore e, sul finire della vita, come
senatore.
Ma prima di ricordare queste doti di ricercatore, ingegnere,
maestro e cittadino, e' opportuno fare un paio di riflessioni.
L'Italia, durante il mezzo secolo del Risorgimento, era
praticamente scomparsa, per tanti motivi, dalla scena della scienza
europea, proprio mentre altrove si sviluppavano impetuose nuove
scienze o trovavano nuova vita vecchie discipline: l'elettricita',
la chimica, l'ingegneria, la fisica. Solo nella seconda meta' del
secolo la ricerca e la tecnologia italiana, per restare nelle
discipline elettriche, si fanno vive a livello internazionale, con
Pacinotti, a Pisa, che inventa la dinamo, con Colombo, a Milano,
alla cui iniziativa imprenditoriale si dove la prima centrale
elettrica europea - la seconda del mondo - e, appunto a Torino, con
Galileo Ferraris.
L'altra riflessione riguarda Torino, che faticosamente stava
superando il trauma della perdita del ruolo di capitale. In questa
difficile conversione verso la produzione industriale e la
tecnologia, che prima di essere applicata andava costruita e
spiegata, ebbe un suo ruolo specifico il Regio Museo Industriale,
che poi conflui' nel Politecnico di Torino. E di questa istituzione
Galileo Ferraris fu una delle colonne portanti, dal 1870 alla
morte. Quindi lo scienziato torinese svolse due ruoli importanti,
il primo a livello internazionale per far conoscere e apprezzare la
ricerca elettrica italiana che era rinata, il secondo locale, con
l'insegnare la nuova disciplina sin dal 1882 e con la istituzione
di una "Scuola con Laboratorio di Elettrotecnica" nel 1888.
Molteplici e disparate furono le sue attivita', ma e' possibile
individuare un filo conduttore attorno il quale Galielo Ferraris
organizzo' la propria vita. Questo filo e' il trasporto e la
trasformazione a distanza della energia da elettrica a meccanica.
Il problema era insoluto alla fine del secolo scorso: o si
trasportava a distanza un combustibile, o si "trasportava" energia
meccanica con funi e aste, ma in questo caso la distanza massima
era di poche centinaia di metri, al piu' un paio di chilometri.
L'attenzione a questo problema traspare fin dalla tesi in
ingegneria civile, discussa a 22 anni: "Delle trasmissioni
telodinamiche di Hirn", nella quale presenta e si discute un
sistema meccanico di trasmissione di energia tramite funi
metalliche. Telodinamia, appunto la forza a distanza.
Interessante, a questo proposito, rileggere alcune sue riflessioni
poste alla fine della tesi. La diffusione della grande fabbrica,
dove "la popolazione operaia e' costretta ad aggrupparsi..." ha
destato in molti spiriti i piu' vivi timori; si deplora che "la
famiglia sia distrutta..." e in un altro passo si argomenta che
invece la capillare distribuzione dell'energia potrebbe "mettere in
moto dei telai, distribuiti nelle case operaie, e affidati alle
donne che non lavorano nell'opifizio" e ancora "questo sistema
aumenta quindi il benessere della famiglia senza lederla,
senza togliere i figli alle cure dirette delle madri".
Un sistema per il trasporto della energia elettrica per avere una
validita' tecnica ed economica deve risolvere contemporaneamente
sei problemi: la generazione, cioe' convertire energia meccanica in
elettrica, il trasporto a distanza, la distribuzione,
l'illuminazione, la riconversione da energia elettrica in
meccanica, la tariffazione.
A quattro di questi problemi Galileo Ferraris diede soluzione. A
trasporto e distribuzione, con il trasformatore, macchina che non
fu inventata da lui. Ferraris ne determino' il rendimento - molto
piu' alto del previsto - e ne costrui' la teoria, operazione
indispensabile per progettarla razionalmente. Incidentalmente e' la
stessa teoria - con gli stessi simboli - che usiamo a oltre un
secolo di distanza.
Con l'invenzione del campo magnetico rotante, Ferraris risolse
direttamente gli altri due problemi, ideando i principi sui quali
sono basati motori e contatori. Di contatori ogni appartamento ne
ha uno, ma di motori ricavati dall'oggetto che comincio' a girare
nel 1883 presso il Regio Museo Industriale ognuno di noi ne
possiede almeno una decina, dalla lavatrice al frigorifero,
dall'asciugacapelli allo sbrinatore del frigo. Un buon motivo per
ricordare l'opera del professore torinese che avvio' una radicale
rivoluzione del vivere sociale, basata sulla capillare
distribuzione delle fonti di energia, inconcepibile senza la
corrente alternata che passa nel trasformatore e il campo magnetico
rotante che fa girare ogni cosa.
Sigfrido Leschiutta
Politecnico di Torino
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. CAMELIDI SUDAMERICANI
Il rebus delle razze
Lama e guanachi: origini incerte
OAUTORE TONIN CLAUDIO
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, PERU'
OSUBJECTS zoology
L'origine e la genesi dei camelidi sudamericani sono tuttora tema
di discussione e di studio. La loro storia, profondamente segnata
dall'intervento dell'uomo, fu sconvolta dall'arrivo dei
conquistadores di Pizzarro nel 1532. Nei primi cento anni di
occupazione spagnola dell'odierno Peru', l'80 per cento della
popolazione umana locale scomparve, e con essa il 90 per cento dei
camelidi domestici. Questa catastrofica mortalita', associata alla
distruzione della struttura amministrativa dell'impero Inca e
all'usurpazione dei migliori territori di pascolo per l'allevamento
di bestiame proveniente dall'Europa, ridusse i camelidi domestici a
occupare solo le aree marginali dell'altopiano andino, dove
agricoltura e allevamento sono quasi impraticabili.
L'abbandono dei criteri di selezione, che gia' nelle civilta'
preincaiche avevano orientato l'allevamento verso la produzione di
animali a pelo fine per usi tessili porto' alla confusione del
patrimonio zootecnico sopravvissuto alla "colonizzazione",
attraverso ibridizzazioni incontrollate tra le varie specie, al
punto che oggi non e' chiaro se le specie domestiche siano mai
vissute allo stato selvatico, o se siano invece il risultato
dell'evoluzione in cattivita'.
Poiche' le civilta' preispaniche erano illetterate, la storia dei
camelidi e' stata scritta in passato da mani europee, con un'ottica
a volte speculativa. Nei documenti amministrativi spagnoli del
periodo coloniale, lama e alpaca vengono spesso confusi e
l'interesse prevalente e' dedicato al lama per il suo impiego come
animale da carico. Il termine lama viene in seguito usato
genericamente per indicare i camelidi domestici, mentre agli inizi
dell'Ottocento, per dare rigore scientifico alla classificazione
biologica, gli appartenenti al genus Lama vengono chiamati
Auchenidi, nome di un genere di insetti... Per completare l'opera,
in alcuni testi tessili non recentissimi, il povero alpaca viene
ridotto al rango di "capra peruviana".
La famiglia dei Camelidae, originaria dell'America del Nord, si
diversifico' verso la fine del Terziario (10-2 milioni di anni fa),
quando gli antenati del genere Camelus migrarono in Asia. Durante
le glaciazioni del Pleistocene, i Lama raggiunsero invece l'America
Meridionale dove furono raggiunti, successivamente, dall'uomo
mentre si estinguevano gli antenati del Nord.
Per i primi abitanti della puna, l'ecosistema dell'altopiano
andino con temperature medie annuali inferiori ai 5oC ed escursioni
giornaliere superiori a 20oC, gelo per piu' di 300 notti l'anno e
precipitazioni irregolari (250-1000 mm annui) alternate a lunghi
periodi di siccita', le specie ruminanti capaci di spostarsi
velocemente e di nutrirsi di graminacee steppose, di muschi e di
licheni, furono la principale fonte di sussistenza.
Nel corso del Mesolitico e del Neolitico, i cacciatori si
trasformarono in allevatori e le prede in animali domestici. Una
delle prime tracce dell'inizio di un'economia basata anche
sull'allevamento e non solo sulla caccia, e' costituita dal
considerevole aumento di ossa fetali e neonatali di vigogna, nei
resti risalenti a circa 6000 anni fa che giungono a sfiorare il 60
per cento del totale.
Nessuna societa' di cacciatori commetterebbe un simile
catastrofico errore, ma la causa di una cosi' grande mortalita' e'
da imputare al diffondersi di infezioni, associate alla
concentrazione di animali in condizioni sanitarie scadenti,
diversamente da quanto avviene tra gli animali selvatici (la
mortalita' neonatale dei camelidi domestici aumentera' ancora fino
a superare, oggi, il 70 per cento nei primi due mesi di vita).
Studi sulla morfologia degli incisivi della vigogna e del guanaco
daterebbero allo stesso periodo la comparsa di una terza morfologia
identica a quella dell'attuale alpaca e derivata da quella della
vigogna, suggerendo una relazione di derivazione diretta o meglio
l'esistenza, gia' sostenuta da altri studiosi (tra cui Darwin), del
genere vicugna, comprendente la vigogna (vicugna vicugna) e
l'alpaca (vicugna pacos). Il lama (lama glama) deriverebbe invece
dal guanaco (lama gua nicoe).
A conclusioni diverse sono giunti alcuni studi basati sulle
modificazioni morfologiche indotte dal processo di addomesticamento
e recenti ricerche di genetica. Certi autori sostengono che lama e
alpaca discendono dal guanaco e che la vigogna non fu mai
addomesticata, altri che neppure il guanaco fu mai addomesticato e
che lama ed alpaca ebbero dei precursori oggi estinti; altri ancora
che lama e alpaca altro non siano che animali della stessa specie,
selezionati dall'uomo per usi diversi. In ultimo, il lama
deriverebbe dal guanaco, mentre l'alpaca avrebbe avuto origine da
incroci tra lama e vigogna.
Studi sulle caratteristiche strutturali del pelo, che classificano
il lama come intermedio tra il guanaco selvatico e l'alpaca,
selezionato per la produzione di fibre tessili, sono stati rimessi
in discussione da recenti ritrovamenti di mummie di lama e alpaca a
pelo fine presso El Yaral, nel Sud del Peru', appartenenti alla
civilta' pre-incaica Chiribaya che dimostrano l'esistenza di
criteri di allevamento e di selezione di entrambe le specie per la
produzione di fibre tessili.
Tuttavia dalle conclusioni piu' recenti, basate sull'esame del
Dna, risulta, come dato certo, una ibridizzazione tra le specie che
ha modificato il patrimonio genetico dei camelidi oggi viventi.
Oggi esistono quattro specie interfertili di camelidi: il guanaco e
la vigogna, selvatici, ed il lama e l'alpaca, domestici, a cui si
aggiungono vari ibridi, fertili a loro volta. Mentre vigogna e
guanaco sono specie protette dopo anni di caccia dissennata per il
valore del loro pelo, le specie domestiche sono in declino sia
numerico che qualitativo per la confusione e l'erosione genetica
provocata da secoli di allevamento irrazionale. Il 75 per cento
degli alpaca e la quasi totalita' dei lama sono allevati in modo
tradizionale, nelle zone piu' remote delle Ande, costituendo la
risorsa di sostentamento minimo per le popolazioni dell'altopiano
andino.
Il loro futuro dipendera' dagli aiuti economici e culturali che i
Paesi sviluppati riserveranno al miglioramento delle condizioni
sociali degli allevatori, anche attraverso la valorizzazione della
produzione di materiali tessili ad essi collegati.
Claudio Tonin
CNR, Biella
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. CROLLO SULLA BRENVA
Il risveglio dei ghiacciai
Il risveglio dei ghiacciai
L'effetto serra ne accelera i movimenti
OAUTORE BIANCOTTI AUGUSTO
OARGOMENTI geografia e geofisica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, VALLE D'AOSTA (AO)
OTABELLE D. La struttura del ghiacciaio; D. L'evoluzione di un truogolo
glaciale
OSUBJECTS geography and geophisics
IN Valle d'Aosta l'alta montagna ha ribadito con durezza le proprie
ragioni. La frana di granito precipitata sul ghiacciaio della
Brenva ha prodotto una valanga di proporzioni colossali. Il
distacco di un seracco in bilico sull'abisso e sui villaggi del
lontano fondovalle ha tenuto con il fiato sospeso popolazioni e
sciatori, autorita' e albergatori. Nella stessa area il 17 febbraio
1991 a Praz Moulin lo scivolamento improvviso di un volume enorme
di neve aveva sepolto una dozzina di vittime: in quell'occasione
secondo il parere di molti esperti il movimento sarebbe stato
innescato dalla caduta di un pezzo del soprastante ghiacciaio del
Gigante.
I ghiacciai - una manifestazione naturali tuttora un poco
misteriosa, relegata dall'immaginario collettivo nel regno
dell'ultima Tule ai confini del mito - incombono improvvisamente
vicini e minacciosi. Ma l'una e l'altra rappresentazione, di
un'inconsistenza quasi virtuale e di un'oscura volonta' assassina,
parimenti lontane dalla realta', sono frutto di una scarsa
conoscenza di questi mastodonti semoventi.
I ghiacciai nel mondo occupano l'11 per cento delle terre emerse,
quasi 15 milioni di chilometri quadrati, 50 volte l'Italia. Sulle
Alpi superano il numero di 3000; su quelle italiane sono 706
secondo i dati del catasto redatto nel 1989, e coprono un'area di
48.000 ettari. Si muovono sotto l'azione della forza di gravita' e
per le proprie caratteristiche fisiche intrinseche. La massa,
alimentata in alta quota dalle nevicate, cola lentamente a valle
come una pigra fiumana di fluido pastoso. L'apice della lingua
terminale, guadagnate quote piu' basse, dove la temperatura si fa
meno severa, fonde, dando origine a un vivace torrente di montagna.
Il movimento, l'entita' dei progressi e dei regressi variano nello
spazio e nel tempo. Sulle Alpi raramente la velocita' supera i
10/50 metri l'anno (quindi pochi centimetri al giorno); in
Groenlandia possono essere coperti anche 5-6 metri ogni 24 ore; in
molte parti della Terra si hanno testimonianze di accelerazioni
improvvise: fino a 350 metri al giorno per i surge, le onde di
ghiacchio in Alaska. Di fenomeni simili fu spettatore il nostro
Ardito Desio negli Anni 50 durante una delle sue spedizioni in
Himalaya. Nelle annate piu' rigide e piu' ricche di precipitazioni
solide il fronte glaciale progredisce perche' da un lato
l'alimentazione abbondante e il freddo intenso rallentano lo
scioglimento, dall'altro l'avanzata si fa piu' svelta.
Nei periodi caldi e secchi la lingua arretra nella sua valle: e'
meno rifornita di ghiaccio dall'alto; quello che c'e', esposto al
sole, passa almeno in parte rapidamente allo stato liquido, il moto
impigrisce. E' un equilibrio dinamico ben noto agli specialisti, e
viene tenuto d'occhio in permanenza.
Da un decennio il clima e' spietato con i ghiacciai. Alle
temperature in lenta ma costante crescita con una tendenza
persistente ormai da un secolo, si sommano adesso nevicate piu'
modeste in alta montagna. Gli equilibri diventano precari. La
fusione insinua veli d'acqua alla base dei corpi glaciali
riducendone l'aderenza al substrato roccioso, allarga i crepacci
fino all'isolamento di blocchi dalle dimensioni piu' diverse, anche
enormi come quello delle Grandes Jorasses.
Il fenomeno, almeno nelle Alpi, e' generalizzato. Sarebbe un grave
errore illudersi che i singoli casi siano episodi sporadici,
rifiutarsi di riconoscere le evidenze che li collegano. La
crescente instabilita' delle masse glaciali sara' uno dei problemi
dell'alta montagna negli anni a venire, a meno di un improbabile
irrigidimento del clima. I crolli di brandelli di ghiacciaio si
moltiplicheranno, parallelamente aumentera' la franosita'. Le rocce
dell'alveo glaciale, liberate all'improvviso della pressione prima
esercitata dal ghiacciaio tendono a dilatarsi, lo stress provoca
fratture che insidiano la stabilita' dei versanti.
Niente di nuovo. La storia naturale ci insegna che alle antiche
fasi di ritiro glaciale si accompagnarono sempre profondi
rimodellamenti nelle alte valli. Tale coincidenza ad esempio fu
palese dopo il 1850, alla fine della Piccola Eta' Glaciale che
aveva attanagliato l'Europa per 300 anni. Rispetto al secolo scorso
per ora il regresso e' molto contenuto, quindi il potenziale
dissesto e' minore. Ma l'accresciuta frequentazione delle Alpi,
diventate il giardino di gioco d'Europa, consiglia di non
sottovalutare il pericolo.
Non tutti i ghiacciai italiani fanno paura. Molti sono periferici,
contenuti in bacini collettori che ne imprigionano eventuali
velleita' di distacco, lontani da zone abitate o frequentate. Altri
invece incombono su villaggi, impianti di risalita, piste di fondo,
vie di comunicazione. E' su questi ultimi che va concentrata la
sorveglianza con sopralluoghi d'estate, con periodiche fotografie
aeree, con analisi sulle proprieta' fisiche del ghiacciaio, con
ricerche sui bilanci annuali per verificarne l'evoluzione dinamica.
L'autorita' costituita, sia centrale sia locale, non ha mai
dimostrato molto interesse al problema, quasi che le masse d'acqua
solida in montagna fossero esterne ai confini nazionali. Finche'
esse eseguivano diligenti il loro dovere, tale comportamento
distratto non portava danno.
Da oggi e' come se i ghiacciai entrassero in sciopero per
rivendicare la propria esistenza. E' bene non sottovalutarne l'ira,
oppure il libro spesso dei disastri naturali che martoriano
l'Italia - le piene, le frane, i terremoti, le eruzioni - si
arricchira' di un nuovo capitolo.
Augusto Biancotti
Universita' di Torino
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. CUBA
La rana
piu' piccola
del mondo
OAUTORE FRONTE MARGHERITA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI ESTRADA ALBERTO, HEDGES BLAIR
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, CUBA
OSUBJECTS zoology
SEMBRA un ciondolo d'oro smaltato, e invece e' una rana: la piu'
piccola del mondo. Lunga appena un centimetro, e con un mantello
vivace arancione a strisce nere, e' stata scoperta di recente da
due biologi, uno cubano e l'altra americana, che l'hanno sentita
gracidare sotto il tappeto di foglie che ricopre il suolo della
foresta tropicale di Cuba. Accortisi che la minuscola ranocchia era
sconosciuta alla scienza, Alberto Estrada e Blair Hedges hanno
subito pensato di battezzarla dandole un nome, per la verita' un
po' impegnativo, che quando e' scritto e' molto piu' lungo
dell'animale: Eleutherodactylus iberia, in omaggio al Monte Iberia,
teatro della scoperta. Chissa' se le piacera'! Cio' che e' certo e'
che il minuscolo anfibio ha attirato l'attenzione di molti, perche'
non e' solo la rana piu' piccola che sia mai stata scoperta, ma
rappresenta anche il tetrapode dalle dimensioni piu' ridotte. Ed il
gruppo dei tetrapodi, che nella classificazione biologica comprende
tutti i vertebrati eccetto i pesci, non e' affatto poco numeroso.
Ma la scoperta non e' un caso, perche' la ricerca di nuove specie
animali rientra in un piano finanziato dall'agenzia americana
National Science Foundation, e la piccola ranocchia arancione e
nera non e' il primo successo nell'ambito di questo progetto.
Infatti proprio nella foresta tropicale dell'isola caraibica gli
stessi Hedges ed Estrada hanno rinvenuto anche nuove specie di
serpenti, e di lucertole, e fra queste ultime la lucertola piu'
piccola del mondo. Con ogni probabilita' fra le foglie degli alberi
di Cuba si nascondono molti altri animali che ancora non
conosciamo, e che forse non faremo neppure in tempo a scoprire.
La foresta tropicale che ricopre il 10% del territorio dell'isola,
corre infatti il pericolo di essere rasa al suolo nel giro di pochi
anni, perche' la popolazione locale, in precarie condizioni
economiche, utilizza il legno dei suoi alberi come combustibile e
per cucinare.
Margherita Fronte
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA
LE CELEBRAZIONI
OARGOMENTI storia della scienza
ONOMI FERRARIS GALILEO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS history of science
Aprile '97: apertura delle manifestazioni in Piemonte, a cura del
Comitato Promotore e della Associazione Elettrotecnica Italiana
(Aei); restituzione a Torino del monumento di Galileo Ferraris
restaurato a cura della sezione Aei torinese.
7 maggio: inaugurazione del monumento restaurato in Livorno
Ferraris e di una mostra di documenti donati dagli eredi al Museo.
7-10 maggio: riunione e centenario Aei (1897-1997) a Baveno.
27-29 ottobre: convegno internazionale "Galileo Ferraris e la
conversione dell'energia" a Torino organizzato da Politecnico,
Accademia delle Scienze e Istituto Elettrotecnico Nazionale.
30 ottobre: chiusura delle manifestazioni a Livorno Ferraris con
inaugurazione del Museo di Galileo Ferraris.
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
"Mucca pazza"
bando europeo
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI UE UNIONE EUROPEA
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS research
L'Unione Europea ha bandito un concorso per invitare laboratori,
societa' e altre strutture interessate a presentare progetti di
ricerca sulle encefalopatie spongiformi trasmissibili (popolarmente
la malattia di "mucca pazza"). Le proposte dovranno giungere entro
il 14 febbraio. Per altre informazioni, tel. 051-60.98.197.
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Ordine dei medici
una lunga storia
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Sono passati cinquant'anni dalla ricostituzione degli Ordini
professionali dei medici, oggi riuniti nella Federazione dei Medici
Chirurghi e Odontoiatri: fu approvata dalla Assemblea Costituente
il 13 settembre 1946, dopo la soppressione voluta dal regime
fascista nel marzo 1935. Un corposo volume realizzato sotto l'Alto
Patronato del Presidente della Repubblica ne ricorda le tappe
storiche e politiche. Molto spazio e' dedicato alla professione
medica in Europa.
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
DIECI ANNI DALL'ESPLOSIONE
Supernova con gli anelli
"Hubble" ne sta svelando i segreti
OAUTORE R_MI
OARGOMENTI astronomia, aeronautica e astronautica, ottica e fotografia,
tecnologia
OORGANIZZAZIONI HUBBLE, FAINT OBJECT CAMERA (FOC), FAINT OBJECT SPECTOGRAPH
(FOS)
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy, aeronautics and astronautics, optics and photography,
technology
LA sigla SN1987A indica i resti gassosi dell'esplosione di una
stella in supernova avvenuta nel marzo 1987 - dieci anni fa - nella
Grande Nube di Magellano, una galassia satellite della nostra Via
Lattea a 170 mila anni luce di distanza. Le prime osservazioni
ottiche della SN1987A rivelarono che il resto di supernova ha una
forma piu' complessa del previsto. Il guscio gassoso della
supernova era, infatti, caratterizzato da una struttura ellittica
brillante, simmetrica rispetto al centro dell'esplosione, e da due
cerchi piu' larghi e piu' deboli che sembravano originarsi dai lati
dell'ellisse. Una struttura mai osservata prima negli altri resti
di supernova "giovani".
Osservazioni successive furono fatte nel 1990 con la Faint Object
Camera (FOC) del telescopio Spaziale Hubble (HST) con un filtro a
banda stretta centrato sulla riga di emissione dell'Ossigeno III.
Queste osservazioni permisero di stabilire che la struttura piu'
interna era, in realta', un anello di materia in espansione e che
la sua forma ellittica era solamente il risultato di un effetto
prospettico dovuto alla sua inclinazione di 45o rispetto alla linea
di vista. La natura dei due anelli piu' esterni rimaneva, comunque,
un problema irrisolto.
Purtroppo, l'aberrazione sferica che a quel tempo affliggeva le
ottiche di "Hubble" non permetteva di effettuare osservazioni piu'
accurate. Per chiarire il mistero della struttura di SN1987A fu
necessario aspettare la conclusione della missione di riparazione
del telescopio, avvenuta nel dicembre 1993. Le prime osservazioni
con lo HST "riparato" hanno permesso di studiare la struttura degli
anelli con una risoluzione senza precedenti, cogliendo dettagli di
5 centesimi di secondo d'arco. In questo modo e' stato possibile
rivelare un peculiare allineamento tra i due anelli piu' esterni e
quello piu' interno che prima era sfuggito. La natura della materia
che costituisce gli anelli, pero', rimane ancora un problema aperto.
Il mistero sembra essersi parzialmente risolto in seguito a nuove
osservazioni, ancora con "Hubble". In aggiunta a nuove osservazioni
del resto di supernova con la FOC e con la Wide Field Planetary
Camera 2 (WFPC2) sono stati presi anche degli spettri degli anelli
con il Faint Object Spectrograph (FOS) e, da terra, con il
"Telescopio a nuova tecnologia" dell'Osservatorio australe europeo.
Da queste osservazioni risulta che le condizioni fisiche negli
anelli piu' esterni sono molto simili. Inoltre, essi sembrano
costituiti da materiale che non e' stato riprocessato nel ciclo di
fusione carbonio-azoto-ossigeno avvenuto nel nucleo della stella
progenitrice. Le abbondanze relative di azoto rispetto all'ossigeno
e al carbonio sono, infatti, 3 volte inferiori negli anelli piu'
esterni che in quelli piu' interni. Mentre l'abbondanza di azoto
rispetto all'idrogeno e' circa la meta'.
La situazione e' capovolta per quanto riguarda gli anelli piu'
interni. Le abbondanze di carbonio, azoto e ossigeno misurate negli
anelli interni sono molto vicine a quelle caratteristiche degli
strati superficiali di una supergigante rossa di 20-25 masse
solari.
Questo potrebbe indicare che il materiale che costituisce gli
anelli piu' esterni e' stato eiettato dalla stella progenitrice
della supernova durante fasi evolutive precedenti. Un paragone con
i modelli evolutivi suggerisce che il materiale degli anelli piu'
esterni sia stato eiettato dalla stella progenitrice circa 10.000
anni prima rispetto agli anelli piu' interni. Considerando che gli
anelli piu' esterni distano dal centro della supernova circa 3 anni
luce, questo scenario implicherebbe che essi si muovano alla
velocita' di 45 chilometri al secondo.(r. mi.)
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TELESCOPIO SPAZIALE
La sua vista diventa piu' acuta
OGENERE copertina
OAUTORE MIGNANI ROBERTO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, ottica e fotografia, tecnologia
OORGANIZZAZIONI HUBBLE, SHUTTLE DISCOVERY, FAINT OBJECT SPECTOGRAPH (FOS),
GODDARD
HIGH RESOLUTION SPECTROMETER (GHRS), NICMOS
OLUOGHI ITALIA
OKIND features
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, optics and photography, technology
IL telescopio spaziale "Hubble" e' uno degli strumenti di punta a
disposizione degli astronomi. Come tutti gli strumenti sofisticati,
pero', anche "Hubble" richiede una manutenzione continua. Per
questo motivo e' stato inserito su un'orbita a circa 550 chilometri
di quota, alla portata dello Space Shuttle, in modo da poter essere
raggiunto facilmente da un equipaggio umano in caso di necessita'
(e' impensabile riportarlo a terra per via dei costi proibitivi).
La seconda missione di manutenzione verra' effettuata intorno al
giorno di San Valentino da un equipaggio a bordo dello shuttle
"Discovery", il cui lancio da Cape Canaveral e' previsto per l'11
febbraio. Come molti ricorderanno, una prima missione si svolse nel
dicembre del 1993, poco piu' di tre anni dopo la messa in orbita di
"Hubble", per risolvere i problemi che affliggevano le ottiche del
telescopio e ne compromettevano le prestazioni. All'inizio,
infatti, "Hubble" soffriva di un lieve difetto dovuto alla forma
del suo specchio secondario (quello, cioe', che riflette la luce
raccolta dallo specchio principale verso gli strumenti del piano
focale), leggermente deformata rispetto al disegno originale.
Inutile sottolineare il clima di tensione che aleggiava tra gli
astronomi di tutto il mondo, compreso il sottoscritto, coinvolti in
programmi di osservazione con "Hubble". Un fallimento della
missione, tecnicamente tra le piu' complicate mai intraprese dalla
Nasa per l'elevato numero di ore di attivita' extraveicolare,
avrebbe, probabilmente, significato l'abbandono definitivo del
telescopio. La missione, per fortuna, ando' per il meglio e
"Hubble" torno' a funzionare come previsto grazie all'installazione
di un dispositivo studiato per correggere la deformazione delle
immagini (Costar), e di una nuova versione della Wide Field and
Planetary Camera dotata di un suo dispositivo di correzione.
La nuova missione, l'ottantaduesima di uno Shuttle, si svolgera'
in un clima molto piu' rilassato. Nel corso di circa una settimana
- questa la durata prevista della missione - i due spettrografi in
dotazione ad "Hubble", il Goddard High Re solution Spectrometer
(Ghrs) e il Faint Object Spectrograph (Fos), verranno sostituiti
da due strumenti analoghi, in grado di operare anche come camere
per immagini. Si tratta dello Stis (Space Telescope Imaging Spe
ctrometer) e del Nicmos (Near Infrared Camera & Multi Object
Spectrograph), realizzati dalla ditta americana Ball Aerospace.
Stis operera' dal vicino ultravioletto (non accessibile dagli
strumenti terrestri a causa dell'assorbimento atmosferico) al
vicino infrarosso. Utilizzato come camera per immagini, Stis
dovrebbe essere in grado di raggiungere il limite di magnitudine 28
garantendo, allo stesso tempo, una risoluzione angolare da 24 a 50
millesimi di secondo d'arco (come dire osservare da Milano due
oggetti a Roma separati da 20 centimetri). Nella funzione di
spettrografo a media ed alta risoluzione, invece, esso potra'
garantire contemporaneamente le prestazioni finora svolte dal Fos e
dal Ghrs. La Nicmos, invece, operera' esclusivamente
nell'infrarosso. Per prendere immagini, esso utilizzera' tre camere
diverse, con campi di vista e risoluzioni angolari differenti.
Il programma della missione prevede, inoltre, altre attivita'
complementari come il rimpiazzo di uno dei tre sensori stellari che
servono per il puntamento preciso del telescopio e di alcune
componenti dell'elettronica di bordo.
"Hubble" ricevera' di nuovo la visita di uno Shuttle nel 1999 per
sostituire entrambi i pannelli solari e per rimpiazzare, dopo quasi
un decennio di attivita', la gloriosa Foc (Faint Object Camera) con
la nuova Advanced Camera, ora in costruzione. Con una serie di
ritocchi, da effettuarsi a distanza di due-tre anni, "Hubble"
dovrebbe rimanere lo strumento di punta dell'astronomia ottica
almeno fino al 2004, quando la Nasa, finanze permettendo, lo
rimpiazzera' con un telescopio spaziale di nuova concezione.
Roberto Mignani
Max Planck Institute, Garching
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Torino: corso
di energetica
OGENERE breve
OARGOMENTI energia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND short article
OSUBJECTS energy
Sono aperte le iscrizioni al corso di perfezionamento in energetica
"G. Agnelli" istituito presso il Politecnico di Torino. Per avere
altre informazioni, tel. 011-564.44.03.
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ANCHILOSTOMA
Un vermetto contro
l'infarto
OAUTORE PONZETTO ANTONIO
OARGOMENTI biologia, medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS biology, medicine and physiology
SOLTANTO un miliardo. Non e' poi gran cosa, in tempi di manovre da
migliaia di miliardi. Un miliardo e' il numero di esseri umani
infettati da un verme che vive nell'intestino, ed e' stato chiamato
Anchilostoma caninum. Vengono infettati soprattutto gli abitanti
delle zone meno ricche del pianeta, in particolare in Asia e in
Africa.
Questo verme si nutre del sangue umano, che si procura facendo
piccolissimi fori nella mucosa dell'intestino, da cui lascia colare
il sangue a goccia a goccia, per giorni e giorni, per anni e anni.
Ma come fa, se sappiamo benissimo che un taglietto sanguina al
massimo per pochi minuti?
Il verme e' stato saggio e paziente: ha studiato la coagulazione
per un milione di anni, e la conosce meglio dei professori. Questo
verme sa produrre il miglior anticoagulante che ci sia: uno che non
fa danni all'essere umano, li' per li', ma impedisce la
coagulazione benissimo, e gli permette di nutrirsi del sangue umano
sempre, per ogni minuto della sua vita.
L'anticoagulante prodotto dall'Anchilostoma e' una proteina, ed e'
stata studiata dai ricercatori di una piccola azienda di
biotecnologie di San Diego in California, oltre che dal verme (gli
specialisti non lo chiamano verme, bensi' nematode, perche' suona
piu' scientifico).
Questa proteina anticoagulante e' stata isolata e purificata, il
codice genetico decifrato e copiato (lo spionaggio sui vermi e'
legale), e la proteina prodotta in laboratorio. E' stata battezzata
con il nome NAP - dalle iniziali di Nematode Anticoagulant Protein
- e che in americano colloquiale significa "pisolino".
Adesso - grazie alle possibilita' che ci offrono le biotecnologie
- anche gli umani possono impedire la coagulazione nello stesso
modo "inventato" dall'Anchilostoma, come e' stato descritto da
George Vlasuk sui Proceedings of the Na tional Academy of Sciences
nel marzo 1996. Noi umani siamo oppressi da numerose malattie
correlate allo zelo dei nostri meccanismi di coagulazione.
L'eccesso di zelo, come ben dimostrato da Donna Prassede nei
Promessi Sposi, puo' far si' che una buona azione, se perseguita
con troppa insistenza - porti a risultati non sempre favorevoli.
Il meccanismo della coagulazione e' molto zelante, anzi fin troppo
e, a volte, si spinge troppo in la', e coagula anche dove non
dovrebbe. Il risultato - se la coagulazione avviene nelle arterie
coronarie del cuore - si chiama infarto del miocardio, e puo'
causare la morte dell'individuo colpito, se non si interviene
rapidamente con una Unita' Coronarica.
Se la coagulazione avviene nelle arterie del cervello, il
risultato si chiama "colpo apoplettico" nel linguaggio di tutti i
giorni, e puo' causare la perdita della possibilita' di muovere,
parlare, capire. Se la coagulazione avviene nelle artiere della
coscia, puo' formarsi un trombo femorale, che puo' causare la
perdita dell'uso della gamba, se non si interviene d'urgenza per
asportare il trombo - o coagulo.
Tutto questo intervenire d'urgenza necessita di un grande numero
di persone (medici e paramedici) sempre a disposizione, 24 ore su
24, con costi economici molto alti per il sistema sanitario (i
costi, oggi, sono al centro della Sanita', piu' che i risultati).
Se tante, e tanto gravi, sono le conseguenze di un eccesso della
coagulazione, e' evidente che enorme sara' l'importanza di poter
controbattere questo eccesso, senza tuttavia cadere in quello
opposto: se si blocca la capacita' di coagulare la conseguenza puo'
essere la morte per dissanguamento, o l'emorragia cerebrale, o in
altri organi.
Il segreto del verme sta proprio nell'aver trovato il giusto
equilibrio fra due eccessi ambedue pericolosi. Il compito dei
medici sara' quello di imparare ad usare al meglio la sostanza
prodotta dal verme, spiata e copiata grazie alla ricerca
biotecnologica.
Antonio Ponzetto
ODATA 05/02/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. SU CD-ROM
Un viaggio
dai quark
al Big Bang
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI elettronica, didattica
ONOMI REGGE TULLIO, HACK MARGHERITA, MOLINARI ALFREDO
OORGANIZZAZIONI UTET MULTIMEDIALE
OLUOGHI ITALIA
ONOTE «Il mondo delle scienze»
OSUBJECTS electronics, didactics
UN Cd-Rom intitolato "Il mondo delle scienze" ci accompagna dai
quark alle galassie passando per il regno delle forme viventi.
Ottomila voci trattate a livelli di approfondimento diversi, un
centinaio di ampi articoli descrittivi, piu' di mille immagini, 144
animazioni, 73 video, 31 minuti di video digitale, 45 minuti di
commento sonoro, la possibilita' di comporre in modo autonomo i
diversi materiali disponibili. Molti e autorevoli i collaboratori,
da Tullio Regge a Margherita Hack ad Alfredo Molinari. Dopo aver
prodotto una cronologia storica su Cd, con quest'opera la Utet,
forte della sua tradizione enciclopedica su carta, porta anche le
scienze nel mondo della multimedialita'. E offre uno strumento
molto interessante dal punto di vista didattico, che si dimostrera'
prezioso per gli studenti dotati di computer e appassionati di
nuove tecnologie.
La produzione divulgativa su Cd-Rom (che, accanto alla Utet, vede
impegnate ormai numerose case editrici italiane, dalla De Agostini
alla Zanichelli, dalla Rizzoli alla Mondadori), per la sua stessa
natura multimediale e ipertestuale crea un nuovo modo di leggere e
di apprendere. Viene meno la lettura sistematica tipica del libro
divulgativo o, ancora di piu', del testo scolastico. Ma nello
stesso tempo si supera anche l'accesso occasionale - di pura
consultazione - tipico delle enciclopedie alfabetiche. Un Cd-Rom
come "Il mondo delle scienze" si colloca, infatti, nel mezzo tra i
due estremi a cui ci ha abituati la carta stampata.
La lettura di un libro, se non ci si limita a consultarlo,
incomincia con la prima pagina e finisce con l'ultima. E' quella
che gli informatici chiamano una lettura sequenziale. Invece un
Cd-Rom si offre ad un accesso casuale: cioe' la lettura puo'
incominciare in qualsiasi punto e continuare a zig-zag, andare
avanti e indietro, svilupparsi a livelli diversi di
approfondimento, seguire di volta in volta le regole piu' adatte al
fine culturale o di intrattenimento che vuole raggiungere.
Il sapere contenuto in un libro e' fortemente strutturato: il
primo capitolo non puo' venire dopo il terzo, ne' le conclusioni
possono arrivare quando si e' soltanto a meta' della lettura.
L'approccio sequenziale del libro corrisponde a un unico possibile
viaggio attraverso la materia che tratta, viaggio che ha un preciso
punto di partenza e un preciso punto di arrivo. In questo caso
l'unicita' del viaggio corrisponde a un paradigma essenziale della
cultura scritta, che impone una trattazione organica, nella quale
temi e sottotemi sono ordinati secondo una gerarchia logica e
quindi anche rigida.
Al contrario, il sapere contenuto in un Cd-Rom e' destrutturato
perche' cosi' vuole la stessa natura tecnologica di una memoria ad
accesso casuale.
Se il libro e' un viaggio, il Cd- Rom e' un labirinto. Ma
attenzione, il labirinto non e' il caos. Anzi, il labirinto ha le
sue ferree regole logiche. Semplicemente non sono le regole
dell'autostrada-libro.
Orientarsi in un Cd-Rom in modo consapevole non e' ancora una
abilita' cosi' diffusa, anche se i piu' giovani sono certo i piu'
esperti in queste cose. Rimane tuttavia il fatto che una cultura
formata sui libri ha una sua solidita' e un suo ordine gerarchico
che sono di per se' valori da salvaguardare. Da questo punto di
vista, "Il mondo della scienza" e' un'opera particolarmente
preziosa, perche' sembra mettere insieme in un giusto equilibrio
l'"ordine" della cultura scritta con il "disordine guidato"
dell'ipertesto. E' notevole, per esempio, che si possa accedere
alla materia contenuta nel disco attraverso categorie come
"teoria", "forza", "strumenti", "tecnologie". Insomma, il
"navigatore" che si avventuri nel "Mondo delle scienze" non viene
mai lasciato senza bussola. Quanto ai requisiti tecnici, il Cd gira
su personal computer e su Macintosh dotati di lettore di Cd almeno
a doppia velocita', di 8 Mb di memoria Ram, un hard disk con 1,5 Mb
liberi e scheda audio.
"Il mondo delle scienze", Cd- Rom, Utet Multimediale, 350 mila lire
Piero Bianucci
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
CORONARIE
Alcol a piccole dosi
Documentate le virtu' terapeutiche dell'uso moderato di vino Effetti
benefici nella prevenzione di trombi e aterosclerosi
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, alimentazione
ONOMI RIMM ERIC, PAOLETTI RODOLFO
OORGANIZZAZIONI BRITISH MEDICAL JOURNAL
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Posizione del cuore nella cavita' toracica
OSUBJECTS medicine and physiology, nourishment
ERIC B. Rimm, epidemiologo della Harvard School of Public Health di
Boston, esaminando 25 lavori pubblicati in varie parti del mondo ha
potuto rilevare che l'azione positiva delle bevande alcoliche sulla
malattia coronarica si manifesta indifferentemente dal tipo di
bevanda (vino, birra, superalcolici), purche' le dosi siano
controllate. Il lavoro e' apparso sul British Medical Journal.
Dunque non sono i polifenoli caratteristici del vino rosso a
proteggere le coronarie dai fenomeni di ischemia (in passato si e'
parlato molto di resveratrolo), bensi' le piccole dosi di alcol.
Infatti le persone che consumano dosi moderate di alcol hanno valori
di colesterolo Hdl superiori rispetto agli astemi. Un altro effetto
favorevole riguarda l'aumentata liberazione del t-Pa da parte
dell'endotelio arterioso dei consumatori di dosi moderate di alcol
rispetto ai soggetti astemi: il t-Pa e' una sostanza il cui effetto
e' determinante nel ridurre la probabilita' di formazione e
stabilizzazione del trombo. I moderati consumatori di alcol, inoltre,
hanno una concentrazione plasmatica di fibrinogeno (coinvolto nel
meccanismo di formazione del trombo) piu' bassa degli astemi: tale
condizione e' determinante nella diminuzione del rischio coronarico.
Infine dosi moderate di alcol possono essere efficaci nell'abbassare
la concentrazione plasmatica di lipoproteina (a), pure considerata un
fattore di rischio coronarico. L'azione protettiva dell'alcol si e'
rilevata anche negli studi cosiddetti «prospettici» (nei quali il
consumo delle differenti bevande alcoliche viene valutato all'inizio
del periodo di osservazione, e si segue poi nel tempo la comparsa
della malattia coronarica nei soggetti con differenti abitudini di
consumo). Gli studi prospettici sono considerati gli strumenti di
ricerca epidemiologica piu' raffinati e meno esposti al rischio di
errore: essi sono infatti gli unici studi nei quali le informazioni
sul comportamento dei soggetti studiati vengono raccolte prima che
l'evento clinico di cui si desiderano comprendere le cause abbia
avuto luogo, e sono quindi quelli nei quali e' piu' difficile che
pregiudizi del medico o dei pazienti possano giocare un ruolo
significativo. Secondo Rodolfo Paoletti (NFI, Nutrition Foundation of
Italy), la probabile fonte dei differenti benefici che mostrano le
bevande alcoliche nelle osservazioni epidemiologiche risiede nelle
differenti modalita' di consumo. Il vino, infatti, e' in genere
consumato a basse dosi durante i pasti, mentre per le bevande
alcoliche, specie nel Nord Europa, l'assunzione e' frequentemente
diversa. Il peso degli effetti positivi dell'alcol nell'aterosclerosi
non deve farci trascurare i possibili danni dell'assunzione smodata.
Renzo Pellati
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
RICERCA PURA E RICERCA APPLICATA
Come indurre al suicidio le cellule del cancro
Un promettente studio fatto in Italia suggerisce di agire sui
ribosomi
OAUTORE MANGIAROTTI GIORGIO
OARGOMENTI ricerca scientifica, biologia
OORGANIZZAZIONI TELETHON, OPSEDALE SAN LUIGI DI ORBASSANO, CELL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS research, biology
CITTADINI e istituti privati sostengono volentieri la ricerca
biologica applicata alla medicina (vedi i soldi raccolti dalle varie
associazioni per la lotta contro il cancro o da Telethon,
associazione per la lotta contro le malattie genetiche). Tuttavia
cittadini e istitituzioni private che contribuiscono al sostegno di
queste associazioni non sempre sanno che le vere svolte per la
ricerca applicata vengono da improvvisi progressi della ricerca di
base. Per illustrare questo nesso con un esempio, scelgo una scoperta
che conosco bene, perche' e' stata fatta in questi mesi nel mio
laboratorio presso l'ospedale San Luigi di Orbassano, ed e' in corso
di stampa sulla piu' prestigiosa rivista di biologia, «Cell». I
ribosomi sono gli organuli cellulari che servono a sintetizzare le
proteine. Essi stessi sono fatti da 4 molecole di Rna e da un
centinaio di molecole di proteine. Noi abbiamo scoperto che
l'assemblaggio di un ribosoma, cioe' l'attacco delle proteine ai
punti giusti dell'Rna, non e' un evento spontaneo, ma dev'essere
pilotato da altre piccole molecole di Rna presenti nel nucleo. Se un
ribosoma e' male assemblato (ha qualche proteina al posto sbagliato)
non funziona o funziona male. Esso viene disassemblato dalla cellula,
la quale evidentemente vuole proteggersi contro il rischio di
produrre proteine sbagliate. Ora si tratta di scoprire quali molecole
guidino il disassemblaggio dei ribosomi mal assemblati. Noi cerchiamo
di farlo esaminando cellule di cui abbiamo inattivato a caso un gene:
cerchiamo cellule incapaci di accelerare la crescita in funzione del
mezzo di coltura. La formazione dei ribosomi e' strettamente
dipendente dalla velocita' di crescita delle cellule. Se una cellula
si duplica ogni 10 ore, contiene, poniamo, 10.000.000 di ribosomi. Se
si duplica ogni 5 ore, ne contiene 20.000.000, perche' in 5 ore deve
fare tutte le proteine che faceva in 10 ore. Ma cosi' dovra' fare il
doppio di ribosomi in meta' tempo. I ribosomi sono la sola struttura
cellulare la cui velocita' di formazione non cresce linearmente, ma
geometricamente, con la velocita' di crescita cellulare. Se una
cellula non puo' disassemblare i ribosomi mal assemblati, piu' in
fretta cerca di crescere e piu' facilmente si suicida. Per isolare e
caratterizzare i mutanti che vogliamo ci vuole lavoro (e borse di
studio) e ci vogliono apparecchi che da soli non possiamo comprarci.
La chemioterapia dei tumori si e' sempre basata sull'atto di colpire
la duplicazione del Dna, per fermare la proliferazione cellulare.
Cosi' si bloccano pero' non solo le cellule cancerose ma tutte quelle
che proliferano per ragioni fisiologiche. Se un farmacologo trovasse
il modo di bloccare la o le proteine che provvedono a disassemblare i
ribosomi male assemblati, costringeremmo le cellule cancerose a
suicidarsi molto piu' selettivamente che con tutti gli altri farmaci
antitumorali. Ecco che la nostra ricerca diventerebbe applicata, e
forse qualche istituto bancario se ne accorgerebbe. Io mi domando: e
perche' non subito? Giorgio Mangiarotti Universita' Torino
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
FALENE AUSTRALIANE
Ultrasuoni amorosi
Fischi per attirare le femmine
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia, etologia
ONOMI ALCOCK JOHN
OORGANIZZAZIONI NAMBUNG NATIONAL PARK
OLUOGHI ESTERO, OCEANIA, AUSTRALIA
OSUBJECTS zoology, ethology
JOHN Alcock e' un famoso entomologo che ci sta svelando aspetti
finora sconosciuti della vita degli insetti, la categoria di animali
piu' numerosa - i due terzi delle specie conosciute - ma anche la
meno nota. L'uomo non ha simpatia per le formiche o le cavallette. Se
ne occupa solo quando interferiscono con le sue attivita' o con i
suoi interessi economici. E invece via via che si scoprono i segreti
degli insetti scopriamo un microcosmo affascinante. Era gia' una
scoperta sensazionale la tecnica che usano le farfalle femmine, nella
grande maggioranza delle 125 mila specie conosciute, per richiamare
il partner lontano quando giunge l'epoca degli amori. Lanciano
nell'aria sostanze volatili dal profumo straordinariamente
penetrante, i feromoni, che attirano i maschi anche da enormi
distanze. Ad esempio, il feromone emesso dalla farfalla luna che vive
negli Stati Uniti orientali e' un richiamo sessuale cosi' potente che
attira i maschi da vari chilometri di distanza. Ebbene, adesso John
Alcock scopre che esiste una specie di farfalle notturne, la
Hecatesia exultans, in cui anziche' la femmina e' il maschio il piu'
fornito in fatto di sex appeal. E' lui che lancia il suo richiamo
sessuale. Ma - qui sta la novita' - invece di servirsi del canale
olfattivo, cioe' dei feromoni, il farfallino usa il canale acustico.
Cosa fa? Pensate un po'. Fischia. Si tratta pero' di un fischio a
ultrasuoni, della frequenza di trenta chilohertz, ben al di sopra del
nostro limite massimo di udibilita', che e' di circa venti
chilohertz. Soltanto una minima parte del suono viene percepita dal
nostro orecchio sotto forma di un debole ronzio. La serenata d'amore
non avviene poeticamente di notte, come succede per le altre falene,
avviene invece in pieno giorno. Altra anomalia. Non e' facile ad
Alcock arrivare a questa scoperta. Lo studioso deve recarsi nel
Nambung National Park, una riserva caldissima e stepposa che si
estende lungo la costa desertica dell'Australia occidentale lambita
dall'Oceano Indiano. E deve usare un detector per pipistrelli, capace
di convertire le frequenze superiori ai venti chilohertz in frequenze
piu' basse che rientrano nel raggio dell'udibilita' umana. Solo in
questo modo riesce a scoprire la presenza della Hecatesia exultans,
un insettino non piu' grande di una moneta, dalle ali screziate
bianche e nere. La farfallina e' posata su un cespuglio e tiene le
ali sollevate verticalmente, quasi congiunte. Le ali vibrano e ogni
vibrazione provoca un ronzio. Osservando l'insetto piu' da vicino,
Alcock nota che le ali anteriori portano una strana struttura, un
bernoccolo nero al di sopra del quale vi e' una striscia di membrana
increspata. Nel momento in cui la Hecatesia exultans canta, le
protuberanze delle due ali battono l'una contro l'altra come un paio
di nacchere. Le membrane sottili vibrano e l'ultrasuono che producono
viene amplificato dalla camera di risonanza formata dalle ali a
cupola. Vi sono altre due specie che appartengono allo stesso genere.
Sono la Hecatesia thyridion e la Hecatesia fenestrata. Ambedue
posseggono a meta' del bordo anteriore delle ali lo stesso bernoccolo
indurito circondato da un semicerchio di cuticola increspata. Pero',
a differenza della «exultans», che canta solo quando si posa su di un
substrato, le due specie affini cantano mentre sono in volo. E non
c'e' bisogno di nessun convertitore speciale per sentire la loro
voce. Il richiamo che emettono e' chiaramente udibile dal nostro
orecchio. Non si capisce perche' questi insetti vengano comunemente
chiamati «falene fischianti» e non piuttosto «ronzanti», dato che il
loro richiamo e' avvertito dall'uomo come un distinto ronzio.
Naturalmente, una volta scoperto il richiamo acustico, Alcock si
domanda quale sia la sua funzione. Hanno voce soltanto i maschi, come
avviene in molte specie animali, dagli uccelli canori alle cicale o
ai grilli? Proprio cosi'. Con la pazienza da certosino che
contraddistingue gli entomologi, Alcock riesce a catturare un certo
numero di farfalline e ad apporre una macchietta di colore sulle ali
dei maschi. Si accorge cosi' che i canterini sono soltanto loro,
proprio come aveva sospettato. E cantano nel loro misterioso
linguaggio ultrasonoro per le stesse ragioni per cui cantano usignoli
e cicale di sesso maschile, cioe' anzitutto per tener lontani i
rivali dal loro territorio. Straordinariamente fedeli allo stesso
luogo di appostamento, i maschi della Hecatesia exultans lo
mantengono per vari giorni di fila. E sono nettamente distanziati gli
uni dagli altri. Chiaro segno che ciascuno possiede un ben
determinato territorio. Se in qualche rara occasione un individuo
varca i confini di un vicino, questi gli si precipita contro e i due
ingaggiano un furioso duello volando e ronzando. Solo in casi come
questo, Hecatesia exultans emette ultrasuoni in volo. Rimaneva da
accertare se i ronzii ultrasonori funzionassero anche da richiamo
sessuale per attirare le femmine. E in un felice esperimento Alcock
riesce a vedere tre femmine che volano senza esitazione verso i
maschi canterini. Non appena si avvicinano, i maschi senza por tempo
in mezzo le raggiungono e le triplici nozze si compiono in un lampo.
Non solo. E' come se le femmine esercitassero una sorta di
eccitazione sui maschi. Perche', all'avvicinarsi delle compagne, i
cantori intensificavano del 10 per cento la frequenza dei loro canti.
Conosciamo ora una parte della storia delle farfalline fischianti. Ma
rimane avvolta nel mistero la ragione per cui questo piccolo gruppo
di falene australiane abbia preferito al tradizionale canale
olfattivo quello a base di ultrasuoni. E la ragione per cui sono i
maschi a chiamare le femmine e non viceversa. Misteri che qualche
altro zoologo dotato di altrettanta certosina pazienza riuscira'
prima o poi a svelare. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TUTTOSCIENZE SCUOLA. INGLESE
Phosphorus, portatore di luce
OAUTORE CARDANO CARLA
OARGOMENTI chimica, linguistica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS chemistry
ECCO un brano in inglese che ci permette di completare la rassegna
degli elementi chimici piu' comuni, questa volta considerando la
composizione delle forme viventi. «A living cell is composed of a
restricted set of elements, six of which (Carbon, Hydrogen, Ni
trogen, Oxygen, Phosphorus, Sulfur) make up more than 99% of its
weight. This composition differs markedly from that of the earth
crust and is evidence of a distinctive type of chemistry. What is
this special chemistry and how did it evolve? The most abundant
substance in the li ving cell is not special at all, sin ce it covers
two-thirds of the earth's surface. Water accounts for about 70% of
the weight of cells, and most intracellular reactions occur in an
aqueous environment (...). If we disre gard water, all but a minor
fra ction of the molecules of a cell are carbon compounds, which
are the subject matter of organic chemistry. Carbon is outstan ding
among all the elements on earth for its ability to form large
molecules; only silicon comes anywhere close, and it is a poor
second. The carbon atom, be cause of its small size and four
outer-shell electrons, can form four strong covalent bonds with
other atoms. Most impor tant, it can join to other carbon atoms to
form chains and rings and thereby generate large and complex
molecules with no obvious upper limit to their size. The other
abundant atoms (H, N, O) in the cell are also small and able to
make very strong co valent bonds» («Molecular Biology of the Cell»,
1994, Garland Publishing, Inc., New York & London). Carbon: vocabolo
la cui traduzione (carbonio, simbolo C) non dovrebbe far sorgere
dubbi malgrado la forte somiglianza, non casuale, con la parola
italiana carbone: le due parole derivano entrambe dal latino carbo,
che significa proprio carbone. E' noto che il carbone (coal in
inglese) e' costituito in larga misura da carbonio. Attenzione alle
parole derivate: hydro-carbons non sono gli inesistenti idrocarboni,
come qualcuno ogni tanto traduce, bensi' gli idrocarburi. Phosphorus:
dal greco pho sphoros = portatore di luce. Si tratta del fosforo,
simbolo P. Sulfur: oppure sulphur, esattamente come in latino. Zolfo,
ma anche solfo, in italiano. Weight: significa «peso»; derivano:
weight mean (o weight average): media ponderata. In chimica
importanti sono atomic weight e Molecular weight. Evidence: parola
molto usata negli scritti scientifici, nei quali ha il significato
di: prova, prove. Tradurre con «evidenza» significa usare un
anglicismo. Environment: «ambiente», nel senso di territorio
circostante, come nel presente brano, oppure condizioni ambientali;
environ mental sound: rumori di fondo. Bond: in chimica significa
legame: covalent bond, ionic bond. La stessa parola viene ampiamente
usata anche nel linguaggio economico-finanziario. Chain: catena, ci
si riferisce qui alle catene di atomi di carbonio, tipiche dei
composti organici. Chain reaction significa reazione a catena, chain
reactor reattore nucleare. Carla Cardano
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
NUOVI FARMACI
Contro il killer ipertensione
I buoni risultati di una nuova molecola
OAUTORE TRIPODINA ANTONIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Visione anteriore del cuore; Visione posteriore del cuore
OSUBJECTS medicine and physiology
SE si considera che nei Paesi industrializzati le malattie
cardiovascolari sono la prima causa di morte e che l'ipertensione
arteriosa essenziale e' la condizione ad esse piu' frequentemente
associata, si comprende perche' e' importante trovare nuovi farmaci
per migliorare il controllo di questa subdola affezione.
L'ipertensione arteriosa puo' non dare alcun segno di se' per molti
anni, ma nel frattempo provocare danni al cuore (ipertrofia
ventricolare, scompenso, coronaropatie), al cervello (e' la maggiore
causa di ictus cerebrale), al rene (nefroangiosclerosi). Per questo
motivo e' stata definita «killer silenzioso». Da qui l'assoluta
necessita' di diagnosticarla e curarla il piu' precocemente
possibile. Fino a non molto tempo fa i farmaci ipotensivi avevano
effetti collaterali non indifferenti, per cui era arduo convincere
qualcuno che si sentiva bene a stare peggio. Negli ultimi decenni si
sono fatti enormi progressi nella comprensione dei complessi
meccanismi che regolano la circolazione e che portano
all'ipertensione. Sulla base di queste conoscenze sono arrivati
numerosi farmaci appartenenti a classi chimiche diverse che, oltre ad
agire in modo piu' mirato sui diversi fattori coinvolti nei singoli
casi di ipertensione, sono anche molto piu' rispettosi della qualita'
della vita. Di recente ha visto la luce una nuova classe di farmaci
che agisce inibendo l'attivita' biologica dell'angiotensina II, la
sostanza piu' attiva del sistema renina - angiotensina - aldosterone,
attraverso il blocco del suo recettore AT1. Il capostipite di questa
nuova classe di farmaci ipotensivi e' il losartan potassico. Il
sistema renina-angiotensina-aldosterone e' il piu' importante per la
regolazione della pressione arteriosa e il mantenimento
dell'equilibrio idro-salino. E' un sistema complesso a cui
partecipano vari organi: il fegato produce e immette in circolo una
glicoproteina chiamata «angiotensinogeno», che viene trasformata
dalla «renina», un enzima prodotto dal rene, in «angiotensina I»;
questa, sotto l'azione dell'enzima «di conversione» ACE
(angiotensin-converting enzyme), presente in particolare
nell'endotelio dei piccoli vasi polmonari, viene a sua volta
trasformata in «angiotensina II»; che e' la sostanza fondamentale di
tutto il sistema, quella a cui si devono le azioni piu'
significative. I farmaci attualmente piu' usati nell'ipertensione,
gli ACE-inibitori, agiscono a questo livello, bloccando l'enzima di
conversione e quindi anche la formazione di angiotensina II. Ma cosa
fa l'angiotensina? Svolge essenzialmente una duplice funzione: da una
parte esercita una potente vasocostrizione, sia agendo direttamente
sulla muscolatura liscia delle arteriole, sia facilitando l'azione
della noradrenalina; dall'altra, attraverso la stimolazione della
sintesi dell'aldosterone (ormone mineralo-attivo della corteccia
surrenale), svolge un'azione di ritenzione di acqua e sali
(aumentando in questo modo il volume circolante). La molecola di
losartan, legandosi elettivamente al recettore AT1, impedisce
all'angiotensina II di svolgere la sua azione biologica di
vasocostrizione e di ritenzione idro-salina, a cui consegue un
abbassamento della pressione arteriosa, sia sistolica che diastolica.
Il tempo dira' se i nuovi farmaci antiipertensivi sono superiori a
quelli esistenti in termini di tollerabilita' e di efficacia. E'
comunque importante avere uno «scudo» in piu' da opporre al nemico
silenzioso, che, e' bene ribadirlo, con le sue complicanze sta al
primo posto come causa di morte. Antonio Tripodina
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TUTTOSCIENZE SCUOLA. IL PADRE DI ATOMI E MOLECOLE
Il numero di Avogadro: un sei seguito da ventitre' zeri
Ristampati i «Saggi e memorie sulla teoria atomica», scritti tra il
1811 e il 1838
OGENERE dati biografici
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI storia della scienza, matematica, fisica
OPERSONE AVOGADRO AMEDEO
ONOMI AVOGADRO AMEDEO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND biografic data
OSUBJECTS history of science, mathematics, physics
UN 6 seguito da 23 zeri: cioe' seicentomila miliardi di miliardi.
Arrotondando un po', e' il «numero di Avogadro». Il quale Avogadro -
Amedeo conte di Quaregna - non lo trovo', ne' seppe mai che quel
certo numero avrebbe immortalato il suo nome nei libri di chimica e
di fisica. Ma intitolarglielo e' stato un giusto riconoscimento.
Perche' in quattro pagine scritte nel 1811 in lingua francese fu lui
a redigere l'atto di nascita dei concetti moderni di atomo e di
molecola. Raccolte nel 1911 da Icilio Guareschi, quelle pagine, e
altre che le completano, erano diventate ormai introvabili. Rimedia
ora l'editore Giunti, pubblicando, a cura di Marco Ciardi, «Saggi e
memorie sulla teoria atomica», dove ritroviamo tutti gli scritti su
questo tema che Avogadro produsse tra il 1811 e il 1838 (150 pagine,
35 mila lire). Lorenzo Romano Amedeo Carlo Avogadro - questo il nome
completo - nacque a Torino il 9 agosto 1776 da Filippo, conte di
Quaregna e Cerreto e da Anna Vercellone. Lo scrittore Gian Piero
Bona, che vive sulla collina di Moncalieri, puo' vantarsi di essere
un suo pronipote: anni fa tra le carte di famiglia ne trovo' ancora
una lunga lettera inedita e la consegno' all'Universita' di Torino.
Magistrato e poi senatore del regno di Sardegna, il padre impose al
figlio gli studi giuridici, ma Amedeo riusci' poi a darsi una
formazione scientifica seguendo i corsi del fisico Vassalli Eandi,
tanto che nel 1809 divenne professore di matematica e fisica al Regio
Collegio di Vercelli. Fu li' che maturo' il nuovo concetto di atomo e
di molecola. Alla base c'e' l'ipotesi che volumi uguali di gas
differenti contengono un numero uguale di molecole a parita' di
temperatura e di pressione. L'idea presuppone che nella materia allo
stato gassoso il volume delle molecole sia trascurabile rispetto alla
distanza che le separa. Ma non e' tutto. Per mettere d'accordo questa
tesi con gli esperimenti di chimica e di fisica che allora si
andavano facendo, nei quali Gay-Lussac e Dalton avevano messo in
evidenza le proporzioni fisse secondo cui gli elementi chimici si
combinano, Amedeo Avogadro dovette introdurre il concetto di molecola
come insieme di atomi, talvolta appartenenti allo stesso elemento.
L'idrogeno, ad esempio, di solito sulla Terra non e' allo stato
atomico, ma in forma di molecole costituite da due atomi legati tra
loro. Si spiegava cosi', per esempio, come mai un dato volume di
idrogeno (H) e un dato volume di cloro (Cl), combinandosi, diano due
volumi di acido cloridrico (HCl): dipende dal fatto che sia
l'idrogeno sia il cloro hanno molecole formate da due atomi. Piu'
precisamente, Avogadro fece una distinzione tra gli atomi, che
chiamo' «molecole elementari» e molecole vere e proprie, che chiamo'
«molecole costituenti». Questa geniale intuizione rimase ignorata, se
non incompresa, per mezzo secolo, finche' il chimico Stanislao
Cannizzaro (1826-1910) non ne afferro' tutte le importanti
implicazioni, impegnandosi per imporla in campo scientifico. Troppo
tardi perche' il padre dell'idea potesse compiacersi del
riconoscimento: Amedeo Avogadro mori' ottantenne il 9 luglio 1856,
prima che il Cannizzaro compisse il suo lavoro di riscoperta. Il
«numero di Avogadro» e' il numero delle molecole contenute in una
grammomolecola, e di conseguenza il numero di atomi contenuti in un
grammoatomo: cioe', ad esempio, in 2 grammi di idrogeno, in 32 grammi
di ossigeno o in 44 grammi di anidride carbonica. Con Avogadro
l'antichissimo concetto di atomo che dobbiamo al filosofo greco
Democrito entra definitivamente nella scienza moderna: la storia
della fisica degli ultimi 150 anni e', in buona parte,
l'approfondimento di quella nozione, prima per individuare meglio gli
atomi, poi per stabilirne la struttura complessiva (un nucleo
circondato da elettroni), quindi per analizzare il nucleo (protoni e
neutroni), infine per scoprire le particelle elementari che
costituiscono protoni e neutroni (i quark). Da Einstein, con
l'analisi del moto browniano delle molecole di un liquido, fino a noi
che viviamo nell'era post-atomica, tutti siamo debitori ad Avogadro
di quella intuizione del 1811. La determinazione ultraprecisa del
«numero di Avogadro» e' tuttora una sfida per i metrologi, che con
metodi raffinatissimi cercano di migliorare di qualche decimale il
valore di 6,02296 per 10 elevato alla ventitreesima (piu'/-0,00017).
In certo modo, dunque, il lavoro avviato da Avogadro, e' ancora in
corso. Piero Bianucci
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SOCIOBIOLOGIA
La stupidita' umana mette in crisi Darwin
OAUTORE SALZA ALBERTO
OARGOMENTI biologia, antropologia e etnologia
ONOMI SALZA GIORGIO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS biology, anthropology and ethnology
PENSANDO alla frase di Schiller «Anche gli dei si arrendono agli
stupidi», non possiamo affermare che questo: gli scienziati non sono
da meno. In un incontro con Giorgio Salza (nessuna relazione con lo
scrivente), del Dipartimento di Sociologia dell'Universita' di
Torino, abbiamo cercato di considerare il comportamento degli stupidi
sotto gli aspetti sociobiologici. A scopo paradigmatico abbiamo preso
la definizione di stupido fornita da un grande economista, Carlo M.
Cipolla: «Stupido e' colui che fa un'azione che reca danni (morali,
materiali e di ogni sorta) a un'altra persona, senza ricavarne alcun
guadagno, anzi, spesso realizzando una perdita per se stesso». Su
questa base ci e' subito parso di essere circondati da stupidi. Ma
Giorgio Salza mette in guardia: le definizioni di stu pido derivano
da un preciso set culturale di caratteristiche variabili nel tempo.
Fino a inizio 900, «stupido» e «idiota» erano categorie
medico-diagnostiche; oggi sono insulti. Passiamo dunque a esaminare
il problema prescindendo dalla definizione e accettando una visione
gestaltica dello stupido: uno stupido e' tale perche', agli occhi di
un segmento di popolazione e per motivi sconosciuti, egli appare
stupido. La domanda e': dato che l'evoluzione funziona anche
attraverso la selezione dei meno adatti, perche' gli stupidi? Obietta
Giorgio Salza: «Attenzione, posta in questo modo, la domanda mina
l'evoluzionismo, non gli stupidi. Mette sotto accusa i meccanismi
selettivi. Occorre, piu' precisamente, chiedersi: perche'
l'evoluzione non seleziona gli stupidi?». Tra gli animali, lo
stupido, l'inetto, il malato, vengono direttamente selezionati dai
predatori, favorendo cosi' la sopravvivenza dei conspecifici. Tutti
noi, pero', sappiamo che gli stupidi umani non funzionano a questo
modo. Tra di noi, lo stupido e' piuttosto un opportunista di nicchia,
che riesce a cavarsela inserendosi in qualsiasi ambiente e
sostituendosi gradualmente al non stupido (almeno, questa e' la
nostra percezione). In questo senso, gli stupidi ci portano a
riconsiderare l'evoluzione umana. Senza scordarci di essere animali
(soggetti alle pressioni degli ambienti esterni), dobbiamo valutare
il fatto che siamo dotati di cultura. La cultura diventa un ambiente
interno (endohabitat) in cui i meccanismi evolutivi funzionano in
modo analogo a quelli esterni, ma (ovviamente) non sono direttamente
percepibili, se non con le manifestazioni del corpo (comportamento).
In questo senso, e' piu' corretto parlare di comportamento stupido e
non di stupidi tout court. Un ricercatore che si rende conto di
lavorare in un'istituzione idiota e perniciosa per l'umanita', e non
si ribelli perlomeno andandosene altrove, concretizza un
comportamento stupido per se'; mentre se se ne va, e' uno stupido per
la maggioranza degli altri. E' attraverso questi comportamenti
«stupidi» che si sono avute le rivoluzioni scientifiche. Tra i
primati, il gioco individuale assolve le stesse funzioni, in quanto
generatore di comportamenti non stereotipati (senza ritorno
energetico del cibo bruciato nell'attivita'), i quali, testati
nell'ambiente, potranno poi affermarsi nella popolazione attraverso
le interazioni intraspecifiche. E' il meccanismo per cui si hanno le
invenzioni (non le scoperte). Noi riteniamo che sia stupido (sic)
separare o quantificare le percentuali generatrici di forme
anatomiche e comportamentali attraverso la distinzione tra genetica e
ambiente. E' come chiedersi, per l'area di un rettangolo, se conti di
piu' il lato lungo o quello corto. Il comportamento stupido si genera
tra i rumori di fondo della complessita', dove i sistemi di regole
non sono isolabili: non si nasce stupidi, ma, neppure lo si diventa.
La stupidita' deriva da una sorta di Dna comportamentale, un set di
informazioni che possono, se attivate opportunamente, generare
comportamento stupido. Dato che la mente umana (in qualita' di
endohabitat) e' un sistema complesso ad alta sensibilita' alle
condizioni iniziali, e considerate le piu' recenti ricerche
sull'architettura fine del cervello, ne risulta che il comportamento
stupido non e' tipico di un uomo stupido, ma e' probabilisticamente
evolutivo, in quanto mette d'accordo il cervello dell'individuo con
cio' che fa, garantendone la sopravvivenza culturale e, di
conseguenza, fisica. Tra gli animali, si sopravvive attraverso due
dinamiche: la lotta per il pasto e la lotta per la vita. E' per
questo che, talvolta, la gazzella batte il leone. Lo stupido riesce
ad affermarsi (e a diffondersi attraverso meccanismi che appaiono
pericolosamente vicini a quelli genetici, in quanto educatore di
figli) perche' ha «un impegno verso la sopravvivenza», come dice
Giorgio Salza. Al quale ho chiesto di farmi un esempio di
comportamento stupido. «Tradire la moglie e poi andarglielo a dire»,
mi ha risposto: si parte da un piu'2 (2 partner attraverso cui
perpetuare i propri geni) per arrivare a un bilancio di 0 (e
all'autocommiserazione); si fa del male agli altri, ricavandone un
danno. Personalmente ho domande irrisolte. Sareste in grado di
elaborare una fisiognomica (caratteri esterni, tratti di viso...)
dello stupido? Dato che, come dice Cipolla nella sua Prima Legge
Fondamentale: «Sempre ed inevitabilmente, ognuno di noi sottovaluta
il numero di stupidi in circolazione» (il che disegna inquietanti
scenari per la democrazia: una testa un voto), per poi finire nella
Seconda Legge Fondamentale («La probabilita' che una certa persona
sia stupida e' indipendente da qualsiasi altra caratteristica di tale
persona»), non vediamo forse uno straordinario adattamento al
mimetismo da parte dello stupido? Che livrea ha, quando si muove tra
noi? Qual e' il suo bilancio se tira sassi da un cavalcavia (e'
davvero stupido o ne trae un vantaggio criminale, come un perverso
prestigio)? I suoi vantaggi devono superare gli svantaggi, altrimenti
andrebbe in rosso e dovrebbe estinguersi. La vera domanda, conclude
Salza, e': evolutivamente parlando, come mai ci sono gli
intelligenti, tra gli stupidi? E cita l'Enunciato no 7 del Tractatus
Logico-Philosophicus di Wittgenstein, riguardo ai concetti di
ridondanza: «Su cio', di cui non si puo' dir nulla, si deve tacere».
Alberto Salza
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN AFRICA
La tribu' fa studiare lo sciocco
OAUTORE A_SA
OARGOMENTI antropologia e etnologia, biologia
OLUOGHI ESTERO, AFRICA, KENYA
OSUBJECTS anthropology and ethnology, biology
NELLE mie scorribande alla ricerca di fossili e di modelli di
ecologia umana tra le savane semidesertiche che circondano il lago
Turkana, in Kenya, ho incontrato spesso un guerriero samburu, con il
dovuto corredo: treccine impastate d'ocra, pittura facciale, ocra
rossa sul collo e sul torace, monili di perline colorate, lobi bucati
in cui entravano tappi di barattoli e antennine da marziano, straccio
rosso alla vita, spada, mazza da combattimento e lancia. Pascolava le
sue capre tra i monti Ndoto e come riuscisse a farle sopravvivere e'
un mistero. Tutte le volte che ci si vedeva, cercava di chiedermi,
nel suo stento kiswahili (la lingua franca della zona), notizie del
fratello minore che andava a scuola a Opiroi, un centinaio di
chilometri di orrore piu' in la'. Il ragazzo-pastore era giovane, ma
aveva una solida aria di autosufficienza e di responsabilita', che
traspariva da tutto l'atteggiamento corporeo e dall'intelligenza
degli occhi. La prima volta che andai alla scuola governativa a
trovare il fratellino, invece mi trovai davanti a un essere umano
vacuo, superbo, inetto, intento a chiedere soldi e aiuto a
chicchessia, preoccupato solo del pastone di mais e fagioli che e' il
cibo degli scolari kenyoti. Poche parole bastavano a farlo apparire
come un idiota. Naturalmente, ogni volta che risalivo all'altopiano
riferivo al pastore che il fratello andava benissimo a scuola, che
sarebbe divenuto un maestro e, chissa', un funzionario governativo,
un ministro. Il ragazzo mi sorrideva, mi offriva un po' di latte e
sangue, e spariva nel bush, a sopravvivere un altro anno tra razzie
di predoni e siccita'. Dopo qualche tempo, incontrai il padre dei due
ragazzi. «Ma come li scegliete, voi Samburu - chiesi -, quelli da
mandare a scuola? Il tuo figlio selvatico sembra gia' un uomo e vive
tra le capre; l'altro e' un babbeo e pensa di far fortuna in citta'».
«Tra noi - mi rispose il vecchio - se un bambino e' intelligente,
attivo, responsabile, diventa un esperto nell'accudire alle capre,
per poi passare alla classe dei guerrieri. Ci protegge e incrementa
con la guerra il capitale della tribu' (oltre che quello della
famiglia). Questi sono i ragazzi che teniamo tra noi. Gli altri, i
deboli e gli stupidi, li mandiamo a scuola. Cosi', almeno, hanno una
chance». Questa selezione tribale e' autodistruttiva. I Samburu non
comprendono che i loro figli stupidi arriveranno forse
all'universita' (consumando intere greggi per le tasse, pagate dalla
collettivita' della famiglia allargata, con pesanti danni economici
ai ragazzi intelligenti), per poi passare davvero a posti di
responsabilita'. La tragica situazione in cui verte la scuola rurale
del Kenya (e di buona parte dell'Africa) e' che l'educazione e'
affidata agli stupidi tribali. Un preside della zona samburu, in un
anno, ha messo incinte 23 ragazze, distruggendo la loro vita (tra i
Samburu, una ragazza puo' avere rapporti sessuali prima del
matrimonio, ma non rimanere incinta, perche' nessuno la sposera').
Che il dio dei Samburu, Ngai, lo maledica. Nello stesso tempo, le
posizioni di micropotere entrano nella struttura tribale (tasse,
controlli governativi del territorio, economia di mercato) tramite
gli acculturati. Il guaio e' che, per gli uomini responsabili, le
intermediazioni dei funzionari che sono stati a scuola vengono
espletate da persone evidentemente stupide. Manca quindi totalmente
il rispetto per le persone delegate al potere (non all'autorita', una
distinzione molto precisa in Africa). Non vogliamo dire che sia
sempre cosi'. Ma i casi sono numerosi e poco aiutano a cambiare
opinione gli aiuti internazionali, sempre intermediati dagli
scolarizzati, e spesso, di per se', stupidi alla fonte. La mancata
selezione naturale di una parte di popolazione tribale (sostituita
dalla «cultura») sta mettendo in ginocchio un continente. Per
stupidita'. (a. sa.)
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Per le scimmie l'intelligenza e' diversa
I criteri di giudizio spesso devono essere ribaltati
OAUTORE BENEDETTI GIUSTO
OARGOMENTI etologia
ONOMI KOHLER WOLFGANG
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ethology
CORRE l'anno 1917: mentre buona parte del genere umano e' impegnata a
fornire una delle piu' spettacolari dimostrazioni di stupidita' della
storia (la prima guerra mondiale), lo studioso tedesco Wolfgang
Kohler pubblica il saggio «Prove di intelligenza su scimmie
antropoidi», frutto di quattro anni di lavoro in compagnia di nove
scimpanze' nella tranquillita' delle isole Canarie. Gli studi di
Kohler sono un classico della psicologia animale (quella che, in un
secondo tempo, si sarebbe chiamata etologia): dimostrano come gli
animali - o almeno alcuni di essi - non siano affatto delle macchine
biologiche rigidamente guidate nelle loro azioni dal semplice
istinto, ma al contrario siano capaci di elaborazioni mentali
abbastanza complesse e certo al di sopra di quelli che, a quei tempi,
erano considerati i loro limiti. Le scimmie antropomorfe, che Darwin
aveva scandalosamente apparentato all'uomo piu' di mezzo secolo
prima, rivelavano dunque di somigliarci non solo fisicamente ma anche
mentalmente. In parole povere, dimostravano di possedere una certa
dose di intelligenza: non sufficiente a risolvere equazioni o ad
accendere un fuoco, ma certo in grado di portarle alla soluzione di
elementari problemi e all'uso razionale di semplici utensili. Col
tempo, le osservazioni degli etologi hanno dimostrato che le scimmie
non sono gli unici animali capaci di elaborazioni mentali di una
certa complessita': comportamenti che si possono definire
«intelligenti» sono emersi anche in altri gruppi zoologici quali i
carnivori, i roditori, soprattutto i cetacei. Ma la filosofia
classica ci insegna che, se esiste una qualita', deve esistere anche
il suo contrario: esistono animali grandi e animali piccoli, veloci e
lenti, timidi e aggressivi. Se esistono animali intelligenti,
esistono dunque animali stupidi? Confesso di non saper rispondere: se
non e' facile stabilire quando il comportamento di un animale si puo'
definire «intelligente», e' ancor piu' difficile stabilire quando un
comportamento si puo' definire «stupido». Anche perche' non riusciamo
a scrollarci completamente di dosso una certa forma mentale che ci
porta a valutare gli animali con il nostro metro. Chiariro' con un
esempio. Uno dei problemi posti da Kohler ai suoi scimpanze'
consisteva nel raggiungere una banana appesa al soffitto della
gabbia: il soffitto era troppo alto per poterci arrivare con un
balzo, ma gli scimmioni avevano a loro disposizione lunghe pertiche
di legno. Il piu' sveglio della compagnia, una femmina di nome Chica,
trova rapidamente la soluzione: rizza la pertica verticalmente alla
ricerca di un precario equilibrio, si arrampica lungo di essa in
equilibrio ancor piu' precario, e riesce ad afferrare la banana un
istante prima di rovinare al suolo. In breve tempo, anche gli altri
scimpanze' si impadroniscono della tecnica, e la gabbia si trasforma
in una surreale pista di circo, popolata da una sgangherata compagnia
di equilibristi. Che dire, se non che gli scimpanze' stavano dando
prova di estrema stupidita'? Non era molto piu' semplice usare la
pertica per colpire la banana e farla cadere al suolo? Tanto piu'
che, in altre occasioni, tutte le scimmie avevano dimostrato di saper
usare dei bastoni per prendere oggetti fuori della loro portata. Ma
e' qui che ci sbagliamo: per noi esseri umani sarebbe piu' logico
comportarci in questo modo, ma per un animale con le doti fisiche di
uno scimpanze', avvezzo ai piu' spericolati volteggi tra gli alberi e
alle piu' rovinose cadute dai medesimi, l'avventurosa arrampicata
sulla pertica e' la soluzione piu' logica, quella che minimizza i
costi (cosa sara' mai una caduta da 3-4 metri?) e comporta i massimi
benefici, vale a dire il recupero della banana nel minor tempo
possibile e prima di chiunque altro. Analizzando con quest'ottica il
comportamento dei piu' svariati animali, si giunge sempre alla stessa
conclusione: anche le azioni che a prima vista ci appaiono piu'
assurde e controproducenti hanno una loro ragion d'essere, e hanno
come scopo ultimo quello di garantire la sopravvivenza
dell'individuo. E chi sopravvive piu' a lungo ha la possibilita' di
mettere al mondo un piu' alto numero di discendenti, assicurando
cosi' la massima diffusione dei propri geni. E' questa la logica
della natura: una logica in cui non c'e' posto per lo stupido, dato
che la selezione naturale provvede a eliminarlo. A questa logica -
come si sa - l'uomo si e' sottratto da tempo: nella nostra specie,
l'evoluzione culturale non ha certo soppresso quella biologica ma la
ha sicuramente condizionata, attenuando l'effetto di pressioni
selettive che negli altri animali sarebbero determinanti, e
consentendo la sopravvivenza anche ai meno adatti. E' buffo, a ben
vedere: fino a qualche tempo fa, si riteneva che la principale
differenza tra noi e gli altri animali fosse nella nostra
intelligenza. Oggi, tutto lascia supporre che la differenza sia
piuttosto nella nostra stupidita'. Giusto Benedetti
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ASTRONOMIA
Eros, il killer
E' una minaccia per la Terra
OAUTORE ZAPPALA' VINCENZO
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy
IL rischio di un impatto del nostro pianeta con asteroidi o comete e'
tornato alla ribalta due mesi fa con il passaggio ravvicinato del
pianetino Toutatis. La probabilita' di collisioni tali da causare
l'estinzione di gran parte della vita animale e vegetale, come sembra
essere capitato alla fine del periodo terziario circa 65 milioni di
anni fa, e' piccola ma non trascurabile; ci si puo' aspettare un
evento su scala globale (come ad esempio l'urto con un asteroide o
cometa di 10 chilometri di diametro) in media ogni 100 milioni di
anni. Un recente articolo su Nature ha fatto il giro del mondo:
l'asteroide Eros, uno dei piu' grandi tra quelli «a rischio» con i
suoi circa 20 chilometri di diametro, potrebbe in un futuro lontano
(ma non troppo...) immettersi su un'orbita in rotta di collisione con
la Terra. Come spesso accade, le conclusioni della ricerca, altamente
professionale e scientificamente corretta, sono state a poco a poco
esasperate e i rischi reali ingigantiti. Tuttavia il problema rimane
aperto e non puo' essere trascurato: non per niente il Consiglio
d'Europa ha varato una raccomandazione che invita i governi degli
Stati membri a prendere atto del problema e a predisporre i sistemi
di scoperta e di analisi scientifica necessari allo studio degli
oggetti (e sono parecchie centinaia) in grado di produrre effetti
piu' o meno devastanti sul nostro pianeta. Tutto cio' tende a
schedare in modo preciso la loro evoluzione finale e i possibili
rischi per la Terra. Ma esiste un altro problema: dove e quando sono
nati questi cattivi compagni di viaggio? In parte sono frammenti
originatisi negli urti tra asteroidi e immessi in zone dinamiche
instabili del Sistema Solare (le «risonanze») e quindi spinti da
forti variazioni orbitali a entrare nelle regioni dei pianeti
interni, da Mercurio a Marte. In parte invece potrebbero essere
nuclei cometari spenti, che esteriormente e da terra non possono
facilmente riconoscersi come tali. In genere questi frammenti sono
molto piccoli (anche se sono tanti); se ne stimano circa 2000 piu'
grandi di un chilometro (mentre ne conosciamo solo 350). Tra questi
ve ne sono invece pochi «giganteschi», dove per gigantesco si intende
un oggetto superiore ai 10 chilometri. Due sono particolarmente
famosi: Eros (20 chilometri) e Ganimede (35 chilometri), il piu'
grande di tutti. Questi asteroidi sono troppo grandi per essere
considerati normali frammenti di piccole o medie collisioni di
asteroidi, ossia di quelle che in qualche modo caratterizzano il
corpo principale e lanciano nello spazio piccoli detriti. Qui siamo
di fronte a qualcosa di ben diverso: un evento in grado di produrre
frammenti di tali dimensioni deve per forza aver lasciato vicino al
punto del disastro un insieme di altri frammenti alcuni dei quali con
diametri anche piu' grandi. E questo «residuo» deve essere ancora
visibile nella fascia asteroidale. Basta cercarlo... Si', ma dove? Si
sa che esistono concentrazioni anomale di asteroidi con elementi
orbitali estremamente simili, a volte composti da centinaia e
centinaia di membri. Esse rappresentano il prodotto finale di una
collisione catastrofica risalente a centinaia di milioni o
addirittura miliardi di anni fa. Sono chiamate «famiglie» e al corpo
primordiale andato distrutto si da' il nome di «corpo genitore». Solo
li' si puo' cercare la culla di Eros e Ganimede. Ma non basta. Queste
famiglie devono anche trovarsi vicine alle zone «a rischio» del
Sistema Solare (le risonanze), in quanto e' necessario che alcuni
frammenti, anche abbastanza grandi, siano stati lanciati all'interno
della risonanza e abbiano potuto seguire le vie dinamiche in grado di
portarli vicino al nostro pianeta. Il loro numero a questo punto si
restringe. Possiamo pero' fare ancora di piu'. Si conosce in modo
abbastanza preciso il tipo di composizione superficiale di Eros e
Ganimede e di conseguenza questo deve anche essere - piu' o meno -
quello del corpo genitore andato distrutto, oggi visibile come una
famiglia. A questo punto il numero diventa veramente piccolo, anzi
forse si riduce a un solo candidato; la «famiglia di Maria» (il nome
deriva da quello dell'asteroide che e' stato scoperto per primo). Una
recentissima ricerca condotta all'Osservatorio di Torino con la
collaborazione dell'Universita' di Pisa ha ricostruito con
procedimenti lunghi e delicati la struttura fisica e dinamica
dell'evento originario, sovrapponendolo spazialmente alla vicina
risonanza, la regione per cosi' dire di trasporto verso Marte e la
Terra. Inoltre e' stata fatta una campagna osservativa analizzando lo
spettro della luce riflessa da parecchi pianetini della famiglia di
Maria per poterli confrontare con i dati relativi a Eros e Ganimede.
Tutto sembra tornare abbastanza bene: la struttura dell'evento
distruttivo puo' veramente avere gettato nella zona a rischio un buon
numero di oggetti delle dimensioni di Eros e Ganimede, e la
composizione superficiale dei membri della famiglia sembra
praticamente la stessa di quella di Eros e Ganimede. Forse e' stata
realmente localizzata la loro culla. La sonda spaziale Near andra'
proprio a visitare da vicino Eros e potra' quindi fornirci una sua
carta d'identita'. La ricerca fa parte di un progetto ben piu'
ambizioso che vede coinvolti diversi istituti, tra cui, oltre
all'Osservatorio di Torino e l'Universita' di Pisa, anche
l'Osservatorio di Nizza, quello di Armagh (Irlanda del Nord), il
Southwest Research Institute di Boulder (Colorado), il Dlr di
Berlino. In modo scherzoso l'ho battezzato: «Diamo una famiglia a
tutti gli asteroidi pericolosi!». Quello che si vuole fare e'
cercare, come per la famiglia di Maria, il luogo di nascita della
maggior parte degli oggetti a rischio piu' grandi (spingendosi magari
fino alle dimensioni di 3-4 chilometri), attraverso la ricostruzione
dell'evento originario, l'evoluzione dinamica dei frammenti e la loro
classificazione chimica. Tutti noi speriamo in tal modo di riuscire a
dare una famiglia a molti oggetti e di gettare quindi una luce nuova
su un problema cosi' attuale come quello degli asteroidi in possibile
rotta di collisione con la Terra. Vincenzo Zappala' Osservatorio di
Torino
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Il piu' grande specchio astronomico
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy, technology
Il piu' grande specchio per uso astronomico, con un diametro di 8,4
metri, che dovra' servire da obiettivo per il telescopio doppio del
monte Graham (Usa) e' stato fuso nei giorni scorsi per conto
dell'Osservatorio di Arcetri, dell'Universita' dell'Arizona e della
Research Corporation: 16 tonnellate di vetro allo stato fuso hanno
assunto grazie a un forno rotante la forma concava richiesta per
concentrare la luce degli astri. Con un altro specchio uguale si
otterra' un gigantesco «binocolo» equivalente a uno specchio
monolitico largo 12 metri. L'impegno economico dell'Italia e' di 25
miliardi.
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Disegna la cometa
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia, concorsi, studenti
OORGANIZZAZIONI OSSERVATORIO FEDERICO ZANI, AURIGA
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy, competition, student
In aprile sara' visibile la cometa Hale-Bopp, che potrebbe diventare
la piu' luminosa del secolo. Per favorire la conoscenza di questi
affascinanti corpi celesti l'Osservatorio Serafino Zani, in
collaborazione con Auriga, organizza il concorso nazionale «Disegna
la cometa», rivolto agli studenti delle scuole dell'obbligo che
vogliano documentare graficamente la Hale- Bopp o in generale
l'aspetto delle comete. Si possono inviare al massimo 3 disegni,
formato A4. Devono giungere entro il 31 maggio a uno dei Centri
Auriga (per conoscere il piu' vicino, tel. 02-5097.780) o al Centro
Studi Zani (via Bosca 24, CP 104, 25066 Lumezzane).
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Banca degli occhi incontro a Venezia
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia, conferenza
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE BANCA DEGLI OCCHI
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology, lecture
La Fondazione Banca degli Occhi del Veneto ha organizzato il 24-25
gennaio la conferenza europea delle Banche degli Occhi, con
l'obiettivo di diffondere la cultura della donazione della cornea
(tel. 041-989.777).
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Accordo di ricerca per il Dibit
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica, medicina e fisiologia, accordo
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE ARMENISE HARVARD, MEDICAL SCHOOL DI BOSTON,
DIBIT
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)
OKIND short article
OSUBJECTS research, medicine and physiology, agreement
E' stato siglato un nuovo accordo di collaborazione scientifica tra
la Fondazione Armenise- Harvard, il dipartimento di neurobiologia
della Medical School di Boston e il Dibit di Milano (Istituto
scientifico del San Raffaele di Milano). Il grant assegnato al Dibit
grazie a questo accordo servira', tra l'altro, a inviare a Boston
ricercatori italiani di alto valore perche' vi apprendano le tecniche
piu' avanzate. Temi di ricerca: formazione della corteccia cerebrale,
struttura dei neuroni e loro modifica nei processi di apprendimento e
di memoria, simulazioni al computer di modelli di fenomeni
neurologici.
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
STORIA DELL'ASTRONAUTICA
Bruciati vivi puntando alla Luna
Trent'anni fa il terribile incidente dell'«Apollo 1»
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, storia
ONOMI GRISSOM VIRGIL, WHITE EDWARD, CHAFEE ROGER, SLAYTON DEKE, ROOSA
STUART
OORGANIZZAZIONI APOLLO 1, NASA
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
QUANDO i primi uomini si avventurarono nello spazio, i pessimisti
dicevano: «Ad ogni nuovo esperimento aumentano le probabilita' di
disastro». Nessuno avrebbe mai pensato pero' che la prima, grande
tragedia dell'astronautica non sarebbe accaduta in volo ma a terra,
durante una simulazione di conto alla rovescia. Fu esattamente
trent'anni fa: il 27 gennaio 1967 sulla piattaforma numero 34 di Cape
Canaveral c'era un razzo Saturno 1-B con in vetta la prima navicella
Apollo, con il suo modulo di servizio contenente le apparecchiature
di funzionamento, e il modulo di comando con all'interno
l'equipaggio. La missione «Apollo 1» doveva partire il 21 febbraio
'67 con Virgil Grissom (veterano dei voli «Mercury 4» e «Gemini 3»),
Edward White (primo «passeggiatore spaziale» americano con «Gemini
4»), e Roger Chafee. Era previsto un collaudo dell'Apollo in orbita
terrestre per dieci giorni. Ma il 27 gennaio 1967, alle 18,30 (ora
italiana), dalla capsula giunse l'urlo di Grissom: «Ehi, c'e' un
incendio in cabina!». Quel giorno, davvero sfortunato, i sistemi di
comunicazione tra Apollo e la casamatta «Stoney» a terra non
funzionavano, e le voci dei tre astronauti giungevano distorte.
Grissom si era gia' spazientito pochi minuti prima: «Volete
comunicare con uomini sulla Luna e qui non riusciamo a parlarci da
qualche centinaio di metri...». Nel bunker c'erano Deke Slayton,
direttore degli equipaggi, e il giovane astronauta Stuart Roosa, che
poi captarono frasi tipo: «Fateci uscire da qui, stiamo bruciando» e
«Stiamo cercando di uscire!». Gli astronauti cercarono di forzare,
invano, il portellone dell'Apollo: morirono per asfissia e
parzialmente carbonizzati. La commissione d'inchiesta non giunse a
nessuna conclusione precisa, ma fu quasi certamente un corto circuito
a far divampare le fiamme nella capsula che aveva un'atmosfera
interna di solo ossigeno. Apollo subira' una profonda revisione:
tutti i materiali che potevano causare incendi furono sostituiti o
trattati in modo da renderli inerti. L'atmosfera interna alla
partenza fu formata, oltre che da ossigeno, da azoto al 40 per cento.
Il portellone fu costruito in modo che si aprisse in 9 secondi
anziche' i 90 dell'Apollo 1. La tragedia servi' comunque per elevare
il grado di sicurezza: solo dopo tutte le modifiche pote' essere
avviato il piu' importante programma spaziale finora realizzato. Due
anni e mezzo dopo, Armstrong passeggiava sulla Luna. Antonio Lo Campo
ODATA 29/01/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TUTTOSCIENZE SCUOLA. UNO STABILIMENTO GALLEGGIANTE
Il piu' grande pontone del mondo
Per la costruzione di piattaforme petrolifere
OAUTORE R_SC
OARGOMENTI tecnologia
OORGANIZZAZIONI SAIPEM, IRI, ENI
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, ITALIA; OLANDA, ROTTERDAM
OTABELLE D. Saipem 700
OSUBJECTS technology
IL piu' grande pontone del mondo, un gigantesco stabilimento
galleggiante e semovente, usato per la costruzione di piattaforme
petrolifere offshore, cioe' in mare aperto, e' italiano. Si chiama
Saipem 7000, costruito nei cantieri di Monfalcone nel 1987, e quando
non e' impegnato in qualche parte del mondo, sta all'ancora nel porto
olandese di Rotterdam. E' il fiore all'occhiello della Saipem,
azienda dell'Eni (gruppo Iri), e fa parte della flotta di piattaforme
petrolifere d'alto mare - in funzione dal Mare del Nord alle coste
africane - che hanno anche nomi da fumetti, come Perro Negro,
Castoro, Scarabeo, Ragno. In dettaglio, si tratta di una nave gru
semisommergibile - formata da due scafi, come un catamarano - lunga
quasi 200 metri e larga 87. Pesa 67 mila tonnellate con una capacita'
di carico di 15 mila. Solo per dipingerla sono occorse 1500
tonnellate di vernice. Ha una capacita' di immersione, a seconda del
lavoro da svolgere e delle condizioni del mare, che va da 10 a 29
metri. Le due gru alzate, sono alte 211 metri - piu' del duomo di
Milano - ognuna della portata di 7 mila tonnellate: sarebbero quindi
in grado di sollevare l'incrociatore Garibaldi che stazza 13 mila
tonnellate. Saipem 7000 e' stato progettato tenendo conto della
possibilita' di resistere a condizioni tropicali (piu'45 gradi) o
artiche, fino a -20o. La propulsione e' fornita da otto motori e
dieci eliche che possono spingerla fino a 9,9 nodi, circa 18
chilometri orari. Tante eliche sono anche necessarie e sufficienti a
stabilizzare il natante - il cosiddetto posizionamento dinamico -
durante le operazioni e con qualsiasi mare. L'ormeggio e' assicurato
da sedici ancore da 40 tonnellate ciascuna, quattro per ogni angolo
della nave, azionate da verricelli del diametro di sei metri. La
lunghezza totale dei cavi delle ancore e' di 51 chilometri; i cavi
delle gru sono invece lunghi 70 chilometri. I battipali idraulici,
che servono a conficcare sul fondo marino i supporti per le torri di
estrazione, sono come giganteschi martelli che battono colpi da
trecento tonnellate l'uno. L'helideck, cioe' il ponte
portaelicotteri, puo' ospitare due velivoli contemporaneamente. Il
ponte vero e proprio e' invece grande quanto piazza San Marco a
Venezia: 9 mila metri quadrati. La parte superiore dello scafo ospita
una struttura di dieci piani, che comprende gli alloggi per
equipaggio e tecnici (capienza massima 800 persone), due mense,
cucina, due cinema, palestra, piscina, sale di ricreazione,
biblioteca. Comunque la media delle presenze a bordo e' di trecento
persone. L'energia elettrica per far funzionare questa ciclopica
citta' tecnologica, e' fornita da otto generatori diesel da 5600
kilowatt ciascuno, piu' due da 2800 kilowatt, per una potenza
complessiva di 50 megawatt, che sarebbero sufficienti ad alimentare
una citta' come La Spezia. L'elettricita' e' la vita della nave,
perche' alimenta ogni funzione, dal dissalatore ai battipali, dalle
gru ai frigoriferi, ai forni per il pane, radar e radio, agli
impianti oleopneumatici. (r. sc.)
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TUTTOSCIENZE SCUOLA. I GRANDI VIAGGI DEGLI UCCELLI
Tecniche di volo ad alta quota
Record di altezza delle oche selvatiche: 9000 metri
OARGOMENTI zoologia, animali
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. A quali altezze volano gli uccelli
OSUBJECTS zoology, animal
Alcuni uccelli durante le loro migrazioni tra Nord e Sud si riposano
appollaiandosi tra i canneti che crescono nelle paludi. Durante la
stagione fredda il cibo spesso e' scarso tanto che i giovani uccelli
possono perdere fino ai 10 per cento del peso. Alcuni muoiono di fame
e altri restano vittime dei predatori. Le giovani rondini si
raggruppano sui fili delle linee elettriche in prossimita' dei loro
nidi e si esercitano nel volo per essere pronte alla imminente
partenza. Nello stesso tempo memorizzano la zona per ricordarla
quando ritorneranno la primavera successiva. COME VOLANO GLI UCCELLI.
Alcuni uccelli volano sbattendo le ali senza interruzione; altri,
invece, si affidano a tecniche che consentono di risparmiare energia,
per esempio veleggiando o viaggiando a grandi altezze; in questo modo
riescono a coprire distanze enormi senza stancarsi troppo. LE
CORRENTI TERMICHE. Uno dei sistemi piu' spettacolari utilizzato per
volare e' quello che consiste nello sfruttare le correnti termiche.
Gli uccelli sfruttano le termiche, cioe' correnti di aria calda che
sale dal suolo, per guadagnare centinaia di metri in altezza. Una
volta giunti in quota veleggiano in leggera discesa fino a
raggiungere la base di un'altra termica, dove riprendono il
giochetto. LE CORRENTI DINAMICHE. Gli uccelli marini riescono a
guadagnare oltre 20 metri di quota compiendo ampi giri nel vento
sfruttando le deboli correnti create dall'effetto dell'aria
sull'acqua; una volta in alto veleggiano facendosi spingere dal vento
per spostarsi in orizzontale.
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TUTTOSCIENZE SCUOLA. NUOVA ZELANDA
Eruzioni da 100 chilometri cubi
Ciclopiche attivita' vulcaniche nel Tongariro National Park
OAUTORE MORETTI MARCO
OARGOMENTI geografia e geofisica, vulcano, ambiente, ecologia
OORGANIZZAZIONI INSTITUTE OF GEOLOGICAL AND NUCLEAR SCIENCES
OLUOGHI ESTERO, OCEANIA, NUOVA ZELANDA
OSUBJECTS geography and geophisics, volcano, environmental, ecology
IL monte Ruapehu e' tornato a esplodere. Nell'ultimo anno le eruzioni
si sono susseguite con tre fasi violente nel settembre 1995 e nel
giugno e luglio 1996. Manifestazioni naturali con colate di lava,
lancio di massi e nuvole di cenere che s'innalzano per migliaia di
metri prima di ricadere in un raggio di oltre 100 chilometri. Uno
spettacolo che la televisione neozelandese Tvnz non si e' lasciata
sfuggire, anche se agli antipodi il fenomeno non e' poi cosi'
originale. Il Ruapehu ha eruzioni frequenti, le ultime sono state nel
1861, 1945, 1947, 1953, 1969, 1975 e 1988. Nel 1953 ha provocato il
piu' grave disastro naturale della Nuova Zelanda: il lago contenuto
nel suo cratere ha scaricato un'immensa quantita' d'acqua che ha
fatto straripare il fiume Whangaehu spazzando via un ponte pochi
minuti prima del passaggio di un treno, provocando 153 vittime. E
l'anno scorso la cenere spinta dal vento ha costretto l'aeroporto
internazionale di Auckland, situato 350 chilometri a Nord, a chiudere
piu' volte. Ecco perche' i neozelandesi sono attenti alle notizie -
su frequenza delle scosse e altezza della colonna di cenere - fornite
ogni giorno dall'Institute of Geologi cal and Nuclear Sciences
attraverso radio e tivu'. La Nuova Zelanda e' un Paese ad alto
rischio sismico: appoggia su un segmento dell'anello di fuoco in cui
convergono due dei grandi scudi che formano la crosta terrestre,
quello del Pacifico e quello Indo-australiano. La frizione fra i due
scudi provoca la liquefazione delle rocce che formano la crosta, il
risultato della fusione dei minerali e' un magma meno denso del
materiale circostante che emerge attraverso crepe del terreno e forma
i vulcani. E' un processo geofisico tuttora attivo: Rangitoto,
un'isola della baia di Auckland, e' emersa dal mare meno di 800 anni
fa. La Nuova Zelanda e' la parte emersa del mondo marino che la
circonda: uno scenario di crinali e valli sommerse, pareti ripide,
increspamenti e piani testimonia che qui la crosta terrestre e' stata
accartocciata creando gigantesche pieghe e movimentata da fessure e
vulcani sottomarini. L'Isola del Nord, dove si trova il Ruapehu, e'
caratterizzata da una cintura di 150 vulcani - in parte attivi - che
si snoda per oltre 200 chilometri tra White Island (nella Bay of
Plenty) e il monte Egmont. E ha il suo epicentro nel Tongariro
National Park, dominato da tre coni attivi: Ruapehu, Tongariro e
Ngauruhoe. Ruapehu - nella lingua maori questa parola significa «buco
esplosivo» - e' il piu' alto vulcano dell'isola (raggiunge i 2796
metri) e ha una cima piatta lunga tre chilometri dove si trovano sei
distinti ghiacciai e il ribollente Crater Lake. La vegetazione del
parco e' mutata a seguito delle eruzioni, soprattutto di quella
colossale del vulcano Taupo che nel 186 d. C. devasto' la regione:
sputo' 100 chilometri cubi di materia e libero' una cascata di lava
che - uscendo a velocita' altissima - inceneri' le foreste della zona
che forma il Nord del parco, coperta oggi da bassi cespugli. Il
Tongariro fu il primo parco della Nuova Zelanda e il terzo del mondo
dopo lo Yellowstone (Usa) e il Royal (Australia): fu creato nel 1887,
dopo che il capo maori Horonuku Te Heuheu Tufino dono' il territorio
allo Stato perche' fosse protetto. Per la mitologia maori le
manifestazioni geotermiche sono il dono delle divinita' polinesiane,
che ascoltarono la preghiera rivolta loro - dagli antenati giunti
nell'isola - per essere scaldati in questa terra fredda. La regione
di Rororua, a Nord del parco, e' un mosaico bollente di vulcani,
geyser, pozze di fanghi e sorgenti sulfuree. Lo scrittore Bernard
Shaw, dopo una visita a Rotorua nel 1934, dichiaro': «Sono contento
di essermi cosi' avvicinato all'inferno e di poter ritornare». Marco
Moretti
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TUTTOSCIENZE SCUOLA. INTERNET
Un sito per salvare i gorilla
OAUTORE F_PE
OARGOMENTI zoologia, comunicazioni, elettronica, informatica, ecologia,
ambiente
OORGANIZZAZIONI DIANE FOSSEY GORILLA FUND, INTERNET
OLUOGHI ESTERO, AFRICA
OSUBJECTS zoology, communication, electronics, computer science, ecology,
environmental
CHI vuole adottare Amy? Precisiamo subito che Amy e' un piccolo
gorilla di montagna nato in questi mesi sulle pendici del Virunga, il
massiccio vulcanico dell'Africa equatoriale. L'adozione (a distanza,
beninteso) del giovane gorilla costa soltanto trenta dollari, in
cambio dei quali, oltre a una T-shirt e alla foto di Amy, si
riceveranno periodici rapporti sulla sua crescita e sui suoi
progressi. Questa e' una delle tante iniziative promosse dal Diane
Fossey Gorilla Fund e l'indirizzo su Internet e':
http://voyager.paramount.com/ CSave.html La Fondazione, impegnata
nello studio e nella difesa dei celebri «gorilla nella nebbia», e'
ospitata in un sito sponsorizzato dalla casa cinematografica
Paramount. «La situazione - denunciano i responsabili della
Fondazione - e' drammatica. Se continueranno le interferenze
dell'uomo nelle foreste africane e se non ci sara' un intervento
immediato da parte dei loro cugini piu' prossimi, cioe' noi e voi, i
gorilla di montagna potrebbero scomparire prima della fine del
secolo». Il progetto piu' ambizioso della Fondazione prevede anche
l'uso del laboratorio radar che si trova a bordo dello shuttle
«Endeavor» per un'indagine sul territorio e sulla popolazione dei
gorilla, i quali si stanno spostando verso le foreste dell'Uganda,
costretti ad abbandonare i loro territori che le vicende drammatiche
del Ruanda e dello Zaire hanno reso insicuri. Per allargare la
ricerca a tutti i primati, ci si puo' collegare con il sito creato da
Tim Knigh di Seattle: http://www.selu.com/~bio/ Qui e' possibile
trovare gli indirizzi di tutti i centri e le associazioni che si
occupano di primati e inoltre si puo' visitare la «Galleria dei
primati» che raccoglie centinaia di immagini, fotografie e disegni,
su tutte le specie viventi di questo importante ordine di mammiferi,
al quale noi stessi apparteniamo. Da uno dei collegamenti di Tim
Knigh, siamo arrivati al progetto piu' rivoluzionario in difesa dei
primati: il Gap, Great Ape Project, reperibile a questo indirizzo di
Internet: http://envirolink.org/arrs/gap/ gaphome.html L'iniziativa,
l'unica che probabilmente sarebbe in grado di garantire la
sopravvivenza, e' stata presentata due anni fa a Londra dai massimi
studiosi del settore. Obiettivo dei promotori e' l'estensione dei
diritti umani a tutte le scimmie antropomorfe, con la richiesta
all'Onu di una dichiarazione ufficiale che li possa proteggere,
evitandone l'estinzione. «Noi chiediamo che tutte le grandi scimmie,
essere umani, scimpanze', gorilla e oranghi - dicono i responsabili
del Gap - vengano considerate ''persone'', con gli stessi diritti
fondamentali, il diritto della vita e alla liberta' individuale, e
che ci sia una netta condanna per ogni forma di tortura». Fra le
interessanti pagine curate dal Gap c'e' anche un modulo di adesione
all'iniziativa: chi e' d'accordo se lo puo' stampare per poi spedirlo
all'Associazione dopo averlo compilato e sottoscritto. (f. pe.)
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
FINESTRE E SPECCHI DEL FUTURO
Arrivano i vetri a colorazione regolabile
Quando li attraversa una corrente elettrica modificano la loro
struttura
OAUTORE FOCHI GIANNI
OARGOMENTI chimica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS chemistry
SEMBRA destinato a diffondersi uno dei tanti lussi che per ora si
trovano solo sulle Rolls-Royce e su poche altre auto di gran
prestigio. Quando si fa buio e i fari delle macchine che seguono,
riflettendosi negli specchietti retrovisori, incominciano a dare
fastidio, basta agire su un comando elettrico e i riflessi si
attenuano. Gli specchietti, prodotti dalla Gentex, possono scurirsi
piu' o meno, secondo il desiderio del guidatore. In un prossimo
futuro anche i vetri dei finestrini potranno comportarsi nello stesso
modo, contribuendo al benessere dei passeggeri durante i viaggi
estivi e al momento di rientrare nell'auto parcheggiata sotto il
sole. Anche le finestre degli edifici potranno scurirsi a comando,
riducendo i consumi degli impianti di condizionamento. Queste novita'
si basano su sottilissime celle elettrolitiche trasparenti, nelle
quali il passaggio di corrente provoca reazioni che producono
sostanze colorate: di qui il nome di sistemi elettrocromici. Due
lastre di vetro, rivestite sul lato interno d'uno strato conduttore
trasparente (per esempio, ossidi d'indio o stagno), costituiscono
nello stesso tempo le pareti della cella e gli elettrodi. Negli
specchietti Gentex, quando passa la corrente elettrica, in
prossimita' dell'elettrodo positivo un composto organico perde
elettroni, e, da incolore, diventa blu. Il ritorno allo stato
iniziale avviene spontaneamente un po' alla volta quando la corrente
s'interrompe, ma puo' essere accelerato se s'inverte per un istante
la polarita' degli elettrodi. Le finestre elettrocromiche non sono
ancora sul mercato, ma ormai poco ci manca. A esse non puo' essere
applicato lo stesso sistema degli specchietti, perche' in superfici
grandi la colorazione non e' omogenea. Diverse aziende vetrarie, fra
cui in Europa la Pilkington e la Saint Gobain, stanno sviluppando
finestre vicine al metro quadrato di superficie, che al loro interno
hanno, rispetto agli specchietti retrovisori, anche un sottilissimo
strato trasparente di triossido di tung steno, aderente all'elettrodo
negativo. L'elettrolita fra le due pareti della cella contiene ioni
litio: quando viene applicata una differenza di potenziale di circa
1,5 volt essi acquistano elettroni, perdendo la loro carica positiva
e cioe' diventando atomi neutri, che vanno a sciogliersi nel
triossido di tungste no. Questo composto, normalmente incolore, si
trasforma allora in una sostanza blu, che rimane stabile a lungo
anche se viene tolta la tensione. Si possono cosi' avere finestre del
color del cielo, capaci di filtrare tre quarti dell'energia
trasportata dalla luce solare visibile. Per farle tornare incolori,
basta anche in questo caso invertire la polarita'. Fare previsioni
per lo sviluppo commerciale e' sempre rischioso, ma i progressi gia'
fatti nel settore e il forte impegno delle maggiori societa' vetrarie
mondiali permettono di sbilanciarsi, immaginando che fra 3 anni
avremo finestrini elettrocromici nelle auto, fra 5 anni vetri
elettrocromici nell'edilizia. Piu' lontana sembra al momento la
possibilita' di usare celle elettrocromiche nella costruzione di
tabelloni segnaletici, da collocare, per esempio, nelle stazioni
ferroviarie per indicare i treni in partenza e in arrivo. Ci sono
alcuni problemi non ancora ben risolti. Mentre una finestra puo'
impiegare qualche minuto a cambiar colore, le scritte su un tabellone
devono formarsi e scomparire rapidamente, e questo i sistemi
elettrocromici non sono ancora pronti a farlo. La loro
reversibilita', fra l'altro, non e' perfetta: a ogni ciclo di
funzionamento un pochino si deteriorano. Gianni Fochi Scuola Normale
di Pisa
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PROPOSTA AI SINDACI
Il 5 aprile citta' al buio per vedere la cometa
Intanto e' partita la legge contro l'inquinamento luminoso
OAUTORE PRESTINENZA LUIGI
OARGOMENTI astronomia, ecologia, disegno di legge, inquinamento, energia
ONOMI VANIN GABRIELE, DI SORA MARIO, DIANA LINO
OORGANIZZAZIONI SAIT
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OSUBJECTS astronomy, ecology, bill, pollution, energy
LA battaglia contro l'inquinamento luminoso, l'ultima e piu' subdola
forma di deterioramento dell'ambiente, e' prima di tutto una
questione di sensibilita' culturale. Illuminare e' necessario: e' un
fatto di sicurezza e di estetica (nel caso di certi monumenti). Ma e'
inutile e dispendioso illuminare male, con diffusori inadeguati e
fasci di luce rivolti verso l'alto, dove, aiutati dallo smog,
accrescono il fenomeno naturale della diffusione della luce,
impedendo quindi di contemplare il meraviglioso spettacolo del cielo
notturno, delle stelle, dei pianeti. Ogni citta', grande o media che
sia, e' ormai il centro di un'aureola luminosa visibile talvolta
dalla distanza di 50- 100 chilometri: e il danno e' irreparabile per
chi coltiva l'interesse per l'astronomia, senza contare lo spreco
energetico. Luci eccessive, dunque, e mal dirette. Persino gli
ambientalisti, alle prese con altri problemi, hanno stentato ad
accorgersi di queste cose. E gli stessi astronomi professionisti
innegabilmente hanno tardato ad alzare la voce, come potevano e
dovevano fare: adesso la Sait, la Societa' astronomica italiana, e'
impegnata anch'essa contro l'inquinamento da luci, ma non siamo
riusciti a vederne un rappresentante nella conferenza stampa indetta
giorni fa in Senato per presentare il disegno di legge numero 751,
normativa anti-inquinamento luminoso che porta le firme di
parlamentari dell'intero arco politico. C'erano, invece, gli
astronomi non professionisti, a cominciare dal presidente della loro
associazione, Gabriele Vanin; e hanno anche collaborato, come Mario
di Sora, direttore dell'Osservatorio di Campocatino (Frosinone), alla
stesura della proposta di legge e della relazione che l'accompagna,
primo firmatario il sen. Lino Diana, accanto a Lorenzi, Lubrano, Di
Ricco, Giaretta e altri. Ne' mancavano i tecnici dell'illuminazione,
da Guzzini a Cariboni, da Fabrizi a De Luca, rappresentanti questi
ultimi dell'Acea, che gestisce i 140 mila punti luce della capitale.
Adesso la legge affronta il lungo itinerario attraverso le
elefantiache procedure del sistema bicamerale: prevede l'adeguamento
dei criteri delle Regioni per i settori edili e industriali, il
controllo delle Province sul corretto e razionale uso dell'energia
elettrica, il dotarsi per i Comumi di piani regolatori di
illuminazione entro due anni dall'entrata in vigore della legge.
Previsti anche contributi per i Comuni che ricadono nelle fasce di
salvaguardia degli osservatori. E' interessante la stima di un
risparmio energetico di almeno 400 miliardi. Sara' possibile giungere
all'approvazione gia' in commissione, in sede deliberante?
Ovviamente, il problema non e' solo italiano. «Time» gli ha appena
dedicato due pagine, riferendo delle iniziative in tutto il mondo
contro l'inquinamento luminoso. Misure autonome sono gia' state prese
anche da noi, da vari enti locali. E l'Unione astrofili italiani ha
proposto per il 5 aprile una «Notte della cometa»: in occasione del
passaggio della luminosa «Hale- Bopp» i Comuni sono invitati a
spegnere le luci esterne per due ore, dalle 21 alle 23. Luigi
Prestinenza
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Fraser, Lillestol, Sellevag: «Nel mistero dell'universo», De
Agostini
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia, presentazione, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy, presentation, book
Tra l'estremamente grande e l'estremamente piccolo, l'uomo, con le
sue dimensioni dell'ordine di un paio di metri, occupa una posizione
intermedia. Il limite del microcosmo e' rappresentato dalla
«lunghezza di Planck»: qualcosa di piu' piccolo e' difficilmente
immaginabile perche', per «vederlo» occorrerebbe una radiazione cosi'
energetica che i suoi «granuli» si trasformerebbero in buchi neri. Il
limite del macrocosmo e' invece costituito dal fronte di espansione
raggiunto dalle galassie piu' lontane, un viaggio che inizio' circa
15 miliardi di anni fa. L'esplorazione di questi limiti e di tutto
quanto sta in mezzo ad essi e' stata compiuta in gran parte negli
ultimi novant'anni grazie ai grandi acceleratori di particelle
subnucleari, ai grandi telescopi e alle sonde spaziali. Questo libro
splendidamente illustrato ce ne fornisce una panoramica molto
semplice ed efficace, mostrando come la microfisica e la macrofisica
negli ultimi anni si siano praticamente fuse, contribuendo a chiarire
reciprocamente i loro problemi. L'introduzione e' di Stephen Hawking.
Piero Bianucci
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Masani Alberto: «La cosmologia nella storia fra scienza, religione e
filosofia», La Scuola
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia, presentazione, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy, presentation, book
Molti libri oggi presentano gli ultimi spettacolari risultati della
cosmologia, la scienza che studia l'universo nel suo insieme: origine
ed evoluzione. Rari sono invece i libri che diano conto del percorso
intellettuale, spesso tortuoso, che ha permesso di arrivare a quei
risultati. Si perde cosi' il senso storico delle attuali conoscenze,
e quindi anche la percezione di quanto queste conoscenze, benche'
suggestive, siano precarie e provvisorie. Il saggio di Masani, gia'
professore di astrofisica all'Universita' di Torino, recupera proprio
gli aspetti storici della ricerca, mostrando come nuovi strumenti
d'osservazione e nuovi strumenti culturali (come la fisica atomica e
nucleare) abbiano portato agli attuali sviluppi della cosmologia.
Particolarmente interessante e' l'ultimo capitolo, che si spinge
verso una sintesi ulteriore: l'integrazione dell'aspetto biologico
nella cosmologia. Una prospettiva di ampio respiro che va al di la'
della scienza in senso stretto per far propri i piu' profondi
interrogativi filosofici e religiosi.
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Booth Nicholas: «Il sistema solare», De Agostini
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia, presentazione, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy, presentation, book
QUANDO la Nasa rielaboro' le immagini della superficie di Venere
trasmesse nel '93 dalla navicella «Magellano», fu accusata di essersi
prese troppe liberta': le montagne vi apparivano ingigantite grazie a
un aumento di 22 volte della scala verticale e i colori giallo e
grigio suggerivano un'idea forzata dell'attivita' vulcanica del
pianeta. In effetti sappiamo ben poco sul colore dominante del
paesaggio di Venere: le immagini radar non ci danno informazioni in
proposito. L'elaborazione al computer con colori artificiali rende
pero' molto piu' comprensibili le immagini, non solo all'uomo della
strada, ma agli stessi scienziati. Cosi', oggi, le tecniche di
trattamento delle immagini sono un fatto scontato: ed e' proprio
grazie ad esse se possiamo avere questo meraviglioso atlante del
sistema solare scritto dal collaboratore della Nasa Nicholas Booth e
curato, per l'edizione italiana, da Walter Ferreri. Le sonde spaziali
nel trentennio 1960-90 hanno compiuto la straordinaria impresa di
trasformare le vaghe conoscenze dei pianeti e dei loro satelliti in
un capitolo della geografia: conosciamo ormai la superficie di Venere
e di Mercurio, le valli e i vulcani di Marte, i crateri dei satelliti
di Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno quasi con la stessa
precisione con cui gli atlanti delineano la superficie terrestre. E
questo libro e' il piu' aggiornato riassunto divulgativo delle nuove
conoscenze: non dovrebbe mancare nelle biblioteche, nelle scuole e
nella libreria di chiunque abbia curiosita' per il «villaggio
planetario» al quale la Terra appartiene.
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCOPERTO NUOVO NUMERO PRIMO
Piccoli computer battono il gigante
OAUTORE PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI matematica, informatica
ONOMI ARMENGAUD JOEL, WOLTMAN GEORGE, SLOWINSKI DAVID, CAGE PAUL
OORGANIZZAZIONI INTERNET
OLUOGHI ITALIA
ONOTE Progetto GIMPS Great Internet Mersenne Prime Search
OSUBJECTS mathematics, computer science
LA formica contro l'elefante: i personal computer da meno di mille
dollari contro il supercalcolatore Cray, da parecchi milioni di
dollari. E con l'aiuto di Internet, i piccoli computer, collegati fra
loro, hanno vinto. Pare incredibile, ma sono riusciti a battere il
supercalcolatore nella caccia al numero primo piu' grande. La notizia
e' stata data in questi giorni: un giovane programmatore parigino,
Joel Armengaud, di 29 anni, ha trovato un numero primo di 421.000
cifre, battendo cosi' il record precedente di David Slowinski e Paul
Cage, i due ricercatori che avevano trovato recentemente un numero
primo di 378.632 cifre (vedi «Tuttoscienze» del 20 novembre 1996) e
che dominavano da parecchi anni la gara, avendo a disposizione uno
dei calcolatori piu' potenti del mondo, il Cray T94. La maggior parte
dei numeri primi piu' grandi che sono stati scoperti in questi ultimi
anni, sono del tipo che viene chiamato «di Mersenne», cioe'
esprimibili (secondo la formula data dal celebre frate matematico nel
Seicento) come potenze del 2 meno un'unita' e aventi un numero primo
ad esponente. Non sempre pero' i numeri di Mersenne sono realmente
numeri primi, ed e' quindi necessario controllarli pazientemente ad
uno ad uno. Il piu' piccolo numero primo di Mersenne e' 3, cioe'
22-1, al quale segue 7, cioe' 23-1. Il piu' grande, quello trovato da
Armengaud, e' 21.398.269-1, dove 1.398.269 e' sempre un numero primo.
Per controllare che questo numero fosse primo, Armengaud ha impiegato
per 88 ore il suo computer, funzionante con un semplice
microprocessore Pentium 90. La sua scoperta non e' un fatto isolato o
casuale, ma ha alle spalle una vasta organizzazione di cacciatori di
numeri primi, piu' di mille persone, sparse in tutto il mondo e
collegate fra loro, tramite Internet, al grande progetto GIMPS, Great
Internet Mersenne Prime Search, che fa capo a George Woltman, un
programmatore di Orlando, in Florida. Woltman, che divide con
Armengaud la gloria del nuovo primato, ha lanciato all'inizio del '96
il suo progetto che prevede l'assegnazione, fra tutti i partecipanti
alla grande caccia, di un intervallo di numeri di Mersenne, da
controllare con un apposito programma distribuito gratuitamente.
«Siamo stati incredibilmente fortunati nell'arrivare cosi' presto a
questo numero primo - dice Woltman - se si tiene presente che
nell'intervallo dei numeri di Mersenne con esponente fra 1.000.000 e
2.000.000 soltanto tre probabilmente sono numeri primi. Due oggi sono
noti e si tratta ora di verificare se ne esista ancora uno. Il nostro
obiettivo e' di arrivare a controllare tutti i numeri di Mersenne con
esponente inferiore a 1.345.000 entro la fine del 1997 e quelli con
esponente inferiore a 2.655.000 entro la fine del secolo, anche se
questo richiedera' parecchi milioni di ore computer». Il valore di
questa ricerca va oltre il risultato raggiunto. Ha dimostrato infatti
come sia possibile affrontare problemi anche complessi senza l'uso
dei supercalcolatori, ma facendo affidamento su una rete di personal
computer collegati fra loro. «Molti altri importanti progetti di
ricerca possono essere avviati usando lo stesso sistema - fa
osservare Woltman - in particolare quando non e' possibile avere a
disposizione un supercalcolatore. «Una rete di piccoli calcolatori
infatti annulla i vantaggi del supercalcolatore e questi possono
essere usati, ad esempio, per indagini sul territorio, sulle
previsioni del tempo o per altre dimostrazioni ancora in sospeso nel
campo della teoria dei numeri. In questo modo, molte persone potranno
partecipare in futuro a importanti ricerche scientifiche». Chi fosse
interessato alla grande caccia puo' entrare nel gruppo del Gimps,
collegandosi su Internet al sito: http://www.mersenne.org/pri me.htm.
Gli verra' fornito l'intervallo di numeri da controllare e il
programma per effettuare questo controllo. Non e' necessario essere
grandi matematici o maghi del computer per svolgere questa ricerca:
«Non e' nemmeno necessario - dice Armengaud - conoscere il programma
che si sta usando. E' sufficiente impegnare il vostro computer nei
momenti in cui non lavora». Con un po' di fortuna si potrebbe cosi'
scoprire un nuovo numero primo da record e vedere il proprio nome
scritto accanto a quello dei grandi matematici, studiosi della teoria
dei numeri. Federico Peiretti
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
FISICA
L'elettrone, la particella che ci cambio' la vita
Un secolo dalla scoperta che segna l'inizio dell'esplorazione
subatomica
OAUTORE PREDAZZI ENRICO
OARGOMENTI fisica, storia della scienza
ONOMI J.J. THOMSON, WATSON WILLIAM, G.J. STONES, KAUFMANN WALTER
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics, history of science
SI celebra in questi giorni il primo secolo dalla nascita della
fisica delle particelle con la scoperta dell'elettrone, il granulo
fondamentale di carica elettrica (negativa) cui e' associata una
massa minuscola, circa un duemillesimo della massa dell'elemento piu'
leggero, l'idrogeno. La scoperta dell'elettrone e' per la scienza una
pietra miliare. Con esso per la prima volta si trovava una entita'
materiale piu' fondamentale degli elementi chimici cioe' degli atomi.
Cent'anni dopo, l'elettrone, oltre ad essere alla base di
innumerevoli tecnologie che hanno cambiato profondamente la nostra
vita quotidiana, rimane non solo una delle particelle piu'
fondamentali e piu' studiate ma, anche, allo stesso tempo, una delle
meglio conosciute e insieme delle piu' misteriose. Per esempio,
sappiamo molto bene come l'elettrone interagisce, e conosciamo molte
sue caratteristiche fisiche con grandissima precisione, per esempio
la massa o la carica elettrica. Ma non ne conosciamo le dimensioni o,
meglio, sappiamo che le sue dimensioni (in metri) sono inferiori ad
un'allucinante serie di almeno 17 zeri dopo la virgola. Questa e' la
dimensione piu' piccola esplorata fino ad oggi. In altre parole, oggi
per noi l'elettrone e' ancora puntiforme esattamente come era
risultato alle prime misure: un granulo di materia concentrato in un
punto cosi' piccolo che non riusciamo a stabilirne le dimensioni. Un
fatto sconcertante, che rende necessaria una revisione del concetto
di dimensione per una particella (cosa sulla quale non abbiamo,
ovviamente, modo di elaborare). Quindi, per riassumere una lunga e
complessa storia, se l'elettrone e' la prima delle particelle
elementari scoperte, oggi esso e' ancora una delle poche per le quali
si puo' a buon diritto usare il termine di elementare. Alla scoperta
dell'elettrone, e' tradizionalmente, saldamente legato il nome del
grande fisico inglese J. J. Thomson, Premio Nobel della Fisica nel
1906... «in riconoscimento dei grandi meriti dei suoi studi teorici e
sperimentali sulla conduzione dell'elettricita' nei gas» (che, fra le
altre cose, comprendono, appunto, la scoperta dell'elettrone nei
cosiddetti raggi catodici). Mentre questa e' una ulteriore occasione
di ricordare i grandi meriti di Thomson, puo', tuttavia, essere anche
un'occasione per rimettere alcune cose nella giusta prospettiva e,
fra l'altro, per ricordare anche gli altri ricercatori che, in
effetti leggermente prima di lui, hanno praticamente fatto la stessa
scoperta. In realta', questo e' possibile soltanto per i piu'
importanti fra questi ricercatori perche' i precursori a tale
scoperta sono un numero veramente molto grande (gia' nella meta' del
'700, un amico di Benjamin Franklin, un inglese dal nome di William
Watson, scriveva, parlando delle scariche elettriche in un gas, «era
uno spettacolo straordinario, quando la stanza era al buio, vedere
l'elettricita' al suo passaggio»). Cominciamo con il ricordare che
Thomson che effettuava i suoi esperimenti nel prestigioso Cavendish
Laboratory di Cambridge, ne rivelava per la prima volta i risultati
(cioe' la misura di e/m dove e e' la carica ed m la massa di quello
che per la prima volta nel 1891, e cioe' cinque anni prima della sua
scoperta, un fisico inglese, G. J. Stoney, aveva chiamato elet trone)
in una conferenza alla Royal Institution solo il 30 aprile 1897. In
realta', queste stesse ricerche erano state contemporaneamente
sviluppate in Germania a Konigsberg e a Berlino e, in effetti, il
primo a riportare la misura di e/m e' stato Emil Wiechert il 7
gennaio 1897 (data per la quale siamo un po' in ritardo) alla
Societa' di Fisica ed Economia di Koni gsberg e il secondo e' stato
Walter Kaufmann (di Berlino) con un lavoro pubblicato anche
nell'aprile 1897 (in effetti, gia' nel 1890 A. Schuster aveva tentato
di effettuare questa misura senza peraltro riuscire ad ottenere un
risultato pubblicabile). E' interessante chiedersi perche',
universalmente, la scoperta dell'elettrone sia attribuita a Thomson
se, seppure per pochissimo, lui non e' stato il primo in assoluto a
dare il valore fondamentale di e/m. In realta', vi sono,
probabilmente svariate ragioni. Intanto, la scuola tedesca, molto
piu' conservativa di quella inglese, era estremamente riluttante a
parlare di particelle e interpretava i fenomeni in studio (cioe' la
trasmissione dell'elettricita' nei gas) come un fenomeno di
trasmissione di raggi, (che, infatti, ancora oggi chiamiamo raggi
catodici) un po' come quelli luminosi. La ragione piu' importante,
tuttavia, e' che, dei tre, l'unico che avrebbe misurato
indipendentemente anche la carica, (separatamente, cioe' oltre alla
misura gia' ricordata del suo rapporto con la massa, il che, appunto,
fornisce sia la massa che la carica di questa nuova particella)
sarebbe stato proprio Thomson che avrebbe a questo scopo utilizzato
uno strumento appena inventato e che tuttora i fisici chiamano ca
mera di Wilson dal nome del fisico inglese C. T. R. Wilson (uno
studente, appunto, di Thomson). Questa misura giustifica la
correttezza della affermazione di Thomson secondo cui «... nei raggi
catodici abbiamo della materia in un nuovo stato, uno stato in cui la
suddivisione della materia e' spinta molto oltre quella di un usuale
gas: uno stato in cui tutta la materia... e' di uno stesso tipo;
questa materia essendo la sostanza che si ritrova in tutti gli
elementi chimici (oggi diremmo questa materia essendo una nuova
particella che chiamiamo elettrone)». E' una storia affascinante;
piu' affascinante ancora che, a distanza di un secolo, cosi' tante
cose aspettino chi le scopra facendo fare un ulteriore passo avanti
nella conoscenza dei segreti piu' reconditi della natura. Enrico
Predazzi Universita' di Torino
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PICCOLI LANCI
Razzo tricolore cercasi
OAUTORE G_R
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OORGANIZZAZIONI IRIDIUM, GLOBASTAR, ALENIA SPAZIO, TELEDESIC
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
LA vita di un satellite in orbita geostazionaria e' di circa 10 anni.
In orbita bassa, di 5. Occorre percio' sostituirli periodicamente.
Nel caso di Iridium e di Globalstar significa mettere in orbita 20
nuovi satelliti l'anno. Molti di piu' per una rete come Teledesic.
Nel realizzare le costellazioni, i piccoli satelliti verranno
lanciati a «grappoli», sfruttando cosi' la capacita' di carico dei
razzi disponibili, concepiti per scagliare grandi carichi in orbita
geostazionaria. Ma per rimpiazzarli si guarda con interesse ai nuovi
progetti di lanciatori leggeri, capaci di mandare nello spazio un
solo satellite per volta a costi contenuti. Il mercato per questi
piccoli vettori spaziali e' promettente. Oltre alle
telecomunicazioni, c'e' richiesta per la messa in orbita di
mini-satelliti scientifici per ricerche di fisica, biologia,
ambiente, microgravita'. Un bu siness che interessa un po' tutti,
dagli Usa a Paesi emergenti come India, Brasile, Israele. In questo
panorama c'e' una proposta italiana. Mettendo a frutto l'esperienza
maturata con il programma del razzo europeo «Ariane», la Bpd
(FiatAvio) ha ideato un vettore leggero a quattro stadi: il «Vega».
Il progetto, recepito nella delibera del Cipe che fissa i criteri per
il Piano Spaziale Nazionale, prevede due versioni, per carichi di 300
e di mille chili. La prima impiega il motore «Zefiro» a propellente
solido per il primo e il secondo stadio, mentre la configurazione
piu' potente avra' come primo stadio un motore derivato dai booster
di «Ariane 5». Il terzo stadio, a propellente liquido, sara'
sviluppato insieme all'ucraina Yuzhnoye, con la quale e' gia' stato
firmato un accordo di collaborazione. (g. r.)
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ANCHE PER L'ITALIA GRANDE BUSINESS
OGENERE box
OARGOMENTI comunicazioni, tecnologia
OORGANIZZAZIONI GLOBASTAR, IRIDIUM, STET, ALENIA SPAZIO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND boxed story
OSUBJECTS communication, technology
I telefonini satellitari sono anche un successo delle aziende
italiane. La Stet partecipa al programma «Iridium» con una quota del
cinque per cento. La Iridium Italia, nuova societa' del gruppo, ha la
responsabilita' della gestione del servizio in ben diciannove Paesi
(il «service provider» italiano sara' Tim), mentre il centro di
controllo europeo della rete e' affidato alla stazione della Nuova
Telespazio, nella piana del Fucino. Ancora un'azienda italiana
svolgera' un ruolo di primo piano nel programma di telefonia
cellulare planetaria «Globalstar». E' la Alenia Spazio, che, oltre a
essere tra i principali investitori, ha ricevuto un contratto per
l'integrazione dei primi 56 satelliti (otto sono di riserva). Per far
fronte alla commessa, Alenia Spazio ha realizzato una vera e propria
linea di produzione, organizzata con criteri industriali per
contenere i costi.
ODATA 22/01/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
AL VIA DECINE DI SATELLITI
La tua voce, dallo spazio
Nel 1998 il telefonino diventera' planetario
OAUTORE RIOLFO GIANCARLO
OARGOMENTI comunicazioni, tecnologia
ONOMI MCCAW CRAIG, GATES BILL
OORGANIZZAZIONI GLOBASTAR, IRIDIUM, ALENIA SPAZIO
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE C. La Rete «Globastar» e la Rete «Iridium»
OSUBJECTS communication, technology
L'ASPETTO e' quello di un normale telefonino cellulare, ma segna una
svolta nella storia delle telecomunicazioni. Collegandosi con una
costellazione di satelliti, funzionera' in qualsiasi parte del mondo,
anche dove non esistono reti cellulari: in mezzo al Sahara come nella
foresta amazzonica. L'era della telefonia mobile globale inizia in
questi giorni con la partenza dei primi tre satelliti del sistema
Iridium, ideato dall'americana Motorola. Ne seguiranno altri 63, per
completare una rete che avvolgera' la Terra. Ad agosto verranno anche
lanciati i primi satelliti Globalstar, un consorzio internazionale,
cui partecipa fra gli altri Alenia Spazio. Con un mercato potenziale
stimato in decine di milioni di utenti, Globalstar e Iridium non sono
soli nella corsa al telefonino satellitare, ma partono favoriti. Dei
sistemi concorrenti, la costellazione Ico non verra' messa in orbita
prima del 2001, mentre appare incerto l'avvenire di un quarto
progetto, Odissey, alle prese con difficolta' finanziarie. Questi
programmi gettano un sasso nello stagno delle telecomunicazioni via
satellite, che da trent'anni s'identificano con i sistemi
geostazionari. Un primato dovuto a una concezione semplice ed
efficace: un veicolo in orbita lungo l'Equatore a 36 mila chilometri
d'altezza gira attorno alla Terra in 24 ore, lo stesso tempo della
rotazione del pianeta, restando cosi' apparentemente immobile. Tre o
quattro satelliti bastano per garantire una copertura globale
(restano escluse solo le regioni prossime ai Poli), permettendo a
voci e immagini di attraversare continenti e oceani. Ideali per i
collegamenti tra le reti telefoniche e televisive, i satelliti
geostazionari sono inadatti alle comunicazioni mobili personali. Per
collegarsi, infatti, occorrono apparati ad alta potenza, costosi e
ingombranti: quelli portatili sono grandi come una valigia. Per poter
usare apparecchi molto piccoli, «palmari», bisogna ricorrere a
satelliti in orbita bassa, cioe' a qualche centinaio di chilometri
d'altezza. Data la vicinanza alla Terra, l'area servita da ciascun
veicolo spaziale risulta molto piu' piccola e quindi, per coprire
tutto il pianeta, occorrono tanti piu' satelliti quanto minore e' la
loro altezza. Il sistema Iridium ne prevede 66, piu' altri sei di
riserva, collocati lungo sei orbite polari a 780 chilometri da terra;
Globalstar 40 operativi e 8 di scorta in orbita a 1400 chilometri
d'altezza. In compenso, non avendo bisogno di potenti apparati di
trasmissione, i satelliti possono avere dimensioni e massa contenute:
700 chili per Iridium, 450 per Globalstar. Mentre i satelliti
geostazionari restano immobili rispetto a un dato punto sulla
superficie terrestre, quelli in orbita bassa attraversano la volta
celeste in pochi minuti (il periodo orbitale e' di un'ora e 40 minuti
per Iridium e di 2 ore per Globalstar). Con essi si sposta anche
l'area di copertura, che ha un diametro di circa 5000 chilometri.
Percio' le conversazioni verranno trasferite automaticamente da un
satellite all'altro. Il procedimento e' analogo a quello che,
attraverso le «celle» di un sistema terrestre, ci permette di
telefonare da un mezzo in movimento. Lanciando i satelliti a
grappoli, al ritmo di una partenza ogni 45-60 giorni, la
costellazione Iridium verra' ultimata verso la meta' del prossimo
anno, con un costo complessivo di quattro miliardi di dollari. La
data prevista per l'inizio del servizio commerciale e' il 24
settembre 1998. Globalstar seguira' il 1o gennaio 1999. I nuovi
sistemi satellitari non si pongono in competizione con quelli
cellulari, rispetto ai quali, anzi, svolgeranno un ruolo
complementare. Sia Iridium sia Globalstar impiegheranno telefonini
compatibili con la rete internazionale Gsm: le chiamate verranno
inoltrate attraverso il sistema terrestre quando sara' possibile,
altrimenti in collegamento con i satelliti. Questi ultimi hanno il
vantaggio di poter estendere a costi ragionevoli il servizio di
telefonia mobile a regioni scarsamente popolate come il Mid West
degli Stati Uniti, il Canada e l'Australia. Inoltre, garantiranno i
collegamenti in aree dove il telefono e' ancora sconosciuto. In
Africa i villaggi isolati sono 121 mila, oltre mezzo milione in
India. Pur essendo simili concettualmente, i due sistemi presentano
alcune differenze. Globalstar, piu' semplice ed economico, e'
concepito soprattutto come completamento delle reti telefoniche
terrestri. Iridium punta alla copertura completa del pianeta e si
presta per le sue caratteristiche anche alle comunicazioni con gli
aerei in volo. L'interesse per i sistemi di satelliti in orbita bassa
non e' legato soltanto alla telefonia mobile. Nell'epoca della
multimedialita', il futuro e' delle «autostrade informatiche»: reti
di satelliti capaci di trasmettere dati ad alta velocita' impiegando
frequenze molto piu' elevate delle attuali (20-30 GHz anziche' 12-14
GHz). Esistono diversi progetti. Il piu' ardito e' Teledesic: una
costellazione di 840 satelliti in orbita a 700 chilometri d'altezza.
Con un costo previsto di nove miliardi di dollari - stima che
qualcuno considera un po' ottimistica - Teledesic offrira' a tutto il
mondo i vantaggi della comunicazione multimediale. L'orbita bassa
permette il collegamento diretto con i satelliti, anche con terminali
portatili, e migliora la qualita' della trasmissione, eliminando il
ritardo dei segnali. Rimane la difficolta' di portare nello spazio un
numero cosi' elevato di satelliti, ma gli ideatori del progetto sono
Craig McCaw, padre della telefonia cellulare, e Bill Gates, fondatore
del colosso Microsoft. Nomi ai quali sembra imprudente accostare la
parola «impossibile». Giancarlo Riolfo
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
VOLANDO NEL VENTO
Parapendio: questi sono i giorni dei record al Tropico del Capricorno
OGENERE copertina
OAUTORE BELLONI MASSIMO
OARGOMENTI sport, tecnologia
OORGANIZZAZIONI FAI FEDERAZIONE AERONAUTICA INTERNAZIONALE
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE T. TAB. TUTTI I PRIMATI DELL'ALA GONFIABILE
============================================
Bojan Marcic 337 km distanza linea retta (mas)
Louw Alex 283,9 km '' '' '' ''
Thurston Kat 285 km '' '' '' (fem)
Slana Domen 280 km con meta dichiarata
Kralj Nal 280 km '' (mas)
Louw Alex 250,2 km ''
Thurston Kat 166 km '' (fem)
Westgate Richard e Guy 200 km distanza biposto
----
Guadagno di quota Robbie Wittal 4526 m
Guadagno di quota (fem) 4325 m
Guadagno di quota biposto Richard e Guy Westgate 4380 km
OKIND features
OSUBJECTS sport, technology
IL mondo del volo in parapendio vive durante la stagione invernale un
momento di particolare frenesia: nel periodo intorno all'inizio
dell'anno sugli altipiani dell'Africa del Sud si verificano infatti
particolari condizioni meteorologiche che permettono voli
eccezionali, con record di distanza e di quota che, tenendo conto
della semplicita' del mezzo impiegato, lasciano davvero stupefatti.
Questi primati dimostrano anche il grande progresso tecnico raggiunto
dal velivolo meno costoso e (apparentemente) piu' semplice che
esista, il cui sviluppo e' basato su raffinatissime ricerche
tecnologiche ed e' totalmente separato da quello del paracadute ad
ala, poiche' questi due attrezzi, pur provenendo da radici comuni,
hanno impieghi molto differenti: mentre il paracadute permette di
posarsi a terra incolumi dopo la caduta libera, il parapendio e' un
aliante flessibile, con il quale e' oggi possibile volare per ore,
percorrendo centinaia di chilometri senza scalo e guadagnando
migliaia di metri di quota rispetto al punto di decollo.
Nell'altopiano a Nord di Johannesburg e nel deserto della Namibia, a
poca distanza dal Tropico del Capricorno, nel periodo del solstizio
d'inverno (21 dicembre) il grande calore sviluppato
dall'irraggiamento solare scalda enormi masse d'aria, le «termiche»,
che salgono condensandosi in nubi cumuliformi, spesso disposte in
lunghe file approssimativamente rettilinee, note con il nome di
«strade di cumuli». E' grazie a questa particolari condizioni, quasi
impossibili altrove, che si possono realizzare questi fantastici
voli. I piloti decollano generalmente al traino di veicoli poiche'
l'altopiano (1200/1300 metri sul livello del mare) e' poco dotato di
rilievi adatti all'involo, e vengono sganciati a circa 300 metri di
quota, per poi iniziare a salire sfruttando le termiche. La salita
non supera la base dei cumuli, che in quel territorio spesso arriva a
6000 metri. A quel punto il pilota inizia a seguire le «strade»
tracciate dalle nubi effettuando una serie di planate con il vento in
coda, intervallate dallo sfruttamento di altre zone ascendenti che
gli consentono di riguadagnare la quota perduta, finche' le
condizioni lo permettono. L'attrezzatura usata per questi voli e'
avanzatissima e complessa: parapendio di grandi prestazioni,
paracadute d'emergenza, imbrago con protezione dorsale, tuta termica
(il decollo avviene sovente a temperature superiori ai 50 Co, mentre
in quota si scende parecchio sotto lo zero). Viene poi la
strumentazione, che comprende variometro (indica la velocita' di
salita o discesa), altimetro, barografo (che traccia un grafico
elettronico delle quote raggiunte), sistemi di navigazione
satellitare Gps, cartina, bussola, bombola di ossigeno per respirare
in quota, acqua per evitare la disidratazione e ricetrasmettitore per
comunicare con l'equipaggio di terra addetto al recupero. Le termiche
arrivano fino a velocita' di 15 metri al secondo, e la conseguente
turbolenza e i forti scossoni rendono il pilotaggio molto
impegnativo. Lo sviluppo dei cumuli (massimo nelle ore centrali)
sovente degenera, tentando di risucchiare il pilota all'interno della
nube, dove si trovano condizioni insidiosissime da evitare
assolutamente: i cumulonembi sono pericolosi anche per i velivoli di
linea. Le difficolta' del volo non finiscono qui: durante la
navigazione bisogna evitare di invadere le aerovie e le zone vicine
agli aeroporti per ragioni di sicurezza, ed e' opportuno tentare di
seguire una rotta che mantenga il pilota in prossimita' di zone
abitate, per evitare di perdersi nel deserto e attendere magari fino
al giorno dopo l'arrivo dell'equipaggio impegnato nel recupero. Di
fondamentale importanza e' il sistema di localizzazione tramite i
satelliti Gps, che permette una navigazione accurata anche in assenza
di punti di riferimento chiaramente visibili. Il raggiungimento di
grandi distanze e' vincolato ad alcuni fattori: la velocita' del
mezzo, che raramente supera i 45 km/h (sfruttando a favore i venti ad
alta quota si raggiungono talvolta picchi prossimi ai 100 Km/h
rispetto al terreno), e la durata della giornata: poiche' l'attivita'
termica dipende dall'irraggiamento solare, le ore migliori per volare
vanno dalle 11 alle 17, e molto tempo viene speso per salire in
termica effettuando dei cerchi di 360o senza avanzare. L'omologazione
dei record e' regolata dalla Fai (Federazione Aeronautica
Internazionale), che richiede una documentazione fotografica,
testimonianze ufficiali e la traccia del barografo (per confermare
che il pilota non abbia effettuato tappe intermedie). I record sono
suddivisi in oltre 40 classi, ma in queste occasioni si realizzano
generalmente quelli di distanza libera (quello attuale e' di 337 km,
piu' della distanza da Torino a Firenze), distanza con meta
dichiarata e guadagno di quota, suddivisi in maschili, femminili (il
parapendio e' uno sport particolarmente adatto per le donne poiche'
non richiede particolari sforzi fisici) e biposto. La corsa e'
aperta, e tra poco sapremo se nuovi voli d'eccezione hanno
ulteriormente ampliato l'orizzonte di questo sport che nella pratica
normale permette a chiunque di realizzare il sogno di tutti: volare
in liberta'. Massimo Belloni
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
DIDIMO
Il pioniere della scienza nei giornali
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI didattica, storia della scienza
ONOMI DIDIMO (DE BENEDETTI RINALDO)
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS didactics, history of science
E' passato un anno dalla scomparsa di Didimo, all'anagrafe Rinaldo De
Benedetti, pioniere del giornalismo scientifico nel nostro Paese. A
ricordarcelo e' un libro intitolato «Che cos'e': le parole della
scienza», edito dalla Cuen di Napoli e promosso dall'Ugis,
l'associazione che riunisce i giornalisti scientifici italiani. Per i
lettori di «Tuttoscienze» queste pagine avranno qualcosa di
familiare. Sono infatti una scelta delle schede didattiche che
Didimo, con grande rigore e capacita' di sintesi, scrisse per questo
supplemento negli Anni 90: si va da inerzia a Big Bang, da neutrone
a radar, da laser a plasma... Paola De Paoli, presidente in carica
dell'Ugis, e Giancarlo Masini, presidente onorario, nel trentesimo
anno di questa associazione, giustamente hanno pensato che questo
libro fosse il modo migliore per rendere omaggio a Didimo e, insieme,
a un genere giornalistico che gli deve molto. Scomparso a 92 anni nei
primi giorni del 1996, originario di Cuneo, modesto fino alla
ritrosia, Didimo si era laureato ingegnere: esordi' progettando
macchine elettriche in una azienda di Milano. Ma in quegli anni il
regime fascista andava imponendo a tutti almeno una tessera.
L'ingegner De Benedetti rifiuto', e cosi' rimase senza lavoro. O
meglio, senza «quel» lavoro, perche' seppe subito inventarsene un
altro, che si sarebbe poi evoluto nel mestiere del giornalista
scientifico: divenne redattore dell'Enciclopedia Treccani, strana
isola culturale dove, pur all'ombra del regime, rimanevano margini
per le persone di qualita'. Li' Rinaldo De Benedetti, redigendo voci
scientifiche e tecniche con la chiara eleganza dell'umanista, ebbe
rifugio fino al 1938, quando il giro di vite delle leggi razziali lo
mise un'altra volta alla porta. L'accolse allora un editore milanese,
Aldo Garzanti, e lo tenne con se' come clandestino per sette anni.
Fondatore e direttore della rivista «L'Illustrazione scientifica»,
Rinaldo De Benedetti fu poi chiamato a collaborare al «Corriere della
Sera». Cosi', nell'estate 1945, per primo in Italia diede notizia
della bomba atomica lanciata su Hiroshima e ne spiego', per quel che
allora si poteva sapere, il meccanismo di funzionamento. L'articolo
comparve in prima pagina ma senza firma. Nel 1947 il «Corriere»
formalizzo' il rapporto di collaborazione invitandolo a scrivere
sotto pseudonimo. De Benedetti scelse quel Didimo che non avrebbe mai
piu' abbandonato, ispirandosi a un'opera del Foscolo, «Notizia
intorno a Didimo Chierico». Duro' poco. Fattosi divulgatore dei
problemi demografici, Didimo si batte' per l'abolizione dell'articolo
553 del Codice Penale che vietava la diffusione di informazioni sui
sistemi anticoncezionali: e la collaborazione al «Corriere» venne
bruscamente interrotta. Su invito di Giulio De Benedetti, Didimo
passo' allora a «La Stampa», dove sarebbe rimasto fino ai suoi ultimi
giorni. Il primo articolo porta la data del 2 novembre 1953, l'ultimo
comparira' 42 anni dopo, il 15 novembre 1995, sul supplemento
«Tuttoscienze»: emblematicamente, come in un cerchio che si chiude,
riguardava ancora la questione demografica. In mezzo, circa 1300
articoli sugli aspetti piu' vari della scienza e della tecnologia, ma
anche opinioni di «Terza Pagina» su temi etici e sociali, e persino
recensioni letterarie: e' memorabile quella dedicata alle «Storie
Naturali» che Primo Levi aveva pubblicato nascondendosi sotto il
falso nome di Damiano Malabaila. Si incontravano cosi' non soltanto
due pseudonimi ma anche due culture affini: entrambi erano di
formazione scientifica, entrambi con il gusto della buona
letteratura, entrambi spinti allo scrivere da una motivazione civile
e morale prima ancora che estetica. I libri di Didimo sono tanti: tra
gli altri, «Il problema della popolazione in Italia», «L'aneddotica
delle scienze», «Siamo troppi in questo mondo inquinato»,
«L'inquinamento da radiazioni»... Ma una citazione a se' merita
quello a cui Didimo fu piu' affezionato, la raccolta di poesie «Modi
antichi», pubblicata da Guanda nel '64 sotto il nome di Sagredo,
personaggio del «Dialogo dei massimi sistemi» di Galileo. Per
l'incursione nella poesia l'ingegnere aveva voluto uno pseudonimo al
quadrato. Piero Bianucci
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN EUROPA
Sospesi sulle Alpi per 200 km
OAUTORE M_B
OARGOMENTI sport, tecnologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
ONOTE Parapendio
OSUBJECTS sport, technology
L'AFRICA del Sud gode di condizioni meteorologiche uniche: ma che
cosa succede nelle altre parti del mondo? Ci sono alcune regioni dove
si possono realizzare ottime prestazioni; alcune di esse sono pero'
piu' adatte al deltaplano. In Europa le pianure non si prestano ai
grandi voli, mentre le Alpi sono molto piu' idonee a imprese
notevoli. La tecnica e la strategia del volo in montagna, pero',
differiscono notevolmente da quelle degli altopiani. In montagna si
ha meno liberta' nella scelta del percorso, e si e' costretti a
seguire principalmente lo sviluppo delle valli, anche perche' le
termiche ascensionali si sviluppano soprattutto sui fianchi montani
esposti al sole. E' quindi necessaria un'accurata pianificazione
dell'itinerario, prevedendo diverse possibili rotte in funzione
dell'evolversi della giornata. Sono consigliabili un decollo in tarda
mattinata da una zona esposta a Sud/Sud-Est, la parte centrale della
giornata lungo versanti Sud e quella finale sui fianchi Sud-Ovest, in
modo che il volo si svolga sempre nelle zone piu' esposte
all'irraggiamento solare e quindi piu' generose di termiche. Il tutto
non si svolge in una singola valle (non ne esistono di abbastanza
lunghe e adatte), e l'attraversamento delle creste e' uno dei momenti
piu' delicati del volo: una corretta strategia condurra' il pilota in
una valle dove proseguire con profitto, mentre una scelta errata
potra' portarlo in zone aerologicamente pericolose. I voli migliori
possono superare abbondantemente i 200 chilometri. Ad esempio il
francese Thomas Puthod ha superato i 225 chilometri nella zona
Rhone-Alpes. E in Italia? Citando solo alcune delle prestazioni del
1996 vediamo che Mauro Maggiolo e Christian Biasi hanno volato per
175 chilometri, Eduard Taschler per 150. Il periodo migliore per
questi voli, poiche' ci troviamo nell'emisfero boreale, e' la
primavera-estate. Anche se queste prestazioni sono numericamente
inferiori ai record assoluti, il loro valore reale non e' da meno,
poiche' le difficolta' sono estremamente impegnative, seppur molto
diverse da quelle africane. In ogni caso, pur non realizzando alcun
record, anche il semplice veleggiare sulle Alpi offre sempre uno
spettacolo di impareggiabile bellezza. Per saperne di piu': vi
suggeriamo di consultare una bibliografia su Internet:
http://lappc-th4.in2p3.fr/fliss
http://cougar.stanford.edu:7878/HGMPSHomePage.html
http://www.web-search.com/hang.html (m. b.)
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PREVISIONI DEL TEMPO
Nuovi computer per i meteorologi
Non sbaglieranno piu'?
OAUTORE SCAPOLLA TERENZIO
OARGOMENTI meteorologia, elettronica
OORGANIZZAZIONI OKLAHOMA UNIVERSITY, CENTER FOR ANALYSIS AND PREDICTION
OF STORMS
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
ONOTE Calcolatore Cray T3E
OSUBJECTS meteorology, electronics
I fenomeni meteorologici che hanno caratterizzato l'inizio del '97
hanno mostrato ancora una volta quanto sia difficile fornire
previsioni accurate. Il controllo dell'evoluzione del tempo e la
possibilita' di una sua previsione rimangono tra gli obiettivi piu'
ambiziosi della comunita' scientifica. Ma i grandi progressi nel
calcolo automatico stanno fornendo un contributo sostanziale in
questa direzione. La corsa verso computer sempre piu' potenti ha
segnato da poco una tappa importante con la produzione del Cray T3E,
una macchina con 512 processori in parallelo capace di 300 miliardi
di operazioni al secondo. Il numero di processori rende la macchina
idonea alla risoluzione di problemi non affrontabili con un
elaboratore, sia pure potente, di tipo sequenziale. Proprio per
questa ragione il calcolo parallelo ha assunto negli ultimi anni
un'importanza strategica per il calcolo scientifico. Le previsioni
meteorologiche sono uno tra i settori che piu' hanno tratto beneficio
da nuove tecnologie e potenze di calcolo. In meteorologia e'
essenziale ottenere risultati in tempi molto stretti. La previsione
non ha alcun valore se non e' possibile prevedere il tempo in modo
sensibilmente piu' veloce della sua evoluzione. Ad esempio, una
previsione a quattro-sei ore va elaborata in meno di mezz'ora. Per
fare questo, calcolo parallelo e ad alta prestazione sono elementi
cruciali. Come spesso accade, i problemi reali sono in grado di
stimolare le migliori soluzioni. Nel mese di aprile del 1995 un
temporale improvviso colpisce l'aeroporto di Dallas. Blocchi di
grandine si abbattono sugli aeroplani danneggiandone oltre sessanta,
con un danno diretto di trenta miliardi e un danno indotto di oltre
400. Se fosse stato disponibile un preavviso di almeno quattro ore si
sarebbero potuti spostare gli aeroplani, limitando al minimo i danni.
Alcuni studi effettuati da compagnie di assicurazione indicano che
previsioni meteo migliori potrebbero far risparmiare, nei soli Stati
Uniti, oltre trentamila miliardi di risarcimenti. Le previsioni
fornite dal National Weather Service segnalano i temporali con trenta
minuti di preavviso, ma le informazioni relative all'estensione e
all'intensita' sono ancora imprecise. Il direttore del Center for
Analysis and Prediction of Storms della Oklahoma University era
convinto si potesse fare meglio. Chi ha soggiornato negli Stati Uniti
sa che sono disponibili previsioni locali molto accurate e si e' in
grado di sapere, quasi con certezza, se il giorno dopo sara'
accompagnato dal sole, dalla pioggia o dalle nuvole. Si tratta di
previsioni estratte su scala regionale da modelli piu' grandi. Ma i
temporali improvvisi, proprio per la loro natura quasi imprevedibile,
non possono essere segnalati con cura. Utilizzando i nuovi sistemi di
calcolo i ricercatori del centro hanno sviluppato un sistema di
previsioni che elabora i dati su una scala a misura di temporale,
pochi chilometri quadrati di estensione e circa quindici minuti di
tempo, spazio e tempo che corrispondono alla scala nella quale si
evolve un singolo temporale. L'obiettivo e' quello di poter dire, con
almeno sei ore di anticipo, che, ad esempio, oggi pomeriggio a Dallas
dalle 15,20 alle 15,40 ci sara' una tempesta con vento a 60 km/h, 5
centimetri di pioggia e grandine. Cio' e' reso possibile da piu'
fattori: disponibilita' di dati iniziali, modelli matematici per la
simulazione dell'evoluzione del tempo, tecniche numeriche adeguate
per la soluzione discreta del modello e nuovi mezzi di calcolo. Sono
decine i ricercatori coinvolti nel progetto. Tutti i dati iniziali,
pressione, temperatura, velocita' del vento, sono dedotti da radar
Doppler e introdotti in un supercalcolatore. Il modello matematico,
costituito da un sistema di equazioni alle derivate parziali,
fornisce la rappresentazione piu' adeguata del fenomeno atmosferico.
Le tecniche di approssimazione numerica consentono di risolvere il
modello con frazioni di tempo molto piccole, mantenendo sotto
controllo la propagazione degli errori commessi. Si tratta di un
passaggio cruciale: proprio l'instabilita' della soluzione numerica
di modelli di previsione meteorologica ha dato avvio con la celebre
esperienza di Edward Lorenz allo studio della dinamica dei sistemi
caotici. La potenza di calcolo e la possibilita' di calcolo parallelo
rendono poi possibile l'elaborazione in tempi limitati. La prova che
il modello funziona bene e' data dal fatto che la compagnia aerea
American Airlines partecipa al suo perfezionamento proprio in vista
di un impiego come «allarme» per evitare danni agli aerei della sua
flotta. La compagnia mantiene a Dallas uno dei suoi centri
aeroportuali piu' importanti. Il supercalcolatore Cray T3E, insieme
alle nuove tecniche numeriche sviluppate, non potra' che contribuire
al miglioramento delle prestazioni di questo modello e di tanti altri
sempre piu' spesso impiegati in molti settori per la simulazione di
fenomeni e processi. Terenzio Scapolla Universita' di Pavia
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
RICERCA
Per il cervello avremo pezzi di ricambio
OAUTORE BASSI PIA
OARGOMENTI ricerca scientifica, biologia
ONOMI VESCONI ANGELO, PARATI EUGENIO
OORGANIZZAZIONI ISTITUTO NAZIONALE NEUROLOGICO BESTA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)
OSUBJECTS research, biology
LA storia incomincia cinque anni fa, tra le Montagne Rocciose, nelle
fredde lande canadesi della provincia di Alberta. Grazie a una
collaborazione tra un gruppo di ricerca canadese e due scienziati
italiani, Angelo Vesconi e Eugenio Parati dell'Istituto Nazionale
Neurologico «Besta» di Milano, venivano coltivate per la prima volta,
su esemplari di topo, le cellule staminali del cervello, e cioe'
quelle cellule che danno origine al tessuto nervoso nella sua forma
matura. Da allora gli sforzi si sono concentrati nel tentare la
stessa impresa su tessuto cerebrale umano. Per tre anni Vescovi e
Parati si sono impegnati nello sviluppo di una tecnica di crescita,
ora finalmente messa a punto, che permette di coltivare le cellule
staminali del cervello dell'uomo. Grazie a questa tecnica diventa
possibile moltiplicare le cellule cerebrali in uno stato
indifferenziato. I risultati sono tali che, partendo da un
microscopico frammento di tessuto composto da non piu' di
cinquantamila cellule, i due ricercatori sono riusciti a ottenerne un
numero molto grande (piu' di quattro miliardi), dando cosi' il via
alla costituzione della prima banca di cellule staminali cerebrali
umane, unica nel mondo. Il valore di queste cellule sta nella loro
peculiare capacita' di poter essere differenziate a piacere nei tre
tipi cellulari che costituiscono il cervello: neuroni (le cellule
pensanti), e astrociti e oligodendrociti (le cellule che nutrono i
neuroni e aiutano la trasmissione degli impulsi nervosi). Ben presto
i due ricercatori milanesi si sono accorti di avere a disposizione un
patrimonio di cellule da trapiantare in pazienti colpiti da alcune
malattie neurologiche in cui specifiche cellule cerebrali vengono
distrutte. Le cellule staminali possono venire differenziate in
cellule specifiche che contengono le sostanze neurochimiche che vanno
perdute in queste malattie, come la dopamina nel morbo di Parkinson,
il Gaba nella corea di Huntington o l'acetilcolina nella malattia di
Alzheimer. In questo modo le cellule staminali permettono di
preparare specifici «pezzi di ricambio cerebrali» utilizzabili per la
sostituzione di parti del cervello che, per svariati motivi, siano
andate distrutte. Si spera di poter passare a una prima
sperimentazione pre-clinica su pazienti parkinsoniani entro i
prossimi 2-3 anni. In questi pazienti circa l'80 per cento delle
cellule dopaminergiche vengono distrutte dalla malattia. L'idea e' di
rimpiazzarle sostituendole con cellule staminali programmate a
produrre la dopamina mancante. Ma come avviene questa programmazione?
Le cellule staminali vengono esposte a proteine note come «fattori di
crescita» come il Nerve Growth Factor (il famoso Ngf scoperto da Rita
Levi Montalcini) l'Egf, il bFgf, il Cntf ed altri ancora. Sebbene
grazie a questa manipolazione solo il 7 per cento delle cellule si
trasformi in neuroni dopaminergici, grazie alla incredibile capacita'
di moltiplicazione delle cellule staminali, sono oggi disponibili,
presso la banca di cellule staminali dell'Istituto Nazionale
Neurologico Besta, cellule sufficienti a trapiantare almeno 200
malati. Le speranze non si fermano qui, spiegano Vesconi e Parati. E'
in corso un progetto di ricerca che valuta la possibilita' di
estrarre le cellule staminali dai pazienti stessi (tali cellule si
trovano distribuite attorno alle cavita' cerebrali note come
ventricoli), di moltiplicarle, di differenziarle in cellule
dopaminergiche e reimpiantarle nel paziente medesimo, realizzando
cosi' il cosiddetto trapianto cerebrale autologo. Questo modo di
affrontare la questione dovrebbe risolvere le difficolta' legate al
rigetto (dato che il paziente riceve il trapianto delle proprie
cellule) e ai problemi etici sollevati all'uso di tessuto embrionale
umano, che altri istituti nel mondo utilizzano nei tentativi di
terapia del morbo di Parkinson tramite trapianti di cellule. Pia
Bassi
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN ITALIA PROCEDE IL CABLAGGIO
Il futuro e' su fibre ottiche
Ci porteranno il mondo in casa
OAUTORE SARACCO ROBERTO
OARGOMENTI ottica e fotografia, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Fibre ottiche attuali e quelle sperimentate in laboratorio
OSUBJECTS optics and photography, technology
TELEVISORE, telefono e computer diventeranno un unico
elettrodomestico multimediale. Con esso potremo, restando a casa,
lavorare, divertirci, fare un certificato all'anagrafe, frequentare
un corso alla Sorbona o acquistare prodotti in Giappone. E' un futuro
che a Torino (e in altre citta' italiane) e' reso piu' vicino dal
cablaggio del territorio urbano. Un anno e mezzo fa la Stet
annunciava un vasto piano di cablaggio per coprire gran parte
dell'utenza residenziale in Italia. Ora questa infrastruttura
comincia ad essere una realta' e arrivano i primi servizi. In Italia
e' gia' operativa la trasmissione via cavo della tv digitale gestita
dalla Stream. Questo sistema consente di scegliere tra una
molteplicita' di programmi provenienti da tutto il mondo e di pagare
solo quelli che si vuol vedere (pay per view). Niente parabole sui
tetti e decodificatori. Un solo apparecchio, collegato alla nuova
rete, permette di accedere a tutti i programmi. Alcuni nuovi servizi
possono essere forniti anche utilizzando il filo di rame del
telefono. Possiamo mandare un messaggio dal computer di casa sul
normale doppino di rame o via telefonino; se volessimo pero', come e'
possibile fare, associare al messaggio un videoclip e un commento
vocale scopriremmo che la velocita' di questi tipi di collegamento
non e' adeguata. La tecnologia che per capacita' e interattivita' e'
al cuore della citta' cablata e' quella delle fibre ottiche e
dell'optoelettronica. Le fibre ottiche, nate a meta' degli Anni 60 ma
da poco diventate economicamente interessanti per un uso nella parte
terminale della rete, consentono di trasmettere enormi quantita' di
informazioni: se prendiamo a campione il normale filo del telefono e
lo paragoniamo a un viottolo di ingresso in casa di 50 centimetri,
una fibra ottica che viene oggi sperimentata in laboratorio ci
fornisce una strada larga 1000 chilometri; una fibra «normale» che
vediamo in posa nelle nostre citta' da' un accesso largo «solo» da 1
a 6 chilometri (non per la fibra in se' ma per l'elettronica che
viene associata). Ma quanto deve essere «larga» l'autostrada per
fornire la molteplicita' di servizi che oggi iniziamo a intravedere?
Per la voce, o per un normale accesso a Internet, i 50 centimetri di
cui disponiamo sono sufficienti (anche se per ascoltare musica o
vedere immagini/filmati su Internet ci farebbe comodo avere una
decina di metri), una trasmissione televisiva con qualita' Vhs (del
videoregistratore di casa, per intenderci) richiede una strada larga
15 metri; per una migliore qualita' dobbiamo arrivare sui 50-60 metri
(in questi esempi 1 centimetro corrisponde a una velocita' di 1000
bit al secondo). La fibra offre una capacita' estremamente elevata ma
i costi dell'elettronica (quella che serve per convertire un segnale
da elettrico a luminoso - il laser - e da luminoso in elettrico - il
fotorivelatore) suggeriscono di ripartire tale capacita' su piu'
utilizzatori. Cio' si fa concentrando l'elettronica in un punto da
cui si fanno partire dei cavi coassiali fino alla nostra abitazione.
Questi, su distanze brevi, sono in grado di offrirci autostrade
larghe una decina di chilometri. Per il singolo utilizzatore
autostrade di questa ampiezza sono piu' che sufficienti ma se
moltiplichiamo le esigenze del singolo per i milioni di utenti che in
contemporanea richiedono i servizi scopriamo che le capacita' della
rete di oggi potrebbero ben presto risultare insufficienti. Il collo
di bottiglia non e' la fibra ma di nuovo l'elettronica che oggi deve
essere utilizzata per instradare il singolo messaggio sulle diverse
tratte ottiche. La ricerca lavora da un lato cercando soluzioni di
basso costo per i convertitori, dall'altro studiando commutatori
completamente ottici. I servizi che iniziamo a utilizzare cambiano il
nostro modo di vivere e con questo anche il modo con cui utilizziamo
la rete. Paragonando i nuovi servizi con quelli su cui sono state
progettate in tutti questi anni le reti telefoniche (conversazioni di
3 minuti, 10 chiamate al giorno) ci si rende conto di come l'intera
struttura delle reti di comunicazione debba essere rivista. Le citta'
cablate che stanno nascendo in Italia sono i primi nuclei della nuova
infrastruttura. Roberto Saracco Cselt, Torino
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IRLANDA: IL TUMULO DI NEWGRANGE
Monumento all'inverno
Un calendario dell'eta' della pietra
OAUTORE COSSARD GUIDO
OARGOMENTI astronomia, antropologia e etnologia
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, IRLANDA, NEWGRANGE
OSUBJECTS astronomy, anthropology and ethnology
PER noi il solstizio d'inverno e' una semplice data del calendario:
significativa perche' annuncia le festivita' piu' solenni, ma nulla
di piu'. Nell'antichita', invece, il solstizio era importantissimo
perche' in quel giorno il Sole descrive nel cielo l'arco piu' basso
di tutto l'anno. Dal giorno successivo l'arco descritto dal Sole
riprende ad alzarsi; quindi, le giornate tornano ad allungarsi e il
punto di levata del Sole riprende a spostarsi verso l'Est, dove
giunge nel giorno dell'equinozio di primavera. Ma nell'antichita' le
conoscenze astronomiche non erano sufficienti a garantire che, ogni
anno, il Sole avrebbe ripreso il suo ciclo. Dunque era fondamentale
determinare con buona precisione il punto dell'orizzonte nel quale
era sorto il Sole nel giorno d'inverno, per confrontarlo con quello
dei giorni successivi e avere la certezza che sarebbe tornata la
stagione calda. Cosi', sono molto numerose le strutture in pietra
della preistoria europea dirette sul punto di levata del Sole nel
giorno del solstizio d'inverno. Il piu' accurato e spettacolare
monumento preistorico di questo tipo e' il tumulo irlandese di
Newgrange, che si erge nei pressi di Droghedda. Di forma vagamente
tronco-conica, ha un diametro di oltre 80 metri, per un'altezza di 30
nella parte centrale. Tra le pareti bianche di quarzo, restaurate
recentemente in modo fin troppo regolare, spicca un'apertura che
porta ad un grande dolmen, caratterizzato da un recesso di fondo e da
due camere laterali. Il dolmen e' preceduto da un corridoio
d'ingresso; camera e corridoio raggiungono complessivamente i 25
metri di lunghezza. Nel giorno del solstizio d'inverno, il primo
raggio del Sole nascente filtrava, attraverso un'apertura realizzata
sopra l'entrata, nello stretto passaggio, lo percorreva rapidamente,
ed andava ad illuminare di colpo la camera di fondo. La stessa
entrata produceva un secondo fascio di luce che andava a illuminare
splendide decorazioni, incise su un pilastro del corridoio, sporgente
piu' degli altri proprio al fine di ottenere una ottimale luce
radente. Il perimetro del tumulo di Newgrange e' delimitato, alla
base, da pietre piatte molto regolari, chiamate kerbstones, a loro
volta circondate da un cerchio di pietre erette. La kerb stone di
ingresso, attentamente decorata, e' caratterizzata da una scanalatura
verticale e da numerose spirali incise. Anche la kerbstone
diametralmente opposta ha una scanalatura verticale e presenta
incisioni analoghe. Cosi' questo grandioso tumulo presenta tutto
l'asse diretto sul punto di levata del Sole nel giorno del solstizio
d'inverno e le sue complesse decorazioni rappresentano una sorta di
allineamento simbolico. Infatti, non si deve pensare che i
realizzatori del tumulo fossero semplicemente alla ricerca di un dato
osservativo. La consapevolezza che la vita dipende dalla nostra
stella aveva portato a una forma di profondo culto astronomico, con
il Sole divinizzato. La sua esaltazione era appunto il complesso di
Newgrange. Guido Cossard
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN PERICOLO
Cefali contro trote
Allarme per molte specie di pesci
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI zoologia
ONOMI ZERUNIAN SERGIO, TADDEI ANNA RITA
OORGANIZZAZIONI WWF
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS zoology
IL 25 per cento dei pesci delle acque italiane appartiene a forme
endemiche, cioe' che esistono solo nel nostro Paese; considerando
anche le forme subendemiche, cioe' quelle che vivono prevalentemente
in Italia ma che sconfinano anche in territori contigui, si arriva al
40 per cento. Come dire che se queste forme dovessero scomparire dal
nostro paese sarebbero perdute per sempre sulla faccia della Terra.
Adesso il Wwf lancia un allarme: alcune di queste forme sono davvero
in pericolo, e' in corso un attentato alla diversita' biologica di
fiumi, laghi, torrenti, rogge d'Italia. Vi sono specie che scompaiono
in certi bacini, altre introdotte dall'esterno che «inquinano» quelle
autoctone, altre ancora che fanno sparire le popolazioni locali e vi
si sostituiscono, come documenta uno studio compiuto per il Wwf dagli
ittiologi Sergio Zerunian e Anna Rita Taddei. Le cause?
L'inquinamento industriale, quello organico degli scarichi urbani,
quello provocato dalle attivita' agricole con gli scarichi degli
allevamenti, con i fitofarmaci e i diserbanti, la costruzione di
dighe, il prelievo di acqua e ghiaia, la pesca indiscriminata e il
bracconaggio, la cementificazione e la folle pratica di «raddrizzare»
i corsi d'acqua. Le dighe colpiscono in particolare le specie
migratrici che risalgono i fiumi per riprodursi; dovrebbero essere
accompagnate da «scale di risalita» grazie alle quali i pesci siano
messi in grado di superare gli improvvisi dislivelli creati dagli
sbarramenti. In realta' in Italia ne esistono ben poche e cio' spiega
perche' a monte degli invasi sono spariti gli storioni (un tempo si
pescavano anche nel Po a Torino), le lamprede di fiume o le alose.
L'inquinamento organico dovuto agli scarichi urbani e degli
allevamenti ha, tra l'altro, l'effetto di modificare le diverse
«zone» di cui e' composto il fiume, riducendone la diversita'
ambientale. Si riducono le zone di acqua limpida e ossigenata. «Di
conseguenza si verificano consistenti modifiche nelle comunita'
ittiche - afferma la ricerca di Zerunian e Taddei - e vengono
avvantaggiate le specie tipiche del tratto medio di un corso d'acqua
come per esempio il triotto (Rutilus erythrophtalmus), la scardola
(Scardinius ery throphtalmus), e alcuni ciprinidi di origine
alloctona, a svantaggio dei salmonidi e delle altre specie tipiche
del tratto alto e medio di un corso d'acqua». Nel lago di Fondi,
basso Lazio, in seguito all'aumento dell'inquinamento organico e
della salinita', molte popolazioni indigene rischiano di sparire
mentre dominano specie estranee come il carassio dorato (il comune
pesce rosso che si tiene in casa), o i cefali e i muggini di
provenienza marina. Effetti analoghi hanno le canalizzazioni e la
cementificazione dei corsi d'acqua (l'assurda «cura» che solitamente
viene praticata ai fiumi dopo uno straripamento: scompaiono le curve
e di conseguenza le zone dove l'acqua rallenta, scompaiono gli
avvallamenti dove e' maggiore la profondita' e quindi scompaiono gli
habitat di lucci, scardole, carpe). La cementificazione degli alvei e
il continuo prelievo di ghiaia distruggono gli anfratti di cui hanno
bisogno per deporre le uova il ghiozzo di ruscello, il ghiozzo
padano, il barbo e il barbo canino. Persino il ripopolamento fatto
senza precisi criteri ha spesso effetti disastrosi, cosi' come
l'introduzione di nuove specie. Spesso i ripopolamenti sono
effettuati con avannotti raccolti in acque distanti centinaia di
chilometri e cio' provoca «variazioni della biodiversita' delle
comunita' ittiche» dice la ricerca. L'inquinamento genetico sta
provocando la scomparsa della trota marmorata, indigena della parte
sinistra del bacino del Po, e della trota macrostigma propria
dell'Italia peninsulare tirrenica, della Sicilia e della Sardegna.
L'immissione di nuove specie si e' rivelata in passato una pratica
rischiosa; senza voler andare agli antichi disastri provocati
dall'introduzione del persico sole e del pesce gatto basta ricordare
che il recente arrivo nelle nostre acque del siluro comincia a far
sentire negativamente la sua presenza nelle comunita' ittiche in cui
si e' indebitamente introdotto. Vittorio Ravizza
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
FORFORA
Nevica sulle giacche blu
OAUTORE GIORCELLI ROSALBA
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI CAPUTO RUGGERO
OORGANIZZAZIONI ISTITUTO DI SCIENZE DERMATOLOGICHE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
SU tante giacche blu «nevica»: sara' la stagione? La forfora affligge
il 20 per cento della popolazione adulta mondiale a partire dai 10
anni di eta'; e il 3 per cento soffre di dermatite seborroica, che
alla desquamazione si aggiunge un'infiammazione della cute ai danni
del cuoio capelluto ma talvolta anche di palpebre, ginocchia,
orecchie. Varie le cause predisponenti per entrambi i disturbi, che
creerebbero sulla pelle le condizioni ideali per lo sviluppo del
Pityrosporum ovalis, un fungo che sembra avere una parte fondamentale
nella desquamazione. A Lisbona, al V Congresso dell'Accademia Europea
di Dermatologia e Venereologia, sono stati illustrati i risultati di
studi sul trattamento esterno con un antimicotico, il ketoconazolo.
Anche la forfora sarebbe in un certo senso una malattia, ingigantita
o trascurata a seconda dell'intensita' del fenomeno e della
psicologia individuale. E non sembra avere preferenze di sesso, e di
colore o tipo di pelle e capelli. L'orientamento medico e' quello di
considerare la dermatite seborroica (e, in misura minore, anche la
forfora) come segnale dell'organismo. I fattori predisponenti possono
essere: un eccesso di ormoni androgeni, diete squilibrate,
ereditarieta', forse anche fattori ambientali come umidita',
inquinamento, cambiamento di stagione; e poi stress, debolezza del
sistema nervoso o del sistema immunitario (senza voler generare
allarmismi, va detto che la dermatite seborroica si osserva in
elevata percentuale nei malati di Hiv). In queste condizioni il
Pityrosporum ovalis, che fa parte normalmente della flora cutanea, si
moltiplica, passando dal 47% della flora allo stato normale al 75% in
presenza di forfora e l'83% nella dermatite. Risalgono all'Ottocento
le prescrizioni antiforfora e antidermatite, a base di zolfo, del
medico francese Sabouraud, che si riferiva al fungo come «Malassezia
ovalis» (dalla prima definizione di Malassez del 1874). In seguito si
sono adoperati corticosteroidi e antinfiammatori per controllare la
produzione di sebo. Gli studi sul ketoconazolo nella cura della
dermatite seborroica sono iniziati nel 1978 con terapie orali; nel
1982 e' stato sperimentato sotto forma di shampoo; impiegato da
alcuni anni, ora disponibile in varie concentrazioni per le forme
leggere di dermatite e per la forfora, per un'azione di attacco e di
mantenimento. Ridurrebbe drasticamente la presenza del fungo, con
effetto piu' durevole rispetto ad altri trattamenti; finora non sono
stati osservati effetti collaterali. Uno studio attualmente condotto
in Belgio da De Doncker, Pierard e Baeten, i cui risultati parziali
sono stati pubblicati sul Journal d'Actualite' Dermatologiques
Belges, apre una debole speranza sugli effetti del ketoconazolo anche
nella calvizie incipiente (Alopecia androgenica): si vuol capire se
il famigerato fungo sia un fattore di infiammazione cronica. I
miglioramenti sarebbero osservabili ma in tempi molto lunghi. E
l'acne, la psoriasi? Ci sono alcune ipotesi, e qui ci fermiamo,
perche', ad esempio, se la terapia di mantenimento con ketoconazolo
puo' in molti casi essere soddisfacente, un soggetto con forfora su
10 non risponde al trattamento. Niente bacchetta magica, ma una
strada comunque interessante. Ma in che misura la forfora e' sentita
come problema? In generale, esistono tre categorie di soggetti, come
spiega Ruggero Caputo, direttore dell'Istituto di Scienze
dermatologiche dell'Universita' di Milano: «Gli ''ansiosi''
esasperati dal ''look'', circa un terzo dei soggetti, gli unici che
si rivolgono al medico o al farmacista; i moderatamente attenti
all'estetica, un altro terzo; infine i poco attenti, che lo
considerano un ''difetto'' estetico, comprano lo shampoo dell'ultima
pubblicita' e tendono a lavarsi i capelli troppo spesso aumentando il
grado di acidita' della pelle e la desquamazione». Rosalba Giorcelli
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IL PESCE GATTO: UNA CALAMITA'
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS zoology
Il pesce gatto, originario dell'America settentrionale, fu portato in
Europa alla fine del secolo scorso. Grazie alla sua prolificita' e
robustezza si e' diffuso con rapidita' in ogni ambiente di acqua
stagnante. Voracissimo, mangia molluschi, crostacei, larve oltre a
uova e avannotti degli altri pesci. Per i pescatori e' una calamita'
perche' si avventa sulle loro esche, destinate a prede piu' pregiate,
ingoiandole profondamente tanto da rendere impossibile il recupero
dell'amo. Impossibile scacciarlo da un laghetto: anche se lo si
prosciuga lui riesce a vivere tra la melma per mesi pronto a
riprendere l'attivita' appena tornera' l'acqua.
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IL PERSICO SOLE: BELLO E IMMANGIABILE
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS zoology
Anche il persico sole e' stato portato in Europa alla fine del secolo
scorso per accrescere le specie pescabili a lenza ma e' sfuggito al
controllo ed ha invaso tutte le acque italiane. E' un pesce
bellissimo, dai colori sgargianti (verde, blu, giallo, arancio e una
macchia rossa sull'opercolo) che puo' arrivare a 20 centimetri.
Immangiabile perche' pieno di dure spine. E' un predatore famelico di
uova e avannotti di altre specie tanto che nel suo regno di solito
crea il deserto. La sua prolificita' e' tale che in molti bacini gli
individui in numero molto elevato non superano i 3-4 centimetri di
lunghezza.
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
UN FEROCE PREDATORE VENUTO DALL'EST: IL SILURO
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS zoology
Il siluro europeo o «del Danubio» ha il suo habitat nell'Europa
centrale e orientale, in Asia occidentale, nel Caucaso e in Anatolia,
dove puo' raggiungere i 3-4 metri di lunghezza e 2-3 quintali di
peso. A partire dalla fine degli Anni 70 e' comparso nel Po e nella
parte bassa di alcuni dei suoi affluenti con sempre maggiore
frequenza, segno che si sta adattando bene. Alcune catture sono
avvenute anche in altri fiumi, per esempio nell'Arno. E' un predatore
che attacca anche gli adulti delle altre specie. Dove e' presente da
piu' lungo tempo gia' si nota una diminuzione degli esemplari delle
specie autoctone.
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ALLARME DA GINEVRA
OMS: e' la malaria il nemico n. 1 della salute
Uccide una persona ogni 15 secondi, eppure ci sono nuovi farmaci
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI VAGLIO GIAN ANGELO
OORGANIZZAZIONI OMS ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA'
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA
OTABELLE T. TAB. D. COSI' ATTACCA I GLOBULI ROSSI
====================================================================
- Quando il protozoo della malaria, P.falciaparum, invade i
globuli rossi, si sviluppano grumi di proteine sulla superficie
del globulo che aderiscono ai vasi sanguigni, che vengono
ostruiti
- I geni della malaria fanno variaare ripetutamente i grumi
di proteine e cosi' essi rimangono per un certo tempo inavvertiti
dalle difese del sistema immunitario
- Di solito le proteine di superficie prodotte dalle cellule
infettate dalla malaria vengono rapidamente riconosciute e
attaccate dagli antciorpi.
====================================================================
OSUBJECTS medicine and physiology
SI parla tanto dell'Aids come della nuova «peste» ma vecchie malattie
fanno stragi ben maggiori e, a differenza dell'Aids, queste
potrebbero essere sconfitte, per di piu' con una spesa irrisoria. Se
non lo si fa e' soltanto perche' spesso le «vecchie malattie»
riguardano il Terzo Mondo, e i Paesi sviluppati si preoccupano
egoisticamente dei propri malanni, ignorando quelli dei Paesi poveri.
Un caso esemplare? La malaria. Pochi giorni fa l'Organizzazione
mondiale della sanita' (Oms) ha dichiarato la malaria «nemico della
salute n. 1» e ha fornito come prova cifre drammatiche: nel 1996 da 1
a 3 milioni di uomini sono morti di malaria, ogni 15 secondi il
plasmodio trasmesso dalla zanzara anofele uccide una persona (il piu'
delle volte un bambino o una donna incinta), da trent'anni le vittime
della malaria continuano ad aumentare e la malattia e' endemica in 91
Paesi, compresa l'ex Unione Sovietica. Cosi' ogni anno sono da 300 a
500 milioni le persone che il plasmodio della malaria riesce a
infettare. In contrasto con questi dati, si investono nella lotta
alla malaria soltanto 85 milioni di dollari all'anno. Inoltre, con
una decina di dollari si potrebbe salvare la vita di un bambino
colpito da questa malattia, mentre con la stessa somma non si cura un
malato di Aids neppure per un giorno. Una proiezione dell'Oms
(organismo dell'Onu con sede a Ginevra) dovrebbe pero' portare
l'attenzione dei Paesi ricchi anche sulla malaria: all'inizio del
2000 nel Sud degli Stati Uniti e dell'Europa potrebbero verificarsi
fino a 80 milioni di casi di malaria all'anno. Persino in Gran
Bretagna si sono avuti ben 2000 casi di contagio in un anno. E questo
perche' la malattia si propaga grazie all'emigrazione dal Terzo Mondo
e ai viaggi per diporto degli abitanti dei Paesi ricchi. Inoltre la
malaria diventa sempre piu' resistente ai farmaci tradizionali e alle
vecchie cure preventive a base di clorochina e della stessa
meflochina, che era stata introdotta per combattere l'infezione
clorochinoresistente. La malaria e' causata da un protozoo del genere
Plasmodium (falciparum, vivax, malariae, ovale). Questi protozoi
hanno un ciclo di sviluppo che comprende una fase sessuata, che si
svolge nella zanzara anofele, e una fase asessuata che avviene
nell'organismo infettato. Il Ddt negli Anni 60 stava debellando la
zanzara anofele, e quindi anche la malaria. Ma poi questo insetticida
e' stato abbandonato per motivi ecologici, e la zanzara ha di nuovo
occupato regioni molto ampie, per lo piu' paludose, specialmente in
Africa e nel Sud-Est asiatico. Quando il Plasmodium falciparum, il
piu' pericoloso, viene iniettato dalla zanzara (femmina) nel sangue
dell'uomo, invade i globuli rossi e induce lo sviluppo di proteine
che aderiscono alle pareti dei vasi sanguigni. I capillari piu' fini,
nel cervello, vengono cosi' ostruiti e si arriva alla morte del
malato. Come ricordava su «Tuttoscienze» del 4 dicembre scorso Gian
Angelo Vaglio, professore di chimica generale all'Universita' di
Torino, fortunatamente sono gia' pronte nuove armi per combattere la
malaria anche quando si tratti di una forma resistente alla
clorochina e alla meflochina. Uno dei nuovi farmaci, il piu'
promettente, e' stato ottenuto sintetizzando una sostanza simile a
quella contenuta nell'arbusto Artemisia an nua, pianta gia' usata in
medicina dagli erboristi cinesi. Un'altra strada battuta nei
laboratori di ricerca e' quella del vaccino. Il tipo di vaccino oggi
piu' maturo non tende tanto a immunizzare la persona che se lo fa
iniettare, quanto a far si' che la persona vaccinata, se punta dalla
zanzara anofele, trasmetta all'insetto degli anticorpi che
interrompono il ciclo di riproduzione del Plasmodium. E' un vaccino,
insomma, «altruistico», nel senso che lo si prende essenzialmente per
tutelare gli altri e, in una prospettiva a lungo termine, per
sradicare una malattia che, dopo aver subito alcune parziali
sconfitte, oggi va alla riscossa. (p. bia.)
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
NASCITA DELLA BIONICA
Dalla struttura del femore alla Tour Eiffel
I calcoli del 1889 furono ispirati al reticolo di trabecole che
compone l'osso
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI storia della scienza
ONOMI KOECHLIN MAURICE, CULMANN KARL, STEEL JACK
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS history of science
CHE cosa hanno in comune un femore umano e la Tour Eiffel? Nulla,
apparentemente. In realta' moltissimo dal punto di vista strutturale.
Infatti se il simbolo di Parigi svetta sulla citta' in modo cosi'
ardito ed elegante, lo dobbiamo anche al nostro femore. Verso la fine
dell'Ottocento a Parigi si decise che per l'Esposizione universale
del 1889 sarebbe stata costruita una torre in ferro alta almeno 300
metri. I calcoli statici della struttura furono affidati a Maurice
Koechlin, un giovane ingegnere che per settimane si dispero' per aver
accettato un tale incarico. D'un tratto Koechlin si ricordo' di uno
studio sugli scheletri umani e animali condotto dal suo maestro,
l'ingegnere e matematico svizzero Karl Culmann, che nel 1875 aveva a
sua volta ripreso gli appunti di anatomia di un medico di Zurigo.
Osservando uno scheletro umano, o quello di un pollo o di un bue, si
puo' notare che il femore non e' perfettamente in asse con il bacino.
L'incastro tra la testa di quest'osso e il corrispondente incavo del
bacino (che si chiama cavita' cotiloidea dell'osso iliaco) avviene
quasi lateralmente, grazie a una sporgenza inclinata del femore che
alla sua sommita' piega verso l'interno del corpo. Come buona parte
delle ossa umane, al suo interno il femore non e' fatto di materiale
pieno, ma da un tessuto spugnoso, un reticolato le cui lamine (che si
chiamano trabecole) a prima vista appaiono estremamente disordinate e
disposte in modo casuale. Culmann si accorse che l'orientamento delle
trabecole del femore non e' affatto lasciato al caso e corrisponde
perfettamente alle linee lungo le quali si scaricano le forze di
trazione e compressione che l'osso, se incastrato «lateralmente» nel
bacino, deve compiere per sostenere il peso del corpo. A questo punto
il lavoro di Koechlin divenne facilissimo: nel progettare la Tour
Eiffel egli si limito' a riprodurre lo schema base delle trabecole.
Per le sue soluzioni altamente innovative Koechlin venne acclamato
eroe della patria. Ma la sua genialita' non sta tanto nell'aver
inventato qualcosa di nuovo. Piuttosto nell'aver osservato una
soluzione «naturale» per poi riprodurla in una situazione
artificiale. La scienza che si occupa di questo particolare tipo di
ricerche, cioe' la rielaborazione in chiave tecnologica di un
meccanismo naturale, e' la bionica, una nuova disciplina a cavallo
tra ingegneria e biologia, chimica e architettura, botanica e
anatomia. Fin dalle origini l'uomo si e' ispirato alla natura per
risolvere i suoi problemi quotidiani. D'altra parte i cieli, i boschi
e i mari non sono altro che sconfinati laboratori dove da tre
miliardi di anni si conducono esperimenti di ogni sorta per muoversi
piu' velocemente, per combattere il freddo, per proteggersi dai
nemici, per arrivare sempre piu' in alto a conquistare qualche raggio
di Sole in piu'. Ma e' nei primi Anni Quaranta che la bionica
comincia a prendere corpo come disciplina di ricerca a se' stante.
Purtroppo per scopi non tanto nobili: infuriava la Seconda Guerra
mondiale e tutti i migliori cervelli venivano mobilitati per
perfezionare gli armamenti. Negli anni successivi la bionica assunse
una fisionomia sempre piu' delineata e nel 1960 ricevette il suo
battesimo ufficiale. Il nome fu proposto da un maggiore della Marina
americana, Jack Steel, che in quell'anno raduno' in un convegno
coloro (ingegneri, chimici, fisici, architetti, biologi, botanici e
naturalisti) che portavano avanti questo tipo di ricerche. Andrea
Vico
ODATA 15/01/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
BIOMEDICINA
Ricerca, va un po' meglio
OAUTORE MARCHISIO PIER CARLO
OARGOMENTI ricerca scientifica, medicina e fisiologia, genetica
OORGANIZZAZIONI TELETHON
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS research, medicine and physiology, genetics
IN Italia ci sono tante cose che non vanno. Tuttavia, a costo di
sembrare un inguaribile ottimista, devo dire che almeno la qualita'
della ricerca scientifica in campo biomedico sta rapidamente
migliorando. I convegni dei ricercatori italiani sono ormai copie di
quelli europei, e non cosi' diversi da quelli americani. Sono
abbastanza vecchio per ricordare i convegni di trent'anni fa. Nulla
di paragonabile come impegno, qualita' e quantita'. E' chiaro che
negli ultimi anni deve essere successo qualcosa che ha migliorato il
livello qualitativo della ricerca nel nostro Paese. Mi sono fatto su
questo un'idea precisa. E' intervenuta finalmente la selezione. Oggi
chi finanzia i progetti di ricerca lo fa in base al merito: si
scovano i progetti migliori e i migliori ricercatori e tra questi si
dividono i finanziamenti (che sono pur sempre pochi rispetto ad altri
Paesi). Ha cominciato l'Airc per il cancro alcuni fa, e' seguito il
progetto Aids e ora Telethon ha stabilito uno standard al quale tutti
dovranno uniformarsi. In particolare il Cnr dovrebbe cambiare il modo
di distribuire i magri fondi e adottare gli stessi rigidi criteri
meritocratici delle agenzie private come Airc e Telethon. Non che il
Cnr qualche sforzo non l'abbia fatto per migliorare rispetto al
passato che' alcuni progetti di ricerca sono stati gestiti
correttamente. Quello che occorre e' darsi regole che valgano per
tutti, basate sul merito. Il privato deve insegnare al pubblico come
si gestisce il denaro pubblico in maniera semplice ed efficiente.
Soprattutto, il Cnr deve rendere agile la sua costosissima
burocrazia. Il mio improvviso entusiasmo per il miglioramento
qualitativo della ricerca viene dal recente convegno di Telethon che
si e' tenuto a Napoli nella fortezza di Castel dell'Ovo. Telethon,
come e' noto, finanzia la ricerca nel campo della genetica delle
malattie neurologiche e non. Con il denaro raccolto ogni anno nella
manovra televisiva Telethon ha compiuto il miracolo di organizzare un
paio di centri di ricerca avanzati, catalizzare l'attivazione di
servizi comuni e finanziare piu' di cento ricercatori che comunicano
attivamente. Un forte incitamento e' stato dato nel 1996 agli
sviluppi della terapia genetica, forse troppo. E' giusto puntare su
questa svolta della medicina del 2000 che risolvera' il problema di
molti mali ora incurabili sostituendo il Dna alterato. L'applicazione
al malato e' ancora lontana ed e' bene lavorare sodo per renderla una
realta' il prima possibile. Non bisogna dimenticare tuttavia che
della maggioranza dei geni noi non conosciamo ancora il reale
funzionamento. Investiamo quindi anche nella ricerca di base e saremo
sicuri che da questa anche la terapia genetica trarra' grande
impulso. Pier Carlo Marchisio Dibit, Milano
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
E' POSSIBILE LA «MACCHINA DEL TEMPO»?
Viaggi nel passato
Quando la fisica sfida la logica
OAUTORE DAPOR MAURIZIO
OARGOMENTI fisica, metrologia
ONOMI DEUTSCH DAVID, LOCKWOOD MICHAEL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics, metrology
HO un po' di tempo libero e decido di fare una visita alla mia
libreria. Scopro cosi' un paio di nuovi libri sul tempo scritti da
autorevoli fisici e matematici. Paul Davies ci propone «I misteri del
tempo», mentre John Gribbin si cimenta addirittura nel «Costruire la
macchina del tempo». Un po' sconcertato scopro che, tra l'altro, di
viaggi nel passato si discute; e con il convincimento, come se non
bastasse, che potrebbero anche essere realizzabili. L'inizio di un
nuovo anno e' propizio a una riflessione sul tempo, in questo caso
una riflessione a meta' strada tra fisica e fantasia. Mi viene in
mente un certo David Deutsch, personaggio certamente stravagante, che
si diverte a immaginare che cosa potrebbe succedere se i viaggi nel
tempo fossero realmente possibili. Poiche' e' un accademico, gli
ambienti che predilige sono le Universita' e i suoi personaggi
preferiti sono professori e giovani ricercatrici. C'e' una sua idea,
che qui mi permetto di romanzare un po', sulla quale mi piace
fantasticare. Quello che segue ha l'aspetto di un racconto, ma lo
scopo e' quello di illustrare un tipo di paradosso legato ai «viaggi
nel tempo». Deutsch immagina che un professore di fisica teorica sia
rimasto molto colpito dal contenuto di un difficilissimo articolo
scientifico che spiega come effettuare un viaggio nel tempo. In
effetti egli e' un fisico matematico e, poiche' di queste cose se ne
intende, non ha difficolta' a districarsi attraverso le equazioni
differenziali e le superfici dello spazio-tempo deformate dalla
gravita'. Quindi, letto l'articolo, firmato da una ricercatrice
giovane e inesperta della sua stessa Universita', decide di andare a
trovarla per discutere alcuni aspetti della teoria che non lo
convincono. Ma quando si reca nel suo studio per conoscerla scopre
che la ragazza se ne e' andata in vacanza senza lasciare recapito.
Non vuole essere disturbata. Il professore, allora, pensa di mettere
alla prova la teoria della ricercatrice applicandola personalmente.
Se non posso sapere dov'e' ora la ragazza, pensa, posso tuttavia
supporre che fosse qui qualche tempo fa. Una strana idea si sta
facendo strada nella mente del nostro amico. Un'idea inquietante.
All'ufficio personale viene a sapere che la ragazza e' partita per le
vacanze esattamente da una settimana. Il nostro professore, allora,
utilizzando la teoria della ricercatrice, costruisce in fretta una
macchina del tempo e decide di usarla per fare un salto di un paio di
settimane nel passato, vale a dire in un istante che preceda l'inizio
delle vacanze della ragazza. Purtroppo, essendo un fisico teorico,
combina dei terribili pasticci e si ritrova davanti alla porta dello
studio della ricercatrice un anno prima della data desiderata. Qui il
nostro amico, non rendendosi conto della situazione, bussa alla
porta. La ragazza, molto indaffarata davanti al suo computer, lo
invita ad accomodarsi. Poiche' il professore e' uno scienziato noto,
la ricercatrice e' intimidita e ascolta senza fiatare le sue
argomentazioni. A questo punto al professore viene in mente che la
moglie gli ha raccomandato di essere a casa per pranzo a mezzogiorno
in punto. Quindi saluta la ragazza in tutta fretta dimenticando una
copia dell'articolo sulla sua scrivania. Tutto soddisfatto rientra
nella macchina del tempo e ritorna nel futuro, esattamente
nell'istante in cui era partito (non essendosi reso conto dell'errore
iniziale lo ripete ora perfettamente identico ma cambiato di segno:
molti esperimenti scientifici funzionano benissimo grazie a questi
involontari accorgimenti). La vita all'Universita' prosegue
normalmente: le lezioni, gli esami, i laboratori, la solita
«routine». Ma un anno prima cos'era accaduto? La nostra ricercatrice
legge avidamente il suo articolo. Resasi conto della situazione va a
cercare il professore che, tuttavia, si trova in una localita'
imprecisata per delle cure termali. La data del suo articolo e' li',
davanti ai suoi occhi. Chiunque abbia letto qualche racconto di
fantascienza e' al corrente della necessita' che, durante i viaggi
nel tempo, gli anelli causali siano resi coerenti. La ragazza fa un
rapido calcolo. L'articolo e' rivoluzionario. La rivista dovra'
sottoporlo a svariati referee internazionali prima di pubblicarlo.
Non c'e' tempo. Deve assolutamente copiarlo e spedirlo alla rivista
affinche' possa essere pubblicato con la data corretta. Non puo'
permettersi di aspettare il rientro del professore dalle sue cure
termali. Quindi copia e spedisce l'articolo che, un anno dopo, esce
puntualmente sulla rivista. L'anello causale e' salvo. Molti si
saranno resi conto che qualche cosa dell'intera faccenda non quadra.
Infatti se e' vero che l'esito della vicenda e' assolutamente
coerente, in realta' c'e' un particolare che disturba il nostro senso
comune. A quanto sembra, e per come stanno le cose, nessuno dei
protagonisti del racconto e' realmente l'autore della teoria sui
viaggi nel tempo. Sia il professore sia la ragazza hanno
semplicemente letto l'articolo. La presenza fisica dell'articolo nel
passato naturalmente non fa alcuna differenza. Si puo' benissimo
immaginare che il professore non lo abbia portato con se' ma ne abbia
comunque esposto il contenuto alla ricercatrice. Il problema sussiste
comunque. Il viaggio nel tempo produce uno strano effetto sulla
nascita delle idee. Ci interroghiamo, talvolta, attorno alla natura
del tempo e il nostro pensiero, lasciato libero, ci fa scorgere
inaspettati legami. Barriere apparentemente solide si sgretolano
rendendo incerti i confini di un sapere troppo spesso acquisito a
compartimenti stagni. Dobbiamo sconfiggere una certa pigrizia mentale
per inoltrarci senza timore nei romantici e misteriosi concetti della
termodinamica. Il secondo principio nasce da una esigenza tecnologica
(nonche' economica); quella di stabilire il rendimento delle macchine
che trasformano in lavoro meccanico il calore. Le interpretazioni
successive daranno a quel principio una forma alquanto originale:
ogni sistema isolato tende a portarsi in una condizione di massimo
disordine. E', tutto sommato, la nostra esperienza quotidiana.
Durante i mitici Anni 60 c'era chi scriveva «T'amo» sulla sabbia. Ma
per quanto profondo fosse quell'amore, al mattino successivo la
spiaggia ritornava nuovamente uniforme, ovunque uguale a se stessa.
Si era realizzato, appunto, il massimo disordine. Noi percepiamo
quello che ci piace definire «il trascorrere del tempo» come la
naturale tendenza al disordine di ogni sistema isolato. Il tempo
fluisce nella direzione che conduce alla massima entropia. Se fosse
un sistema isolato, l'universo scivolerebbe silenziosamente e
stancamente verso la sua morte termica. Molto romantico: ma possiamo
asserire con certezza che esista veramente una entita' che scorre,
la' fuori? Il fatto e' che questo e' il nostro particolare modo di
percepire la realta'. Come dello spazio ci e' dato di percepire solo
quella piccola regione che ci e' prossima, cosi' non riusciamo a
percepire che una minuscola frazione del tempo che ci e' concesso di
vivere: una frazione che impropriamente usiamo chiamare l'istante
presente ma che, di fatto, e' un intervallo di durata finita e che,
se non bastasse, e' gia' passato. In realta' la nostra intera
esistenza (passata e futura) e' un segmento di tempo che si estende
dalla data della nostra nascita fino all'istante della nostra morte:
un breve segmento nella storia dell'universo di cui noi riusciamo a
percepire solamente una sequenza di brevissimi intervalli nel
recentissimo passato. Ma se si tratta solo di percezione, perche' non
ammettere che, in realta', il tempo potrebbe essere percorribile,
avanti e indietro, proprio come un sentiero di montagna? Non capisco
perche' molti scrittori, quando fantasticano, prediligano i viaggi
nel futuro. Sono viaggi che sconcertano, forse, ma previsti dalla
teoria della relativita' (e abbondantemente verificati
sperimentalmente). Al rientro da una settimana di soggiorno in una
bella pensioncina in prossimita' del raggio di Schwarzschild di una
stella implosa, una ragazza di mia conoscenza ando' a trovare
un'amica che aveva avuto un bambino poco prima della sua partenza. Il
fatto e' che il bam bino era appena partito per il suo viaggio di
nozze. I viaggi nel passato sono molto piu' inquietanti: anche
perche', come si e' visto, sono accompagnati da risultati talvolta
paradossali, talvolta contrari al senso comune. La nascita di una
teoria o di una idea dal nulla sembra contraria al nostro modo usuale
di considerare le vicende umane: si ricordi il racconto della bella
ricercatrice e del professore. Questi paradossi sono stati chiamati
da David Deutsch e da Michael Lockwood paradossi di conoscenza per
distinguerli da quelli di incoerenza. Un paradosso di incoerenza e'
quello in cui voi incontrate vostro nonno nel passato quando,
diciamo, aveva vent'anni e impedite che incontri e sposi vostra nonna
(ma perche' mai dovreste farlo?). A questo punto il problema consiste
nel fatto che voi non siete mai nato. E allora? Nessuno puo' avere
ostacolato quel matrimonio, giusto? Dunque la vicenda non e'
coerente. Un paradosso di conoscenza e' invece perfettamente
coerente: pensate alla storia della ricercatrice. Proprio per salvare
la coerenza causale copia l'articolo e lo spedisce alla rivista. Devo
anche aggiungere, a proposito, che David Deutsch e Michael Lockwood
hanno suggerito spiegazioni molto suggestive, ma decisamente
complicate, che eviterebbero i paradossi e quindi renderebbero
plausibili i viaggi e i trasferimenti di informazioni nel passato. Ma
non credo che sia il caso di parlarvi delle «linee di tempo chiuse»:
pensateci un po' per conto vostro. Maurizio Dapor IRST, Trento
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
FENOMENI ASTRONOMICI
Nel 1997 il cielo dara' spettacolo
Saturno e Aldebaran dietro la Luna, cometa, eclissi
OAUTORE BARONI SANDRO
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy
NON c'e' anno senza che il cielo ci offra spettacoli interessanti. Il
1997 sara' l'anno della cometa Hale- Bopp, ma non mancheranno altri
fenomeni curiosi. Vediamo i principali, almeno per quanto riguarda la
visibilita' dall'Italia. Sulle 13 volte che la Luna occulta
Aldebaran, la stella piu' luminosa della costellazione del Toro,
solamente una volta il fenomeno e' osservabile nel Nord d'Italia con
comodita' e con il Sole sotto all'orizzonte: avviene il 14 marzo
intorno alle ore 20 del nostro orologio per quanto riguarda la
sparizione della stella nel bordo scuro della Luna, mentre un quarto
d'ora dopo le 21 avviene la riapparizione di Aldebaran dal bordo
illuminato del nostro satellite. Il fenomeno con Luna crescente e ben
alta sull'orizzonte e' perfettamente visibile ad occhio nudo.
L'introduzione dell'ora estiva, impropriamente chiamata ora legale,
e' fissato alle ore 2 del 30 marzo, che nel 1997 e' anche il giorno
di Pasqua. Ma marzo ci riserva un'altra particolarita' poco
frequente. E' noto che la Pasqua cade nella prima domenica dopo la
Luna Piena che avviene dopo l'equinozio di primavera. Lunedi' 24 si
ha la Luna Piena, e quindi domenica 30 e' Pasqua. La Luna Piena del
24 sara' eclissata quasi interamente (92 per cento) dall'ombra
terrestre, fenomeno che ha la sua centralita' alle ore 5 e 39 minuti:
e' mattino presto, ma vale la pena di alzarsi e dare almeno una
occhiata velocemente. Ma quante volte capita di poter vedere la Luna
Piena, che determina la Pasqua, eclissata per una buona percentuale?
E' un fenomeno poco frequente, considerando il periodo tra il 1951 ed
il 2050: solamente nel 1968 la Luna Piena del 13 aprile (Pasqua il 14
aprile) e' stata totalmente eclissata, ma quasi al tramonto. Dopo
l'eclisse del 24 marzo per vedere eclissata la Luna Piena «di Pasqua»
bisognera' attendere il 14 aprile 2033 (Pasqua il 17 aprile). In
realta' capita altre quattro volte ma sono eclissi di Luna invisibili
dall'Europa, e quindi anche dall'Italia. Per chi possiede un piccolo
telescopio oppure un buon binocolo e' interessante rilevare che il
giorno 27 di agosto, per un breve periodo, Giove si presentera' privo
dei quattro satelliti che Galilei scopri' nel 1610. Infatti tra le 23
ore e 37 minuti di ora estiva e le ore 23 e 50 minuti sempre di ora
estiva i quattro satelliti di Giove (Io, Europa, Ganimede, Callisto)
non si potranno vedere. Io iniziera' ad essere occultato da Giove
alle ore 23 e 37 minuti, mentre Europa e' in transito sopra il disco
di Giove. Ganimede e' nell'ombra di Giove e Callisto e' pure
nell'ombra di Giove. Alle ore 23 e 50 minuti Callisto riappare
uscendo dall'ombra di Giove facendo terminare il poco frequente
fenomeno celeste osservabile come detto con un piccolo telescopio o
con un buon binocolo. Il tutto per soli 13 minuti di Giove senza la
corte dei quattro piu' grandi satelliti. La Luna ci permettera' di
osservare una bella occultazione nella notte tra l'11 il 12 novembre,
tra le 2 e 30 e le 3 e 30 della mattina del 12 novembre, di ora
invernale, ovvero di Tempo Medio Europa Centrale; in quel periodo
Saturno, che sara' luminoso quanto una stella di prima magnitudine
(come Aldebaran, per intenderci), verra' nascosto dalla Luna, che
apparira' quasi piena. Il fenomeno sara' visibile a occhio nudo ma
chi vorra' vedere sparire e riapparire Saturno con i suoi stupendi
anelli dovra' usare un telescopio o un binocolo con almeno 20
ingrandimenti. Ma, come si diceva, il 1997 forse passera' alla storia
dell'astronomia per la prevista osservabilita' ad occhio nudo della
cometa Hale-Bopp, gia' seguita dai dilettanti di astronomia fin dal
marzo 1996 con una certa facilita'; questa cometa, infatti, e' stata
scoperta gia' nella seconda quindicina di luglio del '95. In questo
inizio dell'anno la cometa sara' visibile al mattino, di quarta
magnitudine, nella costellazione dell'Aquila. In febbraio sara'
visibile sempre al mattino circa di seconda magnitudine tra le
costellazioni della Sagitta, Vulpecula e Cigno. In marzo ed aprile
sara' visibile quasi tutta la notte, raggiungera' la massima
luminosita' e attraversera' una dopo l'altra le costellazioni
Lucertola, Andromeda, Perseo e Toro. Sicuramente visibile a occhio
nudo. Raggiunta la massima luminosita', speriamo sia stupefacente,
nel mese di maggio si indebolira' sempre piu', attraversando le
costellazioni del Toro e Orione. In giugno andra' sempre piu' verso
le costellazioni australi dell'Unicorno e del Cane Maggiore; sara'
sempre notevolmente luminosa ma piu' difficilmente osservabile per la
vicinanza apparente del Sole. E' bene ricordare, infine, che questi
non sono i soli fenomeni astronomici che avvengono nel 1997. Sono
soltanto una cernita di quelli piu' spettacolari e di quelli piu'
facilmente osservabili a occhio nudo o con un piccolo strumento
ottico. Sandro Baroni
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
EVOLUZIONE TECNOLOGICA
Ecco il telefono sapiens
Le novita' che ci cambieranno la vita
OAUTORE FABBRI GIANCARLO
OARGOMENTI tecnologia, comunicazioni
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology, communication
DECISIVA per l'affermazione della specie umana e' stata la capacita'
di scambiarsi messaggi: dai pochi suoni gutturali che potevano
bastare nel Pleistocene, siamo arrivati ai 100 mila lemmi dell'ultimo
dizionario. Tra questi lemmi, tele come primo elemento associato ad
altre parole significa «comunicazione a distanza»: telegrafo,
telefono, televisione sono i termini piu' comuni, ma ormai sono
usuali anche telelavoro, teleconferenza, telediagnosi, telescrivente,
telefoto, telecopier, teletext: siamo nel campo delle
telecomunicazioni, un mercato che sta vivendo una fase di crescita
straordinaria; e' recente un accordo che fara' storia: la British
Telecom e l'americana Mci si sono fuse per dar vita a Concert, un
gruppo da 65 mila miliardi di fatturato annuo (tanto quanto ha fatto
nel 1995 tutto il gruppo Fiat). Notizie grosse che al pubblico non
dicono molto; eppure il nostro futuro passera' anche da quei cavi,
perche' in un villaggio sempre piu' globale rimarranno pochi
operatori a dominare il mercato. E l'evoluzione e' continua. Basta
ricordare un dato, riferito all'Italia: il traffico telex, lo
strumento che piu' ricorda il telegrafo, precursore delle moderne
comunicazioni, si e' ridotto a un misero 0,6 per cento del fatturato
totale, mentre l'80 per cento va alla telefonia. Un altro fatto,
piccolo, ma significativo di come il telefono si evolva anche sul
piano sociale: a Torino, presso l'ospedale infantile Regina
Margherita, Telecom Italia ha installato 3 videotelefoni collegabili
con altrettanti apparecchi presso le famiglie dei piccoli ricoverati,
che avranno cosi' un importante sostegno psicologico. Ma che ne sara'
del caro vecchio telefono? Quale la sua evoluzione? Tentiamo di
tracciare lo scenario prossimo. Il mondo delle telecomunicazioni e'
oggi alla seconda generazione, con tecnologia digitale (la prima era
analogica); la terza generazione vedra' la convergenza tra telefonia
fissa e mobile. Fino a ieri abbiamo utilizzato telefoni fissi,
cellulari Tacs, cercapersone: tutti con tecnologia analogica
(qualita' e servizi spesso scadenti) e con standard differenti tra
Paese e Paese; oggi siamo connessi a centrali numeriche e utilizziamo
sistemi Euro-Isdn, cordless Dect metropolitani, cellulari Gsm con
copertura paneuropea e oltre, sistemi di paging come l'Ermes
(evoluzione numerica dei teledrin, con roaming internazionale e
possibilita' di visualizzare messaggi su un display). Per il futuro
vale l'assunto che l'utente possa inviare o ricevere chiamate sempre
e dovunque. Come? Innanzitutto sfruttando i satelliti, la cui rete e'
sempre piu' fitta; poi assegnando a ogni utente un numero personale
(numerazione unica): Personal Communications Systems e' il modo per
indicare il fenomeno di convergenza wire-wireless. Questo e' in
effetti il sogno di un qualsiasi utente: avere un numero unico a cui
essere chiamato, senza preoccuparsi ne' dell'apparecchio che usa ne'
di dove si trova. Una tappa di avvicinamento saranno i nuovi
cellulari dual-mode, in commercio tra poco: potranno
indifferentemente funzionare sia come apparecchi Gsm sulla frequenza
di 900 MHz sia come terminali per il Pcn (Personal communications net
work) su standard Dcs 1800 o indifferentemente per sistemi Dect.
Finora si e' parlato quasi sempre di telefonia senza fili: non era un
lapsus, e' che il mercato si sta muovendo prevalentemente in quella
direzione. In un precedente articolo si diceva che i sistemi Dect
saranno, con il sistema Dcs, una seria alternativa alla posa di cavi
fissi. In ogni caso, l'utente non e' interessato alla scelta
tecnologica di un sistema o di un altro; egli vuole comunicare in
modo affidabile, a bassi costi e scegliere i vari sistemi anche in
base ai servizi che potranno offrire. Questa dei servizi e' un'altra
evoluzione del nostro telefono, wire o cordless che sia, che sta
diventando sempre piu' simile a un computer: avremo la possibilita'
di visualizzare il numero di chi chiama (e anche di vedere il
chiamante con un videotelefono), impedire che il nostro numero
compaia sul display di un altro, ricevere solo numeri preselezionati,
lasciar passare o inibire le comunicazioni in orari ben precisi (per
esempio, mai durante l'ora di pranzo), o ancora ricevere con il Gsm
informazioni sulla Borsa e sul traffico aereo. Con il telemarketing
si potra' fare la spesa senza computer: un catalogo in una mano,
nell'altra un telefono e il portafoglio pieno: basta contattare uno
dei numerosi call centres che stanno sorgendo in tutto il mondo. Si
parla di affari colossali con una previsione di 2 milioni di persone
impiegate in «centralini commerciali». In questo scenario i satelliti
avranno sempre piu' peso: mentre oggi sono semplici ripetitori, nel
prossimo futuro saranno veri e propri elaboratori e quindi saranno
molto simili alle attuali centrali di commutazione terrestre. Si
potra' utilizzare Internet per collegare una banca dati via linea
telefonica normale e ricevere i files di ritorno da un satellite alla
velocita' di 34 milioni di bit al secondo (come dire che in un minuto
potremmo ricevere un pacco di 100 foto a colori ad alta definizione,
hard disk permettendo!). Il binomio telefono piu' Internet ci
riservera' ancora delle sorprese: le nostre telefonate, tradotte in
bit e impacchettate, potranno essere trasportate per la rete come
qualsiasi altro dato; e se i tempi di risposta saranno accettabili,
si potra' parlare e ascoltare con brevi ritardi. Oggi la rete non
riuscirebbe a gestire un traffico telefonico a livello mondiale; in
prospettiva, pero', questa possibilita' sara' una seria minaccia alle
compagnie telefoniche, che alle chiamate a lunga distanza affidano
buona parte del loro business. Tranquilli! Il telefono non morira';
anzi, per un futuro dove la vita di comunita' tendera' ad avere un
ruolo sempre piu' marginale, l'uomo lo portera' sempre con se', in
simbiosi sempre piu' stretta: oltre che strumento indispensabile per
il lavoro, sara' anche un ansiolitico di massa, per farci sentire
tutti un po' meno soli. Giancarlo Fabbri
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
RAPPORTO DELL'ENEA
Venezia, acqua alta record
Rinnovato il sistema di allerta
OAUTORE RUSSO SALVATORE
OARGOMENTI geografia e geofisica
OORGANIZZAZIONI ENEA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, VENEZIA (VE)
OTABELLE G. Acqua alta a Venezia (dati dal 1936 al 1996)
OSUBJECTS geography and geophisics
ANNO record, il 1996, per l'acqua alta a Venezia: i 12 mesi dell'anno
scorso sono stati archiviati dalla statistica come i piu'
straordinari del secolo: 79 giorni con alte maree superiori a 80
centimetri - 6 giorni in piu' rispetto al 1966, anno della storica
alluvione, quando l'acqua sali' sino a 194 centimetri - e una
settimana, dal 18 al 24 novembre, con la citta' continuamente
sott'acqua, con un minimo di 96 centimetri e un massimo di 134. Anche
il '97 e' iniziato con l'acqua alta. L'eccezionalita' di questi
eventi ha costretto studiosi e amministratori a rivedere le cause del
fenomeno e le eventuali soluzioni. Per quanto riguarda il primo
aspetto, l'elevata e inattesa frequenza dell'alta marea, che negli
anni passati era sensibilmente inferiore, dipende in larga parte
dalla presenza contemporanea di un forte vento di scirocco e dalla
sessa, l'onda di ritorno dell'Adriatico che ha praticamente impedito
l'abbassamento della marea, apportando inoltre un incremento di 40
centimetri. Sull'interpretazione del fenomeno nel suo complesso e sul
lento ma costante sprofondamento della citta' lagunare, invece, le
valutazioni sono piu' difficili e contraddittorie. Secondo un recente
rapporto di ministero dell'Ambiente e Enea, i prelievi di acqua dolce
del sottosuolo avrebbero gia' fatto sprofondare la citta' di 25
centimetri, con punte di 8 millimetri l'anno al Lido. Mentre le
estrazioni di metano - previste in Alto Adriatico e ancora oggi
ostacolate dagli ambientalisti - produrrebbero un ulteriore
incremento del fenomeno di subsidenza pari a 2 centimetri l'anno.
Anche l'effetto serra mettera' a dura prova il fragile tessuto
veneziano: tra 60 anni, con due gradi di temperatura in piu', si
prevede una crescita del livello del mare tra 15 e 20 centimetri. In
ultimo, un ulteriore innalzamento medio del mare sembra essere
indotto dall'intenso traffico petrolifero nella vicina Marghera,
lungo il Canale dei Petroli. Per quanto riguarda le soluzioni, va a
rilento l'ipotesi del Mose, il modello meccanico a paratoie mobili
ideato per bloccare le maree al di fuori della Laguna, mentre
maggiori consensi sembra trovare l'ipotesi di un riequilibrio
naturale dell'ambiente lagunare, dalle bocche di porto alle valli da
pesca. Sul piano della previsione del fenomeno, il Comune ha previsto
l'impiego di boe oceanografiche, cosi' da tenere sotto controllo, in
tempo reale, le condizioni atmosferiche, che sono una variabile di
difficile previsione e con forte influenza sul fenomeno dell'acqua
alta. Inoltre, le antiquate sirene, che ancora oggi avvertono gli
abitanti del centro storico dell'imminente acqua alta, verranno
sostituite da un sistema piu' sofisticato, provvisto di una
centralina telefonica con avviso diretto nelle case interessate
dall'evento. L'unica soluzione concreta in difesa dell'acqua alta e'
il progetto - gia' approvato dalla commissione di salvaguardia -
delle «Insule», che prevede l'innalzamento di pavimentazioni delle
fondamenta e dei piani terra di 5 aree nevralgiche della citta'. Per
questo complesso intervento sono stati stanziati 130 miliardi. A
tutt'oggi, tuttavia, ai veneziani restano 4 chilometri di passerelle,
gli stivali e, ancora una volta, le cifre: su 1855 famiglie che nel
centro storico sono proprietarie di alloggi o locali al piano
terreno, ben 903 sono direttamente colpite da una marea di 140
centimetri. Salvatore Russo
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PARLA LO PSICOANALISTA
Perche' il 2000 fa paura
Il Medioevo vestito di modernita'
OAUTORE ROTA ORNELLA
OARGOMENTI psicologia
ONOMI CAROTENUTO ALDO, DUBY GEORGES
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE T. Le grandi paure, dal libro di Duby «Sur les traces de nos peurs»
OSUBJECTS psychology
E se provassimo a individuare il contenuto, delle paure di fine
millennio? In fondo, qualsiasi minaccia risulta tanto piu' temibile
quanto piu' formulata in modo vago. Hanno denominatori comuni, queste
angosce: dal punto di vista storico, Georges Duby fa presente che non
sembrano molto dissimili dalle angosce diffuse alla fine del primo
millennio; dal punto di vista psicologico, Aldo Carotenuto
(junghiano, docente a «La Sapienza» di Roma, autore di molti saggi
tradotti in piu' lingue), parla di tremori ancestrali che a ogni
scadenza si riaccendono in grado diverso e che puntualmente si cerca
di esorcizzare: basti pensare ai festeggiamenti di una qualsiasi
notte di Capodanno. Primordiale lo spettro dell'aldila', oggi come
sempre inteso quale traguardo invisibile, «turbamento di un'anima che
non sa accontentarsi del rigore della mente», riflette lo
psicanalista. Direttamente collegato al Medioevo quello dell'Aids,
non a caso definito sovente «la peste del 2000». Classici di una fine
millennio i fantasmi della violenza e del razzismo, tra i quali il
professore vede un legame stretto. Alcuni tocchi nuovi ammantano
invece l'altra, antica, paura della miseria. «Avendo in Occidente, in
genere, equiparato esigenze reali e bisogni indotti - continua
Carotenuto - viviamo come una catastrofe l'eventualita' di dovere
rinunciare, anche parzialmente, alla soddisfazione di questi ultimi.
Abituati a vivere oltre le nostre capacita', ci sentiamo poveri se
non riusciamo a comperare scarpe di una certa marca o vestiti di una
determinata foggia». E' nel Terzo e Quarto Mondo, in aree dove intere
comunita' non sanno se e cosa mangeranno il giorno dopo, che il
termine riacquista significato. Le comunita' cristiane sono peraltro
le sole a percepire l'imminente fine di un millennio, visto che, per
limitarci alle tre grandi religioni rivelate monoteiste, gli ebrei
nel corso del nostro anno 2000 entreranno nel 5760 e i musulmani nel
1421. «Basterebbero certe crudelta' e prevaricazioni del Medioevo -
afferma lo psicanalista - a dimostrare come, in passato, la violenza
non fosse minore rispetto ad oggi». Il dato nuovo e' che la
comunicabilita' possibile si e' molto estesa; tv e stampa ci
informano di quasi tutto cio' che accade anche a decine di migliaia
di chilometri, dai gas nervini di Tokyo al crollo di un palazzo
nell'Oklahoma, dall'autobomba in Medioriente ai massacri in Rwanda, e
traffici d'armi, dirottamenti aerei, sequestri di persona, sette
suicide. Prima, il raggio delle informazioni era molto piu'
ristretto, limitato. Non si conosceranno mai la portata e l'entita'
dei delitti che attraverso i secoli furono consumati senza che
nessuno venisse a sapere. Di fianco alle molteplici interpretazioni
dell'aggressivita', con i relativi fattori scatenanti, cita un luogo
comune che la migliore difesa e' l'attacco. Da cosa ci si difende,
alle soglie del terzo millennio? «Da un ''altro'' sentito e vissuto
quale oggetto persecutorio - risponde Carotenuto -. Quel medesimo
''altro'' che, come possiamo osservare negli episodi di razzismo,
diviene ''male contaminante'' ed epidemia dilagante. Si tratta di una
sorta di regressione alla ''diceria dell'untore'', una ghettizzazione
del diverso e del malato, realta' con le quali mi confronto
quotidianamente nella mia professione». Ma la paura e' da sempre
condizione intrinseca della natura umana: «Compagna inseparabile
della liberta' e dell'emozione del possibile, ci getta tra i flutti
del divenire. Credo che tutto sia cominciato dal mare e da quegli
impavidi viaggiatori che ebbero il coraggio di staccarsi dalle coste
per lanciarsi in pieno oceano. «Le paure di oggi rimandano l'immagine
di un individuo che da solo vuole confrontarsi con il mondo, ma con
il timore di lasciarsi ''toccare'', di incontrare l'altro e
nell'istante dell'incontro trovarsi smarrito, senza punti di
riferimento. La maggior parte delle relazioni interpersonali viene
gestita nell'ordine del convertire, isolare o cacciare; l'esasperata
difesa della propria individualita' demonizza e allontana qualsiasi
''altrui volto'' non familiare. E' la legge di Sodoma, i cui abitanti
odiavano e perseguitavano lo straniero». Chi sa quali problemi
avranno gli abitanti della Terra allo scadere del quarto millennio.
Magari gli stessi. Ornella Rota
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Su «Nature» rischio asteroidi
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia
ONOMI SCHOEMAKER EUGENE
OORGANIZZAZIONI NATURE
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy
La rivista «Nature» nel primo numero del '97 pubblica un articolo sul
rischio di collisione tra la Terra e una famiglia di almeno 200
asteroidi che incrociano l'orbita del nostro pianeta. Questi corpi,
tutti con un diametro che supera il chilometro, proverrebbero dal
gruppo degli asteroidi Troiani che precedono Giove sulla sua orbita:
di qui sfuggirebbero per l'influsso gravitazionale di Saturno. Tra
gli autori dell'articolo, Eugene Schoemaker, uno degli scopritori
della cometa precipitata su Giove due anni fa.
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
I tre Galileo incontro a Padova
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PADOVA (PD)
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy
«I tre Galileo» e' il tema di un convegno internazionale iniziato
ieri a Padova per concludersi venerdi'. Oltre che al grande
scienziato pisano, il riferimento e' alla navicella della Nasa
«Galileo» che sta esplorando Giove e i suoi satelliti e al telescopio
nazionale italiano «Galileo» che sta entrando in attivita' a Las
Palmas, nelle isole Canarie. Intanto nel padovano Palazzo della
Ragione si sta allestendo la mostra «Viaggio nel cosmo», che si
aprira' il 25 gennaio e chiudera' il 15 giugno.
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Internet Italia '97
OGENERE breve
OARGOMENTI comunicazioni
OORGANIZZAZIONI VOX MULTIMEDIA
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS communication
E' in edicola il secondo numero di «Internet Italia '97», mensile
della Vox Multimedia che offre una guida in Cd-Rom per capire e usare
subito Internet: elenco completo dei server italiani, anteprime di
innumerevoli siti e tutto il software per navigare, creare pagine Web
e scambiare messaggi. Sempre della Vox Multimedia, segnaliamo gli
economici Cd-Rom di giochi «Casino': Las Vegas nel vostro computer» e
«Gameland».
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
«Chi l'ha visto?» dell'archeologia
OGENERE breve
OARGOMENTI archeologia
ONOMI BERTOLETTI ALBINO
OORGANIZZAZIONI GIUNTI, GIUNTI MULTIMEDIA, ARCHEOLOGIA VIVA, ACCADEMIA
EUROPEA DELLA
MULTIMEDIALITA'
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS archaeology
La rivista «Archeologia viva», edita da Giunti, con il primo numero
del '97 vara una nuova rubrica: il «Chi l'ha visto?» dei beni
archeologici perduti o trafugati. L'iniziativa e' in collaborazione
con i carabinieri del Comando Nucleo Tutela Patrimonio Artistico.
Sempre in tema di studi su antiche civilta', la Giunti Multimedia ha
appena distribuito il Cd-Rom «Kon-Tiki», dedicato alle mitiche
spedizioni dell'esploratore norvegese Thor Heyerdahl (99 mila lire).
Intanto Albino Bertoletti, direttore della Giunti Multimedia, e'
stato eletto «uomo multimediale dell'anno» dall'Accademia europea
della multimedialita', con sede a Parigi.
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
L'OTOCIONE, CANIDE AFRICANO
Ma che orecchie grandi!
Un carnivoro che si nutre d'insetti
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia, animali
ONOMI SMITHERS REAY
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology, animal
LO chiamano «bat-eared fox», cioe' «volpe dalle orecchie di
pipistrello». Perche', fatte le debite proporzioni, le sue orecchie
non hanno nulla da invidiare a quelle dell'orecchione, il pipistrello
diffuso in tutta Europa e anche dalle nostre parti. Parlo
dell'otocione, il bel canide africano dalla pelliccia fulva o grigio
argentata e dal musetto birichino in cui spiccano i grandi occhi
dalla pupilla tonda e dall'espressione maliziosa. Che abbia un udito
sopraffino non fa meraviglia con quel po' po' di orecchie che si
ritrova. Orecchie che servono a sentire il brusio degli insetti che
vivono sottoterra. Quando gli viene fame e va a caccia di prede,
l'otocione ha un sistema brevettato per scovarle. Si mette in una
curiosissima posizione con la testa all'ingiu' e le grandi sventole
auditive poggiate al suolo. E ascolta. Non appena ha individuato
esattamente il punto da cui proviene il rumore - per noi
assolutamente impercettibile - non perde tempo. Si mette
immediatamente a scavare di buona lena con gli unghioni delle zampe
anteriori. E in men che non si dica raggiunge l'obiettivo. Che, il
piu' delle volte, consiste in larve di insetti o in termiti della
specie Hodotermes mossambicus, quelle di cui e' piu' ghiotto. Non
c'e' che dire. Si tratta di una vera e propria anomalia. Quando mai
un carnivoro che si rispetti si nutre di insetti? Si direbbe che
l'otocione venga meno alla tradizione. E' vero che carne, sia pure in
pillole, e' anche quella degli insetti, ma l'otocione fa parte della
famiglia dei canidi e tutti quanti i canidi, dai lupi ai licaoni, dai
coyote ai dinghi, esigono prede ben piu' consistenti. Gli insetti non
li degnano nemmeno di uno sguardo! Come va questa faccenda? L'ha
chiarito il biologo Reay H. N. Smithers dell'Universita' di Pretoria
che si e' preso la briga di analizzare il contenuto gastrico degli
otocioni durante un anno intero. E che cosa ha scoperto? Che nella
stagione delle piogge, la calda stagione umida che in quel Paese
australe dura da ottobre a febbraio, allorche' avviene una vera e
propria esplosione d'insetti, gli otocioni non si lasciano scappare
l'occasione e attingono a piene mani a questa sovrabbondante fonte di
cibo. Ma quando subentra la stagione fredda e secca che raggiunge il
suo culmine in maggio e gli insetti scarseggiano, allora l'otocione
ripiega su lucertole o piccoli roditori e non disdegna nemmeno
vegetali come bacche o frutti. Fatto davvero insolito per un
carnivoro. La predilezione dell'otocione per gli insetti comporta un
tipo di dentatura diversa da quella degli altri carnivori. Niente
piu' canini sviluppatissimi che si conficcano come pugnali nelle
carni delle vittime. Per sgranocchiare la dura corazza chitinosa dei
coleotteri, delle cavallette o delle termiti, di denti ce ne vogliono
parecchi. E infatti l'otocione ne possiede da quarantotto a
cinquanta, anziche' quarantadue, come la maggior parte dei canidi.
L'habitat ideale per questo carnivoro sui generis? Le regioni
semiaride, ricoperte da vegetazione erbacea non troppo alta, le piu'
adatte allo scavo. Perche' gli otocioni non scavano soltanto per
snidare gli insetti. Lo fanno anche per fabbricarsi una tana
sotterranea lunga piu' di tre metri e profonda un metro circa. Ha un
ingresso principale e uno o piu' ingressi secondari, che funzionano
anche come uscite d'emergenza. Con tanti predatori in giro la
prudenza non e' mai troppa. Una tana cosiffatta puo' ospitare anche
una decina di individui. Gli occupanti sono igienisti ad oltranza. Si
guardano bene dall'insudiciare la casa comune con i loro escrementi.
Vanno a depositarli in una localita' esterna che serve da toilette
collettiva. I maschi contrassegnano i confini del loro territorio. Le
femmine fanno altrettanto solo quando sono in estro. Il loro e' un
chiaro messaggio rivolto ai maschi: «Sono pronta alle nozze. Fatevi
avanti». In questo modo l'incontro tra i sessi risulta facilitato. Un
otocione maschio ospite dello zoo di Utica (Usa) e' stato visto
accoppiarsi dieci volte al giorno per una settimana di fila. Non si
sa se in natura il temperamento amoroso di questo mammifero sia
altrettanto focoso. Sta di fatto pero' che il legame di coppia puo'
protrarsi per tutta la vita. I piccoli vengono al mondo in
concomitanza con la stagione delle piogge, quando terra e aria
pullulano d'insetti. Ne nascono da quattro a sei, ma quando la madre
si accorge di averne partorito uno o due di troppo (ne puo' tirar su
felicemente quattro al massimo), risolve il problema mangiandosi
l'eccedenza. Sorvolando su questo comportamento cannibale, per altro
motivato, bisogna dire che il compito degli otocioni genitori e'
davvero impegnativo. I piccoli nascono con gli occhi chiusi. Sono
affarini minuscoli che dipendono in tutto e per tutto dalle loro
cure. Quando fanno le prime timide uscite, padre e madre si piazzano
all'imbocco della tana per sorvegliarli meglio. E se qualcuno compie
un gesto avventato, lanciano immediatamente un richiamo che nella
lingua degli otocioni significa «torna subito a casa». Se il piccolo
non ubbidisce, il padre, piu' spesso che la madre, parte in quarta,
lo raggiunge, lo prende delicatamente per la collottola e lo riporta
nella tana. Dal canto suo, il piccolo che si crede abbandonato lancia
un gridolino di disperazione che sembra il cinguettio di un uccellino
e la madre gli risponde in tono rassicurante. I cuccioli sono un po'
figli dell'intera comunita'. Quando nel branco vi sono almeno due
femmine adulte, i piccoli succhiano il latte indifferentemente
dall'una o dall'altra. Per difendersi dai predatori, gli otocioni
fanno fronte comune e sferrano un attacco collettivo contro il
nemico. Una strategia che pero' e' destinata a fallire se il
predatore e' l'uomo, che da' la caccia al canide africano perche'
giudica molto appetitosa la sua carne. Particolarmente ambita e' la
coda. Non serve da cibo. Se ne adornano con civetteria le donne
indigene sposate per distinguersi a colpo d'occhio dalle zitelle.
Isabella Lattes Coifmann
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Bozzo Massimo: «La grande storia del computer», Dedalo
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI informatica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS computer science, book
ANNO per anno, la storia del computer nel piu' completo quadro
dell'evoluzione informatica oggi disponibile in volume. Massimo Bozzo
parte dal 30.000 avanti Cristo, epoca alla quale risale un osso che
reca incise 55 tacche con divisioni di 5 in 5, forse la prima
calcolatrice dell'umanita', e arriva al 2 agosto del 1996, quando Usa
e Giappone siglano uno storico accordo che liberalizza il commercio
dei semiconduttori. Sono 850 le notizie e 400 le illustrazioni
contenute in questa utilissima cronologia informatica. Brevi testi di
raccordo illuminano i periodi che scandiscono la storia di quella che
e' certo la piu' rivoluzionaria tecnologia della seconda meta' del
nostro secolo.
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Lo Campo Antonio: «Il ritorno sulla Luna», Ed. Chiaramonte (Collegno)
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
Il primo sbarco dell'uomo sulla Luna, avvenuto il 21 luglio 1969, ha
rubato la scena alle sei missioni successive. Eppure, senza nulla
togliere ad Arm strong, Aldrin e Collins, i protagonisti della prima
escursione su un altro corpo celeste, le missioni che seguirono non
furono da meno, ne' per la loro spettacolarita' ne' per messe di dati
scientifici. Con puntigliosa precisione, Lo Campo ci da' ora il
resoconto del viaggio dell'Apollo 14, che nel febbraio '71 vide
scendere nella regione lunare di Fra Mauro Shepard e Mitchell, mentre
Roosa rimaneva in orbita ad attenderli. E' una storia avvincente,
soprattutto per la vicenda umana di Shepard, colpito in precedenza da
una malattia dell'udito; e per la stravaganza di Mitchell, che tento'
di propria iniziativa improbabili esperimenti di telepatia con un
medium di Chicago. Da segnalare l'ultimo capitolo, sulle prossime
missioni lunari. La presentazione e' dell'astronauta Umberto Guidoni.
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Carotenuto Aldo: «La mia vita per l'inconscio», Di Renzo Editore
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI psicologia, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS psychology, book
Aldo Carotenuto, psicoanalista, docente di psicologia della
personalita' all'Universita' di Roma, autore di 23 libri tradotti in
molte lingue, uno dei maggiori studiosi dell'opera di Jung, ci
presenta ora la propria autobiografia: che pero' indulge poco agli
aspetti esteriori e invece insiste molto su quelli culturali e
professionali. Non c'e' da stupirsi, del resto, se uno junghiano come
Carotenuto vede la propria vita essenzialmente come un lento,
difficile, talvolta doloroso progredire nella conoscenza di se' e,
attraverso le sedute analitiche, nella conoscenza degli altri: due
aspetti inestricabilmente connessi. La sua vita, insomma, non e'
costituita da «fatti» ma da eventi interiori. Che diventano, per il
lettore interessato alla psicoanalisi, una lezione magistrale di
professionalita'.
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Amerio-Elli: «Parliamo di acquacoltura e pesca», Edagricole
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS zoology
L'acquacoltura e' oggi un settore importante dell'economia, e in
forte espansione. Il volume di Amerio ed Elli e' una buona
introduzione generale. Piu' specifici, pubblicati dallo stesso
editore, «L'allevamento della trota» di Sedgwick e «Il gambero di
acquadolce e il suo allevamento» di Arrignon.
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Chiaro Marina: «I sondaggi telefonici», Ed. CISU
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI comunicazioni, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS communication, book
Sociologia e telecomunicazioni celebrano il loro matrimonio nei
sondaggi telefonici, uno strumento oggi usatissimo nel marketing, in
politica, nel giornalismo. Ma fino a che punto e' attendibile il
campione degli abbonati al telefono? Quali sono le tecniche che
garantiscono i risultati migliori? In questo studio accurato e di
facile lettura nonostante la specializzazione del tema, Marina
Chiaro, responsabile del Servizio Opinioni della Telecom, ci
introduce ai segreti di una tecnica di indagine dalla quale dipendono
oggi molte decisioni che riguardano la vita e gli interessi di tutti
i cittadini. Da segnalare i capitoli sui sondaggi condotti da aziende
in Italia, Francia, Inghilterra e Norvegia e sulle esperienze
dell'Istat. Piero Bianucci
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
CONTRACCETTIVI NATURALI
Feromoni invece che pesticidi
Impediscono la riproduzione degli insetti
OAUTORE QUAGLIA GIANFRANCO
OARGOMENTI biologia, zoologia, ecologia
OORGANIZZAZIONI ISAGRO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, NOVARA (NO)
OSUBJECTS biology, zoology, ecology
ESISTONO tanti modi per evitare un'«attrazione fatale» e c'e' chi li
applica in maniera scientifica. Da 20 anni e con successo,
contrastando incontri probabili e irresistibili, accoppiamenti sicuri
e prole incontrollata. Gia', perche' nella piu' grande fabbrica
italiana di feromoni, nata per prima in Europa nel 1977, i
ricercatori studiano e mettono in pratica metodologie finalizzate
all'interruzione degli accoppiamenti. E' un duello uomo-insetto
quello che si combatte ogni giorno all'Isagro di Novara (Industria di
specialita' agrochimica) oggi controllata da una societa' di manager,
e nata nel '77 come divisione dell'Istituto Donegani. All'interno del
prestigioso centro di ricerca (oggi Enichem) l'Isagro agisce per
conto proprio, ma usufruendo di strutture e apporti culturali e
scientifici del Donegani. I ricercatori dell'Isagro (ex Donegani)
furono i primi in Italia ad anticipare le tecniche di lotta agli
insetti dannosi in agricoltura, intervenendo sulle specie stesse
senza ricorrere alla chimica. Il professor Paolo Piccardi, direttore
scientifico della ricerca, e' uno dei massimi esperti in questo
settore delle biotecnologie che studia il comportamento degli
individui di sesso opposto. Il feromone sessuale e' la sostanza
secreta all'esterno del corpo degli insetti, piu' frequentemente
dalle femmine. E' il richiamo odoroso per il maschio, che segue la
traccia controvento, opera un «corteggiamento» che si conclude con la
copula. Piccardi e la sua equipe intervengono sui feromoni,
riconoscono la struttura molecolare della sostanza e la riproducono
per sintesi. A questo punto il feromone ottenuto artificialmente e'
pronto per simulare il rilascio della sostanza della femmina
attraverso diffusori meccanici. Tre sono gli obiettivi: monitorare la
presenza dell'insetto dannoso da controllare, catturare gli insetti
stessi con trappole (chiamate Traptest); oppure creare confusione
nelle tracce odorose naturali con il feromone sintetito, in modo che
il maschio non possa piu' trovare la femmina. Una pianificazione
delle nascite che si traduce in risparmi per le aziende agricole e
salvaguardia dei raccolti. Questi sistemi di «contraccezione
naturale» riducono di un 50 per cento l'uso di pesticidi. La maggior
parte dei feromoni identificati riguarda i lepidotteri, soprattutto
quelli che attaccano i frutteti, ma anche il settore forestale sta
beneficiando in larga parte. A Novara sono oltre 100 i feromoni di
sintesi, ormai riprodotti per la lotta a tutti i principali
parassiti. In 20 anni sono stati realizzati e venduti agli
agricoltori di tutta Italia e in altre parti del mondo oltre 100 mila
erogatori; 500 mila diffusori per la lotta confusionale e parecchie
decine di migliaia di trappole. Uno dei principali successi e'
rappresentato dai risultati raggiunti nella lotta alla
«processionaria del pino» e al «rodilegno rosso», quest'ultimo un
insetto le cui larve crescono scavando cunicoli nei rami e nei
tronchi. Qual e' l'ultima frontiera dei feromoni? Dice Piccardi:
«Oggi stiamo cercando di agire sulla biosintesi dei feromoni stessi,
per evitare gli incontri. In altre parole: vogliamo intervenire a
monte del problema, interferendo sugli stimoli, prima ancora di
operare sul campo». I ricercatori hanno individuato negli insetti un
ormone, il «neuropeptide»: e' lo stimolo del cervello che percepisce
la necessita' di accoppiamento e da' il via alla produzione del
feromone. Influendo su questo stimolo si inibisce la copula. Insomma,
si blocca il meccanismo della libido, inibire quell'«attrazione
fatale» colpevole di riproduzione. In questo senso il gruppo
dell'Isagro ha compiuto notevoli passi avanti. Un altro campo di
ricerca e' indirizzato ai tempi di intervento con il feromone di
sintesi: quasi sempre, per la maggior parte delle specie, gli
accoppiamenti sono notturni. Piccardi: «Stiamo realizzando impianti
stabili e bombolette a tempo, che rilasciano la sostanza soltanto in
determinate ore. In questo modo l'efficacia del trattamento non va
dispersa e si riducono i costi». Gianfranco Quaglia
ODATA 08/01/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
RICERCHE IN INGHILTERRA
Un'arma biotecnologica contro il cancro
Identificati e riprodotti gli inibitori delle metalloproteinasi
OAUTORE PONZETTO ANTONIO
OARGOMENTI biologia, ricerca scientifica, tecnologia
OORGANIZZAZIONI VEGF
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, AUSTRIA, VIENNA
OSUBJECTS biology, research, technology
ROMA non fu fatta in un giorno. Ci vogliono tempo e lavoro, per
costruire una citta'. Cosi' e' anche per quella citta' di cellule -
mostruosa e terribile - che e' il cancro: ci vuole tempo. Una citta'
che si espande non puo' sopravvivere senza acqua, e percio' si
debbono costruire serbatoi, acquedotti, stazioni di pompaggio e
distribuzione, e ovviamente occorre mantenere il tutto in efficienza.
Nello stesso modo, un tumore non puo' crescere ed espandersi senza
sangue, e percio' deve costruire nuovi vasi, nuovi capillari, e
mantenerli aperti e funzionanti. Il sistema usato dal cancro si fonda
su due principi: a) reclutare personale qualificato per costruire le
tubazioni, che chiamiamo vasi neoformati; b) abbattere le mura di
cinta delle cellule, che chiamiamo membrane basali. Il personale
specializzato in tubazioni e' costituito dalle cellule dei vasi gia'
esistenti; queste cellule sono in fase di riposo, nell'organismo
adulto, e non costruiscono nuove arterie, vene e capillari. Ma le
cellule del cancro producono un potente fattore di attivazione, il
Vascular Endothelial Growth Factor (Vegf) che recluta le cellule
specialiste in riposo e le incita a lavorare 24 ore su 24, senza
interruzione. Ma anche se ora sono a disposizione i vasi, e quindi il
nutrimento che essi portano con il sangue, le cellule del cancro non
possono colonizzare la nuova patria se non riescono a distruggere le
mura di cinta, cioe' le membrane basali. A questo scopo le cellule
del cancro producono - purtroppo - una serie di armi, definite
metalloproteinasi, che distruggono le membrane basali: ora le cellule
tumorali possono liberamente diffondersi la' dove i vasi neoformati
sono arrivati, e proseguire di qui avanti, e avanti, e avanti, sempre
piu' lontano a formare il tumore primitivo e le metastasi. Per
fortuna la biotecnologia e' riuscita a identificare degli inibitori
delle metalloproteinasi, e ora anche a produrli in laboratorio. Al
recente convegno europeo sul cancro, che si e' tenuto a Vienna, sono
stati riportati i primi dati sulla terapia con gli inibitori delle
metalloproteinasi nel carcinoma della mammella, del pancreas e del
colon. I risultati preliminari sono molto incoraggianti: dei 470
pazienti ammessi al test della nuova cura - quando gia' il cancro era
diffuso e metastatizzato - quelli curati con il nuovo farmaco hanno
mostrato una sopravvivenza molto maggiore rispetto ai pazienti che
hanno ricevuto solo le terapie finora a disposizione. Il gruppo dei
ricercatori inglesi scopritori, in laboratorio, del meccanismo, della
cura ha fondato una ditta di biotecnologie, e sta ora iniziando gli
studi per poter offrire ai pazienti con vari tipi di cancro questa
terapia. E' chiaro che si tratta di un passo avanti importante, anche
se non di una vittoria definitiva. Non si cerca piu' soltanto di
uccidere le cellule che si moltiplicano, nella speranza di poter
uccidere molte piu' cellule tumorali che cellule sane (le cellule
normali devono moltiplicarsi, altrimenti il corpo muore!), ma si
cerca anche di bloccare specificamente la distruzione delle mura di
cinta - e quindi l'invasione - per ottenere la delimitazione del
tumore, e poterlo quindi aggredire direttamente con la chirurgia, o
la radioterapia, senza piu' temere la sua diffusione. Antonio
Ponzetto
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. SUPERMARKET
Gli acquisti
drogati
dalla musica
OAUTORE GIACOBINI EZIO
OARGOMENTI psicologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS psychology
PARTICOLARI motivi musicali evocano i nostri ricordi, ci fanno
sognare associando sensazioni del presente a esperienze del
passato. Possono perfino spostare il nostro umore verso l'allegria
o la malinconia. Secondo uno studio compiuto da un gruppo di
psicologi inglesi e pubblicato sulla rivista Nature il potere della
musica e' tale da influenzarci anche nella scelta di determinati
prodotti.
Entrando in un grande emporio o in un supermercato siamo avvolti
da una musica di fondo che ci dice "rilassati, godi di questa
visita e compra da noi". Fino a che punto puo' il fascino del
messaggio musicale non solo sottolineare il piacere dell'acquisto
ma anche aumentare le vendite e indirizzarle verso certi prodotti?
E addirittura e' possibile guidare il cliente verso un dato
prodotto facendogli scartare quelli simili? E se nel caso della
vendita di prodotti alimentari italiani o francesi in un
supermercato londinese si potesse pilotare l'interesse dei clienti
verso i primi utilizzando il canto di Pavarotti? Stimolati dal
valore commerciale della musica in Inghilterra (54 milioni di
sterline in un anno in diritti d'autore per musica non trasmessa
alla radio) si e' pensato di misurare il potere della musica
trasmessa nei negozi nell'influenzare le scelte dei clienti.
Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Psicologia
dell'Universita' di Leicester in Gran Bretagna ha voluto mettere
alla prova l'ipotesi che l'ascolto di musica francese stereotipica
potesse stimolare la nostra fantasia ed indirizzarci verso
l'acquisto di vini francesi. Vennero selezionati a questo scopo 4
vini francesi e 4 vini tedeschi equivalenti per prezzo e qualita'.
Le bottiglie erano disposte separatemente per nazionalita' su
quattro scansie diverse ognuna distinta dalla bandiera del
rispettivo Paese di produzione.
A meta' dell'esperimento di durata di due settimane veniva variata
la posizione delle bottiglie nelle scansie. A giorni alterni si
suonavano pezzi caratteristici dei due Paesi. Per la Francia si
trattava di brani di musica popolare per fisarmonica e per la
Germania di pezzi tipici da birreria. Gli acquirenti erano pregati
di riempire un formulario esponendo il motivo della scelta tra i
due tipi di vini. I risultati dello studio dimostrano che eseguendo
musica francese venivano ad aumentarsi notevolmente le vendite del
vino francese rispetto a quello tedesco (80 per cento), mentre
quando si suonavano motivi tedeschi il 74 per cento della vendita
era di vino tedesco benche' il pubblico indicasse una preferenza
generale per il vino francese rispetto a quello tedesco. Nonostante
la chiarezza dei risultati solo una minoranza di acquirenti era
disposta ad ammettere che la scelta era stata influenzata dal tipo
di musica.
Molti ammettevano di aver pensato subito al Paese e di aver
associato provenienza del vino e tipo di musica ma quasi nessuno
confessava di esser stato guidato dai motivi musicali nella scelta
del vino. Cio' rivela una sottile influenza da parte della musica a
livello sub- coscio. In ricerche future si potrebbe indagare
sull'effetto della musica rispetto al silenzio o controllare se la
musica possa influenzare di piu' i clienti meno decisi nella scelta
di un prodotto. I risultati di questo studio non passeranno
certamente inosservati ai commercianti. Dobbiamo prepararci al
giorno in cui ci precipiteremo verso bottiglie di vino californiano
(scartando il dolcetto italiano) attirati dalla voce di Frank
Sinatra o verso la birra inglese guidati dal canto delle Spice
Girls.
Ezio Giacobini
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Bohm David: "Causalita' e caso nella fisica moderna",Cuen
OGENERE rubrica
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI fisica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS physics, book
Allievo di Oppenheimer, David Bohm (1917-1992) ha lavorato al
Lawrence Laboratory, alla Princeton University e poi in istituti
universitari del Brasile, di Israele e della Gran Bretagna. In
questo saggio, che risale al 1957 ma e' tuttora attualissimo, Bohm
affronta il problema scientifico e filosofico della revisione dei
concetti di causalita' e di casualita' alla luce della rivoluzione
concettuale segnata dalla meccanica quantistica. Nella stessa
collana segnaliamo di Vittorio Silvestrini "Controverso:
globalizzazione, qualita' della vita, lavoro".
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. FESTE E PSICOSI CICLICHE
La depressione di Capodanno
Alterazioni dei ritmi endogeni e cronoterapia
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, psicologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, psychology
VI sono malattie "cicliche", ossia tendenti a ripetersi con ritmo
periodico. La psicosi maniaco-depressiva e' un classico esempio di
ciclicita' nella patologia psichiatrica, con i suoi accessi
separati da pause di normalita'. Altro esempio sono le forme
depressive stagionali, che compaiono ogni anno, in genere fra
ottobre e dicembre, spesso nelle feste di fine anno
(Natale-Capodanno), e scompaiono in primavera, in persone che per
mantenere l'umore abituale hanno bisogno d'una certa esposizione
alla luce, esposizione che si riduce nell'autunno e nell'inverno.
Oppure la dipsomania o alcolismo periodico, un improvviso "furore
di bere" che fa perdere ogni controllo e poi si placa per
ricomparire altre volte.
E ancora variazioni cicliche alimentari quali l'anoressia, la
bulimia, l'iperfagia verso i cibi zuccherini nel periodo
premestruale e nella depressione stagionale, il binge eating ossia
l'assunzione ciclica di una grande quantita' di cibo per breve
tempo, differente dalla bulimia per l'insorgenza impulsiva e
incontrollata, in genere per effetto d'uno stress emotivo.
Non c'e' da stupirsi di fronte a questa ciclicita', a questa
ripetizione con intervalli piu' o meno costanti: quasi tutte le
funzioni vitali sono ritmate a cicli, dall'alternanza veglia-sonno
alle variazioni della temperatura corporea durante le 24 ore, al
ciclo mestruale, alle variazioni dell'umore, a quelle della scelta
dei cibi, a talune secrezioni ormoniche, all'attivita' cerebrale
(lo dimostra l'elettroencefalogramma). L'organismo funziona con i
suoi ritmi, geneticamente determinati e biologicamente programmati,
regolati da un "orologio" i cui centri sono nell'ipofisi e nei
nuclei cerebrali ipotalamici come dimostra la sperimentazione sugli
animali.
Ma la ciclicita', pur essendo endogena, e' un fenomeno tutt'altro
che semplice. Numerosi fattori esterni influenzano i ritmi
endogeni, basti pensare all'alternanza giorno-notte, a quella delle
stagioni (un esempio: nella psicosi maniaco-depressiva si hanno
sovente accessi depressivi in autunno, accessi maniaci alla fine
dell'inverno), ai cambiamenti giornalieri delle attivita' sociali,
agli orari del lavoro e dei pasti, ai rumori ambientali. Tutti
questi segnali ritmati obbligano l'organismo a risincronizzarsi di
continuo e adattarsi alle variazioni esterne. La nozione di
sincronizzazione interna e di sincronizzazione esterna e'
essenziale per comprendere le patologie cicliche.
I ritmi biologici hanno periodi diversi: i piu' brevi vanno dai 30
minuti alle 21 ore, poi vi sono quelli di 24 ore (ritmi circadiani,
dal latino circa diem), quelli di oltre 27 ore, quelli di giorni. A
proposito dalle 24 ore va osservato che il nostro orologio interno
batte su un ritmo piu' lungo, 27 ore, dunque non e' regolato sulla
rotazione della Terra, e ogni giorno viene rimesso a punto dai
sincronizzatori esterni, la luce e i ritmi sociali. Se uno
spostamento ci fa cambiare il fuso orario, entro qualche giorno i
nostri ritmi biologici si riadattano. Tutto questo lo sappiamo
grazie alla cronobiologia, il ramo della biologia che studia le
interazioni complesse dei ritmi biologici e l'influenza dei ritmi
sulla patologia, oggetto di intense ricerche negli ultimi anni.
Naturalmente per le singole patologie cicliche vi sono specifiche
terapie, ossia farmaci antipsicotici, farmaci antidepressivi,
psicoterapia, regole igienico-dietetiche. Ma la cronobiologia ha
dato origine anche a modalita' curative particolari, e anzitutto
alla cronofarmacologia per migliorare l'utilizzazione dei
medicamenti in base ai ritmi biologici.
Un medicamento ha effetti diversi secondo il momento in cui e'
somministrato, occorre dunque ottimizzare la risposta terapeutica e
ridurre gli effetti indesiderabili. L'assorbimento, il metabolismo,
l'eliminazione dei farmaci variano secondo l'ora della presa, come
varia la sensibilita' del ricevente. Si e' visto per esempio che
certi farmaci sono assorbiti tre volte piu' rapidamente alle 7 del
mattino che alle 10 di sera, e che l'eliminazione renale e' massima
alla fine della notte e all'inizio del mattino.
Vi sono poi provvedimenti curativi originali, raccolti sotto il
termine di cronoterapia, aventi lo scopo di ottenere una
risincronizzazione quando siano perturbati i ritmi biologici. Si
puo' agire sugli orari del sonno, per esempio privazione ripetuta e
parziale del sonno nella prima o nella seconda parte della notte.
Altra tecnica, vedi le depressioni stagionali, e' la fototerapia:
esposizione a luce bianca senza ultravioletti e infrarossi, di
circa 3-5 mila lux di illuminamento, corrispondente all'intensita'
luminosa naturale d'un mattino di primavera, per una o due ore al
giorno. I risultati sono incoraggianti: il 60-80 per 100 dei
pazienti ne traggono un effetto antidepressivo gia' fra il 3o e il
7o giorno di trattamento, ma e' opportuno continuare per una
stagione, periodo comunque piu' breve dei 6-9 mesi di solito
necessari per una terapia farmacologica della depressione.
La cronobiologia sara' in avvenire una via preziosa per le
ricerche cliniche e terapeutiche. Frattanto e' bene ricordare che
la prima terapia e' il rispetto dei ritmi spontanei individuali.
Per fare un esempio l'ora del risveglio dovrebbe essere regolare e
spontanea perche' e' un pi vot organizzatore; un'ora di risveglio
provocato incide sull'attivita' cerebrale in relazione ad altri
ritmi, producendo una serie di disorganizzazioni.
Ulrico di Aichelburg
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. STRATEGIE DEI PESCI PICCOLI
La salvezza e' nel branco
E tanti sistemi per comunicare
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI etologia, zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ethology, zoology
SI e' parlato recentemente su queste pagine dell'esperienza di un
biologo che, durante un'immersione, capita in mezzo a una miriade
di acciughe. Un'esperienza affascinante, perche' mette l'uomo a
contatto diretto con quella che si puo' definire una delle piu'
efficienti strategie difensive della natura. Al fenomeno del "banco
di pesci" ha dedicato anni di ricerche una biologa americana,
Evelyn Shaw della Stanford University.
Cos'e' il banco? E' la forma piu' semplice di raggruppamento
sociale. Non e' una vera e propria societa', come potrebbe essere
quella delle api o dei babbuini, in cui c'e' un ordine gerarchico e
una suddivisione del lavoro. Non esiste un leader, un capofila che
guida lo sciame, ma i pesci che nuotano in prima linea si scambiano
frequentemente il posto con quelli che si trovano in posizioni
arretrate. E' come se i componenti del banco rispondessero a una
misteriosa parola d'ordine: "Attenzione! Mantenere le distanze.
Nuotare paralleli ai compagni di destra e di sinistra. Pronti a
virare se gli altri virano. Sempre compatti e all'unisono in tutti
i movimenti".
E' la strategia vincente per sopravvivere in un mondo, come quello
acquatico, popolato da predoni affamati. La adottano i pesci
piccoli, come quei graziosi pesciolini giallo-rossi lunghi
una decina di centimetri che rispondono al nome di Anthias
squamipinnis, ma la adottano anche pesci piu' grossi come le
acciughe, le aringhe, i merluzzi, i tonni e tanti altri. Sono
banchi costituiti da esemplari di dimensioni pressoche' identiche e
quindi presumibilmente della stessa eta', che possono contare anche
milioni di individui e ricoprono allora superfici immense. Si e'
accertato che l'attrazione reciproca si basa su stimoli visivi. E'
l'immagine del conspecifico che determina la reazione
dell'individuo e lo fa adeguare immediatamente alla posizione degli
altri.
Una cosi' perfetta sincronia di movimenti si evolve durante lo
sviluppo. Negli esperimenti fatti in laboratorio dalla ricercatrice
americana sui piccoli pesci argentei del genere Menidia, e' apparso
evidente che le larve di questi pesciolini, che alla nascita
misurano quattro millimetri e mezzo, incominciano a formare banchi
riunendosi in gruppo soltanto quando raggiungono gli undici o
dodici millimetri di lunghezza. Man mano che crescono, l'istinto
gregario si fa sempre piu' accentuato e i banchi diventano piu'
compatti. Indubbiamente il gruppo ha un effetto deterrente sul
predatore, un banco di pesci piccoli che procede compatto simula un
pesce grosso e la sua vista generalmente scoraggia il predatore. Ma
anche nel caso che non raggiunga lo scopo di intimorirlo, riesce
tuttavia a ridurre le perdite al minimo. Perche' tutto quel
turbinio di pesci che si muovono all'unisono intorno a lui, quel
balenio di riflessi argentei finiscono per confondonderlo. Non
riesce a mangiarne che una minima parte, mentre ne mangerebbe assai
di piu' se nuotassero isolati.
L'aggregarsi in molti puo' facilitare in certi casi anche la
ricerca del cibo. Prendiamo lo Zebrasoma veliferum, un pesce
chirurgo che vive nel Mar Rosso. I pesci chirurgo si chiamano cosi'
perche' hanno alla base della coda una spina a forma di bisturi,
taglientissima. Di solito questa spina se ne sta ripiegata come un
coltello a serramanico, ma scatta all'infuori quando il pesce si
difende da un attacco e allora puo' infiggere ferite assai
profonde. Lo Zebrasoma che, come tutti i suoi simili, e'
vegetariano, ha trovato la maniera di nutrirsi lautamente senza
alcuna fatica. Approfitta del fatto che un altro pesce chirurgo del
suo stesso habitat, l'Acanthurus sohal, s'impossessa di un
territorio e lo considera proprio orto privato. Se si avventurasse
da solo nell'orto di alghe del legittimo proprietario, lo Zebrasoma
non avrebbe nessuna probabilita' di successo. Verrebbe sicuramente
scacciato. Allora cosa fa? Si aggrega con parecchi suoi simili coi
quali forma un nutrito branco. E quando il "commando" irrompe nella
proprieta' dell'Acanthurus, questo viene letteralmente sopraffatto
dalla superiorita' numerica dell'invasore e assiste impotente alla
devastazione del suo orto.
Per tutt'altro scopo si coalizzano le inoffensive e graziose
donzelle (Coris julis). Non hanno nessuna intenzione di commettere
un'azione teppistica come quella degli Zebrasoma. Vogliono
semplicemente unire le proprie forze per scacciare un visitatore
importuno. Lo fanno per esempio per mettere in fuga un grosso polpo
che tenta d'insediarsi nella loro tana, oppure per cacciar via un
barracuda che vorrebbe stabilirsi nel loro territorio.
Queste coalizioni di creature inermi per combattere un nemico
assai piu' forte di loro prende nome di "mobbing". E' un termine
inglese che si puo' tradurre: "raggrupparsi in bande". Una
strategia abbastanza diffusa nel mondo animale.
Ma lo stare uniti in gruppo non serve solo a sentirsi protetti, a
procurarsi piu' facilmente il cibo, a scoraggiare i nemici o magari
ad assalirli in un attacco collettivo. Serve anche ad un altro
scopo: facilita l'incontro con il partner dell'altro sesso nella
stagione degli amori. Non c'e' piu' bisogno di andarsi a cercare
reciprocamente nei grandi spazi marini. Nel gruppo, il partner si
trova a portata di pinna e non si spreca tempo ed energia alla sua
ricerca.
La straordinaria coesione del banco di pesci presuppone che esista
un sistema di comunicazione tra i suoi membri. Qualche volta si
tratta di una vera e propria comunicazione vocale a base di
fruscii, di strofinii, di crepitii, in barba al detto che i pesci
sono muti. Un altro canale di comunicazione e' quello chimico. Come
gli insetti e i mammiferi, anche i pesci emettono messaggi odorosi,
i cosiddetti feromoni, che trasmettono messaggi di vario tipo. E
infine vi sono pesci che comunicano mediante l'elettricita'.
Come i mormiridi africani che producono debolissime scariche
elettriche. Non appena si profila all'orizzonte la sagoma di un
predatore, l'avvistatore passa parola (elettrica, naturalmente) ai
compagni che nuotano in ordine sparso e in men che non si dica si
aggregano tutti a simulare un pesce grosso che tiene il nemico a
distanza. La salvezza, dunque, sta nel numero.
Isabella Lattes Coifmann
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IMPORTATI IN ITALIA DAGLI ARABI
Le mille varieta' di agrumi
C'e' anche il mini-arancio Pinocchio
OAUTORE ACCATI ELENA
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS botany
GOETHE e Montale hanno cantato nelle loro poesie aranci e limoni.
Ma pochi sanno che l'arrivo in Sicilia del limone e dell'arancio
amaro (Citrus bigardia) avvenne soltanto intorno all'anno mille,
attraverso gli arabi. Quell'importazione segna l'inizio di una
diffusione costante degli agrumi, cosi' chiamati da agro, per
alludere al loro sapore, permettendo inoltre di valutare il ruolo
guida avuto dalla cultura araba nelle tecniche colturali e
soprattutto nei metodi di irrigazione.
Sulle riviere del nostro mare e sui laghi del settentrione
le piante incontrano un clima piu' favorevole per la loro
coltivazione e propagazione. Una volta introdotti connotano il
paesaggio distinguendosi da specie come il mirto e l'ulivo:
l'agrumeto fa si' che il paesaggio diventi un giardino.
Sono piante che grazie alla bellezza del fogliame persistente e
lucido, al profumo dei fiori, le zagare, al portamento della
chioma, hanno un aspetto raffinato, impreziosito dal colore dei
frutti (esperidi come sono definiti riallacciandosi al mito greco
che vedeva in essi le "mele d'oro" del giardino delle Esperidi, le
leggendarie figlie del Dio Atlante).
Sono quindi specie vegetali che uniscono gli aspetti dell'utile -
la ricchezza in vitamina C - e del diletto per il loro aspetto
festoso di abbondanza e prosperita', tanto che queste rutacee
(appartengono alla stessa famiglia di cui fa parte il caffe') sono
l'oggetto del desiderio di ogni persona amante del verde. Gli
agrumi inoltre hanno favorito lo sviluppo delle cedraie o
aranciere o limonaie progettate da insigni architetti. Ambienti
adibiti al loro ricovero invernale poiche' nelle zone a clima non
mite non si rinunciava alla loro presenza. In queste localita'
venivano coltivati in vaso grazie al loro apparato superficiale
e alla possibilita' di venire innestati su portainnesti aventi
taglia ridotta, e successivamente ritirati per evitare i danni
dovuti alle gelate.
Esempi illustri di simili edifici si hanno a Venaria Reale, ad
Aglie', a Stupinigi e in altre celebri residenze Sabaude, come nei
giardini dei Medici, in Toscana e nelle ville venete, da Schio a
Valsanzibio sui Colli Euganei, a Trissino nel Vicentino dove
esisteva il "passaggio della cedrara". Tranne il Poncirus, un
agrume a foglia caduca impiegato per fare siepi impenetrabili
grazie alle sue spine trifide e alla Fortunella japonica, il
kumquat i cui frutti gustosi e digestivi si consumano con la
buccia, tutti gli altri agrumi appartengono al genere Citrus. Molto
noti il pompelmo Citrus paradisi, il mandarino Citrus deliciosa e
C. reticulata caratterizzato secondo alcuni per avere un effetto
sedativo, la limetta, il Citrus limetta, il cui olio essenziale e'
largamente usato in cosmesi e profumeria, l'arancio dolce, Citrus
sinensis, chiamato in Piemonte portugal non diversamente dal
catalano portogalle o dal napoletano purtualle perche' si diceva
che i primi alberi d'arancio sarebbero stati introdotti dagli arabi
in Portogallo.
Assai meno coltivati sono il bergamotto, Citrus aurantium
bergamia, i cui frutti non commestibili hanno proprieta'
cicatrizzanti e antisettiche, il chinotto, il Citrus aurantium
myrtifolia i cui frutti si usano per preparare canditi, bibite,
liquori e cosmetici, il limone, Citrus limon e' pianta da cui sono
stati ottenuti molti ibridi come il Lipo derivato dall'incrocio con
il pompelmo, Lice dall'incrocio con il cedro, Mini-arancio
Pinocchio risultato dall'incrocio tra limone e mandarino con i
piccoli frutti dal sapore di vaniglia che non cadono a maturazione,
ma possono restare sulla pianta ancora per un anno. Molto appetito
da alcuni e' il cedro, il Citrus medica, con buccia spessa pari al
60-70% del frutto utilizzata per fare marmellate e canditi di cui
esiste una varieta' botanica, la sarcodactylis, con frutti quasi
privi di polpa, ma ricchi di oli essenziali.
Tra i numerosi temi oggetto di ricerca nell'ambito
dell'agrumicoltura spiccano sicuramente la nutrizione attraverso le
foglie grazie alla rapida assimilazione da parte degli agrumi della
maggior parte degli elementi nutritivi e a causa delle difficolta'
di assorbimento di alcuni elementi quando somministrati in taluni
tipi di terreno, come quelli ad elevato contenuto di carbonato di
calcio e per la mancanza di formulati capaci di essere assorbiti
attraverso il terreno come i composti a base di zinco e di
manganese. Assai studiato e' pure l'impiego di funghi ad azione
micorrizica come il Glomus in grado di fornire un aumento della
biomassa, dell'altezza delle piante, e dell'area fogliare.
Importanti sono pure tutte quelle tecniche che permettono di
risparmiare l'apporto di acqua al terreno, aspetto assenziale dato
che gli agrumi si coltivano in aree la cui piovosita' e'
notoriamente molto scarsa.
Infine non vanno dimenticati i programmi di lotta integrata che
rappresenta l'applicazione del "Piano nazionale di lotta
fitopatologica" in cui si cercano modelli innovativi di difesa
delle colture in grado di determinare un minore impatto nei
confronti dell'ambiente e dell'uomo.
Elena Accati
Universita' di Torino
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. DIECI NUOVI SITI PROTETTI
La bell'Italia dell'Unesco
Da Pompei alle Cinque Terre al Piemonte
OAUTORE GIULIANO WALTER
OARGOMENTI ecologia, archeologia
OORGANIZZAZIONI UNESCO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS ecology, archaeology
L'UNESCO, agenzia culturale dell'Onu che ha ormai compiuto 25 anni
di vita, ha aggiunto di recente alla lista di siti "patrimonio
dell'umanita'", 27 nuove localita': dal monastero armeno di Haghpat
al centro storico di Salisburgo, dal francese Canal du Midi ai
santuari della Bauhaus tedesca di Weimar e Dessau, dal memoriale
della pace di Hiroshima alla citta' messicana preispanica di Uxmal,
dal centro storico di Oporto ai vulcani della Kamchatka, dalla
regione lappone finlandese alla riserva faunistica di Okapi in
Zaire.
In Italia ai sedici beni gia' riconosciuti sono stati aggiunti, un
mese fa, altri dieci siti: le aree archeologiche di Pompei,
Ercolano e Torre Annunziata, il Palazzo Reale di Caserta, la
Costiera Amalfitana, a Modena la Cattedrale, la Torre Civica e
piazza Grande; Porto Venere e le Cinque Terre, i Nuraghi di
Barumini in Sardegna, l'area archeologica di Agrigento e la villa
Romana di Piazza Armerina, l'Orto Botanico di Padova e tutte le
residenze sabaude piemontesi: a Torino il Palazzo Reale, l'Archivio
di Stato, Palazzo Madama, Palazzo Carignano, il Castello del
Valentino, la Villa della Regina.
E inoltre i castelli di Rivoli, Moncalieri, Venaria, La Mandria,
Aglie', Racconigi, Govone e la Palazzina di Stupinigi.
Il primo luogo ad essere ammesso, nel 1979, fu l'area archeologica
delle incisioni rupestri della Valcamonica. L'anno seguente fu la
volta della chiesa e del convento domenicano di Santa Maria delle
Grazie con "L'Ultima Cena" di Leonardo da Vinci. Nel 1982 nel
patrimonio mondiale entro' il centro storico di Firenze, seguito
cinque anni piu' tardi da Venezia e dalla sua laguna e dalla piazza
del Duomo di Pisa.
Poi fu la volta del centro storico di San Giminiano (1990) dei
Sassi di Matera (1993), di Vicenza, con i tesori del Palladio
(1994). Nel 1995 entrarono i centri storici di Siena, Napoli,
Ferrara e il complesso industriale di Crespi d'Adda. La penultima
aggiunta ha iscritto nella lista Castel del Monte e i trulli di
Alberobello nelle Puglie, i monumenti paleocristiani e i mosaici di
Ravenna, il centro storico e la citta' di Pienza. Nell'insieme si
tratta delle maggiori citta' d'arte italiane, ricche di storia e di
patrimoni monumentali, architettonici, artistici. Vediamo i meno
conosciuti.
Cominciamo da Crespi d'Adda, il sito piu' rappresentativo,
interessante e meglio conservato della rivoluzione industriale. Un
bene culturale e ambientale costituito da una straordinaria sintesi
tra insediamento industriale e paesaggio. Di grande valore storico
e figurativo, testimonia come lo sviluppo del paese, a partire dal
1877, si e' ben saputo adattare alla morfologia del terreno. Vi
sono progressivamente sorti gli opifici destinati alla filatura e
ritorcitura, le case operaie di tipo condominiale, l'albergo, la
scuderia, la mensa, la scuola-teatro, le case bifamigliari, il
castello, la chiesa, il cimitero, il villaggio operaio, la
tintoria, l'ambulatorio. Un processo che ha portato alla
realizzazione di un vero e proprio villaggio operaio-giardino il
cui tracciato curvilineo testimonia il perfetto disegno di
assecondare la natura del terreno. I villini di gusto tra Liberty e
l'Art Deco sorti nel 1925, aggiungono un tocco di raffinata
eleganza testimoni di un'epoca.
Crespi e' una frazione del comune di Capriate San Gervasio in
provincia di Bergamo a diciotto chilometri dal capoluogo.
Cristoforo Benigno Crespi acquisto li' un terreno boschivo di circa
85 ettari a Nord-Ovest dell'Adda tra Capriate e Canonica, in una
zona ricca delle acque dell'Adda e del Brembo.
Nel giro di una quindicina d'anni Crespi vi realizza un complesso
industriale in sintonia con le concezioni imprenditoriali seguite
da Alessandro Rossi nel territorio di Schio, rafforzate dallo
spirito filantropico che lo contraddistingue e che e' maturato a
seguito delle impressioni tratte dalla visita a Manchester dove le
condizioni abitative degli operai sono disastrose.
Ne e' risultato un microcosmo in cui sono racchiuse forme e
linguaggi tipici dell'architettura paleoindustriale in cui si
mescolano il neogotico, il neorinascimento, il romanticismo
neoromanico e il modernismo, il decorativismo Art Deco.
Sul paesaggio dominano tre alte ciminiere, circondate dal
villaggio che include gli impianti sportivi, mentre tre cascine
testimoniano simbolicamente la transizione tra la cultura contadina
e quella industriale.
La sensazione d'insieme e' di un fascino particolare,
contrappuntata da questa simbiosi tra il villaggio artificiale e la
presenza naturale segnata dal paesaggio boschivo originario.
Sembra che il tempo si sia fermato alle origini della
trasformazione industriale della nostra Penisola e Crespi d'Adda
rappresenta un museo vivente di grande interesse, che si prepara a
ospitare un centro di documentazione e una fondazione di studi
sull'archeologia industriale.
Un cenno lo merita anche Castel del Monte, possente maniero delle
Murge, in Puglia, eretto nel 1240 da Federico II di Svevia. Dai
suggestivi riflessi dorati e', a differenza degli altri circa 200
fatti erigere dal sovrano, a pianta ottagonale con otto torri
d'angolo alte piu' di 20 metri, anch'esse ottagonali. Di rilievo il
sistema idraulico che sfruttando le piogge portava l'acqua in ogni
stanza.
Walter Giuliano
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. RICERCHE IN CALIFORNIA
Una medicina per il buonumore
Preparati sintetici battezzati Vomeroferine
OAUTORE FOCHI GIANNI
OARGOMENTI chimica, medicina e fisiologia, farmaceutica
ONOMI BERLINER DAVID, WYSOCKI CHARLES
OORGANIZZAZIONI AKZO NOBEL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS chemistry, medicine and physiology
UNA trentina d'anni fa David Berliner, giovane chimico
universitario dell'Utah, dimentico' aperto un flacone d'estratto di
pelle umana. Nel giro di qualche minuto i suoi colleghi di
laboratorio, di solito introversi e seriosi, divennero una
combriccola briosa e affabile.
Poi per vent'anni Berliner dovette occuparsi d'altro, ma continuo'
a rimuginare su quel fatto, finche' ebbe la possibilita' di tornare
agli estratti di pelle, isolando vari composti e sintetizzandone di
analoghi, di cui si mise a studiare gli effetti su volontari.
Chiamo' vomeroferine i suoi preparati sintetici, per una loro
presunta azione sul minuscolo organo vomeronasale (detto anche di
Jacobson), che si trova nella mucosa del naso in vicinanza del
setto. Secondo il loro creatore, queste sostanze erano capaci di
trasmettere un senso di sicurezza e di rendere romantici e
socievoli.
Per sfruttarne le mirabolanti proprieta', Berliner ha di recente
dato vita in California a una piccola azienda, la Pherin, col
progetto di lanciare le vomeroferine come medicinali entro cinque
anni. Agendo sull'organo vomeronasale, asserisce Berliner, queste
sostanze prive d'odore stimolano l'ipotalamo e quindi il sistema
ormonale; secondo la particolare vomeroferina impiegata, si
provocano subito le reazioni piu' varie, con sollievo nei casi
d'ansia, disturbi sessuali, alterazioni dell'appetito; si possono
anche progettare contraccettivi di tipo nuovo. Se tutto cio' fosse
vero, sarebbe la vittoria di chi crede nell'esistenza dei feromoni
anche per la nostra specie. Questo termine, coniato premettendo il
latino fero (io porto) alle ultime due sillabe della parola ormone,
indica una vastissima classe di sostanze che, trasmesse in
piccolissime dosi a distanza anche molto grande, provocano
cambiamenti fisiologici e di comportamento in altri individui. Sono
stati molto studiati i feromoni sessuali di certi insetti
parassiti: in Italia le ricerche industriali hanno avuto un
esponente di rilievo nel dottor Paolo Piccardi dell'Isagro di
Novara. Invece che spargere antiparassitari sulle colture, si puo'
per esempio limitare il numero degl'individui d'una specie dannosa
attirando i maschi in trappole che usano come esca il feromone
della femmina. Ma torniamo all'uomo.
Una decina d'anni fa mi trovavo in una commissione di laurea in
chimica, e la tesi verteva sul feromone d'una farfalla.
L'introduzione sosteneva che lo studio dei feromoni ha un interesse
per tutte le specie animali, uomo compreso. Obiettai: per esseri
come noi, in cui la psicologia e' cosi' importante, l'attrazione
fra un uomo e una donna puo' ridursi all'effetto d'un messaggero
chimico che viaggia nell'aria e ci manda in calore come succede
alle farfalle o ai cani?
La questione e' tuttora dibattuta. Berliner ha pubblicato alcuni
suoi risultati, tra cui la registrazione di segnali elettrici
emessi dall'organo vomeronasale sotto l'effetto delle vomeroferine.
Al contrario, non si registrano risposte dell'organo stesso
all'arrivo di sostanze odorose; il che, sempre secondo Berliner,
dimostra come l'uomo possieda un sesto senso, del tutto
indipendente dall'olfatto anche se basato su ricettori che si
trovano all'interno del naso.
In Gran Bretagna, Steve van Toller del gruppo di ricerche
olfattive presso la Warwick University, spiega tuttavia che, mentre
la maggior parte dei mammiferi ha un organo vomeronasale, l'uomo
parrebbe non possederlo come vero e proprio organo sensorio.
Fra i biologi che studiano lo sviluppo, i piu' sono dell'idea che
ne esista un abbozzo solo nell'embrione. Quanto Berliner sostiene -
incalza da Filadelfia Charles Wysocki dell'universita' della
Pennsylvania - va contro le tendenze evolutive: fra le scimmie solo
quelle piu' lontane dall'uomo hanno un organo vomeronasale
funzionante. In queste e nelle altre specie che lo possiedono e'
presente inoltre una proteina caratteristica, che negli esseri
umani non e' stata trovata.
Wysocki spinge il suo scetticismo ben oltre: sono secreti in dosi
quanto mai scarse, e negli estratti ghiandolari si trovano misti a
dozzine d'altre sostanze. Possono volerci decenni per separare
tutti i componenti di quelle complicatissime miscele, e mi pare
improbabile che un'azienda cosi' piccola sia riuscita a imbattersi
tanto presto nel composto giusto.
Fatto sta che la piccola Pherin ha suscitato l'interesse d'un
colosso multinazionale, l'Akzo Nobel: in luglio le due societa'
hanno firmato un accordo per lo sfruttamento delle vomeroferine. I
dirigenti dell'Akzo Nobel parlano di rischio calcolato. Un po' come
tante persone superstiziose: dicono di non credere a certe cose, ma
poi aggiungono: non si sa mai.
Gianni Fochi
Scuola Normale di Pisa
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Rebaglia Alberta: "Scienza e verita'", Paravia
OGENERE rubrica
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI epistemologia, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS epistemology, book
Tutta la filosofia della scienza del Novecento in un solo volume
antologico, con la guida di un'ampia introduzione (54 pagine) che
traccia le linee principali della ricerca epistemologica. "Scienza
e verita'", di Alberta Rebaglia, propone l'essenziale degli scritti
di filosofi come Wittgenstein, Lakatos, Carnap, Kuhn, Popper e
Feyerabend, ma anche di scienziati approdati alla filosofia come
Eddington e Gaston Bachelard. La proposta che sta sullo sfondo e
che fa da cornice all'antologia e' quella di una "verita' come
accordo tra teoria e fatti", dove teoria e fatti sono visti, nel
loro inestricabile rapporto, come l'unica e insieme duplice faccia
di un nastro di Moebius. Il volume si rivolge agli studenti delle
medie superiori e dei primi anni di universita'.
(p. bia.)
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Dyson Esther: "Release 2.0: come vivere nell'era digitale",
Mondadori
OGENERE rubrica
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI informatica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS computer science, book
L'autrice e' la figlia del celebre fisico teorico Freeman Dyson.
Laureata in economia ad Harvard e proprietaria di un'azienda
informatica, in questo volume tratta le mille possibilita' di
ricerca e di lavoro intellettuale che si aprono con Internet. C'e'
qualche analogia con il recente saggio di Bill Gates, ma qui
l'intero discorso e' centrato sulla Rete. L'evoluzione dell'on
line, tuttavia, e' cosi' veloce che alcune parti del libro
rischiano di apparire gia' ovvie, mentre altre, piu' lanciate verso
le previsioni, sembrano gia' in parte smentite dalla realta'.
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Zanna Barbara e Barbieri Franco: "Meraviglie del Mediterraneo",
Gribaudo
OGENERE rubrica
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI ecologia, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS ecology, book
Non e' la stagione adatta per esploratore i fondali del
Mediterraneo, ma e' il momento giusto per prepararsi
scientificamente alle immersioni della prossima estate. Una guida
sicura, ottimamente illustrata con fotografie a colori e, quando e'
necessario, disegni e' il volume di Barbara Zanna e Fabio Barbieri
"Meraviglie del Mediterraneo". Dopo un'introduzione generale
all'ambiente subacqueo e alcuni cenni di sistematica, il lettore
trovera' 283 accuratissime schede di specie vegetali e animali.
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Autori vari: "Meteorologia", De Agostini
OGENERE rubrica
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI metrologia, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS metrology, book
LA meteorologia e' una scienza di grande importanza pratica:
dipendono dal tempo l'agricoltura, il turismo, la navigazione
marittima e aerea e numerose altre attivita' commerciali. Ma anche
dal punto di vista teorico la meteorologia e' molto interessante:
l'evoluzione caotica del sistema atmosferico e' una sfida per i
ricercatori e per i piu' potenti computer oggi disponibili. Basti
ricordare che attualmente le previsioni perdono la loro
attendibilita' oltre i 5-6 giorni e che occorrono dieci anni di
lavoro scientifico e di progressi tecnologici per aumentare di un
giorno la portata utile delle previsioni. Con tutto cio', anche
molti dilettanti si occupano di meteorologia registrando con
regolarita' pressione atmosferica, umidita', temperatura e altri
dati. A tutti gli appassionati dello studio del clima si rivolge
questo volume nato dalla collaborazione di quattro meteorologi
angloamericani e adattato alle esigenze italiane da Luca Mercalli,
presidente della Societa' Meteorologica Subalpina e direttore della
rivista "Nimbus".
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Il primo numero usci' nel 1981: qualche riflessione su giornali,
lettori e informazione scientifica
800 volte Tuttoscienze
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI didattica, editoria, scienza
ONOMI VACCHIERI MARIO
OORGANIZZAZIONI TUTTOSCIENZE
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS didactics, publishing, science
A noi era sfuggito, ma una lettera ci ha costretti a notarlo: siamo
arrivati a 800 numeri di "Tuttoscienze". E questo e' l'801.
Il lettore che ci ha scritto, Mario Vacchieri, dice cose che ci
fanno molto piacere, ma che, come i motti di certe meridiane,
inducono anche a riflettere con una fitta di malinconia sulla
voracita' del tempo: "Sono cresciuto con voi (ho 35 anni, ne avevo
19!). Leggervi e' sempre un piacere. Il vostro sapere, scritto in
pillole come richiedono le pagine di un giornale, e' di facile
lettura, ma mai superficiale. Sedici anni sono tanti, tante cose
per me sono cambiate in questo periodo; spero che voi rimaniate
sempre cosi'".
Il primo "Tuttoscienze" usci' il 28 ottobre 1981. Da allora si
sono accumulati circa 30 mila articoli e 3200 pagine raccolte in 31
volumi; sono nati i nostri Cd-Rom, di "Tuttoscienze" e di Virt-Lab;
abbiamo fatto da battistrada a "La Stampa" su Internet. Ma in 800
numeri questo supplemento non si e' mai autocelebrato e non
commetteremo ora questo errore. Ci limiteremo a qualche
osservazione sull'informazione scientifica.
I giornali in Italia non vanno bene. Le copie calano e solo
allegando videocassette e omaggi di vario tipo alcune testate
riescono a compensare lo scarso interesse del pubblico per il
prodotto primario. Lo scarso interesse pero' non e' generalizzato.
Una recente inchiesta di mercato, per esempio, dice che
"Tuttoscienze" e' gradito ai cinque sesti dei lettori. Non
piacciono, invece, le pagine di pettegolezzo politico e di
pettegolezzo tout court, la lingua italiana seviziata, lo
scandalismo, i titoli drogati, l'informazione volgare, la scrittura
arrogante.
Interpretiamo. I lettori - si direbbe - percepiscono che da un
lato ci sono fatti (esperimenti, dati, misure, risultati
tecnologici che si toccano con mano anche nella vita quotidiana), e
dall'altro lato ci sono quasi soltanto parole vuote. Percepiscono
che la ricerca scientifica e' per sua natura internazionale, mentre
il nostro dibattito politico e' provinciale. Percepiscono che la
notizia scientifica rimane valida anche dopo anni, mentre gli scoop
sul reggiseno di Valeria Marini e le solenni dichiarazioni dei
segretari di partito svaporano in qualche ora. Percepiscono che i
ricercatori, pur condividendo i difetti e i limiti di tutti gli
altri uomini, difficilmente possono barare perche' gli esperimenti
non conoscono i compromessi praticati nei corridoi di Montecitorio
(la fusione fredda insegna).
Tuttavia, all'affezionato lettore Mario Vacchieri e agli altri che
nelle ultime settimane ci hanno scritto o inviato e-mail di
felicitazioni, vorremmo dire che ci piace la scienza ma non lo
scientismo. E che la scienza per essere tale deve innanzi tutto
essere autocritica, non illudersi di risolvere i problemi in modo
definitivo, non ambire a surrogare altre attivita' umane, dalla
filosofia alla politica.
Ecco, in questo, spero, siamo cambiati e cresciuti anche noi: nel
cercare di trasmettere una cultura scientifica piu' consapevole dei
propri limiti (ma quindi anche dei propri valori) e piu' aperta al
dialogo con la cultura umanistica. Sempre sperando che un giorno la
cultura diventi una sola, senza aggettivi.
Piero Bianucci
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
"Arance della salute"
per la lotta ai tumori
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia, ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI AIRC
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology, research
Si terra' sabato 31 gennaio la nona edizione
dell'iniziativa "Arance della salute" organizzata dall'Associazione
italiana per la ricerca sul cancro (Airc). Sacchetti di arance
saranno distribuiti al prezzo di 13 mila lire in 1094 piazze
italiane insieme con una guida ad una alimentazione corretta per
la prevenzione dei tumori. Il ricavato andra' alla ricerca sul
cancro.
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. LE ANTICHE FUCINE
Con incudine e martello
La metallurgia artigianale quasi scomparsa
OAUTORE SCAGLIOLA RENATO
OARGOMENTI tecnologia
OORGANIZZAZIONI CENTRO DI STUDI PREISTORICI E ARCHEOLOGICI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS technology
TRA pochissimi anni, pensionati o morti i vecchi fabbri, delle
poche fucine artigianali ancora in funzione rimarra' solo un
ricordo. Quello del ferro fucinato a mano e' stato, per secoli, un
lavoro insostituibile, specialmente per gli attrezzi agricoli,
prima della nascita della produzione industriale. Ogni paese aveva
una o piu' officine che provvedevano ai bisogni locali. Ogni pezzo
era fatto a mano, uno diverso dall'altro perche' lavorati a occhio.
Qualche fucina e' ancora in funzione anche con magli azionati
dall'energia idraulica, cioe' con grandi ruote, come i mulini, che
danno il movimento alle "teste d'asino", come venivano chiamati i
martinetti, giganteschi martelli che danno forma ai masselli
d'acciaio rovente appena estratti dalla forgia. Ma c'erano anche
fabbri che stiravano l'acciaio solo con mazza e incudine, tanto che
quest'ultimo presentava una concavita' al centro, scavata da
decenni di martellate, in migliaia di ore di lavoro.
Luoghi famosi per le loro fucine sono stati la Val Camonica in
Lombardia e il Canavese in Piemonte. Le rare fucine superstiti sono
antri polverosi e neri, con pavimento di terra battuta, piene di
utensili, pinze, martelli, incudini, poche macchine, spesso
costruite in casa dagli stessi artigiani, nell'insieme preziosi
mini musei di archeologia industriale.
Poiche' in passato tutte le fucine erano mosse da ruote
idrauliche, l'acqua costituiva un fattore determinante, e, prima di
costruire un opificio, occorreva chiedere i permessi e scavare
fossi e canali di adduzione che esistono ancora. Se infatti si deve
cercare una fucina senza sapere l'indirizzo preciso, basta seguire
la roggia giusta e non si sbaglia. Uno dei pochi testi
sull'argomento, "Dal basso fuoco all'altoforno", e' stato
pubblicato dal Centro di Studi Preistorici e Archeologici di
Varese: contiene gli atti di un simposio, "La siderurgia
nell'antichita'", tenutosi a Bienno nel 1988. Una tesi di laurea e'
stata fatta invece nel '94, da tre studenti del Politecnico di
Torino (Mauro Borzini, Manuela Calciati e Oriana Marzari),
rilevando la Fucina Gaddo' a Oglianico (Torino), in funzione dal
1899.
L'antico schema dell'opificio prevedeva una pianta quadrata o
rettangolare, interrata per assorbire piu' facilmente le vibrazioni
dei magli. L'operatore stava seduto su un basso sgabello davanti ai
martinetti, guidando con precisione il pezzo da forgiare tenuto da
lunghe pinze, ognuna con un becco diverso, a seconda del pezzo:
pochi colpi e nascevano asce, vanghe, zappe, roncole, martelli,
picconi, denti per erpici. Questo sistema era detto "a maglio
libero", in quanto la forma del manufatto era ricavata appunto a
mano libera, disponendo il pezzo secondo la forma desiderata. Un
mestiere complesso che s'imparava in anni di lavoro, fatto di mille
malizie, esperienze, bruciature.
Sovente - lavorando costantemente al risparmio - la materia prima
era di recupero: balestre di camion, pezzi di binari, ruote e
molloni di carrozze ferroviarie. Tutto veniva scaldato al calor
rosso sulla forgia fino a diventare malleabile e quindi lavorato.
Sono ancora in funzione anche alcune "trombe idroeoliche",
ingegnoso sistema, gia' in uso nel Medioevo, per dare aria al fuoco
di carbone, in sostituzione del mantice azionato a mano. In
sostanza la tromba aspirava aria alla sommita' di un condotto
verticale percorso da acqua in caduta libera, e, con un effetto
sifone, la inviava alla forgia. Manovrando una serie di leve, che
aumentavano o diminuivano la portata d'acqua, il fabbro regolava il
ritmo dei magli, la quantita' d'aria alla forgia, la velocita'
della mola. Il tutto servito da irti e complicati sistemi di
cinghie e pulegge che azionavano, volendo, anche il trapano
verticale. Tutto senza un watt di elettricita'.
Anche la tempra di utensili da taglio era fatta valutando a occhio
il colore dell'acciaio appena uscito dalla forgia e immerso in olio
o acqua: se la tempra era corretta sul filo si dovevano vedere
leggeri, quasi impercettibili riflessi aurei dopo il rapido
raffreddamento. Ancora anteguerra poi - poiche' il carbon fossile
era troppo caro - si usava carbone di legna, prodotto in carbonaie
spesso vicine al paese, attivita' che ha contribuito non poco negli
ultimi tre secoli alla distruzione dei boschi.
Renato Scagliola
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Cuore artificiale
record italiano
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI STACCOTTO ADA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PAVIA (PV)
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Da 30 mesi Ada Staccotto vive con un cuore artificiale: e' un
record. Le e' stato impiantato a Pavia dall'equipe del Policlinico
S. Matteo diretta da Vigano'.
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. FISICA
Da Alice a Star Trek
Due esperimenti e una sorpresa
OAUTORE CERU' MARTA
OARGOMENTI fisica, ricerca scientifica
ONOMI DE MARTINI FRANCESCO, ZEILINGER ANTON, EINSTEIN ALBERT, PODOLSKY
BORIS, ROSEN NATHAN, GHIRARDI GIANCARLO, BENNET CHARLES, BOSCHI
DANILO, BRANCA SALVATORE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics, research
SULL'ASTRONAVE Enter prise il teletrasporto e' all'ordine del
giorno. E anche chi non ha mai visto un episodio della serie di
Star Trek sa di che cosa stiamo parlando. Il sistema e' quello
usato dal capitano Kirk e dai membri del suo equipaggio per
scendere su qualsiasi pianeta senza dover atterrare: i loro corpi
si "smaterializzano" nella macchina del teletrasporto e ricompaiono
istantaneamente a destinazione. Dalla finzione alla realta' il
termine e' entrato anche nel mondo dei fisici. Ma il "Teletrasporto
quantistico sperimentale", descritto in un articolo appena
pubblicato su "Nature", ha un diverso significato. Solo nella
fantascienza e' possibile pensare di trasportare un corpo, o
semplicemente l'informazione necessaria a "ricostruirlo" altrove in
modo istantaneo. E non e' questo che hanno ottenuto due gruppi di
scienziati, uno diretto da Anton Zeilinger dell'Universita' di
Vienna e l'altro da Francesco De Martini dell'Universita' di Roma,
riuscendo a teletrasportare in laboratorio proprieta' quantistiche
di una particella.
Siamo nel campo dei sistemi microscopici, dove regnano le strane
leggi della meccanica quantistica che, con le sue caratteristiche
peculiari, ci allontana da una visione classica del mondo. E ci
presenta situazioni quasi paradossali in cui sembra che i messaggi
viaggino piu' veloci della luce e che si possa parlare di
teletrasporto. Ma facciamo un passo indietro e torniamo agli anni
in cui era acceso il dibattito sui fondamenti della meccanica
quantistica.
Nel 1935 Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen scoprirono
una misteriosa correlazione tra i fotoni, cioe' i corpuscoli
elementari della luce che sembrano parlarsi da distanze anche
lontanissime. Un fenomeno inspiegabile ai loro occhi, e da allora
conosciuto come il paradosso Epr. Solo trent'anni dopo, il fisico
John Bell dimostro' con un famoso teorema che questa connessione,
chiamata "entanglement", esiste davvero. "E' possibile che gli
esiti delle misure effettuate in una certa regione dello spazio
dipendano dal fatto che venga eseguita una misura su sistemi
lontanissimi, praticamente nello stesso istante". A parlare e' il
fisico teorico di Trieste Giancarlo Ghirardi, presidente della
Societa' Italiana di Fondamenti della Fisica: "La meccanica
quantistica ci costringe a riconoscere l'esistenza di effetti non
locali (vale a dire istantanei a distanza) ma le cose sono messe in
modo tale che questi effetti non possono venire in alcun modo
utilizzati per trasmettere informazioni o per esercitare azioni a
velocita' superiore a quella della luce".
Si puo' pero' realizzare una forma di trasporto basata sugli stati
"aggrovigliati", o "entangled" come dicono gli scienziati: il
teletrasporto quantistico, ideato nel 1993 dal fisico Charles
Bennet. L'intera informazione necessaria a riprodurre un oggetto si
puo' separare in due parti, una quantistica e una classica. La
prima puo' essere trasmessa istantaneamente ma per usarla occorre
conoscere la seconda, che puo' essere trasmessa solo per vie
convenzionali come canali telefonici o elettronici, e quindi a
velocita' inferiori a quella della luce.
Immaginiamo di avere due personaggi: Alice ha un fotone, un
corpuscolo elementare della luce, di cui non sa nulla; il suo
compito e' trasmetterlo a Bob che e' molto distante in un luogo non
ben precisato. Le regole alla base della meccanica quantistica,
precisamente il principio di indeterminazione di Heisenberg,
impediscono ad Alice di misurare qualsiasi caratteristica del
fotone per comunicarla a Bob, o di "copiare" la particella per
mandargliela direttamente. Infatti il processo di misura altera le
proprieta' dell'oggetto misurato in modo tale che parte
dell'informazione si perde inevitabilmente. Sarebbe inoltre troppo
lento e insicuro mandare l'originale, soprattutto perche' Alice non
sa dov'e' Bob. Ma i due prima di separarsi hanno condiviso la
coppia A e B di fotoni "aggrovigliati" e se Alice possiede A, Bob
ha portato B con se'. E' questo il canale quantistico intermediario
che permettera' ad Alice di mandare il messaggio (il fotone
originario) a Bob. Infatti Alice puo' eseguire una misura sul
sistema formato dal suo fotone-messaggio e da A. In questo modo non
sapra' nulla delle caratteristiche del messaggio perche' il
processo stesso della misura le avra' alterate distruggendo il
fotone da teletrasportare. Ma, a causa del canale tra A e B, anche
B risultera' simultaneamente cambiato e in questo modo e' passata
la parte quantistica dell'informazione.
Ad Alice non resta ora che trasmettere a Bob per via classica il
risultato della sua misura, o meglio il tipo di misura eseguita. A
questo punto Bob potra' eseguire la misura sulla particella B per
trovare una perfetta copia del messaggio. "E non si tratta di una
clonazione - precisa De Martini di fronte al delicato apparato
ottico realizzato nel suo laboratorio grazie ai fisici Danilo
Boschi e Salvatore Branca -. Infatti la misura di Alice distrugge
la particella originaria e tutte le sue caratteristiche si
ritrovano nel fotone di Bob".
Ovviamente i due esperimenti, quello austriaco e quello italiano,
sono ben piu' complicati della storia di Alice e Bob e sono anche
diversi fra loro. Ma veniamo ora alle concrete applicazioni
tecnologiche del teletrasporto quantistico. Per esempio, la
realizzazione di computer quantistici, veloci e sicuri nel
teletrasportare dati e risolvere problemi complessi. "Siamo in
trattative con Charles Bennet dell'Ibm - racconta De Martini - per
costruire con le nostre tecniche sperimentali un componente
basilare dei quanto-computer, il control-not. Il funzionamento di
questo congegno sarebbe molto simile a quello delle parti che
costituiscono il nostro apparato sperimentale".
Un'altra applicazione riguarda i metodi di crittografia per
trasmettere codici cifrati. "Oggi la crittografia quantistica -
dice De Martini - si basa sull'utilizzazione di due canali per
tramettere le informazioni, uno classico e uno quantistico.
Quest'ultimo porta il 90% dell'informazione che pero' non puo'
essere decifrata se non si ha una chiave che viene trasmessa
attraverso il canale classico. Come nel caso del nostro
teletrasporto di fotoni, la trasmissione dell'informazione non puo'
avvenire se non con velocita' inferiori a quella della luce".
Marta Ceru'
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. UN PROBLEMA TRASCURATO
Italia povera di iodio
Una carenza dannosa alla tiroide
OAUTORE TRIPODINA ANTONIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
TRA le carenze nutrizionali, quella dello iodio e' fra le piu'
importanti per il numero di persone coinvolte e per le conseguenze
sulla salute pubblica.
Lo iodio e' un costituente essenziale dei due ormoni tiroidei, la
tri-iodio-tironina (oT3) e la tetra-iodio-tironina (oT4), ed e'
facile comprendere come una sua carenza possa costituire un fattore
limitante la loro sintesi. La carenza di iodio e' considerata la
causa principale del gozzo "endemico", l'affezione endocrinologica
piu' diffusa nel mondo. Questo perche' se la tiroide, per
mancanza di un elemento indispensabile, non e' in grado di produrre
una quantita' di ormoni adeguata alle esigenze dell'organismo,
viene sottoposta da parte dell'ipofisi (la ghiandoletta, situata
alla base del cranio, che controlla e regola molte altre ghiandole)
a una iper-stimolazione attraverso il suo ormone Tsh (Thyroid
Stimulating Hormone), nell'intento di accrescerne la produzione.
L'iperstimolo finisce con il determinare quello che viene definito
un aumento di volume della tiroide, prima fase nella formazione di
un gozzo o struma (per convenzione si parla gia' di gozzo quando i
lobi della tiroide superano le dimensioni dell'ultima falange del
pollice). Se una tale situazione di iperstimolo persiste,
l'ulteriore evoluzione e' imprevedibile: possono formarsi "nodi
caldi" autonomi, che determinano ipertiroidismo; o "nodi freddi",
non funzionanti, ma sospettati di una possibile trasformazione
tumorale; o la tiroide puo' acquistare dimensioni tali da
comprimere le vie aeree.
Secondo le ultime stime dell'Oms (Organizzazione mondiale della
sanita') piu' di un quinto della popolazione mondiale vive in zone
con carenza iodica e oltre 600 milioni di persone sono affetti da
gozzo. In Italia recenti indagini hanno evidenziato (attraverso il
dosaggio dello iodio eliminato nelle urine) un deficit nutrizionale
di tale elemento in tutte le regioni e una incidenza di gozzo, piu'
o meno evidente, in circa il 10 per cento della popolazione.
Le donne sono a maggior rischio in quanto gli estrogeni
favoriscono l'eliminazione renale dello iodio. Un simile deficit
planetario vien fatto risalire a circa diecimila anni fa, quando
per lo sciogliersi dei ghiacciai dopo l'ultima glaciazione, pare
sia avvenuta una specie di "dilavaggio" dello iodio, che dalle zone
montane e' finito in mare. Se cosi' e', l'Italia e' stata
particolarmente dilavata, vista la scarsita' di iodio del suo
suolo, con la conseguenza che povere di iodio sono anche le acque
che in esso scorrono, i vegetali che in esso crescono e gli animali
che in esso pascolano. E scarso iodio assumono gli abitanti che di
tali elementi si nutrono.
Si parla di "zona endemica" per gozzo quando tale alterazione e'
dimostrabile in piu' del dieci per cento della popolazione
globalmente intesa o in piu' del 20 per cento della popolazione
scolastica.
Il fatto che in un ambiente con diffusa carenza iodica solo una
parte dei residenti sviluppi un gozzo fa supporre che, perche' cio'
accada, sia necessaria la partecipazione di altri fattori (di
probabile natura genetica) che inducono una maggiore sensibilita'
delle cellule tiroidee all'iper-stimolo ipofisario. Tuttavia il
ruolo assolutamente preminente della carenza di iodio e' dimostrato
in modo inconfutabile dalla netta riduzione del gozzo (e delle
altre affezioni tiroidee ad esso collegate) in tutti quei Paesi in
cui e' stata praticata un'efficace profilassi somministrando tale
elemento.
In Italia il problema e' tutt'altro che risolto, nonostante le
campagne di sensibilizzazione promosse dal ministero della Sanita',
in collegamento con la Societa' italiana di endocrinologia e con il
comitato nazionale per la prevenzione del gozzo.
Il metodo piu' semplice, efficace ed economico per una seria
prevenzione e' quello di indurre tutta la popolazione a consumare
sale arricchito con iodio al posto del normale sale da cucina:
l'assunzione di sale e' giornaliera e il processo di
"arricchimento" con iodio poco costoso.
La iodificazione non modifica le caratteristiche organolettiche
del sale, che mantiene il colore, l'aspetto e il sapore di quello
non trattato. Non vi e' rischio di iperdosaggio di iodio, perche'
l'organismo espelle con le urine l'eventuale eccesso. Per la nota
relazione tra sale e ipertensione, il corretto comportamento
alimentare puo' essere riassunto nello slogan "consumare poco sale,
ma quel poco che sia iodato".
La dizione "sale marino" non significa sale iodato. In Italia la
quota di sale iodato (o iodurato) e' ancora inferiore al 2 per
cento del sale venduto per uso alimentare. Cio' dimostra quanta
poca strada abbia ancora fatto nella coscienza popolare la
conoscenza dei problemi creati dalla carenza iodica e come
l'obiettivo indicato in occasione della Conferenza Internazionale
della Nutrizione Fao/Oms, nel 1992, della completa eradicazione del
gozzo endemico e degli altri mali da carenza iodica entro l'anno
2000, sia utopistico.
Antonio Tripodina
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PER LE INFEZIONI VIRALI
La difficile strada dei vaccini contro i tumori
Dimostrate negli animali risposte immunitarie contro cellule
cancerose
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
LA classica definizione dei vaccini e' la seguente: preparazioni
capaci di indurre una condizione di immunita' specifica contro le
infezioni. I vaccini hanno dunque il compito di prevenire le
malattie infettive. Il concetto di vaccino e' associato
implicitamente a quello di infezione. Tuttavia si parla di vaccini
anche a proposito dei tumori, l'argomento e' di grande attualita'.
Nelle cellule tumorali sono presenti, come nei batteri e nei
virus, specifiche molecole dotate di potere antigene (stimolante
anticorpi), assenti nelle cellule normali. Ne deriva che questi
antigeni possono essere il bersaglio di reazioni immunitarie, in
altre parole esiste una risposta immunitaria anti-tumorale. Oggi
sono note le basi molecolari della immunita' anti-tumorale, il che
ha permesso l'identificazione di numerosi antigeni specifici dei
tumori, possibili bersagli della immunita'. Negli ultimi tempi si
e' dimostrata negli animali la presenza di risposte immunitarie
contro le cellule tumorali, risposte tuttavia poco efficaci.
Orbene, l'insieme di questi risultati fa pensare che un aumento di
codesta risposta immunitaria specifica possa tradursi in una
immunita' efficace. Per esempio e' stato possibile proteggere i
topi dall'attecchimento di cellule tumorali, "vaccinandoli" con le
stesse cellule irradiate.
Ancora piu' interessante, e' stato possibile sopprimere le
metastasi utilizzando linfociti (elementi del sangue fondamentali
per l'immunita'). Partendo da queste osservazioni Rosenberg e altri
hanno trattato malati con metastasi di melanoma inoculando
linfociti presenti nel tumore, ed hanno ottenuto in qualche caso
una regressione del tumore. In sostanza l'insieme di questi
risultati porta a concludere che gli antigeni riconosciuti dai
linfociti potrebbero essere bersagli importanti d'una reazione
immunitaria anti-tumorale nell'uomo. Uno dei principali obiettivi
e' dunque identificare le molecole antigene presenti nelle cellule
tumorali, potenziali bersagli delle risposte immuni. Si tratta di
molecole proteiche, e precisamente di peptidi, associati alle
molecole HLA (Human Leucocyte Antigen) codificate dai geni del
complesso maggiore di istocompatibilita' (MHC). I linfociti T
riconoscono la presenza di questi antigeni tumorali.
Riassumendo sono immaginabili due tipi di strategie. Il primo
riguarderebbe i tumori conseguenza di infezioni da virus - per
esempio dai Papovavirus - tumori benigni in varie specie animali e
nell'uomo (condilomi acuminati, verruche), pero' anche con
possibilita' di trasformazione in carcinomi: con la vaccinazione si
potrebbe proteggere dall'infezione virale oppure, a infezione
avvenuta, prevenire lo sviluppo di lesioni cancerose. Il secondo
tipo si riferirebbe a vaccini curativi (immunoterapia vaccinica)
capaci di fare reagire un tumore gia' stabilitosi.
Recentemente si sono compiuti progressi nell'aumentare il potere
immunogeno della cellula tumorale agendo su certi componenti
cellulari, le citochine (IL-2, IL-4, GH-CSF). Inoltre si sono
utilizzati peptidi sintetici per immunizzare topi nei quali erano
state trapiantate cellule di tumori.
In conclusione la conoscenza delle basi molecolari, e soprattutto
dei meccanismi messi in giuoco dalle risposte immunitarie, fa
intravedere la possibilita' di identificare i potenziali bersagli
di nuovi mezzi terapeutici dei tumori.
Ulrico di Aichelburg
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
FENOMENI CELESTI
La locandina
del cielo 1998
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI astronomia, libri, editoria
ONOMI DE MEIS SALVO, MEEUS JEAN, MOLISANTI ENRICO, FERRERI WALTER
OORGANIZZAZIONI HOEPLI, ORIONE
OLUOGHI ITALIA
ONOTE «Almanacco astronomico», «Asteroidi», «Catalogo Messier»
OSUBJECTS astronomy, book, publishing
CERTO noi guardiamo il cielo notturno con un atteggiamento ben
diverso da quello che fu dei Re Magi in viaggio verso la stalla di
Betlemme ma, oggi come ieri, la volta celeste continua ad essere
una finestra sull'universo che rinnova ogni sera il suo panorama.
Per conoscere in anticipo e per comprendere gli spettacoli che nel
1998 si svolgeranno sul palcoscenico celeste lo strumento piu'
efficace e' l'"Almanacco astronomico" di Salvo De Meis e Jean
Meeus, edito quest'anno dalla rivista mensile "Orione" e da Hoepli
(15 mila lire). Ecco, mese per mese, i fenomeni piu' importanti o
piu' curiosi.
Gennaio. La Terra passa al perielio, cioe' nel punto della sua
orbita piu' vicino al Sole (circa 147 milioni di chilometri), il
giorno 4. Il 17 la cometa Tempel- Tuttle si trovera' alla
minima distanza da noi, a poco piu' di 50 milioni di chilometri.
Febbraio. Il 5 la Luna occultera' la stella Aldebaran, la piu'
luminosa della costellazione del Toro e una delle piu' brillanti
del cielo. Il 26 ci sara' una eclisse totale di Sole, visibile
pero' soltanto da una ristretta fascia compresa tra l'America
Centrale e l'America del Sud.
Marzo. Il 13 avverra' una eclisse lunare di penombra: ma il
fenomeno risultera' quasi impercettibile. Il 26 la Luna occultera'
il pianeta Giove, ma di giorno. Il 27 mattina Venere sara' alla
massima elongazione dal Sole.
Aprile. Altra occultazione lunare di Aldebaran.
Maggio. Il pianeta Plutone opposto al Sole.
Giugno. Il Sole tocca il punto piu' alto nel cielo il giorno 21
(solstizio estivo).
Luglio. Il giorno 3 la Terra passera' all'afelio, cioe' nel punto
della sua orbita piu' lontano dal Sole (circa 151 milioni di
chilometri).
Agosto. L'11 sciame delle Perseidi (stelle cadenti o lacrime di
San Lorenzo). Il 22 eclisse anulare di Sole, visibile soltanto da
Sumatra, Borneo, Nuova Guinea.
Settembre. Il 16 Giove in opposizione, le condizioni migliori per
osservarlo.
Ottobre. Il 20 eclisse di Callisto, uno dei quattro grandi
satelliti di Giove.
Novembre. Il 5 la Luna passa davanti alle Iadi, ammasso di stelle
giovani nel Toro.
Dicembre. Il 12 sciame delle meteore Geminidi. Il 30-31 altra
occultazione di Aldebaran da parte della Luna (il fenomeno e'
ciclico).
Allegato al numero di "Orione" in edicola a gennaio i lettori
troveranno poi un libro prezioso, "Asteroidi", sempre di Salvo De
Meis e Jean Meeus: contiene, oltre alle effemeridi dei pianetini
principali, anche molte informazioni sulla loro natura fisica,
curiosita' (per esempio sugli "asteroidi italiani"), consigli per
le osservazioni e dati sui pianetini che sfiorano la Terra.
Edito da "Orione", il cui direttore scientifico e' Walter Ferreri,
segnaliamo infine il "Catalogo Messier" curato da Enrico Molisanti
(25 mila lire), unica opera in italiano che descriva minuziosamente
tutti gli oggetti che il famoso astronomo francese nel '700
catalogo' per non confonderli con le comete, che erano il suo vero
interesse: nebulose, galassie, ammassi di stelle aperti e globulari
alla portata dei telescopi amatoriali.(p. bia.)
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE
La roulette a fotoni
Il paradosso dei quanti visto da Bell
OAUTORE ODIFREDDI PIERGIORGIO
OARGOMENTI fisica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics
CHIUNQUE abbia osservato una roulette avra' notato che i colori
rosso e nero escono in modo perfettamente casuale, senza alcuna
regolarita'. Che cosa si potrebbe pensare allora se ogni volta che
due persone visitassero due particolari casino', e registrassero le
successioni di colori usciti alle rispettive roulette, si
accorgessero poi che le due successioni sono esattamente le stesse?
Ovviamente, soltanto che le due roulette sono truccate, cioe'
collegate in modo da farle diventare una sola. Se pero' i gestori
dei casino' spergiurassero che non ci sono trucchi, permettessero
controlli, e non si scoprisse niente di sospetto? Beh, questa e'
proprio la situazione di certi recentissimi esperimenti di fisica.
Supponiamo che due persone non in comunicazione fra loro ricevano
periodicamente una busta contenente un foglio, che puo' essere
bianco o nero: esse aprono la busta, registrano i colori del
foglio, e confrontano le registrazioni dopo aver ricevuto un gran
numero di buste. Se ogni volta nelle due buste c'e' un foglio dello
stesso colore, allora esse noteranno una perfetta identita' fra le
loro osservazioni (anche nel caso in cui la scelta del colore da
parte del mittente fosse stata ogni volta casuale). Viceversa,
dalla perfetta identita' delle loro registrazioni i due destinatari
potranno dedurre che ogni volta nelle due buste c'era un foglio con
lo stesso colore.
Fuor di metafora: il foglio nella busta corrisponde a una
particella, il colore a una proprieta' fisica misurabile, i
destinatari a due osservatori isolati fra loro, e l'apertura delle
buste a una misura della proprieta' della particella. Se le
particelle hanno sempre lo stesso valore della proprieta' fisica in
questione, ci sara' una perfetta identita' tra le due misure.
Viceversa, se esiste una perfetta identita' fra le misure e i due
osservatori non sono in comunicazione fra loro, allora si puo'
dedurre che le particelle avevano ogni volta lo stesso valore della
proprieta'.
Passiamo ora a una versione piu' elaborata della metafora.
Supponiamo che le due persone ricevano periodicamente una busta
contenente un foglio diviso in tre strisce, ciascuna delle quali
puo' essere bianca o nera, e che la busta si possa aprire in tre
modi diversi, ciascuno dei quali permette di vedere una sola
striscia. Le due persone decidono ogni volta indipendentemente
quale striscia aprire, registrano i risultati delle loro
osservazioni, e li confrontano dopo aver ricevuto un gran numero di
buste. Se ogni volta nelle due buste c'e' lo stesso tipo di foglio,
in cui strisce corrispondenti abbiano cioe' lo stesso colore,
allora: quando i destinatari hanno aperto la stessa striscia, hanno
sempre visto lo stesso colore; quando i destinatari hanno aperto
strisce qualunque, hanno visto lo stesso colore almeno 5 volte su 9.
La prima conclusione e' ovvia. Per quanto riguarda la seconda,
basta notare che i fogli hanno sempre almeno due strisce dello
stesso colore (poiche' ci sono solo due colori, ma tre strisce).
Essi devono dunque mostrare lo stesso colore in almeno 5 casi sui 9
possibili: i 3 in cui viene osservata la stessa striscia, ed i 2
(simmetrici) in cui i destinatari osservano appunto le due
differenti strisce con lo stesso colore.
Possiamo ora applicare la metafora alle particelle nel modo gia'
fatto, ad esempio supponendo di misurarne la polarizzazione. Il
fenomeno e' ben noto, grazie alle lenti polarizzate degli occhiali:
esse permettono il passaggio completo della luce polarizzata in una
direzione, non permettono il passaggio di quella polarizzata in
direzione perpendicolare, e permettono un passaggio parziale della
luce polarizzata in direzioni intermedie.
Che cosa succede se consideriamo particelle che hanno la stessa
polarizzazione (ad esempio, perche' sono state emesse da uno stesso
atomo eccitato da raggi laser), e ne misuriamo la polarizzazione in
tre possibili direzioni prestabilite? L'argomento precedente ci
dice che se si misura la polarizzazione nella stessa direzione per
entrambe le particelle, si avra' sempre lo stesso risultato. E se
invece si fanno le misure in direzioni scelte a caso fra le tre
possibili, in media si avra' lo stesso risultato almeno 5 volte su
9. Ma qualcosa e' andato storto, perche' e' possibile invece
scegliere le tre direzioni di misura della polarizzazione in modo
tale che lo stesso risultato si registri effettivamente sempre nel
primo caso, ma solo meta' delle volte nel secondo (e quindi meno
del previsto, perche' 5 volte su 9 sono piu' di meta').
Il problema e': che cosa e' andato storto? Gli esperimenti
potrebbero essere stati maldestri, ma questo sembra escluso: essi
sono stati ripetuti molte volte, con grande accuratezza e
ingegnosita', soprattutto dal gruppo di Alain Aspect a Parigi.
Forse abbiamo fatto male i conti, ma anche questo sembra escluso:
non abbiamo infatti usato che matematica elementare, applicata nel
piu' banale dei modi.
L'unica possibilita' e' allora che, se la natura e' un postino, le
particelle che essa recapita non siano come buste con fogli
colorati: la cosa e' ovvia letteralmente, ma in senso astratto cio'
significa che a livello microscopico la natura non si comporta
nello stesso modo a cui siamo abituati a livello macroscopico. In
particolare, particelle che sono tanto distanti da non poter
comunicare fra loro a velocita' inferiori a quella della luce,
sembrano cio' nonostante comportarsi in modo perfettamente casuale
se considerate individualmente, ma coordinato se considerate
insieme. Proprio come le due misteriose roulette.
L'argomento precedente, famoso sotto il nome di teorema di Bell,
mostra dunque che se non vogliamo fare gli indiani di fronte alle
risultanze sperimentali, ci tocchera' forse fare gli indiani nel
campo della metafisica, e accettare una visione olistica del mondo
che credevamo tipica dell'Oriente superstizioso.
Piergiorgio Odifreddi
Universita' di Torino
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. PRINCIPIO DI HUYGENS
Le onde della luce
Gia' studiate da Newton e Cartesio
OAUTORE BO GIAN CARLO
OARGOMENTI fisica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics
LA luce diede filo da torcere a Cartesio (che scopri' le leggi
della riflessione) e a Newton che suggeri' la teoria corpuscolare.
Suppose Newton che la luce fosse costituita da particelle minuscole
viaggianti a enorme velocita': veniva riflessa da uno specchio
perche' le particelle rimbalzavano sulla sua superficie e venivano
invece deviate quando penetravano in un mezzo rifrangente (come il
vetro o l'acqua) perche' li' viaggiavano piu' velocemente che
nell'aria. La teoria di Newton non era pero' capace di spiegare, ad
esempio, perche' le particelle di luce verde venivano rifratte piu'
di quelle di luce gialla o come mai due fasci di luce possano
incrociarsi senza esercitare alcuna azione l'uno sull'altro, come
se le particelle non entrassero in collisione. Ci penso' Huygens,
lo scienziato che applico' il pendolo a un orologio nel 1678: fu
lui a elaborare la teoria secondo la quale la luce e' fatta di
piccolissime onde (e oggi porta il suo nome una sonda spaziale in
viaggio verso Titano, satellite di Saturno che Huygens scopri').
Supponendo che la luce viaggi piu' lentamente in un mezzo
rifrangente che nell'aria, fu possibile spiegare la diversa
rifrazione subita dai vari tipi di luce che lo attraversavano:
l'entita' della rifrazione varierebbe con la lunghezza delle onde;
minore la lunghezza d'onda, maggiore la rifrazione. Cosi', ad
esempio, la luce che subisce una maggiore rifrazione, quella viola,
avrebbe una lunghezza d'onda minore di quella azzurra, che
l'avrebbe minore di quella verde e cosi' via. Secondo Huygens
l'occhio distingueva i colori a causa della diversa lunghezza
d'onda e intanto si spiegava perche' due fasci possono incrociarsi
senza "disturbarsi". Pero' non bastava. Non spiegava ad esempio
perche' i raggi luminosi viaggino in linea retta e formino ombre
dai contorni netti oppure perche' i raggi non "aggirino" gli
ostacoli come invece fanno le onde sonore. Gli scienziati in quel
periodo stavano con Newton, per via della sua fama e perche' la sua
teoria dei corpuscoli sembrava piu' logica. Bisogno' attendere fino
al 1801, quando Thomas Young, medico e fisico inglese, con un
semplice esperimento fece pendere la bilancia dalla parte di
Huygens. Sistemo' due fori vicinissimi di fronte a uno schermo e li
fece attraversare da un raggio sottilissimo. Se era valida la
teoria dei corpuscoli i due raggi avrebbero formato sullo schermo
una macchia piu' luminosa dove si sovrapponevano, e altre meno
luminose dove non si sovrapponevano. Non fu cosi'. Sullo schermo
Young trovo' una serie di frange luminose separate da frange scure;
sembrava che in questi intervalli di "buio" le due luci,
sommandosi, "inscurissero". L'imbroglio fu chiarito dalla teoria
ondulatoria. Se le due serie di onde avevano i massimi che
coincidevano, cioe' erano in fase, si "rinforzavano" e formavano la
frangia luminosa; se non erano in fase si annullavano nel buio.
Il Principio di Huygens. "Ogni punto di un fronte d'onda agisce
come punto di partenza di un'onda elementare". Nella figura in
alto, OE e' lo specchio. AL e' il fronte d'onda piano che va verso
lo specchio. Se O diventa centro di vibrazione da cui partono onde,
quando in P arriva l'impulso, in E e' pure arrivata la luce da D,
perche' DE=OP. Cio' significa che il fronte OD lo ritroviamo in PE.
Tutti i punti del tratto OE diventano centri di vibrazione in
istanti successivi, rimandano le loro onde (archi di cerchio). E'
l'inviluppo di questi archi a costituire il fronte dell'onda
riflessa. "Inviluppo" e' una superficie che s'adagia su tutti i
fronti d'onda elementari; in questo caso l'inviluppo e' piano.
Partendo dal concetto di raggio che si riflette con angolo r=i, o
dall'immagine delle onde originantisi secondo il principio di
Huygens, si arriva allo stesso cammino per il fascio rinviato dallo
specchio. Nelle altre direzioni non c'e' energia perche' le onde,
interferendo, si elidono.
Gian Carlo Bo
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. A CHANTILLY IN FRANCIA
Museo vivente del cavallo
Nelle scuderie piu' belle del mondo
OAUTORE MARTINENGO ROBERTO
OARGOMENTI didattica
ONOMI BIENAIME' YVES
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, FRANCIA, CHANTILLY
OSUBJECTS didactics
LA famiglia dei principi di Conde', ramo cadetto dei reali di
Francia, ha certamente lasciato tracce nella storia, ma la sua fama
nei secoli e' dovuta anche al fatto di aver costruito le piu' belle
scuderie che esistano al mondo. Luigi Enrico di Borbone, settimo
principe di Conde', credeva nella metempsicosi e poiche' immaginava
di reincarnarsi, dopo la sua morte, in un cavallo, fece erigere
delle scuderie degne del suo rango.
In questo luogo favoloso, un benemerito dell'amore per questi
meravigliosi animali, Yves Bienaime', ha creato il museo vivente
del cavallo. Lo scopo e' stato, ed e', di ristabilire un contatto
tra il pubblico e l'animale che, indispensabile all'umanita' per
migliaia di anni, ha perso nel mondo contemporaneo la sua
utilizzazione come mezzo di trasporto e di lavoro.
Ad un centinaio di chilometri da Parigi, vicino al principesco
castello di Chantilly, sorgono queste scuderie di 186 metri di
lunghezza, sormontate da una cupola ottagonale di 28 metri di
altezza. Ai tempi del principe, ospitavano 240 cavalli ed un
centinaio di persone addette alle loro cure. Ma non si pensi solo
al passato.
L'edificio fu costruito tra il 1719 e il 1740 su progetto
dell'architetto Jean Aubert, ma l'attuale impiego e' assolutamente
moderno. La struttura, pur avendo piu' di due secoli, e' in
perfetto stato e viene utilizzata per dare la migliore idea
possibile del cavallo, dal passato ai giorni nostri. Dopo aver
ammirato l'architettura, si puo' passare allo scopo per cui viene
usata. Ci sono nei loro box e poste cavalli di tutte le razze,
naturalmente con speciale riguardo a quelle francesi ed iberiche,
queste ultime particolarmente adatte all'addestramento chiamato "di
alta scuola", secondo una tradizione che risale alle corti europee
dei secoli passati. Il cavallo non puo' essere pensato come un
animale da giardino zoologico: deve infatti uscire tutti i giorni e
fare esercizio, per la propria salute e mantenimento fisico. Per
questo motivo, amazzoni e cavalieri del museo provvedono tutti i
giorni a montare i cavalli che vi sono ospitati.
La parte pedagogica e' estremamente esauriente; intorno
all'immensa corte d'onore si susseguono trenta locali di
esposizione per trenta diversi argomenti, che dicono tutto il
possibile sul passato e sul presente del cavallo, dando anche la
possibilita' di ipotizzare quale possa essere il suo futuro. Si
spazia dall'allevamento ai vari tipi di sport; dall'ippologia alla
veterinaria ed alla ferratura, dalla bardatura alle coperte ed ai
finimenti di lusso; dal cavallo nell'arte ai piu' preziosi fou lard
di seta disegnati sull'argomento, fino ad una magnifica collezione
di vecchie cartoline che ritraggono l'impiego dei cavalli in pace e
in guerra.
Dopo aver visitato queste sale, l'idea del cavallo nel mondo
attuale diventa piu' precisa e si puo' riassumere in cinque settori
di attivita' umane ad esso riferite. Allevamento, che comprende
palafrenieri, allevatori, capi scuderia, oltre all'indotto
sull'agricoltura per il nutrimento. Corse: fantini, driver di
trotto, allenatori, uomini di scuderia. Centri equestri:
palafrenieri, istruttori di poneys, istruttori di equitazione,
guide di turismo equestre, maestri. Ricerca e sviluppo: addetti
alla riproduzione, veterinari, ricercatori. Amministrazione:
tecnici degli allevamenti, capi scuderia, amministratori, quadri
degli sport militari.
Le considerazioni finali sono, in primo luogo, che una cosi'
completa presentazione scientifica e pratica del cavallo rivolta al
pubblico non esiste altrove; che il museo e' - rara avis -
assolutamente autosufficiente e sopravvive egregiamente grazie ai
propri introiti, ed infine che, per avvicinare le persone ad un
argomento cosi' piacevole ed interessante, si tratta del posto
giusto e del modo giusto.
Roberto Martinengo
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
NUOVA IPOTESI SULL'ASTRO DI NATALE
Non fu una cometa
Giove si nascose dietro la Luna
OAUTORE DI MARTINO MARIO
OARGOMENTI astronomia
ONOMI MORGAN MICHAEL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy
SE la stella dei Magi era cosi' spettacolare e appariscente, come
mai fu vista solo da poche persone? Gli antichi astronomi cinesi
osservavano il cielo con attenzione e continuita', ma negli annali
dell'epoca non c'e' traccia di oggetti o fenomeni celesti
straordinari. Molte sono state le ipotesi sulla reale natura della
"stella di Natale", ma nessuna finora appare del tutto convincente.
Ora pero' si avanza l'idea che la "stella" non fosse in realta' un
eccezionale fenomeno astronomico, ma piuttosto un oscuro evento
astrologico, noto soltanto ad alcuni saggi. Per confermare questa
ipotesi, Michael Morgan, un astronomo dell'Universita' Rutgers (New
Jersey), ha collegato eventi astronomici verificatisi negli anni in
cui viene collocata la nascita di Cristo con i simboli astrologici
rilevanti all'epoca e riportati su alcune monete romane di quel
periodo. La conclusione a cui e' giunto e' che il fenomeno celeste
che avrebbe annunciato la nascita di un nuovo re di Giudea e'
consistito in una doppia occultazione lunare di Giove, in cui il
pianeta nell'arco di tempo di un mese scomparve per due volte
dietro il disco della Luna.
Alcune monete di Antiochia, la capitale della provincia romana di
Siria, riportano da un lato il busto di Giove e dall'altro un
ariete volto a guardare una stella. Molnar afferma che la stella
potrebbe rappresentare due rari eventi che si verificarono nella
costellazione dell'Ariete il 18 aprile del 7 d. C., poco prima che
la moneta venisse coniata. Il primo fu una congiunzione molto
ravvicinata tra Mercurio e Giove, il secondo una levata eliaca di
Giove, quando cioe' il pianeta appare nel cielo del mattino poco
prima il sorgere del Sole.
Molnar e' convinto che la coincidenza di questi due fenomeni
celesti sarebbe stata di estremo buon auspicio per gli astrologi
dell'epoca. I Romani inoltre commemoravano i loro trionfi politici
coniando nuove monete e Giove come re degli dei veniva sovente
utilizzato come simbolo di dominio ed infatti solo un anno prima,
nel 6 d. C., i Romani avevano deposto il figlio di Erode, Archelao,
e sottomesso la Giudea. La congiunzione e la levata eliaca di Giove
avrebbero rappresentato l'epprovazione di questi eventi da parte
degli dei. Gli astrologi dell'epoca, come confermato nell'opera di
Claudio Tolomeo di Alessandria, "Tetrabiblos", redatta intorno al
150 d. C., avevano compilato delle liste di regioni "controllate"
da certi segni zodiacali, da cui risultava che la Giudea era legata
alla costellazione dell'Ariete. Ad ogni evento significativo che si
fosse verificato in Giudea, il luogo dove guardare per avere un
segnale celeste sarebbe stato quindi la costellazione dell'Ariete.
Ma quale potrebbe essere stato questo segno? E' noto che le
congiunzioni erano fenomeni celesti molto significativi per gli
antichi astrologi e tanto piu' i due corpi si avvicinavano tanto
maggiore era l'importanza dell'evento. Una occultazione lunare
aveva percio' dal punto di vista astrologico un'importanza
eccezionale, in quanto la Luna e un pianeta sembravano toccarsi.
Anche in queste occasioni era usanza coniare delle monete, come ad
esempio durante il regno di Nerone quando, per commemorare
un'occultazione lunare con Venere, avvenuta il 27 aprile del 51 d.
C. nella costellazione dell'Ariete, i romani coniarono una serie di
monete che su una faccia mostravano un ariete che volto indietro
guardava una falce di Luna con vicino una stella.
Giove era il simbolo del potere e il pianeta dominava negli
oroscopi di molti imperatori romani. Ad esempio fu la posizione di
Giove nell'oroscopo di Cesare Augusto che spinse l'astrologo
Nigidio Figulo a dichiarare al Senato che "era nato il condottiero
del mondo". E' chiaro quindi che un'occultazione di Giove che si
fosse verificata nella costellazione dell'Ariete avrebbe dovuto
corrispondere ad un importante evento in Giudea, come ad esempio la
nascita di un re. Molnar ha percio' controllato se dal 10 all'1 a.
C., il periodo in cui secondo la maggior parte delle stime nacque
Gesu' Cristo, si fosse verificata un'occultazione lunare del
pianeta. Secondo i calcoli e' risultato che con ragionevole
certezza il 20 marzo del 6 a. C., un minuto dopo il tramonto a
Gerusalemme, la Luna occulto' Giove nella costellazione
dell'Ariete. L'occultazione termino' un'ora dopo. Il problema e'
che nessuno era a conoscenza che l'evento stava accadendo in quanto
la luminosita' del cielo ne impediva la visibilita'. Ma molto
probabilmente gli astrologi dell'epoca possedevano gia' gli
strumenti matematici per prevedere un tale fenomeno. Molnar era
quindi convinto di aver trovato l'evento celeste che stava
cercando, quando con grande sorpresa ha scoperto che una seconda
occultazione lunare di Giove si verifico' un mese dopo, poco dopo
il mezzogiorno del 17 aprile. Come la precedente non fu visibile.
Secondo Molnar l'occultazione del 20 marzo del 6 a. C. coincise
grosso modo con la nascita di Cristo e fu questo evento a spingere
i Magi a intraprendere il loro viaggio, come descritto nel Vangelo
di Matteo. Convinti che fosse nato un re di Giudea essi si recarono
a Gerusalemme per sapere da Erode dove trovarlo. I sacerdoti della
corte di Erode, seguendo un'antica profezia ebraica, suggerirono
Betlemme. Quindi non molto prima il verificarsi della seconda
occultazione, i Magi predissero l'evento e rimasero stupiti quando
si resero conto che sarebbe avvenuto in direzione di Betlemme, a
conferma quindi delle indicazioni raccolte a Gerusalemme. I
particolari della seconda occultazione sembrano in accordo con
alcuni passaggi riportati sulle Sacre Scritture.
I dati astronomici mostrano che, poche ore prima dell'evento,
Giove sorse all'alba a poca distanza dal Sole (levata eliaca).
Quando i Magi lasciarono Erode, recita il vangelo di Matteo, "la
stella li precedeva, finche' giunta sopra il luogo ove era il
fanciullo si fermo'". Se le ipotesi di Molnar sono corrette, i Magi
visitarono Erode il 17 aprile del 6 a. C.
La teoria sembra anche in accordo con i racconti biblici riguardo
ad un altro fatto storico. Se Gesu' infatti nacque il 20 marzo del
6 c. C., all'epoca della morte di Erode, nella primavera del 4 a.
C., avrebbe avuto un'eta' di due anni e cio' e' in accordo con
l'epoca della "strage degli innocenti". Secondo Molnar infatti
Erode avrebbe emesso questo decreto poco prima della sua morte
quando mostrava gia' evidenti segni di demenza.
Le spiegazioni date dall'astronomo americano appaiono molto
interessanti e originali e, a differenza di altre teorie, la loro
forza sta nel fatto che, dopo aver previsto quali eventi avrebbero
potuto attrarre l'attenzione degli astrologi dell'epoca, con dei
complessi calcoli si e' verificato se nel periodo che ci interessa
questi sono realmente avvenuti.
Mario Di Martino
Osservatorio Astronomico di Torino
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Oasi ecologiche
prima certificazione
OGENERE breve
OARGOMENTI ecologia, agricoltura, alimentazione
OORGANIZZAZIONI PLASMON
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS ecology, agriculture, nourishment
Il primo caso in Italia di certificazione di un prodotto
agroalimentare che coinvolge l'intera filiera produttiva e'
rappresentato dalla Plasmon e riguarda per ora i suoi prodotti a
base di frutta. La certificazione e' stata rilasciata dal CSQA,
ente costituito nel 1990 nell'ambito dell'Istituto lattiero e di
biotecnologie agroalimentari di Thiene. Informazioni: 02-5420.2680.
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Ricerca Telethon:
il gene di Barth
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica, genetica
ONOMI TONIOLO DANIELA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PAVIA (PV)
OKIND short article
OSUBJECTS research, genetics
Il gruppo di ricerca diretto da Daniela Toniolo dell'Istituto di
genetica biochimica di Pavia ha annunciato su American Jour nal of
Human Genetics che il gene della sindrome di Barth e' responsabile
di altre due gravi forme di cardiomiopatia infantile. Cresce quindi
l'importanza di questo gene gia' identificato dall'equipe di Pavia.
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Risparmio energetico
laboratorio a Torino
OGENERE breve
OARGOMENTI energia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND short article
OSUBJECTS energy
Un laboratorio dimostrativo sul tema del risparmio energetico e'
stato inaugurato a Torino presso l'Istituto Avogadro di Torino con
la collaborazione del Centro Studi Regis e di Legambiente. Sono
disponibili un quaderno illustrativo e una videocassetta. Per
informazioni, tel. 011-532.824.
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. AL S. MARIA DI ROMA
Salvato l'archivio storico
del vecchio manicomio
OAUTORE BODINI ERNESTO
OARGOMENTI storia della scienza, medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI CENTRO STUDI SANTA MARIA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OSUBJECTS history of science, medicine and physiology
CON la chiusura delle strutture manicomiali il Centro Studi Santa
Maria di Roma si e' posto il problema della salvaguardia del loro
patrimonio documentario. Gli ospedali psichiatrici conservano
infatti numerose fonti di inestimabile valore che testimoniano il
fenomeno della sofferenza mentale e le trasformazioni
socio-culturali del nostro Paese. L'Ufficio Centrale per i Beni
archivistici del ministero per i Beni Culturali, con il progetto
"Carte da legare" ha inteso realizzare una rete di banche dati
delle cartelle cliniche conservate negli archivi storici dei
manicomi italiani.
Una accurata attivita' di recupero e valorizzazione del patrimonio
storico e scientifico dell'ex ospedale psichiatrico Santa Maria
della Pieta' di Roma, e' stata avviata dal Csr, in collaborazione
con la Sovrintendenza archivistica del Lazio. Si e' proceduto
all'inventario delle circa 70 mila cartelle cliniche di pazienti
dal 1851 al 1935; mentre il patrimonio archivistico, che va dal
1851 al 1996, e' stimato intorno alle 150 mila cartelle. Dallo
scorso anno, il Csr ha dato vita a un progetto per la realizzazione
del Museo della Mente, un laboratorio che testimonia la memoria
animata dell'interesse scientifico ed umano verso realta' di
emarginazione e i processi di istituzionalizzazione della
sofferenza; cause e risorse volte alla cura e prevenzione di queste
situazioni. Il consistente patrimonio di informazioni e materiali
non solo e' sede di archivio storico, scientifico e sociale sulla
nascita e lo sviluppo della psichiatria, ma e' anche un centro
attivo in grado di svolgere molteplici funzioni che vanno dalla
prevenzione, divulgazione scientifica e promozione culturale; alla
conservazione, organizzazione e distribuzione delle informazioni ai
fini di studio della mente umana. "Lo "spazio interno" dell'uomo
- sostengono i membri del Csr - rimane forse una delle poche
frontiere ancora aperte. Lo testimonia la straordinaria convergenza
che si sta concretizzando tra scienze esatte, scienze umane e
scienze della mente sul tema del linguaggio, della comunicazione e
della memoria". Sia in Italia che in Europa sono diversi i Musei
dedicati alla psichiatria, ma l'originalita' del Museo della Mente
di Roma (piazza S. Maria della Pieta', 5 tel. 06-683.52.825)
consiste, tra l'altro, in progetti per l'abolizione degli spazi
"chiusi" e nella ricerca di soluzione esterne all'ospedale; per
programmare interventi di sostegno, inserimento e assistenza; e la
realizzazione di una rete interdisciplinare di cooperazione tra
servizi sociali e sanitari.
Ernesto Bodini
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Scontro cosmico
in Groenlandia?
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia, fisica
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy, physics
La notizia e' su Internet, nel periodico on line "L'Istrice"
(http://www.simonel.com): una grande esplosione sarebbe avvenuta il
9 dicembre nel cielo della Groenlandia. Le sue caratteristiche
ricordano l'evento di Tunguska del giugno 1908, quando un frammento
di asteroide si disgrego' sopra la Siberia. Gli scienziati dovranno
ora vagliare registrazioni sismiche e immagini registrate dal
satellite meteorologico "Noaa 14".
ODATA 24/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. AERONAUTICA
Zeppelin NT,
la rivincita
del dirigibile
OAUTORE FILTRI TULLIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, trasporti, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, transport, technology
E' il grande ritorno del dirigibile, la rivincita delle macchine
volanti piu' leggere dell'aria: grande interesse ha destato
l'annuncio che ha effettuato il primo volo di collaudo lo Zeppelin
NT, in quel di Friedrichshafen, sul lago di Costanza, culla dei
grandi dirigibili tedeschi dell'anteguerra. A questo seguiranno
altri voli di collaudo, come prescritto dalle autorita' preposte
alla sicurezza del volo.
Lo Zeppelin NT e' un dirigibile di tipo semirigido, di 8200 metri
cubi gonfiato con elio; ha tre motori da 200 cavalli, una velocita'
massima di 140 chilometri all'ora, e di crociera 115, una autonomia
di 16 ore, oppure di 36 ore con carico ridotto. Porta 12 passeggeri
piu' due piloti. Durante il primo volo, durato 45 minuti, l'Ufficio
postale di bordo ha affrancato e spedito cartoline postali,
divenute ambita preda dei collezionisti.
Gli Zeppelin non volavano piu' da quasi sessant'anni. L'ultimo
della serie, il Graf Zeppelin 2, e' stato smantellato il 14
settembre 1938, e la ditta e' passata ad altre costruzioni.
A che cosa serve oggi un dirigibile? Lo Zeppelin NT sara' adibito
a servizi turistici e pubblicitari. Prima ancora del collaudo,
erano gia' stati venduti cinque esemplari a societa' tedesche e ad
una svizzera.
Seguiranno dirigibili di maggiori dimensioni, uno da 17.000 metri
cubi per 50 passeggeri, uno da 30.000 metri cubi per 84 passeggeri.
In genere si pensa al dirigibile come a un mezzo di trasporto di
merci voluminose e pesanti. La Zeppelin ha privilegiato il
trasporto passeggeri. Gia' prima della seconda guerra mondiale
aveva stabilito un servizio di lusso per passeggeri tra la Germania
e gli Stati Uniti.
Il dirigibile moderno, rinnovato nelle strutture e nei materiali,
bene si presta per viaggi turistici, per visite a
zone archeologiche in Italia, in Grecia, nel Mediterraneo. Ha un
grande vantaggio rispetto agli altri mezzi aerei: porta i turisti
sul posto, li riprende a bordo a visita ultimata, e li conduce in
altre localita' archeologiche o panoramiche, e a costi ragionevoli.
Il turismo appare dunque come un campo di attivita' promettente per
il dirigibile. E' augurabile che anche l'industria aeronautica
italiana riprenda la costruzione di un mezzo reso famoso da
memorabili imprese.
Lo Zeppelin NT (NT sta per nuove tecnologie) e' di tipo
semirigido, cioe' di scuola italiana, cosa insolita per una ditta
costruttrice del tipo rigido, del quale e' caposcuola. Il Congresso
internazionale sul dirigibile moderno, tenuto nel 1995 a Trento,
presso il Museo Aeronautico Caproni, aveva stabilito che per
cubature inferiori ai 100.000 metri cubi era conveniente il tipo
semirigido.
Nello Zeppelin NT il trave di irrigidimento e' situato nella parte
superiore e mediana dell'involucro, invece che nella parte
inferiore come in passato. Due dei motori sono in posizione
mediana, lontana dalla cabina passeggeri, che non sono disturbati
dal rumore. Il terzo si trova in coda con compiti anche
multidirezionali. In questo la Zeppelin si e' ispirata alla
soluzione ideata dall'ingegner Enrico Forlanini, e applicata
all'Omnia Dir (tutte le direzioni) nel 1930.
Le eliche sono basculanti: con asse verticale danno la spinta per
la velocita'; con asse orizzontale danno una spinta di
sollevamento, in fase di involo, in ausilio a quella del gas.
L'involucro e' di materia plastica, piu' leggera e piu' robusta del
tessuto di cotone gommato del passato. Lo Zeppelin NT e' provvisto
di radar meteorologico di bordo, per individuare perturbazioni
meteo pericolose, che il dirigibile, con la sua lunga autonomia,
puo' aggirare.
Tullio Filtri
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. DENTRO UN PERSONAL COMPUTER
Il cuore del chip e' uno clock
Prima puntata di un viaggio nell'informatica
OGENERE inchiesta
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE
OARGOMENTI informatica, elettronica
ONOMI BABBAGE CHARLES
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.T.
OKIND report
OSUBJECTS computer science, electronics
L'informatica, scienza molto giovane che stenta a conquistarsi un
posto nelle scuole e nelle accademie, cerca di migliorare la propria
immagine anche con la cura del linguaggio. Di norma si appoggia a
sigle astruse, di derivazione inglese, che associano la seduzione
dell'esoterismo al fascino del cosmopolitismo; ma talvolta
ingentilisce aridi concetti con eleganti locuzioni, mutuate da
discipline di nobilta' consolidata. Cosi', l'organizzazione di un
calcolatore in parti componenti e' chiamata «architettura».
L'architettura del personal computer e' ancora quella proposta da
Charles Babbage, l'inventore del primo calcolatore programmabile
della storia, in occasione del secondo congresso degli scienziati
italiani che si tenne a Torino nel lontano 1840. L'unita' di calcolo,
o unita' aritmetica, e' quel complesso di circuiti che svolgono le
operazioni aritmetiche o logiche elementari di un certo programma. E'
l'equivalente della calcolatrice tascabile di oggi o dei calcolatori
di Pascal, Leibnitz e altri che precedettero il calcolatore
programmabile di Babbage. L'unita' di calcolo funge anche da veicolo
dei dati provenienti dall'unita' d'ingresso, che, nel nostro caso, e'
tipicamente la tastiera. Analogamente, l'unita' di calcolo svolge, su
comando dell'unita' di controllo, la funzione di invio dei risultati
dell'elaborazione all'unita' di controllo, la funzione di invio dei
risultati dell'elaborazione all'unita' di uscita, che puo' essere,
nel nostro caso, il video oppure la stampante. La memoria contiene i
dati su cui operare, i risultati intermedi dei calcoli, i risultati
finali prima di essere trasferiti all'unita' di uscita o alle unita'
di uscita. La memoria contiene anche il programma da eseguirsi, ossia
la descrizione delle operazioni che costituiscono il programma
stesso. Un calcolatore che utilizzasse due memorie centrali distinte,
una per i dati e una per il programma, sarebbe certamente piu'
semplice e facile da comprendere. Tuttavia, i calcolatori di oggi,
come il calcolatore di Babbage, preferiscono utilizzare una memoria
unica per i dati e per il programma al fine di una maggiore
flessibilita'. Infatti, ci sono problemi, come quelli della
contabilita' delle aziende, che sono relativamente semplici e sono
risolubili con programmi corti; questi tuttavia lavorano su grandi
volumi di dati. Altri problemi, come quelli della guida di
un'astronave dalla Terra a Marte, richiedono invece pochi dati, ma
programmi lunghi e complessi. Proprio per questo, se la memoria dei
dati e del programma e' unica, con lo stesso tipo di calcolatore
possiamo risolvere sia i problemi semplici con tanti dati, sia quelli
complessi con pochi dati. Infine, l'unita' di controllo invia a tutte
le altre unita', nell'ordine corretto, i comandi necessari per
innescare tutte le operazioni elementari, dai calcoli dell'unita'
aritmetica ai trasferimenti fra le varie unita' o fra i vari
«registri» entro la stessa unita'. Diamo una prima occhiata al
personal computer, che d'ora innanzi, come segno di familiarita',
chiameremo brevemente Pc. Il Pc che risiede stabilmente sul tavolo
del vostro ufficio rientra nella categoria dei «desk top» ed e'
composto da tre moduli fisici: il «box», o scatola di base, che
contiene l'unita' di calcolo, l'unita' di controllo e la memoria; la
tastiera che funge da unita' di ingresso; il video che funge da unica
unita' di uscita. Un'eventuale stampante funge da seconda unita' di
uscita. Se invece il vostro Pc e' un portatile, tutte le unita' sono
incorporate in un unico modulo fisico, ma il box, la tastiera e il
video sono comunque ugualmente identificabili. Per meglio comprendere
il funzionamento e le caratteristiche del vostro Pc dobbiamo tuttavia
aprire il box (o far finta di aprirlo, poiche' aprirlo e' cosa per i
bimbi di dieci anni, non per i professori di informatica, che
rischierebbero di prendere la scossa o, quanto meno, di non riuscire
a richiuderlo). La prima scoperta interessante che faremmo aprendo il
box e' che la maggior parte delle funzionalita' dell'unita' di
calcolo e dell'unita' di controllo sono svolte da un unico
microcircuito o «chip», dalle dimensioni di un cioccolatino sottile e
quadrato: il microprocessore o «Cpu» (Central Processing Unit). Se il
vostro Pc e' recente, il microprocessore e' un Pentium dell'Intel; se
il Pc e' vecchio il microprocessore e' un 80486 (486 per gli intimi);
infine se il vostro e' un Matusalemme, il micorprocessore e' un 80286
o 80386 (286 o 386). Il microprocessore ha un cuoricino o «clock» che
cadenza il suo funzionamento. Il battito di questo cuoricino si
misura in MH2 o «megahertz» ossia in milioni colpi al secondo, ed e'
questa una misura molto importante della velocita' del calcolatore,
perche' questo esegue un'istruzione ogni due o tre, o comunque pochi,
colpi di clock. La seconda scoperta importante che faremmo scoprendo
il box e' che la memoria non e' omogenea ma che' composta da una
«memoria centrale», molto veloce ma relativamente piccola, e da una
«memoria periferica» relativamente lenta ma molto capace. La memoria
centrale e' quella che nei cataloghi e' indicata con la sigla Ram o
«Random Access Memory» (a ricordare che posso scegliere a a caso la
cella da leggere o da aggiornare e il tempo di accesso rimane
costante). La Ram e' costituita da una moltitudine di elementi «a
stato solido», o transistori, impaccati in pochi microcircuiti che
tecnologicamente sono fatti come il microprocessore. La memoria
periferica e' costituita essenzialemente dall'Hard Disk un piatto o
piu' piatti rotanti ricoperti da materiale magnetico, ove
l'informazione viene scritta e letta lungo piste circolari da testine
magnetiche. Possiamo immaginare il disco come una moltitudine di
piccole calamite che disposte in una direzione indicano un «uno» e
disposte nella direzione opposta indicano uno «zero». La memoria
periferica e' molto piu' lenta della Ram. Infatti il tempo necessario
per il posizionamento della testina sul dato ricercato e' dell'ordine
del millesimo di secondo, mentre il tempo di lettura o di scrittura
sulla Ram e' dell'ordine delle decine di miliardesimi di secondo. Per
contro, l'hard disk e' molto piu' capace della Ram, infatti si
vendono oggi Pc di basso costo con hard disk da 1 o 2 Gb (gigabite)
ossia da 1 o 2 miliardi di caratteri, mentre la Ram e' generalmente
confezionata in blocchi da 8 Mb che sta per Megabite, ossia 8 milioni
di caratteri. Inoltre la Ram perde il proprio contenuto quando il
calcolatore viene spento, mentre la memoria magnetica conserva i
valori memorizzati perche' basati sull'orientamento delle calamitine
che rimane fissa anche in assenza di alimentazione. Per queste
ragioni Hard Disk e Ram sono usati in modo complementare. Nella Ram
risiedono i programmi in fase di esecuzione e i dati utilizzati dal
programma attivo in quel momento; sulla Hard Disk sono invece gli
enormi archivi permanenti dei programmi e dei dati che
presumibilmente di utilizzeranno in futuro. I tempi ddi accesso
all'Hard Disk e i tempi di trasferimento sono molto lunghi in
rapporto alla velocita' del processore, percui conviene ridurli allo
stretto indispensabile. E' preferibile un lento 486 con tanta Ram a
un veloce Pentium con poca Ram. Meglio un vecchietto in bicicletta
che un giovane a piedi. Angelo Raffaele Meo.
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. NUOVE CURE
E' autunno, pensiamo all'ulcera
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI OSPEDALE MOLINETTE
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS medicine and physiology
VI sono malattie con una frequenza che varia con le stagioni. Le
cause possono essere periodiche differenze del clima, delle
abitudini, dell'alimentazione, ma non sempre il rapporto e' chiaro.
E' il caso dell'ulcera gastro-duodenale. La elaborazione di oltre 11
mila esami endoscopici effettuati da un gruppo di studio della
Divisione di gastroenterologia dell'Ospedale Molinette di Torino ha
dimostrato un andamento ciclico dell'ulcera, con maggiore frequenza
dei casi in autunno e primavera. Questa osservazione e' stata
confermata da altri studi internazionali. Quale l'origine? Le attuali
conoscenze hanno modificato le vecchie idee sull'ulcera. Oggi si sa
che l'ulcera e' fortemente associata alla infezione della parete
gastrica da parte del batterio Helicobacter pylori, causa di gastrite
cronica. Il legame fra il batterio e l'ulcera e' indicato dal fatto
che l'infezione, dimostrabile mediante test diagnostici, e' presente
in oltre il 90 per cento dei pazienti con ulcera, e che
l'eliminazione del batterio con opportune terapie riduce notevolmente
il tasso di recidive dell'ulcera. E' probabile che il batterio
predisponga all'ulcera aumentando la secrezione di acido gastrico. Il
trattamento dell'ulcera ne e' stato rivoluzionato, la terapia
antibatterica e' diventata il punto forte in confronto alla
tradizionale terapia contro l'acidita'. La terapia antibatterica
consente nella maggior parte dei pazienti una remissione prolungata
della malattia ed e' di durata breve, dai 7 ai 15 giorni, in
confronto alla terapia antiacida che deve essere protratta per
evitare il rischio di ricadute. Vari farmaci sono attivi contro
l'Helicobacter, specialmente se associati: bismuto sottonitrato,
metrodinazolo, antibiotici quali amoxicillina e claritromicina.
L'infezione e' eliminabile nell'85-95 per cento dei casi, e l'effetto
protettivo puo' persistere per anni. Quanto ai farmaci anti-acido
citiamo gli antisecretori (riducono la produzione di acido da parte
delle cellule gastriche) quali gli antagonisti dei recettori H2
(cimetidina, ranitidina) e i piu' recenti inibitori della «pompa
protonica» (omeprazolo), attualmente i piu' efficaci inibitori della
produzione di acido. Ma torniamo all'andamento stagionale
dell'ulcera: e' opportuno progettare una terapia apposita in autunno
o in primavera, le stagioni nelle quali risulta una maggiore
frequenza dei sintomi? Secondo il gruppo torinese citato all'inizio,
e recenti ricerche d'un gruppo israeliano che ne ha ripreso gli
studi, esiste una correlazione fra l'infezione da Helicobacter e le
fluttuazioni della malattia. Qualora la terapia antibatterica non
risolvesse il problema, una terapia stagionale con farmaci
antisecretori sarebbe indicata dopo un'accurata valutazione del caso.
Ulrico di Aichelburg
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. ANTICHE UNITA' DI MISURA
Libbre, once, piedi, trabucchi
L'Europa e il sistema decimale contro i Paesi anglosassoni
OAUTORE VOLPE PAOLO
OARGOMENTI metrologia, storia della scienza
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.
OSUBJECTS metrology, history of science
Le unita' di misura sono alla base tanto degli scambi scientifici e
tecnici quanto di quelli commerciali. Oggi si tende a unificare nel
SI (Sistema Internazionale) tutte le unita' di misura, almeno a
livello ufficiale tra le nazioni ad economia avanzata. Il SI deriva
dal vecchio MKS, in cui le unita' il metro per la lunghezza, il
chilogrammo per la massa, e il secondo per il tempo. Da queste, a cui
si aggiunge l'A, unita' di corrente elettrica, M (mole per unita' di
materia) e K, grado di temperadura assoluta, vengono derivate tutte
le unita' per le latre grandezze. Com l'adozione di questo sistema
l'Europa impone la sua razionalita', mettendo in posizione subalterna
i Paesi anglosassoni (Stati Uniti compresi) guidati dall'Inghilterra,
culla del tradizionalismo, nei quali le misure sono retaggio della
civilita' contadina e artgianale. Pollice (2,52 centimetri), piede
(12 pollici) e iarda (3 piedi) per le lunghezze, grano (0,065 g) e
oncia (28,35 g) per i pesi. Barile e pinta per le capacita', sono
infatte le grandezze nate per la verifica senza strumenti anche se
oggi hanno per forza di cose assunto valori ben precisi. Ma e' dalla
notte dei tempi che, la necessita' di critire per gli scambi
commerciali ha imposto delle unita' di misura che, nell'assenza quasi
sempre di strumenti venivano basate su confronti «sempre al seguito».
Assiri, Babilonesi e Persiani basavano le lunghezze sul piede (32 cm)
con multipli il cubito (2 piedi) e la canna (12 piedi) e di pesi sul
talento (32,6 kg); piu' alti e generosi erano gli Egizi il sui piede
era 34,9 cm ed il cui talento valeva 42,5 kg. Gli Ebrei il cubito
assiro e il talento egizio. Con greci e romani, civilta' piu'
organizzate le unita' si complicano con multipli e sottomultipli. Per
le lunghezze i greci avenano il dito (1,93 cm) il piede olimpico
(ovviamente), unita' base uguale a 30,86 cm, il cubito (2 piedi), il
passo (2,5 piedi) ovviamente lo stadio (uguale a 600 piedi) e il
miglio (4500 piedi); i pesi venivano ancora misurati in talenti (ma
di 25,5 kg) in dramme (4,25 gr) ed in oboli (0,71 gr). Per i Romani
fanatici del diritto, il piede era ovviamento «legale» e valeva 19,6
cm con sottomultipli il palmo, il pollice e il dito, pari
rispettivamente ad 1/4, un 1/12 ed 1/16 di piede (7,4, 2,47 ed 1,85
cm); e multipli il cubito (44,4 cm), il passo (5 piedi uguali 148 cm)
ed il miglio (1000 passi). Per le misure di capacita' usavano,
pensate un po' l'anfora (uguale 26,2 litri) e l'urna (mezza anfora)
mentre le masse si misuravano in libbre (327,5 gr) con sottomultipli
l'oncia (1/12 di libbra) e lo scrupolo uguale ad 1/24 di oncia.
Confrontando il sistema romano con quello anglosassone attuale ci si
puo' rendere contro dell'entita' del tradizionalismo inglese, che ha
conservato quasi intatte le unita' di misura importate circa duemila
anni fa dai colonizzatori romani, e che accetta di recepire il
sistema piu' razionale solo per non venire isolato negli scambi
commerciali. Prima o poi che intendono nel circuito economico
mondiale, dovranno adattarsi ad adottare il SI e Dio solo sa quanti
sono (si pensi all'Asia e all'Africa) i sistemi di misura a carattere
locale ancora in vigore. Per averne un'idea basta rifarsi a quello
che, ancora nel secolo scorso, era il sistema ancora in vigore nella
gia' abbastanza evoluta ma divisa Italia: in Piemonte l'unita' di
lunghezza era il piede, un piedone da 51,4 cm, che aveva come
multiplo il trabucco (6 piedi) ed il miglio (800 trabucchi = 2467
metri); sottomultipli l'oncia (1/12 di piede), il punto (1/12 di
oncia) e l'atomo (1/12 di punto, circa 3 millimetri); i volumi si
misuravano in sacchi (115,3 litri) in emine, in coppi ed in cucchiai
(0,12 litri) per la merce secca, ed in brente (49,3 litri), in pinte
(1/36 di brenta), in quartini (1/14 di pinta) ed in bicchieri (1/2
quartino) per i liquidi. L'unita' di pesa era la libbra (369 gr),
divisa in 12 once ciascuna delle quale era divisa in 8 ottavi, a loro
volta divisi in tre denari. Un denaro valeva 24 grani e ciascuno du
questi 24 granotti. Bastava spostarsi in Lombardia per trovare come
unita' di lunghezza un piede di soli 43,5 cm: in compneso li' c'era
il braccio (59,5 cm), ed il miglio valeva 3000 braccia (1785 metri);
anche in lombardia c'erano i trabucchi, le once i punti e gli atomi,
ma tutti piu' corti che in piemonte: un atomo lombardo era solo 2,5
mm. Per pesare in lombardia c'erano la libbra sottile, uguale a 326,8
grammi e la libbra grossa (2,5 libbre sottili); una libbra sottile
valeva 12 once, un oncia 24 denari e un denaro 24 scrupoli. La
confusione aumentava passando nel Veneto, dove le lunghezze erano
ancora misurate in piedi ma di 34,8 cm; per distante maggiori si
usavano il passo (5 piedi) ed il miglio era 1000 passi, quindi solo
1740 metri; sottomultipli del piede erano le once (1/12 di piede) e
le linee (1/12 di oncia). Capacita' e volumi si misuravano, per la
merce secca in moggi (un moggio = 333,3 litri), che valeva 4 staia;
ogni staia era 2 mezzeni, ogni mezzeno era due quarte ed ogni quarta
due quarteroli; i liquidi avevano come unita' il mastello (75,12
litri), che valeva un decimo di botte oppure tre secchie; una secchia
era quattro bozze, un abozza 4 quartucci ed un quartuccio 4 getti.
Anche nel Veneto c'erano la libbra sottile e la libbra grossa, ma
valevano rispettivamente 301,23 e 477 grammi; tutte e due erano
soddivise in 12 once, quindi convivevano due ince diverse: la prima
era suddivisa in 192 carati e 768 grani, la seconda in 8 dramme, 24
scrupoli ed in 72 grane. Immaginate a quante occasioni di truffe e
raggiri basate sull'equivoco potesse essere oggetto un mercato che
dovesse svolgere lòa sua attivita' nella Val padana. Tantopiu' che la
stessa confusione valeva per le monete, spesse chiamate con lo stesso
nome ma con valore notevolmente diverso. Se poi quel mercante avesse
avuto, per cosi' dire, la «rappresentenza» per tutta l'Italia credo
che sarebbe impazzito: avrebbe trovato centinaia di unita' multipli e
sottomultipli diversi o peggio con lo stesso nome ma di valore
diverso. Pertiche, tornature, carri, quartaroli, corbe da grano o da
vino, castellate, ferlini, boccali, quarre, imbuti, starelli, rubbi,
some e fiaschi erano solo alcune delle unita' che si trovavano lungo
la penisola fino ad arrivare in Sicilia dove l'unita' di lunghezza
era il palmo, lungo 25,8 cm; 8 pali facevano una canna, 4 canne una
catena, 4 catene una corda e 43 corde un miglio, che valeva percio'
1420 metri. Sottomultipli del palmo erano l'oncia (1/12) la linea
(1/12 di palmo) ed il punto (1/12 di linea). Le superfici venivano
misurate in «salme». L'unita' di capacita' era il tomolo (17,2 litri)
se si trattava di merce secca, ed il barile (34,39 litri) per la
merce liquida. Il primo era suddiviso in quattro mondelli, un
mondello = 4 carozzi ed un carozzo = a 4 quartigli. Il secondo in
botti (1/32 di barile), in quartare (1/2 di botte), in quartucci
(1/20 di quartare), in caraffe (1/2 quartuccio) e in bicchieri (1/2
caraffa). Si pesava con unita' il cantaro che ra 79,34 kg, che valeva
100 rotoli; ogni rotolo valeva 30 once (quindi 1 oncia palermitana
valeva 26,4 grammi); l'oncia era divisa in quartini, ognuno dei quali
valeva due dramme, a loro volta divise in 3 scrupoli e ciascuno di
questi in 20 cocci: il coccio era dunque 55 milligrammi. Sia
benedetto il Sistema Internazionale! Paolo Volpe
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. AMBIENTE
C'e' energia nell'olio usato
Da un inquinante, una risorsa
OAUTORE PAVAN DAVIDE
OARGOMENTI ecologia, energia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology, energy
CHE fine fa l'olio lubrificante consegnato alle officine o alle
stazioni di servizio dopo la sua sostituzione? E' preferibile
distruggerlo o e' possibile il suo riutilizzo? Cosa si fa per
impedirne la dispersione nell'ambiente? Una panoramica sui problemi
tecnici, economici e legislativi legati ai lubrificanti e' stata
offerta a Lione dal 3o Convegno europeo sulla rigenerazione dei
lubrificanti, organizzato dal Geir (Gruppo aziende europee della
rigenerazione). L'olio, che deriva dalla distillazione frazionata
del petrolio grezzo, deve, per definizione, lubrificare, cioe'
ridurre l'attrito tra superfici in movimento. Le proprieta'
lubrificanti di un olio dipendono dalla sua viscosita'. Poiche' la
viscosita' dei liquidi diminuisce fortemente all'aumentare della
temperatura, un lubrificante e' tanto piu' pregiato quanto piu'
questa variazione e' piccola. Durante il suo ciclo di impiego,
l'olio subisce trasformazioni chimico-fisiche tali da renderlo
inadatto a svolgere le sue funzioni; in questo caso l'olio viene
sostituito e diventa "olio usato". Questo puo' contenere vari
inquinanti: negli olii lubrificanti dei motori ci sono residui di
combustione, negli olii di origine industriale metalli di vario
genere. In Italia si consumano ogni anno 600 mila tonnellate di
olio lubrificante, da cui residuano circa 200 mila tonnellate di
olio usato. Di queste, circa 180.000 tonnellate sono raccolte
attraverso un Consorzio nazionale obbligatorio, le restanti 20.000
sono disperse illegalmente nell'ambiente.
I problemi legati allo smaltimento degli oli sul terreno sono
legati agli accumuli di metalli, che vengono assorbiti dalle piante
intossicandole; se versato in fognatura, l'olio provoca blocchi
agli impianti di depurazione biologica, uccidendo i microorganismi
utili; nelle acque provoca la formazione di una pellicola che
impedisce lo scambio di ossigeno con l'atmosfera, con conseguenze
drammatiche per la fauna e la flora: un chilo di olio puo'
inquinare una superficie d'acqua di un chilometro quadrato. L'olio
usato va considerato invece un'importante risorsa. Esso possiede un
alto contenuto energetico: 150.000 tonnellate di lubrificante usato
sono in grado di fornire energia per un anno alle necessita'
domestiche di una cittadina di 70.000 persone. Inoltre l'olio e'
quasi interamente riutilizzabile. Le avanzate tecnologie di
rigenerazione odierne sono in grado di produrre olio base di ottima
qualita' con le stesse prestazioni dell'olio primario. In Italia
vengono inviate ogni anno alla rigenerazione 140.000 tonnellate di
olio esausto, mentre solo 40.000 tonnellate sono destinate alla
combustione o alla termodistruzione. Il processo di rigenerazione,
oltre ad essere piu' economico e meno inquinante della raffinazione
ordinaria, e' ad alto rendimento: da 100 kg di olio usato si
ottengono 68 kg di olio nuovo. Ecco una soluzione per un ingresso
"sostenibile" nel XXI secolo: riduzione dei rifiuti, riciclaggio
delle risorse e conservazione dell'energia.
Davide Pavan
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. FORSE UNA RISPOSTA
Il rebus del letargo degli orsi
Una fondamentale riserva di grassi nel sangue
OAUTORE OLDANI RICCARDO
OARGOMENTI zoologia, biologia
ONOMI MUSIANI MARCO, ROTH HANS, GENTILE LEONARDO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology, biology
IL mistero del letargo degli orsi e' scritto nel sangue. Lo
sostiene un gruppo di ricercatori italiani che, in seguito a una
lunga indagine condotta nel Parco nazionale d'Abruzzo sull'orso
marsicano, e' giunto a dare importanti risposte su un meccanismo
biologico ancora in gran parte sconosciuto. Il letargo e' uno degli
argomenti piu' seguiti degli studiosi in tutto il mondo, che si
sono dati un gran daffare per capire come molte specie riescano a
trascorrere l'inverno "dormendo" anche per alcuni mesi. Un campo di
indagine complesso visto che ogni specie sembra avere una risposta
particolare ai problemi della stagione fredda. Ma l'approccio
dell'orso all'inverno e' forse quello piu' stupefacente e da sempre
ha sollevato un gran numero di interrogativi. La maggior parte
delle specie che vanno in letargo, infatti, alternano momenti di
profondo torpore, in cui la temperatura corporea scende di molti
gradi, ad altri di veglia, necessari per espletare alcune
fondamentali attivita' vitali. L'orso invece no, tanto e' vero che
gli esperti preferiscono parlare non di letargo, ma di ibernazione.
Nella sua tana il plantigrado puo' restare anche sei o sette mesi
senza muovere un muscolo, senza mangiare, bere o defecare,
mantenendo una temperatura corporea sorprendentemente alta, da 31 a
36 gradi centigradi, contro i 37-38 dei periodi di piena attivita'.
Un "esercizio" che ha anche un elevato costo in termini di consumi
di energia. "Come fanno gli orsi a sostenere un periodo cosi' lungo
senza alimentarsi?".
"I motivi possono essere tanti, ma noi siamo convinti di avere
scoperto qualcosa di molto importante nel sangue dell'orso", spiega
Marco Musiani del dipartimento di Biologia animale e dell'uomo
dell'Universita' di Roma. Musiani ha illustrato le acquisizioni
ottenute dal gruppo di ricerca sull'orso marsicano, di cui fa parte
con Leonardo Gentile, Maurizio Valentini, Hans Roth e Piero
Musiani, studiosi dell'Universita' di Chieti e del Centro studi
ecologici appenninici. "Abbiamo fatto dei prelievi - racconta - a
nove esemplari di orso marsicano sei in cattivita' e tre liberi. E
le analisi hanno evidenziato che in questi animali i globuli
bianchi svolgono funzioni particolari. Come gli altri mammiferi,
gli orsi presentano tre popolazioni di cellule bianche del sangue:
i linfociti, i monociti e i granulociti. Ma esse non si limitano a
entrare in gioco per fronteggiare gli attacchi portati da malattie
e infezioni, come avviene per gli altri mammiferi; fanno molto di
piu'".
Ed e' proprio qui il nocciolo della scoperta: "I granulociti del
sangue degli orsi - continua Musiani - hanno la caratteristica del
tutto particolare di contenere una quantita' molto elevata di gocce
grasse. Si tratta di minuscole goccioline, visibili al microscopio,
che si insediano nel citoplasma di queste cellule specializzate.
Per fare un paragone, noi "umani" possiamo avere una goccia
grassa per ogni sezione di cellula, mentre l'orso ne presenta in
media otto! Un numero che tra l'altro cresce quando i granulociti
vengono trattati con soluzioni ricche di lipidi". Cosa significa?
"Che attraverso i granulociti gli orsi sono in grado di
immagazzinare grassi, le molecole piu' ricche di calorie e di
acqua. Preziose riserve di energia che possono dispensare
all'organismo, durante il periodo di ibernazione, e di lungo
digiuno".
Quali sono i vantaggi di questo meccanismo? Anzitutto un'estrema
duttilita', visto che attraverso le cellule bianche del sangue
l'orso e' in grado di convogliare le sue riserve energetiche
esattamente dove l'organismo le richiede. In secondo luogo una
grande praticita': l'orso infatti non deve crearsi enormi riserve
di cibo fresco, ma puo' utilizzare una "dispensa" interna al
proprio organismo. Negli Stati Uniti sono in corso studi per
individuare i meccanismi che regolano la biologia di questi
animali. I risultati potrebbero portare a nuove soluzioni per
combattere alcune malattie dell'uomo, come disfunzioni, calcoli
renali, anoressia e obesita'.
Riccardo Oldani
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SALVASCHERMO
Nel computer c'e' qualcosa di vivo...
OAUTORE VALERIO GIOVANNI
OARGOMENTI informatica
ONOMI LATHAM WILLIAM, ATKINSON MARK
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science
PROTEGGONO, certo, i fosfori del monitor, ma gli "screen saver"
(salvaschermo) hanno anche una funzione estetica. Tutti ne hanno
uno installato con il sistema operativo: se non si tocca la
tastiera del computer per qualche minuto, lo screen saver fa
apparire automaticamente delle immagini sul monitor: dai semplici
salva-schermo con puntini in movimento si e' passati a figure
sempre piu' sofisticate: astronomiche, geometriche, porno- soft. E
ora anche "vive".
Gli ultimi arrivati sono gli screen saver che cambiano, giorno
dopo giorno, seguendo le leggi dell'evoluzione. Sviluppati
dall'artista inglese William Latham, gli schermi viventi sono
contenuti in "Organic Art" (Warner Interactive), un Cd- Rom che e'
qualcosa di piu' di una tradizionale raccolta tematica di screen
saver. Grazie a un programma dello stesso Latham e del mago del
computer Mark Atkinson, il Cd-Rom permette non solo di vedere, ma
di creare le immagini del vostro salva-schermo. Come un dio
microcosmico, scegliete i processi di mutazione e di selezione per
far crescere le immagini, che continueranno a evolversi sul monitor
formando vere e proprie sculture organiche. Si parte da figure
semplici (coni, cubi, piramidi, cuori, ma anche ossa, facce e
teschi) e da una trentina di modelli per la generazione delle forme
(sferiche, a rete, in rotazione). Si fissano i parametri per le
mutazioni, le luci e i colori. E si decide quali forme vivranno e
quali moriranno. Le immagini scelte sopravvivono, mutando e
riproducendosi, in una selezione piu' estetica che naturale. Sul
monitor appariranno bizzarre figure tridimensionali: creature
marine, strane forme di vita aliena, sculture astratte e foreste
rigogliose. Nel monitor, Escher batte Darwin, si crea la bellezza a
partire dal caos.
Dei suoi organismi virtuali, il programma di Latham crea il Dna.
Usa cioe' algoritmi genetici: codici informatici che descrivono,
proprio come i cromosomi, le caratteristiche degli esseri generati
dal computer. Il programma genera popolazioni di "cromosomi
digitali". Scegliendone solo qualcuno, si creano nuove generazioni
che si avvicinano sempre piu' allo scopo. Latham usa queste
tecniche da anni, producendo forme d'arte. L'artista, spiega
Latham, si limita a fare il "giardiniere" dell'opera: una potatura
qui, un innesto la', una pianta da estirpare o da incrociare. Il
resto lo fa la macchina. Il software grafico basato sugli algoritmi
genetici di "Organic Art" (consultabile all'indirizzo Internet
http://www.artworks.co.uk/), e' solo l'ultima conferma della
capacita' del computer di simulare i comportamenti della vita
reale. Le forme d'arte create da Latham sembrano cosi' vive che,
spegnendo il computer, vi assalira' una certa inquietudine. Forse
avete interrotto la loro vita tra i bit dietro lo schermo.
Giovanni Valerio
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. L'AGLIO
Combatte
funghi, virus
e batteri
OAUTORE KRACHMALNICOFF PATRIZIA
OARGOMENTI medicina e fisiologia, botanica
OORGANIZZAZIONI WEIZMAN INSTITUTE OF SCIENCE DI ISRAELE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, botany
L'AGLIO e' usato in tutto il mondo per insaporire salse e cibi ed
e' sempre stato considerato, anche se in base a criteri piuttosto
empirici, apportatore di benefici effetti sull'organismo. Una
specifica e accurata ricerca condotta dal Weizmann Institute of
Science in Israele ha ora chiarito scientificamente i meccanismi
molecolari con cui questo popolarissimo vegetale compie la sua
benefica azione nella prevenzione di alcune gravi malattie.
I ricercatori si sono serviti di un procedimento biotecnologico
per la produzione di grosse quantita' di allicina, la principale
componente biologicamente attiva dell'aglio.
L'allicina, in natura, e' la sostanza che protegge la pianta da
funghi e parassiti, ed e' la causa del suo odore pungente.
Sull'uomo, invece, ha un ruolo importante nel prevenire disturbi
cardiaci, ed ora e' stato caratterizzato il meccanismo molecolare
attraverso il quale blocca certi gruppi di enzimi che sono tra i
principali responsabili delle infezioni.
Poiche' questi gruppi di enzimi si trovano in una grande varieta'
di batteri, funghi e virus, la ricerca offre una base scientifica
del fatto che l'allicina e' una sostanza antimicrobica a largo
spettro, in grado di allontanare vari tipi di infezioni. E' stato
inoltre accertato che e' efficace a fronte della crescente
resistenza dei batteri agli antibiotici.
Difficilmente i batteri potrebbero sviluppare una resistenza
all'allicina, in quanto questo implicherebbe una modifica di quegli
stessi enzimi che rendono possibile la loro attivita'. L'allicina
blocca gli enzimi reagendo con una delle loro componenti piu'
importanti, i tioli.
Questa scoperta e' particolarmente importante perche' i tioli sono
parti essenziali di alcuni enzimi che partecipano alla sintesi del
colesterolo; quindi reagendo e modificando i tioli di questi
enzimi, l'allicina puo' impedire la produzione di colesterolo
dannoso, quello cioe' che ostruisce le arterie. Sono in corso studi
piu' avanzati per accertare che l'azione dell'allicina contro i
tioli non sia in contrasto con altri processi enzimatici vitali.
La reazione dell'allicina con i tioli ha anche suggerito la
possibilita' di suoi effetti antiossidanti. Gli ultimi studi hanno
confermato questa capacita' e per la prima volta hanno stabilito
una valutazione quantitativa.
Gli antiossidanti neutralizzano i radicali liberi dannosi ritenuti
in parte responsabili di tumori, aterosclerosi, invecchiamento ed
altri processi. Andando al futuro praticabile come medicina,
bisogna dire che la sostanza naturale perde la propria efficacia
poche ore dopo lo schiacciamento degli spicchi d'aglio, perche'
reagisce immediatamente con le altre componenti della pianta.
Al Weizmann sono riusciti a produrre allicina in forma
semi-sintetica: dapprima viene sintetizzato chimicamente il suo
precursore, l'alliina, poi una forma modificata dell'enzima
naturale, l'alliinase, la trasforma in allicina pura, che in questa
forma semi-sintetica puo' essere conservata per mesi senza perdere
di efficacia. Quindi presto l'allicina potra' essere
commercializzata e iniziare a dare i suoi benefici effetti su larga
scala.
Si puo' quindi osservare che, ancora una volta, la scienza ha dato
ragione agli antichi rimedi che la sapienza contadina ci ha
tramandato sotto forma di semplici decotti ed applicazioni, che
solo oggi sono riconosciuti e trasformati in terapie tecnicamente
precise.
Patrizia Krachmalnicoff
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Il Polo Nord va a spasso...
Cosi' funziona il nucleo terrestre
OAUTORE PRELLA DANILO
OARGOMENTI geografia e geofisica, fisica
ONOMI BLOXHAM JEREMY, WEIJIA KUANG
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
OSUBJECTS geography and geophisics, physics
L'AGO della bussola indica sempre il Nord: questo fa parte di quel
bagaglio di nozioni che ognuno di noi si porta dietro fin
dall'infanzia e che ha tutto il sapore di una verita' assoluta. Ma
non e' una convinzione del tutto corretta. In passato vi sono stati
periodi in cui il polo Nord magnetico era molto vicino al Sud
geografico, invece che al Nord. Il campo magnetico terrestre aveva
cioe' una polarita' opposta rispetto a quella attuale. Il fenomeno
puo' essere compreso piu' facilmente se si immagina che esso sia
analogo a quello prodotto da una barra magnetica posta al centro
della Terra ed inclinata di circa 11 gradi rispetto all'asse di
rotazione. Quando la barra "ruota" di 180 gradi in direzione
Nord-Sud si ha l'inversione di polarita'. Si sa con certezza che vi
sono state centinaia di inversioni nella storia della Terra, ognuna
delle quali si e' compiuta in un tempo compreso fra 1000 e 6000
anni. Durante ciascun evento l'intensita' del campo diminuisce fino
a un quarto del valore normale, ma non e' ancora chiaro cosa
succede realmente alla sua direzione: i poli magnetici si spostano
gradualmente lungo un meridiano fino a raggiungere gli antipodi,
oppure hanno movimenti piu' rapidi, caotici e discontinui?
Il problema si puo' risolvere localizzando le posizioni degli
antichi poli mediante l'analisi del magnetismo residuo, registrato
da molte rocce vulcaniche e sedimentarie nel momento della loro
formazione. Finora pero' l'interpretazione dei dati non e' stata
priva di ambiguita'. Dalle rocce si sono ricavati modelli di
comportamento esattamente contrari: dall'analisi dei sedimenti
emerge che i poli si spostano secondo due bande longitudinali poste
agli antipodi, mentre lo studio delle lave dice che essi
costituiscono gruppi discreti sparsi sulla superficie terrestre. Ma
la discontinuita' dei fenomeni vulcanici, e la bassa velocita' di
deposizione dei sedimenti hanno impedito in realta' un monitoraggio
regolare ed efficiente delle fluttuazioni del campo.
Tuttavia J.E.T. Channell e B. Lehman hanno presentato sul numero
di Science del 16 ottobre i risultati ottenuti dallo studio di
sedimenti marini ad alta velocita' di deposizione (circa 12
centimetri in mille anni) situati nell'Atlantico settentrionale. I
dati si riferiscono alle due ultime inversioni del campo magnetico,
avvenute rispettivamente 790 mila e 990 mila anni fa, e sono i piu'
completi mai presentati. Gli autori rilevano un comportamento
simile per entrambi gli eventi e propongono un modello
sostanzialmente in accordo con quello ottenuto da rocce vulcaniche.
Secondo i due ricercatori, quindi, il raggruppamento dei poli
magnetici in alcune zone geografiche testimonierebbe il carattere
discontinuo dell'inversione. Dopo aver appreso che il campo
magnetico terrestre e' tutt'altro che statico possiamo chiederci
quale sia l'origine di queste inversioni. La risposta va cercata
nelle profondita' del pianeta nella natura stessa del nucleo
terrestre, fatto in prevalenza di ferro. Tutto cio' che si trova
fra 2900 e 6370 chilometri sotto di noi costituisce infatti una
vera e propria dinamo di dimensioni planetarie che mantiene in vita
il campo magnetico, altrimenti destinato a estinguersi entro 10.000
anni. Il nucleo terrestre e' diviso in un parte interna solida, con
un raggio di 1200 chilometri e una parte esterna, spessa circa 2300
chilometri, che e' fluida ed elettricamente conduttrice. Il moto di
questa massa fluida genera il campo magnetico. Probabilmente e'
proprio la natura caotica dei processi coinvolti la causa delle
inversioni del campo, che avvengono in modo apparentemente casuale
persino nelle dinamo di laboratorio. In ogni caso, poiche' e' molto
difficile ottenere dati diretti, vi sono ancora molti dubbi sul
funzionamento della dinamo terrestre.
Due geofisici dell'Universita' di Harvard, Weijia Kuang e Jeremy
Bloxham, hanno recentemente proposto un nuovo modello teorico di
dinamo geomagnetica che, contrariamente ai modelli precedenti,
tiene conto della bassa viscosita' della massa fluida. Come
conseguenza la parte fluida si muoverebbe descrivendo immaginarie
superfici cilindriche attorno al nucleo interno, con velocita'
crescente man mano che ci si allontana dal centro.
Questo modello spiega fedelmente molte proprieta' dell'attuale
campo magnetico terrestre e mette in evidenza come, nonostante
tutti i loro limiti, le simulazioni numeriche fatte con l'aiuto del
computer siano a tutt'oggi il migliore strumento per mettere in
rapporto i fenomeni magnetici del nostro pianeta con cio' che
succede nelle profondita' piu' segrete del pianeta stesso.
Danilo Prella
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. A RISCHIO LE ISOLE DEI MARI DEL SUD
Un addio a Laguna Blu?
Tra inquinamento nucleare ed effetto serra
OAUTORE MORETTI MARCO
OARGOMENTI ecologia, meteorologia, inquinamento, atmosfera, mare, ambiente
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE G. Oscillazioni della temperatura media della Terra
in decimi di gradi centigradi
OSUBJECTS ecology, meteorology, pollution, atmosphere, sea, environmental
LA decisione di Chirac nel 1995 di riprendere gli esperimenti
nucleari a Mururoa aveva offuscato la piu' bella cartolina
illustrata del pianeta. I problemi sembravano risolti, dopo la fine
dei test, con la decisione di Parigi, nel 1996, di firmare il
trattato per la messa al bando del nucleare dai Mari del Sud.
Purtroppo i problemi ambientali della Polinesia non si limitano
all'atomica e ai suoi inquinanti strascichi. I tecnici francesi
assicurarono che gli esperimenti non avrebbero comportato pericoli
per l'ambiente e le persone. Il vulcanologo francesce Pierre
Vincent sostiene invece che "Mururoa presenta tutte le condizioni
per la destabilizzazione di un vulcano, le cui ripide pendici sono
state indebolite dai pozzi scavati per le esplosioni sotterranee e
da una serie di fratture". Secondo gli scienziati, il pericolo
maggiore per il futuro sara' di dispersione di radioattivita'
nell'oceano a causa delle crepe nell'involucro basaltico in cui
sono avvenute le esplosioni. I francesi sostengono che la roccia ha
assorbito il 99 per cento delle radiazioni: solo il 75 per cento
secondo Greenpeace. C'e' una relazione tra gli esperimenti e
l'avvelenamento del pesce a seguito della proliferazione di alghe
tossiche (ciguatera) nel vicino arcipelago delle Gambier. E le
malattie provocate dalla radioattivita' (leucemia, tumori al
cervello e alla tiroide, nascita di neonati deformi) sono in
Polinesia Francese, in percentuale molto piu' alta della media.
Georges Delemagne, vicedirettore di Medici senza frontiere,
sostiene che in Polinesia "il tasso di mortalita' per cancro alla
tiroide e' 30 volte piu' alto che in Francia e 50 volte piu' che in
Giappone". Gia' i test effettuati nel 1987 da Jacques- Yves
Cousteau nella laguna di Mururoa rivelarono tracce di cesio 134, un
isotopo radioattivo. E, nel 1990, una ricerca dell'Istituto
Geologico dell'Auckland University rinvenne cesio 134 nel plancton
a decine di chilometri da Mururoa.
Se la radioattivita' minaccia gli abitanti, l'effetto serra mette
in discussione l'esistenza stessa degli atolli. Secondo uno studio
dell'Onu, l'attuale livello di conbustione degli idrocarburi, prima
causa dell'effetto serra, provochera' il progressivo scioglimento
delle calotte polari e l'innalzamento dei livello dei mari di 20
centimetri entro il 2030 e di 65 centimetri entro il 2100.
Scompariranno gli atolli delle Tuamotu, alti un metro sul livello
del mare: dove si trova Rangiroa, la laguna blu piu' bella del
globo, un ecosistema popolato da centinaia di specie di pesci,
molluschi e polipi del corallo. All'effetto serra e' imputato anche
l'aumento degli uragani registrato nell'ultimo ventennio. Alle Fiji
la loro incidenza e' salita di quattro volte rispetto al periodo
1940-1980. Nel 1993, la combinazione in due soli giorni dei cicloni
Nina e Kina flagello' Fiji e Salomone lasciando 20 mila senzatetto.
L'arcipelago piu' colpito e' Samoa, dove il fenomeno dei tifoni ha
indotto le compagnie assicurative a non emettere piu' polizze
contro i disastri naturali. Colpita in media ogni 10-15 anni,
nell'ultimo decennio Samoa ha subito tre disastrosi uragani che
hanno raso al suolo villaggi e foreste.
Non manca di far danni anche l'industria turistica. In Polinesia
Francese un notevole guasto e' provocato dai fare piloti: i
bungalow a palafitta costruiti nelle lagune. A parte l'inganno di
alberghi che vendono per tradizionale un'architettura mai costruita
dai polinesiani, questi edifici hanno un alto impatto ambientale
perche' le loro fondamenta vengono conficcate nel corallo uccidendo
i polipi: le madrepore morte originano la ci guatera, un'alga
tossica che, quando viene mangiata dai pesci trasforma, in una
tragica catena alimentare, la loro polpa in bocconi velenosi. Oltre
ai test atomici, a inquinare il Pacifico arrivano i rifiuti
industriali, offerti dagli Stati Uniti in cambio di fiumi di
dollari a staterelli sull'orlo della bancarotta. Dopo il rifiuto
delle proposte di scorie nucleari e di pneumatici, nel 1993 Tonga
ha accettato, ad esempio, 350 mila fusti di scorie tossiche in
cambio di 5 milioni di dollari. Anche l'industria mineraria
australiana ha gravi responsabilita' nell'alterazione ambientale
della regione: a Nauru (Melanesia) e' stato desertificato il 90 per
cento dell'isola per estrarre fosfati, un disastro ecologico che
oggi confina i suoi 10 mila abitanti in una fascia verde in riva al
mare larga da 150 a 300 metri. La deforestazione riguarda
soprattutto la Melanesia. Da fine Anni Ottanta Papua Nuova Guinea,
Salomone e Fiji sono vittime dell'industria del legname malese che,
nel tentativo di preservare le proprie foreste di Sarawak e Sabah,
ha scelto il Pacifico per fare incetta di legname tropicale. Alla
conferenza su ambiente ed economia nel Pacifico, svoltasi a
Brisbane (Australia) nel 1994, il primo ministro delle Salomone
Francis Hilly ha denunciato che "a questo ritmo nel 2010 non ci
sara' piu' legname commerciabile nel suo arcipelago" e che gli
esportatori malesi e giapponesi pagano il legno ai melanesiani 125
volte meno del prezzo a cui lo vendono a Tokyo. Il problema e'
legato all'estrema fragilita' economica di alcuni
arcipelaghi-Stato. Sulla spinta di Greenpeace, i governi di
Australia e Nuova Zelanda sono piu' volte intervenuti
finanziariamente per bloccare il disboscamento: dalle Salomone a
Tuvalu hanno sborsato milioni di dollari in cambio della
trasformazione di isole e atolli in riserve naturali.
Altri problemi ambientali sono legati alle specie animali
minacciate: dal dugongo (vacca di mare) alle tartarughe, dai leoni
marini alle balene. In Melanesia si continua a cacciare le
megattere (Megaptera noveangliae) nonostante la moratoria dell'In
ternational Whaling Commis sion (Iwc). E in quasi tutte le isole si
seguita a impiegare reti a strascico e altre tecniche di pesca
devastatrici. Di fondo c'e' una diversa concezione del rapporto con
l'ambiente. Gli isolani hanno sempre lottato contro la furia
dell'oceano e la potenza degli elementi naturali: per loro il mare
e' una fonte inesauribile, le limitazioni dei bianchi sono arbitrii
incomprensibili. Ad aggravare la situazione ci sono le concessioni
di pesca rilasciate da molte isole alla devastante industria
giapponese, la piu' attiva - insieme a quelle di Stati Uniti,
Taiwan e Corea del Sud - in un oceano (il Pacifico meridionale) in
cui viene catturato il 40 per cento del prodotto ittico mondiale
per un valore annuo di un miliardo e mezzo di dollari. Solo 50
milioni di dollari tornano nelle isole in cambio delle concessioni
o sotto forma di salari per gli addetti all'industria conserviera
del pesce, la cui presenza e' limitata a Pago Pago nelle Samoa
Americane.
Marco Moretti
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. UNA MEMORIA ALLO STATO SOLIDO
Rom, l'uovo primordiale
Le complesse regole per costruire un archivio
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science
ABBIAMO parlato di memorie di sola lettura, o Rom (Read Only Me
mory). Vi e' una Rom a stato solido, fatta di transistori, che e'
parte della memoria centrale e contiene l'uovo primordiale della
macchina, ossia il programmino che non deve cancellarsi quando il
calcolatore viene spento e che serve a caricare nella Ram dalla
memoria periferica il grosso del software di base, ossia l'insieme
dei programmi del sistema operativo. Piu' noto e' il Cd-Rom, o
Compact Disk Rom, del quale il compact musicale costituisce
l'attuazione piu' diffusa. Un Cd-Rom contiene oggi 5 miliardi di
bit, pari a oltre un'ora di musica ad alta fedelta' o a molte
migliaia di articoli di TuttoScienze.
Si parla spesso di memorie di sola lettura, e non si parla mai di
una mia invenzione, le Wom o Write Only Memory, le memorie di sola
scrittura. E' ovvio, perche' una Wom non serve a nulla. Ma le Wom
sono le piu' diffuse fra gli uomini (dopo una certa eta'), negli
uffici e nella stessa memoria dei calcolatori. I conservatori
riempiono enormi armadi con migliaia di documenti cartacei,
grossolanamente classificati in cartelline etichettate con nomi
fantasiosi, e gia' dopo pochi giorni non sono in grado di ritrovare
nulla. I conservatori si comportano allo stesso modo anche dopo
essere passati al Pc: riempiono la memoria di file in ordine
sparso, senza studiare una loro razionale organizzazione in
cartelle o sottocartelle, adottando per ogni documento un nome di
fantasia che non servira', dopo qualche mese, a ricordare il suo
contenuto. Il problema degli archivi cartacei o agglomerati di file
puo' essere risolto adottando strumenti automatici su PC.
Illustriamo Microsoft Access, che fa parte della costosa "suite" di
Office. Access e' un prodotto sontuoso, ma molto complesso. Una
laurea in ingegneria informatica potrebbe non bastare per
utilizzarlo compiutamente, essendo necessario aver seguito almeno
un corso annuale di "Data Base", che e' facoltativo per quei corsi
di laurea.
Per questa ragione gli obiettivi di oggi saranno un po' meno
ambiziosi del solito. Infatti, anziche' presentare il 3% delle
funzionalita' per fare il 97% delle cose che servono, cerchero' di
insegnare l'1% delle funzionalita' per imparare il 30% delle cose
che servono.
Supponiamo, per iniziare, di aver deciso di diventare procuratori
di campioni di calcio. Dovremo ovviamente crearci un archivio
contenente tutti i dati di tutti i giocatori professionisti e di
tutte le squadre. Dopo essere entrati nel programma, selezioniamo
la voce Crea Nuovo Data Base, e quindi, nel menu' successivo, Data
Base Vuoto e OK. Nella finestra successiva, chiamata Salva nuovo
Database si potra' scegliere se accettare per il nuovo archivio il
nome proposto dal sistema del tipo db1, db2..., oppure se scegliere
una diversa denominazione. Ovviamente, sceglieremo la seconda
opzione, per non ripetere sugli archivi la creazione di una nuova
torre di Babele, e sostituiremo il nome proposto dal sistema con la
parola "Calcio". Chiudiamo la fase di predisposizione dell'archivio
cliccando su Crea.
Come ogni altro database il nostro archivio del calcio sara'
costituito da un insieme di tabelle. Possiamo cominciare con la
tabella dei "Giocatori", nella quale i dati di ogni campione
saranno riportati su una riga diversa. Per compilare questa
tabella, nella finestra Calcio:data base (che si e' aperta dopo la
creazione del nuovo database), cliccheremo (ricordo che cliccare e'
regolare della prima) su Ta belle e poi su Nuovo. Se nella finestra
successiva, chiamata Nuova Tabella, selezionate Vi sualizzazione
Foglio Dati, sul video comparira' lo schema della tabella che
intendete produrre suddivisa in colonne, chiamate Campo1, Campo2,
ecc. Nei campi di una stessa riga si indicheranno gli "attributi"
di uno stesso giocatore. Non alludo al carattere o all'attitudine
agonistica di quel campione, ma ai suoi dati distintivi, come il
cognome o il nome o la data di nascita.
Le denominazioni delle colonne proposte dal sistema - Cam po1,
Campo2..., - non sono certo le migliori; cosi', ad esempio,
converra' cambiare il nome della prima colonna da Campo1 a Co
gnome. Per questa sostituzione di nome, fate clic su una cella
qualunque della prima colonna, e quindi cliccate su Formato e poi
su Rinomina Colonna. Il cursore lampeggiante sulla parola Campo1 vi
indichera' la possibilita' di sostituire quella denominazione con
il nuovo nome di campo: Cognome. Con la stessa procedura,
ridenominero' le colonne successive con i nuovi nomi: Nome, Nato
il, Citta' nata le, Altezza, Peso. A questo punto potremo
introdurre gli "attributi", ossia i valori dei vari campi. Cosi',
ad esempio, nella prima riga scriveremo: Vialli, Gianluca, 9-7-64,
Cremona, 1,80, 77, e nella seconda riga: Zola, Gianfranco, 5-7-66,
Oliena (NU), 1,68, 65.
Dopo l'introduzione dei dati dei singoli giocatori, che potranno
essere aggiornati in un secondo tempo, memorizziamo la tabella
cliccando sulla crocetta in alto a destra nella finestra. E' forse
questo il momento migliore per attribuire alla stessa tabella un
nome diverso da quello proposto dal sistema. Il cursore
lampeggiante sul nome della tabella vi segnala questa opportunita'.
Con la stessa procedura adottata per i Giocatori, compileremo una
seconda tabella con i dati di tutte le squadre. Infine, costruiremo
una tabella per rappresentare la relazione "ha giocato in" che
indichera' per ogni campione e per ogni campionato la squadra in
cui il giocatore ha militato, il numero delle presenze in campo, il
numero di gol segnati. La terza tabella riassumera' la relazione
esistente fra l'insieme dei giocatori e l'insieme delle squadre. La
possibilita' di rappresentare relazioni fra insiemi costituisce
forse la caratteristica piu' importante dei sistemi di gestione
degli archivi come Access, che per questa stessa ragione sono
chiamati relazionali.
Temo di aver descritto qui una tecnica raffinata per creare un
nuovo tipo di memoria di sola scrittura. Infatti, i metodi di
ricerca su un archivio sono dello stesso ordine di complessita' di
quelli classici dell'ago in un pagliaio. Forse la soluzione piu'
semplice consiste nell'aprire una tabella (ad esempio: Gioca tori)
e cliccare su Filtro in base a maschera. Si aprira' uno schema
vuoto della tabella Giocatori. Si scriva "Peruzzi" sulla casella
del campo Cognome, e si selezioni Applica filtro ordinamen to nel
menu' di Filtro: istantaneamente si riempira' tutta la riga, con
tutti gli attributi del portierone. Non devono essere pochi con
quella difesa allegra che si trova davanti.
Angelo Raffaele Meo
Politecnico di Torino
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. INVENZIONI
Il laser dal Cd alla fabbrica
OAUTORE P_B
OARGOMENTI fisica, tecnologia
ONOMI EINSTEIN ALBERT, TOWNES CHARLES, MAIMAN THEODORE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics, technology
IL laser nacque nel 1917 dentro la testa di Einstein. Allora era
soltanto una teoria sulla "emissione stimolata di radiazioni".
L'idea di Einstein si puo' riassumere cosi': se irradiamo un
insieme di atomi (di un gas o di un solido) portando i loro
elettroni a un livello di energia piu' alto, questi elettroni
riemetteranno l'eccesso di energia sotto forma di fotoni
perfettamente coerenti, cioe' tutti con la stessa energia e ben
incolonnati. Nel 1951 Charles Townes, nato nel 1915, mentre era
seduto su una panchina di Washing ton in attesa che un ristorante
aprisse i battenti, ebbe l'idea di realizzare una sorgente di
microonde radio coerenti secondo l'idea di Einstein. Ne nacque il
Maser: sigla di Microwave Amplification by Stimulated
Electromagnetic Radiation. Nove anni dopo Theodore Maiman, nato nel
1927, realizzo' un apparecchio simile ma che emetteva luce
visibile: appunto il Laser (L come Light, luce). Per il Maser,
Townes ricevera' il Nobel nel 1964 insieme con i russi Prokhorov e
Basov, che per conto loro avevano concepito la stessa invenzione.
Il laser fu per un po' di anni segreto militare. Oggi e' entrato
nella vita quotidiana. Il suo raggio ci rallegra con la nostra
musica preferita leggendo i compact disc, ci permette di giocare e
studiare con i Cd-Rom, funziona da bisturi, e' usato nelle
telecomunicazioni a fibre ottiche, incide circuiti integrati, in
fabbrica taglia e salda metalli. L'ultima applicazione di fabbrica
e' curiosa: il laser guida carrelli- robot che si muovono con la
precisione del centimetro spostando qualsiasi tipo di carico nei
magazzini. Questa applicazione e' tutta italiana: un'azienda di
Reggio Emilia, Elettric 80, l'ha brevettata e la esporta in mezzo
mondo.(p. b.)
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. CURIOSITA'
Una camera
iperbarica
per i rifiuti
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI ecologia, tecnologia
ONOMI DATA PIER GIORGIO, SILVESTRI GIAN GABRIELE, ROSSITTO FRANCO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology, technology
LA tragedia che qualche settimana fa e' avvenuta alla clinica
Galeazzi di Milano ha improvvisamente fatto balzare alle cronache
la tecnologia delle camere iperbariche. Ma se questi sistemi sono
attualmente sotto accusa per il loro impiego in campo medico,
talvolta, come si e' visto, non affiancato da adeguata manutenzione
e dalle necessarie precauzioni, la loro tecnologia sembra destinata
ad avere grande successo in un prossimo futuro per il trattamento e
l'eliminazione dei rifiuti.
L'ideatore non e' un ingegnere e neanche un fisico, ma un medico
fisiologo piemontese del Dipartimento di Scienze Biomediche
dell'Universita' di Chieti, Pier Giorgio Data, specializzato nelle
terapie con l'ossigeno ad alta pressione.
La nuova tecnologia e' in fase di sviluppo ormai da tempo e ha
superato tutti i test di sperimentazione.
"E' un sistema per trasformare e rendere inerte qualsiasi sostanza
tramite combustione in atmosfera controllata", afferma Data. "I
prodotti del processo sono gas o composti semplici con volume
residuo molto basso. Il sistema si basa, tra l'altro, sull'impiego
di ossigeno iperbarico ad altissima pressione. Ma soprattutto non
e' assolutamente inquinante, poiche' l'impianto opera a circuito
chiuso e quindi non produce emissioni gassose, ossidi di azoto o di
zolfo, o molecole pericolose. E genera un calore tale da consentire
la produzione di energia: elettricita' o riscaldamento".
Dai test finora svolti, dopo questo tipo di trattamento i
materiali da distruggere sono come scomparsi: per i materiali
inorganici incombustibili, come il cemento, resta fino al 15 per
cento di residuo solido, ma della materia inorganica rimane un
impercettibile 0,1-0,5 per cento.
Quale la bacchetta magica? Un semplice sistema scientifico
studiato in laboratorio, e valutato attentamente da ricercatori
dell'Esa, l'Agenzia spaziale europea: "Si usano le tecnologie delle
camere iperbariche - spiega Pier Giorgio Data -, i grandi moduli
d'acciaio di cui si e' parlato di recente, purtroppo in termini
drammatici. Ma nel nostro caso e' una vera rivoluzione per
risolvere un grosso problema ecologico e ambientale. Ho fatto
diverse sperimentazioni in piccoli ambienti iperbarici, per passare
poi ad un impianto pilota a ciclo continuo. Il vantaggio di non
avere fumi e' utile per quei rifiuti generalmente difficili da
smaltire per la loro pericolosita', come l'amianto- cemento, o il
cemento che contiene cromo o arsenico, gli olii minerali combusti
per i copertoni, le traversine ferroviarie o i pali del telefono,
il cui legno e' impregnato di antiparassitari".
Al progetto hanno collaborato un imprenditore metallurgico di
Chieti, Gian Gabriele Silvestri, e un personaggio che per poco non
e' passato alla storia come primo astronauta italiano: Franco
Rossitto, fisico nucleare, che era stato inviato a Houston insieme
a Franco Malerba per l'addestramento alla prima missione del
satellite "Tethered", ma poi gli venne offerta la possibilita' di
diventare capo della Divisione astronauti dell'Esa a Colonia,
incarico che ricopre tuttora.
"E' un sistema molto vantaggioso e affidabile", dice Rossitto. E
spiega ancora: "Gli astronauti, durante le selezioni e i test
medici, usano camere ipobariche, una versione diversa da
quelle iperbariche, che invece vengono utilizzate per i malati, i
quali vi restano all'interno per un certo periodo di tempo a una
forte pressione di ossigeno. Oppure per i sommozzatori colpiti da
embolia o insufficiente irrorazione del sangue. In realta' i
ricercatori dell'Universita' di Chieti hanno chiesto la mia
consulenza piu' in veste di fisico che di astronauta".
I costi sembrano essere piuttosto bassi: "Il comburente, cioe'
l'ossigeno, costa poco, cosi' come i combustibili, che sono
materiali tossici come ad esempio olii combusti", aggiunge Data. "E
poi sono previsti rientri dagli utili di gestione derivanti dal
recupero energetico ed entrate per lo smaltimento di rifiuti da
Comuni, industrie e ospedali".
Antonio Lo Campo
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. TECNOLOGIA
Nuove colle:
"inchiodano"
le molecole
OAUTORE CAGNOTTI MARCO
OARGOMENTI tecnologia, chimica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology, chemistry
FRA computer sempre piu' potenti, reti telematiche sempre piu'
veloci e automobili sempre piu' confortevoli, c'e' un prodotto
della tecnologia che fa umilmente il suo dovere ma al quale spesso
dedichiamo poca attenzione: la colla. Eppure, senza i molti tipi di
adesivi che i chimici hanno sintetizzato, il mondo moderno al quale
siamo abituati non esisterebbe. Il pensiero va subito alle suole
delle scarpe o ai foglietti che appiccichiamo dappertutto, ma in
realta' quasi ogni oggetto artificiale fa uso di qualche tipo di
colla. Compresi computer, reti telematiche e automobili.
Le proprieta' fondamentali della colla sono due: la possibilita'
di distribuirsi uniformemente sulle superfici che deve unire, senza
raccogliersi in gocce, e la capacita' di indurirsi senza perdere in
adesione. La solidificazione avviene per evaporazione o
assorbimento del solvente (acqua, toluene, chetoni, eccetera) da
parte di materiali porosi, oppure per raffreddamento, o ancora, nel
caso delle colle piu' forti, per polimerizzazione. Questo processo
consiste nella formazione di molecole grandi a partire da altre
piu' piccole.
Il cianoacrilato, per esempio, polimerizza rapidamente in presenza
di umidita'. Si ha polimerizzazione anche per le resine
epossidiche, che sono alla base delle colle formate da due
componenti, che unite formano un composto con forti proprieta'
adesive. Durante il mescolamento i gruppi amminici dell'induritore
reagiscono con i gruppi epossidici (costituiti da un anello di due
atomi di carbonio e uno di ossigeno) delle resine e formano un
resistente reticolo rigido.
Quanto ai materiali porosi, come carta e legno, l'adesione avviene
soprattutto per la penetrazione della colla all'interno di pori e
interstizi. In generale pero' essa agisce grazie alle forze di
attrazione molecolare. Infatti le molecole hanno spesso una
struttura polarizzata (intrinseca o indotta da altre molecole),
ossia con le cariche elettriche concentrate in certe regioni, e
quindi si attraggono fra loro. La presenza di gruppi polari in
certi tipi di polimeri e' una spiegazione della loro efficacia come
collanti.
Potrebbe sembrare strano che proprio le forze molecolari siano
alla base dell'efficacia di molti adesivi. Non e' forse vero che
gli oggetti mantengono la propria forma proprio perche' le molecole
che li compongono sono legate le une alle altre? Perche' allora non
e' sufficiente prendere i cocci di una tazzina di caffe' e riunirli
per ricostruirla? Semplice: le superfici rotte non riescono piu' a
entrare perfettamente in contatto una con l'altra.
Affinche' le forze molecolari possano agire e' necessario che si
trovino a pochi Angstrom una dall'altra (un Angstrom corrisponde a
un decimiliardesimo di metro), ma i cocci sono cosi' ruvidi che la
superficie in contatto e' molto piccola. La sporcizia dovuta al
pulviscolo presente nell'aria non fa altro che peggiorare la
situazione: due superfici perfettamente pulite aderirebbero piu'
facilmente. Per verificarlo basta prendere due strati di mica (un
minerale che si presenta a scaglie): appena separati basta
accostarli per vederli unirsi di nuovo, ma dopo qualche minuto
l'aria ha gia' contaminato le superfici e inibito il fenomeno.
Provare per credere.
Ci sono colle dove meno ci aspetteremmo di trovarle: nei vetri
delle automobili, per esempio, dove sono necessarie a unire strati
diversi per impedire la proiezione dei frammenti in caso di
rottura, oppure nelle ali degli aerei. In generale si preferisce
ricorrere agli adesivi in tutte quelle situazioni in cui le
strutture devono essere leggere e nel contempo devono resistere a
sforzi paralleli alla superficie. In questi casi le colle danno
piu' sicurezza di bulloni e ribattini, perche' ripartiscono lo
sforzo.
La ricerca chimica nell'ambito delle colle raramente fa notizia.
Questo non vuol dire che e' meno fondamentale per il progresso
tecnologico di tanti altri studi che piu' colpiscono la fantasia:
senza la colla il mondo che conosciamo non sarebbe com'e'.
Marco Cagnotti
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. STRATEGIE DIFENSIVE
Acciughe, argento vivo
Banchi compatti contro i predatori
OAUTORE PERELLI MATTEO
OARGOMENTI etologia, zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ethology, zoology
ERO a 15 metri sotto la superficie marina quando all'improvviso fui
colpito dal luccicare di una massa argentea che si muoveva davanti
a me. Non era un sommergibile nucleare ne' un grosso mammifero
marino e nemmeno un grosso squalo bianco ma semplicemente un banco
di acciughe. Mi tuffai allora dentro quella nuvola argentata,
costituita da almeno un migliaio di individui, nel tentativo di
toccarne qualcuna. Il banco di acciughe cambio' pero' rapidamente
direzione e si dileguo' lasciandomi a mani vuote. Come potevano
tanti pesci spostarsi contemporaneamente cosi' da costituire un
unico insieme indivisibile sia nella forma sia nei movimenti?
Le acciughe sono pesci dalle abitudini gregarie che trovano il
loro meccanismo difensivo nel rimanere uniti in modo da confondere
i predatori; il gioco di luci che si viene a creare sui loro corpi
e' uno spettacolo meraviglioso, ma tentare di fissare lo sguardo su
una sola creatura in questa massa scintillante e' quasi
impossibile. I predatori rimanendo cosi' confusi non riescono a
catturare un singolo individuo perche' non sanno scegliere la loro
vittima. Il colore argenteo e' prodotto da microscopiche lamelle
rifrangenti che ricoprono le loro squame. Esse sono formate da
iridociti, sorta di cristalli opachi composti da un materiale
chiamato Guanina (composto chimico presente anche negli acidi
nucleici, come Dna ed Rna, comuni alle cellule di tutti gli esseri
viventi). Questo cristallo riflette la luce in vari modi, tanto che
a volte conferisce al pesce un colore argenteo mentre altre volte
il colore e' bianco.
L'unione di diversi strati di Iridociti ad uno strato di pigmento
normale, in cui si mescolano anche alcuni di questi cristalli
opachi, produce l'iridescenza. Non e' ancora ben chiaro come la
luce e' riflessa, ma probabilmente gli strati sovrapposti di
cristalli permetterebbero ad alcune lunghezze d'onda, o colori, di
essere riflesse con un angolo particolare, mentre altre verrebbero
assorbite.
L'acciuga (Engraulis encra sicholus) appartiene all'ordine dei
Clupeiformi, pesci apparsi nel Cretaceo comprendenti le principali
famiglie dei Clupeidi e degli Engraulidi. Ai Clupeidi appartengono
specie come l'aringa (Clupea harengus), la sardina (S. pilchardus
sardina), l'alaccia (Sardinella aurita) e l'alosa (Alosa alosa) con
la quale non dobbiamo confondere invece l'acciuga. In particolare
viene infatti spesso confusa dal profano con la sardina. Anche se
si tratta di pesce azzurro, esistono alcune particolari diversita'
per le quali e' pressoche' impossibile incorrere nell'errore. E'
presente in tutto il Mediterraneo, nell'Oceano Atlantico, nonche'
nel Baltico e nel Mare del Nord.
L'acciuga, chiamata anche alice, ha il corpo affusolato, poco
compresso, con la superficie ventrale liscia. L'occhio e' grande e
circolare. La bocca, apparentemente piccola, e' in effetti molto
grande. Il colore del dorso e' azzurroverdastro quando e' ancora
viva ma dopo pescata assume una colorazione bluastra. Fianchi e
ventre sono argentati. Puo' raggiungere una lunghezza totale di 20
cm.
La sardina invece ha una corporatura piu' massiccia con il ventre
leggermente carenato, presenta varie macchie nere non ben definite
dietro l'opercolo branchiale, che e' nettamente striato. Inoltre ha
il dorso verde oliva e lungo i fianchi corre una striscia bluastra.
L'acciuga e' un animale dalle abitudini gregarie e migratorie.
Puo' avvicinarsi molto alla riva o alla costa, specie nel periodo
della riproduzione che avviene generalmente nei mesi di
maggio-giugno ma che puo' variare a seconda della localita' e della
temperatura dell'acqua. Nel basso Adriatico, ad esempio, il periodo
della riproduzione va da marzo ad ottobre. La maturazione delle
gonadi inizia gia' a febbraio, epoca in cui le ghiandole sessuali
occupano quasi tutta la cavita' ventrale. Le uova di questa specie
maturano tutte contemporaneamente per cui le deposizioni possono
avvenire in tempi diversi. Questa specie si nutre essenzialmente di
Copepodi, Decapodi allo stato larvale oppure di piccoli pesci
bentonici che cattura nel periodo invernale, quando si porta oltre
100 metri di profondita'.
La pesca delle acciughe avviene tutto l'anno con sciabiche da
terra, con reti da posta, ma soprattutto con particolari reti da
circuizione chiamate in moltissime localita' costiere "ciancioli".
Questo strumento di pesca, lungo mediamente dai 300 ai 500 metri,
ha come principio fondamentale il perfetto equilibrio tra le
singole parti, equilibrio che deve essere conservato sia durante il
calo sia durante il recupero. Queste particolari reti quando sono
completamente distese in acqua vengono a formare una grossa
concavita' o "sacco" dove rimangono imprigionati i pesci.
Esse vengono trascinate a rimorchio da una o due imbarcazioni
civetta, munite di lampare, che vengono lasciate di notte nella
zona di pesca. Quando i banchi di acciughe si radunano sotto
le luci, il peschereccio inizia prontamente la manovra di
accerchiamento che e' fulminea. A questo punto si fissano a bordo
le estremita' del cianciolo ed inizia la chiusura della parte
inferiore della rete. A mano a mano che il verricello avvolge
il cavo di chiusura, il cerchio si restringe fino a che, adiacente
all'imbarcazione rimane la "camera della morte" cioe' il sacco in
cui e' stato fatto convogliare tutto il pesce.
Secondo i rapporti Istat sulla pesca marittima, in Italia, tra il
1993 e il 1996 si e' pescata una quantita' di alici assieme a sarde
e sgombri nell'ordine di 607.972 quintali nel '93 e di 871.942
quintali nel '96 pari rispettivamente al 35% ed al 40% del pesce
pescato totale.
Per quanto riguarda la commestibilita' le alici vengono consumate
crude, fresche, sott'olio o sotto sale ed entrano a far parte di
numerose specialita' gastronomiche.
Le larve delle acciughe vengono spesso vendute con il nome di
"bianchetti" ma ricordiamoci che sono in gran parte larve di
sardine frammiste ad acciughe. In ogni caso, la pesca dei
"bianchetti", che viene praticata in Liguria a fine inverno,
costituisce un errore gravissimo sotto il profilo di un razionale
sfruttamento delle risorse ittiche, in quanto uccidendo gli
avanotti, impedisce alla specie di crescere e riprodursi con il
rischio concreto, nel lungo periodo, oltre che di sconvolgere
l'equilibrio biologico, anche di ridurre in futuro la quantita' del
"pescato".
Matteo Perelli
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Babbo Natale vorrei una BUSSOLA
OGENERE copertina
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI fisica, geografia e geofisica, storia della scienza
ONOMI EINSTEIN ALBERT, CURIE PIERRE, GILBERT WILLIAM, GIOIA FLAVIO, COULOMB
CHARLES AUGUSTIN, MAXWELL JAMES CLERK
OLUOGHI ITALIA
OKIND features
OSUBJECTS physics, geography and geophisics, history of science
ANCHE un futuro genio puo' prendere il raffreddore. Albert Einstein
non dimentico' piu' quello che si busco' nel 1883, quando era un
bambino di 4 anni. Non perche' sia stato molto male. Se la cavo'
con un po' di febbre e qualche giorno di letto. Ma in
quell'occasione, per distrarlo, suo padre gli regalo' una bussola.
Il ragazzino ne fu affascinato. C'era qualcosa di magico, in
quell'ago che si orientava sempre in direzione nord-sud, comunque
rigirasse la scatoletta. Quale forza invisibile lo guidava? Che
cosa "sentiva", l'ago, quando gli avvicinava un pezzo di ferro?
Viviamo forse immersi in un fluido che sfugge ai nostri sensi ma
"dice" a una sbarretta calamitata da quale parte deve puntare?
Einstein dedichera' tutta la sua vita a indagare su forze
invisibili, eppure ben presenti in tutte le nostre esperienze
quotidiane: la forza magnetica che guida la bussola, la forza
elettrica che accende le lampadine, la gravita' che fa cadere le
mele dagli alberi e la forza nucleare. Sognava di trovare la radice
comune di tutte queste forze. Non ci riusci', ma si guadagno'
ugualmente il Premio Nobel.
Mi e' venuto in mente l'episodio dell'infanzia di Einstein
sfogliando il libro per bambini "Bussola a sorpresa" (Editoriale
Scienza, Trieste, 22 mila lire). La sorpresa sta nel fatto che il
libro contiene anche una bussola: cosi', oltre a leggere le
spiegazioni, il ragazzino puo' fare i suoi esperimenti. E' il modo
migliore per scoprire, giocando, il metodo della scienza: e allora
perche' non regalare, a Natale, questo libro- bussola? Oppure,
sempre nel filone leggere-e-fare, altri libri simili della
Editoriale Scienza: quello sulla radio di Franco Foresta Martin,
quello sul telefono di Andrea Vico e Gabriele Falciasecca o quello
dedicato a vista, tatto, gusto e udito di Paola Pacetti e Massimo
Marcolin, corredato di decine di esperimenti piu' un Cd-Rom?
Tornando alla bussola, la curiosita' per la forza magnetica e'
antichissima. Cinesi, indiani e greci avevano gia' notato che una
certa pietra, la magnetite, attrae il ferro, come se tra loro ci
fosse un sentimento di simpatia. Per questo i cinesi la chiamarono
con una parola che significa "pietra che ama" e ancora oggi in
francese "calamita" si dice "aimant". Tre secoli fa a Parigi i
droghieri preparavano filtri d'amore con polvere di magnetite. Ma
probabilmente, piu' che far innamorare, procuravano malanni allo
stomaco.
Lo studio scientifico della forza magnetica inizia nel 400 a. C.
con Democrito, il filosofo greco al quale dobbiamo l'idea che tutte
le cose sono fatte di atomi. Bisogna pero' attendere il Medioevo
per trovare un vero e proprio trattato sull'argomento. In un libro
del 1269 Pierre de Maricourt descrive una specie di bussola, ma non
era una vera novita': i cinesi la usavano da secoli, e quindi non
e' vero che l'abbia inventata l'amalfitano Flavio Gioia. Le idee
sul magnetismo, tuttavia, rimanevano vaghe. I marinai, per esempio,
evitavano di mangiare aglio e cipolle vicino alla bussola di bordo
perche' credevano che quegli odori forti facessero svanire le
proprieta' magnetiche.
Naturalmente anche Cristoforo Colombo uso' una bussola nel viaggio
che lo porto' a scoprire (involontariamente) l'America. Fu lui ad
accorgersi che la linea Nord-Sud magnetica non coincide esattamente
con la linea- Nord Sud geografica; e scopri' anche che la
differenza tra Nord magnetico e Nord geografico cambia da luogo a
luogo. Nel 1600 usci' un altro libro sui fenomeni magnetici.
L'autore era l'inglese William Gilbert, il medico della regina.
Gilbert costrui' un modellino della Terra in materiale magnetico
per dimostrare che il nostro pianeta somiglia a una grande sfera
calamitata. Inoltre studio' il fenomeno per cui una calamita puo'
trasmettere le sue proprieta' a un pezzo di ferro "calamitandolo" e
cerco' di spiegare perche', spezzando un magnete, ognuno dei
frammenti formi una nuova calamita. Galileo Galilei apprezzo' molto
il libro di Gilbert e a sua volta studio' le calamite, applicando
ad esse una "armatura" di sua invenzione per potenziarne gli
effetti. Non era del tutto disinteressato: rivendeva infatti a caro
prezzo calamite che acquistava per pochi soldi in Germania.
Fu pero' il francese Charles- Augustin Coulomb (1736-1806) a
sintetizzare il comportamento dei magneti in una formula matematica
universale: la forza magnetica diminuisce con la distanza
esattamente come la forza di gravita' e la forza elettrica: se, per
esempio, la forza e' uguale a 1 alla distanza di un centimetro,
diventa 1/4 a 2 centimetri, 1/16 a 4 centimetri... Venne poi
l'inglese James Clerk Maxwell (1831-1879), che unifico' in poche
eleganti formule la forza magnetica e la forza elettrica. Un
capolavoro che riassume duemila anni di osservazioni, esperimenti,
studi e teorie.
Ma per strappare alla calamita il segreto del suo funzionamento e'
stato necessario arrivare alla moderna fisica atomica. Ogni atomo,
infatti, grazie agli elettroni che ruotano intorno al nucleo, si
comporta come una minuscola calamita. Se tutti gli atomi di un
oggetto si dispongono nella stessa direzione, queste micro-calamite
sommano la loro forza, e l'intero oggetto si comporta come una
calamita. Nei magneti, gli atomi sono appunto disposti in modo
ordinato, come tanti soldati che marciano nella stessa direzione.
Quando un magnete viene a contatto con un pezzo di ferro, ne
orienta gli atomi allineandoli come i soldati in un battaglione, ed
ecco che il ferro si calamita. Il calore fa vibrare gli atomi
rapidamente e in tutte le direzioni. Maggiore e' la temperatura,
piu' violente e disordinate sono le vibrazioni. Quindi, se la si
riscalda troppo, una calamita perde la sua proprieta' perche' i
suoi atomi si dispongono a caso. E' un po' come se gli
atomi-soldatini rompessero le righe: il battaglione si dissolve. Fu
il francese Pierre Curie (1859-1906) a scoprire che il calore
disperde il magnetismo; la temperatura a cui questo avviene varia
da materiale a materiale e oggi si chiama "punto di Curie". Per il
ferro il punto di Curie e' a 775 gradi. Sappiamo tutto sul
magnetismo? Naturalmente no. Abbiamo detto che spezzando una
calamita se ne formano due e cosi' via. Per quanto si facciano
frammenti sempre piu' piccoli, ogni calamita avra' sempre un polo
Sud e un polo Nord. Invece le teorie dei fisici prevedono che
esistano particelle chiamate "monopoli magnetici" che portano
soltanto la polarita' Nord o Sud, cosi' come esistono particelle
che portano soltanto la carica elettrica negativa (gli elettroni) o
soltanto la carica elettrica positiva (i protoni). Tutti gli
esperimenti per scoprire i monopoli magnetici finora sono falliti.
Ma la caccia continua. Nel Laboratorio internazionale del Gran
Sasso un gruppo di fisici ha preparato una "trappola" che dovrebbe
catturare i monopoli magnetici. Vedremo.
Il bello della scienza e' che non si arriva mai alla fine: ogni
risposta pone nuove domande. Lo studio delle calamite e' un
magnifico modello di tutta la ricerca scientifica: si parte
dall'osservazione di un fenomeno strano (la pietra che ne attrae
un'altra), lo si descrive, si fanno degli esperimenti, se ne
trovano utili applicazioni pratiche (la bussola), si scopre una
formula matematica che sintetizza le osservazioni, si inserisce il
fenomeno singolo in una teoria piu' generale come ha fatto Maxwell,
la teoria suggerisce nuovi esperimenti, come quelli per cercare i
monopoli, che aprono nuovi problemi... La storia continua. Forse
anche ai vostri figli una bussola potra' fare l'effetto che fece ad
Einstein. Auguri!
Piero Bianucci
ODATA 17/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. SONDAGGIO EUROPEO
Aids, pregiudizi e disinformazione
"Berreste nella stessa tazza di un sieropositivo?"
OAUTORE PROVERA ADRIANO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, sondaggio
OORGANIZZAZIONI EUROPEAN AIDS TREATMENT GROUP
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, poll
BERRESTE dalla stessa tazza in cui ha bevuto una persona positiva
all'Hiv?" In un sondaggio compiuto in sette Paesi europei, il
primato negativo spetta agli italiani: il 64 per cento preferisce
"morire di sete". "Dormireste nello stesso letto e fareste del
sesso sicuro con una persona sieropositiva?". I meno propensi sono
i britannici, con il 63 per cento. Per la stessa domanda, il 70 per
cento dei francesi tra i 18 ed i 24 anni afferma invece che e'
comunque disponibile al rapporto.
I dati sono stati diffusi nei giorni scorsi ad Amsterdam durante
un convegno e fanno parte di un'indagine dell'organizzazione per la
difesa dei pazienti, la European Aids Treatmen Group (Eatg),
supportata da Abbott Laboratories. Svolta dal Nop Healthcare ha
utilizzato interviste confidenziali assistite da computer. Il
campione era selezionato in base a eta', sesso e classe
socio-economica e comprendeva in tutto oltre 7 mila abitanti di
Francia, Germania, Italia, Olanda, Spagna, Svizzera e Regno Unito.
"Lo scopo era di evidenziare i sentimenti nazionali in tutta
Europa" spiegano i promotori. "Inoltre aveva l'obiettivo di
sconfiggere i pregiudizi e la disinformazione sull'Hiv".
Proseguono: "Nonostante da oltre un decennio vengano fatte campagne
informative, la maggior parte degli europei, pur con sfumature, e'
tuttora poco informata e spaventata di fronte a questa malattia
tanto discussa e cosi' poco compresa". Sotto accusa sono i
pregiudizi. "Sono talmente radicati che quasi la meta' degli
abitanti, il 45 per cento, si volterebbe da un'altra parte se gli
venisse offerta una bevanda nella stessa tazza usata da un
sieropositivo". Eppure e' dimostrato che il virus non puo'
sopravvivere al di fuori del corpo e non puo' essere trasmesso
condividendo posate o stoviglie. Inoltre emerge una diffusa
sfiducia sull'uso del preservativo in lattice e sulle sue effettive
facolta' protettive.
L'ignoranza e' anche sui farmaci, la loro funzione e le terapie
usate contro l'Hiv. Solo due anni fa erano pochi i medicinali
disponibili e il loro effetto era temporaneo. Oggi in Europa sono
otto quelli brevettati e presto ne verranno commercializzati altri
tre. Inoltre, per il 1999 il numero potrebbe salire a 20: tra
questi alcuni potrebbero aiutare il sistema immunitario nella
battaglia contro la distruzione provocata dal virus. Ed e' stato
accertato come nessuno di questi farmaci sia efficace da solo e
occorra somministrarli in cocktail di due, tre, quattro o piu'
preparati.
Tutto dovrebbe essere noto. Eppure non e' cosi' e la meta' degli
intervistati francesi non ha mai sentito parlare della "terapia
tripla"; l'82 per cento dell'intera Europa ne ignora l'esistenza. E
in Germania, addirittura il 93 per cento delle persone "cade dalle
nuvole" nell'apprendere la notizia.
"Le medicine sono considerate da tutti il miglior rimedio per
preservare la salute, anche se secondo tedeschi e inglesi giocano
un ruolo piu' importante una corretta alimentazione e uno stile di
vita piu' sano". C'e' di piu'. Quasi la meta' degli intervistati
francesi e oltre un terzo del campione degli altri, afferma che "le
persone positive all'Hiv ricoverate in ospedale soffrono e sono
schiave delle medicine".
Arjen Broekhuizen, direttore esecutivo dell'Eatg, commenta: "Siamo
scioccati dai risultati dell'indagine. Essa riflette chiaramente le
differenze di mentalita' e percezione tra i diversi Paesi europei e
sottolinea i livelli disastrosi di coscienza e di comprensione del
fenomeno che ancora persistono in tutta Europa".
Adriano Provera
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE
Diagnosi piu' precise con le radioonde
Utilizzando l'oscillazione dei nuclei dell'idrogeno
OARGOMENTI tecnologia, medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Come funziona la macchina per la risonanza magnetica
OSUBJECTS technology, medicine and physiology
LA risonanza magnetica nucleare e' utilizzata in medicina quando e'
necessario osservare gli organi interni del paziente; l'immagine che
essa fornisce e' simile a quella ottenuta con i raggi X ma rispetto
a questa contiene in piu' informazioni sui tessuti molli, che nelle
radiografie potebbero essere nascosti dalle ossa. Alcuni nuclei
atomici si comportano come se ruotassero intorno al proprio asse, il
quale ha la proprieta' di allinearsi lungo un campo magnetico, come
l'ago di una bussola. Nella risonanza magnetica riveste un ruolo
importante l'idrogeno, il cui nucleo e' costituito da un singolo
protone; questo non solo perche' l'asse di rotazione del protone e'
fortemente influenzabile da un campo magnetico ma anche perche'
l'idrogeno e' presente nella maggior parte del materiale biologico.
Se si fa girare una trottola e le si da' un lieve colpo essa non
cade: il suo asse comincia a oscillare intorno alla verticale. Il
fenomeno e' detto precessione. Piu' forte e' il colpo piu' ampia e'
la precessione. Allo stesso modo l'asse di rotazione di un protone
puo' oscillare intorno alla direzione di un campo magnetico, ma solo
entro un certo limite. La frequenza della precessione dipende
dall'intensita' del campo magnetico. Se si prende un certo numero di
protoni i cui assi di rotazione siano allineati lungo un campo
magnetico e se ne provoca l'oscillazione mediante un'emissione di
radioonde corrispondente a una certa frequenza di precessione alcuni
protoni assorbiranno energia dalle radioonde e il loro asse di
rotazione si spostera' rispetto al precedente allineamento. Quando
l'emissione di radioonde cessera' essi ritorneranno all'allineamento
originario rilasciando a loro volta radioonde, che potranno essere
captate con un sensibile ricevitore. Il campo magnetico della
maggior parte delle macchine per la risonanza magnetica e' prodotto
da un elettromagnete; aggiungendo al campo magnetico principale un
altro campo magnetico piu' debole e' possibile misurare la frequenza
della precessione in un preciso punto del corpo del paziente.
L'intensita' del rilascio di radioonde rivela quanti protoni sono
presenti nel punto esplorato. Il modo in cui varia nel tempo
l'intensita' del segnale puo' inoltre indicare in qual modo gli
atomi di idrogeno sono uniti ad altri atomi. Ad esempio, la fase di
rilascio dell'idrogeno nei grassi e' molto piu' rapida che nei
muscoli, per cui l'intensita' del segnale diminuisce piu'
rapidamente. Un computer costruisce la mappa dell'intesita' del
segnale e della sua durata e cio' consente, per esempio, di
distinguere la varie strutture del cervello.
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. MINI DIZIONARIO SCIENTIFICO
COME SI DICE IN INGLESE?
Disegni con diciture bilingui: questa settimana il corpo umano
OARGOMENTI didattica
OORGANIZZAZIONI HAMMOND INCORPORATED MAPLEWOOD, TUTTOSCIENZE
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. T. Mini dizionario scientifico
OSUBJECTS didactics
La lingua inglese e' oggi la lingua ufficiale della scienza, cosi'
come in passato lo furono il latino e poi, per periodi piu' brevi, il
francese e il tedesco. Basta provare a navigare in Internet,
sfogliare le principali riviste scientifiche di qualsiasi Paese o
imbattersi nel programma di un qualunque congresso scientifico per
constatare che, senza la conoscenza almeno di un inglese di base, si
e' tagliati fuori dal mondo della scienza. Questa pagina dedicata
alla scuola gia' l'anno scorso ha avviato la pubblicazione di
articoli di iniziazione all'inglese scientifico, e continueremo a
pubblicarne anche quest'anno. Li integreremo pero' anche con disegni
didattici di biologia, fisica e tecnologia, che hanno la duplice
funzione di insegnare la nomenclatura scientifica italiana e insieme
quella inglese. Le tavole sono tratte dal volume «Come si chiama,
What's what, dizionario visivo di nomenclatura italiano inglese»,
gia' edito da Mondadori ma attualmente esaurito. Il libro, di
Bragonier & Fisher, e' nato negli Stati Uniti negli Anni 80 ed e'
stato pubblicato dalla Hammond Incorporated Maplewood, New Jersey,
Usa, che ci ha concesso i diritti di riproduzione su «Tuttoscienze».
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PARLA PRUNETI
«In gita tra gli scavi»
OGENERE box
OARGOMENTI archeologia, storia, cultura, editoria
ONOMI PRUNETI PIERO
OORGANIZZAZIONI ARCHEOLOGIA VIVA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND boxed story
OSUBJECTS archaeology, culture, publishing
Il 15 novembre di quindici anni fa nasceva «Archeologia viva», la
prima rivista che abbia diffuso tra il grande pubblico questa
«scienza umanistica». Per celebrare l'anniversario il mensile, edito
da Giunti, si e' fatto promotore della difesa della sorgente carsica
di Su Golgone (la «fontana di Trevi» della Sardegna), minacciata, con
una vicina necropoli di eta' neolitica, dall'innalzamento del livello
di un bacino artificiale sul fiume Cedrino. Il siccesso di
«Archeologia viva» e' nelle cifre: 35 mila copie, di cui 22 mila in
abbonamento. Dice il direttore, Piero Pruneti: «L'archeologia ha
conquistato l'interesse del pubblico non solo come scienza ma anche
come occasione per occupare il tempo libero in viaggi culturali».
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Premio Voltolino per divulgatori
OGENERE breve
OARGOMENTI bioetica
OORGANIZZAZIONI PREMIO VOLTOLINO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)
OKIND short article
OSUBJECTS bioethics
E' nato il Premio Voltolino per la divulgazione scientifica,
patrocinato da Ugis e Abiogen. Si puo' concorrere con articoli e con
servizi tv. Per informazioni: Studio Viviani, via Manzoni 43, Milano;
tel. 02-65.999.29
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Bianucci Piero: "Nati dalle stelle", Simonelli Editore
OGENERE rubrica
OAUTORE R_SC
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy
In 27 capitoli la storia affascinante e sempre incredibile del
sistema solare, delle stelle, delle galassie, dei buchi neri e
delle comete, materia bruta da cui ha avuto origine la vita e
l'uomo. Per questo il titolo "Nati dalle stelle". Poiche' un uomo
di media corporatura - scrive Bianucci - e' fatto di 15 chili di
carbonio, 4 di azoto, uno di calcio, mezzo di zolfo, e mezzo di
fosforo, 200 grammi di sodio, 150 di potassio e altrettanti di
cloro, una quindicina di altri elementi in dosi minime e quattro
secchi d'acqua". Un volumetto da leggere e rileggere, adatto a chi
sa di astronomia, e a chi non distingue Venere da un lampione e non
immagina nemmeno lontanamente, per esempio, che Giove sia una
immane palla di elio e idrogeno metallico duro come l'acciaio.
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Calabrese Giorgio e Caterina, Alberto Revelli: "La dieta in
gravidanza", con le ricette di Suor Germana, Prefazione di Paola
Etzi Coller Ceccarelli, Sperling & Kupfer
OGENERE rubrica
OAUTORE R_SC
OARGOMENTI alimentazione, medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS nourishment, medicine and physiology
I consigli del ginecologo, le raccomandazioni del dietologo per
risolvere possibili dubbi, sia in caso di gravidanze normali, che
in presenza di patologie. E tabelle per stabilire cosa come e
quanto mangiare, e qual e' il peso ideale delle gestanti, che non
e' vero, come si dice, che debbano "mangiare per due".
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. RICERCHE SU INTERNET
Cataloghi
e motori
OAUTORE VALERIO GIOVANNI
OARGOMENTI comunicazioni, informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS communication, computer science
LA Biblioteca di Babele descritta da Borges, capace di contenere
tutte le conoscenze e l'universo stesso, esiste gia'. E' la caotica
raccolta di documenti presenti sul World Wide Web, l'interfaccia
grafica che ha cambiato la storia di Internet, rendendo la rete
sempre piu' facile da consultare (e anche piu' allegra e colorata).
Non passa giorno senza che diventino disponibili sempre nuove
pagine WWW, contenenti articoli, annunci pubblicitari, informazioni
e dati scientifici di ogni tipo.
Come muoversi quindi nel mare magnum della rete? Come trovare cio'
che serve, senza rimanerne invischiati? Per questo esistono i
cataloghi, vere e proprie "pagine gialle" di Internet. I piu'
famosi sono Magellan (www.mckinley.com) e l'onomatopeico Yahoo!,
come il grido di gioia alla fine della ricerca (www.yahoo.com), che
si sono assunti l'improbo compito di classificare i milioni di siti
Internet. Tutto lo scibile on-line e' stato suddiviso per
argomenti, e ordinato con un diagramma ad albero. Per esempio, se
cercate informazioni proprio su Borges, dovete prima selezionare
Arts: Humanities e Literature, poi Literary Fictions e infine
Authors.
Oltre ai cataloghi ci sono i motori di ricerca, potenti software
che setacciano la rete inseguendo l'informazione desiderata. I piu'
noti sono Lycos (www.lycos.com), sviluppato inizialmente dalla
Carnegie Mellon University, il velocissimo Alta Vista della Digital
(www.altavista.com), l'italiano Virgilio (da Dante in poi, questo
e' un nome che e' una garanzia: www.virgilio.it) e il sofisticato
HotBot (www.hotbot.com), specializzato in nuove tecnologie. La
ricerca avviene per parole chiave. I motori avviano programmi (in
gergo "robot", "spider" e "wanderer", girovaghi) capaci di
avvistare e identificare le pagine Web che contengono le parole
chiave, riuscendo a seguire un filo nella enorme e intricata
ragnatela della rete. La ricerca e' comunque sempre e soltanto
testuale: pur sofisticatissimi, i motori riconoscono soltanto le
parole.
Ma il World Wide Web, a differenza della borgesiana Biblioteca di
Babele, contiene anche (e soprattutto) immagini, registrazioni
video, animazioni. Anzi, e' proprio la multimedialita' una delle
novita' piu' interessanti della comunicazione in rete.
Cosi' stanno nascendo motori di ricerca di immagini, anche in
movimento, come WebSEEk (http://www.ctr.columbia.edu/webseek),
ideato dalla Columbia University, o QBIC (wwwqbic.almaden.ibm.com)
della Ibm. WebSEEk (da seek, cercare, con accento su "see", vedere)
e' un vero e proprio catalogo di immagini, con suddivisioni per
temi che vanno dai fiori ai gatti, dalle pizze a Marilyn Monroe.
Per trovarle WebSEEk esplora i documenti della rete individuando
acronimi come GIF, JPEG o MPEG, che indicano file dal contenuto
grafico o video. QBIC (Query by Image Content) e' invece un primo
prototipo di un motore di ricerca grafico. Di un'immagine, i
software intelligenti di QBIC permettono di identificare i colori,
di analizzarne la posizione, di valutare parametri come il
contrasto o la grana.
Per adesso non distinguono ancora un nudo di "Playboy" da una
donna del Modigliani. Ma c'e' chi giura che tra qualche anno
saranno piu' bravi anche di Sgarbi e di Zeri.
Giovanni Valerio
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Colpevoli o innocenti?
In sintesi l'accusa e la difesa
OAUTORE M_FR
OARGOMENTI medicina e fisiologia, elettronica, ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, electronics, research
I campi elettromagnetici sono colpevoli o innocenti? Ecco, in
estrema sintesi, l'accusa e la difesa.
Colpevoli perche':
1 - i dati epidemiologici che dimostrano una associazione fra
esposizione ai campi elettromagnetici e insorgenza di tumori sono
numerosi.
2 - la ripetitivita' degli esperimenti di laboratorio e' un falso
problema, perche' gli esperimenti discordanti sono stati condotti
in condizioni diverse, ma mostrano comunque un pericolo.
3 - non e' necessario avere la prova definitiva per correre ai
ripari. Si deve intervenire subito per far diminuire l'esposizione
della popolazione all'elettromagnetismo.
Innocenti perche':
1 - i dati epidemiologici sui campi elettromagnetici sono molto
contrastanti, e molti studi non hanno trovato nessuna relazione fra
esposizione e insorgenza di tumori o altre malattie.
2 - l'epidemiologia e' una scienza statistica, pertanto non puo'
fornire prove definitive. Bisogna provare in modo convincente che
l'effetto sia plausibile biologicamente.
3 - sulle opere pubbliche: gli interventi necessari per diminuire
l'esposizione ai campi elettromagnetici sono estremamente costosi
(soprattutto quelli per linee elettriche). Con quei soldi si
possono effettuare altri interventi, anche in campo sanitario.
Prima di spendere tanto denaro bisogna essere certi che sia
utile. (m. fr.)
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Di Sciara Notarbartolo e Massimo Demma: "Guida dei mammiferi
marini del Mediterraneo", Franco Muzzio Editore
OGENERE rubrica
OAUTORE R_SC
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS zoology
Un volumetto, nelle intenzioni dell'autore, biologo marino, "per
conoscere, amare e rispettare foche, balene e delfini che
fortunosamente sopravvivono nel Mediterraneo", con dati sulle
generalita' delle specie, nozioni per l'identificazione, e una
breve cronistoria della cetologia in Italia. Un modo per conoscerne
l'aspetto, le particolarita', le abitudini, le esigenze e
soprattuto i problemi. "Con l'augurio - scrive Notarbartolo - che
questa generale consapevolezza ci aiuti tutti a conseguire un
difficile ma necessario obiettivo: conciliare un onesto e
illuminato uso delle risorse del mare, con la sopravvivenza e la
prosperita' di tutti gli animali che lo abitano".
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Kappenberger Giovanni, Kerkmann Jochen: "Il tempo in montagna",
manuale di meteorologia alpina, Zanichelli
OGENERE rubrica
OAUTORE R_SC
OARGOMENTI meteorologia, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS meteorology, book
Chiaro ed esauriente manuale per capire gli andamenti meteo alpini,
dall'osservazione e identificazione delle nuvole, alla valutazione
dei venti, ai tanti pericoli connessi con il maltempo alle alte
quote. I capitoli riguardano: Composizione dell'aria, Densita' e
pressione, Temperatura, Umidita', Struttura verticale
dell'atmosfera, Radiazione, Vento, Nubi, Precipitazioni,
Rilevamenti meteorologici, Depressioni, Anticicloni e fronti,
Interpretazione delle carte, Sbarramento e favonio, e cosi' via.
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Lambertini Marco e Palestra Luca: "Nati liberi", Muzzio Editore
OGENERE rubrica
OAUTORE R_SC
OARGOMENTI zoologia, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS zoology, book
Istruzioni chiare e concise per saper cosa fare in caso di pronto
soccorso di animali selvatici. Capita sovente infatti di trovare un
uccello o un piccolo mammifero ferito, e non sapere da che parte
incominciare. Nel manuale ci sono quasi tutti gli esempi possibili:
fratture di ali e arti, ferite e infezioni, imbrattamento da oli e
vernici, colpi di fucile, traumi da auto. Gli autori spiegano anche
come evitare morsi, graffi e beccate, da parte dei feriti, non
sempre consapevoli delle buone intenzioni dei soccorritori.
(r. sc.)
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Lentini Francesco: "Personalita' virtuale", Jackson Libri
OGENERE rubrica
OAUTORE R_SC
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS computer science
UN programma che porta verso una futura generazione di macchine
pensanti? Programmi che si sostituiscono a persone, rispondendo
assennatamente all'interlocutore in tutte le lingue; intelligenze
artificiali che viaggiano su Internet al posto delle persone che le
hanno elaborate. E' il panorama virtuale un po' inquietante
proposto dall'autore, ricercatore informatico e gionalista free
lance. Allegato al volume un cd-rom con Eloisa, il programma piu'
avanzato di conversazione in linguaggio naturale.
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. DALL'AMBIGUITA' ALLA VIOLENZA
Ma cos'e' la pedofilia?
Un labile confine tra lecito e no
OAUTORE CAROTENUTO ALDO
OARGOMENTI psicologia, sesso
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS psychology, sex
IL problema della pedofilia, emerso cosi' prepotentemente in questi
ultimi mesi, richiede alcune precisazioni e chiarificazioni, al
fine di inserire correttamente il fenomeno nell'ambito dei
comportamenti sessuali, prima ancora che criminali.
La sessualita', di per se', rimane un campo difficile da
legittimare attraverso l'uso di divieti e indicazioni, giacche'
appartiene alla sfera dell'intimita' e, in parte,
dell'autolegittimazione. Cos'e' allora che realmente segna il
confine tra un atto sessuale e un comportamento violento e
criminale? Generalmente il parametro piu' obbiettivo e' la
reciprocita' del piacere: come in qualunque atto che coinvolge la
relazionalita', cio' che e' piacevolmente condiviso dalle parti non
costituisce un gesto violento o di sopraffazione.
Viceversa, quando una delle due parti in causa vive la relazione
come situazione che nega la sua liberta' e la sua autonomia di
scelta, siamo in presenza di una violenza che va dalle sue forme
piu' sottili - come il plagio psicologico - a quelle piu' manifeste
di aggressione carnale.
Ora nel caso della pedofilia, il confine e' ancora piu' difficile
da tracciare, giacche' non si riconosce al bambino (almeno
giuridicamente) la capacita' di decidere e di scegliere cio' che e'
bene e cio' che e' male per lui.
Ma torniamo per un istante a domandarci cosa effettivamente si
intenda per "pedofilia". Il termine allude, in maniera molto
generica, a una forma di "amore per il bambino", ma in quale tipo
di affettuosita' questa forma si palesi resta abbastanza ambiguo.
Quando Freud, quasi un secolo fa, teorizzo' la presenza di una
sessualita' infantile, intesa come capacita' del bambino di reagire
piacevolmente a stimolazioni erogene, fu quasi costretto ad
abiurare, se non comunque a ritrattare parte delle sue
considerazioni. Semplicemente non era ammissibile che un bambino,
immagine e simbolo di purezza e innocenza, fosse anch'esso
"corrotto" da una pulsione sessuale.
Il pregiudizio era tale che si negava ostinatamente cio' che poi
nella pratica quotidiana era piu' che manifesto: non dimentichiamo
infatti che l'epoca vittoriana ci da' molte testimonianze di atti
incestuosi. E' un po' come dire che farlo era consentito, ma
parlarne no: ossia che nella pratica il bambino puo' essere
considerato oggetto e soggetto di piacere, ma nella teoria no.
Tornando a quell'ambiguita' circa il genere di affettuosita' che
e' consentito scambiare con un bambino, dobbiamo allora porre con
coraggio e determinazione almeno due punti fermi: innanzitutto che
il bambino e' capace di provare piacere, secondariamente che egli
e' in grado di comprendere e distinguere cio' che e' piacevole da
cio' che non lo e'.
Questa capacita' di distinzione gli deriva primariamente
dall'interpretazione che egli da' dei comportamenti contrastanti
dell'adulto. Ad esempio: se un adulto dice ad un bambino che
qualcosa e' bene, ma poi il suo comportamento tradisce il
contrario, ne deriva nel bambino uno stato di angoscia e di
prostrazione, generato dall'evidente percezione che "qualcosa non
va", ma al tempo stesso non si hanno gli strumenti interpretativi
per comprendere esattamente "come dovrebbe andare". In altre
parole, e' la coerenza tra cio' che l'adulto fa e cio' che dice che
genera la percezione della legittimita' dell'atto nel bambino.
Ecco allora che una carezza o un gioco erotico diventeranno
sinonimo di piacere, anziche' di vergogna, proprio perche' e'
l'adulto stesso a non vergognarsene, agendo - in perfetta buona
fede - per il proprio piacere, ma soprattutto per quello altrui.
Diverso e' quando l'adulto, nella sua ricerca di piacere, e'
consapevole del fatto che il suo gesto non e' reciproco e
altruistico, ma autocentrato: teso, pertanto, al perseguimento di
una propria soddisfazione che non tiene conto di quella del partner
(fino ad arrivare agli eccessi in cui il proprio piacere diventa la
ferita dell'altro).
Il bambino, che, non dimentichiamolo, e' piu' sensibile
dell'adulto al linguaggio non verbale (quello dei gesti, delle
espressioni e delle contraddizioni), e' perfettamente capace di
intuire quando l'altro agisce con autentica amorevolezza nei suoi
confronti, o quando cela dietro l'apparente amorevolezza intenti
egoistici se non aggressivi.
Fin qui siamo nell'ambito della pedofilia, che io distinguerei in
due tipi: quella attivamente e consapevolmente praticata come
espressione di amore verso l'altro, e pertanto benigna e
altruistica; e quella passivamente esperita in maniera
contraddittoria e maligna, in cui il soggetto praticante e' vittima
di una sua debolezza inconscia che lo porta a non curarsi affatto
delle esigenze e del piacere dell'altro.
Un discorso a parte va fatto, invece, per le vere e proprie
aberrazioni sessuali che portano alla distruzione (psicologica o
fisica) dell'altro. In questo caso, non siamo piu' nell'ambito
della pedofilia, ma della criminalita' e della violenza che pone
come suo oggetto, e in maniera generalizzata, l'indifeso, il piu'
debole: sia esso un bambino, una donna o un anziano.
Aldo Carotenuto
Universita' di Roma "La Sapienza"
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PERCHE' NESSUNA BESTIA HA LE RUOTE?
Mille modi per muoversi
Un quesito sciocco in apparenza
OAUTORE ZULLINI ALDO
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
PERCHE' non esiste nessun animale con le ruote? Ecco un esempio di
domanda apparentemente sciocca, ma che esige risposte intelligenti.
Quasi tutti gli animali si muovono adoperando una grande varieta'
di strutture: zampe, pinne, ali, ciglia, pseudopodi e altri
attrezzi piu' o meno efficienti. Ricci e stelle di mare si spostano
mediante tubicini (pedicelli) che sfruttano un complicato sistema a
pressione idraulica. Le meduse nuotano contraendo ritmicamente il
proprio ombrello.
I serpenti, dal canto loro, possono spostarsi in ben quattro modi
diversi: ondulando tutto il corpo, procedendo dritti grazie alla
spinta dei muscoli cutanei, allungando a fisarmonica il corpo
ripiegato ad S, e infine con veloci spostamenti laterali usati dai
crotali sui terreni sabbiosi. Le chiocciole scivolano lentamente
sul loro muscolo locomotore e i calamari sfrecciano utilizzando una
propulsione a reazione. I lombrichi procedono nel terreno con
movimenti a fisarmonica allungando e raccorciando varie porzioni
del corpo. Altri animali ancora usano svariati modi, talora
complessi, di spostamento.
Tutti, insomma, si ingegnano in una qualche forma di movimento. E
non sono pochi: le specie animali conosciute sono circa un milione
e mezzo. Eppure non ce n'e' una al mondo che sia dotata di un
sistema rotante. Si puo' proprio dire che l'uomo non ha copiato la
ruota dalla natura.
Il problema, ripetiamo, non e' banale e infatti e' stato oggetto
di dibattiti tra gli zoologi. Due sono le spiegazioni principali
che sono state date e, delle due, l'una non esclude l'altra anche
se fanno capo a due logiche completamente diverse. Secondo il primo
tipo di spiegazione, l'ostacolo principale (forse insormontabile)
alla formazione di ruote viventi risiede nel fatto che tutte le
parti di un organismo devono essere collegate senza soluzione di
continuita'. Un sistema rotante, invece, e' fatto da almeno due
parti staccate: perno e ruota. La ruota deve poter girare
liberamente intorno a un perno, senza l'intralcio di alcun
collegamento (per esempio pelle, muscoli, nervi e vasi sanguigni).
E' infatti evidente che in un organismo non possono esistere, ne'
svilupparsi, pezzi indipendenti dal resto del corpo.
A pensarci bene, una soluzione ci sarebbe: ruota e perno, dapprima
collegati, potrebbero formare strutture destinate a non essere piu'
vive (come succede per le corna dei buoi). Pertanto a un certo
punto dello sviluppo finirebbe la necessita' del collegamento, tra
perno e ruota, di nervi, vasi o altro che si possa attorcigliare. A
questo punto va ricordato un fatto molto interessante: nel
microscopico mondo dei batteri esistono effettivamente certe
strutture filamentose (flagelli) capaci di ruotare su se stessi
grazie a una sorta di perno girevole. Le minuscole dimensioni di
questo sistema rotante non comportano infatti i problemi
funzionali, sopra citati, tipici del mondo macroscopico. Ma va
anche detto che il flagello rotante dei microbi non e' propriamente
una ruota, eppoi i batteri non appartengono al regno animale. Il
secondo tipo di risposte al nostro problema fa appello, invece, a
considerazioni di carattere ecologico. Osserviamo innanzitutto che
noi siamo talmente abituati a spostarci per mezzo di sistemi
rotanti (biciclette, automezzi, treni) che non pensiamo nemmeno a
quanto sia rara e innaturale una superficie liscia sulla quale
poter rotolare. L'ambiente naturale, infatti, e' irto di
irregolarita' dato che e' zeppo di alberi, cespugli, massi,
ghiaioni, fossati e di altri ostacoli di ogni tipo. Peggio ancora
se gli ipotetici animali con le ruote dovessero avere le dimensioni
di un insetto: in tal caso ogni filo d'erba diverrebbe un ostacolo
al movimento.
Insomma, e' impossibile viaggiare su ruote se mancano le strade.
Ricordiamo, a questo proposito, che non sempre, nella storia umana,
l'evoluzione dei trasporti e' passata dalle zampe alle ruote:
talora e' avvenuto anche il cambiamento inverso.
Nell'antichita' classica, per esempio, l'Impero romano era
attraversato da una rete di strade percorribili anche da carri e
bighe. Ma quando, con l'inizio del Medioevo, venne a mancare un
potere centrale capace di provvedere al mantenimento stradale, il
commercio nel Nordafrica e nel Vicino Oriente cambio' sistema di
trasporto: invece dei carri si organizzarono carovane con merci
portate a dorso di cammello. Sara' anche stata un'involuzione, ma
in quelle situazioni il viaggio su zampe risultava piu' vantaggioso
di quello su ruote.
Nonostante tutto, pero', esistono alcuni organismi che si spostano
rotolando: si tratta di piccoli cespugli che vivono nelle zone
aride dell'Africa e del Nordamerica. Quando i semi sono maturi,
l'intero cespuglio, che ha la forma e le dimensioni di una palla,
si stacca dalle radici e rotola per lunghi tratti sulla sabbia
sotto la spinta del vento. E' un modo come un altro per diffondere
i propri semi. Ma, anche qui, non ci sono ruote e gli organismi in
questione sono vegetali: possono rotolare quanto vogliono senza
problemi di giramenti di testa.
Aldo Zullini
Universita' di Milano
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
UN DISEGNO DI LEGGE
Nuovi parametri per gli elettrodotti
OAUTORE GRANDE CARLO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, elettronica, leggi
ONOMI CALZOLAIO VALERIO, BEVITORI PAOLO, COMBA PIETRO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OSUBJECTS medicine and physiology, electronics, law
TELEFONINI, elettrodotti, forni a microonde, ripetitori tv: le
sorgenti di campi elettromagnetici si moltiplicano ma il dibattito
resta in balia del sensazionalismo ("cancro elettrico" alla minima
esposizione) o del paternalismo (pochi tecnici e burocrati decidono
per tutti, all'insegna del "sono solo storie"). Un passo avanti e'
il disegno di legge "per la tutela della salute della popolazione
dall'inquinamento elettromagnetico", firmato dai ministeri di
Ambiente, Sanita' e Comunicazioni, tra poco sul tavolo del
Consiglio dei ministri. E' una legge-svolta, dice il viceministro
dell'Ambiente Valerio Calzolaio, perche' il governo ha deciso di
occuparsi del problema, superando inerzie e contrasti. Dopo la
legge del '92, occorrono si' misure pragmatiche che ottimizzino le
risorse (sono in ballo, ad esempio i miliardi degli elettrodotti
Enel), ma anche per fare in modo che la popolazione sia meglio
informata e partecipi alle decisioni.
La nuova legge (che non pone limiti quantitativi ma apre la strada
a decreti attuativi e leggi regionali) si fonda su una ricerca
condotta dall'Istituto superiore della prevenzione e sicurezza del
lavoro e dall'Istituto superiore della Sanita': essa indaga su una
gamma amplissima di frequenze, tra 0 hertz e 300 gigahertz. Pietro
Comba, epidemiologo dell'Istituto superiore di sanita', e' tra i
responsabili: conferma che nei campi a bassa frequenza (ad esempio
quelli generati dalle linee ad alta tensione) gli studi
internazionali piu' recenti confermerebbero l'ipotesi di rischi di
leucemia infantile, se si abita entro alcune decine di metri dalle
installazioni; il rischio e' apprezzabile quando il livello di
esposizione e' piu' alto di 0,2-0,3 microtesla.
La fascia piu' a rischio sembra essere quella che subisce
esposizioni a partire da un microtesla e piu'. Enel e Ferrovie
stimano che in Italia 300 mila persone (circa lo 0,5% della
popolazione) abitino in case con piu' di 0,2 microtesla. Ma tra
loro alcune decine di migliaia accusano livelli piu' alti, anche
decine di microtesla. Sono quelli su cui bisogna intervenire
immediatamente: il problema e' che "risanare", per la legge del
'92, significa che spendendo migliaia di miliardi si innalzeranno
ad esempio i tralicci, magari ulteriormente violentando i paesaggi,
e comunque c'e' tempo fino al 2004.
Il risanamento, fa osservare Paolo Bevitori, ricercatore dell'Arpa
(Agenzia regionale prevenzione ambiente) dell'Emilia Romagna,
interessera' sia le poche situazioni che supereranno i 100
microtesla, sia quelle (numerose) che presentano distanze inferiori
a quelle previste dalla legge del '92: (28 metri per 380 kV, 18 per
220 kV e 10 per 132 kV). Risanare queste ultime situazioni
comportera' un abbassamento modesto del livello di campo magnetico
(ad esempio nel caso di linee a 380 kV, portare i conduttori a 28
metri significhera' continuare ad essere esposti a livelli
superiori a 0,2 microtesla).
Per inciso, la commissione internazionale per la protezione dalle
radiazioni non ionizzanti in un recentissimo documento indica in
100 microtesla il limite entro cui l'organismo e' al riparo da
effetti acuti, ma cio' non considera gli effetti nel lungo periodo.
Il rischio esiste dunque "a qualche decina di metri", oltre gli 0,2
microtesla: cosa decidera' la legge? Per talune Regioni (Veneto e
Lazio) il limite invalicabile era costruire a 150 metri dagli
elettrodotti: le loro leggi sono state sospese. Quella nuova
permettera' di decidere caso per caso: a 150 metri dagli
elettrodotti piu' potenti, dice l'Istituto superiore di sanita', si
eviterebbero esposizioni superiori a 0,2 microtesla.
Per le alte frequenze (emittenti radio e tv, antenne per
telefonini, telefoni cellulari e radar), l'Istituto denuncia una
letteratura scientifica molto piu' povera: ma alcune ricerche
suggeriscono relazioni con la leucemia infantile e danni a chi
lavora vicino a taluni macchinari. Negli Stati Uniti e' normale non
collocare stazioni radio-base per telefonia vicino a scuole o
palestre. Recentemente il Consiglio di Stato ha confermato il
blocco del Tar a un'antenna per i telefonini cellulari nel centro
di Roma. L'alta frequenza, ricorda Comba, espone a molti rischi:
mentre nessun elettrodotto potrebbe dare 100 microtesla (soglia per
non subire effetti acuti) ci sono molti macchinari, ripetitori
audiovisivi e antenne urbane responsabili di esposizioni superiori.
Circa l'"inquinamento indoor", la nuova legge rimandera' alle
singole legislazioni gia' esistenti sui luoghi di lavoro, mentre
per gli ambienti domestici l'etichettatura degli elettrodomestici
(che dovrebbe svelare i livelli di emissione) esiste a livello
europeo ma non da noi. Anche l'Istituto auspica che gli apparecchi,
come e' gia' avvenuto per i videoterminali, vengano progettati con
campi elettromagnetici ridotti, inferiori a 0,2 microtesla. Tali
prodotti diventerebbero commercialmente piu' competitivi. Per il
momento si denunciano esposizioni notevoli con incubatrici,
stufette, frigoriferi, lavatrici, asciugacapelli, rasoi elettrici,
aspirapolvere.
Una nuova cultura per tutelarsi dalle radiazioni elettromagnetiche
va faticosamente diffondendosi, sotto la spinta di pubblicazioni
scientifiche: come quelle del ricercatore Paolo Bevitori, una edita
dalla Cuen (si intitola "Inquinamento elettromagnetico"), l'altra
proposta con lo stesso titolo da Maggioli. E' il caso di non
abbandonare la popolazione all'inquietante tam- tam (chissa' quanto
fondato) dei tubi al neon che si accendono fra le mani di chi sta
sotto gli elettrodotti, delle galline che fanno meno uova e degli
animali selvatici che non si trovano piu' nel raggio di un
centinaio di metri dai tralicci. Sono sorti molti comitati come il
Conacem (Coordinamento nazionale comitati a tutela dei campi
magnetici) e anche Legambiente e' intervenuta con uno sportello
informativo telefonico un'ora la settimana (il mercoledi' dalle 11
alle 12, allo 06-8626.8377). Legambiente partecipa a tavoli di
lavoro con Tim, e prepara monitoraggi con il treno verde.
Inoltre, come prevede la nuova legge, non va sottovalutato
l'impatto sulla qualita' della vita di molte sorgenti
elettromagnetiche: non solo dei telefonini ma anche dei tralicci
sul paesaggio. Sulle colline di Dogliani e nell'Alta Langa, ad
esempio, l'Enel sta facendo passare un elettrodotto proprio su
vigneti pregiati.
In questi casi si potrebbero fare linee piu' compatte o interrare
i cavi, cosa che gia' avviene ad esempio fra Corsica e Sardegna:
una linea senza tralicci e' piu' costosa (da 3 a 6, fino a 10 volte
le linee aeree), ma se si sviluppa un mercato adeguato i costi
scenderanno. Fino a quel momento, bisognera' per forza vedere
alberi di acciaio che ronzano zigzagando sulle colline e sulle
teste della gente?
Carlo Grande
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. RAVENNA
Ore babiloniche
e oltremontane
OAUTORE GABICI FRANCO
OARGOMENTI metrologia
OORGANIZZAZIONI PLANETARIO DI RAVENNA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, RAVENNA (RA)
OSUBJECTS metrology
A partire da sabato 13 dicembre, il Planetario di Ravenna offrira'
l'opportunita' di leggere l'ora su un grande complesso gnomonico
che occupa tutta la parete Sud-Est della struttura.
Il gruppo che con le sue dimensioni (m 3,60X6,60) e' sicuramente
una delle strutture verticali piu' grandi d'Italia, e' stato
progettato e realizzato dall'artista e gnomonista Mario Arnaldi e
costituisce il primo passo per la realizzazione di un grande
progetto che intende trasformare il giardino pubblico di Ravenna,
all'interno del quale si trova il Planetario, in un parco
scientifico-astronomico.
Nei prossimi mesi, infatti, verra' realizzato nell'area attorno al
Planetario un percorso di "orologi solari". L'orologio solare segna
l'ora dell'alba e del tramonto, le ore del giorno (ore
oltramontane), le ore del sorgere (ore babiloniche), quelle
dell'ultimo tramonto (ore italiche), l'entrata del Sole nei "segni"
dello Zodiaco e il passaggio del Sole al meridiano per alcune
capitali europee.
L'autore ha inoltre tenuto presente le caratteristiche di Ravenna
come citta' d'arte e nella sua opera ha inserito richiami ad alcuni
importanti monumenti.
Lo gnomone, ad esempio, esce da un cielo stellato che richiama la
decorazione musiva del famoso Mausoleo di Galla Placidia, mentre le
figure dello Zodiaco richiamano i bassorilievi che sono attorno
alla base della colonna veneziana di San Vitale, di fronte al
Municipio, opera di Pietro Lombardo.
Alla sinistra dell'orologio sono stati dipinti l'abaco delle
altezze e degli azimut, la tabella dei minuti da aggiungere o
sottrarre all'ora indicata dal quadrante per poter ricavare l'ora
segnata dai nostri orologi e un ciclo per la determinazione della
data della Pasqua dal 1995 al 2071 che richiama una tavola marmorea
del VI secolo conservata nel Museo arcivescovile.
Tutto il lato destro e' invece occupato da una meridiana che
indica il mezzogiorno medio dell'Europa centrale e il mezzogiorno
vero di Ravenna.
Franco Gabici
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. LA VITAMINA C
Per combattere
i radicali liberi
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, chimica
ONOMI SZENT GYORGI ALBERT
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, chemistry
OGGI lo scorbuto non fa piu' paura. Questo "killer" che in passato
mieteva vittime dopo atroci sofferenze soprattutto fra i navigatori
(costretti a vivere per mesi senza cibi freschi), e' stato
eliminato grazie agli studi di Albert Szent-Gyorgi il quale, a
Cambridge nel 1928, isolo' e descrisse l'importanza dell'acido
ascorbico: la vitamina C. Fu insignito del Premio Nobel nel 1937.
L'avvenimento e' stato ricordato recentemente a Montecarlo, dove
Bracco e Nfi (Nutrition Foundation of Italy) hanno colto
l'occasione per verificare l'esito delle ricerche attuali su questo
importantissimo principio nutritivo. Gli studi sulla vitamina C
infatti, proseguono (4805 lavori scientifici pubblicati negli
ultimi 20 anni), perche' si tratta di una molecola cosi' reattiva
che partecipa ad un elevato numero di reazioni distribuite in tutti
i tessuti biologici. Oggi gli studi sono rivolti a sottolineare
l'attivita' antiossidante della vitamina C (che agisce unitamente
ad altri antiossidanti: esempio vitamina E, flavonoidi), un sistema
di difesa dell'organismo irrinunciabile per una buona salute.
L'ossigeno e' indispensabile alla vita, pero' produce anche dei
derivati altamente reattivi (i cosiddetti "radicali liberi") capaci
di provocare gravi danni ai costituenti basilari delle cellule.
Questa situazione ha portato al suggerimento di intervenire
attraverso l'assunzione di antiossidanti naturali (frutta e verdure
fresche: sono raccomandate 5 porzioni al giorno) o sintetici, a
dosi sufficientemente alte, per contrastare lo stress ossidativo da
radicali liberi. Basta pensare alle patologie cardiovascolari. E'
opinione comune che le modificazioni ossidative delle lipoproteine
a bassa densita' (il famigerato colesterolo Ldl) abbiano un ruolo
decisivo nell'aterosclerosi e nella coronaropatia.
Gli antiossidanti sono utili nella prevenzione di malattie
degenerative a lungo termine, dal cancro al diabete, dalla
formazione di cataratta al processo di invecchiamento.
Negli Anni 70 fu suggerita la vitamina C per la cura del
raffreddore. Le indagini epidemiologiche oggi hannno visto che la
vitamina C non previene nuovi episodi di raffreddore nella
popolazione in genere dei Paesi occidentali. E' tuttavia possibile
che svolga un ruolo preventivo nei soggetti con bassi livelli di
assunzione dagli alimenti, tenendo conto che e' molto fragile
(viene distrutta dal calore, dalla luce ed e' idrosolubile).
Un altro gruppo di persone in cui la vitamina C puo' esercitare un
effetto protettivo e' costituito dai soggetti sottoposti ad elevato
stress fisico (Harri Emila - Universita' di Helsinki).
In 3 studi effettuati su maratoneti, scolari, militari durante
esercitazioni invernali, la vitamina C ha diminuito il numero di
episodi di raffreddamento in modo statisticamente significativo.
Gia' in condizioni normali la vitamina C e' presente, a
concentrazioni piu' elevate di altre molecole antisossidanti, nello
strato fluido che ricopre e protegge le vie respiratorie.
Molto spesso si e' osservato che i pazienti con patologie
asmatiche, enfisematose, risultano avere bassi livelli cellulari di
vitamina C.
Renzo Pellati
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ETOLOGIA DEI PICCHI
Solitari dalla lingua lunga
Che serve ad estrarre dai tronchi insetti e larve
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI etologia
ONOMI KOENIG WALTER, MUMME RONALD
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ethology
CREDETE che sia facile studiare il comportamento degli uccelli, di
creature che sfrecciano nelle vie del cielo, dove l'occhio umano
non riesce a seguirle? Occorrono una pazienza e una tenacia
infinite. Ma occorre anche una buona dose di coraggio quando si
tratta di arrampicarsi sugli alberi a dieci- quindici metri di
altezza per raggiungere un buon punto di osservazione da cui poter
spiare i loro nidi arboricoli ad alta quota.
E' questa l'impresa che hanno affrontato Walter D. Koenig e Ronald
L. Mumme per scoprire il singolare comportamento riproduttivo del
picchio delle ghiande americano, una delle 182 specie di picchi che
si conoscono. Sono uccelli davvero particolari, i picchi.
Ovviamente il loro nome e' dovuto al fatto che picchiano col becco
sul tronco degli alberi. Picchiano per costruire il nido o per
mettere allo scoperto i nascondigli delle loro prede, larve o
insetti adulti, che vivono nel legno. Ma quel becco funziona anche
come il martelletto di uno xilofono. Il bello e' che ciascuna
specie martella con un proprio ritmo. Quel tambureggiare e' quindi
un vero e proprio linguaggio. Serve a conversare con gli amici, ma
anche a cantare serenate d'amore alle future spose.
Per poter colpire con tanta forza il duro legno degli alberi e
riuscire a scavarlo, bisogna che cranio e cervello siano protetti
da un efficace dispositivo. Ed e' proprio quello che si verifica
nei picchi. In questi uccelli non solo l'osso frontale e'
rinforzato da speciali trabecole ossee, ma ci sono alcuni muscoli
cranici enormemente sviluppati che servono ad ammortizzare il
violento impatto del becco contro il legno. Una volta praticato un
foro nel tronco, il picchio deve estrarne la piccola preda
commestibile che vi e' nascosta. E per raggiungere questo scopo usa
la lingua, una lingua che in alcune specie sporge dal becco
addirittura per una decina di centimetri.
E' una lingua sui generis che ha l'estremita' corneificata e porta
sulla superficie un gran numero di setole che funzionano a mo' di
uncini e servono a infilzare le prede.
I picchi in generale sono uccelli solitari, tranne che nella
stagione degli amori. Maschi e femmine hanno territori personali
separati e ciascun individuo se ne sta per i fatti suoi. Ma il
picchio delle ghiande fa eccezione alla regola. Gli piace far
comunella con i compagni.
Non e' certo l'unico caso di riproduzione cooperativa fra gli
uccelli. Di solito pero', come avviene ad esempio fra le ghiandaie
della Florida, si formano gruppi di uccelli composti da una sola
coppia riproduttrice e dai loro figli che aiutano i genitori ad
allevare le nuove covate. Niente di tutto questo nei picchi della
Riserva Hastings di California dove gli studiosi hanno svolto le
loro ricerche. Nella popolazione in esame esistono gruppi familiari
che comprendono fino a una quindicina di individui, maschi e
femmine di ogni eta'. Pero' i maschi e le femmine del gruppo non
formano coppie fisse. I maschi riproduttori competono tra loro per
accoppiarsi con le femmine. E queste depongono le loro uova nel
medesimo nido. I riproduttori dello stesso sesso sono sempre
parenti stretti.
Cosi' niente di piu' facile che un maschio si trovi a competere
con due dei suoi figli. Invece i riproduttori di sesso diverso non
sono quasi mai imparentati tra loro. E cio' riduce al minimo gli
accoppiamenti incestuosi. I gruppi focalizzano la loro attivita' su
un albero-magazzino, o granaio, in cui nascondono le ghiande che
raccolgono. Poi si spartiscono le ghiande nascoste. Insieme
difendono l'albero-magazzino e insieme pensano a nutrire e ad
allevare i piccoli che si trovano nel nido comunitario. C'e' pero'
una certa forma di competizione tra i maschi nei primi stadi del
processo riproduttivo, quando i riproduttori cercano di impedire ai
loro colleghi del gruppo di accoppiarsi con le femmine. Ma la
competizione piu' drammatica e' quella che si verifica tra le
femmine.
Niente di piu' facile che vedere una femmina uscire in volo dal
nido con un guscio d'uovo nel becco. Si e' portati a pensare che
sia appena sgusciato un piccolo e la madre stia facendo pulizia
portando via il guscio vuoto. Ma se si va a curiosare, si trova il
nido vuoto. Nessuna traccia del neonato. Cosa diavolo e' successo?
I ricercatori sono riusciti a svelare l'arcano dopo vari anni di
appostamenti e di osservazioni. Ecco quello che hanno scoperto. Le
femmine spesso afferrano le uova appena deposte dalle rivali e le
vanno a nascondere in un albero vicino, come se fossero ghiande
commestibili. Da quel momento le uova rubate diventano proprieta'
comune e vengono consumate da tutti i membri della comunita',
compresa la madre. Ma succede anche di peggio. Ad esempio, una
femmina depone una covata di quattro uova. Un'altra femmina in men
che non si dica se le mangia. Due giorni dopo la seconda femmina,
quella assassina, depone una covata di tre uova e si direbbe che la
prima si vendichi, perche' questa volta e' lei che divora le tre
uova della rivale. Dopo un break di alcuni giorni finalmente
entrambe le femmine depongono simultaneamente.
Solo allora le uova vengono covate e possono svilupparsi
regolarmente. La distruzione occhio per occhio, dente per dente,
avviene anche quando le femmine, diciamo cosi' antagoniste,
depongono le uova in nidi separati. Solo quando le due femmine
depongono simultaneamente le loro covate nello stesso nido, cessa
la sistematica distruzione reciproca delle uova.
La cosa piu' sconcertante e' che le femmine rivali sono spesso
parenti strettissime. La competizione puo' contrapporre la madre
alle figlie, la sorella alla sorella.
Una madre e due figlie, ad esempio, sono state capaci di
distruggere in dodici giorni quindici delle rispettive uova, prima
di spegnere la loro fame ovicida e di deporre otto uova che
finalmente sono state covate in maniera normale. Appare chiaro che
la distruzione delle uova e' una strategia che porta a
sincronizzare l'ovodeposizione delle femmine in uno stesso nido. Ma
questo e' indubbiamente il sistema di riproduzione piu' insolito
che si riscontra tra gli uccelli.
Isabella Lattes Coifmann
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. DAI TETTI FOTOVOLTAICI
Tanti watt gratis e puliti
Ma l'Italia e' in grande ritardo
OAUTORE LIBERO LEONARDO
OARGOMENTI energia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS energy
SI e' tenuta nei giorni scorsi a Roma la Conferenza nazionale sulle
strategie per uno sviluppo sostenibile. Ovvio il rilievo che vi e'
stato dato allo sfruttamento di quella solare attraverso i sistemi
eliotermico e fotovoltaico. E ovvia, per chi appena conosca la
materia, l'arretratezza, che vi e' emersa, del nostro Paese; il
quale ha 10-15.000 metri quadrati di collettori eliotermici, contro
i 100.000 dell'Austria o il milione e piu' della Grecia; e ha forse
10 "tetti fotovoltaici" collegati alla rete elettrica, contro i
mille della Svizzera, i 10.000 della Germania o gli altrettanti
installati nel solo 1997 in Giappone; Paesi meno soleggiati del
nostro e autosufficienti per l'elettricita', a differenza
dell'Italia.
Di "tetti fotovoltaici" si e' gia' trattato su queste pagine
(l'ultima volta il 28 maggio, suscitando richieste di maggiori
informazioni da tutta Italia). Sono costituiti da pannelli solari o
da tegole solari, simili nell'aspetto a quelle usuali, collocati
sugli edifici e collegati alla rete elettrica. Sono una fonte di
elettricita' "pulita", senza rischi ne' rumore ne' sfregi al
paesaggio ne' sottrazione di aree al verde (utilizzando aree gia'
occupate); ed e' dimostrato che se, al limite, se ne ricoprissero
tutti gli edifici esistenti, essi produrrebbero tanta elettricita'
da soddisfare piu' volte il fabbisogno di un'intera nazione.
L'Italia ha un'autosufficienza elettrica del 20 per cento, produce
l'80 per cento dell'elettricita' da fonte termica e spende circa
20.000 miliardi all'anno (una intera "manovra economica") per
importare combustibili. Ma non ha che pochissimi "tetti
fotovoltaici" collegati alla rete elettrica, per mancanza di norme
tecniche relative agli "inverters" di collegamento. Un vuoto
normativo almeno decennale e che continua ad onta di precisi
obblighi comunitari.
L'Unione Europea ha infatti emanato, in agosto 1995, la Norma
Cenelec En 61727, relativa a: "Sistemi fotovoltaici -
Caratteristiche dell'interfaccia di raccordo alla rete". Essa
doveva essere applicata in ogni Paese membro, integrata da norme
locali compatibili, entro il 1o aprile 1996, ma in Italia e' stata
pubblicata solo lo scorso agosto; le norme locali, deliberate
nell'aprile scorso, sono entrate in vigore nei giorni scorsi.
Dovremmo cosi' sfuggire al rischio di far tagliare fuori per
sempre l'Italia, come Paese produttore, dal mercato,
promettentissimo, dei materiali solari; si pensi solo che gli Usa
hanno in programma un milione di tetti fotovoltaici entro il 2010;
con la creazione di 70.000 nuovi posti di lavoro. E' quindi molto
interessante l'intenzione del governo che l'Italia contribuisca a
ridurre le emissioni di "gas serra" anche mettendo in esercizio
10.000 tetti fotovoltaici per 50.000 kWp (circa 800 miliardi di
investimento, ai costi attuali) entro il 2002.
Leonardo Libero
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ELETTROMAGNETISMO
Trafitti da onde silenziose
Ancora incerti gli effetti sulla salute
OAUTORE FRONTE MARGHERITA
OARGOMENTI medicina e fisiologia, elettronica
OORGANIZZAZIONI OMS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, electronics
I campi elettromagnetici e le radiazioni non ionizzanti sono una
componente invisibile del nostro ambiente quotidiano, un fattore
silenzioso di cui solitamente neppure ci accorgiamo, che diventa un
problema solo quando qualcuno decide di far passare a pochi metri
da casa nostra una linea elettrica dell'alta tensione. Eppure le
sorgenti elettromagnetiche sono intorno a noi in ogni momento della
giornata, perche' basta far funzionare un elettrodomestico, oppure
parlare al telefono cellulare, per essere esposti alla loro azione.
Ci fara' male?
Sull'argomento i ricercatori sono divisi. E anche se ormai in
pochi mettono ancora in dubbio che l'esposizione ai campi
elettromagnetici (piu' intensi di quelli normalmente presenti in
casa) provochi disturbi come mal di testa o stanchezza, sugli
effetti a lunga scadenza, e in particolare sulla capacita' di
promuovere il cancro e altre malattie, la scienza non ha ancora
fornito risposte convincenti.
Gli esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanita', che lo
scorso anno ha lanciato un imponente programma di ricerca per fare
chiarezza sulla questione, si sono riuniti recentemente a Vienna
per fare il punto della situazione, ma le evidenze sperimentali non
permettono ancora di dare risposte definitive e il convegno
ha dovuto necessariamente centrare l'attenzione sulla questione
della percezione pubblica di un rischio difficile da valutare. In
tutto il mondo le organizzazioni dei cittadini, sotto la spinta
emotiva dell'incombenza di un pericolo invisibile, inevitabile e,
soprattutto, imposto, promuovono manifestazioni e azioni che sempre
piu' spesso riescono a centrare l'obiettivo di far spostare una
linea elettrica dell'alta tensione, o un'antenna per la telefonia
cellulare.
Ma i dati che si sono accumulati in vent'anni di ricerche sono
molto contraddittori e gli stessi scienziati polemizzano fra loro
sull'opportunita' di continuare a finanziare la ricerca in un
ambito che fino a questo momento ha portato pochi risultati, e
tanti grattacapi.
Persino l'imponente programma avviato nel 1992 dal governo
statunitense e' stato sospeso nel marzo di quest'anno fra liti e
polemiche per mancanza di risultati convincenti. Tuttavia, visto il
gran numero di coloro che quotidianamente sono sottoposti
all'azione dei campi elettromagnetici, la politica di interrompere
gli studi e restare nell'incertezza non sembra certo la migliore.
Fra responsi contrastanti, polemiche sui fondi, e pressioni dei
gruppi ambientalisti, la matassa e' ancora molto lontana
dall'essere dipanata.
Gli scienziati hanno cominciato a interessarsi di
elettromagnetismo e salute in seguito a uno studio del 1979, in cui
l'epidemiologa statunitense Nancy Wertheimer e un suo collega
fisico, Ed Leeper, dimostravano per la prima volta un'associazione
fra l'esposizione ai campi elettromagnetici emessi dalle linee
dell'alta tensione e l'insorgenza della leucemia infantile.
Duramente contestato fin dal suo apparire, lo studio diede pero'
l'avvio a un filone di ricerca che in venti anni ha prodotto
migliaia di documenti con conclusioni opposte. Infatti, gli studi
di epidemiologia, la scienza che tenta di correlare su base
statistica l'esposizione a un agente sospetto con l'insorgenza di
una malattia, hanno ora dimostrato e ora smentito un'associazione
fra inquinamento elettromagnetico e le malattie piu' disparate: dai
tumori al morbo di Alzheimer. Vista la contraddittorieta' dei dati,
in molti oggi sostengono che l'epidemiologia sia un metodo poco
sensibile quando l'effetto e' minimo; infatti, anche quando le
ricerche riscontrano un'associazione fra esposizione ai campi
elettromagnetici e l'insorgenza di malattie, da un punto di vista
statistico il legame e' sempre cosi' debole da non costituire un
elemento probante. Inoltre questi studi non rispettano molti dei
criteri richiesti alle indagini epidemiologiche. Per citare i
principali, e' molto difficile, se non impossibile, sia valutare
con precisione l'esposizione degli individui ai campi
elettromagnetici, sia escludere dall'indagine tutti quei fattori
che possono influenzare la comparsa della malattia studiata, e che
potrebbero confondere i dati.
Ad esempio, nel caso della leucemia infantile, il tumore piu'
diffuso fra i bambini, eliminare i fattori di confusione non e'
possibile semplicemente perche' le cause della malattia sono ancora
in gran parte sconosciute. Come escludere da una ricerca l'effetto
di un agente ignoto?
L'unico dato certo che si ricava dall'epidemiologia e' che, se
davvero i campi elettromagnetici hanno un effetto sulla salute,
questo e' certamente minimo, altrimenti sarebbe venuto fuori con
maggior forza. Comunque, per inchiodare l'agente sospetto la
statistica non basta: servono altre prove.
In particolare e' necessario eseguire esperimenti in laboratorio
che spieghino la biologia dell'interazione fra campi
elettromagnetici e i tessuti organici, e che rendano ragione del
loro eventuale potere cancerogeno, anche in relazione al tipo di
radiazione a cui si e' esposti.
Gli effetti del telefono cellulare, che emette radioonde e si
utilizza vicino alla testa, sono infatti molto diversi da quelli
riscontrati per i campi elettromagnetici a frequenza molto piu'
bassa, emessi per esempio dalle linee elettriche dell'alta
tensione. In entrambi i casi pero' si tratta di effetti difficili
da dimostrare, e il cui risultato finale sarebbe l'induzione del
tumore. La difficolta' risiede nel fatto che le radiazioni
elettromagnetiche sotto accusa non provocano, sulla molecola del
Dna, le alterazioni necessarie affinche' insorga il cancro, anche
se potrebbero comunque favorire un processo tumorale gia' in corso.
In che modo resta da chiarire, e attualmente i piu' importanti
progetti di ricerca si stanno concentrando proprio su questo
aspetto.
Nella primavera di quest'anno i ricercatori dell'Oms hanno
dimostrato che, in topi geneticamente predisposti ad ammalarsi di
leucemia, l'esposizione a campi elettromagnetici simili a quelli
emessi dai telefoni cellulari favorisce l'insorgenza della
malattia. Alla ricerca di una prova biologica, gli scienziati hanno
analizzato gli effetti dell'elettromagnetismo anche su tessuti e su
cellule in coltura. A seconda del tipo di radiazione a cui veniva
esposto il campione biologico, questi studi hanno rilevato
l'induzione di correnti, effetti di riscaldamento, e alterazioni
della chimica cellulare. In alcuni casi si sono osservate anche
influenze su alcuni meccanismi coinvolti nei processi tumorali.
Tuttavia questo non e' sufficiente, perche' un esperimento
scientifico per essere valido deve poter essere ripetuto da diversi
gruppi, e questa condizione, la ripetibilita' dei risultati, e'
oggi il maggior ostacolo per chi cerca la prova biologica che i
campi elettromagnetici provocano il cancro. E la difficolta' e'
talmente concreta che in piu' di una occasione lo stesso
ricercatore e' stato costretto a smentire i risultati ottenuti in
uno studio precedente perche' incapace, lui stesso, di riprodurre
il suo esperimento.
Margherita Fronte
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. IL PROGRAMMA EXCEL
Un foglio elettronico
Struttura bidimensionale "a celle"
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science
I prodotti software per compilare il cosiddetto foglio elettronico
costituiscono una importante famiglia di anime nel paradiso delle
tecnologie informatiche e nell'inferno del loro mercato. Per
spiegare le funzionalita' di questi prodotti ancora una volta
faremo riferimento a un programma di Microsoft - il ben noto Excel
- con l'obiettivo di portare a 15 unita' il numero dei miei lettori
(a proposito, grazie ai cinque che mi hanno telefonato o scritto,
anche se giustamente hanno rivendicato l'invito a cena promesso per
la loro fedelta').
Il foglio elettronico e' una struttura bidimensionale, composta da
unita' di informazione - le celle elementari - allineate per righe
e per colonne come avviene su un foglio quadrettato (a quadretti
che definirei rettangolari, se non ci fosse il rischio che un
professore di geometria leggesse questo articolo). Come nella
battaglia navale che giocavamo a scuola durante le ore di lezione
piu' noiose, ogni riga e' contrassegnata da un numero e ogni
colonna da una lettera dell'alfabeto, per cui il nome di una cella
e' costituito dall'indicazione della riga seguita da quella della
colonna, come B5, E7, e cosi' via. Vi e' poi una terza dimensione,
nel senso che il programma mette a disposizione non solo un foglio,
ma una pluralita' di fogli sovrapposti, selezionabili con un clic
sulla corrispondente linguetta. Riassumiamo schematicamente le piu'
importanti funzionalita' di Excel.
Apertura e chiusura di un documento. Uno specifico foglio, o
meglio uno specifico pacco di fogli sovrapposti, puo' essere
aperto, salvato o stampato, come avviene per un documento prodotto
da un programma di videoscrittura, o da qualunque altro applicativo
del mondo Windows, con gli opportuni comandi del menu' a tendina
che si apre selezionando File. Un documento prodotto da Excel avra'
un nome del tipo bilan cio.xls o orario.xls, ossia sara'
caratterizzato dall'estensione .xls, che consentira' in seguito
allo stesso Excel, o ad altri programmi Windows, di comprendere
l'origine del documento e di interpretarlo correttamente.
Specializzazione celle. In una cella, dopo averla selezionata con
un clic, si puo' scrivere qualunque tipo di dato: numeri, date,
valute, parole o frasi. Queste ultime possono essere compilate con
qualunque tipo di carattere, di qualunque dimensione, eventualmente
in grassetto o corsivo o sottolineato, utilizzando gli stessi
pulsanti e gli stessi comandi che si impiegano negli ambienti di
videoscrittura.
Una cella o un insieme di celle adiacenti possono essere
"specializzate" per contenere un particolare tipo di dato. La
specializzazione di una cella o di un insieme di celle si ottiene
selezionando Formato nella barra orizzontale dei menu' in alto, e
poi Celle nel menu' a tendina sotto Formato e infine Nu mero. Il
sistema provvedera' allora a indicare tutti i tipi di dati ammessi
e i loro formati, e accettera' la scelta dell'operatore.
Anche le dimensioni di una cella, o di una riga o colonna, possono
essere modificate rispetto alla dimensione standard con cui queste
si presentano all'operatore dopo l'attivazione del programma. Una
tecnica per modificare le dimensioni di una riga o colonna consiste
nel selezionare una riga o una colonna, cliccando sul margine
laterale sinistro e superiore del foglio, e quindi scegliere For
mato, Riga (o Colonna) e infine Aggiusta. Il programma provvedera'
a variare automaticamente l'altezza della riga o la larghezza della
colonna in modo da contenere sempre dati o messaggi nei contorni di
cella.
Operazioni aritmetiche. Una delle funzioni piu' utili di un
foglio elettronico e' la possibilita' di introdurre in una cella il
risultato di una o piu' operazioni aritmetiche eseguite sui valori
di altre celle. La piu' semplice di tali possibilita' e' forse
quella di scrivere in una cella il simbolo = seguito da una formula
aritmetica contenente eventualmente i valori di altre celle,
indicati con i nomi delle celle stesse. Cosi', ad esempio, volendo
introdurre nella cella C16 il costo del lavoro per una data
produzione, si scrivera' nella stessa cella C16 la formula = C13 *
C14 * 20.000, dove C13 indica la cella contenente il numero di ore
di lavoro per unita' di prodotto, C14 la cella del numero di unita'
da produrre, 20.000 il costo orario e * indica l'operazione
moltiplicazione. Quando premeremo il tasto En ter, il sistema
eseguira' automaticamente il calcolo e sostituira' la formula con
il valore numerico corrispondente.
La produzione dei grafici. Un moderno foglio elettronico e'
sempre accompagnato da un insieme di strumenti per la produzione
automatica di grafici relativi ai dati contenuti in una tabella. Un
esempio. Si selezionano dapprima le celle contenenti i dati da
rappresentare graficamente e poi si clicchi su Inserisci e poi
Grafico. Il sistema ci guidera' con una chiara successione di
finestre nella scelta del tipo di rappresentazione piu'
significativo. Potremo cosi' produrre rapidamente e automaticamente
grafici di tutti i tipi, comprese le torte e le loro fette.
Per concludere, una precisazione rivolta a un collega che in una
simpatica lettera mi ha posto un quesito importante: il verbo
cliccare e' intransitivo e regge la preposizione "su".
Angelo Raffaele Meo
Politecnico di Torino
ODATA 10/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. LA CANNABIS
Una droga come un'altra
Creerebbe danni e crisi d'astinenza
OAUTORE GIACOBINI EZIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI DI CHIARA GAETANO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
L'ABUSO di derivati dalla Cannabis (hashish, marijuana) costituisce
uno dei problemi maggiori della tossicodipendenza nel mondo. In un
dieci per cento di chi ne fa uso sintomi clinici ed effetti
corrispondono perfettamente alla definizione di dipendenza da
sostanze d'abuso (eroina, cocaina, anfetamine, alcol, nicotina).
Una corta esposizione produce risposte emotive caratteristiche che
vanno da un piacevole senso di rilassamento a reazioni vere e
proprie di panico.
Un uso prolungato puo' portare a una letargia mentale ed a
mancanza di volonta' e del piacere di vivere (anedonia). Malgrado
non si possa descrivere una sindrome di astinenza cosi' drammatica
per la marijuana come per l'eroina, un'interruzione brusca scatena
un senso di nervosismo e tensione, agitazione motoria, disturbi del
sonno e talvolta grave ansia. Tale sindrome puo' essere riprodotta
negli animali di laboratorio, specie nei primati.
Negli animali possiamo far scattare una grave sindrome da
astinenza somministrando un principio attivo della
cannabis (cannabinoidi) e bloccarne contemporaneamente l'effetto
con una sostanza antagonista che agisca direttamente sui suoi
ricettori cerebrali. Per decine di anni legislatori e uomini
politici hanno discusso sul problema della legalizzazione della
marijuana ed alcuni come il nostro Pannella (che spero legga
quest'articolo) hanno considerato tale sostanza come una droga
relativamente benigna.
A difesa di questa imprudente ipotesi bisogna dire che finora i
dati sulla sua pericolosita' non erano ancora troppo chiari ma
talvolta contraddittori. Oggi le cose stanno cambiando
radicalmente, particolarmente dopo la comparsa contemporanea di due
studi nella rivista Science che dimostrano l'esistenza di una
straordinaria somiglianza tra gli effetti della marijuana sul
cervello e quelli prodotti da sostanze come la cocaina, l'eroina,
l'alcol e la nicotina. I due lavori provengono il primo dal famoso
Scripps Research Institute (California) e dall'Universita' di
Madrid e il secondo dall'Universita' di Cagliari. Nel primo studio
si dimostra che i sintomi dello stress emotivo prodotti dalla
astinenza da marijuana sono legati al medesimo fattore chimico
cerebrale, un peptide (parte di una proteina piu' grande) chiamato
fattore di rilasciamento delle corticotropine (abbreviato in
inglese Crf, corticotropin releasing factor). Si tratta della
medesima sostanza chimica identificata in precedenza nel caso
dell'astinenza da oppiacei e cocaina.
Nel secondo lavoro, Gaetano Di Chiara e colleghi riferiscono che
il composto attivo della marijuana, un cannabinoide chiamato
tetraidrocannabinolo (in inglese Thc) produce la medesima sequenza
di reazioni chimiche di quelle che rinforzano nel cervello la
dipendenza da droghe come la nicotina e l'eroina. Si tratta del
rilascio di un neurotrasmettitore, la dopamina, da parte di aree
particolari del cervello devolute alla produzione del senso di
benessere e di compenso psicologico (reward). Tali risultati posti
uno vicino all'altro portano a concludere che la marijuana riesca a
manipolare gli stessi meccanismi cerebrali legati sia ad una
sensazione piacevole che allo stress da astinenza prodotto da altre
droghe ritenute piu' pericolose.
Per Pannella possiamo riassumere il significato dell'esperienza
sperimentale e clinica in: "La marijuana agisce attraverso i
medesimi meccanismi d'azione, ha i medesimi effetti sul cervello e
costituisce un pericolo simile a quello delle altre droghe". Non
esistono che differenze quantitative. Si tratta di un messaggio
molto forte che dovrebbe far riflettere chiunque dubiti dei danni
potenziali del libero uso di tale droga. Si calcola che solo negli
Stati Uniti oltre 100.000 giovani si rivolgano agni anno alle
cliniche per ottenere aiuto e per cessare l'uso della marijuana.
I risultati farmacologici indicano una nuova possibile via di
trattamento dei sintomi da tossicodipendenza utilizzando farmaci
come gli antagonisti del Crf (strategia simile a quella del
naloxone per l'eroina, sostanza che blocca appunto il rilascio
della dopamina). L'astinenza non e' che uno dei problemi della
droga, forse piu' importante e' il meccanismo di compenso e
rinforzo psicologico prodotto dall'assunzione e del quale il
sistema Crf sembra essere parte integrale. Due parti del cervello
sono coinvolte in tale processo, l'amigdala ed il nucleo accumbens.
In quest'ultimo avviene il rilascio della dopamina come dimostrato
da Di Chiara iniettando direttamente il cannabinoide in tale zona.
Un secondo problema e' l'effetto della marijuana sul nucleo
accumbens che potrebbe servire da introduzione del paziente all'uso
di droghe "piu' forti" come l'eroina. Tale ipotesi deve esser
ancora confermata da dati clinici ma sembra molto verosimile
poiche' confortata da migliaia di casi.
Ezio Giacobini
ODATA 16/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE
I NUMERI DELL'IMMONDIZIA
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI ecologia, ambiente, rifiuti
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OTABELLE T. (dati nel testo)
OSUBJECTS ecology, environmental, waste
SCENA I (estate 1997, esterno giorno): una famigliola si gode il
classico picnic domenicale. Dopo il pranzo e la pennichella di rito,
e' l'ora del rientro in citta'. Nonostante il bagagliaio dell'auto
sia a pochi passi, sembra piu' comodo abbandonare sul prato i
rifiuti: torsoli di mela, tovagliolini di carta, bottiglie d'acqua e
di vino, lattine di birra, il giornale, mozziconi di sigaretta,
batterie usate della radio, borse e contenitori di plastica. Scena
II (stesso luogo, 100 anni dopo): un gruppo di scout sta ripulendo
il prato. A parte gli avanzi di cibo e la carta, trova esattamente
tutto cio' che la famiglia Rossi aveva abbandonato un secolo prima.
Scena III (stesso luogo, 500 anni dopo): un giovane laureando in
archeologia sta cercando reperti per la sua tesi. Senza fatica trova
numerosi reperti: una lattina di birra, 3 bottiglie di plastica,
diversi cocci di vetro. C'e' anche una scheda telefonica
perfettamente integra, mentre un furetto ha utilizzato una vaschetta
di polistirolo per coibentare la sua tana. In un anno ciascuno di
noi produce 350 chilogrammi di rifiuti, piu' o meno 1 chilo al
giorno. Ma non e' tanto una questione di peso, piuttosto di
ingombro. Una sola persona riesce a colmare di immondizia 160 vasche
da bagno l'anno. Se prendiamo in considerazione la tipica famiglia
media, quella dei signori Rossi, tutto va moltiplicato per quattro:
a parte l'immondizia abbandonata sul prato, in 12 mesi i Rossi
riuscirebbero ad accumulare una massa di pattume tale da riempire
fino al soffitto un alloggio di 100 metri quadri. Soggiorno e cucina
sarebbero colmi di rifiuti organici (il 43% del totale annuo), ma un
buon 22% (la stanza dei ragazzi) e' composto da carta e cartone
proveniente da imballaggi, quotidiani e riviste. Le materie
plastiche riempirebbero a mala pena il bagno (sono in media il 7%
della nostra quota annua di rifiuti), mentre lo sgabuzzino sarebbe
colmo di metalli (l'alluminio delle bibite e le latte per uso
alimentare) e la camera da letto dei genitori verrebbe occupata da
materiali vari come vetro, farmaci, stoffa, gomma, cavi e componenti
elettroniche. Ma torniamo sulla scena del delitto. Dopo un picnic
sono in molti ad abbandonare sul prato il cibo avanzato. Tanto e'
tutta roba biodegradabile, dicono. Vero, ma fino a un certo punto,
perche' alcuni cibi vengono lavorati dall'uomo con sostanze
artificiali che si biodegradano piu' lentamente. E poi provate a
pensare cosa accadrebbe di un prato molto frequentato durante la
domenica se tutti ci affidassimo alla biodegradabilita' di certi
rifiuti. Il lunedi' mattina sarebbe ridotto a una discarica a cielo
aperto. Che dire di tutti quei materiali praticamente eterni come
plastica, vetro, alluminio e polistirolo? Senza voler criminalizzare
nessuno, e' bene che tutti noi riflettiamo sulla gravita' di un
gesto apparentemente banale come gettare in terra una lattina o un
pezzo di carta anziche' depositarli nei cassonetti della raccolta
differenziata. Chi vuole approfondire il tema non ha che da
visitare la mostra interattiva «Experimenta 97», organizzata
dall'assessorato alla cultura della Regione Piemonte, aperta a
Torino da sabato scorso nel parco di Villa Gualino (viale Settimio
Severo 63, orario 16-24 da martedi' a venerdi', sabato 15-24,
domenica 10-20). Il tema della mostra, giunta quest'anno alla
dodicesima edizione, e' «Scienza e fantascienza». I viaggi nello
spazio, ma anche la vita quotidiana, comporteranno infatti, in un
futuro neanche troppo lontano, il riciclaggio integrale delle
risorse gia' utilizzate. Andrea Vico
ODATA 16/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. GLI INDISTRUTTIBILI RESTI DEL PICNIC
Rifiuti: di qui all'eternita'
Lattine, vetri, plastica, possono resistere nell'ambiente per secoli
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI ecologia, ambiente, rifiuti
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS ecology, environmental, waste
BOTTIGLIA DI VETRO: 4.000 ANNI (O FORSE PIU') IL vetro e' uno dei
materiali piu' antichi nella storia della civilta'. Non patisce il
caldo o il freddo, e' facile da pulire (dunque igienico),
inattaccabile alle intemperie, agli acidi o a funghi, batteri o
microrganismi. Un prodotto naturale (praticamente sabbia e soda
lavorate ad alta temperatura), quindi, da un certo punto di vista,
non lo si puo' considerare un inquinante. Non reca danno
all'ambiente, anzi, in un bosco si comporta come una roccia (le
radici degli alberi vi si aggrappano, gli insetti vi fanno la tana)
e nel mare serve come base per la costruzione di barriere coralline
o come fondamenta per la casa dei molluschi. E' tutt'al piu' un
problema di sicurezza: abbandonare un coccio di vetro all'aperto
significa creare pericolo per gli animali di passaggio. Oppure e' un
fatto estetico: chi andrebbe a fare un picnic su un prato invaso
dalle bottiglie? Il vetro e' talmente facile da riciclare (basta
fonderlo a temperature elevate, 1.300-1.500 gradi centigradi) che
gia' gli antichi romani usavano raccoglierlo per rilavorarlo. Nel
1990, nell'alto Adriatico, e' stato scoperto il relitto di una nave
romana del II o III secolo d.C. Nella stiva c'erano anche alcuni
contenitori colmi di vetro sminuzzato. Se si fosse trattato di casse
piene di bottiglie andate in frantumi durante il naufragio i cocci
avrebbero occupato meno della meta' del volume delle casse. Invece i
contenitori erano zeppi fino all'orlo, e il vetro era di molte
qualita' diverse. Dunque doveva essere materiale di scarto da
portare in qualche vetreria per farne nuovi recipienti. A seconda
delle nostre abitudini alimentari, il vetro che ognuno di noi butta
via varia dal 3 all'8% del totale annuo di immondizia personale.
Vale a dire da un minimo di 12 chilogrammi l'anno a un massimo di
28. Fortunatamente piu' della meta' viene recuperato. In Italia il
54% dei contenitori di vetro per uso alimentare (acqua, succhi di
frutta, marmellate, birra, vino e altri alcolici) sono riciclati. In
linea con la media europea (56,3%), ma ancora distanti dalla
Svizzera, prima in classifica con l'84% del vetro recuperato,
dall'Olanda (77%), dall'Austria (76%) e dalla Germania (75%).
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TORSOLO DI MELA: 3-6 MESI UN torsolo di mela, come buona parte dei
rifiuti vegetali (frutti e verdure), e' composto da cellulosa, acqua
e zuccheri, tutte sostanze perfettamente naturali e facilmente
riassorbibili dall'ambiente. Lasciato in un prato, il torsolo viene
aggredito dagli insetti e dai batteri che se lo mangiano con gran
voracita'. D'estate, complice il bel tempo, un frutto si biodegrada
in poche settimane (anche 15 giorni in un torrente di montagna,
grazie all'erosione della corrente); d'inverno ci vuole piu' tempo
perche' il gelo rallenta l'azione dei batteri.
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SIGARETTA SENZA FILTRO: 3 MESI IL mozzicone di sigaretta e' composto
da cellulosa e residui di tabacco bruciacchiato, sostante
perfettamente biodegradabili. Sull'asfalto puo' resistere anche un
anno, ma in un prato, l'azione combinata di luce, pioggia e
microrganismi lo dissolvono in meno di 3 mesi.
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SIGARETTA CON FILTRO: 2 ANNI LE sigarette col filtro impiegano minimo
un anno e mezzo a biodegradarsi. Il filtro e' infatti costituito da
acetato di cellulosa trattato con altre sostanze artificiali che
risultano poco appetibili ai batteri del terreno. Nei casi migliori
qualche insetto lo sminuzza per ricavarne materiale per la propria
tana.
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FIAMMIFERO: 6-10 MESI Il fiammifero da cucina e' fabbricato con
tenero legno di pioppo che, se cade su un terreno umido, si dissolve
in circa 5-6 mesi. Qualche mese in piu' occorre (e un torrente
facilita decisamente il processo), per il cerino, composto da uno
stelo di carta pressata inzuppato in una sostanza oleosa (paraffina
o stearina), meno biodegradabile del legno puro.
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GOMMA DA MASTICARE: 5 ANNI IL «succo» del chewing-gum (sostanze
aromatizzanti, coloranti e zucchero) viene assorbito dall'organismo
durante la masticazione. Quel che si butta e' il supporto, composto
da gomma e resine sintetiche. La gomma e' un prodotto della natura,
ma la sua miscela (ottima per la sua elasticita') e' assolutamente
indigesta a funghi e batteri. E' inoltre impermeabile: dunque anche
in acqua la sua biodegradabilita' non cambia. E' dannoso gettare in
un prato la gomma da masticare anche perche' uccelli e piccoli
mammiferi rischiano di strozzarsi. Circa il 40 per cento dei rifiuti
di una famiglia, ovvero una secchiata di pattume al giorno, e'
composto da materiale organico (avanzi e scarti di cibo) che, se
raccolti a parte, potrebbero diventare compost, cioe' ottimo
fertilizzante per i campi, gratuito e - soprattutto! - perfettamente
naturale.
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FAZZOLETTO DI CARTA: 3 MESI DEI 12 miliardi di fazzoletti di carta
che ogni anno vengono venduti in Italia una gran parte li ritroviamo
per terra, in strada, al parco, sulla spiaggia o in montagna.
Fortunatamente la carta e' facilmente biodegradabile (non rimane che
acqua e anidride carbonica) e, nel caso dei fazzolettini monouso,
questo processo viene accelerato dal fatto che, al momento di
disfarsene, sono umidi. L'acqua e' l'elemento determinante per il
dissolvimento della carta. Un torrente si mangia un fazzolettino in
pochi giorni, mentre lo stesso materiale sepolto in un terreno
asciutto puo' impiegare anche 6 mesi per biodegradarsi.
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QUOTIDIANI E RIVISTE: 4-12 MESI Un quotidiano e' fatto di carta,
cioe' di lignina, vale a dire una complessa catena di molecole dove
abbonda lo zucchero. Dopo l'azione di alcuni batteri, questa catena
si spezza in elementi base (carbonio, idrogeno e ossigeno),
immediatamente assorbibili dall'ambiente. L'inchiostro si diluisce
facilmente in acqua, ma e' inquinante. Ugualmente accade con le
riviste in carta patinata, che impiegano anche un anno prima di
dissolversi. Inoltre i batteri lavorano meglio se devono aggredire
una pagina alla volta: una pila di giornali legata stretta puo'
resistere all'aperto anche 10-12 anni. Ogni giorno noi italiani
buttiamo nella spazzatura 5 milioni di tonnellate di giornali,
riviste e imballaggi di cartone. Durante l'intero 1994, su tutto il
territorio nazionale sono state raccolte solo 200 mila tonnellate di
carta. Vale a dire 548 tonnellate di carta recuperate in un giorno a
fronte di 5 milioni di tonnellate sprecate. Non tutta questa carta
e' recuperabile. Ma se consideriamo che 150 chilogrammi di carta da
macero significano salvare un albero, ogni giorno, qualora noi
italiani avessimo una maggior educazione ambientale e fossimo meno
pigri, potremmo risparmiare la vita a 20 mila alberi. L'Italia e'
il regno dei controsensi e anche l'industria della carta ha il suo.
Nel 1995 le 170 cartiere italiane hanno importato da Francia e
Germania circa 800 mila tonnellate di carta da macero, che hanno
lavorato per rivendere come carta riciclata. Quasi la meta' di
questo materiale (350 mila tonnellate) e' frutto delle raccolte
differenziate che nell'Europa del Nord sono molto ben organizzate e
dove il riciclo fa parte della mentalita' dei cittadini. Se anche
noi imparassimo a raccogliere la carta, potremmo rifornire
autonomamente le nostre cartiere evitando che ogni anno 10-12 mila
camion arrivino in Italia sulle strade della Val di Susa e del
Trentino.
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LATTINA DI ALLUMINIO: 20-100 ANNI IN un anno in Italia si consumano 1
miliardo e 700 mila lattine di alluminio. Una trentina a testa.
Messe una dietro l'altra si arriverebbe a coprire piu' della meta'
della distanza che separa la Terra dalla Luna. Oppure, mettendole
una accanto all'altra, si coprirebbe una superficie pari a quella di
1.300 campi da calcio. L'alluminio e' un metallo prezioso, ormai
indispensabile: e' forse il metallo piu' diffuso come componente di
oggetti d'uso quotidiano. E' praticamente inalterabile (passa dal
caldo al freddo senza modificarsi), estremamente igienico (e' un
ottimo contenitore per alimenti), leggero, facilmente lavorabile.
Inoltre, l'ossido naturale che lo ricopre lo protegge dall'azione
del tempo, mantenendone invariato il peso e le caratteristiche
fisiche. Proprio per questo una lattina abbandonata durante una
passeggiata nel bosco puo' resistere decine di anni all'erosione
dell'aria e della pioggia. Una latta in banda stagnata (che sono
pero' usate raramente dall'industria alimentare e costituiscono meno
del 5 per cento del totale delle lattine) e' invece piu' veloce a
dissolversi: esposta alle intemperie, la ruggine se la mangia in
poco piu' di un anno. Per un chilo di allumino riciclato serve il 5%
di energia iniziale, nonche' esattamente 61 di lattine per bibita,
una rete di recupero del materiale e uno stabilimento di semplice
tecnologia situabile ovunque (dal processo di rilavorazione non
vengono emesse sostanze inquinanti). Nella fase di recupero ne va
perso un quantitativo minimo, il piu' basso, in percentuale,
rispetto a tutti gli altri materiali riciclabili. Ma quel che piu'
conta e' l'alta economicita' del processo: un chilogrammo di
alluminio riciclato fa risparmiare ben il 95% dell'energia
necessaria per ottenere la stessa quantita' di alluminio di prima
produzione. L'alluminio e' riciclabile all'infinito e per ogni ciclo
serve solo un ventesimo di alluminio fresco, nuovo, per mantenere
inalterata la quantita' e la qualita' del materiale ottenuto col
riciclo. Negli Usa, dove questo tipo di industria e' molto ben
organizzata, e' stato calcolato che la vita media di una lattina e'
di 2 settimane: se viene acquistata in un supermercato il primo
giorno del mese, dopo esser stata bevuta, buttata, recuperata, fusa
e nuovamente riempita, il giorno 15 dello stesso mese sara' gia' in
vendita sugli scaffali di un altro negozio.
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CARTA TELEFONICA: 1.000 ANNI NEL 1995, nella sola Lombardia sono
state vendute quasi 20 milioni di schede telefoniche. Una sopra
l'altra formerebbero una torre alta 6.500 metri. Carte telefoniche,
carte per il pedaggio autostradale o altre tessere magnetiche
usa-e-getta, tutte hanno dimensioni standard (86 millimetri in base,
54 in altezza) e sono generalmente costruite con una lamina di
polietilene spessa da un terzo a un quarto di millimetro, su cui
viene incollata una striscia magnetica (lo stesso materiale dei
nastri delle musicassette) che custodisce le informazioni del caso
(le telefonate fatte o i pedaggi di ciascun casello...). Queste
carte plastiche sono costruite in economia, dunque non c'e' modo di
riciclarle, l'unica via e' la discarica. Per questo e' importante
non abbandonarle in giro, ma utilizzare le apposite cassettine che
sono state montate accanto a quasi tutti i telefoni pubblici a
scheda. Le carte di credito o i bancomat sono una cosa differente:
sono piu' robuste (sono spesse mediamente 0,75 millimetri) e
comunque vengono sistematicamente ritirate, per questioni di
sicurezza e di tutela dei dati che la carta contiene.
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BOTTIGLIA DI PLASTICA: 100-1.000 ANNI APPENA 500 grammi al mese: e'
quanto ogni italiano consuma in plastica per contenitori di liquidi,
circa 6 chili l'anno. E' poco? Certo, detto cosi' non e' una gran
cifra, ma se pensiamo al volume che i recipienti di plastica
occupano le cose cambiano. Con 6 chilogrammi si fanno piu' di 150
bottiglie e se immaginassimo di aprire questi contenitori e unirli
uno dietro l'altro potremmo ritrovarci un tappeto largo 30
centimetri e lungo quasi 50 metri. Per la loro praticita' (sono
igienici, perfettamente stagni, inalterabili alle intemperie,
leggeri, economici...) i contenitori in Pet e Pvc costituiscono
l'80-90 per cento dei rifiuti plastici delle grandi citta'. Sono
quasi indistruttibili: l'acqua gli fa il solletico, l'aria gli fa
perdere un po' di elasticita', non esiste batterio o fungo in grado
di attaccarli. Bruciano con una certa facilita' (in fondo la
plastica e' petrolio) ma restano comunque gocce di materiale
nerastro e la combustione sviluppa la pericolosissima diossina.
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SACCHETTO DI PLASTICA: 100-1.000 ANNI FINO a 5-6 anni fa i sacchetti
di plastica erano fatti di Pet, come le bottiglie dell'acqua. Dunque
erano praticamente indistruttibili. Oggi vi sono sacchetti
parzialmente (e sottolineiamo parzialmente, checche' ne dicano
alcune pubblicita') biodegradabili perche' il Pet viene mescolato
con degli amidi, sostanze naturali che si sciolgono in acqua senza
troppi danni per l'ambiente. Recentemente sono state realizzate
pellicole plastiche fotosensibili, cioe' che si 'sciolgono' alla
luce intensa. Occorre comunque qualche mese e nel frattempo non e'
bello vedere un prato coperto di sacchetti vuoti. Inoltre questi
contenitori cosi' pratici per l'uomo sono pericolosissimi per gli
animali, specie gli erbivori, che possono mangiarli mentre sono al
pascolo rischiando cosi' di morire soffocati.
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
I NOMI DELLE PIANTE
In latino e corsivo
Da Aristotele a Linneo e oggi
OAUTORE VIETTI MARIO
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS botany
I nomi comuni o quelli dialettali con i quali si indicano molte
piante possono generare confusione e soprattutto variano da un Paese
all'altro e quindi non sono universalmente compresi. Per ovviare a
questo inconveniente i botanici hanno classificato ogni pianta con
un nome scientifico ben preciso, uguale in ogni parte del mondo.
Come lingua fu adottato il latino poiche' all'epoca delle prime
classificazioni veniva usato da tutti gli scienziati; ancora oggi,
nonostante non sia piu' in uso corrente, e' adottato in tutto il
mondo per denominare le forme viventi. Ai vocaboli in latino
classico ne sono stati aggiunti alcuni in latino «maccheronico» per
poter indicare tutte quelle piante che non possedevano un nome
all'epoca dei romani. In quel periodo infatti, e fino al Medioevo,
molte piante erano designate con una frase che ne descriveva le
peculiarita'. Ancora prima cinesi, egiziani e altri popoli
interessati allo studio delle essenze vegetali, le denominavano con
vocaboli riferiti al loro impiego pratico (in genere medicinale).
Fu Aristotele il primo a rendersi conto che dovevano esserci dei
legami tra alcuni tipi di piante e che quindi si sarebbe potuto
riordinarle in gruppi ben definiti. Si dovette pero' attendere fino
al '700 per avere un metodo scientifico di nomenclatura degli esseri
viventi. Il merito di questa intuizione spetta al naturalista
svedese Linneo (Carl von Linne', 1707-1778) che introdusse la
«nomenclatura binomia» («Species plantarum» 1753) in base alla quale
ogni specie e' designata con due vocaboli soltanto, e non con una
frase, il primo riferito al genere di appartenenza ed il secondo
alla specie. In questo modo non si potevano creare confusioni o
equivoci. Linneo, classificando circa 7300 specie vegetali in base
ai loro organi riproduttivi (numero di stami, ovari, ecc.), getto'
le basi per la tassonomia, ovvero la suddivisione del regno vegetale
in vari gruppi, ognuno comprendente organismi con caratteristiche
comuni. Tra il XVIII e il XIX secolo i botanici come B. de Jussieu e
A. P. de Candolle elaborarono e svilupparono questo metodo e
attraverso analisi meno empiriche, grazie anche al microscopio,
hanno potuto ordinare tutte le piante conosciute fino ad arrivare
nella seconda meta' di questo secolo alla stesura dell'International
code of botanical nomenclature. Con questo codice e' stata definita
la normativa che regola la nomenclatura delle piante: il nome di una
specie, accompagnato da una chiara descrizione, deve essere
pubblicato su una rivista qualificata e qualora la stessa specie sia
stata denominata da piu' botanici, vale il nome pubblicato per
primo. Sia il nome del genere che quelli della specie e della
varieta' devono essere scritti in corsivo (il primo con iniziale
maiuscola). Attualmente la nomenclatura ufficiale comprende circa
250.000 specie vegetali. Diverso e' il discorso per le piante
coltivate che in genere presentano, rispetto alle specie spontanee,
delle differenze morfologiche che vengono conservate solo con la
moltiplicazione vegetativa. Per questo motivo e' stato redatto un
codice apposito, l'International code of nomenclature for cultivated
plants (1980), che comprende anche le «cultivar» ossia gli esemplari
che presentano differenze, anche piccole, dalla specie di
appartenenza, e che sono stati ottenuti mediante selezioni e incroci
fatti artificialmente. Il loro nome e' scritto in carattere tondo
tra virgolette e segue il binomio genere-specie. Se non si riesce a
risalire alla specie, il nome della cultivar e' preceduto solo dal
genere di appartenenza (es. Prunus «Accolade»). Per gli ibridi,
incroci tra due specie dello stesso genere, si interpone tra il nome
del genere e quello della specie il segno X (Cytisus x beanii).
Abbiamo gia' parlato delle categorie in cui sono suddivise le
piante: il genere, che comprende piante affini, la specie, che
include piante simili che possono fecondarsi tra loro, e la
varieta'. Puo' essere interessante conoscere il significato dei nomi
dati a queste categorie. Per alcuni, tramandati da tempi lontani,
non e' facile, altri sono nomi di fantasia o piu' semplicemente il
nome popolare «latinizzato». Ma molte piante posseggono nomi che
hanno un certo senso; possono essere riferiti alla provenienza
(Parrotia persica, Cedrus libani), commemorativi in ricordo di un
personaggio famoso, dell'esploratore che scopri' la specie o del
botanico che l'ha individuata (Hosta sieboldiana da P. von Siebold,
Berberis darwinii da Darwin, Euonymus fortunei da Fortune), oppure
relativi a caratteristiche botaniche, anatomiche o altri attributi
(Liriodendron tulipifera con fiori a forma di tulipano, Ligustrum
ovalifolium, Osmanthus fragrans, Buxus sempervirens), all'uso o
all'ambiente in cui vive la specie. Puo' anche accadere che alcune
specie vengano riclassificate dai botanici, per cui per un certo
periodo sono indicate sia con il vecchio che con il nuovo nome. I
vivaisti poi attualmente adottano nomi moderni per le nuove cultivar
da loro selezionate; in questo caso il nome dovrebbe essere scritto
in tondo ma senza essere racchiuso tra virgolette. Mario Vietti
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
DIZIONARIETTO
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS botany
Acer dal latino «duro» ailanthus albero del cielo (latinizzato da
«ailanto» termine originario delle Molucche) albizzia dal nobile
fiorentino F. degli Albizzi angustifolia a foglia stretta, dal latino
angustus (stretto) aquifolium «a foglie pungenti» aristata dal latino
arista (resta della spiga) aspleniifolia da asplenio (felce), con
foglie simili a quelle della felce, molto suddivise aucuparia dal
latino aucupor = andare a caccia di uccelli (il sorbus aucuparia era
usato come esca nella caccia agli uccelli) avellana dalla citta' di
Avella (Italia meridionale) avium riferito al fatto che e' gradito
dagli uccelli baileyana dal botanico australiano F. M. Bailey biloba
a due lobi briotii dall'orticoltore francese P. Louis Briot buxus dal
latino classico per indicare la pianta di bosso caerulea dal latino
classico = azzurra camellia dal botanico George J. Kamel caprea
riferito al fatto che e' prediletta dalle capre carnea del colore
della carne chamaerops dal greco chamai (in terra) e rops (virgulto)
citriodora che profuma di limone, da citrus (limone) coccifera che
porta bacche rosse, dal latino coccineus (scarlatto) cordata a forma
di cuore (dal latino cor - cordis) davidii dal nome dell'abate
francese Armand David dealbata imbiancata (dal latino dealbo)
deltoides triangolare (dalla lettera greca delta) deodara dal termine
indiano deva-dara' (albero degli Dei) floribunda con abbondante
fioritura (dal latino floreo e abundo) gleditschia da J. G. Gleditsch
direttore del giardino botanico di Berlino griffithii dal botanico
inglese W. Griffith halepensis originario della provincia di Aleppo
(Halep - Siria) heterophylla dal greco heter (vario) e phyllum
(foglia) hillieri in onore del famoso vivaista inglese Hillier
inermis dal latino = inerme, indifeso (senza spine) kaki abbreviato
dal giapponese kaki-no-ki laciniatum dal latino = profondamente
diviso, sfrangiato lantana termine latino per indicare il Viburnum
liliiflora con fiori simili a quelli del giglio (dal latino lilium)
liquidambar dal latino liquidus (fluido) e dall'arabo ambar (ambra),
riferito alla sostanza che scaturisce da questa pianta lusitanica
originario del Portogallo (anticamente chiamato Lusitania) nana
gracilis dal latino nanus (nano) e gracilis (sottile, fragile),
indica una pianta minuta e graziosa nitida splendente, lucente (dal
latino nitidus) palustris predilige ambienti umidi (dal latino palus
= palude) pisifera che reca piselli (dal latino pisum e fero)
pittosporum dal greco pitta (pece) e sporus (seme), riferito allo
strato resinoso che ricopre i semi plicata piegata, dal latino plico
(piegare, avvolgere) pumila nana (dal latino classico pumilus)
rhododendron dal greco rhodon (rosa) e dendron (albero) rubens rosso
(dal latino rubens) saccharinum zuccherino (dal latino saccharum)
sasanqua dal giapponese sazanka serrata seghettata (serrare deriva
dalla sovrapposizione di serra = sega e ferrum = ferro) sinensis -
chinensis proveniente dalla Cina subhirtella leggermente ricoperta di
peli (da sub e hirtus) thunbergii dal botanico C. P. Thunberg,
allievo di Linneo tomentosa peloso, dal latino tomentum (peluria)
trichotomum diviso in tre parti (dal greco)
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
FARE UN ERBARIO
Conservare fiori, foglie, redici
OAUTORE M_V
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS botany
FARE un erbario non è difficile e può essere una buona idea per
rendere più utille e interessante le scampagnate estive. Oltre al
divertimento, l'erbario potrà avere anche una funzione didattica in
quanto sarà possibile osservare le differenze morfologiche e
strutturali tra le varie piante. Non avrà le pretese di un erbario
«scientifico», ma potrebbe diventare un documento duraturo (le
piante essiccate hanno il pregio di rimanere praticamente
inalterate, tanto che ancor oggi abbiamo erbari di diversi secoli fa
ben conservati), utile per analizzare le modifiche avvenute nel
corso degli anni in una particolare area geografica. Fin dall'inizio
della raccolta è importante porsi dei limiti tematici: scegliere
cioè un gruppo ristretto di vegetali che abbiano caratteristiche
comuni, botaniche e non (appartenenza alla stessa famiglia, un
particolare habitat, tipo di foglia...), altrimenti si rischia di
perdersi visto che in Italia sono presenti più di 5000 specie
vegetali. Successivamente si potrà sempre ampliare la collezione.
Poiché risalire alla specie non è sempre facile, conviene prelevare
contemporaneamente alcune parti significative della pianta che,
anche se non verranno inserite nell'erbario, sono indispensabili per
l'identificazione (la più importante è il fiore, ma anche frutti,
rami, corteccia, radici sono utili). Per le specie erbacee è tutto
più semplice perché si preleva la piantina completa di apparato
radicale, avendo cura di eliminare subito quanta più terra si
riesce. Conviene anche raccogliere più campioni della stessa specie
per avere disponibili più particolari anatomici e per poter
scegliere, dopo l'essiccazione, quello riuscito meglio. Per la
raccolta occorrono: una paletta o un robusto coltellino, forbici,
pinzette per le parti fragili, sacchetti di nylon e giornali umidi
per la conservazione provvisoria, etichette sulle quali indicare
luogo, periodo, habitat, diffusione e ogni altra indicazione utile
alla classificazione. Subito dopo la raccolta si asportano eventuali
ramificazioni laterali e parti poco significative o danneggiate e si
sistemano i reperti nei sacchetti o tra i fogli umidi di giornale
per evitare che prima di arrivare a casa si secchino eccessivamente.
I sacchetti non devono essere esposti al sole poiché la condensa che
si crea all'interno può instaurare processi di marcescenza. E'
necessario fare in modo che il campione sia contenuto per intero
sulla pagina dell'erbario, eventualmente piegando lo stelo su se
stesso oppure tagliando le parti poco importanti o ancora dividendo
la pianta e mettendo sullo stesso foglio la parte basale e quella
apicale. I campioni vengono posti tra alcuni fogli di carta
assorbente (in alternativa, per risparmiare, si possono usare vecchi
quotidiani) e impilati uno sopra l'altro; in questa fase si allargano
foglie e fiori e si da alla pianta la disposizione definitiva che
avrà nell'erbario. Per compensare differenze di spessore si possono
inserire, tra un foglio e l'altro, dei pezzetti di carta. La «pila»
verrà collocata sotto dei pesi in modo che la pressione sia uniforme
in tutti i punti; per la pressatura esistono anche appositi
essiccatoi che accelerano il processo. Le piante che seccando
tendono a rompersi (aghifoglie, eriche...), possono essere
pennellate con colla diluita in acqua. Durante l'essiccazione,
soprattutto nel primo periodo, occorre sostituire sovente i fogli
assorbenti; per evitare di rovinare le piantine si cambia prima il
foglio superiore, si rovescia e si cambia quello inferiore. Intanto
si controlla lo stato di disidratazione raggiunto. Il tempo di
essiccazione varia da pianta a pianta ma dipende anche dall'umidità
ambientale e dalla tecnica usata. L'essiccazione è completata
quando, sfiorando i vegetali, non si avverte più quel senso di
frescura che si ha invece in presenza di umidità. I formati
standard di un erbario sono 25x37,5 e 30x46 e lo spessore del foglio
è quello di un cartoncino (circa 200 g/mq). La composizione della
pagina deve risultare gradevole ed eventualmente comprendere bustine
con semi e frutti. Conviene fissare le piantine sulla pagina con
delle striscioline di carta incollate alle due estremità o pinzate
con uno spillo in modo che in futuro sia facile asportarle. Per
finire si completa ogni pagina con il nome della specie, il luogo e
la data della raccolta e ogni altra informazione utile. Se le
piantine sono perfettamente essiccate e conservate in ambiente
asciutto, non dovrebbero svilupparsi muffe. Per i parassiti della
carta è utile tenere nel freezer per qualche giorno le pagine con i
campioni chiuse in sacchetti di nylon; inoltre negli scatoloni dove
saranno riposti gli erbari si provvederà a mettere periodicamente un
po' di canfora, che ha una buona azione antiparassitaria. Mario
Vietti
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
GIOCHI DI FERRAGOSTO
I polimini di Golomb
Un universo straordinario in un foglio a quadretti
OAUTORE PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI giochi, matematica
ONOMI GOLOMB SOLOMON, CLARKE ARTHUR, ECK DAVID, HEIN PIET
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.
OSUBJECTS game, mathematics
UN semplice foglio a quadretti è il punto di partenza per scoprire
un universo straordinario, ricco di strutture originali e curiose,
dalle quali si può ricavare una serie di giochi divertenti. Un
foglio simile a quello che aveva davanti a sé Solomon W. Golomb, nel
1953 quando, giovane studente di Harvard, per superare la noia di
una lezione poco interessante, incominciò a tracciare una serie di
figure, seguendo le linee dei quadretti. Da bravo matematico, tentò
di classificarle, cercando di stabilire quante fosse possibile
costruirne con uno, due, tre, quattro, cinque o più quadretti,
secondo una regola molto semplice: i quadretti che le componevano
dovevano avere almeno un lato in comune e si dovevano considerare
equivalenti tutte quelle che si potevano sovrapporre con un
movimento qualsiasi. Golomb chiamò «polimini» le figure così
ottenute e in particolare chiamò monomino il quadretto base, duomino
l'unica figura che si può costruire con due quadretti, trimini
quelle costruite con tre quadretti, tetramini quelle con quattro
quadretti, pentamini con cinque e così via. Egli presentò
all'Harvard Mathematics Club il suo gioco, che divenne ben presto
molto popolare fra gli studenti. Fu poi Martin Gardner, il massimo
esperto di giochi matematici, a rilanciarlo in tutto il mondo
attraverso le pagine di «Scientific American». I dodici pentamini,
riportati in figura, sono alla base di alcuni fra i più bei giochi
matematici, talmente affascinanti da meritare un'ampia citazione in
uno dei racconti di Arthur C. Clarke, «Terra imperiale», dove i
pentamini sono uno dei giochi preferiti dagli abitanti di Titano, il
satellite di Saturno, colonizzato dall'uomo nel ventiduesimo secolo.
E' il gioco che viene regalato al figlio dell'imperatore della
Galassia per mettere alla prova le sue capacità. La sfida è quella
di costruire un rettangolo di 3x20 quadretti utilizzando i dodici
pentamini. Un'impresa difficile visto che - ricorda Clarke -
esistono soltanto due soluzioni su un milione di miliardi di
possibili combinazioni. Il lettore può costruirsi i dodici pentamini
con quadratini in legno o cartoncino (sono anche in vendita in tutti
i negozi di giochi) e provare poi a ricostruire i rettangoli 3x20,
4x15, 5x12 e 6x10 per i quali esistono migliaia di soluzioni
diverse. Riportiamo, come esempi, soltanto uno dei due diabolici
rettangoli 3x20 (l'altro lo lasciamo al lettore) e uno dei tanti
rettangoli 5x12. Per un approfondimento dell'argomento rimandiamo al
testo fondamentale di Golomb, «Polyminoes», nella nuova edizione
pubblicata recentemente dalla Princeton University Press. Una visita
al suo sito su Internet è sicuramente interessante:
http://commsci.usc.edu/faculty/golomb.html. Chi sceglie il gioco
virtuale lo può caricare gratuitamente (insieme a diversi altri
giochi) all'home page di Robert Eldridge:
http://www2.hunterlink.net.au/ddrge/games/games.html. E'
sorprendente l'ampio spazio che la rete dedica ai polimini, indice
della loro grande popolarità. Si veda, ad esempio, il lungo elenco
di indirizzi selezionati da Lei Iat Seng, studente dell'Università
di Hong Kong: http://home.ust.hk/philipl/omino/omino.html. Di
collegamento in collegamento siamo così arrivati alle pagine di
Guenter Albrecht - Buehler, l'artista dei polimini, che realizza
composizioni con tasselli in legno aventi la forma dei polimini:
http://pubweb.acns.nwu.edu/qbuehler/index.html. Vediamo altri due
possibili giochi sempre legati ai pentamini. Il primo consiste nella
ricerca dei rettangoli 5x13, costruiti con i dodici pentamini, ma
con un buco avente la forma di uno qualsiasi di questi. Riportiamo
una delle tante soluzioni possibili. Il secondo è stato suggerito
da R. M. Robinson, matematico dell'Università di Berkley. Si tratta
di una costruzione con i pentamini che ha battezzato il «problema
della triplicazione»: si può costruire un modello di ogni pentamino
tre volte più grande, usando nove dei pentamini di base. In questa
pagina è riportato l'ingrandimento del pentamino U. Un altro gioco
consiste nel ricoprire, con i dodici pentamini, una scacchiera 8x8.
Rimarranno naturalmente vuoti quattro quadratini in posizioni
diverse, raggruppati o separati. Una delle possibili disposizioni è
riportata in figura. Alla pagina web di David J. Eck si trova la
soluzione automatica al problema. E' sufficiente selezionare i
quattro quadretti della scacchiera che devono restare vuoti e un
programma in Java trova la giusta collocazione dei dodici pentamini.
L'indirizzo è il seguente: http://godel.hws.edu/java/pent1.html.
Sempre la scacchiera può servire per un gioco competitivo proposto
da Golomb. Si deve fabbricare una serie di pentamini, ognuno dei
quali combaci esattamente con i quadretti della scacchiera. A turno,
due giocatori scelgono poi un pentamino, collocandolo a piacere
sulla scacchiera. Perde il giocatore che non riesce più a collocare
un pezzo senza che vada a sovrapporsi agli altri. «Il gioco - dice
Golomb - ha un minimo di 5 mosse, un massimo di 12 e non può mai
finire alla pari». A questo punto il lettore curioso può allargare
la sua indagine tentando di ritrovare i diversi polimini e tenendo
presente che sono cinque i tetramini possibili, 12 i pentamini, come
abbiamo visto, 35 gli esamini, 108 gli eptamini, 369 gli ottomini,
1285 i polimini formati da nove quadretti, 4655 quelli con dieci,
17.073 quelli con undici, 63.600 quelli con dodici quadretti e così
via. Dietro questa successione numerica c'è una grande sfida
matematica: non si conosce ancora la legge che collega il numero dei
quadretti di partenza al numero dei polimini corrispondenti. Si
può anche passare ai polimini tridimensionali, in particolare ai
sette pezzi di figura, proposti da Piet Hein, esperto in giochi
danese, che li ha battezzati Cubo Soma. Con questi sette pezzi si
possono fare diverse composizioni la più semplice delle quali è un
cubo 3x3x3. Jay Jenicek propone, dal Texas, diverse pagine web di
configurazione possibili del cubo soma, all'indirizzo seguente:
http://lonestar.texas.net/jenicek/somacube/somacube.html. Per
allargare ancora le frontiere dei polimini si potrebbe passare agli
universi paralleli, dove al posto dei quadretti troviamo, come
elementi base di nuove figure, simili a quelle che abbiamo appena
visto, triangoli, equilateri, tetraedri o altri solidi e poligoni
che possono creare piacevoli strutture, ma temiamo che questa nuova
indagine impegnerebbe troppo il lettore in vacanza. Possiamo
rimandarla alla prossima estate. Federico Peiretti
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. I TRENT'ANNI DI SATURNO 5
Il piu' grande razzo mai costruito
Progettato dal tedesco Von Braun, padre delle V2.
Il primo lancio nel '67
OGENERE anniversario
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, storia della scienza
OORGANIZZAZIONI NASA, SATURNO 5
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.T. Tutti i lanci del Saturno 5 (cronologia da Apollo 4 a
Skylab 1)
OKIND anniversary
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, history of science
QUEL giorno, al Centro spaziale Kennedy di Cape Canaveral, se lo
ricordano ancora bene. Quando vennero scanditi i secondi finali del
conto alla rovescia, al momento del "lift-off", sotto la piattaforma
39-A fu come veder apparire un'eruzione vulcanica. Alle 7 di mattina
del 9 novembre 1967, tutta l'area della base spaziale si illumin≥ e
un tremendo boato fece vibrare il suolo e tutte le strutture vicine
come un terremoto.
Se lo ricordano bene soprattutto i tecnici della rete televisvia
americana Cbs, il cui tetto della cabina di ripresa, piazzato nella
tribuna stampa a 5 chilometri e mezzo di distanza, croll≥ mentre il
primo "Saturno 5", il razzo che doveva portare entro due anni uomini
sulla Luna, si infilava attraverso le nubi, 30 secondi dopo il
distacco da Terra. L'intensitα del rumore fu paragonata all'eruzione
del 1883 del vulcano Karakatoa, e l'onda di pressione generata dai 5
motori del primo stadio fu misurata a 1770 km di distanza dai
sismometri di un centro di geofisica nello Stato di New York.
Quella mattina di trent'anni fa iniziava ufficialmente la
"missione Luna", poichΘ quello era il vettore in grado di portare
in orbita terrestre un carico di 120 tonnellate (la capsula Apollo,
il modulo lunare e il terzo stadio del razzo), e un'astronave
(Apollo e modulo lunare) di 50 tonnellate verso la Luna. Quel
lancio, di una missione definita "Apollo 4" si svolse senza
equipaggio, e per la tecnologia dell'era spaziale fu un debutto
memorabile.
Il Saturno 5 era un capolavoro di Werner von Braun, ingegnere
missilistico tedesco, passato con gli americani dopo la sconfitta
nel secondo conflitto mondiale della Germania nazista, che aveva
sfruttato le sue genialitα per lanciare i missili-bomba V1 e V2
su Londra e altre cittα nemiche. Von Braun, quando alla Nasa, dal
1958, gli diedero carta bianca per costruire razzi a scopi civili,
infil≥ un successo dietro l'altro.
Il razzo che lanci≥ il primo satellite artificiale americano,
l'"Explorer 1", von Braun lo aveva battezzato "Jupiter" (Giove),
e siccome nel sistema solare il pianeta successivo Φ Saturno, von
Braun chiam≥ "Saturn" il successivo progetto per realizzare un
razzo lunare.
Il programma, avviato nel 1960, vide dieci lanci di razzi
"Saturno 1" che servirono per affinare le tecnologie di propulsione
dei vari stadi, e per collocare in orbita carichi di 10 tonnellate.
Fu poi sviluppato "Saturno 1-B", che invi≥ in orbita le prime
"Apollo" con e senza equipaggio. Tutti i lanci furono un successo.
Il Saturno 5 fece 13 lanci, tutti con successo, e fu poi
abbandonato nel 1973, dopo essere stato usato per inviare in
orbita il laboratorio "Skylab". Ilmotivo era che i costi di lancio
erano troppo alti, e del grande vettore andava perso tutto. In
quegli anni la filosofia dei vettori recuperabili, con lo space
shuttlein avvio di realizzazione, predominava. Oggi, visto quanto
costa un volo dello shuttle, in molti della Nasa si lamentano di
non aver salvato il vettore lunare, almeno per effettuare lanci
periodici, poichΘ con un solo vettore di questo tipo si collocano
in orbita carichi sei volte maggiori di quelli che oggi possono
portare in orbita i vettori pi∙ potenti di Russia, Stati Uniti,
Giappone ed Esa. Non a caso si progetta il riutilizzo del vettore
russo "Energhija" collaudato due volte con successo nel 1987 e
1988, per avere nuovamente a disposizione un razzo dalle capacitα
del mitico "Saturno 5" delle imprese lunari "Apollo".
Antonio Lo Campo
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MISSIONI SPAZIALI IN VIDEOCASSETTA
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Chi e' appassionato di astronautica e vuole rivedere molti dei
filmati piu' importanti e spettacolari degli ultimi cinque anni, non
ha che da procurarsi «L'ultima frontiera», quinta videocassetta
della serie «Storia della conquista dello spazio» curata da
Renato Cepparo. Il video (Cinehollywood, 48 minuti) e' un
aggiornamento dal 1991 al 1996 dei precedenti quattro volumi che,
partendo dai primi Sputnik, trattano tutta l'astronautica (pur con
qualche lacuna sulle missione lunari Apollo). In questo ultimo
video troviamo le missioni Tethered, la Mir, la riparazione del
telescopio spaziale «Hubble», le sonde Ulisse, Galileo e
Magellano, i satelliti Olympus, Soho, Ers, Sax e Meteosat.
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
A Ilja Prigogine
il Premio Calabria
OGENERE breve
OARGOMENTI chimica, premio
ONOMI PRIGOGINE ILJA
OORGANIZZAZIONI PREMIO CALABRIA
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS chemistry, prize
Il 15 dicembre Ilja Prigogine, gia' insignito del Nobel per la
chimica, ricevera' a Villa S. Giovanni il Premio Calabria.
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Bilancia inerziale
per astronauti
OGENERE breve
OARGOMENTI metrologia
ONOMI RIGHI BRUZZI LUCIANA
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS metrology
Una semplice bilancia inerziale che potrebbe servire per misurare
il peso degli astronauti in orbita e' stata progettata da Luciana
Righi Bruzzi, che l'ha descritta in "Atti e memorie" dell'Accademia
nazionale di scienze e arti di Modena.
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Dieci Nobel
a Milano
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)
OKIND short article
OSUBJECTS research
Da domani a sabato 6 dicembre si svolge al Centro Congressi Cariplo
di Milano l'incontro "Dieci Nobel per il futuro". Intervengono, tra
gli altri, Renato Dulbecco, Jack Steinberger, Harold Kroto, Rita
Levi Montalcini, Sheldon Glashow, Mario Molina, Joseph Murray,
Douglass North. In discussione scienza, economia ed etica del
prossimo secolo. Per altre informazioni: 02-7200.2297.
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Il governo nomina la commissione per individuare chi non ha diritto
agli aiuti
"Facciamo lo sciopero del latte"
Minaccia dei Cobas, ieri nuovi blocchi sulle strade
OLUOGHI ITALIA
ROMA. Uno "sciopero del latte": e' la mossa che minacciano i Cobas
del latte che protestano per la restituzione totale delle multe.
"Stiamo verificando la possibilita' di trattenerne quanto piu'
possibile nelle aziende e di non immetterlo sul mercato", ha detto
il leader dei Comitati spontanei dei produttori, Giovanni Robusti.
La rivolta non si placa: un gruppo di allevatori ha rovesciato
latte sulla Via Emilia, mentre in provincia di Mantova e' stato
fermato per lo stesso motivo l'Eurocity Verona-Bologna. E la
statale Aurelia, a pochi chilometri da Roma, e' stata invasa da 60
trattori. Sul fronte politico, intanto, e' arrivato il doppio "no"
del ministro delle Politiche Agricole Pinto: "no" alla modifica
delle somme delle multe per le quote che saranno restituite agli
allevatori dal decreto e "no" a incontri con i Cobas, "perche' non
ce n'e' bisogno".Beccaria A PAG. 2
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Fisica, laser che surgela
Permettera' di fare orologi atomici piu' precisi
OAUTORE INGUSCIO MASSIMO
OARGOMENTI fisica, ricerca scientifica, premio, vincitore
OPERSONE CHU STEVEN, COHEN TANNOUDJI CLAUDE, PHILLIPS WILLIAM
ONOMI CHU STEVEN, COHEN TANNOUDJI CLAUDE, PHILLIPS WILLIAM
OORGANIZZAZIONI PREMIO NOBEL PER LA FISICA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics, research, prize, winner
ALLE temperature di qualche decina di gradi centigradi, tipiche del
nostro ambiente di vita, gli atomi e le molecole dell'aria sono in
continuo tumultuoso movimento a velocita' di alcune migliaia di
chilometri l'ora. Al diminuire della temperatura gli atomi
rallentano e una delle sfide della fisica di questo secolo e' stata
quella di portarli a temperature vicine allo zero assoluto (- 273
oC), dove dovrebbero quasi fermarsi. La misura delle transizioni
tra i diversi livelli di energia interna di un atomo lento puo'
essere molto piu' precisa e piu' precisi possono essere gli orologi
atomici che su essa si basano per controllare la rotta degli aerei
o sincronizzare il moto dei satelliti. Con atomi quasi fermi
sarebbe possibile fare orologi tanto precisi da sbagliare di meno
di un secondo ogni cento milioni di anni.
Il raggiungimento di temperature bassissime e' complicato anche
dal fatto che gli esperimenti devono essere fatti sotto alto vuoto
per evitare la condensazione in liquidi o la formazione di solidi.
Le ricerche che quest'anno sono state premiate con il Nobel per la
fisica, assegnato a Steven Chu, Claude Cohen-Tannoudji e William
Phillips, riguardano proprio una successione di scoperte che,
mediante l'invio sugli atomi di opportuni fasci laser, hanno
consentito di portare un gas a temperature che si discostano dallo
zero assoluto solo di qualche centinaio di miliardesimi di grado.
L'idea base e' nel meccanismo di assorbimento e di emissione di
luce da parte degli atomi. Un'onda luminosa puo' essere descritta
come un fascio di fotoni che trasportano ognuno una energia
proporzionale alla frequenza della luce che aumenta andando dal
rosso al blu. A loro volta gli elettroni che costituiscono gli
atomi possono avere solo stati definiti di energia e possono
passare da uno di questi stati all'altro solo compensando la
perdita o l'acquisto di energia mediante l'emissione o
l'assorbimento di un fotone che sia alla frequenza di risonanza. Ma
il processo puo' essere visto anche come quello di un urto tra due
palline per cui la quantita' di moto persa dall'una viene
acquistata dall'altra: quando un atomo in movimento viene urtato da
un fotone che si muove in direzione contraria viene rallentato, un
po' come la palla da biliardo che venisse colpita da un minuscolo
boccino.
Attenzione, pero': per un atomo in movimento la frequenza di
risonanza cambia a causa di quello stesso effetto Doppler che ci fa
sentire il fischio di un treno in corsa verso di noi piu' acuto di
quando e' fermo o si sta allontanando. Se l'atomo si muove contro
il fascio di luce, ogni fotone deve avere una frequenza piu' bassa
per essere assorbito e frenarlo, sia pur di poco. Dopo ogni
assorbimento l'atomo torna rapidamente allo stato di partenza per
cui puo' di nuovo assorbire ed essere ulteriormente frenato.
Bombardati da fotoni provenienti da varie direzioni, gli atomi,
comunque si muovano, trovano una resistenza simile a quella che
frena una pallina in un mezzo viscoso. Con queste melasse ottiche
per atomi si sono raggiunte temperature di circa un milionesimo di
grado dallo zero assoluto, cioe' ben piu' basse del previsto.
Il risultato inatteso e' legato al fatto che i fasci di luce
polarizzata, intersecandosi, disegnano nel vuoto una successione di
colline e di valli che gli atomi gia' freddi muovendosi devono
risalire senza sosta, un po' come il mitico masso di Sisifo,
perdendo energia e raffreddandosi ulteriormente sino a muoversi di
pochi centimetri in un secondo.
Sembrava impossibile far di meglio a causa della velocita' di
rinculo che comunque l'atomo acquista nel rimettere i fotoni dopo
l'assorbimento, un po' come un cannone che spari un colpo. Eppure
anche questa difficolta' e' stata superata trasferendo gli atomi
freddi in una situazione in cui non dovessero piu' assorbire e
quindi riemettere fotoni.
Questo stato speciale, nero perche' un atomo che non emette non si
vede, e' detto "di Gozzini" dal nome del fisico atomico, prima
allievo e poi professore della Scuola Normale di Pisa, che con il
suo gruppo lo scopri' piu' di vent'anni fa. Utilizzando la ricetta
italiana per eliminare il rinculo sono stati prodotti atomi che in
un lungo secondo si spostano solo di un centimetro!
La ricerca italiana nel campo del raffreddamento laser occupa un
ruolo di primo piano nello scenario internazionale ed e'
adeguatamente sostenuta con lungimiranza sia dal Cnr che
dall'Istituto nazionale di fisica della materia. La sfida piu'
affascinante e' ora quella di portare gli atomi superfreddi in un
nuovo stato della materia, il condensato di Bose-Einstein, per cui
e' in atto una fattiva collaborazione nazionale che coinvolge sedi
diverse a Firenze, Milano, Pisa e Trento e che ha il suo
fulcro sperimentale ad Arcetri, nel Laboratorio Europeo di
Spettroscopia Nonlineare.
Lo scenario che si apre a ridosso del Duemila riporta la fisica
atomica a fungere da stimolo per la riunificazione di un sapere a
volte frammentato in discipline diverse e a giocare un ruolo
centrale simile a quello che all'inizio del secolo porto' alla
rivoluzione della meccanica quantistica.
Massimo Inguscio
Universita' di Firenze
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Il futuro
su "Newton"
OGENERE breve
OARGOMENTI fisica, didattica
ONOMI RIVIECCIO GIORGIO
OORGANIZZAZIONI NEWTON
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS physics, didactics
Il numero di gennaio del nuovo mensile di divulgazione scientifica
"Newton" - che sara' in edicola a partire dal 10 dicembre -
regalera' ai suoi lettori un fascicolo speciale contenente una
serie di servizi che descrivono quale potra' essere il nostro
futuro grazie alle nuove tecnologie in fase di sviluppo nei
laboratori di ricerca di tutto il mondo. "Newton", sotto la
direzione di Giorgio Rivieccio, rappresenta, in Italia, il primo
tentativo di rivista divulgativa che intenda conciliare il rigore
dell'informazione con una grafica e un apparato illustrativo molto
spettacolari. Per questo aspetto, "Newton" e' la versione italiana
e "italianizzata" di una analoga rivista giapponese.
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
OMINAZIONE
In piedi per socializzare
La testa grossa ci rese bipedi
OAUTORE SALZA ALBERTO
OARGOMENTI antropologia e etnologia, paleontologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Postura dell'uomo; D. Postura di una scimmia antropomorfa ; D:
Diversi tipi di locomozione nei primati
OSUBJECTS anthropology and ethnology, paleontology
IL mio maggior risultato antropologico lo ottenni nella desolazione
del Loriu, un altopiano presso il lago Turkana, in Kenya. C'era una
carestia feroce. Le nostre marce alla ricerca di fossili e graffiti
erano vane e, debbo dirlo, prive di senso. Alla fine del giorno
neppure gli allegri asinai osavano ridere. Poi, una sera, si
sedettero accanto ai basti, davanti a un fuoco su cui non avevamo
nulla da cuocere, e mi dissero: "Alberto, storie". Da allora passai
le serate a narrare le favole dell'evoluzione umana, che ebbe
inizio proprio da queste parti. Una delle favorite era: La Stazione
Eretta. Ai Turkana, feroci combattenti, piaceva tanto perche'
battevamo le scimmie e tutto il mondo animale. Come sussidio
didattico prendevo uno stecco di acacia e avvolgevo un sasso in
abbondante sterco d'asino (l'unica cosa che non mancasse). Se
volete, potete fare l'esperimento con un grissino e una piccola
mozzarella.
"Perche' hai la testa grossa?", chiedevo a uno dei Turkana
suscitando l'ilarita' di tutti gli altri. Posato lo stecco su due
pietre, piantavo il sasso-sterco a un'estremita', incrementando
quest'ultima materia (i Turkana adorano la scatologia) fino a che
lo stecco si spezzava con un rumore secco. Poi prendevo un altro
stecco, e lo piantavo ritto nel terreno, con il sasso in cima.
Cosi' riuscivo a realizzare una immane palla di cacca d'asino,
senza rompere lo stecco. "Vedete", concludevo, "stando ritti in
piedi su due gambe gli ominidi poterono avere una testa grossa, in
cui contenere un cervello di grandi dimensioni. Ed essere
intelligenti". Guardandomi all'opera, i Turkana ne dubitavano:
divenni noto come Testa di Sterco.
In effetti, le cose andarono piu' o meno come nella favola. Il
problema evolutivo sotteso e': come mai, con quale vantaggio,
l'anatomia dei primati originari avrebbe dovuto subire un
cambiamento cosi' radicale e unico, in modo da passare dalla
quadrupedia al bipedismo. Cosa ha a che fare la deambulazione,
quale che sia, con la capacita' di controllare l'ambiente, con
l'intelligenza? Da un punto di vista meramente fisico e' vero che
una trave orizzontale appoggiata (quadrupede) ha dei limiti
strutturali rispetto al peso che puo' sopportare appeso a
un'estremita': le dimensioni della spina dorsale e dei muscoli, di
schiena e collo, impedirebbero all'animale di muoversi agilmente.
La postura inclinata (clinograda), con le lunghe braccia che
supportano il peso del corpo (camminata sulle nocche), tipica di
scimpanze' e gorilla, e' gia' un progresso. Ma solo una perfetta
posizione eretta del corpo consente un ipotetico sviluppo
illimitato del cranio. Resta da capire come mai divenne necessaria
una grossa testa: non sempre l'intelligenza e' un carattere
vincente, in Natura come tra gli uomini.
I primati, al cui ordine appartiene anche Homo sapiens (noi), sono
animali sociali. Questo significa che, a un certo momento della
loro evoluzione, e' stato vantaggioso sopravvivere con gli altri
piuttosto che da soli. Le scimmie hanno comportamenti sociali molto
raffinati, in quanto variabili e non automatici: siamo diversi
dalle formiche e dalle api. Le relazioni sociali sono sistemi
complessi adattivi ad alta sensibilita' alle condizioni iniziali.
Il che implica che piccole differenze all'inizio del fenomeno
comportamentale (un gesto, una posizione del corpo, uno sguardo)
possono avere sviluppi imprevedibili. Occorre pertanto, a questa
tipologia di esseri sociali non deterministici, una grande
flessibilita' e un'elevata capacita' di risposte modificatorie
delle singole situazioni. Occorre l'intelligenza, insomma.
Questa "socialita' intelligente" viene fatta risalire a 40 milioni
di anni fa, al momento della divergenza evolutiva tra proscimmie e
scimmie. Il parametro che consente tale calibrazione temporale e'
una strana peculiarita' dell'intelligenza: la capacita' di
ingannare gli altri. I lemuri, che sono proscimmie, vivono in
gruppi sociali, ma non si fregano l'un l'altro. Tra le altre
scimmie, invece, gli etologi hanno potuto osservare come spesso si
utilizzi il sotterfugio per risolvere il contrasto sociale. Un
esempio: se una babbuina ha una cotta per un maschio giovane che
non sia il maschio alfa (unico deputato al rapporto sessuale con
lei), lo fara' accucciare dietro un masso. Lei, ben visibile dai
maschi alfa, fara' finta di guardarsi attorno con fare
indifferente, ma intanto si occupera' del giovinotto invisibile con
un'intensa attivita' di grooming, la spulciatura del pelo che e' la
massima espressione di socialita' tra le scimmie.
A quanto pare, dunque, 40 milioni di anni fa la forestazione
dovuta a un periodo umido (in particolar modo in Africa) creo'
problemi ai primati quadrupedi di ambiente semiarido (come alcune
specie di lemuri del Madagascar). Forse per necessita' di
competizione con ordini rivali, o per un migliore sfruttamento di
nicchie trofiche in formazione, le scimmie vennero avviate a una
forte socialita' intelligente. Di conseguenza divenne loro
necessaria una testa piu' grande, per poter accogliere una maggior
massa di neocorteccia, la struttura cerebrale preposta al decision
making e al comportamento non stereotipo, come l'inganno. E un
grosso cranio pesante mal si addice a un animale che si muova su
quattro zampe.
Non a caso, e' divenuto di attualita' un fossile africano
risalente a una ventina di milioni di anni fa. Si tratta di
Morotopi thecus bishopi, un primate avvezzo a vivere nelle foreste
pluviali dell'Uganda. I suoi resti erano noti dagli Anni 60, ma
solo un paio di anni fa un'equipe americano-ugandese, guidata dal
noto antropologo di Harvard David Pilbeam, ha potuto trovare nuove
parti fossili e farne una descrizione completa. Pesante una
cinquantina di chili su un corpo di oltre un metro e venti
(dimensioni ben superiori a quelle dei piu' antichi ominidi di 4
milioni di anni fa, Australopithecus anamensis e afarensis, anche
se per il primo i dati sono ancora discordanti), Morotopithecus
presenta una serie di caratteri a mosaico per quel che riguarda la
locomozione. La vertebra lombare e' simile a quella di una scimmia
brachiatrice (che si muova, cioe', appesa ai rami per le lunghe
braccia, come il gibbone). Il fondoschiena era corto come nelle
scimmie antropomorfe di oggi (scimpanze', gorilla e orango) e
nell'uomo. La forma del palato, invece, e' analoga a quella delle
scimmie piu' antiche. Il collo del femore e' robusto, come se
dovesse sostenere un certo peso, al contrario di quel che succede
per i brachiatori, mentre la spalla d'acrobata e' simile a quella
del bonobo, il piu' moderno degli ominoidi (detto anche scimpanze'
pigmeo). Questo set di fossili ricorda l'europeo Oreopithecus, in
cui la forma del bacino e alcune delle ossa delle gambe
suggeriscono il bipedismo. Il quadro e' ancora incerto: e'
possibile che l'espansione della foresta abbia indotto a una
deambulazione di arrampicata, con il passaggio da quadrupede a
quadrumane. E' pero' anche evidente la possibilita' di utilizzare
le nicchie di quota spostandosi solamente appesi ai rami. Questa
postura sembrerebbe un buon preadattamento alla stazione eretta, in
quanto porterebbe il cranio direttamente al di sopra del
baricentro. Questo, pero', al contrario di quel che succede ai
bipedi, e' sempre al di sotto del punto di appoggio: un brachiatore
non perde mai l'equilibrio, al massimo la presa. Nella
brachiazione, le zampe posteriori possono distendersi come appese
al bacino, rivoluzionandone l'anatomia.
Alberto Salza
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TECNOLOGIE DOMESTICHE
La Tv? Viene dal cielo
La parabola, un arredo per il salotto
OGENERE copertina
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI tecnologia, elettronica, televisione, informatica
OORGANIZZAZIONI SES, TELECOM, EUTELSAT
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.
OKIND features
OSUBJECTS technology, electronics, television, computer science
CON un balzo del 34 per cento in 12 mesi, l'Italia vive un boom
della Tv via satellite. Nel 1996 avevamo 700 mila antenne
paraboliche. Secondo i dati presentati a fine ottobre dall'Istituto
Demoskopea durante il quarto ComisatExpo (il salone delle
telecomunicazioni via satellite che si svolge a Vicenza) oggi
sarebbero 950 mila (su 25 milioni di televisori) le abitazioni in
grado di ricevere le trasmissioni satellitari. Considerando che
l'indagine e' stata condotta dall'aprile al luglio di quest'anno,
e' facile prevedere che per Natale le "padelle" italiane puntate
verso il cielo toccheranno quota 1 milione. Siamo ancora lontani
dai quasi 11 milioni di antenne paraboliche (su 47-48 milioni di
televisori) della Germania o dai 5 milioni (su 26,5 milioni di
televisori) della Gran Bretagna. Ma, come e' accaduto per i
telefonini, stiamo rapidamente allineandoci sulla media dell'Europa
occidentale, dove esistono circa 21 milioni di impianti satellitari
su oltre 200 milioni di televisori. Ormai un kit-base per ricevere
il satellite costa meno di 500 mila lire e i canali ricevibili in
Italia sono piu' di 180.
Ecco qualche domanda per appurare se siete concretamente
interessati alla Tv da satellite. Amate i documentari scientifici e
volete vederne uno nuovo ogni sera? Desiderate ascoltare notiziari
24 ore su 24? Studiate una lingua straniera e volete esercitare
l'orecchio? Intendete fare indigestione di sport mattina,
pomeriggio e sera? Siete stufi di una Tv generalista infarcita di
pubblicita' e sponsorizzazioni? Vi ripugna uscire per andare al
cinema? Siete stanchi di pagare il canone a una Rai che lo spreca
in trasmissioni di basso livello culturale? Se avete risposto
affermativamente almeno 3 volte, allora siete pronti per acquistare
un'antenna parabolica e ricevere la tv via satellite.
Oggi i satelliti per telecomunicazioni che trasmettono Tv sono una
trentina o poco piu'. Quando la parabola a terra che capta il
segnale del satellite e' collegata a un solo utente si parla di
trasmissione Dth (Direct to home, direttamente a casa).
I cieli d'Europa sono illuminati da due poli (cioe' da due gruppi)
di satelliti appartenenti ai carrier Astra e Eutelsat (carrier e'
chi lancia e gestisce i satelliti per telecomunicazioni). Il fatto
di concentrare tutti i satelliti dello stesso carrier nella
medesima posizione orbitale (19,2o Est per Astra e 13o Est per
Eutelsat) favorisce gli utenti: l'antenna e' puntata nella
stessa direzione indipendentemente dal satellite che si vuole
captare. Cosi' in Europa, basta una parabola che capti segnali
provenienti da due sole direzioni (nemmeno troppo distanti fra
loro) per accedere a qualsiasi trasmissione da satellite.
La flotta dei 7 satelliti Astra fa capo alla Ses (Societe' euro
peenne des satellites), un consorzio privato con sede in
Lussemburgo, e ha, come principale mercato di riferimento, l'Europa
centrale del Nord (in Germania Astra e' molto forte). Gia' Firenze
e Roma sono ai margini dell'area di copertura dei suoi satelliti e
piu' a Sud e' indispensabile la padella da 120-150 centimetri.
Eutelsat (European telecom municationis satellite organi zation)
e' nata nel 1977 da una costola dell'Esa ed e' una cooperativa di
societa' nazionali pubbliche e private, nominate firmatarie
esclusive dai rispettivi governi. Oggi i soci membri sono 45 e
l'Italia e' rappresentata da Telecom, terzo azionista con il 12,7%
delle quote. Inizialmente piu' attenta alla ricerca che al mercato
commerciale della Tv, Eutelsat sta velocemente riguadagnando
terreno e dispone oggi di 8 satelliti, mediamente piu' recenti e
piu' potenti di quelli di Astra. Entro il 2001 ne verranno lanciati
altri 8, tutti avanzatissimi e in grado di trasmettere in digitale.
In questo modo potra' presto portare sul satellite anche una parte
del traffico di Internet che ora intasa le reti terrestri.
Le prime trasmissioni via satellite costavano molta fatica. Per
vedere una partita di calcio dei mondiali si monopolizzava quasi un
intero satellite. Questo perche' il segnale analogico e'
estremamente ingombrante e perche' la potenza ridotta delle
apparecchiature di terra, cosi' come del trasponder (il ripetitore)
montato sul satellite, consentiva prestazioni limitate. Il segnale
digitale migliora considerevolmente la qualita' delle trasmissioni
pur occupando, a livello di frequenze, un decimo dello spazio
necessario a un'identica trasmissione analogica. Potendo contare su
frequenze meno intasate, il Dvb (Digital vi deo broadcasting)
permette di moltiplicare per dieci le capacita' di un singolo
satellite: quelli dell'ultima generazione, infatti (come Hot Bird
3, lanciato da Eutelsat lo scorso settembre; in primavera sara'
seguito dal fratello Hot Bird 4) ospitano anche 20 trasponder.
Inoltre hanno una potenza di 5500 watt (il diametro delle
parabole potra' scendere a 40 centimetri) e sono in grado di
modellare la propria copertura. Possono cioe' concentrare il
segnale su alcune zone, commercialmente piu' appetibili
(trasmissione in superbeam, parabola inferiore ai 60 centimetri) e
"tagliar fuori" le aree disabitate per evitare di sprecare il
segnale.
Andrea Vico
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ALLE RADICI DELLA RADIO
Le onde di Hertz
Una scoperta che cambio' il mondo
OAUTORE BO GIANCARLO
OARGOMENTI storia della scienza, comunicazioni, radio
ONOMI HERTZ HEINRICH RUDOLF, MAXWELL JAMES CLERK
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.
OSUBJECTS history of science, communication, radio
SIAMO continuamente circondati e trafitti da hertz. Dai 50 hertz
della corrente alternata di casa alle migliaia e milioni di hertz
delle onde radio, della televisione, dei calcolatori. Il nome di
Hertz, infatti, e' stato attribuito all'unita' di misura per la
frequenza d'una corrente alternata: indica cioe' quante volte al
secondo la corrente che passa compie un'oscillazione completa.
Anche per le onde radio si parla di "onde hertziane". Vediamo
perche'.
Ricordiamo innanzi tutto che Heinrich Rudolf Hertz per primo
fabbrico' le onde che portano il suo nome, peraltro gia' previste
teoricamente dal fisico Maxwell. Hertz fece cosi' una grande
scoperta, ma penso' che non servisse a nulla e si perse gli
sviluppi, morendo a soli trentasette anni, il giorno di Capodanno
del 1894.
C'erano gia' degli studi (per esempio dell'americano Thomson e
dell'irlandese Fitzgerald) che mostravano come le azioni elettriche
si propaghino anche fuori dai fili, nello spazio, nell'aria ma
anche nel vuoto.
Faraday, lo scopritore dell'induzione elettromagnetica, suppose
che dai circuiti sede di elettricita' e magnetismo partissero come
delle linee di forza, come raggi invisibili, che investissero altri
corpi.
Ma fu il gentiluomo scozzese James Clerk Maxwell, tra bei cani e
lunghe cavalcate, a consegnare alla scienza un pacco di equazioni
che spiegano il funzionamento delle azioni elettriche e magnetiche
che si trasmettono nello spazio da un corpo all'altro.
Con il supporto della matematica si era gia' arrivati ad un buon
punto, ma la questione non era liquidata perche' Max well era un
fisico teorico e non fece prove pratiche, non tento' esperimenti a
dimostrazione delle sue teorie.
Questo compito tocco' al nostro Hertz - a 28 anni gia' professore
di fisica al Politecnico di Karlsruhe - su suggerimento di
Helmholtz. Come spesso succede fu un colpo di genio e di
semplicita'.
La corrente a 50 Hz produce onde elettromagnetiche di lunghezza
enorme: difatti dividendo la velocita' dell'onda (300 milioni di
metri al secondo) per la frequenza, 50 Hz, si ottiene sei milioni
di metri, cioe' seimila km. Adatta per uno smisurato gigante che
faccia prove nello spazio ma assolutamente scomoda per esperimenti
umani di laboratorio. Hertz invento' prima il modo di produrre onde
piu' corte, e quindi frequenze piu' alte. Poi realizzo' un
apparecchio ricevente. Quando schizzo' scintille l'apparecchio
trasmittente, nel buio del laboratorio di fisica di Karlsruhe,
scintillo' anche l'apparecchio ricevente: onde invisibili avevano
attraversato la sala gettando le basi per le trasmissioni.
Misuro' anche con precisione la velocita' delle onde, trovandola
uguale a quella della luce. Riusci' a piegarle e a rifletterle,
come fanno le lenti e gli specchi coi raggi luminosi. Scopri' che
sono riflesse dai buoni conduttori di elettricita' e che invece
attraversano facilmente i corpi non conduttori. Per questo
riceviamo i programmi radio restandocene tranquillamente dentro la
nostra casa.
Giancarlo Bo
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA
Le strategie evolutive
Su due zampe per sopravvivere nelle savane
OAUTORE A_SAL
OARGOMENTI antropologia e etnologia, paleontologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS anthropology and ethnology, paleontology
PERSONALMENTE riteniamo che bipedia e quadrumanismo siano
evoluzioni parallele e non che la prima derivi dalla seconda. Lo
scenario che proponiamo e' quello (almeno in Africa, dove svolgiamo
i nostri studi) di un ambiente semiarido di 40 milioni di anni fa
che diviene rapidamente forestato.
A quel punto le strategie evolutive sono due: muoversi a quattro
mani sugli alberi o utilizzare le nicchie a terra, tipiche dei
quadrupedi. Lo strato di foresta a terra, pero', e' particolarmente
favorevole per gli onnivori, mentre in quota si sviluppano
comportamenti alimentari di frugivori e foglivori. In compenso, un
quadrupede terricolo puo' essere a disagio nella foresta, il cui
primo strato si sviluppa per 2-3 metri in altezza.
Questa parrebbe la nicchia perfetta per un bipede, in grado di
sfruttare tutta l'estensione verticale dell'ambiente di
foraggiamento. Analogamente potrebbe fare a bassa quota un
brachiatore: piu' in alto, infatti, il manto della foresta in
formazione si farebbe discontinuo e pericoloso senza il valido
sostegno dei piedi. Noi vediamo pertanto l'evolversi indipendente
di quadrumania e bipedia, con quest'ultima postura che "attraversa"
il tempo della foresta per poi fermarsi pienamente all'insorgere
della savana, 5 milioni di anni fa. A contrastare tale ipotesi
sarebbero pero' i dati paleogenetici, che indicano una cladogenesi
tra ominidi e ominoidi (scimmie antropomorfe) proprio in
quell'epoca. Pare strano pero' che la stazione eretta, con tutti i
suoi rivolgimenti anatomo-comportamentali, riesca a venir
selezionata in un ambiente in formazione, catastrofico e pericoloso
(con estinzioni stocastiche di intere popolazioni in ambiente a
mosaico) come la savana. Il bipedismo, o e' un risultato evolutosi
in foresta poco prima dell'espandersi della savana (difficile
valutarne i vantaggi evolutivi), o e' una struttura di ambiente
semiarido che si e' mantenuta in foresta. A favore della teoria ci
sono i dati paleoecologici e la morfologia di nuovi fossili
Australopithecus anamensis provenienti dal Lago Turkana.
Naturalmente le cose non procedono in modo lineare tipo
causa-ed-effetto. Le retroazioni evolutive possono essere state
multiple. Il repertorio posturale dell'uomo moderno consiste nel
95% di bipedismo con un rimasuglio di 5% di capacita' di
arrampicarsi sugli alberi. Per i gorilla si ha un 70% di
quadrupedia al suolo e un 30% di arrampicata quadrumane (la
stazione eretta e' utilizzata solo per spaventare gli aggressori,
ecco un'altra suggestione per l'origine del bipedismo, l'ennesima).
Lo scimpanze' ha, piu' o meno, un 50% di quadrupedia, un 40% di
arrampicata e un 10% di posizione bipede. Nel bonobo questa sale al
15/20% del tempo.
Il genere Australopithecus che precede Homo nella filogenesi, pur
essendo propriamente un bipede (come testimoniano le impronte di
Laetoli di 3 milioni e mezzo di anni fa), avrebbe avuto un
comportamento deambulatorio equamente ripartito tra camminata a
quattro zampe, arrampicata (facilitata da un alluce divergente,
come scoperto recentemente in Sud Africa a Sterkfontein) e bipedia
a terra. Come ci ha sottolineato Melchiorre Masali, antropologo ed
ergonomo (a partire dall'ipotesi di Sergio Sergi del 1936, secondo
cui esiste una relazione tra il baricentro del tetraedro temporale
del cranio e il bregma e il basione, due punti craniometrici), il
baricentro della testa dovrebbe fornire indicazioni su una perfetta
bipedia. La distribuzione dei dati di misurazione del tetraedro
nelle scimmie e negli ominidi e' strana: a sinistra (valori bassi
di bipedismo) ci sono tutte le scimmie, antropomorfe e non; al
centro c'e' Homo sapiens (paradigma del perfetto bipedismo); a
destra, a sorpresa ci sono gli australopitechi e i paleontropi
(Homininae) quali Neandertal o Cro-Magnon. Da questi dati parrebbe
che gli antenati dell'uomo avessero una sorta di iperbipedismo. Una
distribuzione del genere potrebbe trovarsi in popolazioni che
passano la maggior parte del tempo "sospese" e non "poggiate" al
suolo, come nel caso di Moropithecus e Oreopithecus. La nostra
stazione eretta pare dunque un aggiustamento della posizione
sospesa o, meglio, un'evoluzione indipendente a partire dalla
quadrupedia.
Tim White, uno degli studiosi che hanno portato Lucy all'onor del
mondo (Australopithecus afarensis), ha da poco scoperto in Etiopia
un nuovo genere di ominidi, Ardipithecus ramidus, a mezza via tra
l'antenato degli scimpanze' e degli australopitechi. Interrogato su
quale camminata potesse avere Ardipithecus, White ha risposto:
"Aveva una locomozione diversa da ogni essere vivente di oggi. Se
proprio volete trovare qualcosa che camminasse come ramidus,
dovreste andare a cercarlo nel bar galattico di Guerre stellari".
La camminata su due zampe e' una mostruosita' evolutiva. Attenti a
non cadere. (a. sal.)
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Medaglia Wickper la fisica
OGENERE breve
OARGOMENTI fisica
ONOMI HOOFT GERARD
OORGANIZZAZIONI MEDAGLIA WICK
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS physics
La Medaglia Wick, assegnata annualmente in ricordo dell'illustre
fisico torinese che fu compagno di lavoro di Enrico Fermi e che
diede innumerevoli importanti contributi alla fisica nucleare, per
il 1997 e' stata consegnata a Gerard 'tHooft, anche lui noto fisico
teorico.
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. I PREMI NOBEL 1997
Medicina, l'intricata scoperta dei prioni
Da una pacifica proteina alla malattia di "mucca pazza"
OAUTORE STRATA PIERGIORGIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, ricerca scientifica, premio, vincitore
OPERSONE PRUSINER STANLEY
ONOMI GAJDUSEK CARLETON,
PRUSINER STANLEY
OORGANIZZAZIONI PREMIO NOBEL PER LA MEDICINA
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Proteina prionica
OSUBJECTS medicine and physiology, research, prize, winner
QUEST'anno il Nobel per la Medicina e' stato assegnato a Stanley
Prusiner dell'Universita' di California a San Francisco. Per
comprendere meglio il significato delle sue fondamentali scoperte
e' necessario ripercorrere la storia delle ricerche di un altro
scienziato, Carleton Gajdusek, insignito del Nobel nel 1976. I suoi
studi, iniziati 40 anni fa, hanno aperto la strada per comprendere
meglio la malattia che e' venuta alla ribalta in questi ultimi
anni, il morbo della mucca pazza.
Gajdusek si reco' in Papua e Nuova Guinea per studiare una
malattia presente in alcune tribu'. Si trattava di un morbo con
chiari segni di degenerazione del sistema nervoso che colpiva
prevalentemente le donne all'interno di un nucleo famigliare. La
principale caratteristica era un tremore, che in gergo si dice
kuru, da cui il nome della malattia. Il primo problema da risolvere
era quello di stabilire se la malattia si poteva trasmettere per
via infettiva. Gajdusek inietto' nelle scimmie estratti di cervello
di pazienti deceduti e dimostro' che questi animali andavano
incontro alla stessa malattia letale e il loro cervello presentava
le stesse lesioni nervose riscontrate nell'uomo. Le cause del
contagio familiare furono presto chiarite: i familiari, ma
soprattutto le donne, in segno di rituale rispetto, mangiavano il
cervello del defunto. Uno dei risultati immediati di questa ricerca
fu che la malattia declino' rapidamente dal 1959, non appena questa
forma di cannibalismo cesso'.
Il cervello dei pazienti presentava cavita' che gli davano
l'aspetto di una spugna. Cio' avviene in almeno altre due malattie:
il morbo di Creutzfeld-Jacob dell'uomo e lo "scrapie" della pecora
descritto nel diciottesimo secolo in Inghilterra. La parola scrapie
deriva dal fatto che le pecore affette si grattano il corpo
strusciandosi contro gli alberi e i recinti. Queste malattie vanno
oggi sotto il nome di encefalopatie spongiformi. Da qui nasce
l'idea che tutte queste malattie avessero in comune lo stesso tipo
di agente infettivo.
Il problema successivo fu identificare questo agente. Si trattava
di un virus? Le ricerche di Prusiner hanno fornito una risposta
decisiva portando all'identificazione di un nuovo meccanismo di
infezione, quello da prioni. Prusiner forni' la prima prova che
l'agente infettivo dello scrapie della pecora era una proteina.
L'idea fu considerata eretica alla luce delle conoscenze
dell'epoca. Infatti, una proteina non possiede Dna e quindi non
avrebbe potuto replicarsi. L'autore della rivoluzionaria scoperta
conio' nel 1982 il nome di prione per indicare la proteina
infettiva che fu denominata PrPse (Proteina Prionica dello
Scrapie). Furono necessari anni per capire come essa si
moltiplicava una volta entrata nel cervello. Il meccanismo fu
chiarito quando si scopri' che la stessa proteina, detta PrPe,
esiste nel cervello normale, ma con una conformazione
tridimensionale diversa (fig. 1). La proteina anormale si lega a
quella normale modificandone la forma e trasformandola in una nuova
molecola anormale. Si formano cosi' tante nuove molecole anormali
uguali a quella del prione infettivo (fig. 2). Le nuove proteine si
legano fra loro, formando una catena (amiloide) che non e'
degradabile e che pertanto si accumula nel cervello. I danni
irreparabili possono essere dovuti sia al suddetto accumulo sia
alla scomparsa delle proteine normali. A tale processo collabora
una cosiddetta proteina X il cui meccanismo d'azione non e' ancora
ben identificato. Esistono almeno altre due malattie dovute a una
forma abnorme di PrPe, tra le quali l'insonnia familiare fatale.
Siano dunque in presenza di un nuovo meccanismo di riproduzione di
un agente patogeno il quale fabbrica una copia di se stesso,
modificando la forma, ma non il contenuto di molecole che esistono
normalmente nel cervello. Altri esperimenti sul topo hanno fornito
importanti conoscenze. I topi nei quali e' stato distrutto il gene
responsabile della formazione della proteina normale non si
ammalano quando viene loro inoculato il prione infettivo, perche'
in questo modo non si possono formare le catene di amiloide. E'
soltanto in presenza della proteina normale e di quella anormale
che si sviluppa la malattia. Inoltre, la proteina anormale della
pecora non causa malattia nel topo perche' non vi e' affinita' tra
le due proteine. Se il topo, tuttavia, con esperimenti di
ingegneria genetica, viene dotato del gene della proteina normale
della pecora, con l'inoculazione della proteina anormale della
pecora s'induce la malattia.
Nel 1986, al culmine di queste scoperte, scoppio' in Inghilterra
tra i bovini il morbo della mucca pazza con degenerazione
spongiforme dell'encefalo. La malattia fu causata
dall'alimentazione con farine di carcasse di pecore infettate dal
prione patologico. L'abbattimento di quasi 200.000 mucche non ha
garantito l'estirpazione e ancor oggi c'e' chi sospetta che almeno
un milione di altre mucche si ammaleranno nei prossimi anni, data
la lunga latenza dell'infezione. Il contagio puo' essere dovuto,
oltre alla carne, alle gelatine derivate dai bovini che vengono
usate per esempio per dolci e cosmetici. Per questo molti Paesi
hanno vietato l'importazione dall'Inghilterra di tutti i prodotti
di origine bovina.
Un'ultima domanda di estrema attualita' e' se la malattia puo'
essere trasmessa dai bovini all'uomo. Il timore e' stato
avvalorato dalla descrizione in Inghilterra di diversi casi di
encefalopatia spongiforme simile a quella di Creutzfeld-Jacob, nei
quali e' stata riscontrata la presenza di prioni, molto simili a
quelli del morbo bovino. Per questo motivo vari Paesi hanno chiesto
all'Inghilterra la soppressione di altri bovini. In attesa di
ulteriori studi la cautela e' d'obbligo. Prusiner ha aperto la
strada per capire altre malattie degenerative del sistema nervoso,
tra le quali il morbo di Alzheimer, nel quale si formano catene di
proteine (amiloide). Non vi sono prove che si tratti di malattie
infettive anche se e' probabile che siano dovute a simili
meccanismi di interazione tra proteine normali e patologiche non
ancora identificate. Si e' provato che mutazioni puntiformi nei
nostri geni possono produrre proteine anomale che possono innescare
un simile processo patologico il quale diventerebbe cosi' malattia
ereditaria. L'avere scoperto questi nuovi meccanismi di malattia e'
premessa indispensabile per lo studio di nuove terapie che Prusiner
ha gia' messo in cantiere.
Piergiorgio Strata
Universita' di Torino
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Natale sotto l'antenna
Decoder, bouquet e dintorni
OAUTORE A_VI
OARGOMENTI tecnologia, elettronica, televisione
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology, electronics, television
I canali via satellite ricevibili in Italia sono circa 180, un
centinaio analogici, gli altri digitali. Sciolto il dilemma tra
analogico e digitale, bisogna decidere cosa si vuol vedere. Cioe'
scegliere il polo orbitale in base all'offerta di canali. Se si
tratta di canali in chiaro, non ci sono ostacoli alla ricezione.
Per i canali criptati (cioe' a pagamento) occorre introdurre una
parola gergale: bouquet. Fino a pochi mesi fa la tendenza era
quella di stipulare uno specifico abbonamento per ogni canale
criptato. Oggi si puo' scegliere fra diversi bouquet, ciascuno
offerto da un diverso fornitore con un abbonamento complessivo. Un
bouquet offre 6-10 canali assortiti in modo da soddisfare tutta la
famiglia: un paio di canali generalisti, uno di cinema, uno di
sport, uno di musica, uno per i bambini. Nella scelta dell'impianto
e' importante avere le idee chiare su cosa si vuol ricevere per
acquistare un'abbinata antenna/set-top-box che vi possa soddisfare
per almeno 2-3 anni. Il set-top-box, chiamato decoder, e' un
computer capace di tradurre il segnale del satellite in segnale
riproducibile dal televisore. Data la maggior potenza dei segnali
satellitari, oggi le parabole sono assai piu' piccole rispetto ad
alcuni anni fa: bastano padelle da 85 centimetri, ma in alcune zone
del Nord si scende a 60, con prezzi a partire dalle 150 mila lire.
Conviene orientarsi verso parabole bi-standard (dual- feed) in
grado di captare segnali analogici e digitali, e capaci di
sintonizzarsi su due satelliti senza essere ri-orientate ogni volta
(Multi-feed); con 3- 400 mila lire ci si assicura un'ampia gamma di
possibilita'. Per il set-top-box il discorso e' piu' complicato. Al
momento non esistono decoder dual- feed. L'analogico costa da 250 a
7-800 mila lire. Per il digitale si spende almeno un milione e
mezzo (in fascia media ci sono ottimi prodotti Nokia, Philips,
Sony, Panasonic), ma si ha la garanzia di accedere agli imminenti
servizi multimediali (Internet in testa) e di pay-per-view. (a. vi.)
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Premio Federchimica
Futuro Intelligente
OGENERE breve
OARGOMENTI chimica, premio
OORGANIZZAZIONI FEDERCHIMICA
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS chemistry, prize
E' bandita la decima edizione del premio "Futuro intelligente"
istituito da Federchimica per giornalisti, scrittori, studenti,
insegnanti e ricercatori. Informazioni: 02-268.10.275.
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA
QUATTRO SCENZIATI DAI LABORATORI ALLA GLORIA DI STOCCOLMA
OARGOMENTI ricerca scientifica, premio, vincitore
ONOMI PRUSINER STANLEY, CHU STEVEN, PHILLIPS WILLIAM, COHEN TANNOUDJI
CLAUDE
OORGANIZZAZIONI PREMIO NOBEL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS research, prize, winner
Tra sette giorni, il 10 dicembre, si ripetera' a Stoccolma il rito
della consegna dei Premi Nobel. Accanto al nostro Dario Fo,
vincitore per la letteratura, ci saranno scienziati che vedono
consacrate le loro ricerche. Del Nobel per la chimica ci siamo
occupati il 29 ottobre. Qui ritorniamo sul Nobel per la medicina
(gia' trattato il 22 ottobre) e illustriamo quello per la fisica.
Nelle foto, da sinistra, Stanley Prusiner, scopritore dei prioni, e
i fisici Steven Chu, William Phillips e Claude Cohen-Tannoudji,
studiosi delle bassissime temperature.
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
STORIA DELLA SCIENZA
Quell'addio di Fermi
Parti' per il Nobel, non torno' piu'
OGENERE dati biografici
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI storia della scienza, fisica
OPERSONE FERMI ENRICO
ONOMI AMALDI EDOARDO, AMALDI UGO, WICK GIANCARLO, RASETTI FRANCO,
FERMI ENRICO
OLUOGHI ITALIA
OKIND biografic data
OSUBJECTS history of science, physics
UN treno con vagoni-letto parti' in direzione Firenze dalla
stazione Termini di Roma alle 21 del 6 dicembre 1938. Lungo il
viaggio: raggiunto il confine avrebbe attraversato la Germania fino
al Mar Baltico, qui i passeggeri avrebbero preso un traghetto per
la Svezia, dove un altro treno doveva portarli a Stoccolma.
Un viaggio normale per quei tempi. Basta pero' una sola
circostanza a rendere significativi eventi all'apparenza ordinari.
Sul treno c'era Enrico Fermi con la moglie Laura, ebrea, e la sua
famiglia. Andava a Stoccolma, dove il 10 dicembre avrebbe ritirato
il premio Nobel per la fisica. E sapeva che non sarebbe piu'
tornato in Italia. Ne erano avvertiti, in gran segreto, anche gli
amici che lo avevano accompagnato alla stazione per salutarlo dalla
banchina, mentre il convoglio si allontanava. Tra questi c'era
Edoardo Amaldi, l'allievo prediletto.
"Poi eravamo tornati alle nostre case. Io, per la strada, guardavo
la gente che naturalmente non se ne rendeva conto, ma sapevo, anzi
noi tutti sapevamo, che quella sera si chiudeva definitivamente un
periodo, brevissimo, della storia della cultura in Italia". Cosi'
ricordava Edoardo Amaldi nell'abbozzo di una "Storia della fisica a
Roma dal 1794 al 1968" che si riprometteva di scrivere. La partenza
di Fermi segnava una svolta, e dietro la svolta c'erano la
dispersione del gruppo di fisici che a Roma in via Panisperna
avevano iniziato l'esplorazione del nucleo dell'atomo, la seconda
guerra mondiale, la bomba atomica, alla quale Fermi avrebbe dato un
contributo essenziale. Lui, Edoardo Amaldi (1908-1989), era tra i
pochissimi che potevano percepire, sia pure in modo oscuro e molto
parziale, la gravita' di cio' che il futuro stava preparando.
All'inizio del 1990 l'abbozzo di Amaldi capito' tra le mani del
figlio Ugo, intento a riordinare le carte paterne. Sono 19 pagine
scritte a macchina e 70 a penna e coprono il periodo dall'autunno
1938 ai primi anni del dopoguerra. I fisici Giovanni Battimelli e
Michelangelo De Maria ne hanno ora curato la pubblicazione con il
titolo "Da via Panisperna all'America" (Editori Riuniti, 198
pagine, 20 mila lire).
Oltre a una Premessa di Ugo Amaldi, il volume raccoglie anche 41
lettere che si scambiarono in quel tempo alcuni "ragazzi" del
gruppo e altri ricercatori italiani e stranieri. Incontriamo cosi'
pagine inedite non solo di Edoardo Amaldi ma anche di Fermi,
Pontecorvo, Giancarlo Wick (successore di Fermi sulla cattedra di
Roma), Gilberto Bernardini, Franco Rasetti, Niels Bohr, Ernest
Lawrence, Emilio Segre', Enrico Persico e Bruno Rossi (un altro
protagonista del Progetto Manhattan per la bomba atomica). L'arma
totale, che avrebbe fatto perdere alla fisica la sua innocenza,
segna uno spartiacque etico che da queste lettere esce ben
delineato. Ci sono quelli che vi lavorarono come al male minore,
considerando la minaccia nazista, con la speranza (ingenua) che la
bomba avrebbe avuto solo una funzione deterrente e non sarebbe mai
stata sganciata su popolazioni civili: tra questi, con sfumature
diverse, Fermi, Rossi, Segre'. Ci sono quelli che non furono
chiamati alla scelta ma rimasero a presidiare la ricerca italiana,
per poi schierarsi con i movimenti pacifisti: Edoardo Amaldi e,
in modo piu' appartato, Giancarlo Wick. Il solo a dissociarsi
subito (anzi, prima) fu Franco Rasetti, nato nel 1901 e tuttora
vivente, ma fin dagli Anni 40 passato ad altri interessi. Scriveva
Rasetti a Persico il 6 aprile 1946: "Io sono rimasto talmente
disgustato delle ultime applicazioni della fisica (con cui, se Dio
vuole, sono riuscito a non aver niente a che fare) che penso
seriamente a non occuparmi piu' che di geologia e biologia. Non
solo trovo mostruoso l'uso che si e' fatto e si sta facendo delle
applicazioni della fisica, ma per di piu' la situazione attuale
rende impossibile rendere a questa scienza quel carattere libero e
internazionale che aveva una volta e la rende soltanto un mezzo di
oppressione politica e militare". Una posizione cosi' pura che
qualcuno l'ha giudicata aristocratica. Comunque la Storia ha eluso
ogni previsione, seguendo una sorta di eterogenesi dei fini: la
bomba atomica, in qualche modo, ha reso impossibile la guerra
totale e, alla fine, ha portato agli accordi sul disarmo tra le
superpotenze.
Piero Bianucci
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
A TORINO
SalonB.it
l'universo
multimediale
OAUTORE A_VI
OARGOMENTI tecnologia, elettronica, comunicazioni, informatica, salone
ONOMI DI GIACOMO CARLO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS technology, electronics, communication, computer science, showroom
APRE domani a Torino la prima edizione di "SalonB.it", salone del
multimedia, delle telecomunicazioni e dello spettacolo digitale.
Per 5 giorni al Lingotto tutto cio' che ha a che fare con le nuove
tecnologie digitali della comunicazione verra' presentato al
pubblico, oltre che con la classica esposizione a stand, con una
nutrita serie di convegni, incontri e dibattiti.
La multimedialita' sta cambiando il lavoro, la societa', la vita
quotidiana. Nell'era post- industriale l'accesso e la manipolazione
delle informazioni e' un elemento chiave. E chi non e' a proprio
agio in questo mondo rischia di essere tagliato fuori. "E'
necessario quindi creare momenti di incontro e di confronto per
affrontare le caratteristiche di questa rivoluzione digitale",
spiega Carlo Di Giacomo, presidente del Csi piemontese e membro del
comitato scientifico di "SalonB.it", "individuando, oltre ai
diversi aspetti dell'offerta tecnologica e delle sue applicazioni,
le dimensioni di una domanda che non riguarda solo il mercato, ma
la cultura e la societa' intera". La struttura di "SalonB.it" e'
articolata in 5 siti, che corrisponderanno ad altrettante piazze
espositive. Ci saranno il "Sito dei siti" (una piazza in cui il
visitatore verra' accolto da Bit, un simpatico personaggio
sintetico, animato in tempo reale, una sorta di guida interattiva
del salone), il "Sito del gioco" (con la presenza di espositori di
videogame, dove e' stato sistemato il Medialab, un laboratorio in
cui si sperimenta la multimedialita' che coniuga l'aspetto
educativo con quello ludico), il "Sito della memoria" (che dara'
spazio alle diverse applicazioni multimediali per la memoria:
prodotti e servizi di archiviazione ottico-documentale, progetti
per la valorizzazione delle risorse culturali ed esperienze
avanzate sulla diffusione on line dell'audiovisivo futuro), il
"Sito del corpo e del suono" (il corpo come punto di riferimento
per la ricerca tecnologia biomedicale; sono in programma anche
concerti e dimostrazioni sul tema "Musica e informatica") e il
"Sito dei nuovi autori" (spazio per la presentazione di progetti
d'autore in cerca di editore, con postazioni a disposizione per
giovani autori multimediali e un grande monitor per le
presentazioni pubbliche).
Sono in programma oltre un centinaio di eventi di approfondimento:
incontri, presentazioni, tavole rotonde e convegni.
Tra i piu' interessanti segnaliamo "Le nuove offerte televisive
digitali" (4 dicembre, ore 14,30), "Edutainment: Educare Giocando
con il Multimediale" (5 dicembre, ore 10,30), "Editoria, nuovi
media e scuola" (5 dicembre, ore 15), "Ai confini della realta'
virtuale" e "Verso le Citta' Digitali" (entrambi il 6 dicembre alle
15).
"SalonB.it" e' stato organizzato da Euphon e da Poliedra, con il
sostegno di Regione Piemonte, Provincia di Torino, Citta' di Torino
nonche' della Camera di commercio industria artigianato agricoltura
e si svolge presso il Centro espositivo del Lingotto di Torino (via
Nizza 280), da giovedi' 4 a lunedi' 8 dicembre, ed e' aperto dalle
10 alle 23.
Il biglietto costa 12 mila lire (ridotto 10 mila), ma c'e' uno
sconto del 50 per cento per i gruppi e gli studenti accompagnati
dagli insegnanti. Per altre informazioni, tel. 011- 391.2642 o, su
Internet: www.salonb.it.(a. vi.)
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SENZA TIT. TTS VICO AUT.
OLUOGHI ITALIA
SCENA I (estate 1997, esterno giorno): una famigliola si gode il
classico picnic domenicale. Dopo il pranzo e la pennichella di
rito, e' l'ora del rientro in citta'. Nonostante il bagagliaio
dell'auto sia a pochi passi, sembra piu' comodo abbandonare sul
prato i rifiuti: torsoli di mela, tovagliolini di carta, bottiglie
d'acqua e di vino, lattine di birra, il giornale, mozziconi di
sigaretta, batterie usate della radio, borse e contenitori di
plastica.
Scena II (stesso luogo, 100 anni dopo): un gruppo di scout sta
ripulendo il prato. A parte gli avanzi di cibo e la carta, trova
esattamente tutto cio' che la famiglia Rossi aveva abbandonato un
secolo prima.
Scena III (stesso luogo, 500 anni dopo): un giovane laureando in
archeologia sta cercando reperti per la sua tesi. Senza fatica
trova numerosi reperti: una lattina di birra, 3 bottiglie di
plastica, diversi cocci di vetro. C'e' anche una scheda telefonica
perfettamente integra, mentre un furetto ha utilizzato una
vaschetta di polistirolo per coibentare la sua tana.
In un anno ciascuno di noi produce 350 chilogrammi di rifiuti,
piu' o meno 1 chilo al giorno. Ma non e' tanto una questione di
peso, piuttosto di ingombro. Una sola persona riesce a colmare di
immondizia 160 vasche da bagno l'anno. Se prendiamo in
considerazione la tipica famiglia media, quella dei signori Rossi,
tutto va moltiplicato per quattro: a parte l'immondizia abbandonata
sul prato, in 12 mesi i Rossi riuscirebbero ad accumulare una massa
di pattume tale da riempire fino al soffitto un alloggio di 100
metri quadri. Soggiorno e cucina sarebbero colmi di rifiuti
organici (il 43% del totale annuo), ma un buon 22% (la stanza dei
ragazzi) e' composto da carta e cartone proveniente da imballaggi,
quotidiani e riviste. Le materie plastiche riempirebbero a mala
pena il bagno (sono in media il 7% della nostra quota annua di
rifiuti), mentre lo sgabuzzino sarebbe colmo di metalli
(l'alluminio delle bibite e le latte per uso alimentare) e la
camera da letto dei genitori verrebbe occupata da materiali vari
come vetro, farmaci, stoffa, gomma, cavi e componenti elettroniche.
Ma torniamo sulla scena del delitto. Dopo un picnic sono in molti
ad abbandonare sul prato il cibo avanzato. Tanto e' tutta roba
biodegradabile, dicono. Vero, ma fino a un certo punto, perche'
alcuni cibi vengono lavorati dall'uomo con sostanze artificiali che
si biodegradano piu' lentamente. E poi provate a pensare cosa
accadrebbe di un prato molto frequentato durante la domenica se
tutti ci affidassimo alla biodegradabilita' di certi rifiuti. Il
lunedi' mattina sarebbe ridotto a una discarica a cielo aperto.
Che dire di tutti quei materiali praticamente eterni come
plastica, vetro, alluminio e polistirolo? Senza voler
criminalizzare nessuno, e' bene che tutti noi riflettiamo sulla
gravita' di un gesto apparentemente banale come gettare in terra
una lattina o un pezzo di carta anziche' depositarli nei cassonetti
della raccolta differenziata.
Chi vuole approfondire il tema non ha che da visitare la mostra
interattiva "Experimenta 97", organizzata dall'assessorato alla
cultura della Regione Piemonte, aperta a Torino da sabato scorso
nel parco di Villa Gualino (viale Settimio Severo 63, orario 16-24
da martedi' a venerdi', sabato 15-24, domenica 10-20). Il tema
della mostra, giunta quest'anno alla dodicesima edizione, e'
"Scienza e fantascienza". I viaggi nello spazio, ma anche la vita
quotidiana, comporteranno infatti, in un futuro neanche troppo
lontano, il riciclaggio integrale delle risorse gia' utilizzate.
Andrea Vico
BOTTIGLIA DI VETRO: 4.000 ANNI (O FORSE PIU')
IL vetro e' uno dei materiali piu' antichi nella storia della
civilta'. Non patisce il caldo o il freddo, e' facile da pulire
(dunque igienico), inattaccabile alle intemperie, agli acidi o a
funghi, batteri o microrganismi. Un prodotto naturale (praticamente
sabbia e soda lavorate ad alta temperatura), quindi, da un certo
punto di vista, non lo si puo' considerare un inquinante. Non reca
danno all'ambiente, anzi, in un bosco si comporta come una roccia
(le radici degli alberi vi si aggrappano, gli insetti vi fanno la
tana) e nel mare serve come base per la costruzione di barriere
coralline o come fondamenta per la casa dei molluschi. E' tutt'al
piu' un problema di sicurezza: abbandonare un coccio di vetro
all'aperto significa creare pericolo per gli animali di passaggio.
Oppure e' un fatto estetico: chi andrebbe a fare un picnic su un
prato invaso dalle bottiglie?
Il vetro e' talmente facile da riciclare (basta fonderlo a
temperature elevate, 1.300-1.500 gradi centigradi) che gia' gli
antichi romani usavano raccoglierlo per rilavorarlo. Nel 1990,
nell'alto Adriatico, e' stato scoperto il relitto di una nave
romana del II o III secolo d.C. Nella stiva c'erano anche alcuni
contenitori colmi di vetro sminuzzato. Se si fosse trattato di
casse piene di bottiglie andate in frantumi durante il naufragio i
cocci avrebbero occupato meno della meta' del volume delle casse.
Invece i contenitori erano zeppi fino all'orlo, e il vetro era di
molte qualita' diverse. Dunque doveva essere materiale di scarto da
portare in qualche vetreria per farne nuovi recipienti.
A seconda delle nostre abitudini alimentari, il vetro che ognuno
di noi butta via varia dal 3 all'8% del totale annuo di immondizia
personale. Vale a dire da un minimo di 12 chilogrammi l'anno a un
massimo di 28. Fortunatamente piu' della meta' viene recuperato. In
Italia il 54% dei contenitori di vetro per uso alimentare (acqua,
succhi di frutta, marmellate, birra, vino e altri alcolici) sono
riciclati. In linea con la media europea (56,3%), ma ancora
distanti dalla Svizzera, prima in classifica con l'84% del vetro
recuperato, dall'Olanda (77%), dall'Austria (76%) e dalla Germania
(75%).
TORSOLO DI MELA: 3-6 MESI
UN torsolo di mela, come buona parte dei rifiuti vegetali (frutti e
verdure), e' composto da cellulosa, acqua e zuccheri, tutte
sostanze perfettamente naturali e facilmente riassorbibili
dall'ambiente. Lasciato in un prato, il torsolo viene aggredito
dagli insetti e dai batteri che se lo mangiano con gran voracita'.
D'estate, complice il bel tempo, un frutto si biodegrada in poche
settimane (anche 15 giorni in un torrente di montagna, grazie
all'erosione della corrente); d'inverno ci vuole piu' tempo perche'
il gelo rallenta l'azione dei batteri.
SIGARETTA SENZA FILTRO: 3 MESI
IL mozzicone di sigaretta e' composto da cellulosa e residui di
tabacco bruciacchiato, sostante perfettamente biodegradabili.
Sull'asfalto puo' resistere anche un anno, ma in un prato, l'azione
combinata di luce, pioggia e microrganismi lo dissolvono in meno di
3 mesi.
SIGARETTA CON FILTRO: 2 ANNI
LE sigarette col filtro impiegano minimo un anno e mezzo a
biodegradarsi. Il filtro e' infatti costituito da acetato di
cellulosa trattato con altre sostanze artificiali che risultano
poco appetibili ai batteri del terreno. Nei casi migliori qualche
insetto lo sminuzza per ricavarne materiale per la propria tana.
FIAMMIFERO: 6-10 MESI
Il fiammifero da cucina e' fabbricato con tenero legno di pioppo
che, se cade su un terreno umido, si dissolve in circa 5-6 mesi.
Qualche mese in piu' occorre (e un torrente facilita decisamente il
processo), per il cerino, composto da uno stelo di carta pressata
inzuppato in una sostanza oleosa (paraffina o stearina), meno
biodegradabile del legno puro.
GOMMA DA MASTICARE: 5 ANNI
IL "succo" del chewing-gum (sostanze aromatizzanti, coloranti e
zucchero) viene assorbito dall'organismo durante la masticazione.
Quel che si butta e' il supporto, composto da gomma e resine
sintetiche. La gomma e' un prodotto della natura, ma la sua miscela
(ottima per la sua elasticita') e' assolutamente indigesta a funghi
e batteri. E' inoltre impermeabile: dunque anche in acqua la sua
biodegradabilita' non cambia. E' dannoso gettare in un prato la
gomma da masticare anche perche' uccelli e piccoli mammiferi
rischiano di strozzarsi.
Circa il 40 per cento dei rifiuti di una famiglia, ovvero una
secchiata di pattume al giorno, e' composto da materiale organico
(avanzi e scarti di cibo) che, se raccolti a parte, potrebbero
diventare compost, cioe' ottimo fertilizzante per i campi, gratuito
e - soprattutto! - perfettamente naturale.
FAZZOLETTO DI CARTA: 3 MESI
DEI 12 miliardi di fazzoletti di carta che ogni anno vengono
venduti in Italia una gran parte li ritroviamo per terra, in
strada, al parco, sulla spiaggia o in montagna. Fortunatamente la
carta e' facilmente biodegradabile (non rimane che acqua e anidride
carbonica) e, nel caso dei fazzolettini monouso, questo processo
viene accelerato dal fatto che, al momento di disfarsene, sono
umidi. L'acqua e' l'elemento determinante per il dissolvimento
della carta. Un torrente si mangia un fazzolettino in pochi giorni,
mentre lo stesso materiale sepolto in un terreno asciutto puo'
impiegare anche 6 mesi per biodegradarsi.
QUOTIDIANI E RIVISTE: 4-12 MESI
Un quotidiano e' fatto di carta, cioe' di lignina, vale a dire una
complessa catena di molecole dove abbonda lo zucchero. Dopo
l'azione di alcuni batteri, questa catena si spezza in elementi
base (carbonio, idrogeno e ossigeno), immediatamente assorbibili
dall'ambiente. L'inchiostro si diluisce facilmente in acqua, ma e'
inquinante. Ugualmente accade con le riviste in carta patinata, che
impiegano anche un anno prima di dissolversi. Inoltre i batteri
lavorano meglio se devono aggredire una pagina alla volta: una pila
di giornali legata stretta puo' resistere all'aperto anche 10-12
anni.
Ogni giorno noi italiani buttiamo nella spazzatura 5 milioni di
tonnellate di giornali, riviste e imballaggi di cartone. Durante
l'intero 1994, su tutto il territorio nazionale sono state raccolte
solo 200 mila tonnellate di carta. Vale a dire 548 tonnellate di
carta recuperate in un giorno a fronte di 5 milioni di tonnellate
sprecate. Non tutta questa carta e' recuperabile. Ma se
consideriamo che 150 chilogrammi di carta da macero significano
salvare un albero, ogni giorno, qualora noi italiani avessimo una
maggior educazione ambientale e fossimo meno pigri, potremmo
risparmiare la vita a 20 mila alberi.
L'Italia e' il regno dei controsensi e anche l'industria della
carta ha il suo. Nel 1995 le 170 cartiere italiane hanno importato
da Francia e Germania circa 800 mila tonnellate di carta da macero,
che hanno lavorato per rivendere come carta riciclata. Quasi la
meta' di questo materiale (350 mila tonnellate) e' frutto delle
raccolte differenziate che nell'Europa del Nord sono molto ben
organizzate e dove il riciclo fa parte della mentalita' dei
cittadini. Se anche noi imparassimo a raccogliere la carta,
potremmo rifornire autonomamente le nostre cartiere evitando che
ogni anno 10-12 mila camion arrivino in Italia sulle strade della
Val di Susa e del Trentino.
LATTINA DI ALLUMINIO: 20-100 ANNI
IN un anno in Italia si consumano 1 miliardo e 700 mila lattine di
alluminio. Una trentina a testa. Messe una dietro l'altra si
arriverebbe a coprire piu' della meta' della distanza che separa la
Terra dalla Luna. Oppure, mettendole una accanto all'altra, si
coprirebbe una superficie pari a quella di 1.300 campi da calcio.
L'alluminio e' un metallo prezioso, ormai indispensabile: e' forse
il metallo piu' diffuso come componente di oggetti d'uso
quotidiano. E' praticamente inalterabile (passa dal caldo al freddo
senza modificarsi), estremamente igienico (e' un ottimo contenitore
per alimenti), leggero, facilmente lavorabile. Inoltre, l'ossido
naturale che lo ricopre lo protegge dall'azione del tempo,
mantenendone invariato il peso e le caratteristiche fisiche.
Proprio per questo una lattina abbandonata durante una passeggiata
nel bosco puo' resistere decine di anni all'erosione dell'aria e
della pioggia. Una latta in banda stagnata (che sono pero' usate
raramente dall'industria alimentare e costituiscono meno del 5 per
cento del totale delle lattine) e' invece piu' veloce a
dissolversi: esposta alle intemperie, la ruggine se la mangia in
poco piu' di un anno.
Per un chilo di allumino riciclato serve il 5% di energia
iniziale, nonche' esattamente 61 di lattine per bibita, una rete di
recupero del materiale e uno stabilimento di semplice tecnologia
situabile ovunque (dal processo di rilavorazione non vengono emesse
sostanze inquinanti). Nella fase di recupero ne va perso un
quantitativo minimo, il piu' basso, in percentuale, rispetto a
tutti gli altri materiali riciclabili. Ma quel che piu' conta e'
l'alta economicita' del processo: un chilogrammo di alluminio
riciclato fa risparmiare ben il 95% dell'energia necessaria per
ottenere la stessa quantita' di alluminio di prima produzione.
L'alluminio e' riciclabile all'infinito e per ogni ciclo serve
solo un ventesimo di alluminio fresco, nuovo, per mantenere
inalterata la quantita' e la qualita' del materiale ottenuto col
riciclo. Negli Usa, dove questo tipo di industria e' molto ben
organizzata, e' stato calcolato che la vita media di una lattina e'
di 2 settimane: se viene acquistata in un supermercato il primo
giorno del mese, dopo esser stata bevuta, buttata, recuperata, fusa
e nuovamente riempita, il giorno 15 dello stesso mese sara' gia' in
vendita sugli scaffali di un altro negozio.
CARTA TELEFONICA: 1.000 ANNI
NEL 1995, nella sola Lombardia sono state vendute quasi 20 milioni
di schede telefoniche. Una sopra l'altra formerebbero una torre
alta 6.500 metri. Carte telefoniche, carte per il pedaggio
autostradale o altre tessere magnetiche usa-e-getta, tutte hanno
dimensioni standard (86 millimetri in base, 54 in altezza) e sono
generalmente costruite con una lamina di polietilene spessa da un
terzo a un quarto di millimetro, su cui viene incollata una
striscia magnetica (lo stesso materiale dei nastri delle
musicassette) che custodisce le informazioni del caso (le
telefonate fatte o i pedaggi di ciascun casello...). Queste carte
plastiche sono costruite in economia, dunque non c'e' modo di
riciclarle, l'unica via e' la discarica. Per questo e' importante
non abbandonarle in giro, ma utilizzare le apposite cassettine che
sono state montate accanto a quasi tutti i telefoni pubblici a
scheda. Le carte di credito o i bancomat sono una cosa differente:
sono piu' robuste (sono spesse mediamente 0,75 millimetri) e
comunque vengono sistematicamente ritirate, per questioni di
sicurezza e di tutela dei dati che la carta contiene.
BOTTIGLIA DI PLASTICA: 100-1.000 ANNI
APPENA 500 grammi al mese: e' quanto ogni italiano consuma in
plastica per contenitori di liquidi, circa 6 chili l'anno. E' poco?
Certo, detto cosi' non e' una gran cifra, ma se pensiamo al volume
che i recipienti di plastica occupano le cose cambiano. Con 6
chilogrammi si fanno piu' di 150 bottiglie e se immaginassimo di
aprire questi contenitori e unirli uno dietro l'altro
potremmo ritrovarci un tappeto largo 30 centimetri e lungo quasi 50
metri. Per la loro praticita' (sono igienici, perfettamente stagni,
inalterabili alle intemperie, leggeri, economici...) i contenitori
in Pet e Pvc costituiscono l'80-90 per cento dei rifiuti plastici
delle grandi citta'. Sono quasi indistruttibili: l'acqua gli fa il
solletico, l'aria gli fa perdere un po' di elasticita', non esiste
batterio o fungo in grado di attaccarli. Bruciano con una certa
facilita' (in fondo la plastica e' petrolio) ma restano comunque
gocce di materiale nerastro e la combustione sviluppa la
pericolosissima diossina.
SACCHETTO DI PLASTICA: 100-1.000 ANNI
FINO a 5-6 anni fa i sacchetti di plastica erano fatti di Pet, come
le bottiglie dell'acqua. Dunque erano praticamente indistruttibili.
Oggi vi sono sacchetti parzialmente (e sottolineiamo parzialmente,
checche' ne dicano alcune pubblicita') biodegradabili perche' il
Pet viene mescolato con degli amidi, sostanze naturali che si
sciolgono in acqua senza troppi danni per l'ambiente. Recentemente
sono state realizzate pellicole plastiche fotosensibili, cioe' che
si 'sciolgono' alla luce intensa. Occorre comunque qualche mese e
nel frattempo non e' bello vedere un prato coperto di sacchetti
vuoti. Inoltre questi contenitori cosi' pratici per l'uomo sono
pericolosissimi per gli animali, specie gli erbivori, che possono
mangiarli mentre sono al pascolo rischiando cosi' di morire
soffocati.
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PROGETTO DEL GOVERNO
Tra dodici anni
solo tv digitale
OAUTORE BRUZZONE MARIA GRAZIA
OARGOMENTI tecnologia, elettronica, televisione, progetto
ONOMI VITA VINCENZO, MURDOCH RUPERT
OORGANIZZAZIONI RAI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OSUBJECTS technology, electronics, television, plan
ENTRO il 2010 l'intero sistema televisivo italiano diventera'
digitale. A dare l'annuncio e' il sottosegretario alle Poste
Vincenzo Vita, a New York per il secondo Forum Mondiale della Tv
che si e' svolto nei giorni scorsi al Palazzo dell'Onu,
sponsorizzato da Rai e Mediaset. Vita spiega che l'impegno del
governo, il primo del genere nell'Unione Europea, e' contenuto nel
disegno di legge 1138 sul riassetto del sistema televisivo.
Il ddl, tra breve in discussione al Parlamento, prevede che entro
10 anni dalla sua approvazione (quindi forse anche prima del 2010),
non solo i nuovi canali tematici, gratuiti o a pagamento, che
nascono gia' digitali e via satellite, ma le stesse reti televisive
nazionali terrestri, da Rai Uno-Due-Tre a Canale 5, Rete 4, Italia
1, dovranno abbandonare il sistema di trasmissione analogico per
passare a quello digitale.
Il governo si impegna anche a trovare prestissimo una banda di
frequenza libera per iniziare simulcasting: un problema non da
poco, con l'affollamento attuale. Saranno quelle di Telepiu' 3, che
dal prossimo aprile sara' costretta dalle nuove norme a trasmettere
via satellite? E come la prendera' Telemontecarlo, alla quale erano
state promesse quelle frequenze per estendere la sua rete
terrestre? Vita non vuole sbilanciarsi. "Tmc non ha nulla da
temere", si limita a dire. Ma ammette una certa ostilita' da parte
dei grandi operatori per questa conversione. Il trasferimento
comporta infatti per i network (gran parte delle emittenti locali
continuera' a trasmettere in analogico) degli investimenti negli
impianti di trasmissione. Ma anche gli utenti, nel loro piccolo,
dovranno attrezzarsi, dotandosi di un set top box simile a quello
necessario oggi per ricevere i canali via satellite. O cogliendo
l'occasione per sostituire il vecchio televisore con uno nuovo.
In cambio, gli operatori potranno offrire una tv tecnologicamente
ben piu' evoluta: moltiplicando l'offerta di nuovi canali (visto
che una sola banda di frequenza ne puo' contenere almeno sei),
aggiungendo l'interattivita' o addirittura proponendo nuovi
standard di qualita', del tipo "alta definizione". I telespettatori
potranno avere canali tematici gratuiti o a pagamento, canali di
servizio interattivi per il teleshopping, per prenotare viaggi o
ordinarsi la pizza a casa. E partecipare a quiz da casa propria,
votare dal soggiorno di casa, o usare Internet dal televisore.
Proprio sull'interattivita' televisiva, oggi una prerogativa degli
utenti della tv via cavo, al Forum di New York arriva una notizia
da Rupert Murdoch, l'editore australiano patron della News
Corporation, colosso multimediale che opera in quattro continenti.
Murdoch annuncia che dall'anno prossimo lancera' - non ha precisato
se negli Usa o in Europa, sui suoi canali satellitari BskyB, o in
Asia, dove la sua piattaforma Start trasmette 53 canali in varie
lingue - un nuovo sistema di "tv cellulare" che consentira' di
dialogare con un televisore dotato di set top box satellitare col
solo aiuto di un telefonino cellulare, senza bisogno di cavi ne' di
antenne paraboliche. Il collegamento con la stazione di servizio
che riceve i canali da satellite avverra' tramite una rete
cellulare, mentre il telefonino dell'utente servira' da
pulsantiera. E' un sistema che sta sperimentando anche la Rai (con
l'Unione Europea).
Maria Grazia Bruzzone
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. SCOPERTA ITALIANA SU "NATURE"
Un topino di Seveso rivoluziona la biologia
Osservata una mutazione in soli vent'anni: nuova luce
sull'evoluzione
OAUTORE GARAGNA SILVIA
OARGOMENTI biologia, ricerca scientifica
ONOMI REDI CARLO ALBERTO, ZUCCOTTI MAURIZIO, CAPANNA ERNESTO
OORGANIZZAZIONI NATURE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS biology, research
CHE cosa e' una specie? Come si formano nuove specie? Ancora oggi
zoologi e biologi ne discutono. Bene: grazie a uno studio condotto
per conto della Fondazione Lombardia per l'Ambiente, abbiamo
individuato a Seveso una popolazione del comune topolino domestico
(Mus domesticus, per distinguerlo dal Mus mu sculus di Linneo)
caratterizzata da varianti cromosomiche non ancora descritte,
diverse anche da quelle che per anni abbiamo raccolto e descritto
in tutta Europa.
E', questo, un fatto del tutto eccezionale dal momento che sembra
ragionevole ritenere che la comparsa e la fissazione di queste
varianti cromosomiche siano avvenute nell'arco massimo di venti
anni. E' questo, infatti, il tempo trascorso dalla scarificazione
dell'area di Seveso e dalla sua ricostruzione attuale. Lo scenario
e' credibile poiche' conosciamo da tempo la distribuzione in tutta
Europa di tante e diverse "specie incipienti" del topolino. I topi
ritrovati a Seveso sono potenzialmente incanalati verso un
isolamento riproduttivo che li potra' portare a divenire una nuova
specie. Mai prima di oggi era stato colto "in atto" un evento alla
base della speciazione e questo giustifica anche la risonanza che
tutti i media nazionali e internazionali hanno dato alla notizia.
Seveso, con tutto il dramma che conosciamo, ha portato anche alla
costruzione di un "laboratorio naturale".
L'aver colto un momento cosi' fugace nelle dinamiche evolutive,
che avvengono su tempi che i poveri mortali non possono rincorrere,
e' anche dovuto alla fortunata coincidenza di aver accelerato
dinamiche che normalmente sono ben piu' lente, (qui i topolini
invasori non hanno certo trovato competitori o antagonisti).
Oggi a interessarsi di Seveso sono e devono essere gli zoologi,
piu' che gli ecotossicologi della diossina! Va detto a chiare
lettere infatti che la diossina non ha nulla a che vedere con le
trasformazioni cromosomiche ritrovate.
Per secoli la definizione di specie e' risultata ovvia utilizzando
come criterio differenze semplici ed esteriori, di tipo anatomico,
fisiologico, comportamentale. Oggi la visione biologica di specie
(non direi definizione, sulla quale ancora vi sono molte
controversie) e' quella di un gruppo geneticamente distinto
di popolazioni naturali che condividono uno stesso patrimonio di
geni.
Nella visione classica, una serie di popolazioni che compongono
una specie (interfeconde) viene suddivisa da un accidente
geografico, da un fattore estrinseco agli individui. Quando, dopo
un tempo sufficientemente lungo, ritornino a incontrarsi, il loro
patrimonio genetico sara' cosi' differenziato da non potersi piu'
incrociare in modo da produrre progenie fertile. E' questo lo
schema di quella che si chiama "speciazione divergente". Oggi e'
chiaro che una barriera riproduttiva si puo' instaurare anche sulla
base di fattori intrinseci (fattori cosi' diversi come quelli
ecogeografici, di habitat, comportamentali, di isolamento gametico,
di sterilita'-subfertilita' degli ibridi) capaci di impedire ai
pool genici di due gruppi, che pure possono vivere nello stesso
luogo, di mescolarsi.
Nel tempo, anche in questo caso, si puo' giungere alla formazione
di nuove specie. Nei mammiferi, le trasformazioni nella struttura
del cariotipo (l'insieme dei cromosomi di una specie) sono uno dei
fattori intrinseci piu' attivi, in particolare la traslocazione di
intere braccia cromosomiche una sull'altra, detta "traslocazione
robertsoniana", avviene di frequente ed e' capace di determinare la
formazione di progenie subfertile o sterile.
Nel corso della formazione degli spermatozoi e degli oociti, i
cromosomi dapprima si appaiano (per "rimescolare" il patrimonio
genetico) e poi si dividono per distribuirsi ai diversi spermatozoi
ed oociti: la presenza di cromosomi con "forme" alterate dovute
alla traslocazione causa un errore nella segregazione dei cromosomi
alle cellule germinali, le quali determinano cosi' la formazione di
embrioni non vitali (a volte, alcune trisomie come la 21 nell'uomo
e la 16 nel topo, sono vitali). Si instaura una barriera
riproduttiva. Questo meccanismo e' alla base di quella che si
chiama "speciazione cromosomica". Ora, uno dei fattori chiave di
discussione e' sempre stato il tempo di accadimento dei fenomeni
che portano alla comparsa di nuove specie, come nel caso della
speciazione cromosomica.
Il contributo che insieme a Carlo Alberto Redi, Maurizio Zuccotti
ed Ernesto Capanna abbiamo pubblicato su Nature, ha suscitato molta
attenzione a livello internazionale proprio perche' le circostanze
ambientali hanno permesso di datare l'insorgenza e la fissazione di
alcune varianti cromosomiche: non piu' in tempi geologici ma in 20
anni al massimo.
Si impone, infine, una considerazione di piu' ampio respiro
sull'impatto che sempre piu' l'uomo ha sull'ambiente,
desertificando aree sempre piu' ampie sul pianeta (la comunita'
europea ha dedicato un intero programma di ricerca alla
desertificazione ed alla necessita' della ricostruzione di
ecosistemi artificiali): nel corso della ricostruzione di questi
ambienti con ecosistemi artificiali, che opportunita' avranno le
altre specie consorelle animali che con noi dividono il pianeta?
Silvia Garagna
Universita' di Pavia
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Una pianta vive
da 40.000 anni
OGENERE breve
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS botany
Il primato di longevita' appartiene senza dubbio alle piante: una
specie di faggio che vive in California puo' raggiungere i
diecimila anni. Ora pero' tutti i record sono stati polverizzati da
un arbusto che un gruppo di botanici australiani ha scoperto sulle
montagne della Tasmania: in base a una datazione fatta con il
metodo del carbonio radioattivo, avrebbe circa quarantamila anni e
sarebbe quindi l'essere vivente piu' vecchio del mondo. Il nome
scientifico della pianta e' "Lomatia tasmania". Ha l'aspetto di un
cespuglio che si estende per piu' di un chilometro, in alcuni punti
tocca l'altezza di 8 metri. In parte il cespuglio e' fossilizzato
ma tramite rilievi del patrimonio genetico i botanici hanno
stabilito che si tratta di un unico individuo.
ODATA 03/12/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Universita'
dello spazio
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OORGANIZZAZIONI INTERNATIONAL SPACE UNIVERSITY
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, OHIO, CLEVELAND
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
Dal 17 giugno al 22 agosto 1998 Cleveland (Ohio, Usa) ospitera'
l'undicesima sessione estiva dell'International Space University
(Isu), che si e' confermata l'organizzazione accademica leader a
livello mondiale per la formazione culturale in campo spaziale. Il
programma e' interdisciplinare e comprende ingegneria spaziale,
medicina, psicologia, astrofisica, telecomunicazioni, architettura
e aspetti di business. La scuola offre anche un programma di studio
annuale per il conseguimento di un master in studi spaziali i cui
corsi si terranno a Strasburgo dal 1o settembre '98 al 30 luglio
'99. Requisiti: laurea e perfetta conoscenza dell'inglese.
Richiedere i moduli di iscrizione a Maria Antonietta Perino, presso
Alenia Aerospazio, corso Marche 41 - 10146 Torino.
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. METEOROLOGIA
Ma puo' El Nino dal Pacifico influire sulla nostra estate?
OAUTORE MINETTI GIORGIO
OARGOMENTI meteorologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE C. Ubicazione e direzione delle piu' importanti correnti
marine con circoscritta l'area d'influenza del Nino
OSUBJECTS meteorology
I climatologi annunciano un'estate molto calda, con conseguenti
situazioni meteorologiche come alluvioni, allagamenti e anche
siccita' con temperature molto elevate. Come causa indiretta di tutto
questo si e' parlato di «El Nino», fenomeno ricorrente che si
manifesta lungo le coste Pacifiche del Sud America. Di che si tratta?
«El Nino» e' un riscaldamento anomalo delle acque oceaniche che
provoca modifiche strutturali al flusso regolare e quasi costante
delle correnti fredde di Humboldt o del Peru'. Circa la genesi di
questo riscaldamento, studi approfonditi di scienziati americani e
inglesi fanno ritenere che l'innesco saltuario sia favorito
dall'attivita' vulcanica sottomarina. I pescatori peruviani, che per
primi intorno al XVII secolo scoprirono questa corrente, la
chiamarano «El Nino», denominazione che deriva da Bambino, intendendo
il Bambino Gesu' poiche' questo fenomeno irregolare ha inizio intorno
a Natale. E' una corrente che si origina nell'Oceano Pacifico fra la
Papuasia Nuova Guinea e la Micronesia e scorre fino alle coste del
Peru', attraversando tutto l'Oceano. La sua frequenza e' ad
intervalli di 3-8 anni, specie quando il mare a Nord della Nuova
Guinea raggiunge temperature superiori a 30o. In termini generali, e'
noto che le correnti marine o oceaniche sono flussi o movimenti di
masse d'acqua che si spostano orizzontalmente con moto regolare e
quasi costante. Questi trasferimenti sono principalmente dovuti alla
diversa densita' delle acque, alla salsedine, alla loro differente
temperatura, alla spinta dovuta all'attrito delle correnti
atmosferiche sulle acque e all'effetto dinamico della rotazione
terrestre. Le correnti marine equatoriali, relativamente piu' calde e
salate, risalgono verso le latitudini piu' fredde come la Corrente
del Golfo mentre quelle antartiche piu' fredde e pressoche' dolci,
scendono dalle latitudini piu' alte verso l'equatore come la corrente
del Peru'. In realta' la pesca delle acciughe al largo delle coste
del Peru' dipende molto dalla risalita verso le coste delle acque
fredde e profonde, apportatrici in superficie del plancton, elemento
base nutritivo. Quando cio' non succede si hanno indubbie
ripercussioni sulle abitudini alimentari dei pesci, compromettendo in
parte l'industria ittica nel Peru'. Per avere una conferma del
fenomeno e' sufficiente raffrontare le statistiche di questo secolo
dove lo scarso regime di pescosita' peruviano coincide con la
presenza del «Nino» nell'Oceano Pacifico e le estati piu' calde
verificatesi sulla Terra negli anni 1909 - 1983 - 1987 - 1988 - 1990.
Ora, per spegnere insensati allarmismi, cio' che potra' accadere
nelle zone del Pacifico interessera' marginalmente le nostre regioni
sia per distanze geografiche che per conformazione geomorfologica. E'
indubbio pero' che «El Nino», come ha dimostrato nel passato,
partecipa in parte attivamente al processo di riscaldamento globale
del nostro pianeta con mutamenti delle caratteristiche fisiche e
dinamiche delle masse d'aria e variazioni dei venti, delle piogge e
della siccita'. L'atmosfera terrestre e' un sistema interattivo. Le
masse d'aria e le condizioni atmosferiche di una zona non possono
essere considerate come entita' a se' stanti, poiche' modificandone
una parte viene modificato il tutto. Le oscillazioni climatiche
possono essere causate dagli eventi atmosferici di altre regioni, e
viceversa. Potremo quindi attenderci anche noi sul nostro continente
temperature elevate ma non tali da provocare come nel passato
siccita' in Australia e riduzione della circolazione monsonica nel
Sud-Est asiatico. Giorgio Minetti
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. DOPO 260 ANNI DALLA FORMULAZIONE
Dimostrato da Wiles il teorema di Fermat
Due anni per controllare i calcoli all'Universita' di Gottinga
OAUTORE PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI matematica, storia della scienza
ONOMI DE FERMAT ANDRE', WILES ANDREW
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS mathematics, history of science
SI racconta che, all'inizio del secolo, un ricco industriale tedesco,
Paul Wolfskehl, innamorato di una donna bellissima che lo aveva
respinto, avesse deciso di suicidarsi. Ma qualche giorno prima di
attuare il suo folle gesto, aveva inziato a leggere un libro di
matematica che parlava del grande teorema proposto, senza
dimostrazione, da Fermat nel Seicento e che nessun matematico era
ancora riuscito a dimostrare. Wolfskehl resto' catturato dal teorema
e pensando di aver trovato la via per dimostrarlo si butto' a
capofitto nello studio della teoria dei numeri, dimenticando la sua
bella e i suoi tragici propositi. Anche se non riusci' nella sua
impresa matematica, grato a Fermat e al teorema che gli aveva salvato
la vita, decise di istituire un premio destinato a chi fosse riuscito
a trovare la dimostrazione. Un premio consistente, pari a circa tre
miliardi di lire attuali. Secondo un'altra versione, meno romantica,
Wolfskhel, scapolo impenitente, all'eta' di 47 anni venne obbligato
dalla sua famiglia a sposare una donna che lo rese infelice e che
arrivo' ad odiare. Per vendicarsi di lei, decise di cambiare
testamento, lasciando le sue fortune all'uomo che fosse riuscito a
dimostrare il teorema di Fermat, doveroso omaggio alla teoria dei
numeri, unica sua consolazione nell'inferno domestico. Il premio
venne annunciato nel 1908 e solo in quell'anno vennero presentate ben
621 dimostrazioni, tutte sbagliate. Alcuni giorni fa, dopo
novant'anni, finalmente il premio e' stato ufficialmente consegnato
ad Andrew Wiles, il matematico inglese che nel 1995 e' riuscito nella
storica impresa della quale i lettori di TuttoScienze hanno gia'
avuto ampi ragguagli su queste pagine. L'Accademia delle Scienze di
Gottinga, responsabile del premio e del controllo delle
dimostrazioni, aveva chiesto due anni di tempo per verificare il
risultato raggiunto da Wiles e solo oggi ha sciolto ogni riserva
decretando la validita' della sua diostrazione. La svalutazione ha
ridotto il premio a trentamila marchi, ma «e' molto piu' importante
di un premio Nobel» - ha sottolineato Heinz Wagner, il presidente
dell'Accademia durante la cerimonia di premiazione - perche' i Nobel
vengono assegnati ogni anno, mentre per il Premio Wolfskehl si e'
dovuto attendere novant'anni». E finalmente Fermat puo' riposare in
pace. Quello che e' stato il tormento dei matematici per 260 anni,
dal momento in cui venne annunciato nel 1637, noto come l'ultimo
teorema di Fermat, finalmente e' risolto, anche se sono in molti a
dubitare che Fermat avesse realmente trovato la dimostrazione che
diceva di non poter scrivere sul margine troppo ristretto del libro
che stava leggendo, l'Ari thmetica di Diofanto, dove aveva annotato
soltanto l'enunciato. Un teorema molto semplice che chiunque puo'
capire. Lo ricordiamo brevemente e senza usare formule matematiche
(chi fosse interessato all'argomento legga il bel libro di Andre'
Weil Teoria dei numeri, pubblicato da Einaudi). Un numero quadrato,
come ad esempio 25, puo' essere spezzato nella somma di due quadrati,
9 piu' 16, nel nostro caso. Quello che Fermat affermo' e' che questa
divisione non e' possibile con i cubi o con qualsiasi altro numero di
potenza superiore al due, in nessun caso. Ad esempio, 27, il cubo di
3, non puo' essere diviso nella somma di due cubi o 625, la quarta
potenza di 5, non puo' essere diviso nella somma di due numeri che
siano entrambi quarte potenze. Wiles, che oggi ha 44 anni, si trovo'
di fronte a questo teorema quando aveva soltanto dieci anni, leggendo
un libro preso in prestito alla biblioteca: «Sembrava cosi' semplice
- ricorda - tuttavia i grandi matematici del passato non erano
riusciti a risolverlo. Era un problema che io, un ragazzo di 10 anni,
potevo perfettamente capire. Mi resi conto in quel momento che non lo
avrei piu' abbandonato. Dovevo risolverlo. E all'inizio lo affrontai
pensando che Fermat, ai suoi tempi, non doveva certo conoscere piu'
matemtica di quella che conoscevo io». Dopo molti tentativi solo nel
1986, quand'era gia' docente alla Princeton University, Wile capi' di
essere sulla strada giusta. Decise allora di abbandonare ogni lavoro
che non fosse collegato all'Ultimo Teorema. Per sette anni visse come
un recluso, senza far parola ad alcuno della sua ricerca. «Il teorema
di Fermat - ricorda ancora Wiles - era l'unico mio pensiero. Il primo
quando mi svegliavo al mattino, quello che avevo in mente per tutta
la giornata e l'ultimo al momento di andare a dormire». Unica
distrazione i rari momenti dedicati alla moglie e ai tre figli. «Ogni
volta che ricorda la sua avventura, quella che definisce l'ossessione
della sua vita - dice Simon Singh, autore di un libro di successo,
Fermat's Last Theorem, pubblicato di recente, ma non ancora tradotto
in italiano - la sua voce si affievolisce, diventa esitante, tradendo
l'emozione che ancora prova a parlare del problema». Alla fine,
convinto di aver trovato la soluzione, nel 1993, decise di renderla
pubblica. Televisioni e giornali lo presentarono come «il piu' grande
matematico del secolo», il genio che aveva vinto la grande sfida. Ma
la sua odissea matematica non era ancora finita. Quando pensava ormai
di potersi concedere un meritato riposo e di godersi il suo momento
di gloria, due mesi dopo l'annuncio, venne scoperto un errore nella
sua dimostrazione. «Un errore cosi' astratto che non posso
descriverlo in modo semplice. Anche se dovessi spiegarlo a un
matematico - dice Wiles - dovrei chiedergli di avere pazienza di
studiare per due o tre mesi la parte della mia dimostrazione in cui
compare l'errore». Possiamo immaginare lo stato d'animo di Wiles,
costretto ad ammettere pubblicamente l'errore. Superata la crisi e il
desiderio di abbandonare tutto, sempre convinto della correttezza dei
suoi ragionamenti, riprese il suo manoscritto, riusci' a correggere
l'errore e ripresento', dopo due anni, la sua dimostrazione che ora,
con il Premio Wolfskehl, riceve una conferma definitiva. Questa
dimostrazione pero' e' un capolavoro di matematica moderna e questo
porta naturalmente ad escludere che sia quella a cui poteva aver
pensato Fermat. Sono molti i matematici che intendono continuare la
ricerca per scoprire la prova che Fermat aveva in mente: la storia
dell'Ultimo Teorema non e' ancora finita. Federico Peiretti
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
INSUFFICIENTE RACCOLTA DIFFERENZIATA
Nella spazzatura ogni anno 10 mila tonnellate di pile
Al consumo normale si sono aggiunte anche le batterie esauste di 4
milioni di telefonini
OAUTORE PAVAN DAVIDE
OARGOMENTI ecologia, rifiuti, riciclaggio
OORGANIZZAZIONI TELECOM ITALIA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology, waste, laundering
ODIATI al cinema e a teatro, banditi dagli aerei, i telefonini sono
ora accusati anche di arricchire ogni anno di oltre 4 milioni di
pezzi il quantitativo di pile scariche da smaltire. Tanti sono
infatti i cellulari - secondo Telecom Italia mobile (Tim) -
attualmente in Italia, ed ognuno di essi e' dotato di una batteria
con durata media di un anno. Le pile dei telefonini (e non solo),
vengono raccolte dalle aziende municipalizzate di igiene urbana
insieme con le altre pile in specifici contenitori: ma la raccolta
differenziata non ha avuto finora particolare successo, nonostante la
legge le consideri «rifiuti urbani pericolosi» e imponga ai Comuni il
loro recupero. A fronte di un quantitativo annuo di circa 400 milioni
di pezzi venduti (pari a 15.000 tonnellate, dati Federambiente), la
raccolta si effettua solo in alcune regioni e non supera il 30%,
attestandosi in media su valori ben inferiori. Fortunatamente
l'innovazione tecnologica che ha interessato negli ultimi anni le
pile di maggior diffusione ha ridotto i rischi ambientali legati al
contenuto in metalli pesanti (mercurio e cadmio principalmente). E'
possibile distinguere le pile sul mercato in due tipi: quelle per uso
di massa (90% del totale) e quelle per uso specialistico (10%). Negli
impieghi di massa (registratori, telefonini, ecc.) trovano
applicazione le cosiddette «pile comuni» (zinco/carbone, manganese
alcaline), mentre negli impieghi specialistici si usano pile
miniaturizzate (zinco/ossido di mercurio, zinco/aria, zinco/ossido di
argento, alcaline, litio). Indipendentemente dal tipo di consumo,
tutte le pile, ad eccezione di quelle al litio, utilizzano lo zinco
come elettrodo negativo. Questo impiego e' dovuto a caratteristiche
quali la leggerezza, l'elevata elettropositivita' e il basso peso
equivalente; ma per impedire fenomeni di corrosione fino a poco tempo
fa si usava aggiungere un'amalgamazione superficiale con mercurio,
mentre per aumentare la resistenza meccanica dello zinco venivano
utilizzate piccole quantita' di cadmio. Oggi il quadro si presenta
significativamente mutato sotto la spinta di due fattori:
l'evoluzione del mercato e il problema ambientale. Da un lato la
varieta' delle applicazioni ha favorito la penetrazione di sistemi
piu' evoluti a scapito delle tradizionali pile zinco/carbone.
Dall'altro le preoccupazioni ambientali hanno stimolato la ricerca di
soluzioni tecniche che riducessero il contenuto in cadmio e mercurio.
Una direttiva della Comunita' europea entrata in vigore nel 1993 ha
stabilito il divieto di mettere in commercio pile alcaline contenenti
piu' dello 0,025% in peso di mercurio. Tale obiettivo e' stato in
realta' raggiunto dai produttori fin dal 1990, modificando la
struttura metallurgica dello zinco ed ottenendo un modello totalmente
privo di mercurio (mercury free). Si pensi che solo 10 anni fa le
pile alcaline per uso di massa contenevano mediamente l'1% di
mercurio. Lo sviluppo tecnologico ha portato anche alla messa a punto
di un modello zinco/cloruro che rappresenta oggi l'evoluzione piu'
moderna della pila zinco/carbone. Tale modello adotta un elettrolita
acquoso a base di cloruro di zinco che opera ad un livello di
acidita' inferiore, migliorando le prestazioni e consentendo
l'eliminazione totale di cadmio e mercurio. Nel settore degli
impieghi specialistici la rivoluzione tecnologica e' rappresentata
dalle pile al litio. Per le sue caratteristiche (bassissimo peso
equivalente, elevata elettropositivita', non tossicita') il litio ha
attratto da oltre vent'anni l'attenzione degli elettrochimici, ma i
risultati pratici hanno tardato poiche' non si trovava un sistema per
aggirare la sua caratteristica di instabilita' all'acqua che ne
impediva l'impiego con i normali elettroliti acquosi. Oggi sono in
commercio diversi tipi di pile al litio che stanno gradualmente
soppiantando le pile zinco/aria e zinco/ossido di argento. Un
problema a parte e' infine rappresentato dalle pile zinco/ossido di
mercurio, in cui il mercurio e' un elemento attivo contenuto in
quantita' elevata (circa il 30%). La sostituzione di queste pile e'
ostacolata dalla vita residua delle apparecchiature progettate in
origine per tale alimentazione. In questo caso il rimedio provvisorio
e' il trattamento delle pile scariche in centri specializzati per il
recupero del mercurio e l'inertizzazione delle scorie in conglomerato
cementizio. Davide Pavan
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SUL GOLFO DI POZZUOLI
La Citta' della Scienza
A Napoli in un'antica fabbrica
OAUTORE FERRANTE ANNALINA
OARGOMENTI didattica, tecnologia
ONOMI SILVESTRINI VITTORIO
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE IDIS
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, NAPOLI (NA)
OSUBJECTS didactics, technology
NAPOLI, citta' laboratorio del terzo millennio, ha realizzato un
sogno che si affaccia sul golfo di Pozzuoli. Un'antica fabbrica di
fertilizzanti che copre un'area di sessantacinquemila metri quadrati
tra Bagnoli e Caroglio, un vero e proprio esemplare di archeologia
industriale che ospita edifici industriali della meta' dell'800 di
alto valore artistico e storico, e' stata trasformata nella prima
Citta' della Scienza italiana. Si deve alla Fondazione Idis, che da
anni organizza incontri e mostre scientifiche con l'inconfondibile
sigla di «Futuro Remoto», l'impegno e il lavoro concreto di creare un
vero e proprio Science Center, un grande complesso interamente
dedicato alla cultura scientifica e tecnologica che non solo
rappresenta un primo esempio di rilancio culturale, turistico ed
economico dell'area di Bagnoli, ma lancia il nostro Paese al passo
con quanto gia' accade in altri Paesi europei. La filosofia e' la
stessa che da sempre caratterizza l'attivita' della Fondazione Idis:
oltrepassare le barriere che ancora separano i campi - scientifico e
umanistico - della conoscenza umana; rendere consapevoli che lo
sviluppo del sapere scientifico, della scienza e della tecnologia
insieme, concorre al benessere dell'umanita'; che questo patrimonio
culturale e' un patrimonio collettivo e che la partecipazione sociale
a questo bene comune e' necessaria alla sua evoluzione. In questa
area sono attualmente operativi 5500 metri quadrati coperti e 7500
metri quadrati all'aperto. Entrando, si percepisce immediatamente la
differenza con il museo scientifico tradizionale: non piu'
esposizione e catalogazione, ma «Museo Vivo della Scienza», percorsi
interattivi dove, in un'alchimia di curiosita', sorpresa e
divertimento, il visitatore, protagonista e sperimentatore al tempo
stesso, e' sollecitato a un primo contatto con le tematiche e i
fenomeni scientifici. Una serie di aree permanenti permettono di
effettuare un percorso conoscitivo su alcuni dei principi basilari di
svariate discipline scientifiche e di realizzare, con alcuni semplici
esperimenti, la conoscenza di un fenomeno, come nella Palestra della
Scienza. Oppure di fare quattro passi nell'Universo tra plastici,
modelli e strumentazioni, nella sezione dedicata all'Astronomia. Una
visita alla parte dedicata ai vulcani e' quasi d'obbligo, visto il
contesto in cui ci troviamo, e da' l'opportunita' di approfondire le
fenomenologie vulcaniche, la loro pericolosita' e il loro effetto
sull'ambiente mentre l'area dedicata al corpo umano fa riflettere su
alcuni aspetti della medicina proponendo un itinerario in cui la
conoscenza biologica si intreccia con i significati culturali e
sociali di concetti come «salute», «benessere», «malattia». Questi
alcuni esempi, ma il «Museo vivo della Scienza» non esaurisce qui le
sue sorprese: il visitatore puo' continuare il suo viaggio attraverso
il Museo Virtuale, la Mediateca, luogo privilegiato di consultazione,
sperimentazione e intrattenimento e il Laboratorio per l'educazione
della Scienza, uno spazio dedicato alla sperimentazione e
all'educazione permanente. Non poteva mancare naturalmente l'Officina
dei Piccoli, un'area dedicata esclusivamente ai bambini in eta'
prescolare ed elementare, come nella tradizione dei piu' grandi
science centers internazionali, per esaltare, attraverso il gioco, le
capacita' esplorative e conoscitive dei bambini e dare loro
l'opportunita' di entrare a pieno titolo nel mondo della scienza.
«Questa iniziativa - ci racconta il prof. Vittorio Silvestrini,
fisico dell'Universita' di Napoli, cordiale e appassionato ospite
oltre che deus ex machina della Fondazione Idis - non vuole
riproporre un concetto statico e monumentale della scienza ma, al
contrario, qualcosa di vivo e di coinvolgente. Non luoghi di semplice
«divulgazione», ma laboratori aperti dove la scienza si confronti con
il sociale e metta continuamente in discussione con la gente i propri
risultati e le proprie scelte». «Il sapere scientifico» - continua il
Prof. Silvestrini - «non puo' essere strumento di profitto per pochi,
ma, diventando patrimonio collettivo, si deve tradurre in benessere
per tutti. Questo progetto e' strettamente legato al territorio in
cui opera e il nostro obiettivo e' quello di partecipare con esso
alla crescita culturale, economica e produttiva del Mezzogiorno».
Infatti, per rafforzare il rapporto tra scienza e qualita' della
vita, la Fondazione Idis ha deciso di intervenire in modo efficace
nella promozione dello sviluppo locale e una parte del complesso
della Citta' della Scienza e' dedicato alla nascita e alla crescita
di piccole imprese che operano nel campo della cultura e dei servizi,
fornendo infrastrutture e servizi. Il futuro, dunque, e' appena agli
esordi: man mano che la citta' della Scienza crescera', si
arricchira' di cinema, sale per concerti e congressi, mostre e
iniziative di ogni genere. E ogni volta sara', come promesso,
sorpresa, emozione e curiosita': la gente passa, guarda, tocca,
partecipando cosi' alla storia delle idee e all'evoluzione del sapere
scientifico. Annalina Ferrante
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
FRONTIERE
I nano-robot tra scienza e pura follia
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI tecnologia, elettronica
ONOMI FEYNMAN RICHARD, MCLELLAN WILLIAM, VON NEUMANN JOHN
OORGANIZZAZIONI AMERICAN PHYSICAL SOCIETY, CORNELL UNIVERSITY
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, NEW YORK, ITHACA
OSUBJECTS technology, electronics
LE chiamano nanotecnologie. Dove «nano» non significa nano ma e' il
prefisso che per convenzione indica un miliardesimo di una qualsiasi
unita' di misura e, per estensione, di qualsiasi oggetto. Un
nanometro e' dunque un miliardesimo di metro, un nanosecondo un
miliardesimo di secondo, un nanobuttiglione un miliardesimo
dell'onorevole Buttiglione (entita' davvero molto piccola). Possiamo
collocare nel 1959 la nascita delle nanotecnologie. In quell'anno
Richard Feyn man - che nel 1965 ricevera' il Nobel per i suoi lavori
sulle particelle subnucleari - intervenendo all'assemblea
dell'American Physical Society parlo' della possibilita' di costruire
in dimensioni microscopiche macchine allora, e tuttora, molto
ingombranti. Per stimolare le ricerche in questa direzione, Feynman
mise in palio mille dollari per chi riuscisse a realizzare una pagina
di libro 25.000 volte piu' piccola di quelle normali e un motore
elettrico non piu' grande di un cubo di 4 millimetri di lato. Il
bando di concorso usci' su «Engineering and Science», prestigiosa
rivista del Caltech, e su «Popular Science Monthly», dove ricevette
il titolo «Come costruire un'automobile piu' piccola di questa
virgola». Feynman, probabilmente il fisico piu' geniale del secolo
dopo Einstein e certamente buon suonatore di bongo, gia' tre mesi
dopo dovette versare mille dollari all'ingegner William McLellan, che
gli presento' un motore elettrico dalle misure stabilite e dalla
potenza di un milionesimo di cavallo vapore. Non aveva contante,
firmo' un assegno. Gli altri mille dollari li sborso' 25 anni dopo
allo studente Thomas H. Newman, che nel 1985 incise la minuscola
pagina con la tecnica dei chip elettronici. Oggi le nanotecnologie
diventano una realta' grazie al fatto che si sta imparando a
osservare e a manipolare la materia molecola per molecola, atomo per
atomo. I microscopi a effetto tunnel e a forza atomica sono strumenti
che spianano la strada suggerita da Feynman; la nanochitarra lunga 10
millesimi di millimetro costruita alla Cornell University e' poco
piu' di una curiosita', ma dimostra che il traguardo e' a portata di
mano. Eniac, il primo computer, occupava un appartamento e pesava
decine di tonnellate. La sua potenza di calcolo oggi ce la portiamo
nel taschino della giacca. Il robot «Sojourner» che sta esplorando
Marte pesa dieci chili ed e' grande come una valigetta 24 ore. Di
questo passo le sonde spaziali del futuro saranno presto poco piu'
grandi di un insetto. E forse un giorno vedremo davvero quei
minuscoli robot «costruttori universali» immaginati da John von
Neumann, il padre del computer: cioe' dei robot capaci di costruire,
partendo da materia prima bruta, qualsiasi congegno, e quindi anche
una copia di se stessi. Il fisico Frank Tipler (Tulane University,
Usa) ha verificato che un «costruttore universale» potrebbe pesare
molto meno di 100 grammi. Ecco la dimostrazione. Il robot di von
Neumann dovrebbe avere come minimo le capacita' intellettuali di un
essere umano. Il nostro cervello contiene cento miliardi di neuroni e
puo' memorizzare 10 elevato alla quindicesima bit, equivalenti a 100
milioni di libri. Questa potenzialita', nel caso del cervello umano,
e' contenuta in un organo che pesa un chilo e mezzo. Attualmente si
ammette che e' gia' possibile codificare un bit ogni 20 atomi. In
futuro, con i calcolatori quantistici, e' pensabile che si arrivi a
un bit ogni atomo. Cento grammi di materiale piu' leggero del ferro
contengono 10 alla ventiquattresima atomi. Poiche' la potenzialita'
cerebrale umana equivale a 10 alla 15 bit, in 100 grammi di materia
si possono codificare 10 alla 24 bit: un miliardo di volte il
contenuto di un cervello. Anche ammettendo che un singolo costruttore
universale di von Neumann abbia bisogno delle competenze di centomila
cervelli umani, cioe' di 10 alla 20 bit, un oggetto nanotecnologico
dal peso di 100 grammi potrebbe contenere diecimila costruttori
universali. La popolazione di una piccola citta'. Vista cosi', la
colonizzazione dell'universo sembra qualcosa di (remotamente)
realizzabile. Ma non dimentichiamo che tra il genio e la follia
talvolta il confine e' sottile. Piero Bianucci
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Autori vari: "Disordini del comportamento alimentare", Pythagora
Press
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI psicologia, medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS psychology, medicine and physiology
Anoressia e bulimia sono disturbi sempre piu' diffusi e spesso con
conseguenze molto gravi per chi ne e' vittima. Questo volume,
curato da Eugenio Muller e Francesca Brambilla nella collana della
Societa' di neuroscienze affronta queste patologie con il
contributo di una ventina di autori.
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Autori vari: "Oltre le due culture", Rubettino
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS research
Frutto di un convegno internazionale svoltosi nel 1995
all'Accademia delle Scienze di Torino, il volume "Oltre le due
culture" ha un titolo molto esplicito, e anche programmatico. La
curatrice, Magda Talamo, vi ha raccolto interventi di scienziati e
pensatori che vanno da Edgar Morin a Tullio Regge, da Giulio
Giorello a Luciano Gallino, da Levy Leblond a Peter Singer. Un
appello al superamento delle divisioni disciplinari, valido non
solo tra ambito umanistico e scientifico, ma anche in ciascuno di
questi ambiti, al fine di ritrovare il senso globale del sapere, al
di la' delle sempre piu' numerose e pur necessarie specializzazioni.
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Dal transistor
a Internet
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
Il dipartimento di fisica dell'Universita' di Trento ha realizzato
un interessante Cd-rom didattico dal titolo "1947-1997: dal
transistor a Internet. Per informazioni, fax: 0461-881.605.
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ANTIBIOTICI IN CRISI
Microbi sempre piu' resistenti
In tutto il mondo frenetiche ricerche di nuove molecole efficaci
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
C'E' il rischio, nella lotta contro le malattie infettive, di
ritornare all'epoca pre-antibiotica, ossia di retrocedere di una
settantina di anni, come se gli antibiotici non fossero mai
esistiti.
L'attuale mercato mondiale degli antibiotici, rappresentante 20
miliardi di dollari, comprende 50 penicilline, 70 cefalosporine, 12
tetracicline, 9 macrolidi, 8 aminoglicosidi e via enumerando. Ma a
dispetto di questa fioritura, fino dagli Anni 80 comincio' a
incrinarsi la convinzione che ormai tutti i problemi della
patologia infettiva (da batteri, non da virus) fossero risolti
dalla disponibilita' di antibiotici potenti e molteplici. Ci si
avvide infatti del manifestarsi d'una preoccupante resistenza da
parte dei batteri, resistenza progressivamente aumentata fino a far
temere oggi, come dicevamo, nientemeno che un ritorno all'era pre-
antibiotica.
Sono tre, biochimiche e genetiche, le linee della difesa con la
quale i batteri resistono agli antibiotici. Primo, il rivestimento
del batterio diventa meno permeabile al farmaco; secondo, i
processi biochimici vitali del batterio, bersagli dell'antibiotico,
si modificano; terzo, il piu' importante, i batteri producono
enzimi, per esempio la beta-lattamasi, capaci di rendere inattivo
l'antibiotico. A cio' si aggiungono due fattori riguardanti l'uso
scorretto degli antibiotici: somministrazione insufficiente oppure
troppo prolungata.
In ogni specie batterica vi e' sempre, preesistente, una minoranza
refrattaria all'antibiotico, che minoranza rimane fino a che
l'antibiotico non stermina la maggioranza: allora la minoranza,
proprio grazie all'antibiotico, trova via libera per moltiplicarsi
senza freni, il che illustra perfettamente il concetto darwiniano
della sopravvivenza del piu' adatto. E' come se l'antibiotico non
fosse mai esistito.
Particolarmente inquietante e' oggi la resistenza a Staphylococcus
aureus (setticemie, infezioni cutanee, osteoarticolari,
pleuropolmonari), Streptococcus pneumoniae (infezioni
respiratorie), Neisseria gonorrhoeae (blenorragia), Salmonellae
(tifo, paratifi), Shigellae (dissenteria).
Dagli Stati Uniti giungono notizie allarmanti anche per il
Mycobacte rium tuberculosis.
Sono all'ordine del giorno ricerche sulle possibilita' di far
fronte a questa situazione. In tutto il mondo si lavora per trovare
nuovi agenti anti-infettivi. La principale strategia e'
identificare nei batteri nuovi bersagli sui quali agire fabbricando
apposite molecole, i nuovi antibiotici. I geni implicati nella
sintesi delle proteine della cellula batterica vengono clonati e
servono come base per la ricerca di nuove molecole. Un altro
indirizzo consiste nell'identificare geni essenziali alla
sopravvivenza dei batteri, un altro ancora nell'investigare sui
peptidi (lattoferrine, peptide della pelle dei batraci, bacte rial
permeability-inducing peptide) selettivi per la parete batterica.
Le principali molecole gia' arrivate, o prossime, ad una
applicazione clinica (vedi Scienze 1955, "Antibiotici resistenti
alla resistenza"), sono Oxazolidinoni, Glicicline, Streptogramine,
Ketolidi, Fluorochinoloni, ecc.
Ma se si vuole evitare il ritorno all'era pre-antibiotica la sola
ricerca di nuove molecole non e' sufficiente, occorrono anche altre
misure quali la riduzione del consumo di antibiotici e una
razionale strategia terapeutica. Tecniche rapide di identificazione
delle specie batteriche e delle resistenze dovrebbero contribuire a
migliorare gli schemi terapeutici.
Ulrico di Aichelburg
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Premio Galeno
per un farmaco
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica,medicina
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS research, medicine
Un farmaco per la fertilita' prodotto con la tecnica del Dna
ricombinante ha vinto il Premio Galeno 1997. La consegna e'
avvenuta a Milano. Nel mondo, l'8 per cento delle coppie
ha problemi di fertilita'.
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Il pericolo radon
discusso a Venezia
OGENERE breve
OARGOMENTI geografia e geofisica
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS geography and geophisics
Il radon e' un gas radioattivo che traspira dal suolo, specie in
particolari situazioni geologiche. Dei rischi connessi si e'
parlato in un convegno a Venezia. Informazioni: 041-53.45.16.
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ESPERIMENTI A YALE
Forse una nuova arma: il plasmide
Una proteina artificiale rende di nuovo vulnerabili i batteri
OAUTORE FRONTE MARGHERITA
OARGOMENTI medicina e fisiologia, ricerca scientifica
ONOMI ALTMAN SIDNEY
OORGANIZZAZIONI YALE UNIVERSITY
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, research
LA guerra ai batteri non conosce tregua. E se la scoperta della
penicillina e degli antibiotici sembrava aver determinato la
vittoria dell'uomo sui piccoli organismi portatori di infezioni, i
batteri hanno risposto costruendo efficaci barriere genetiche, in
grado di proteggerli dall'azione di numerosi farmaci.
L'ultimo allarme arriva da un ospedale del Michigan: nelle sue
corsie si annida un ceppo di Staphy lococcus aureus resistente alla
vancomicina, il farmaco considerato dai medici l'ultima spiaggia
per combattere le infezioni provocate da microrganismi resistenti
all'azione degli antibiotici piu' comuni.
Ma quello statunitense non e' un caso isolato; e la questione e'
tutt'altro che irrilevante se si considera che ormai il 40 per
cento della popolazione di Streptococcus pneumo niae, il batterio
responsabile di meningiti, otiti, sinusiti e di altre comuni
infezioni, e' resistente alla penicillina, mentre molte altre
malattie, come la tubercolosi o la gonorrea, sono sempre piu'
difficili da curare utilizzando gli antibiotici in commercio. Ad
ogni nuova segnalazione cresce fra i medici la preoccupazione per i
super-batteri. Come fermarli? Una risposta efficace potrebbe
giungere da un recente studio condotto dal gruppo di ricerca del
premio Nobel per la medicina Sidney Altman, all'Universita' di
Yale. Alt man e i suoi colleghi hanno infatti deciso di combattere
i batteri sul loro stesso terreno, utilizzando cioe' il medesimo
procedimento che i microrganismi adottano per acquisire la
resistenza agli antibiotici, scambiandosi piccole quantita' di
materiale genetico.
Si tratta di un meccanismo che ha per protagonisti due batteri e
una molecola di Dna circolare, che i microrganismi chiamano
plasmide, e in cui sono contenute le informazioni necessarie a
conferire la resistenza a un certo antibiotico. Se uno dei due
batteri possiede il plasmide, in certe condizioni non gli sara'
difficile regalarne una copia al compagno che ne e' sprovvisto,
trasmettendogli cosi' l'immunita' al farmaco.
Il gruppo di Altman ha costruito in laboratorio alcuni plasmidi
artificiali che, se incorporati in un batterio resistente, sono in
grado di bloccare l'azione del Dna che protegge il microrganismo
dagli antibiotici, impedendo di fatto la sintesi della proteina che
rende inefficace il farmaco. Proprio come il cavallo di Troia, e
seguendo le naturali vie di trasmissione, questi plasmidi
artificiali possono passare da un batterio all'altro, ripristinando
la vulnerabilita' alle cure. Secondo Altman questo stratagemma
potrebbe essere utilizzato anche per neutralizzare la produzione di
tossine da parte di alcuni microrganismi che, come il botulino,
avvelenano cibi e acqua.
Al momento tuttavia l'applicazione piu' interessante sembra
riguardare i batteri resistenti agli antibiotici. Il metodo
elaborato a Yale e' comunque ancora in fase sperimentale, e in
attesa di una soluzione al difficile problema le organizzazioni
internazionali raccomandano ai medici prudenza nell'uso degli
antibiotici, una maggiore attenzione verso l'insorgenza delle
infezioni batteriche resistenti, e controlli accurati negli
ospedali, mentre le industrie farmaceutiche si affannano in una
corsa alla ricerca di nuovi farmaci verso cui i batteri non hanno
ancora sviluppato alcuna difesa.
Margherita Fronte
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
I NOSTRI CD
Einstein,
Tuttoscienze
e un libro
OARGOMENTI elettronica, editoria
OORGANIZZAZIONI LA STAMPA, TUTTOSCIENZE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS electronics, publishing
IL successo in edicola dei Cd- rom prodotti da "Tuttoscienze" e'
stato superiore a ogni aspettativa. Ma in edicola i prodotti
rimangono per poco tempo. Cosi' molti lettori sono arrivati troppo
tardi. Abbiamo quindi pensato a una ordinazione tramite il
tagliando qui pubblicato. Sono disponibili su Cd-rom cinque annate
di "Tuttoscienze" (3000 articoli dal '92 al '96) piu' il libro di
Piero Bianucci "Piccolo, grande, vivo: storie di quark, galassie,
uomini e altri animali" a 29.900 lire, e il Cd-rom dedicato a
Einstein in cui Tullio Regge spiega la relativita', a lire 24.500.
Pagamento contrassegno (spese di spedizione incluse). Entrambi i
Cd-rom sono per personal computer; quello sulla relativita'
richiede un pc multimediale.
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Sordita'
malattia sociale
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Un italiano su mille e' colpito da sordita' totale, i sordomuti in
Italia sono 40 mila; ma solo 350 sono finora gli impianti cocleari
inseriti, una tecnologia biomedica che puo' risolvere alcuni casi
di sordita'. Inoltre poche Regioni rimborsano questo intervento.
Sono dati del congresso della Societa' italiana di audiologia che
si e' svolto a Roma il 13-15 novembre.
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Fronte Margherita: "Campi elettromagnetici: innocui o dannosi?",
Avverbi Ed.
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS medicine and physiology
I tralicci dell'alta tensione, il forno a microonde, i telefonini,
il rasoio elettrico, i ripetitori della televisione, i computer:
viviamo immersi in un invisibile smog di campi elettromagnetici. E
sono in molti a domandarsi se questo smog che sfugge ai nostri
sensi non sia dannoso quanto, e forse piu', dello smog che
respiriamo. Margherita Fronte, biologa, master in comunicazione
scientifica alla Scuola internazionale di studi superiori
dell'Universita' di Trieste, giornalista specializzata nella
divulgazione, ha cercato di fare chiarezza su questa che e' una
delle questioni piu' controverse. Premesso che non si puo' fare un
discorso generale perche' si tratta di campi magnetici molto
diversi per intensita' e, se oscillanti, per lunghezza d'onda, la
conclusione del libro e' che mancano tuttora dati scientifici
definitivi, ma si puo' ritenere che in gran parte l'allarme sia
ingiustificato. L'Oms sta sviluppando una sua ricerca: vedremo con
quale esito.
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Galston Arthur: "I processi vitali delle piante", Zanichelli
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS botany
La piramide dei cinque e piu' milioni di specie appoggia la sua
base sul regno vegetale, e in particolare sul meccanismo della
fotosintesi, attraverso il quale la materia inanimata diventa
materia vivente. Questo bel saggio di Galston (Yale University)
offre un quadro aggiornato della fisiologia vegetale, rivelando
molti aspetti nuovi sulle strategie di sopravvivenza delle piante.
Piero Bianucci
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
VERSO LA MONETA VIRTUALE
I soldi? Saranno bit
Come battere i ladri informatici
OAUTORE BERGADANO FRANCESCO, CRISPO BRUNO
OARGOMENTI elettronica, informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS electronics, computer science
DOPO libri contabili, agende, lettere, dizionari, fotografie e ogni
altro patrimonio un tempo esclusivo della carta stampata, ora anche
la banconota si appresta ad ammettere surrogati digitali, in molti
contesti preferibili all'originale cartaceo. Potremo cosi' fare
molti acquisti direttamente dal nostro personal computer. Vale la
pena di capire come questo sia possibile.
La trasformazione in bit e byte del desiderato biglietto avverra'
in modo graduale e diversificato. La forma di pagamento piu'
semplice e oggi piu' diffusa sulla rete Internet e' quella tramite
carta di credito: il numero della carta viene trasmesso al momento
dell'acquisto.
In questo l'uso del calcolatore e' soltanto strumentale: avremmo
potuto informare il venditore del numero della nostra carta anche
per telefono, o per fax, o persino con segnali di fumo. Purtroppo
le comunicazioni via Internet sono, come i segnali di fumo, di
facile intercettazione. Altrettanto facilmente esse possono essere
riprodotte: il numero di carta di credito, finito nelle mani
sbagliate, potra' essere utilizzato in nuovi pagamenti,
all'insaputa del legittimo intestatario.
Il problema puo' essere risolto ricorrendo a comunicazioni
cifrate, ma rimane l'impossibilita' di risolvere contenziosi: chi
ha comprato in un secondo momento puo' negare di averlo fatto, chi
ha venduto potra' modificare il prezzo concordato. Soprattutto per
quest'ultimo motivo l'uso della carta di credito per pagamenti
elettronici non andra' probabilmente oltre le applicazioni attuali,
quali la vendita di libri e Cd.
Le forme di pagamento che permettono di superare questi problemi
sono l'assegno elettronico e la banconota digitale. Entrambi
infatti escludono la possibilita' di falsificazione e impediscono
che gli acquisti siano ritrattati. La banconota digitale, inoltre,
come la sorella in filigrana, permette forme di pagamento anonimo.
Questo e' possibile mediante firme elettroniche dette "cieche", in
cui cioe' il testo che viene sottoscritto non e' completamente
visibile da parte di chi firma.
Il procedimento puo' essere meglio compreso attraverso l'analogia
rappresentata in figura, dove viene usata una banconota di carta e
un pezzo di nastro adesivo coprente. L'utente sceglie il numero di
serie N, e predispone una banconota dove e' anche riportato il
valore in lire (rappresentata in alto a sinistra nella figura). Ma
prima di rivolgersi alla banca per ottenere la firma, il cliente
copre con il nastro adesivo il numero di serie N. Questo numero,
per ora, alla banca non serve. Cio' che le serve e' il valore della
banconota, che dovra' essere addebitato sul conto del cliente.
Quest'ultimo, rimuovendo il nastro adesivo, otterra' una banconota
completa di firma e numero di serie, pronta per essere spesa
(rappresentata in basso a sinistra nella figura). Nella realta' dei
pagamenti elettronici, carta e nastro adesivo vengono sostituiti da
numeri.
Piu' precisamente, l'utente scegliera' un numero casuale R, che
combinera' con il numero di serie N. Il risultato, con
l'indicazione del valore della banconota richiesta, verra' quindi
fornito alla banca, per ottenere la firma elettronica. La banca
dedurra' la stessa somma dal conto del cliente, ma non sara' in
grado di conoscere e prendere nota del numero di serie N. Il
cliente pero', conoscendo sia N che R, puo' estrarre la sola
componente relativa ad N, ovvero la banconota firmata e
contrassegnata da controvalore e numero di serie.
Resta pero' un grave problema, il piu' difficile da risolvere. La
banconota elettronica, come tutto cio' che e' digitale, e'
perfettamente duplicabile; la copia, immune da ogni difetto di
disegno, trasparenza o spessore, non puo' essere distinta
dall'originale. La banca deve pertanto evitare che uno stesso
numero di serie venga utilizzato in piu' di un acquisto. Le
soluzioni proposte seguono essenzialmente due schemi: in linea o
differito.
Con la modalita' in linea il venditore deve controllare la
validita' della banconota contattando la banca prima di dare la
merce al cliente. La banca riceve la banconota e verifica che il
numero di serie non sia stato utilizzato in precedenza; solo in
questo caso l'acquisto viene autorizzato. Poi il numero di serie
viene inserito nell'archivio delle banconote gia' spese, e il
controvalore della banconota viene accreditato sul conto del
venditore. Questa soluzione e' dispendiosa perche' richiede una
comunicazione con la banca per ogni acquisto.
Le soluzioni con modalita' differita porterebbero a risparmiare
molti di questi costi, ma sono ancora insoddisfacenti perche'
permettono di dimostrare che una banconota e' stata spesa due o
piu' volte, ma non permettono di stabilire da chi.
In alternativa, viene richiesto l'uso di dispositivi hard ware:
detti "tamper-proof" (a prova di scasso), costruiti in modo da
impedire alla stessa banconota di essere spesa piu' volte. La
comunita' scientifica e' pero' divisa riguardo la reale robustezza
di queste apparecchiature, che inoltre comportano per il cliente
costi non trascurabili. Le forme di pagamento consigliabili a medio
termine sono quindi due: assegno elettronico, che non richiede
controlli in linea ma porta all'identificazione dell'acquirente, e
banconota digitale, con controllo immediato per evitare la doppia
spesa.
Francesco Bergadano
Universita' di Torino
Bruno Crispo
University of Cambridge
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Verso Saturno
"Cassini" sta bene
OGENERE breve
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
Si e' svolto a Perinaldo un incontro che ha fatto il punto sulla
missione "Cassini" lanciata verso il pianeta Saturno il 15 ottobre
scorso; tutto procede per il meglio. L'iniziativa rientra nelle
celebrazioni cassiniane indette dal Comune di Perinaldo, terra di
origine del grande astronomo.
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Astronomia
a Brera
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy
Conferenze e visite guidate alla collezione di strumenti
astronomici antichi di Palazzo Brera, a Milano. Prenotazioni, tel.:
02- 783.528.
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
MONDO DIGITALE
Internet, negozio virtuale
I prodotti diventano immateriali
OAUTORE D'AMATO MARINA
OARGOMENTI comunicazioni, elettronica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS communication, electronics
L'IMMAGINE di quei due uomini che avevano imparato a memoria Guer
ra e pace, tomo primo e tomo secondo, e che per tramandarlo alla
posterita' lo ripetevano camminando in un giardino ombroso, non ha
solo segnato la storia del cinema con l'ultima scena di "Fahrenheit
451" di Francois Truffaut, ma per piu' di una generazione ha
rappresentato la supremazia della cultura scritta su tutte le
altre. Nel film si bruciavano i libri, evocando nella memoria
storica gli incendi voluti dal nazismo, ma ponendo in maniera
catastrofica una questione allora solo ipotizzabile. Puo' esistere
la cultura senza la sua materializzazione? L'incendio dei libri e'
stato sempre accompagnato dall'idea di morte della cultura; ma oggi
e' ancora cosi'? Le infinite possibilita' di Internet sono in
antagonismo con la cultura del libro?
Si e' teorizzato che l'invenzione della stampa e la conseguente
diffusione dei libri sono all'origine di tre rivoluzioni: quella
scientifica, quella politica e quella sociale (Eisenstand, Le
rivoluzioni del libro, il Mulino, 1995) e quindi inizio e base
della modernita'. Cio' che si teorizza a proposito delle
innovazioni tecnologiche telematiche oscilla tra l'apoteosi e il
catastrofismo ribadendo l'antico dibattito tra gli apocalittici e
gli integrati che si e' sviluppato contestualmente al diffondersi
dei mezzi di comunicazione di massa.
Gli eventi che caratterizzano la cultura digitale sembrano
prevaricare persino il dibattito che li circonda per la velocita'
con cui riescono a far divenire obsolete le questioni. Forse, anche
quella piu' generale di tutte che concerne non tanto la direzione e
il senso della cultura del bit, ma quella che la definisce. Stiamo
vivendo la trasformazione della cultura scritta dall'analogico al
digitale o stiamo annullando gli oggetti che rappresentano questa
nuova possibilita' di interazione conoscitiva? L'ampliarsi della
"rete" presuppone la fine dei cd? E questo implica di fatto la fine
della cultura che si rappresenta con un oggetto, libro prima,
compact adesso?
Il titolo del convegno, "Ignite the web", svoltosi a San Francisco
in ottobre, organizzato da Macromedia e dedicato come ogni anno
all'utenza, implicava nel suo doppio senso (accendi e/o brucia la
rete) il significato profondo del dibattito attuale intorno a
Internet. Cio' che e' apparso evidente dalle conferenze, dalle
tavole rotonde e soprattutto dalla fiera che accompagnava con i
prodotti le nuove idee, e' stato il nuovo possibile sviluppo della
vita sulla rete determinato piu' ancora che dai suoi contenuti,
dalla sua velocita'.
Se fino alla scorsa stagione - ma in questo mondo e' lontana un
secolo - l'obiettivo per l'uso di massa di Internet era ancora
costituito dalla predisposizione di un'interfaccia piu' semplice
possibile (Negroponte) oggi e' evidente che il processo in corso
santifica nella velocita' di connessione alla rete questa
necessita'.
Cio' si raggiunge con la banda, che allargandosi sempre di
piu' consente una maggiore velocita' di tramissione e con software
sempre piu' potenti dal punto di vista della compressione dei dati
che consentono interfacce dinamiche fruibili anche da chi non e'
dotato di banda larga.
Lo scenario a breve termine sembra diversificarsi per l'uso
"business" che e' dotato di connessione diretta con Internet e
l'uso "familiare", modem e telefono.
La banda larga viene ormai proiettata al 2002 per un'utenza
generalista, che passera' dai venti milioni di utenti attuali (i
dati sono riferiti agli Stati Uniti) a un numero esponenzialmente
piu' vasto di persone, che in pratica useranno Internet come un
broadcast.
Nella velocita' di connessione sta quindi la nuova garanzia del
successo della diffusione i cui inizi si colgono negli investimenti
attuali e nelle strategie di mercato che li sostengono: sono questi
i reali indicatori sociali del cambiamento. Le novita' in atto sono
infatti software per creare autonomamente siti dinamici con
facilita' (Dreamweaver e' stato presentato al convegno come
l'innovazione piu' importante in questo ambito e gia' e' stata
precostituita anche una possibilita' semplificata per i bambini).
Difficile dire se questo sara' il prototipo o l'archetipo del
cambiamento. Difficile sapere se questa sara' la direzione della
nuova cultura: non piu' sistemi autore per creare software ma
programmi per creare siti? Si sta spostando la politica della
creazione di cd verso la politica di rete? La pubblicita'
scegliera' la rete come ha scelto la tv e determinera' cosi' il
nuovo corso?
Non e' un caso che al convegno il presidente della Walt Disney
abbia annunciato l'ampiezza degli investimenti in ambiti
educational per bambini e entertainment per adulti, affermando di
poter gia' programmare gratuitamente per gli utenti grazie agli
introiti pubblicitari.
La piu' grande fabbrica dei sogni del mondo ha trovato il suo
nuovo habitat su Internet? I dati di trend parlano chiaro: i
bambini americani passano un'ora e piu' al giorno davanti un
computer; il tempo e' evidentemente sottratto alla televisione,
basta proporre a loro, notoriamente triplice mercato di immediati
utenti, futuri utenti e mediatori di utenza, programmi su siti
loro dedicati per modificare la filosofia dell'accendi la tv in
quella interattiva dell'uso del computer.
L'investimento che il mercato pubblicitario ha avviato con Disney
e' forse solo l'inizio di una cultura diversa da ogni altra. Il
consumo culturale non si riferisce piu' alle cose da acquistare
(dischi, cassette prima, cd oggi) ma a quelle da fruire esattamente
come accade in tv. Un esempio di questa nuova logica? L'ultimo
disco di Prince, fruibile solo su un sito a pagamento.
Marina D'Amato
Universita' La Sapienza, Roma
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Natura e sacro
nell'ecologia
OGENERE breve
OARGOMENTI ecologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS ecology
"Il sacro e la natura" e' il tema di un convegno organizzato ad
Agrigento (26-30 novembre) nell'ambito del Premio Empedocle per le
Scienze umane. Al centro del dibattito, lo sviluppo sostenibile e
l'ecologia nella prospettiva di un ritrovato rapporto, anche
spirituale, tra l'uomo e l'ambiente. Tra gli altri, interventi di
Danilo Mainardi, Fulco Pratesi, Carlo Da Pozzo. Tel. 0368-62.11.70;
06- 557.49.82; 0922-25.798.
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Citta' dei bambini
a Genova
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
Nell'area del Porto Antico di Genova e' nata la "Citta' dei
bambini": 2800 metri quadrati di gioco, scienza e tecnologia. Una
dimostrazione che ci si puo' divertire imparando.
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. EURO-PREMIO
Plastica
ecologica
a scuola
OAUTORE LOMBARDI GIORGIO
OARGOMENTI ecologia, didattica, premio, studenti
OLUOGHI ITALIA
ONOTE Progetto «Podium»
OSUBJECTS ecology, didactics, prize, student
RAGAZZI, non vi piace la vostra scuola? E allora riprogettatela.
Questa proposta, fatta a un milione e mezzo di studenti di 14 Paesi
europei e ai loro 35 mila insegnanti, fa parte di un progetto
educativo denominato "Podium" per analizzare la produzione, l'uso,
il recupero e l'impatto ambientale delle materie plastiche. Nel
caso specifico gli studenti (che frequentano i primi due anni delle
superiori) dovevano progettare una scuola ecologicamente
sostenibile. Seguendo il metodo delle 3R: Riduzione (dei consumi),
Riutilizzo, Riciclaggio.
Nei giorni scorsi a Bruxelles sono stati premiati i vincitori
nazionali, nella cornice del Parlamento europeo, e tra loro sono
stati scelti i vincitori assoluti. Il primo premio e' andato a una
scuola olandese, per il progetto di uno scooter a batteria solare
costruito quasi interamente di plastica. Al secondo posto,
l'Istituto professionale per l'industria e l'artigianato di Alghero
(Sassari). Gli studenti italiani hanno riprogettato la loro scuola,
un edificio piuttosto vecchio, e ne hanno riprogettato gran parte
delle strutture: sedie, pavimenti, muri, mensole, finestre, vasi di
fiori, impianto idrico. Per ridurre l'uso di materie prime, hanno
privilegiato l'utilizzo di plastica riciclata. In particolare,
lavorando insieme agli insegnanti di progettazione e a un'azienda
di conversione della plastica, hanno disegnato e costruito una
speciale sedia estensibile: "Eravamo stanchi di doverci adattare
alle sedie della scuola, che a 15 anni sono troppo grandi e a 19
troppo piccole. Cosi' ne abbiamo progettata una che ci facesse
stare comodi (a cavalcioni) e che crescesse insieme a noi".
I ragazzi di Alghero - Fabrizio Cerri, Antonio Fucito e Salvatore
Sechi, guidati dagli insegnanti Antonietta Are e Costantino Bruno -
con la loro sedia hanno vinto il secondo premio assoluto, menzione
speciale per la fantasia nell'uso della plastica, progetto che non
mancava di ironia, come ha sottolineato la giuria. D'altronde,
ricevendo il premio gli studenti sardi hanno commentato: "La
plastica e' il materiale adatto... per vincere i concorsi". E a
conferma della loro ironica fantasia, con un autentico coup de
the'atre, hanno portato alla premiazione la loro creatura per
presentarla tra gli applausi al pubblico riunito tra le austere
mura del Parlamento europeo. "Un esempio di come la disponibilita'
dell'industria, la volonta' ecologica e la creativita' dei giovani
possano farci guardare al futuro con speranza", ha commentato C. A.
Linse, vicepresidente dell'Apme, l'Associazione europea dei
Produttori di Materie plastiche (Assoplast per l'Italia).
Gli studenti sardi hanno ottenuto anche un altro ambito premio:
l'edificio scolastico, dalle strutture vecchie e dal mobilio
disagevole, fa parte del passato. L'istituto - 238 studenti, 5 anni
per conseguire la specializzazione in elettrotecnica e automazione
- ora abita in un moderno palazzo.
Giorgio Lombardi
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. CELLA FRIGORIFERA STERILE
Tomba ipertecnologica
Per conservare l'Uomo di Similaun
OAUTORE ANTONETTO ROBERTO
OARGOMENTI tecnologia, paleontologia
ONOMI CAPASSO LUIGI
OORGANIZZAZIONI MUSEO ARCHEOLOGICO PROVINCIALE, SERVIZIO ANTROPOLOGICO
DEL MINISTERO
DEI BENI CULTURALI, COMMISSIONE SCIENTIFICA INTERNAZIONALE, SYREMONT,
MONTEDISON
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, BOLZANO (BZ)
OSUBJECTS technology, paleontology
SOLTANTO i Faraoni avranno avuto di piu', in fatto di sepoltura. Il
mausoleo dell'uomo del Similaun non sara' altrettanto ciclopico. Ma
in fatto di tecnologia, sara' sicuramente quanto di meglio sia
stato escogitato finora per assicurare a un defunto una teorica
incorruttibilita' fisica. Al piccolo uomo alpino (era alto un metro
e 60) morto 5300 anni fa sara' dato quanto nessun potente della
terra puo' avere mai immaginato in un delirio di perpetuazione del
proprio corpo. Per alcuni anni un manipolo di scienziati e di
tecnici ha studiato e progettato per questo cadavere eccellente una
estrema dimora molto particolare, e si puo' ben dire che egli se la
merita: da quando, nel settembre del '91, il corpo e' riaffiorato
dal ghiacciaio dell'alta Val Senales, a 3200 metri, ha avuto gli
onori scientifici e le risonanze di cronaca che spettano ad un
reperto antropologico assolutamente eccezionale.
Intanto perche' e' una mummia, che conserva nelle carni
superstiti, per quanto disidratate, una notevole quantita' di
acqua, il 16 per cento, a differenza delle mummie egizie i cui
tessuti ne sono privi. Poi perche' si tratta di un europeo, il che
ne fa un reperto unico con una antichita' cosi' elevata. E ancora -
fatto di estrema importanza - perche' e' stato ritrovato in un
contesto non funerario: il che significa che non e' stato oggetto
dei rituali funebri, ma e' stato "fotografato" dalla morte nella
realta' di un momento quotidiano, con i suoi ordinari abiti di
montanaro (il berretto di pelle d'orso, la mantellina di erbe
intrecciate, una giacca fatta di pellicce cucite fra loro,
pantaloni e scarpe di pelle); le sue armi (un lungo arco, una
faretra con 14 frecce, un'ascia di rame, un pugnale di selce); i
suoi strumenti (due recipienti in corteccia di betulla, una specie
di zaino, una borsetta di cuoio).
Ora Oetzi (il nomignolo gli deriva dalle Oetztal Alp, le alpi del
ritrovamento) e' ad Innsbruck: giace avvolto in bende sterili e
ricoperto di ghiaccio nell'Istituto di Anatomia Umana
dell'Universita'.
Per una incertezza sulla linea di confine, parve all'inizio che il
ritrovamento fosse avvenuto in territorio austriaco, mentre in un
secondo tempo risulto' che, per circa 300 metri, la millenaria
spoglia si trovava in Italia. E in Italia, a Bolzano, la mummia sta
per tornare, entro qualche mese. Sara' collocata nel nuovo Museo
Archeologico Provinciale, in un bel palazzo del centro storico che
prima dell'Unita' era sede della Banca Austro-Ungarica, e si sta
ora trasformando in vista del nuovo ruolo.
Intanto nei sotterranei dell'ospedale di Merano si lavora alla
fase conclusiva, sperimentale, di quello che sara' nello stesso
tempo sarcofago e teca museale, capace di conservare il reperto, di
non sottrarlo agli studiosi e di renderlo visibile al pubblico. E'
una sperimentazione singolare, che coinvolge un altro ignoto essere
umano, morto non si sa come, mummificato a sua volta non si sa se
naturalmente o artificialmente, assai simile per l'eta' e l'esile
corporatura all'uomo del Similaun ma assai meno importante dal
punto di vista antropologico.
Da diversi mesi questa controfigura e' sottoposta al compito di
"testare" la teca in vista dell'arrivo del suo vero e celebre
destinatario.
Si tratta di una cella frigorifera monitorizzata, nella quale
strumentazioni sofisticate creano e mantengono rigorosamente
stabile un microclima estremo: umidita' relativa vicina al 100 per
100, temperatura meno 6, microrganismi zero. Le condizioni che si
ritrovano al centro di un cubetto di ghiaccio. Le stesse che ha
fornito al Similaun la montagna italo-austriaca, avvolgendolo per
oltre 5000 anni in un sudario di ghiacci.
Spiega Luigi Capasso, direttore del Servizio Antropologico del
Ministero dei Beni Culturali: "Il problema maggiore e' stato
proprio il controllo dell'umidita', sia nella cella che,
soprattutto, nei tessuti della mummia. Si misura continuamente il
peso del corpo e il contenuto reale di acqua, sia quella
chimicamente legata alle molecole organiche, sia quella
chimicamente libera e quindi disponibile all'evaporazione. Un altro
indizio che potrebbe indicare un deterioramento e' una eventuale
variazione di colore del corpo: un sistema di monitoraggio
cromatico computerizzato, capace di cogliere cambiamenti invisibili
all'occhio, lo sorveglia periodicamente".
E se l'apparato dovesse andare in tilt? Una serie di sensori fanno
scattare gli allarmi alla minima deviazione rispetto ai parametri
fissati. Non basta: le celle in realta' sono due, in parallelo, una
pronta a subentrare all'altra. Costo dell'operazione, due miliardi.
La mummia venuta dai ghiacci e' cosi' preziosa per gli studiosi, ed
e' entrata con tanto malinconico fascino nell'immaginario
collettivo, che non si puo' correre il minimo rischio di perderla.
Le garanzie sono tali da aver convinto una Commissione Scientifica
Internazionale dalla quale dipendeva il benestare circa l'estrema
dimora di Oetzi. Il che, fra l'altro, ricompensa una sfida
tecnologica tutta italiana, portata avanti dalla Syremont, azienda
del gruppo Montedison specializzata nella conservazione e nel
restauro di reperti artistici e archeologici (ha al suo attivo, tra
gli altri, interventi agli Uffizi, a Ercolano, a Orvieto) e dalla
Angelantoni.
Una finestrella quadrata, di 40 centimetri di lato, consentira' di
affacciarsi all'interno, illuminato da un sistema a fibre ottiche
esenti da raggi ultravioletti potenzialmente dannosi per i tessuti.
La mummia del Similaun infatti non solo continuera' ad essere
oggetto di indagine per gli antropologi (finora e' stata studiata
da un centinaio di gruppi di ricerca europei) ma diventera' anche
spettacolo, macabro e affascinante. Con tutto il suo corredo sara'
infatti il clou del museo che le crescera' intorno, con reperti
dall'epoca glaciale al Medioevo.
Ad una sola domanda, probabilmente, non potra' rispondere
l'indagine scientifica che sembra capace di ogni risposta: che cosa
cercava quell'uomo nella sua ascesa solitaria in mezzo ai ghiacci
delle Alpi, con le sue armi e le sue provviste, cinquemila anni fa?
Che cosa lo ha chiamato verso la sommita' della montagna, sempre
piu' su, fino a pochi metri dallo spartiacque? E come lo ha
raggiunto lassu' la morte?
Due elementi, ritornati fino a noi dalla profondita' del tempo
insieme a Oetzi e alle sue povere cose, forse spiegano in parte la
sua fine, forse aggiungono mistero a mistero. Sulla mummia sono
visibili i segni di numerosi tatuaggi: sembra ormai certo che
fossero stati praticati per alleviare i dolori articolari causati
dall'artrosi.
E poi, che scopo avevano le due piccole masse di aspetto legnoso
ritrovate fra gli oggetti di Oetzi? L'analisi chimica ha dimostrato
che esse erano state ricavate dalla polpa essiccata di un fungo: un
fungo capace di produrre antibiotici. Possibile che cinquemila anni
fa se ne intuisse l'uso terapeutico? Il fatto e' che Oetzi soffriva
di una malattia infettiva ricorrente, asseriscono gli scienziati. E
il professor Capasso ha anche ricostruito una commovente ipotesi
sugli ultimi istanti di vita dell'uomo della Val Senales: i suoi
capelli erano arrotolati e spezzati. Come se, disperato, egli se li
fosse strappati sentendo sopraggiungere la morte.
Roberto Antonetto
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL TORCICOLLO
Bruttino e goloso di formiche
Un uccelletto migratore della famiglia dei picchi
OAUTORE GRONIS DI TRANA CATERINA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
SE l'evoluzione della specie fosse un concorso di bellezza dove la
riproduzione si gioca su scelte dettate da canoni estetici di forza
e armonia, o di un bel piumaggio, o di un aspetto accattivante, il
Torcicollo vincerebbe l'ultimo premio, di consolazione.
Questo piccolo uccello della famiglia dei picchi fa la parte del
brutto anatroccolo in mezzo ai suoi affascinanti cugini: non ha i
colori di questo gruppo di belli, e non ha come loro la robustezza
del becco (infatti non trivella i tronchi degli alberi) e della
coda (dato che non scava buchi nel legno non ha bisogno delle forti
timoniere che agli altri picchi servono come sostegno quando sono
aggrappati ai rami verticali). Ha colori mimetici, un grigio
fondamentale con disegni e macchie nero-bruni e rossicci, e si
confonde con le scorze dei rami su cui si adagia rendendosi
invisibile. Difficile da vedere, ha pero' un canto inconfondibile,
che emette nei periodi di marcatura del territorio, come un
monotono pianto, segnale inequivocabile di pioggia in arrivo per
i contadini di un tempo.
Anche il nome non lo aiuta: in italiano fa venire in mente una
fastidiosissima contrattura muscolare, e in latino Jynx torquilla,
quasi impronunciabile, sembra qualcosa che stride. Se pero' trovare
"bella" una cosa significa conferirle un particolare prestigio,
isolarla dalle altre, sceglierla e conservarle un posto nella
memoria, e' questo quello che succede a chi vede per caso o per
fortuna un Torcicollo vivo. In una giornata passata a catturare
uccelli con le reti, inanellarli, misurarne becchi, penne e zampe,
controllando la loro salute e cercando di svelare i misteri della
loro abbondanza o rarita', degli spostamenti e delle migrazioni,
acchiappare un Torcicollo distoglie anche il piu' burbero degli
ornitologi dalla sua intenta concentrazione e gli strappa un
sorriso.
Preso in mano, sentendosi in pericolo, gira il collo con un moto
circolare e sinuoso, simile al contorcersi di un serpente, quasi
ipnotico. Si passerebbero delle ore a guardare questo comportamento
strano, stereotipato, che si spiega con l'abitudine che ha questo
uccello di usare come nido un buco o una fessura in un tronco, da
cui e' impossibile la fuga repentina all'arrivo di un predatore.
Allora questi contorsionismi da rettile, nel buio del suo rifugio,
accompagnati se e' il caso da sibili intimidatori, scoraggiano il
nemico, o per lo meno lo lasciano interdetto per il tempo
sufficiente a scappare. Questo oscillare del collo gli serve anche
nel periodo degli amori, quando nelle schermaglie minacciose tra
maschi rivali questi si affrontano con la coda allargata, la cresta
sul capo eretta e il collo teso che si muove avanti e indietro
senza girarsi, come faceva Toto' nelle sue comiche famose.
L'orrido fascino di questo insettivoro che adora le formiche e'
aumentato anche dal suo modo di nutrirsi: ha una lingua che pare un
lombrico, lunghissima e vischiosa, che saltellando freneticamente
infila nei formicai con maestria, tanto da meritarsi il nome che
gli danno i francesi di "Torcol fourmilieur". I pulli nel nido
aspettano le ghiottonerie che portano loro i genitori stando
raccolti vicini a formare una piramide di calore, come e' tipico
dei picidi, pancia contro pancia e con il collo appoggiato sulle
spalle dei fratellini. La lingua della mamma o del papa',
attaccaticcia e nera di formiche, e' spesso immersa in acqua prima
dell'imbeccata, cosi' il terribile acido formico viene piu'
facilmente inghiottito dai piccoli, che mettono ben presto alla
prova l'apparato digerente in grado di neutralizzarne il veleno.
Personalita' curiosa, il Torcicollo e' l'unico tra i Picchi ad
effettuare migrazioni regolari ad alto raggio: arriva da noi in
aprile per ripartire in settembre o al piu' tardi in ottobre. Non
e' comune ovunque; l'importanza delle formiche nella sua dieta
impone un habitat caldo e secco, scoperto e con erba bassa: il
terreno dei pascoli, quello dove sempre piu' di rado si vede il
bestiame brucare al suono dei campanacci.
A questo si aggiunge la necessita' di trovare cavita' adatte per
il nido che il Torcicollo non costruisce da solo.
Usa cavita' naturali o buchi di picchi abbandonati, e la scarsita'
di boschi antichi in molte zone, tagliati per lasciare posto alle
monocolture, toglie ai nostri occhi la meravigliosa poesia dei
vecchi tronchi marcescenti e ai torcicolli (ma anche alle upupe,
agli allocchi, alle colombelle), i buchi naturali che in queste
marcescenze si formano.
Poi c'e' il solito problema degli insetticidi che uccidono insieme
agli insetti, dannosi e non, anche chi di loro si nutre. E come se
non bastasse, se l'uccelletto riesce a sopravvivere a queste
difficolta' nelle sue estati alle nostre latitudini, ne trova altre
nelle zone di svernamento, nell'Africa incontaminata, a Sud del
Sahara dove anni di prolungata siccita' hanno modificato l'ambiente
rendendolo per lui inospitale.
Cosi' il Torcicollo, misconosciuto, ma ancora relativamente
comune, e' in diminuzione, anche se non ancora in pericolo. Ne
sarebbe estremamente contento Bacchi della Lega, autore alla fine
dello scorso secolo delle "Caccie e costumi degli uccelli silvani",
che parla del poveretto, a quell'epoca comunissimo, con vera
ripugnanza, oltre che per l'aspetto e le movenze, anche per il
sapore poco appetitoso a causa di quel suo continuo cibarsi di
formiche. "Nemmeno degno di essere infilato allo spiedo a cuocersi
fra gli altri prelibati campioni, ma da dare piuttosto alla
civetta... cosi' una volta di piu' si verifichera' il proverbio
antico, che tutto il male non viene per nuocere".
Caterina Gronis di Trana
ODATA 26/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. TECNOLOGIA BIOMEDICA
Viti e piccoli chiodi per riparare il menisco
Messi a punto nuovi materiali che vengono riassorbiti dall'organismo
OAUTORE BASSI PIA
OARGOMENTI tecnologia, medicina e fisiologia
ONOMI ZUCCO PAOLO
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, FINLANDIA
OSUBJECTS technology, medicine and physiology
VITI in poliglicolato (glucosio) e chiodini in polilattato (acido
polilattico) completamente degradabili e quindi assorbibili dal
corpo, sono giunti anche nei centri ortopedici italiani dalla
Finlandia, dopo 5 anni di sperimentazione. Essi sono l'ultima
tecnologia usata nella riparazione delle lesioni al menisco,
piccola fibrocartilagine del ginocchio, un danno abbastanza
frequente in coloro che praticano sport sia a livello amatoriale
che agonistico: calcio, calcetto, basket e sci. Quest'ultimo in
particolare rappresenta oggi una delle principali cause di lesioni
del legamento crociato anteriore del ginocchio a cui si associano
spesso lesioni capsulari e di menischi. E' un tipo di incidente che
negli ultimi 25 anni e' aumentato del 200 per cento, nelle donne in
misura doppia rispetto agli uomini. La riparazione fino a poco
tempo fa avveniva con materiali sintetici che in alcuni casi non
duravano nel tempo e davano fenomeni infiammatori recidivanti
nonche' rotture del neocollegamento, spiega Paolo Zucco, ortopedico
e specialista in medicina dello sport.
Le tecniche piu' moderne prevedono l'uso di sostituti biologici
prelevati dallo stesso soggetto e reimpiantati al posto del
legamento crociato danneggiato. Le tecniche usate sono due:
l'utilizzo di una striscia di tendine rotuleo, prelevato dal
paziente stesso, con una brattea ossea dalla rotula o dalla tibia,
oppure il prelievo del tendine del muscolo semitendinoso che viene
poi triplicato o quadruplicato prima di essere inserito. Dopo una
preparazione opportuna questi sostituti vengono fatti passare
attraverso un tunnel obliquo nella tibia e un tunnel nel femore
prima di essere fissati in sede. Di grande importanza e'
l'operazione di fissaggio del nuovo legamento che deve essere
perfettamente ancorato nella giusta tensione.
Per il fissaggio esistono mezzi e tecniche diverse, viti
metalliche a interferenza, a cambre, a bottoni, con rondelle: tutti
materiali che restano inseriti nell'articolazione anche quando il
neolegamento e' integrato nell'osso. L'ultima novita' della tecnica
di ancoraggio sono appunto le nuove viti in poliglicolato a profilo
smusso e i chiodini in polilattato che si degradano nel volgere di
un anno, sino a riassorbimento totale in un paio d'anni. Il
recupero della funzionalita' dell'articolazione avviene in 4-6 mesi
dall'intervento chirurgico che nell'80 per cento dei casi viene
eseguito in artroscopia. Ed e' proprio grazie a telecamere e
strumenti monitorizzati utilizzati in artroscopia se viene
asportata solo la parte lesa del menisco, lasciando in sede quanto
piu' possibile di questa fibrocartilagine sana, importante per
l'amortizzamento dell'articolazione.
La sutura meniscale si fa con piccolissimi chiodini o freccette
(Biofix meniscus arrows) della lunghezza variabile da 10 a 16
millimetri, formati da microlamelle e testina a T, fa parte delle
strategie di chirurgia conservativa dato che stabilizza saldamente
la lesione.
I chiodini di polilattato vengono assorbiti nell'arco di due mesi,
mentre la lesione si cicatrizza, restituendo al paziente un menisco
integro.Pia Bassi
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. I TRENT'ANNI DI SATURNO 5
Il piu' grande razzo mai costruito
Progettato dal tedesco Von Braun, padre delle V2.
Il primo lancio nel '67
OGENERE anniversario
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, storia della scienza
OORGANIZZAZIONI NASA, SATURNO 5
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.T. Tutti i lanci del Saturno 5 (cronologia da Apollo 4 a
Skylab 1)
OKIND anniversary
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, history of science
QUEL giorno, al Centro spaziale Kennedy di Cape Canaveral, se lo
ricordano ancora bene. Quando vennero scanditi i secondi finali del
conto alla rovescia, al momento del "lift-off", sotto la piattaforma
39-A fu come veder apparire un'eruzione vulcanica. Alle 7 di mattina
del 9 novembre 1967, tutta l'area della base spaziale si illumin≥ e
un tremendo boato fece vibrare il suolo e tutte le strutture vicine
come un terremoto.
Se lo ricordano bene soprattutto i tecnici della rete televisvia
americana Cbs, il cui tetto della cabina di ripresa, piazzato nella
tribuna stampa a 5 chilometri e mezzo di distanza, croll≥ mentre il
primo "Saturno 5", il razzo che doveva portare entro due anni uomini
sulla Luna, si infilava attraverso le nubi, 30 secondi dopo il
distacco da Terra. L'intensitα del rumore fu paragonata all'eruzione
del 1883 del vulcano Karakatoa, e l'onda di pressione generata dai 5
motori del primo stadio fu misurata a 1770 km di distanza dai
sismometri di un centro di geofisica nello Stato di New York.
Quella mattina di trent'anni fa iniziava ufficialmente la
"missione Luna", poichΘ quello era il vettore in grado di portare
in orbita terrestre un carico di 120 tonnellate (la capsula Apollo,
il modulo lunare e il terzo stadio del razzo), e un'astronave
(Apollo e modulo lunare) di 50 tonnellate verso la Luna. Quel
lancio, di una missione definita "Apollo 4" si svolse senza
equipaggio, e per la tecnologia dell'era spaziale fu un debutto
memorabile.
Il Saturno 5 era un capolavoro di Werner von Braun, ingegnere
missilistico tedesco, passato con gli americani dopo la sconfitta
nel secondo conflitto mondiale della Germania nazista, che aveva
sfruttato le sue genialitα per lanciare i missili-bomba V1 e V2
su Londra e altre cittα nemiche. Von Braun, quando alla Nasa, dal
1958, gli diedero carta bianca per costruire razzi a scopi civili,
infil≥ un successo dietro l'altro.
Il razzo che lanci≥ il primo satellite artificiale americano,
l'"Explorer 1", von Braun lo aveva battezzato "Jupiter" (Giove),
e siccome nel sistema solare il pianeta successivo Φ Saturno, von
Braun chiam≥ "Saturn" il successivo progetto per realizzare un
razzo lunare.
Il programma, avviato nel 1960, vide dieci lanci di razzi
"Saturno 1" che servirono per affinare le tecnologie di propulsione
dei vari stadi, e per collocare in orbita carichi di 10 tonnellate.
Fu poi sviluppato "Saturno 1-B", che invi≥ in orbita le prime
"Apollo" con e senza equipaggio. Tutti i lanci furono un successo.
Il Saturno 5 fece 13 lanci, tutti con successo, e fu poi
abbandonato nel 1973, dopo essere stato usato per inviare in
orbita il laboratorio "Skylab". Ilmotivo era che i costi di lancio
erano troppo alti, e del grande vettore andava perso tutto. In
quegli anni la filosofia dei vettori recuperabili, con lo space
shuttlein avvio di realizzazione, predominava. Oggi, visto quanto
costa un volo dello shuttle, in molti della Nasa si lamentano di
non aver salvato il vettore lunare, almeno per effettuare lanci
periodici, poichΘ con un solo vettore di questo tipo si collocano
in orbita carichi sei volte maggiori di quelli che oggi possono
portare in orbita i vettori pi∙ potenti di Russia, Stati Uniti,
Giappone ed Esa. Non a caso si progetta il riutilizzo del vettore
russo "Energhija" collaudato due volte con successo nel 1987 e
1988, per avere nuovamente a disposizione un razzo dalle capacitα
del mitico "Saturno 5" delle imprese lunari "Apollo".
Antonio Lo Campo
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MISSIONI SPAZIALI IN VIDEOCASSETTA
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Chi e' appassionato di astronautica e vuole rivedere molti dei
filmati piu' importanti e spettacolari degli ultimi cinque anni, non
ha che da procurarsi «L'ultima frontiera», quinta videocassetta
della serie «Storia della conquista dello spazio» curata da
Renato Cepparo. Il video (Cinehollywood, 48 minuti) e' un
aggiornamento dal 1991 al 1996 dei precedenti quattro volumi che,
partendo dai primi Sputnik, trattano tutta l'astronautica (pur con
qualche lacuna sulle missione lunari Apollo). In questo ultimo
video troviamo le missioni Tethered, la Mir, la riparazione del
telescopio spaziale «Hubble», le sonde Ulisse, Galileo e
Magellano, i satelliti Olympus, Soho, Ers, Sax e Meteosat.
ODATA 19/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. ADRIA
In mostra
messaggi
dall'aldila'
OAUTORE AMBESI ALBERTO
OARGOMENTI antropologia e etnologia, mostre
OORGANIZZAZIONI MUSEO ARCHEOLOGICO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ADRIA (RO)
OSUBJECTS anthropology and ethnology, exhibition
IL Museo Archeologico Nazionale di Adria (via Baldini 69) ha
allestito al primo piano della propria sede una grande sala
dedicata al tema, affascinante e solenne, del Banchet to
nell'Aldila'. E' una mostra che si sofferma sui locali corredi
funerari tra il VI e il IV secolo a.C., con lo scopo di dimostrare
che Adria, citta' del Polesine orientale, conquisto' piu' volte un
rilievo di primaria importanza. Percio' non stupisce che la citta'
abbia potuto dare il proprio nome a un mare - l'Adriatico - e che
il suo territorio abbia offerto una serie di ritrovamenti che
ampliano le nostre conoscenze intorno alla protostoria e alla
storia delle genti venete ed etrusche che qui avevano vissuto dal
VI al IV secolo a.C., sottoponendosi poi alla colonizzazione
romana, iniziata nel II secolo a.C. e sfociata nella splendida
fioritura culturale e commerciale di eta' augustea e dei secoli
successivi.
Questa la cornice storica, cui si puo' aggiungere che
l'esposizione Il Banchetto nell'Aldila' indica, per prima cosa, che
la multietnicita' di Adria si concretizzo' nell'ambito religioso e,
almeno all'inizio, in una dissomiglianza di culti, come si puo'
capire dalla varieta' dei corredi funerari che si sono ritrovati
nelle tombe coeve, a incinerazione o a inumazione. Queste ultime,
di solito piu' numerose e caratterizzate da cassoni di legno, nel
caso dovessero custodire collezioni di oggetti particolarmente
ricche. All'esterno, comunque, questo tipo di sepolcro risulta
sempre ricoperto da tumuli di terra, coronati da un cerchio di
pietre o di pali.
Le sepolture a incinerazione, invece, sono risultate tutte di
fattura molto semplice, in quanto realizzate entro dogli (o "doli",
recipienti di forma globulare o troncoconica) di terracotta,
semplicemente seppelliti entro fosse di varia grandezza e
profondita' e contornati da minuscole anfore.
Se e' vero che, per gli antichi, ogni forma di cultura materiale
si collegava alla sfera del sacro si potra' ipotizzare quanto
segue: 1o) le tombe a inumazione sembrerebbero collegarsi a
credenze che non escludevano la presenza di un'ombra o "doppio"
entro il luogo di sepoltura, secondo quanto lasciano pensare i
corredi, sempre tangibilmente legati alla vita quotidiana; 2o) le
sepolture a incinerazione, per contro, potrebbero essere state
espressione di una fede di popoli o strati sociali che riguardava
la morte come il preludio a un "lungo viaggio", senza alcuna
possibilita' di ritorno o di residuo contatto con il mondo dei
viventi. Ne sono prova indiretta le minuscole anfore di corredo, le
cui dimensioni fanno per l'appunto pensare a simboliche libagioni
di ultimo saluto al viaggiatore che era appena entrato
nell'oltretomba.
L'esposizione restera' aperta fino al 10 dicembre, orario
continuato dalle 10 alle 19, tutti i giorni; ingresso L. 4000.
Informazioni e visite guidate di studenti: tel./fax (0426) 21.612.
Alberto C. Ambesi
ODATA 19/11/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ANTROPOLOGIA
Si cammina per non cadere
E l'Homo divenne "erectus". Ma che fatica!
OAUTORE SALZA ALBERTO
OARGOMENTI antropologia e etnologia
ONOMI LEAKEY RICHARD
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. (Fase taligrada, fase plantigrada, fase digitigrada)
OSUBJECTS anthropology and ethnology
L'ENIGMA della Sfinge a Edipo: "Quale animale nell'infanzia si
muove a quattro zampe, alla maturita' su due e con tre nella
vecchiaia?". Ormai conosciamo tutti la risposta: l'uomo. Sofocle
non poteva avere alcuna conoscenza della teoria dell'evoluzione, ma
l'indovinello pare una sorta di mitizzazione della sequenza
evolutiva per la cui comprensione i paleoantropologi si aggirano
oggi nelle forre desolate di mezza Africa. I fossili che ne
derivano sembrano affermare che i nostri antenati ominidi
derivarono i loro caratteri anatomici e comportamentali da primati
che si muovevano su due zampe. Quindi, oltre 4 milioni di anni fa,
svilupparono una perfetta andatura bipede con stazione eretta, per
poi integrare il tutto con la tecnologia (evoluzione esosomatica,
al di fuori del corpo): il bastone della nostra maturita', se non
vecchiaia, evolutiva.
Tassonomicamente, cioe' dal punto di vista della classificazione
biologica, l'uomo moderno e' un ominide. Come mi diceva Richard
Leakey, "Un ominide non e' niente altro che una scimmia che cammina
su due zampe. Quelle posteriori, ovviamente". Ah, lo humour
britannico! A parte forse il canguro (che pero' non e' propriamente
un bipede), nessun altro mammifero utilizza questa forma di
deambulazione per la quasi totalita' del tempo. Molti altri
animali, soprattutto i primati e i nostri diretti cugini, le
scimmie antropomorfe (scimpanze', bonobo, gorilla e orango), si
possono spostare su due zampe, ma solo occasionalmente e per tratti
molto brevi.
La nostra andatura eretta e' stata messa spesso in relazione
evolutiva con l'espandersi della savana in Africa. Oggi, il
ritrovamento di molte specie di australopiteci (nostri antenati
bipedi di 4 milioni di anni fa) in ambiente forestale offre un
quadro diverso.
Tutti abbiamo l'impressione che le scimmie siano animali
particolarmente adattati per la vita sugli alberi e che, a terra,
si muovano con imbarazzo rispetto all'uomo. Se pero' osserviamo le
specie di primati che oggi popolano la Terra, notiamo come la vita
arboricola (e la conseguente anatomia di locomozione) sia ben lungi
dall'essere adottata da tutti. Includendo anche gli uomini, su 101
specie di primati moderni, il 23,8 per cento (quasi un quarto)
conduce vita a terra, pur mantenendo una notevole capacita' di
utilizzare gli alberi, sia come luogo di foraggiamento, sia come
rifugio. Le specie terricole, pero', non sono equamente distribuite
attraverso i vari subordini e famiglie di primati. Solo due
proscimmie e nessuna platirrina (scimmia del Nuovo Mondo) vivono a
terra, mentre questo tipo di utilizzo dello spazio e' proprio del
42,9 per cento delle catarrine (scimmie evolutesi in Europa, Asia
e, soprattutto, Africa). Le catarrine sono un po' il punto di
arrivo dell'evoluzione dei primati. In questo senso, la nostra
unicita' di bipedi terricoli perde un po' di immagine e appare
semplicemente come un punto estremo di una tendenza evolutiva
presente in meta' dei Catarrhini.
Camminando nelle savane africane ho notato come gli uomini tendano
a percorrere distanze anche lunghe e non necessarie per fare il
campo serale alla base di un albero. Non c'e' bisogno di ombra, a
quell'ora. Tra le radici e i cespugli (oltre che sui rami) si
possono celare serpenti e insidie varie, ma non c'e' niente da
fare: nessuno ama mettere il giaciglio al centro di una piana
desolata, il mio scenario favorito. Tutto ha a che fare con il
nostro retaggio scimmiesco d'Africa: negli anni in cui si evolveva
la nostra andatura bipede a terra (impossibile muoversi su due
gambe sui rami, provare per credere: al massimo ci si puo'
appendere per le braccia come fanno i brachiatori gibboni,
dimostrando a Leakey che esiste una deambulazione bipede per mezzo
degli arti superiori), la foresta cedeva il passo alla savana, con
tutta la sua caratteristica pletora di predatori carnivori di ogni
sorta. Risulta ragionevole che ci sia rimasto, nel comportamento se
non nell'anatomia, un certo livello di affinita' con gli alberi, a
scopo di rifugio.
La nostra insicurezza, in savana come altrove, trova le ragioni
stesse nel semplice camminare su due zampe. A noi pare
assolutamente normale, ma non ci rendiamo conto che, quando
facciamo quattro passi, siamo sempre sull'orlo di una catastrofe,
proprio come la foresta dei nostri antenati quadrumani sugli
alberi, cinque o sei milioni di anni fa. In effetti, il nostro modo
di muoverci e' solo un goffo metodo per non cadere. Provate a stare
ritti in piedi: basta una piccola spinta per mettervi in crisi, se
tenete i piedi uniti. Per superare la crisi, mettete un piede
avanti. Nel momento in cui questo tocca il suolo, l'inerzia ci
porta a compensare la spinta con un movimento a pendolo
dell'altra gamba, che si contrappone alla risultante della forza di
gravita' e delle componenti la quantita' di moto. Per stare in
piedi, lo slancio deve, come nel pendolo, raggiungere una
situazione potenziale che sia analoga a quella di partenza. A quel
punto ci troviamo daccapo con un piede sollevato in aria e,
davanti, l'eventualita' di una caduta. Di conseguenza dobbiamo
iterare la sequenza, un passo dopo l'altro, giusto per rimanere
diritti e non cascare a faccia in avanti. Per fermarci, dobbiamo
fare un considerevole sforzo con i muscoli delle gambe, che si
trovano a controbilanciare lo slancio dell'andatura (momento di
inerzia) e l'equilibrio instabile dovuto al fatto che il nostro
baricentro e' posto al di sopra (e di molto) del poligono di
appoggio costituito dai piedi, unico elemento stabile della nostra
anatomia deambulatoria.
Gli antropologi, con una battuta, amano dire che, se l'evoluzione
fosse gradualisticamente progressiva da situazioni meno
specializzate a strutture piu' specializzate, allora tra i
quadrupedi e i bipedi occorrerebbe incontrare i tripedi. In effetti
il nostro piede e' un treppiede, con l'appoggio sul calcagno e sui
punti di attacco di alluce e mignolo. Dato che tre punti
individuano sempre un solo piano, la catastrofe deambulatoria, da
fermi, sembrerebbe sventata, ma tutti sappiamo bene come ci si
stanchi a stare immobili sull'attenti, una postura resa ancor piu'
scomoda del cosiddetto "piano di Francoforte", un rapporto orecchi-
occhi individuato in un convegno antropologico (uno dei primi) di
fine Ottocento.
Per evitare di cadere, non basta continuare a camminare, come
potrebbe fare una trottola-giroscopio che si mantiene ritta grazie
al momento di rotazione: il consumo energetico sarebbe eccessivo
(anche se alcune analisi metaboliche affermano che si consumano
meno calorie a camminare che a dormire). Nell'uomo, l'evoluzione ha
dovuto pertanto mettere a punto sofisticati meccanismi di
equilibrio, attraverso un monitoraggio costante dell'ambiente e
della postura del nostro corpo (in particolare la posizione del
baricentro) in rapporto a cio' che ci circonda e a quel che stiamo
facendo (in movimento o fermi). Le cavita' sinoidi del cranio e
le strutture dell'orecchio interno sono alcuni tra i sensori
dell'equilibrio.
Essi sono indipendenti e autofunzionali, hanno cioe' proprieta'
propriocettive. Molti credono che i denti e i piani di mascella e
mandibola si siano evoluti al mero scopo di masticare, ma la
sovrapposizione dei molari (piu' vicini al basicranio e, quindi, al
punto di equilibrio della testa) ha analoghe funzioni
propriocettive. La malformazione del retro della bocca, o la
mancanza di alcuni molari, puo' alterare la percezione che si ha di
se' nello spazio, con conseguenti difetti nella postura e forti mal
di schiena per la tensione muscolare scorretta. Non a caso, in
presenza di un compito difficile, si dice "stringere i denti": la
pressione puo' essere variata a destra o a sinistra, a compensare
oscillazioni del corpo anche di 20o. Ecco perche' la nostra bocca
puo' ruotare la mandibola nei confronti della mascella: per poter
meglio comprendere la posizione del cranio nello spazio.
Alberto Salza
ODATA 19/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. MINICORSO DI INFORMATICA
Un consiglio: non leggere i manuali!
L'esperto suggerisce di farsi aiutare da un amico o fare da soli
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE
OARGOMENTI informatica
OORGANIZZAZIONI MICROSOFT
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science
IL corpo di un calcolatore - lo hardware - e' rivestito da una
grande anima - il software di base o sistema operativo. A sua volta
il sistema operativo e' rivestito da tante animelle, che sono i
vari programmi applicativi sviluppati per la soluzione dei singoli,
specifici problemi dell'utente, dalla contabilita' della sua
azienda alla guida di un'astronave verso Marte.
L'uomo alla tastiera puo' impartire comandi direttamente al
sistema operativo, come l'ordine di trasferire un documento da una
cartella a un'altra, oppure puo' dare comandi a un'animella, ossia
a uno specifico programma applicativo, che a sua volta inviera'
ordini al sottostante sistema operativo.
Abbiamo visto in una puntata precedente che un tempo i produttori
di hardware sviluppavano ciascuno il proprio sistema operativo, ma
che un certo giorno, inseguendo come Faust una felicita' di breve
periodo, affidarono la propria anima a pochissimi trafficanti di
anime, rinunciando ai valori aggiunti relativi e alla propria
indipendenza strategica.
Pochi anni dopo, i trafficanti di anime, tutti americani,
entravano con successo anche nel mercato delle animelle
applicative. Prima di quel giorno, il software applicativo era
prodotto direttamente dal padrone del calcolatore o da una piccola
"software house" che aveva sede a lui vicina.
Solo i grandi signori del software potevano disporre degli enormi
investimenti finanziari e del prezioso capitale umano, presente
solo negli U.S.A., necessari per attuare prodotti applicativi
potenti ed eleganti come quelli che proponevano al mercato. Solo
gli stessi signori potevano contare su un mercato cosi' ampio da
giustificare i loro investimenti con ampi margini di profitto.
Cosi', mentre Bill diveniva l'uomo piu' ricco della Terra,
migliaia di piccole "software house", in tutto il mondo e in
particolare nel nostro Paese, chiudevano i battenti. Temo che i
responsabili della politica economica comunitaria e gli stessi
imprenditori industriali del settore non abbiano ancora
compreso che le leggi del mercato delle anime sono molto diverse da
quelle tradizionali del mercato dei corpi, con implicazioni
importanti per la sopravvivenza di un'industria informatica europea.
Apostoli delle altre fedi - buddisti del grosso e
antico calcolatore Ibm, mormoni di Apple, protestanti di Unix e
Linx - mi mandano lettere di fuoco, bollandomi come agente
prezzolato di Bill.
Oggi rafforzero' questa loro convinzione, perche' faro'
riferimento alla linea di prodotti Microsoft per la videoscrittura:
Works, Word Pad e Word, ma, come ho spiegato in un'altra
circostanza, devo cercare di fare cosa utile ed evitare che la mia
mamma sia l'unica lettrice di questi pezzi.
Comunque, la logica di funzionamento di un programma di
videoscrittura e' sempre la stessa, indipendentemente dal
produttore che lo ha realizzato.
Vi sono tre momenti fondamentali nella produzione di un documento.
Il primo e' il momento dell'"apertura" del documento, intesa come
l'analogo elettronico della predisposizione del foglio su cui
lavorare. Si puo' aprire un documento "nuovo", l'analogo del foglio
bianco.
Cio' si ottiene cliccando su File, in alto a sinistra nella linea
orizzontale dei comandi di base, e poi selezionando Nuo vo nel
menu' a tendina che si e' aperto dopo aver selezionato File.
In alternativa, si puo' aprire un documento gia' archiviato, per
correggerlo, modificarlo, ampliarlo, consultarlo o stamparlo.
In questo caso, si clicca su File e si seleziona nel menu' a
tendina la voce Apri. Il sistema apre una finestra, nella quale
andare a ricercare, di cartella in cartella, il documento da aprire.
Il secondo momento della preparazione del documento e' quello
della scrittura vera e propria. Poche cose debbono essere ricordate
per iniziare a lavorare.
In primo luogo, il sistema introduce i caratteri nel punto esatto
in cui lampeggia il cosiddetto cursore, che ha l'aspetto di un
trattino o rettangolino luminoso.
Per spostare il cursore da un punto all'altro del foglio virtuale
e' sufficiente muovere il mouse nella posizione corretta e premere
il pulsante sinistro.
Il carattere introdotto da tastiera potra' spostare i caratteri a
destra del punto di inserimento oppure cancellare il carattere
allocato in quella posizione. Dallo stato di inserimento senza
cancellazione del carattere preesistente a quello di inserimento
con cancellazione si puo' passare semplicemente premendo il tasto
In sert o Inserisci.
In secondo luogo, il tipo di carattere introdotto puo' essere
variato selezionando For mato sulla barra dei menu' allocata in
alto e poi Carattere sul menu' a tendina che si apre a quel punto.
La dimensione del carattere puo' essere variata invece lavorando
sull'apposita finestrella allocata sotto la barra degli strumenti.
In terzo luogo, il tipo di for mattazione del documento, e in
particolare la centratura della riga o il suo allineamento a
destra, possono essere ottenuti facilmente premendo gli opportuni
pulsanti sulla barra dei comandi.
Il terzo momento della produzione di un documento e' quello
dell'archiviazione o della stampa. Per l'archiviazione si selezioni
File e poi Salva con nome, se al documento non e' ancora stato
attribuito un nome, oppure semplicemente Salva se quel documento ha
gia' un nome. Per la stampa si selezioni ancora File e quindi
Stampa. Si aprira' una finestra che ci guidera' nell'operazione.
Un ultimo consiglio. Non leggete i manuali, perche' sono
generalmente troppo voluminosi e intrisi del misterioso gergo degli
informatici per essere compresi in un tempo ragionevole. Cercate di
comprendere da soli, giocando con la tastiera, o con l'aiuto di un
amico un po' esperto, cosa puo' fare e come si comporta un
programma.
La complessita' dei nuovi programmi applicativi e la poca
attenzione che i mercanti di anime dedicano a quegli strumenti di
crescita delle anime che sono i manuali hanno riportato l'umanita'
all'era di Omero, quando la conoscenza si trasmetteva solo
oralmente.
Angelo Raffaele Meo
Politecnico di Torino
ODATA 19/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. PREMIO GAMBRINUS
Alla riscoperta
di un esploratore
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI ricerca scientifica, premio, cultura, vincitore
OPERSONE TENDERINI MIRELLA, SHANDRICK MICHAEL, CARACCIOLO ALBERTO, MORELLI
ROBERTA, MAESTRI CESARE, MARINI MARCO, POVOLO CLAUDIO, GASPARI PAOLO
ONOMI LUIGI AMEDEO DI SAVOIA DUCA DEGLI ABRUZZI,
TENDERINI MIRELLA, SHANDRICK MICHAEL, CARACCIOLO ALBERTO, MORELLI
ROBERTA, MAESTRI CESARE, MARINI MARCO, POVOLO CLAUDIO, GASPARI PAOLO
OORGANIZZAZIONI PREMIO GAMBRINUS «GIUSEPPE MAZZOTTI»
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, SAN POLO DI PIAVE (TV)
OSUBJECTS research, prize, culture, winner
CI voleva un libro che riscoprisse Luigi Amedeo di Savoia, piu'
noto come il Duca degli Abruzzi, grande alpinista ed esploratore di
terre estreme. E ci voleva, poi, un premio che scoprisse questo
libro per suggerirlo ai lettori. Il libro, edito da De Agostini, lo
hanno scritto Mirella Tenderini e Michael Shandrick. Il premio che
lo propone a chi e' interessato alle imprese epico-scientifiche e'
il Gambrinus "Giuseppe Mazzotti": la consegna e' avvenuta sabato a
San Polo di Piave (tra i giudici, Danilo Mainardi, Dino Coltro,
Sandro Meccoli, Lionello Puppi, Paul Guichonnet, Paolo Schmidt e
Italo Zandonella).
Luigi Amedeo nasce a Madrid nel 1873, destinato a ereditare il
trono di Spagna, essendo il primo figlio maschio del re Amedeo di
Savoia-Aosta. Ma la Storia aveva disposto altrimenti. Suo padre
abdica, lui ancora in fasce viene trasferito a Torino, a sei anni
e' arruolato in Marina come mozzo. Le vacanze, pero' le trascorreva
in montagna, e l'incontro, a Moncalieri, con il padre barnabita
Francesco Denza, alpinista, astronomo e fondatore della
meteorologia italiana, lo porta ad appassionarsi alla scienza.
Erano gli anni delle ultime grandi esplorazioni. Il Duca degli
Abruzzi si dedico' a queste imprese romantico-scientifiche.
Comincio' nel 1897 con la prima scalata del Sant'Elia, in Alaska,
5489 metri. Prosegui' sfiorando la conquista del Polo Nord, nel
1901. Poi fu la volta del Ruwenzori in Africa, dell'attacco al K2
(ma i tempi non erano maturi) e di altre vette del Karakoram.
Infine, dopo un amore contrastato e infelice e una parentesi
militare (1909- 1917), l'ultima spedizione, che porto' alla
scoperta della sorgente dell'Uebi-Scebeli. Morira' nella "sua"
Africa nel marzo 1933. Nessun Savoia, nessun rappresentante del
governo italiano fu presente al funerale.
Oltre a quella dei libri di esplorazione, il Premio Gambrinus
"Mazzotti" ha altre sezioni. Per l'Ecologia il riconoscimento e'
andato a "La cattura dell'energia", di Alberto Caracciolo e Roberta
Morelli (Nuova Italia Scientifica), testo che fornisce una nuova
visione, globale, dei rapporti tra ambiente, uomo e risorse
energetiche; per la sezione Montagna, a Cesare Maestri con "...e se
la vita continua" (Baldini & Castoldi); per la sezione Artigianato,
a Marco Marini con "Arte popolare in Italia" (ed. Punto di Fuga);
ex aequo a Claudio Povolo e a Paolo Gaspari per la sezione Finestra
sulle Venezie, rispettivamente con "L'intrigo dell'onore" e "Le
lotte agrarie". Segnalato il volume "Insediamenti alpini", edito
dalla Regione Veneto e dal Centro studi sulla montagna.
La premiazione e' stata preceduta da due convegni, uno sul tema
"La politica delle aree protette in Italia: il parco del Sile e le
acque di risorgiva", e uno su importanti interventi di recupero
della foresta amazzonica: l'"Operazione Otonga", in Ecuador, e
l'"Operazione Xavante", in Brasile, entrambe sponsorizzate (mezzo
miliardo in 10 anni) da una azienda di Pordenone che produce cucine
e sostenute da missionari. Sono regioni dove la biodiversita' e'
ricchissima ma molto minacciata dalla deforestazione. A Otonga, per
esempio, si conoscono piu' di 50 specie di mammiferi, 13 delle
quali di pipistrelli, e si ritiene che possano esistere circa
duemila piante legnose e un numero ben maggiore di piante
potenzialmente medicinali e ornamentali. Il progetto pilota
"Xavante" riguarda un'area del Mato Grosso desertificata dalla
deforestazione selvaggia, dove non solo stanno scomparendo migliaia
di specie animali e vegetali, ma anche le popolazioni locali di
indios, decimate dalla fame e dalle malattie. Il recupero avviene
tramite l'acquisto di aree da rimboschire. Si e' incominciato con
qualche centinaio di ettari. L'obiettivo e' di allargare
progressivamente la regione protetta, a vantaggio della natura e
dei popoli autoctoni.
Piero Bianucci
ODATA 19/11/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
CLIMA
Rio: il Nino ha divorato la spiaggia
OAUTORE TIBALDI ALESSANDRO
OARGOMENTI meteorologia, geografia e geofisica
ONOMI ANGULO CARMELO
OORGANIZZAZIONI ONU
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, BRASILE, RIO DE JANEIRO
OSUBJECTS meteorology, geography and geophisics
NUMEROSE anomalie climatiche che hanno caratterizzato negli ultimi
mesi l'Europa sono state collegate alla variazione di posizione di
una corrente dell'oceano Pacifico meridionale chiamata "El Ni~no".
Se questo fenomeno causa variazioni climatiche in Europa, e' logico
pensare che gli effetti lungo la costa pacifica del Sudamerica
siano di maggiore intensita'. Purtroppo, le previsioni piu'
pessimistiche vengono superate in questi mesi da drammatiche
notizie riguardanti tutta l'America Latina.
Dal Centroamerica al Cile, profonde alterazioni climatiche stanno
rovinando la vita di milioni di persone. La notizia sulla fioritura
delle zone desertiche delle Ande cilene non puo' certo mitigare
quanto sta accadendo per esempio in Nicaragua, dove quasi 300.000
persone sono state ridotte sul lastrico da un periodo di siccita'
che perdura da molti mesi. Secondo il rappresentante dell'Onu in
Nicaragua, Carmelo Angulo, piu' di 10.000 famiglie (60.000 persone)
delle zone rurali del Paese hanno perso ogni fonte di sostentamento
e sono al limite della sopravvivenza, mentre altre 240.000 persone
hanno perso il 50 per cento delle entrate economiche annuali.
Inoltre, l'87% della produzione del grano e' perduta, mentre il 24%
della raccolta di caffe', principale voce di esportazione, e'
danneggiata.
Nelle zone montuose del Venezuela e della Colombia, un periodo di
siccita' si e' sostituito alla normale stagione autunnale delle
piogge, arrecando danni gravissimi all'agricoltura. Avvicinandosi
al Peru', lungo le cui coste emerge la corrente del Ni~no, i
fenomeni diventano parossistici. In Ecuador, per esempio, la
siccita' nella regione andina e' arrivata ad un punto tale da
pregiudicare il livello di acqua nei bacini idrici utilizzati per
la produzione di energia elettrica, obbligando a sospendere
l'erogazione dell'elettricita' per otto ore al giorno.
In contrasto a questi fenomeni di siccita' nelle Ande,
accompagnati inoltre da alte temperature, le coste pacifiche del
Sudamerica stanno vivendo una stagione di piogge tropicali
estremamente intense. Fortissimi acquazzoni hanno sommerso decine
di paesi con esondazioni dei fiumi e alluvioni che hanno distrutto
case e vie di comunicazione. Queste alluvioni costiere hanno anche
rovinato i raccolti ed inquinato le fonti di acqua potabile.
Un effetto del Ni~no mai registrato con tale intensita' ed
imprevisto consiste nell'innalzamento del livello medio del mare e
della frequenza e altezza delle onde lungo le coste dal Venezuela
al Peru'. Questo fenomeno ha prodotto la distruzione di interi
paesi costieri e soprattutto dei villaggi costruiti sulle
palafitte; migliaia di persone hanno perso tutte le povere cose che
possedevano. Dove le case costiere sono state risparmiate, le alte
onde comunque impediscono ai pescatori di uscire in mare, togliendo
l'unica fonte di reddito a intere comunita'.
Questi fenomeni sono stati spiegati assumendo che la corrente
oceanica del Ni~no, che si muove da Ovest verso Est, si sommi alla
forza del vento sospingendo masse d'acqua particolarmente ingenti
contro la costa pacifica del Sudamerica. Una stranezza di questo
fenomeno, gia' di per se' anomalo, consiste pero' nel fatto che
alte e frequenti onde stanno flagellando anche l'opposta costa
atlantica. La famosa spiaggia di Capocabana a Rio de Janeiro, per
esempio, e' stata inghiottita dalle onde. Al posto della sabbia
bianca si trovano grandi pietre: il mare e' avanzato di 30-50 metri
fino a lambire alcune costruzioni.
In Peru' i fenomeni climatici sono cosi' gravi che il governo ha
dichiarato lo stato di emergenza, informando inoltre la popolazione
attraverso spot televisivi sul comportamento da osservare. Molti
Stati dell'America Latina hanno istituito apposite commissioni
scientifiche per analizzare quanto sta accadendo e per cercare di
definire gli scenari futuri di sviluppo dei fenomeni climatici
connessi con El Ni~no. In ottobre e' stata inoltre istituita una
commissione intergovernativa per definire programmi comuni di
intervento. L'Onu sta creando un fondo speciale di aiuto per
l'assistenza umanitaria alle popolazioni colpite, gestito
dall'organismo internazionale Pma (Programma mondiale per
l'alimentazione).
Alessandro Tibaldi
Universita' di Milano
ODATA 19/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ASTRONAVI DEL FUTURO
Star Trek? E' realta'
I progetti di viaggi interstellari
OAUTORE BONANNI AMERICO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, ricerca scientifica
ONOMI MILLIS MARC
OORGANIZZAZIONI NASA, LOCKHEED, IBM
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, research
UN giorno qualcuno, guardando i pianeti del sistema solare
allontanarsi a gran velocita' dietro la sua astronave, potrebbe
anche ricordarsi di un recente "Workshop sulle innovazioni nella
fisica della propulsione": una ottantina di scienziati e di
ingegneri appartenenti alla Nasa e a diverse universita'
statunitensi, oltre a rappresentanti di grandi aziende attive nel
campo aerospaziale e informatico, come la Lockheed e la Ibm, si
sono riuniti a Cleveland, ospiti del Centro di ricerche Lewis della
Nasa, per discutere la possibilita' di volare verso le stelle, se
necessario anche sfidando la teoria della relativita'.
Il titolo piuttosto asettico del convegno nasconde una svolta
importante che la Nasa sta compiendo: i viaggi interstellari non
sono piu' un tabu' per l'ente spaziale americano. Di solito
venivano liquidati come fantascienza, e anche di quella cattiva;
invece adesso c'e' un minuscolo programma di ricerca (finanziato
con il contagocce) per le propulsioni spaziali avveniristiche.
Guidato da Marc Millis, un ingegnere aerospaziale, e' stato questo
ufficio il promotore del convegno svoltosi al Centro Lewis.
Naturalmente le ragioni per continuare ad essere scettici non
mancano: il piu' veloce veicolo spaziale costruito dall'uomo, il
Voyager, con i suoi sessantamila chilometri all'ora, impiegherebbe
decine di migliaia di anni per raggiungere la stella piu' vicina al
Sole. Se questo non bastasse a frenare gli entusiasmi, c'e' sempre
il limite imposto dalla relativita' ristretta di Einstein. Anche
sapendo come accelerare una astronave a velocita' enormemente
superiori a quelle attuali, cosa per niente facile (ad esempio
usando la fusione nucleare, peraltro non ancora realizzata, il
nostro razzo dovrebbe portare con se' un quantitativo di
propellente pari a mille superpetroliere), alla fine ci si
troverebbe comunque di fronte ad una barriera: nulla puo'
raggiungere o superare la velocita' della luce, poco meno di
trecentomila chilometri al secondo. Magari si potrebbe arrivare
sulla "porta di casa", la stella Proxima centauri o qualcun'altra
molto vicina, ma il resto della galassia sarebbe fuori tiro perche'
i viaggi durerebbero comunque centinaia o migliaia di anni
(l'equipaggio se la caverebbe con meno a causa della dilatazione
del tempo prevista dallo stesso Einstein).
E' chiaro che il salto verso le stelle, se pure si fara', avra'
bisogno di sistemi completamente nuovi, basati su principi fisici
inediti, come quelli discussi a Cleveland.
Un problema fondamentale di qualsiasi viaggio spaziale e' quello
dell'energia. Assodato che un'astronave non puo' portare con se' il
carburante necessario per un volo interstellare, una buona idea e'
di estrarre energia dallo spazio stesso. E' una possibilita'
ipotizzata dalla teoria quantistica, secondo la quale anche nel
vuoto piu' totale (niente materia, niente radiazioni di alcun tipo)
ci sono oscillazioni elettromagnetiche che nascono casualmente dal
nulla e che rappresentano una forma di energia. Queste
"fluttuazioni quantistiche", come vengono definite, non sono
affatto piccole: si calcola che, sapendo come fare, uno spazio
vuoto corrispondente a una tazzina di caffe' potrebbe fornire
abbastanza energia da far bollire tutti gli oceani della Terra. Ma
i progetti piu' fantascientifici sono quelli che non prevedono un
sistema di propulsione: semplicemente l'astronave si muove perche'
vengono alterate le caratteristiche dell'universo stesso.
Una delle proposte piu' recenti in questo campo e' quella della
"Warp drive", avanzata da Miguel Alcubierre nel 1994. Il concetto
su cui si basa e' decisamente azzardato, oltre ad essere quasi lo
stesso di Star Trek: poiche' la teoria della relativita' impedisce
ad un oggetto di muoversi piu' veloce della luce rispetto allo
spazio-tempo (composto dalle quattro dimensioni in cui e' immerso
l'universo secondo Einstein), perche' non far muovere lo
spazio-tempo stesso? L'astronave di Alcubierre avrebbe la capacita'
di contrarre lo spazio- tempo davanti ad essa e di espanderlo
all'indietro: una fisarmonica cosmica. Trattando l'universo come se
fosse di gomma, la velocita' della luce sparirebbe come limite e
l'intera galassia sarebbe a portata di mano. C'e' da dire che
naturalmente nessuno ancora sa come contrarre o "stirare" le
dimensioni spazio-temporali.
Sempre parlando di viaggi piu' veloci della luce, un'altra idea
molto futuribile discussa dagli scienziati americani e' quella dei
"buchi" nello spazio-tempo. Se ne parla da molto: una matita puo'
muoversi solo ad una certa velocita' da un punto all'altro su un
foglio di carta, ma si puo' sempre avvolgere la carta in modo da
avvicinare i due punti. Facendo la stessa cosa con lo spazio- tempo
le distanze finirebbero per annullarsi. Teoricamente l'idea e' piu'
vecchia e consolidata di quella di Alcubierre, ma tradurla in
pratica e' sicuramente un'impresa ancora piu' pazzesca: per
"piegare" in questo modo l'universo ci vogliono energie e masse di
dimensioni veramente cosmiche, probabilmente a livello dei buchi
neri.
Gli ottanta scienziati di Cleveland hanno navigato tra queste e
molte altre ipotesi piuttosto improbabili, ad esempio la
possibilita' di annullare la forza gravitazionale. Ma non hanno
avuto paura di essere bollati come sognatori. L'idea del volo
interstellare, che sia piu' lento o piu' veloce della luce, sta
contagiando molti scienziati.
Un simposio sull'argomento si e' tenuto anche nel Congresso
astronautico internazionale che si svolto a Torino dal 6 al 10
ottobre: e' un altro segno che la fantascienza potrebbe un giorno,
ancora una volta, tradursi in realta'.
Americo Bonanni
ODATA 19/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. NUOVE TECNOLOGIE
Nella chirurgia virtuale
ora si simula anche il tatto
OAUTORE ACCORNERO PAOLO
OARGOMENTI tecnologia, medicina e fisiologia, informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology, medicine and physiology, computer science
CONOSCETE la realta' virtuale? Ne avrete sicuramente sentito
parlare, in televisione o sui quotidiani. E forse ne avete gia'
sperimentato le potenzialita', in un videogioco o utilizzando un
simulatore di volo. L'applicazione della realta' virtuale a usi
professionali e' invece ancora agli inizi ma sta aprendo sbocchi
molto interessanti, in particolare nella progettazione, nella
simulazione avanzata e in medicina. In quest'ultimo campo sono allo
studio modelli umani virtuali che, sostituendo quelli reali,
potrebbero servire alla formazione dei futuri chirurghi. Con i
modelli virtuali gli studenti potrebbero eseguire di persona
operazioni chirurgiche e imparare tecniche che, per gli alti costi
e la carenza di materiale biologico, solo pochi possono avvicinare.
Oggi i mondi rappresentati attraverso la realta' virtuale sono
esplorabili soltanto con la vista e l'udito. La nostra percezione
del mondo e' invece molto piu' complessa e fa grande uso di
interazioni tattili, olfattive e termiche. Senza contare che la
rappresentazione su monitor dei mondi virtuali li rende piatti,
bidimensionali, con conseguenti notevoli difficolta' di movimento
al loro interno. Per agevolare l'interazione, alcuni centri di
ricerca stanno sviluppando metodi di visualizzazio ne
tridimensionale e di perce zione tattile dei mondi virtuali.
Per capire il funzionamento dei primi dobbiamo pensare al modo in
cui vediamo le cose intorno a noi. Quando osserviamo oggetti reali
i nostri occhi, distanziati di circa sei centimetri l'uno
dall'altro, forniscono al cervello due immagini diverse; e' poi il
cervello che pensa ad unirle creando il senso della profondita'.
Per simulare oggetti reali su uno schermo piatto bisogna quindi
giocare d'astuzia e ingannare il cervello: il computer crea due
immagini leggermente diverse dell'oggetto, come le vedrebbero
l'occhio destro e quello sinistro, e le visualizza rapidamente
sullo schermo una dopo l'altra.
Contemporaneamente la vista dell'osservatore viene bloccata da
occhiali speciali, in modo che l'occhio destro veda solo l'immagine
"destra" e l'occhio sinistro solo la "sinistra". Se questo trucco
viene ripetuto abbastanza rapidamente (almeno trenta volte al
secondo) il cervello dell'osservatore fa il resto del lavoro,
permettendo la percezione della profondita'. Per interagire meglio
coi mondi virtuali sarebbe anche fondamentale poterli toccare.
Raccogliere un oggetto solo vedendolo puo' essere molto complicato
se contemporaneamente non si riesce a toccarlo, a sentirne la
forza, sotto forma di peso, che esercita sulle nostre dita. Per
questo la Cybernet Systems e la Immer sion Corporation, due
societa' all'avanguardia nella simulazione, hanno sviluppato
interfacce, dette "a forza retroattiva", che simulano l'interazione
tattile con gli oggetti visualizzati. In pratica sono joystick
molto complessi capaci di analizzare mille volte al secondo la
pressione esercitata dall'utilizzatore su un modello
tridimensionale e di rispondere con una forza che assomiglia a
quella che eserciterebbe il modello stesso se fosse un oggetto
reale. Sfruttando queste due tecnologie la MusculoGraphics e Mis
sion Research Corp, stanno costruendo un Simulatore di ferita da
arma da fuoco mentre il Laboratorio Elettronico di Ri cerca della
Mitsubishi sta lavorando ad una simulazione chirurgica del
ginocchio con utilizzo di laparoscopi e artroscopi virtuali.
Con i dati forniti dal Visible Human Project (la mappatura
"digitale" compiuta su un cadavere) i gruppi citati stanno
ricreando un corpo umano artificiale unendo alla dimensione visiva
una dimensione "tattile" che permette di percepire in maniera
diversa un muscolo oppure un polmone o un rene. Questo organismo
virtuale potrebbe essere utilizzato per insegnare le tecniche di
incisione dei tessuti. Gli studenti imparerebbero ad applicare la
giusta pressione e ad evitare il danneggiamento degli organi
circostanti sentendo la tensione e la risposta dei vari tessuti su
cui stanno operando virtualmente.
Le interfacce aptiche progettate dalla Boston Dinamics, per
esempio, riescono a simulare ferite agli arti di cui il medico puo'
valutare la gravita', controllando l'emorragia e il danno
muscolare, e da cui puo' addirittura rimuovere brandelli di tessuto
necrotizzato, medicando la ferita prima del trasporto del paziente.
Queste simulazioni aprono grandi possibilita' per il futuro:
preparare un medico ad ogni eventuale emergenza chirurgica,
riprodurre un caso clinico che non ha mai visto prima e portare a
termine un intervento in tutta sicurezza, senza rischi per il
paziente. Almeno per quello "reale".
Paolo Accornero
Universita' di Parma
ODATA 19/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. INFORMATICA
Eloquens legge il giornale ai ciechi
Internet, software Cselt, computer e "La Stampa" in aiuto dei
disabili
OAUTORE BONZO MARIALUISA
OARGOMENTI informatica, tecnologia, editoria, handicap
OORGANIZZAZIONI CSELT, CNR, STET, INTERNET, LA STAMPA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS computer science, technology, publishing, handicap
SFOGLIARE un quotidiano, dare un'occhiata ai titoli e poi
dedicarsi, con tutta tranquillita', a cio' che interessa, e' un
lusso che non tutti possono permettersi. Per chi non vede, leggere
il giornale significa farselo leggere. Quindi cercare qualcuno
disponibile, aspettare i suoi tempi, sottostare ai piccoli
compromessi che la lettura associata implica.
Lo Cselt (Centro studi e laboratori telecomunicazioni) di Torino,
polo di ricerca del gruppo Stet, in collaborazione con il Cnr di
Firenze lavora sul progetto di un giornale elettronico via Internet
facilmente leggibile dai ciechi con un computer attrezzato. "La
Stampa" ha messo a disposizione i testi integrali del giornale,
inclusi i comandi grafici. Il Cnr si e' occupato del programma
automatico per costruire da questo materiale il quotidiano
elettronico. Lo Cselt ha tradotto e adattato il programma americano
di navigazione in Internet e ha predisposto la sintesi vocale (che
permette ai ciechi di usare un normale computer mandando in voce
cio' che e' scritto sul video).
Si tratta di Eloquens, il sintetizzatore usato in molti servizi
Telecom di risposta automatica. Il poter lavorare direttamente sul
materiale predisposto per l'impaginazione permette di fornire anche
su La Stam pa elettronica tutte le informazioni non scritte che
pero' si colgono all'impostazione grafica. E' interessante sapere
se quello che si sta per leggere e' l'articolo di spalla, o e'
posto in taglio basso. La posizione di un pezzo nel giornale, e in
ogni pagina, e' parte della notizia.
La consultazione e' semplice e rapida. Il cieco non e' costretto
ad arrancare nel dedalo grafico dei siti Internet comuni (per altro
visitabili con il programma e la sintesi dello Cselt). In totale
autonomia puo' scegliere per argomenti (prima pagina, interni,
cronaca, esteri, sport), decidere da titolo, catenaccio, occhiello
e firma dell'autore se il pezzo gli interessa. La lettura puo'
essere interrotta in qualunque momento. Il quotidiano elettronico
si inserisce in un piu' ampio programma del ministero della Ricerca
per l'abbattimento delle barriere comunicative dei disabili.
Domani nell'auditorium Telecom Italia a Roma verranno presentati i
risultati dei primi due anni di lavoro. E' parte del programma
anche una sperimentazione di videotelefonia a basso costo per
sordo-muti. Oltre alla possibilita' di comunicare via video questo
speciale telefono da' tutti quei segnali normalmente sonori
(squillo, tono di occupato o di libero...) con modalita' visiva.
Sempre per i minorati nell'udito verra' presentato un servizio di
intermediazione di messaggi scritti in voce. I non udenti usano una
particolare tastiera telefonica. Il problema sorge se il sordo
vuole comunicare con chi non e' attrezzato. Il disabile scrive ed
Eloquens legge. Per la risposta si sta provando un servizio di
riconoscimento vocale. Il sordo puo' cosi' leggere a display cio'
che la persona dall'altra parte del filo gli dice. Questo passaggio
e' per ora molto difficile e il riconoscimento si riduce a un
vocabolario ancora limitato. Gli ultimi due prototipi sono per
disabili motori gravi. Si tratta di un computer e di un telefono
interamente comandabile con la voce. Lo Cselt e' impegnato su tutti
i progetti. I principali collaboratori sono il Cnr e la Telecom.
Hanno supervisionato e sperimentato il lavoro l'Unione Italiana dei
Ciechi, l'Ente Nazionale Sordo-Muti e l'Enea.
Marialuisa Bonzo
ODATA 19/11/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Siamo bipedi imperfetti
Equilibrio precario, occhi a terra
OAUTORE A_SAL
OARGOMENTI antropologia e etnologia
ONOMI TOBIAS PHILLIP
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS anthropology and ethnology
PER l'uomo (come per i primati), sono gli occhi, dotati di visione
cromatica e binoculare, la piu' attiva interfaccia tra l'ambiente e
chi cammina. Il rapporto tra posizione del cranio e piano di
visione, nell'uomo, non e' all'orizzonte e non e' ortogonale alla
verticale rispetto al suolo, come ci si attenderebbe da un perfetto
bipede. E' questo il "piano di Francoforte", un orizzonte
artificiale che allinea faccia, orecchi e occhi in una sensazione
di buon equilibrio che tende verso il basso di quasi 20o (ancora).
E' questo a darci la spiacevole sensazione di fatica e
l'impressione di "guardare verso l'alto" che si prova stando
sull'attenti. La cosa e' fisicamente irragionevole: in tale postura
il capo e' allineato con la spina dorsale, proprio sul baricentro,
e gli occhi sono dritti all'orizzonte.
E' possibile che questa tendenza di sentirsi a proprio agio
guardando verso il basso derivi dal nostro passato evolutivo di
quadrupedi. Di certo e' funzionale alla nostra imperfetta camminata
catastrofica: dovendo necessariamente spostare il baricentro in
avanti in caduta controllata per camminare, e' bene tener d'occhio
il terreno dove si potrebbe camminare. Il nostro precario
equilibrio, inoltre, ci obbliga a non inciampare, per evitare i
danni di una caduta dall'alto: provate a fare lo sgambetto a un
cane, se ci riuscite, mentre basta un tocco lieve al piede
d'appoggio per far franare un atleta allenato come un calciatore.
Gli antropologi, tendenzialmente funzionalisti (ci si prova a
spiegare tutto), indicano il piano di Francoforte come un
meccanismo adattivo di sopravvivenza: l'angolazione dello sguardo
verso il basso servirebbe a delineare al suolo un raggio di cinque
metri, al cui interno individuare eventuali pericoli, come i
serpenti (la stazione eretta, fino a prova contraria, si e' evoluta
in Africa), e non solo semplici ostacoli. L'andatura su due zampe
coinvolge pertanto tutta l'anatomia dell'uomo e dei suoi antenati
ominidi: la posizione di attacco del cranio, il rapporto
di lunghezza e sezione tra gli arti superiori e inferiori, la forma
del piede, le stesse pelvi (piu' arrotondate e ad arco rispetto
alle scimmie antropomorfe).
Per non parlare della spina dorsale, che ha dovuto farsi molto
piu' robusta e, soprattutto, assumere una peculiare forma a S,
ingrossata nella parte inferiore. Questa forma e' quella di una
sorta di molla, che consente di ammortizzare il peso del tronco e
del grosso cranio (necessario a ospitare il cervello ipertrofico
dell'uomo, scimmia "intelligente") durante la deambulazione. Anche
il modo di mettere i piedi nella camminata, e' fisicamente
peculiare: si dovrebbe, per la massima efficienza, mettere i piedi
uno avanti all'altro, come nel "passo da modella". In pratica, per
l'uomo, meno ampio e' il poligono d'appoggio dei piedi e maggiore
e' la capacita' di spostarsi. La spina dorsale sinuosa consente di
compensare le varie forze che agiscono sul corpo umano in
movimento, senza troppo badare al semplice sostegno dello scheletro.
Tutti questi caratteri sono indice di una specializzazione
estrema. La stessa relativa rapidita' con cui si sarebbe evoluta la
bipedia degli ominidi (un paio di milioni di anni al piu') implica
che essi hanno subito pressioni selettive estreme. Abbiamo imparato
a muoverci in modo catastrofico in mezzo a profonde catastrofi
ambientali ed estinzioni. Tale velocita' ha fatto si' che siamo
imperfetti: il mal di schiena e' diffusissimo e noi siamo l'unico
primate che non sia in grado di sedersi comodamente. Provare per
credere: se vi accucciate non riuscite ad appoggiarvi al suolo; se
posate il sedere a terra dovete tenere le gambe distese in avanti
in modo assai scomodo.
Non a caso i pastori nomadi Samburu, in Kenya, hanno un proverbio:
"Le chiappe son lontane dalla terra". D'altro canto, commentando la
nostra anatomia deambulatoria da Homo sedens, il grande Phillip
Tobias (che battezzo' Homo habilis) ebbe a dire: "Non siamo altro
che un povero bipede barcollante".(a. sal.)
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. CONOSCIUTO GIA' NELL'ANTICHITA'
Amianto un minerale killer
Le sue fibre sono aghi microscopici che s'instaurano nei polmoni
OAUTORE BODINI ERNESTO
OARGOMENTI chimica, medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS chemistry, medicine and physiology
REPERTI archeologici dimostrano che l'amianto era giα usato nella
preistoria; quelli pi∙ antichi, trovati nella Finlandia
meridionale, risalgono al 4000 a.C. Il minerale era noto anche
alla civiltα greca, estratto in Arcadia e nelle isole di Eubea e
di Cipro; e ad Atene la
lampada sacra che alimentava il fuoco perenne in un tempio
dell'Acropoli conteneva amianto. Anche Plinio il Vecchio parla
dell'amianto, affermando che "deriva da una pianta, che cresce
nel deserto dell'India, e che assicura protezione contro tutti
gli incantesimi". Estratto fin dalla fine '800 prevalentemente
in Canada, Russia, Sud Africa, Australia, e in Italia soprattutto
a Balangero (Torino) e in Valtellina, veniva usato per la
fabbricazione di corde e per l'isolamento delle caldaie. La cava a
cielo aperto di Balangero, la pi∙ grande d'Europa, funzion≥ dal
1916 al 1990. Nell'industria automobilistica Φ stato largamente
usato (ora non pi∙), per la costruzione di freni e frizioni: nel
traffico particelle delminerale si liberavano facilmente e
rappresentavano una delle fonti dell'inquinamento da amianto
dell'atmosfera. Alcuni tipi di amianto, come l'amosite e la
crocidolite (soprattutto il crisotilo), sono stati usati dalle
industrie navali, chimiche e tessili, ma anche in ambito domestico,
per ferri da stiro e macchine per lavasecco. Era inoltre utilizzato
nel cemento, carta e cartoni; e nell'edilizia impiegato come
isolante termoacustico di soffitti e pareti o come rivestimento
antincendio di
strutture metalliche portanti. Negli Anni 50 la crocidolite Φ stata
persino usata nei filtri delle sigarette.
Tra le industrie pi∙ esposte all'amianto sono i cantieri navali di
Monfalcone, costruiti nel 1907, la pi∙ grande struttura
cantieristica
del bacino mediterraneo e una delle pi∙ importanti nel mondo, e il
sodificio Solvay di Monfalcone, attivo dagli Anni 20. E ancora la
raffineria "Aquila" di Trieste, aperta nel 1937; l'Eternit di
Casale
Monferrato, un tempo il maggior produttore nazionale di lastre in
cemento-amianto.
Il termine amianto indica un gruppo di minerali (silicati fibrosi)
che comprendono crisotilo (amianto bianco), amosite
(amianto bruno), crocidolite (amianto blu), antofillite,
actinolite, tremolite. E' un
vero e proprio killer per la salute dell'uomo: se si esaminano
alcuni tessuti (polmonare e pleurico) anche a vari decenni di
distanza dal momento in cui si Φ verificata l'esposizione, si
trovano i segni del suo passaggio. Nel tessuto polmonare si
possono osservare al microscopio "i corpi dell'amianto", sulla
pleura si possono osservare ad occhio nudo le "placche ialine".
L'estrazione, la lavorazione e l'applicazione dell'amianto danno
luogo alla formazione di una polvere finissima, composta da aghi
microscopici (fibre) che penetrano nelle vie respiratorie e si
depositano nei polmoni. E' possibile isolare l'amianto dal
polmone, calcolarne la quantitα per grammo di tessuto e stabilire
con buona approssimazione la quantitα totale di amianto alla quale
una persona Φ stata esposta fino al momento del dosaggio.
La presenza di amianto nel polmone Φ causa di asbestosi, una
patologia che pu≥ compromettere in modo anche grave la funzione
respiratoria. Altra conseguenza Φ il mesotelioma pleurico, un
tumore maligno che si forma in corrispondenza della pleura
parietale. In assenza di esposizione all'amianto questo tumore
Φ molto raro: in una grande cittα con una popolazione di un
milione di abitanti, si pu≥ osservare un caso all'anno; nelle
zone dove si Φ verificata una notevole esposizione all'amianto
l'incidenza diventa 100 volte pi∙ elevata.
Uno studio condotto sui dati di mortalitα in Italia, relativi
al periodo 1969-1988, indica che l'incidenza delle morti per
mesotelioma raggiunge cifre elevate e riguarda la zona
nord-occidentale, ossia gran parte della Liguria e della
provincia di Alessandria; la zona nord-orientale, che corrisponde
alle province di Trieste e Gorizia e parte della provincia di
Livorno; la zona meridionale, corrispondente alla provincia di
Taranto. Nell'area appenninica, invece, sino al 1993 si contavano
ben 27 casi di mesotelioma da asbesto fra gli operai del
compartimento delle Ferrovie dello Stato di Bologna.
Generalmente il mesotelioma pleurico, osservano gli esperti che
recentemente hanno curato una mostra sugli usi e sugli effetti
biologici dell'amianto, in occasione dei "Settant'anni della Lega
per la Lotta contro i tumori", si sviluppa dopo alcuni decenni
dall'inizio dell'esposizione all'amianto. BenchΘ il mesotelioma
maligno possa colpire soggetti di tutte le etα, l'epoca media di
comparsa oscilla fra i 40 e i 60 anni. Nell'anamnesi di pazienti
colpiti fra 20 e 40 anni si possono trovare prove di esposizione
ad asbesto (adolescenza trascorsa a contatto con un lavoratore
dell'industria dell'amianto o in ambienti con elevata
concentrazione di fibre di asbesto).
Il rischio di ammalarsi di mesotelioma pleurico (pi∙ raro Φ il
mesotelioma peritoneale) Φ molto alto per chi ha avuto un'intensa
esposizione all'amianto, specie se associata al fumo di sigaretta;
ma il tumore si sviluppa anche in individui che hanno avuto
esposizioni relativamente modeste. Un evento particolarmente
grave Φ rappresentato dall'insorgenza del mesotelioma nei
famigliari del lavoratore esposto all'amianto: non sono pochi
i casi di mesotelioma insorto in donne che avevano lavato i
vestiti da lavoro (che contenevano polvere d'amianto) dei loro
famigliari.
In Italia, nonostante la legge n. 257 del 27 marzo 1992 preveda la
rimozione e la cessazione dell'impiego dell'amianto (negli Stati
Uniti analoga legislazione risale al 1970), non si pu≥ ancora
porre la parola fine a questo dramma sociale (durante il fascismo
l'anatomopatologo Giacomo Mottura riusc∞ a far riconoscere
l'asbestosi come malattia professionale). L'amianto Φ tuttora
presente in molte strutture e non Φ facile rimuoverlo: la
decoibentazione deve seguire norme molto precise e scrupolose, per
evitare la dispersione del minerale nell'ambiente e danni alla
salute del personale impegnato nella rimozione. Particolari
difficoltα tecniche, logistiche ed economiche sono denunciate
dall'Istituto internazionale di ricerche sul cancro di Lione e dal
mega ateneo Jussieu di Parigi. In Italia, annosa Φ la vicenda
dell'Istituto industriale "A. Volta" di Trieste; a Torino, sono
almeno una decina gli edifici pubblici e privati sottoposti a
bonifica. Ernesto Bodini
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Borse di studio
al Mario Negri
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS research
In memoria di Alfredo Leonardi sono state istituite due borse di
studio presso l'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.
Sono destinate a laureati in discipline biomediche che desiderino
fare ricerca in nefrologia, ematologia, immunologia, neuroscienze e
cardiologia.
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Carotenuto Aldo: "L'eclissi dello sguardo", Bompiani
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI psicologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS psychology
LA scienza moderna esorcizza la morte con un atteggiamento che
trasferisce nei propri progressi e nelle tecnologie il gesto magico
che fu dello stregone o del sacerdote. Eppure, ovviamente, non c'e'
cura, trapianto o artificio tecnologico che possa qualcosa contro
la morte: e al limite, se qualcosa fosse possibile, sarebbe in
realta' contro la vita stessa, che dalla propria fine trae il
significato piu' vero. Partendo dall'osservazione che mai come oggi
l'uomo e' stato "assolutamente solo davanti alla morte", a questa
solitudine Aldo Carotenuto - psicoanalista, professore
all'Universita' di Roma, uno dei maggiori studiosi di Jung a
livello mondiale - dedica il suo ultimo saggio. E' un percorso alla
ricerca del significato della morte che conduce in realta' a una
piu' profonda consapevolezza della vita, pur toccando temi
traumatici come l'eutanasia e il suicidio. Perche' la morte non si
puo' vincerla, ma "viverla in liberta'" si'.
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. WINDOWS 95
Cliccando tra icone e finestre
Come navigare alla ricerca dei documenti
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science
IL giorno in cui inizio' la distribuzione di Windows 95 si
formarono lunghe code davanti all'uscio dei "computer shop" di
tutto il mondo informatizzato. Ricordo un distinto signore che
passeggiava in via Roma a Torino, ostentando la scatola colorata di
Windows 95 con lo stesso orgoglio con cui una signora avrebbe
esibito la pelliccia nuova. Temo che quel distinto signore,
arrivato a casa e installato il nuovo sistema operativo, sia
rimasto un po' deluso. Windows 95 infatti ha rappresentato una
novita' molto importante dal punto di vista dell'installatore e del
progettista di nuove applicazioni, ma ha tradito le aspettative di
un prodotto rivoluzionario, di facile impiego anche per il novizio.
In particolare, la gestione dei file, ha conservato la logica
complessa del Dos e dei Windows precedenti, anche se opportunamente
il file e' stato chiamato documento e directory, cartella. Inoltre
cartelle e documenti sono ancora inseriti nell'organizzazione ad
albero che abbiamo visto la settimana scorsa.
Alla fase di ispezione del patrimonio cartelle e documenti
posseduti, si arriva facilmente, dopo l'accensione della macchina,
con pochi "clic" sul pulsante sinistro del mouse. Il primo "clic"
deve essere fatto sull'icona Risorse del compu ter; il secondo
sulla microicona che entro la finestrella Ri sorse del computer
indica l'unita' di memoria di massa che voglio ispezionare. Qui,
come abbiamo gia' visto, A: (ed eventualmente B:) indicano il
floppy disk; C: (e forse anche D:, E:) indicano lo hard disk (nelle
sue varie partizioni) e una scritta misteriosa, fortunatamente
accompagnata da un'icona chiarissima, rappresenta il Cd-Rom.
La navigazione (elegante dizione del processo di ispezione delle
varie cartelle) e' semplicissima. Infatti, se "clicco" sull'icona
di una cartella (spero che i puristi della redazione di
Tuttoscienze non mi censurino la parola, in quanto sono certo che
il verbo "cliccare", regolare della prima coniugazione, entrera'
nella prossima edizione dello Zingarelli), si apre istantaneamente
una nuova finestra contenente le icone di tutte le sottocartelle e
tutti i documenti contenuti nella stessa cartella. Poiche' ogni
sottocartella puo' contenere altre sottosottocartelle, il processo
puo' continuare indefinitamente, con l'apertura di sempre nuove
finestre.
Chi avesse gia' letto l'articolo di mercoledi' scorso potrebbe
telefonarmi per riscuotere un meritato invito a cena e subito dopo
meditare su un'osservazione importante. Il processo che abbiamo
descritto - clic piu' apertura di una nuova finestra - e'
equivalente a una successione di comandi Dir e Cd (change
directory) del Dos. La struttura del file system e' rimasta
complicata, ma la ricerca di un documento e' ora piu' facile e
rapida. Come creare una nuova cartella, ossia come attuare
l'equivalente Windows 95 del comando Dos MD (make directory)? E'
sufficiente cliccare sulla parola Fi le, in alto a sinistra, nella
finestra che mostra le cartelle "sorelle" e i documenti "fratelli"
della nuova cartella che si vuol creare. Si apre allora un menu' a
tendina, nel quale si seleziona la parola Nuovo, e,
successivamente, la parola Cartella. Compare allora un'icona
nuova, assegnata alla cartella appena creata, con un nome fittizio
Nuova cartella.
Cliccando su questa denominazione provvisoria si potra' attribuire
un nome significativo alla nuova cartella. Nell'antico ambiente Dos
la copia di un documento da una cartella a un'altra veniva ordinata
con il comando Copy.
Ad esempio: copy a:/dir 1/pippo c:/dir2/pluto, ordina la copia del
documento pippo contenuto nella cartella dir1 del floppy disk
entro la cartella dir2 dello hard disk, e l'attribuzione al
documento appena creato del nuovo nome plu to. La stessa operazione
puo' essere eseguita piu' rapidamente nell'ambiente di Windows 95
adottando la seguente procedura. Si selezioni con il pulsante
destro del mouse il documento o la cartella da ricopiare e si
selezioni sul menu' a tendina che si e' aperto, la voce Copia.
Successivamente, si selezioni, sempre con il pulsante destro, la
cartella entro la quale si vuole eseguire la copia e si selezioni
la voce Incolla.
La stessa procedura puo' essere utilizzata anche per eseguire un
trasferimento, ossia una ricopiatura di una cartella o di un
documento senza duplicazione. A tale fine, e' sufficiente
selezionare, nella prima parte della procedura, la voce Taglia
anziche' Copia.
Vi e' un secondo modo, molto simpatico, per eseguire un
trasferimento. Si sposti il cursore sulla cartella o sul documento
da trasferire, e si prema il pulsante sinistro del mouse. Quindi,
tenendo premuto lo stesso pulsante, si trascini il mouse sino alla
cartella entro la quale si vuole eseguire il trasferimento e, una
volta arrivati a destinazione, si rilasci il pulsante. Il
trasferimento avverra' automaticamente.
La stessa procedura puo' essere adottata per trasferire una
cartella o un documento nel Cestino, ossia per cancellare l'oggetto
del trasferimento. Il trasferimento nel Cestino e' soltanto
provvisorio.
Infatti, in qualunque momento cliccando sull'icona del Cestino, si
potra' ripristinare qualunque cartella o documento precedentemente
cancellati. I trasferimenti possono avvenire anche fra supporti di
memoria diversi, e, tipicamente, per ricopiare un programma dal
floppy allo hard disk. Ma non fatelo, perche' e' un reato
penalmente perseguibile. Copiare le idee degli altri e' lecito
soltanto ai ricchi e ai potenti.
Angelo Raffaele Meo
Politecnico di Torino
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. TECNOLOGIA MEDICA
Come funziona la macchina che sostituisce il fegato
Gli esperimenti al Sinai Hospital di Los Angeles: salvati 47
avvelenati dai funghi
OAUTORE BASSI PIA
OARGOMENTI tecnologia, medicina e fisiologia
ONOMI MURACA MAURIZIO, MORSIANI EUGENIO, PAZZI PAOLO, CATTURAN GIOVANNI
OORGANIZZAZIONI CEDARS SINAI HOSPITAL
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, CALIFORNIA, LOS ANGELES, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS technology, medicine and physiology
LE cronache dei giorni scorsi hanno registrato la dolorosa vicenda
di una donna di Napoli morta avvelenata dai funghi, mentre forse si
sarebbe potuto salvarla con un trapianto di fegato e, in attesa
dell'intervento, allacciandola a un fegato artificiale, una
macchina ancora in fase sperimentale.
Dunque, dopo il cuore, i polmoni, il pancreas e i reni, ora sara'
il fegato ad avere un sostituto che entri in funzione il tempo
necessario per superare quei momenti di crisi profonda che possono
causare la morte del paziente. Di questo organo cosi' prezioso si
sa ancora poco, sebbene siano state catalogate ben 600 funzioni,
non si sa ancora quali siano quelle che nell'insufficienza epatica
portano alla morte del paziente.
Che funzioni sostituire? E' la domanda ricorrente dei ricercatori
impegnati su questo fronte. Per ora la morte si scongiura
sostituendo il fegato ammalato con un fegato umano espiantato
oppure finalmente attraverso un supporto metabolico esterno che
sostituisce il lavoro di depurazione che solitamente fa il fegato e
che non fa perche' momentaneamente fuori uso. Questo processo di
pulizia del plasma avviene nel fegato bioartificiale il tempo
necessario affinche' il fegato del paziente si rigeneri, cioe' si
riproducano cellule sane nel fegato ammalato.
Maurizio Muraca, professore all'universita' di Padova, che con il
gruppo di ricerca dell'arcispedale Sant'Anna di Ferrara (Eugenio
Morsiani e Paolo Pazzi), sta collaborando al progetto del fegato
bioartificiale messo a punto al Cedars Sinai Hospital di Los
Angeles nel 1994, spiega l'esperienza di recupero degli
insufficienti epatici con questa nuova tecnologia.
"Premesso che di fegati artificiali esistono modelli diversi che i
ricercatori presenteranno al congresso internazionale "Fegato
bioartificiale" che si tiene a Padova il 5-6 dicembre, finora il
fegato bioartificiale che ha dato risultati molto interessanti sul
piano clinico e' quello che funziona presso il Cedars Sinai
Hospital con la approvazione dalla Food and Drug Administration.
Questo fegato bioartificiale e' composto da uno strato biologico,
epatociti di fegato di maiale, ed una struttura artificiale di
fibre cave di plastica nelle quali viene fatto circolare il plasma
del paziente". Questa sbarra filtrante permette che a contatto
delle cellule epatiche di maiale vada solo quella parte di plasma
del paziente che deve essere elaborato, mentre esclude le molecole
che provocherebbero la reazione immunitaria di rigetto. Questo e'
il grande vantaggio rispetto ai modelli precedenti.
In quarantasette pazienti colpiti da insufficienza epatica grave e
entrati in coma - la causa e' stata avvelenamento da funghi - e
sottoposti al trattamento attraverso il fegato bioartificiale, si
e' verificata la remissione dell'insufficienza dopo 6 ore,
rigenerazione delle cellule epatiche in sito e conseguente
risveglio dal coma. Un successo che ha aperto nuove strategie di
cura che possono evitare in questo modo il trapianto di fegato
oppure limitarlo nei casi piu' gravi.
Questi successi ottenuti dagli americani hanno aperto la strada
alla cura dell'epatite fulminante ed alla ricerca di strutture
bioartificiali piu' sofisticate e resistenti.
Una di queste strutture potrebbe essere una matrice costituita da
ossidi di silicio che si sta studiando in collaborazione con il
dipartimento di ingegneria dei materiali dell'universita' di
Trento, professor Giovanni Catturan, ideatore del progetto. Questa
matrice potrebbe consentire un piu' intimo contatto tra cellule
epatiche del bioreattore e plasma del paziente favorendo gli scambi
metabolici e contemporaneamente isolando le cellule stesse dalla
reazione immunitaria.
Pia Bassi
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Fassati Luigi Raniero: "Goccia a goccia", Longanesi
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI bioetica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS bioethics, book
Sempre alla ricerca di etichette, i recensori lo hanno classificato
un "thriller medico". Gli ingredienti ci sono: in "Goccia a goccia"
troviamo una donna serial killer, le sue vittime, intrighi,
tensione narrativa. Ma l'autore, Luigi Rainero Fassati, pur
essendo alla quarta prova narrativa, non e' un professionista del
racconto. E' stato il pioniere dei trapianti di fegato in Italia
(dopo essersi specializzato con Starzl a Pittsburgh), insegna
all'Universita' di Milano e dirige il Centro trapianti di fegato
del Policlinico milanese. I lettori piu' attenti lo ricorderanno
anche come collaboratore di "Tuttoscienze". Bastano queste
informazioni per intuire che "Goccia a goccia" e' un thriller
speciale: non solo i contenuti sono scientificamente ineccepibili,
ma dietro la storia il lettore coglie molti problemi che la
bioetica sta discutendo: eutanasia, accanimento terapeutico, potere
del medico, consenso informato del paziente, uso di droghe. Un
romanzo, dunque, che si presta ad almeno tre livelli di lettura:
puramente narrativo, scientifico, bioetico.
Piero Bianucci
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Goodstein David e Judith: "Il moto dei pianeti intorno al Sole",
Zanichelli
Begelman Mitchell e Rees Martin: "L'attrazione fatale della
gravita'", Zanichelli
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia, fisica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy, physics
La gravita' e' la forza della natura piu' onnipresente nella nostra
vita quotidiana, se non altro perche' ci conferisce un peso, eppure
e' anche la piu' sorprendente nelle sue estreme conseguenze e,
nonostante la teoria della relativita' di Einstein, la meno
compresa. Due bei libri della Zanichelli ci introducono ora alla
conoscenza non superficiale della forza di gravita': "Il moto dei
pianeti intorno al Sole" di David e Judith Goodstein e
"L'attrazione fatale della gravita'" degli astrofisici Mitchell
Begelman e Martin Rees. Per scrivere il loro saggio i due Goodstein
hanno disseppellito una lezione che il 13 marzo 1964 il grande
fisico Richard Feynman tenne alle matricole del Caltech spiegando
perche' le orbite dei pianeti sono ellittiche. Il saggio
divulgativo sui buchi neri e' in realta' una sintesi
dell'evoluzione stellare e galattica, con capitoli sui quasar e sui
getti delle galassie attive. Il testo e' molto chiaro e ben
illustrato.
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Hy Ruchlis: "Non e' vero... ma ci credo!", Ed. Dedalo
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI ricerca scientifica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS research, book
Non passare sotto le scale, evitare i numeri 13 e 17, leggere gli
oroscopi, non farsi tagliare la strada da un gatto nero... Le
superstizioni sono moltissime e variano a seconda dei luoghi e dei
gruppi sociali. Hy Ruchlis, professore di pedagogia alla Dickinson
University, nella prima parte di questo libro analizza varie
credenze popolari e nella seconda delinea le basi di una mentalita'
scientifica e fornisce gli strumenti (calcolo delle probabilita',
statistica, metodo sperimentale) per liberarci dagli inganni della
superstizione.
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PERCHE' PIACE TANTO
Il cioccolato
droga dolce
OAUTORE VAGLIO GIAN ANGELO
OARGOMENTI alimentazione
OORGANIZZAZIONI INSTITUTE OF FOOD RESEARCH DI NORWICH
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA
OSUBJECTS nourishment
PERCHE' il cioccolato piace tanto? Ha ragione chi lo considera in
grado di dare una sensazione di benessere generale e gli
attribuisce proprieta' di antidepressivo, di stimolante, di
afrodisiaco? Da indagini sulla sua composizione risulta che il
cioccolato contiene componenti farmacologicamente attivi e quindi
alcune delle proprieta' che gli sono attribuite hanno una
spiegazione scientifica.
Il cioccolato ha una lunga storia. Furono gli antichi Maya a usare
per primi i semi dell'albero del cacao ("theobroma cacao" il cui
significato e' alimento degli dei) che cresceva nelle foreste
tropicali. Dai semi seccati, tostati e sminuzzati veniva ottenuto
un liquido spesso che i Maya mescolavano con acqua ed aromi vari. I
semi di cacao furono portati in Spagna all'inizio del XVI secolo
insieme al procedimento per trattarli e ottenere la massa liquida,
che contiene il 55-58 per cento di burro cacao. Questa solidifica
per raffreddamento e costituisce la base del cioccolato e di tutti
i prodotti a base di cacao.
Il cioccolato contiene alcune ammine, in particolare
feniletilammina, molecola con struttura correlata alle anfetammine
e come queste in grado di innalzare temporaneamente la pressione
arteriosa ed il livello di glucosio nel sangue. Cio' rende molto
lucidi e fornisce un particolare senso di benessere. Una teoria
suggerisce che, quando si mangia cioccolato, vengono rilasciate dal
cervello tracce di beta-endorfina, un peptide oppiaceo, e questo
fenomeno sarebbe la causa del senso di piacere.
Tra le sostanze contenute nel cioccolato - piu' di 300 - si
trovano stimolanti come la caffeina e la teobromina appartenenti
alla famiglia delle metilxantine. La caffeina e' in quantita' molto
piccole: 800 grammi di cioccolato al latte contengono la stessa
quantita' di caffeina di una tazzina di caffe', mentre la
teobromina e' in quantita' molto maggiori. Secondo ricercatori
dell'Institute of Food Research (Istituto di Ricerca sugli
Alimenti) di Norwich in Gran Bretagna, e' possibile che la
teobromina, benche' abbia effetti stimolanti molto deboli,
influenzi in sinergia con altri componenti bioattivi il desiderio
di cioccolato. Un gruppo dell'Istituto di Neuroscienze di San Diego
in California, ritiene di avere individuato una spiegazione
farmacologica del piacere di mangiare cioccolato nella presenza di
alcune sostanze che hanno sul cervello effetti in qualche misura
simili a quelli della marijua na. I grassi del cacao e del
cioccolato sono chimicamente e farmacologicamente correlati ai
lipidi del cervello N-arachidonoiletanolammina o anandamide
(termine derivato da ananda che in sanscrito significa grande
gioia), N-oleoiletanolammina e N-linoleiletanolammina. Queste
sostanze interagiscono con il sistema recettore del cervello e
simulano gli effetti psicotropici prodotti da droghe vegetali
cannabinoidi. Da tempo e' noto che l'anandamide iniettata nei ratti
provoca ipotermia, diminuita percezione del dolore e ipomobilita',
effetti confrontabili a quelli provocati dai principi attivi della
marijuana. I fenoli sono altri composti presenti nel cioccolato e
contenuti anche nel vino, che hanno un effetto positivo sulla
salute. Un quadretto di cioccolato al latte contiene quasi la
stessa quantita' di fenoli che un bicchiere di vino rosso e il
cioccolato amaro quantita' anche maggiori. I fenoli sono dotati di
proprieta' antiossidanti e quindi capaci di proteggere contro le
malattie cardiovascolari. Si ritiene, infatti, che impediscano
l'ossidazione di lipoproteine aventi bassa densita' e la
conseguente formazione dei grassi cosiddetti "cattivi" che
aderiscono alle pareti delle coronarie e provocano disturbi
cardiovascolari.
Un altro gruppo di ricerca, all'Universita' del Galles a Cardiff,
ha indagato la composizione del cioccolato ed ha individuato
nell'alto contenuto di stearato presente nel burro di cacao il
fattore che ne controlla la stabilita' ed il comportamento alla
fusione. Il burro di cacao contiene, infatti, sostanze grasse
costituite da 30- 37 per cento di esteri del glicerolo con acido
stearico, 24-31 per cento di corrispondente palmitato e 33-39 per
cento di oleato. Questa composizione rende il burro di cacao solido
a temperatura ambiente, ma quando si mangia il cioccolato i grassi
assorbono calore dalla bocca e fondono. E' la combinazione del
gusto dolce e della particolare consistenza dei grassi, a dare al
cioccolato la sua unica e piacevole sensazione di fusione in bocca.
Gian Angelo Vaglio
Universita' di Torino
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
CONTROLLO DEL TEMPO
In 20 minuti via la nebbia, e il jet parte
Si sta sperimentando una tecnica che utilizza l'azoto liquido
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI meteorologia, tecnologia, nebbia
ONOMI BONALDI SILVIO
OORGANIZZAZIONI AEROPORTO DI PARMA, SOCIETA' AUTOSTRADE, TECNAGRO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS meteorology, technology
SI puo' dissolvere la nebbia in 20 minuti su piste di aeroporti o
tratti autostradali? La risposta e' si', e ce lo dimostra un
progetto italo-russo operativo ormai da alcuni mesi. Grazie a un
accordo fra la Tecnagro (una associazione per l'innovazione
tecnologica nei settori della meteorologia e della climatologia),
l'Aeroporto di Parma e la Societa' Autostrade, il "Progetto Nebbia"
e' in pieno svolgimento nel sito aeroportuale emiliano e nel tratto
autostradale fra Parma Ovest e Parma (ritenuto fra i piu'
pericolosi).
Le cifre parlano chiaro: in novembre vi sono in media 175 ore di
nebbia a Milano Linate, 106 ore a Torino Caselle, 164 ore a Verona
Villafranca. Peggiore la situazione in dicembre: 206 ore a Linate,
130 a Caselle, 192 a Verona.
La tecnica di dissolvimento, di ideazione russa, utilizza gas
criogenici, cioe' a bassissima temperatura, come l'azoto liquido.
Si tratta di abbassare la temperatura liberando nell'aria, tramite
una rete di contenitori detti "dispenser", una soluzione di azoto
liquido compresso nelle bombole a 190 gradi sotto zero.
L'abbassamento della temperatura trasforma le particelle di vapore
della nebbia in minuscoli cristalli di ghiaccio che, per effetto
del maggior peso specifico, cadono a terra diradando la nebbia
rapidamente. Perche' il sistema funzioni, e' essenziale la
conoscenza di ogni parametro meteo-climatico (temperatura, densita'
delle particelle, velocita' e direzione dei venti), per determinare
le quantita' di azoto da liberare nell'atmosfera. L'impatto
ambientale in pratica e' nullo, essendo l'azoto un gas inerte che
compone oltre l'80 per cento dell'atmosfera terrestre.
I contenitori sono collocati in due anelli concentrici di diametro
3-4 e 8-10 chilometri. L'esperienza dei russi indica che il tempo
necessario per il dissolvimento rapido della nebbia dopo
l'accensione dei dispenser, sia di 20-30 minuti, e che il
quantitativo di azoto consumato in ogni evento e' di 150-200
chilogrammi per ora. "I contenitori" - dice Silvio Bonaldi, di
Tecnagro - vengono attivati "da un erogatore situato sopra ognuno
di essi, che viene aperto in funzione delle condizioni meteo e del
vento. I contenitori vengono aperti uno per volta e l'operativita'
verrebbe limitata alle ore di maggior traffico aereo e maggiore
probabilita' di formazione di nebbia, piu' o meno tra le 22 e le 6
del mattino. Questo per contenerne i costi e garantire un migliore
rapporto costi/benefici in questa fase sperimentale".
Quanto costa? "Circa due miliardi di lire, ma quando potra' essere
operativa i costi scenderanno sensibilmente", dice Bonaldi, che
aggiunge: "Nonostante i risultati incoraggianti dei test finora
effettuati all'aeroporto di Parma tra Tecnagro e Central
Aerological Observatory di Mosca, il progetto e' ancora penalizzato
da lentezze burocratiche degli enti pubblici e da difficolta' di
reperire fondi da parte di privati. Abbiamo comunque avuto
approvazione e finanziamenti dal ministero degli Esteri: il
progetto di questo sistema puo' infatti consentire maggiore
versatilita' e risparmio rispetto agli I.L.S. e M.L.S., i sistemi
di navigazione aerea anti-nebbia che sono installati soltanto su
pochi velivoli. E poi le compagnie aeree sono condizionate da
contratti con le assicurazioni, per cui anche con sistemi di bordo
completi, gli aerei di molte compagnie non atterrano con nebbia
poiche' le assicurazioni impongono una visibilita' maggiore".
Antonio Lo Campo
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Laurearsi
via satellite
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
Il 10 novembre e' nato Raisat Nettuno, consorzio promosso dal
ministero della Ricerca per diffondere corsi universitari via
satellite e permettere il conseguimento del diploma di laurea breve
in collegamento con le universita' statali, con regolare
immatricolazione ed esami in sede. Quest'anno si incomincia con
Ingegneria ed Economia e amministrazione d'impresa.
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL DIK DIK
Piccolo e monogamo
Antilope pigmea che vive in Africa
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI etologia, zoologia
ONOMI KOMERS PETR, BROTHERTON PETER, RHODES ANNA
OLUOGHI ESTERO, AFRICA, KENYA, EST, AFRICA, NAMIBIA
OSUBJECTS ethology, zoology
SI sa che i mammiferi maschi nella loro stragrande maggioranza sono
poligami. Il fatto che le femmine siano impegnate a lungo nella
gestazione e nell'allattamento dei figli costituisce una specie di
alibi per la loro condotta da Casanova. Quel che conta e' il
successo riproduttivo, cioe' il numero dei figli. Ed e' naturale
che per avere una prole quanto piu' numerosa possibile, i maschi
abbiano tutta la convenienza ad accoppiarsi con tante femmine
anziche' con una sola.
C'e' pero' un piccolo numero di specie (meno del 5 per cento dei
mammiferi) che fa eccezione e pratica la monogamia. Il maschio si
accontenta di una sola femmina e fa con lei coppia fissa per gran
parte o per tutta la sua vita. Fra queste specie monogame troviamo
il dik-dik, la graziosa antilope pigmea che vive nell'Africa
orientale e in quella sudoccidentale. Leggermente piu' grande di
una lepre, ha corpo minuto, zampe estremamente sottili, il capo
ornato da un ciuffetto di peli alla sua sommita', grandi occhi
cerchiati di nero. Il maschio, un po' piu' piccolo della femmina,
porta sulla fronte due cornetti appuntiti.
Ne ha fatto oggetto dei suoi studi Petr E. Komers, un ricercatore
svedese dell'Universita' di Uppsala. Risulta dalle sue osservazioni
che i maschi sono fortemente territoriali. Marcano i confini del
loro territorio con grossi mucchi di escrementi. Ed e' proprio
esaminando la forma e la dimensione delle feci che Komers riesce a
scoprire una sorta di "impronte digitali" che gli consentono non
solo di distinguere gli animali l'uno dall'altro, ma anche di
determinarne il numero complessivo nell'area in osservazione (Parco
nazionale Tsavo nel Kenya).
Per studiare il loro comportamento, lo studioso si avvale della
telemetria. Cattura gli animali di notte abbagliandoli con la luce
di un flash e applica loro un collare radiotrasmittente. Puo'
constatare cosi' che i maschi raramente mettono piede fuori dal
loro territorio, anche se c'e' una femmina disponibile a poca
distanza. Le femmine, invece, non badano tanto ai confini. Se una
femmina residente valica i confini del territorio, il maschio
immediatamente la raggiunge e la spinge con le corna costringendola
a rientrare entro le mura di casa. Sembra che sia lui il piu'
interessato a mantenere il legame di coppia. Le femmine cercano di
evitarsi. Se due di loro s'incontrano, cambiano strada per evitare
il contatto. Se poi capita che una femmina in estro depositi il suo
sterco e se ne vada, interviene sollecitamente il maschio che
annusa il deposito e si affretta a defecarvi sopra per nasconderne
l'odore. Un odore che richiamerebbe certamente i maschi del
vicinato. I rivali non sono mai lontani. E non appena succede che
un maschio sposato muore (i dik-dik vivono circa sette anni) o
viene ucciso, altri maschi invadono il suo territorio entro un paio
di giorni. Per stabilire chi sara' il fortunato che sostituira' il
defunto, i nuovi venuti combattono tra loro, usando come armi le
sottili corna aguzze. I combattimenti possono durare anche parecchi
giorni. E' chiaro che sara' il vincitore a impalmare la vedova.
Le cose vanno diversamente quando muore una femmina. Allora il
maschio rimane entro il suo territorio, in attesa che si presenti
una nuova femmina. Un'attesa che puo' durare un mese o anche piu'.
Ed e' lei che in definitiva fa la sua scelta. Se giudica il maschio
sano, capace di tenere testa ai competitori, allora gli concede il
privilegio di sposarla.
Sei mesi dopo l'accoppiamento nasce un solo piccolo. La madre lo
depone in un luogo ben nascosto e lo va ad allattare di tanto in
tanto. Lo sviluppo del figlioletto e' molto rapido. Quando ha
soltanto due o tre settimane incomincia gia' a seguire la madre o
il padre nelle loro peregrinazioni nella boscaglia. Raggiunge la
maturita' sessuale a sei mesi.
Ora, la domanda e': perche' alcuni mammiferi, a differenza della
maggioranza dei loro colleghi, scelgono la monogamia? La
spiegazione tradizionale e' che la scelgono quando entrambi i
genitori sono indispensabili per assicurare la sopravvivenza dei
figli. Questo motivo e' valido per certe specie, come il saltarupe,
altra antilope di piccole dimensioni. Nei saltarupe, che si
riconoscono a prima vista perche' quando si arrampicano sulle rocce
mantenendosi in equilibrio sulla punta degli zoccoli sembrano
ballerine che danzino sulle punte, il vincolo coniugale e' molto
stretto. Ma non e' l'amore che tiene avvinti maschio e femmina per
tutta la vita. E' piuttosto la paura dei numerosi predatori. Per
cui mentre l'uno e' intento a brucare l'erba, il partner fa la
guardia, pronto a dar l'allarme in caso di pericolo. Quando poi la
femmina e' occupata ad allevare i piccoli, il maschio deve tutelare
il partner impegnato nella cura dei figli. E non ha scelta. Correre
la cavallina significherebbe per lui perdere sistematicamente tutti
i discendenti ed estinguere la specie.
Ma nel dik dik non si puo' dire che occorra la cura di entrambi i
genitori per allevare i figli, dato che questo compito ricade
esclusivamente sulle spalle della femmina. Il maschio, come risulta
dalle ricerche di Peter Brotherton e di Anna Rhodes
dell'Universita' di Cambridge, si limita a cacciar via dal suo
territorio gli intrusi di sesso maschile. Pero' si mostra assai
piu' tollerante se gli intrusi sono di sesso femminile. E non si
puo' dire sia particolarmente vigile nella difesa dei piccoli dai
predatori. Quando gli studiosi (che hanno osservato per piu' di
mille ore 23 coppie di dik-dik nel Parco nazionale Etosha, in
Namibia) hanno trasmesso la registrazione del richiamo di un'aquila
americana predatrice dei giovani dik-dik, le femmine sono rimaste
all'erta venti volte piu' a lungo dei maschi. E allora perche' a
questa specie di antilopi conviene la monogamia?
I due ricercatori britannici ritengono che il marito legittimo sia
cosi' impegnato nel tener lontani i pretendenti della moglie
standole dietro continuamente e coprendo le sue tracce odorose, che
non avrebbe il tempo di fare altrettanto con piu' di una femmina.
Naturalmente siamo nel campo delle ipotesi.
Isabella Lattes Coifmann
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Pisa: onde
gravitazionali
OGENERE breve
OAUTORE M_CA
OARGOMENTI ricerca scientifica, fisica
OORGANIZZAZIONI INFN, CNRS
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PISA (PI)
OKIND short article
OSUBJECTS research, physics
Nel convento delle Benedettine a Pisa e' stato presentato
l'esperimento Virgo, nato dalla collaborazione fra l'Infn italiano
e il Cnrs francese. Alla cerimonia erano presenti il ministro della
Ricerca Luigi Berlinguer e il suo collega d'Oltralpe, Claude
Allegre. L'incontro e' stato l'occasione per presentare un Cd- rom
dedicato alle onde gravitazionali e all'esperimento italo-
francese. Virgo sara' uno dei piu' grandi interferometri esistenti:
e' progettato per rivelare le onde gravitazionali prodotte da
sorgenti cosmiche, previste dalla relativita' generale ma mai
osservate direttamente. Fasci di un laser di realizzazione francese
percorreranno tre chilometri in due tubi a vuoto perpendicolari,
verranno riflessi da specchi isolati da tutti gli effetti terrestri
con una sospensione frutto della ricerca italiana, e infine
riuniti. Dalle interferenze i ricercatori valuteranno la variazione
della lunghezza fra i bracci dovuta all'arrivo di un'onda
gravitazionale. Lo strumento sara' operativo nel 2001; alla fine
del '98 sara' pronto un prototipo con bracci di sei metri.
Contemporaneamente in Usa entreranno in funzione i due
interferometri Ligo. (m. ca.)
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL CERVELLO
Piu' sinapsi nelle donne?
Per compensare il minor volume
OAUTORE GIACOBINI EZIO
OARGOMENTI biologia
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, DANIMARCA
OSUBJECTS biology
SE pesassimo dieci cervelli femminili e dieci cervelli maschili di
individui della stessa eta' e dello stesso peso, in assenza di
particolari malattie neurologiche (studio che e' possibile solo
post mortem), noteremmo una sensibile differenza statistica di peso
a sfavore delle donne. Essa ci porterebbe a concludere che il sesso
femminile "ha meno cervello" di quello maschile. Finora si e'
creduto che a una minore massa cerebrale corrispondesse una
maggiore densita' di cellule nervose in certe zone (ad esempio
nella corteccia cerebrale) tale da compensare il minore volume
dell'organo. Questa spiegazione ha soddisfatto entrambi i sessi e
ci ha dato motivo di vivere in pace fino ad ora.
Le cose non stanno piu' cosi' da quando due neuroscienziati di due
diversi istituti danesi (a Copenaghen e ad Aarhus) hanno utilizzato
una nuova tecnica particolarmente fine di conteggio delle cellule
chiamata stereologica. Essa permette di contare le cellule nervose
dei diversi strati della corteccia cerebrale non solo
trasversalmente o orizzontalmente al taglio come si faceva in
precedenza ma da diversi angoli. Gli scienziati sono cosi' riusciti
a contare tutte le cellule, comprese quelle che sfuggivano ai
conteggi precedenti. Pakkenberg e Jorgen, i due neuroistologhi
(neurostereologhi) danesi, hanno utilizzato ben 94 cervelli dei due
sessi deceduti in seguito a cause non neurologiche. Un'opera
monumentale se si pensa che in uno strato solo della corteccia
dello spessore di pochi millesimi di millimetro alloggiano milioni
di cellule nervose.
Innanzitutto il nuovo studio conferma il dato ben noto che il
cervello degli uomini ha dimensioni maggiori di quello delle donne.
La sorpresa viene pero' dal conteggio quando si trovo' che i maschi
avevano un 16% in piu' di neuroni corticali delle donne. Per dirla
in modo piu' esatto si conta nel cervello maschile una media di 23
miliardi di cellule contro 19 miliardi in quello femminile. Non si
trova invece alcuna differenza tra i due sessi per quanto riguarda
la densita' (impaccamento) delle cellule. Si tratta di una vera
differenza di numero. Questi dati pubblicati il luglio scorso nel
Journal of Comparative Neurology mandarono in crisi non tanto i
circoli femministi quanto gli psicologi che si interessano
di differenze di comportamento tra i due sessi. Secondo alcuni non
si poteva spiegare la differenza di qualsiasi comportamento
complesso nei termini di una variazione cosi' vistosa di numero di
neuroni.
Altri psicologi non si trattennero dallo speculare che tali
differenze potessero dipendere invece dal concentrarsi di
popolazioni piu' ricche di cellule in quelle parti del cervello
maschile devolute a speciali funzioni come il ragionamento
cosiddetto "spaziale", che e' piu' sviluppato negli uomini che
nelle donne. Neppure questa spiegazione sembro' reggere ai
risultati descritti nel lavoro dei danesi che dimostravano una
distribuzione simile nelle varie parti del cervello dei sue sessi.
La differenza era semplicemente numerica non di distribuzione. A
questi dati anatomici molto interessanti manca un'osservazione piu'
difficile da compiere, cioe' il conteggio preciso del numero di
connessioni tra cellula e cellula (dette sinapsi nervose). Il
numero di sinapsi potrebbe essere diverso nei due sessi a favore
delle femmine e tale da compensare il numero minore di cellule.
Sono infatti le sinapsi a costituire gli elementi fondamentali
della rete nervosa del cervello responsabile per la funzione
(memoria, apprendimento e comportamento).
Nell'attesa che arrivino questi risultati importanti possiamo gia'
formulare qualche ipotesi? Non e' vero ad esempio che ogni giorno
nel nostro cervello vadano perduti milioni di cellule a causa
dell'invecchiamento. Si sa ora che e' la malattia, ad esempio
l'Alzheimer, a far morire le cellule nervose ed a diminuire le
sinapsi. Non la vecchiaia.
Oltre i 75 anni di eta' tale malattia colpisce piu' le donne che
gli uomini. Se le donne avessero in partenza meno neuroni degli
uomini il danno sarebbe maggiore e piu' rapido il deterioramento.
Per confortare le lettrici concludiamo affermando che non e' solo
il numero delle cellule nervose che conta, ma il grado di sviluppo
dei circuiti nervosi che formano il cervello.
Ezio Giacobini
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Premio Ape
a Enzo Tiezzi
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OORGANIZZAZIONI PREMIO APE
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
Il libro di Enzo Tiezzi "Fermare il tempo" (Cortina) ha vinto il
Premio Ape (Associazione Progresso Economico, Milano).
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SALVIAMO IL NOSTRO PASSATO
Ruspe sull'archeologia
I tombaroli stanno uccidendo una scienza
OAUTORE RECAMI ERASMO
OARGOMENTI archeologia, storia, cultura
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS archaeology, culture
TUTTI sappiamo dei danni provocati dagli scavi archeologici
clandestini. Riassumiamo la situazione. Fino a qualche anno fa, i
tombaroli scavavano: cosi', molti pezzi archeologici erano "salvi",
anche se perdevano la maggior parte del loro interesse scientifico
una volta tolti dal loro contesto, e anche se andavano dispersi per
lo piu' in collezioni private all'estero. Ora invece i tombaroli
usano le ruspe, buttando all'aria e le necropoli e le citta' alla
ricerca delle sole monete antiche, che poi individuano
col metal-detector. E cio' perche' trasportare monete non e'
pericoloso, e il loro mercato e' praticamente libero. Cosi'
facendo, insieme con le tombe di epoca classica, distruggono spesso
anche le sottostanti sepolture preistoriche (che, tra l'altro, non
contengono monete). Ne abbiamo visto i risultati con i nostri
occhi, e di frequente, in Sicilia: da Monte Catalfaro (Mineo) a
Castel del Bolo (Bronte). Ma non minori sono i danni causati in
varie zone dell'Italia Centrale e Meridionale, per l'arretratezza
delle leggi e delle istituzioni, dagli scavi agricoli ed edilizi; e
soprattutto nel settore cosi' interessante e ricco, e cosi'
trascurato, della preistoria (abbiamo visto trasformati in agrumeto
i piu' estesi, interessanti e bei villaggi neolitici).
A estremi mali, estremi rimedi. Premettiamo pero' che, se si vuole
davvero togliere (come sarebbe giusto) questo "lavoro" agli
scavatori clandestini, bisogna prepararsi a fornirgliene un altro:
diversamente finiranno con il compiere altri tipi di reato. In
Sicilia, interi paesi vivono sfruttando le tombe classiche, col
tacito accordo di alcune autorita' locali; accordo comprensibile
finche' non nascono alternative di lavoro. Abbiamo udito di
capi-tombaroli che ogni mese solevano prendere l'aereo, carichi,
per l'estero: magari per il British Museum di Londra. La cosa non
deve stupire: a Copenaghen, per fare un esempio, la sezione piu'
ricca del museo e' quella etrusca; se si vanno a guardare le date,
i vasi risultano tutti "acquisiti" negli Anni 60 e 70!
Altri paesi vivono col falso. I musei stranieri sono pieni anche
di falsi e per fortuna viene voglia di dire (il tam-tam dei
tombaroli, che in Sicilia cosi' come in Toscana giunge presto alle
orecchie di tutti - ma chi puo' esserne certo? - da anni va
ripetendo che perfino il famoso vaso di Eufronio, pagato circa un
milione di dollari dal Metropolitan Museum di New York, e' soltanto
la riproduzione di un vero vaso di Eufronio, effettivamente
scoperto e subito finito in una cassetta di sicurezza. Sembra
perfino che due degli intermediari abbiano pagato l'imbroglio con
la vita).
Vediamo alcune possibili soluzioni. Per tagliare le gambe al
mercato nero, il primo grande intervento sarebbe autorizzare (come
negli Usa) i sovrintendenti - o un loro delegato - a vendere il
materiale sovrabbondante che ingombra i sotterranei dei nostri
musei: spesso non catalogato, col rischio che qualsiasi custode
possa appropriarsene. Tutti i loschi agenti dei musei stranieri che
girano l'Italia facendo incetta di materiale archeologico (che
spediscono poi a casa entro uova di Pasqua, o con trucchi del
genere) perderebbero almeno parte del loro mestiere. E le nostre
sovrintendenze, col ricavato, potrebbero finalmente erigere nuovi
musei e pagare personale per tenerli aperti giorno e sera. Anzi,
potrebbero cominciare ad assumere i tombaroli come tecnici
specializzati, e farli lavorare per quotidiani interventi d'urgenza
che salvino cio' che i lavori edilizi e agricoli ogni giorno
mettono allo scoperto. Se questi fermi durassero poche ore o pochi
giorni, molte imprese comincerebbero ad accettarli, invece di far
distruggere tutto subito e di nascosto per il timore di un lungo
blocco dei lavori. Oggi questi interventi rapidi non si possono
fare soprattutto per mancanza di personale. Quando si parla della
situazione coi responsabili, questi spesso si stringono nelle
spalle: e hanno ragione perche' sono solo in quattro gatti, quando
va bene, con territori vastissimi a cui in teoria badare.
Gli amanti dei "sacri principi" - ma molto meno amanti della
realta' effettuale - si ribelleranno all'idea che qualche "sacro"
oggetto venga alienato (mentre contemporaneamente migliaia di
testimonianze vengono triturate dalle ruspe o, per un valore di
miliardi al giorno, escono dall'Italia). E' vero che ogni frammento
puo' essere importante, ma quando anche cambiasse padrone -
soprattutto se finisce in un museo straniero - non andrebbe
perduto; a volte, anzi, ne risulterebbe valorizzato.
Chi avesse ancora dei dubbi, vada a vedere la sommita' di una
collina ai bordi della Piana di Catania: Piano Casazze. C'era una
citta' greca, con necropoli, per una estensione totale da capogiro:
quasi un chilometro quadrato. Ora, si vede una zona di pochi ettari
tutta a buchi: pare un Vietnam; si riferisce al periodo in cui i
tombaroli sca vavano le necropoli. Il resto e' stato tutto spianato
colle ruspe: necropoli, citta', muri, colonne; a perdita d'occhio.
Di questa enorme citta' greca la scienza probabilmente non sapra'
mai piu' nulla. Ci si puo' gingillare con le belle parole mentre
succedono di queste cose, e i villaggi preistorichi si trasformano
ogni giorno in polvere arata e terrazzata? Quando si sente parlare
di sarcofaghi greci, di candido marmo scolpito, tagliati a fette
per potere essere trasportati clandestinamente ai mercati di
Basilea o Zurigo? Chi ha veramente a cuore l'opera d'arte
preferirebbe che in Sicilia e Toscana si intensificasse, si', il
controllo contro gli scavi illegali, ma che il mercato fosse
libero; ci rendiamo conto che cio' e' provocatorio, e non e'
possibile; ma almeno quel sarcofago ora sarebbe integro, foss'anche
in una collezione privata o perfino all'estero! La vera
applicazione pratica di un principio - ben lo si sa - puo' spesso
apparire in contrasto con il principio stesso. Bisognerebbe poi
applicare le leggi esistenti. Se lo Stato pagasse davvero ai
rinvenitori, come previsto, un quarto del valore degli oggetti
ritrovati, molti di questi non finirebbero piu' all'estero.
Quando corrono voci sul ritrovamento di un tesoretto di monete
antiche, invariabilmente queste voci riferiscono che esso e'
passato alla fine nelle mani di un ricettatore straniero, cioe' di
un inviato di qualche banca svizzera, o giu' di li'; e i
ricettatori non pagano certo piu' di un quarto del vero valore. Non
avrebbe allora potuto prendersele lo Stato quelle monete? Al
limite, rivendendole alla luce del sole, ci avrebbe guadagnato; e
si tratta sempre di miliardi.
L'ultima grande soluzione, non meno importante, e pure a costo
zero, consisterebbe nel rendere finalmente libera la ricerca
scientifica preistorica e archeologica, nel senso che gli istituti
universitari competenti, e assimilati, dovrebbero potere
intervenire ovunque liberamente, senza pastoie burocratiche e senza
dovere attendere assurdi permessi dalle sovrintendenze e dal
ministero. La censura preventiva delle sovrintendenze, che a volte
pongono intralci per gelosia o per puro esercizio di potere,
dovrebbe essere eliminata, insieme col loro strapotere sugli
istituti di ricerca scientifica. Al contrario, oggi basta che un
tizio qualsiasi goda della fiducia della sovrintendenza perche'
possa scavare come e dove vuole; mentre illustri istituti e
illustri scienziati fanno anticamera. Se per studiare gli elettroni
bisognasse chiedere il permesso ai carabinieri, in fisica gli
italiani cesserebbero subito di essere tra i primi del mondo!
Visto che le sovrintendenze non possono che svolgere una limitata
attivita' scientifica, bisogna facilitare l'intervento di tutti
i veri competenti in uno spirito nuovo: lo spirito, per intenderci,
che animo' a suo tempo la Fondazione Lerici, sempre in corsa coi
tombaroli per arrivare prima.
Per finire, bisognerebbe chiedere anche la collaborazione attenta
di tutti i semplici cittadini; la legislazione vigente risale, se
non erriamo, al 1928, e permette al cittadino che incontri un
coccio di calpestarlo e frantumarlo, ma non di raccoglierlo per
portarlo a vedere alla sovrintendenza. Essa fu concepita avendo in
mente dei rari ritrovamenti singoli e grandiosi; ed e' del tutto
inadeguata ora che, in vaste parti della Penisola, si cammina
letteralmente su selci scheggiate, cocci preistorici, frammenti di
vasi classici.
E che fare perche' l'infinita' di oggetti posseduti da singoli
privati divengano noti alla scienza e pubblicabili? Quando si
verifica che quasi non c'e' famiglia, in Sicilia o in Magna Grecia
o in Etruria, che non abbia in casa un oggetto greco o etrusco, o
un manufatto preistorico, viene l'idea di un condono o una
sanatoria, come per le tasse. Tutti gli oggetti ottenuti fino ad
una certa data potrebbero divenire "legalmente affidati" al
possessore, purche' questi entro un'altra data ne faccia denuncia
alla sovrintendenza.
Una montagna di reperti verrebbero cosi' a trovarsi a disposizione
degli studiosi. Successivamente, si dovrebbero pero' inasprire
controlli e pene per il possesso abusivo di materiale preistorico e
archeologico. Chissa' che non ci pensi almeno qualche Regione, ora
che molti poteri in tale campo sono stati decentrati.
Erasmo Recami
Universita' di Bergamo
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Telethon: trovato
il gene di Opitz
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica, genetica
OORGANIZZAZIONI TELETHON
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS research, genetics
A Milano presso l'Istituto Telethon di genetica e medicina l'equipe
di Andrea Ballabio ha identificato il gene responsabile della
sindrome di Opitz, una grave malattia ereditaria che causa
malformazioni di numerosi organi e parti del corpo.
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. SI CERCANO CONFERME
Un gluone travestito da quark?
Scoperta in Inghilterra una particella "esotica"
OAUTORE CAGNOTTI MARCO
OARGOMENTI fisica
ONOMI CLOSE FRANK, BARNES TED
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics
IN inglese glue significa "colla". Non a caso, dunque, le
particelle che fanno da mediatrici della forza nucleare forte sono
state chiamate gluoni. Questa interazione infatti diventa tanto
piu' intensa quanto piu' le particelle che ne risentono vengono
allontanate le une dalle altre.
E' grazie alla forza nucleare forte che tre quark rimangono uniti
per costituire gli adroni (i protoni e i neutroni) che si trovano
nei nuclei atomici, e che un quark e un antiquark formano un
mesone. Tutto cio' e' previsto dalla teoria della cromodinamica
quantistica (Qcd), che descrive le interazioni fra i quark ad alte
energie. Le equazioni della Qcd diventano pero' molto complesse
quando le energie in gioco sono basse. Dunque sono poco noti il
comportamento e le proprieta' dei gluoni quando le interazioni si
fanno piu' intense e si formano i protoni e i neutroni.
Gia' alla fine degli Anni 70 alcuni fisici teorici cominciarono a
ipotizzare l'esistenza di mesoni in cui i gluoni giocano un ruolo
piu' importante di quello di trasmettitori della forza nucleare
forte. Una sorta di "vibrazione" potrebbe porli in stati eccitati
la cui energia contribuirebbe a formare particelle costituite da un
quark, un antiquark e, appunto, un gluone. Per la loro stranezza
questi mesoni sono stati definiti "esotici". Il gluone potrebbe
dunque condurre una doppia vita: mediatore della forza nucleare
forte e, nei mesoni esotici, anche costituente fondamentale della
materia.
"Se la loro esistenza fosse confermata", afferma Frank Close del
Laboratorio Rutherford-Appleton, in Inghilterra, "avremmo la prova
che il gluone e' un costituente della materia con lo stesso grado
di rispettabilita' del quark". I numeri quantici, come il momento
angolare, lo spin e la carica, di un mesone esotico avrebbero
valori proibiti per un mesone normale, costituito semplicemente da
un quark e da un antiquark.
Purtroppo e' molto difficile riconoscere una particella del genere
fra le innumerevoli tracce di mesoni comuni che si osservano in un
acceleratore dopo un'interazione fra adroni.
Negli ultimi quindici anni piu' volte si e' tentato di osservare
un mesone esotico, con risultati non convincenti. Finalmente
nell'agosto di quest'anno un gruppo di ricercatori del Brookhaven
National Laboratory di New York ha annunciato di avere ottenuto il
risultato tanto atteso, i cui particolari sono stati pubblicati in
settembre su Physical Review Letters. Nell'esperimento E852,
iniziato nel 1994, essi hanno colpito un bersaglio di idrogeno
liquido con un fascio di pioni (un tipo di mesoni normali).
Le particelle provenienti dall'impatto fra i pioni e i protoni
sono state studiate da un rivelatore in grado di determinarne con
precisione le proprieta'. E, fra 200 milioni di collisioni, 400
mila indicano l'esistenza di particelle con una massa di 1370
MegaelettronVolt (un protone ha massa di 940 MeV), con numeri
quantici proibiti per i mesoni comuni ma possibili per i mesoni
esotici.
Ma una rondine non fa primavera, e la storia della fisica e'
lastricata di particelle osservate una volta, mai piu' riviste in
esperimenti successivi, e infine cadute nel dimenticatoio per
mancanza di conferme ulteriori. Serviva una prova indipendente,
dunque, che pero' quasi subito e' arrivata da un esperimento
compiuto al Cern. I ricercatori del laboratorio di Ginevra hanno
fatto scontrare un fascio di antiprotoni con i neutroni presenti
nella materia. Fra le molte particelle createsi durante l'urto, si
trovavano anche alcuni mesoni con numeri quantici esotici in buon
accordo con i dati ottenuti al Brookhaven Laboratory.
Il mesone esotico entra dunque a pieno diritto a far parte dello
zoo delle particelle? Non e' cosi' semplice. Per cominciare,
infatti, fra i tre gruppi di ricerca che hanno operato a New York
esistono leggere differenze nel valore della massa misurata. Non e'
chiaro dunque se esistono tre diversi mesoni esotici, oppure se
qualcuno, da qualche parte, ha commesso un errore.
Ma Frank Close fa notare che esiste una terza possibilita':
"Probabilmente si tratta dello stesso oggetto, che pero' ha
proprieta' dinamiche tali da dare l'impressione di avere masse
diverse". Inoltre non e' ancora veramente sicuro che gli strani
numeri quantici osservati siano la prova dell'esistenza di una
particella formata da un quark, un antiquark e un gluone. Qualche
fisico ha infatti sostenuto che potrebbe trattarsi del primo caso
osservato di un oggetto costituito da ben quattro quark. Una
particella interessante, certo, ma meno importante di una in cui un
gluone riveste il ruolo di costituente fondamentale alla pari dei
quark.
Frank Close e' possibilista: "Tutto quello che sappiamo e' che non
e' costituito semplicemente da due quark". Ma Ted Barnes, fisico
teorico dell'Universita' del Tennessee, ricorda che "la
cromodinamica quantistica prevede la possibilita' di cosi' tante
particelle con 4 quark che, se davvero esistessero, le avremmo
osservate gia' da tempo".
Marco Cagnotti
ODATA 12/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. PROGETTO NASA
Una casetta su Marte
Sei uomini sbarcheranno nel 2009?
OAUTORE BOFFETTA GIAN CARLO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OORGANIZZAZIONI NASA, AIR & COSMOS
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Moduli Habitat 1 e 2. Mav. Stazione Erv
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
IL robottino "Sojourner" sceso su Marte il 4 luglio ha perso il
contatto con la Terra il 7 ottobre dopo aver fatto piu' del suo
dovere, essendo previsto al massimo un mese di funzionamento. Altre
missioni automatiche sono e saranno al lavoro nei prossimi anni.
Intanto la Nasa pensa gia' all'invio di sei astronauti, programma
che e' stato illustrato ad Houston agli inviati della rivista "Air
& Cosmos". Come nella prima salita all'Everest, gli esploratori
stabiliranno dei "campi base", dei punti di rifornimento dai quali
proseguire con balzi successivi. Il programma e' di far partire
dalla Terra sei persone a meta' novembre 2009 per atterrare sul
pianeta rosso a meta' giugno 2010, ripartire da Marte nell'ottobre
2011 per ritornare a casa nel giugno 2012. Arrivati su Marte nel
2010, gli astronauti troveranno ad attenderli diverse strutture
inviate in precedenza in modo automatico:
1) Un modulo abitabile, Erv 1, un grande cilindro di 7,5 metri di
diametro, alto 4,7 metri, posto in orbita intorno a Marte e
destinato ad accogliere i viaggiatori in arrivo dalla Terra, dotato
del necessario per 800 giorni di vita di 6 persone, partira' nel
settembre 2007 e arrivera' in orbita nell'agosto 2008.
2) Il modulo Mav (Mars Ascent Vehicle) che verra' utilizzato alla
fine della missione per decollare da Marte verso il modulo in
orbita. Anche questo modulo, il primo ad atterrare su Marte,
partira' ed arrivera' nelle stesse date del primo con una piccola
centrale nucleare per produrre 160 kWm di energia elettrica, con
una stazione di produzione in situ del carburante, con un veicolo
pressurizzato di ben 16,5 tonnellate che permettera' a 4 astronauti
di effettuare ricognizioni fino a 500 km in 12 giorni ed un piccolo
veicolo monoposto, per muoversi entro 10 km.
3) Mentre il Mav sara' in viaggio verra' spedito l'Habitat 1, un
cilindro di uguali dimensioni dell'Erv 1, che atterrera' vicino al
Mav per creare un avamposto con la sua stazione nucleare, un
laboratorio ed un'altra "automobile" pressurizzata.
4) Ventisei mesi dopo la partenza del primo modulo abitabile, Erv
1, e del modulo Mav da utilizzare per decollare da Marte verso la
Terra, assicurati che tutto ha funzionato bene, verranno spediti
due doppioni identici, Erv e 2 Mav 2 per garantire con sicurezza il
ritorno a casa agli astronauti.
5) A meta' novembre del 2009 potra' finalmente partire l'Habitat 2
con a bordo 6 uomini e la strumentazione scientifica necessaria
all'esplorazione, per atterrare a giugno 2010. La differenza tra
questo viaggio ed i precedenti sta nella durata inferiore (8 mesi
contro 11) utilizzando una traiettoria veloce anziche' quella lenta
dei "treni merci". Cio' implica pero' un ben maggiore dispendio di
energia e quindi un costo maggiore.
Le tecnologie indispensabili per questa impresa non sono cosi'
lontane come si potrebbe immaginare. Per il primo stadio del
lanciatore si pensa di utilizzare il russo Energia in grado di
mettere in orbita 240 tonnellate, poi i motori a energia nucleare
derivati dall'Nd Nerva gia' provati negli Anni 60, tre per la
traiettoria lenta e quattro per la traiettoria veloce. Questi
motori sono in grado di portare dall'orbita terrestre 100
tonnellate in orbita attorno a Marte o 65 tonnellate direttamente
sulla sua superficie.
Occorrera' mettere a punto i sistemi di frenata per l'atterraggio
sia su Marte che sulla Terra e naturalmente la casa dove 6 uomini
dovranno poter vivere fino a 800 giorni (questi impianti verranno
provati nella stazione orbitale internazionale Alpha).
Il veicolo Mav e' forse il piu' delicato da mettere a punto:
arrivera' per primo su Marte, quattro piccoli motori freneranno la
discesa, depositera' l'automobile pressurizzata, la centrale
nucleare per l'energia elettrica e l'impianto di produzione della
miscela ossigeno liquido/metano. I suoi serbatoi saranno vuoti ma
gli accorreranno 26 tonnellate di miscela perche' i suoi due motori
Rl10 gli permettano di decollare, raggiungere una velocita' di 5,6
km al secondo per agganciare il modulo Erv che sara' rimasto in
orbita attorno a Marte aspettando gli astronauti per il ritorno.
Durante il loro soggiorno potranno effettuare passeggiate di 6 ore
a piedi nei loro scafandri intorno alla base o usare la piccola
vetturetta, simile a quella usata sulla Luna durante le ultime tre
missioni Apollo, oppure andare in giro per 500 km con l'auto
pressurizzata. Il vero problema e' un altro: come trovare i
miliardi di dollari necessari. Fra qualche mese il governo Usa
disporra' di tutti i dettagli dei costi previsti e la Nasa propone
di invitare tutti i Paesi tecnologicamente avanzati a partecipare
utilizzando le migliori conoscenze nei vari campi la' dove
esistono. Il programma Apollo costo' 25 miliardi di dollari negli
Anni 60, circa 250 di oggi, e anche se la Nasa pensa di contenere i
costi in una cifra analoga, e' difficile immaginare che una nazione
da sola, siano pure gli Usa, possa affrontare questa avventura.
Gian Carlo Boffetta
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ECATOMBE IN MAURITANIA
Virus uccide le foche monache
Lo stesso di un'epidemia nel Mediterraneo
OAUTORE NESSI EMILIO
OARGOMENTI zoologia, medicina
ONOMI VEDDER LIES
OORGANIZZAZIONI @SEAL RESCUE AND RESARCH CENTRE , CNROP
OLUOGHI ESTERO, AFRICA, MAURITANIA
OSUBJECTS zoology, medicine
UNA massiccia moria per mesi ha colpito la colonia di foche monache
sulla costa occidentale della Mauritania, lasciando sulle spiagge
ben 200 esemplari morti. Per settimane i ricercatori del Seal
Rescue and Research Centre di Pieterburen (Olanda), i biologi del
Cnrop (Centre National de Recherches Oceanographiques et des
Peches) di Nouadhibou (Mauritania) avevano controllato le coste
alla ricerca dei corpi gettati a riva dall'alta marea. Una ecatombe
senza eguali che nel giro di alcuni mesi aveva ridotto la colonia a
soli 70 individui.
Durante una di queste perlustrazioni compiute da un gruppo di
ricercatori spagnoli, erano stati trovati, in alcune grotte,
quattro cucciolotti ormai allo stremo delle forze. Denutriti e
febbricitanti, furono immediatamente portati presso l'acquario di
Cansado (un piccolo sobborgo di Nouadhibou) e affidati alle cure
della dottoressa Lies Vedder. Nel giro di alcuni mesi, grazie alle
premurose cure alle quali furono sottoposti, il loro peso era
triplicato e l'alimentazione forzata non era altro che un brutto
ricordo.
Nel frattempo nei vari laboratori europei si erano intensificate
le analisi per stabilire la causa che in cosi' poco tempo aveva
decimato questi splendidi mammiferi marini gia' minacciati di
estinzione.
Questa mortalita' di massa, ricordava il professor Osterhous
dell'Universita' Erasmus di Rotterdam (Olanda), aveva mostrato
sintomi uguali a quella che si era verificata nel 1988 nei mari a
Nord-Ovest dell'Europa. In quella occasione ben 20.000 foche
morirono a causa di un nuovo morbillivi rus chiamato "virus del
cimurro delle foche".
Nel 1990 un'altra moria colpi' pinnipedi e cetacei nelle acque del
Mediterraneo. Anche in questo caso si trovo' che gli animali
avevano avuto problemi respiratori: l'esame autoptico rivelo'
enfisema e polmoni congesti, segni evidenti da infezione da
morbillivirus.
La popolazione di foche monache era stimata nei primi mesi di
quest'anno intorno ai 500 esemplari: 200 nel Mediterraneo (lungo le
coste del Mar Egeo, in Grecia, in Turchia, Tunisia, Libia) e
270/300 lungo le coste della Mauritania.
Il numero esatto e' difficile da stabilire in quanto le foche
conducono una vita di cui sono noti pochi particolari. Trascorrono
infatti poco tempo sottocosta o a terra in grotte dove partoriscono
e si prendono cura dei piccoli.
Questo virus dunque, causa primaria dell'epidemia, si trasmette
per via orale generalmente quando le foche si incontrano e si
strofinano reciprocamente il muso fra loro.
In questi giorni, dopo essere state vaccinate, due giovani foche
monache sono state liberate sulle spiagge della riserva di Capo
Blanco all'interno del Parco Nazionale Banc D'Arguin. Willie e
Amerique, una femmina e un maschio del peso di 60 chilogrammi
circa, portavano sul capo uno speciale trasmettitore satellitare
che fornira' agli studiosi, per quattro mesi, preziose
informazioni. Solo cosi' si potra' studiare il loro comportamento e
gli spostamenti in mare aperto.
Ma all'orizzonte sembrano profilarsi altre nubi... Secondo il
direttore del Parco Nazionale del Banc D'Arguin la massiccia pesca
industriale compiuta da modernissime navi provenienti da ogni parte
del mondo sta alterando la delicata catena alimentare di questi
mari. Di contro la pesca e' forse l'unica risorsa di questo Paese
che esporta ogni anno tonnellate di pesce. Quale sara' il futuro
delle foche monache? Certamente l'impegno internazionale sostenuto
anche da un valido progetto offerto dalla Comunita' europea e la
volonta' dei ricercatori mauritani a difesa di questi splendidi
pinnipedi ci spinge a sperare in una ripresa dell'esiguo numero
rimasto.
Emilio Nessi
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Sfida mondiale all'ultima stella
In Cile l'Europa sta costruendo strumenti ancora piu' potenti
OAUTORE MIGNANI ROBERTO
OARGOMENTI astronomia, ottica e fotografia, tecnologia
ONOMI GIACCONI RICCARDO, TARENGHI MASSIMO
OORGANIZZAZIONI ESO OSSERVATORIO AUSTRALE EUROPEO
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, CILE
ONOTE VLT Very Large Telescope
OSUBJECTS astronomy, optics and photography, technology
LE ricerche degli ultimi trent'anni hanno rivelato corpi celesti
che emettono radiazione elettromagnetica (onde radio, raggi X,
raggi gamma) al di fuori della regione ottica dello spettro.
Captare le informazioni emesse a lunghezza d'onda diversa e'
necessario per comprendere meglio gli oggetti che si studiano. La
differenza e' la stessa che passa tra vedere un fotografia in
bianco e nero e una a colori. Questo e' l'importante concetto di
"astronomia a tutto campo". Ma le osservazioni fatte con i
telescopi ottici non hanno perso importanza. Al contrario,
rimangono essenziali per chiarire la natura di corpi celesti
identificati ad altre lunghezze d'onda.
Da che cosa dipendono le prestazioni di un telescopio?
Fondamentalmente dalla sua capacita' di raccogliere luce (quindi
dalle sue dimensioni), dalla strumentazione di cui e' dotato e,
ultimo ma non meno importante, dal sito dove e' collocato. A
parita' degli altri requisiti, la differenza di prestazioni dipende
dalle dimensioni del telescopio.
Costruire un telescopio di grandi dimensioni non e' un problema
banale dal punto di vista strettamente ingegneristico. Maggiore e'
la grandezza dello specchio primario (quello, cioe', che raccoglie
la luce) maggiore sara' anche il suo peso e, di conseguenza, quello
complessivo dell'intero telescopio. A parte le difficolta' insite
nella realizzazione di uno specchio di grandi dimensioni, esso
tenderebbe inevitabilmente a curvarsi sotto il suo stesso peso,
causando una inaccettabile perdita nella qualita' delle immagini.
Per questo motivo, la corsa ai grandi telescopi ha subito un
periodo di stasi negli Anni 70.
Ora pero' nuove tecniche nella costruzione degli specchi hanno
dato un impulso alla costruzione di telescopi di grandi dimensioni.
Il problema del peso dello specchio puo' essere risolto utilizzando
due strategie diverse. Una di queste consiste nell'accostare
specchi piu' piccoli, e quindi di peso minore, creando una
superficie continua di grandi dimensioni (specchio segmentato).
Questa e' la strategia adottata, ad esempio, per realizzare gli
specchi da 10 metri dei telescopi gemelli Keck I e Keck 2, situati
sul monte Mauna Kea nelle Hawaii.
L'altra strategia consiste nel realizzare uno specchio singolo, ma
sottile e dotato di un complesso sistema di pistoncini controllati
da un computer, che esercitando una opportuna pressione nei punti
strategici ne impediscono la deformazione. Questo e' il sistema
delle ottiche adattive di cui e' munito il New Technology Telescope
(Ntt) dell'Osservatorio australe europeo (Eso) a La Silla sulle
Ande cilene.
Proprio con questo sistema, l'Eso sta costruendo in Cile 4 nuovi
telescopi da 8,2 metri. I 4 telescopi saranno in grado di operare
sia singolarmente che simultaneamente raggiungendo una superficie
equivalente a quella di un unico telescopio da 16 metri. A tale
telescopio e' stato dato il nome di Very Large Telescope (VLT).
Il Vlt fara' un ulteriore passo in avanti con l'impiego delle ot
tiche adattive. Il principio e' simile a quello delle ottiche
attive (il sistema di pistoncini che regolano la forma dello
specchio), ma applicato, questa volta, allo specchio secondario,
cioe' a quello che raccoglie la luce riflessa dallo specchio
principale e la indirizza verso gli strumenti. Le ottiche adattive
dovrebbero permettere di correggere le distorsioni delle immagini
causate dalla turbolenza atmosferica locale inducendo distorsioni
in senso opposto.
Una delle altre novita' sara' quella di poter controllare il
telescopio direttamente dal centro dell'Eso a Garching (Germania)
tramite comunicazioni satellitari. Questo sistema di controllo
remoto e' gia' stato sperimentato con successo negli ultimi anni
con un altro telescopio dell'Eso: l'Ntt. Il Very Large Telescope
(Vlt) sara', quindi, il telescopio piu' grande e tecnologicamente
piu' avanzato del mondo, lo strumento ideale per svolgere ricerca
di punta agli inizi del nuovo millennio: consentira' agli astronomi
di osservare e studiare oggetti molto piu' deboli di quanto mai
osservato finora da Terra e, quindi, di spingere lo sguardo piu'
lontano nel tempo per indagare piu' a fondo le origini
dell'universo. A livello di prestazioni, il Vlt sara' in grado di
competere con il Telescopio Spaziale "Hubble", ma a costi di molto
inferiori.
Le strutture del Vlt sono gia' in avanzata fase di costruzione sul
Cerro Paranal, una montagna nel deserto cileno di Antofagasta a
Nord di La Silla, scelta nel 1987 come sito astronomico ideale. Il
Cerro Paranal e la regione circostante (in tutto circa 725
chilometri quadrati) vennero ufficialmente donati all'Eso dal
governo cileno nel 1988. Tre anni piu' tardi incomincio' la
costruzione delle prime strutture dell'osservatorio con la
rimozione di circa 300.000 metri cubi di roccia dalla cima della
montagna.
Purtroppo, la realizzazione del progetto ha corso seri rischi a
causa di una serie di contese giudiziarie sui diritti di proprieta'
della montagna. Nel 1993 una famiglia cilena, Latorre, decise di
fare causa all'Eso rivendicando la proprieta' del Cerro Paranal.
Pur non esistendo i presupposti legali per cui l'Eso possa esser
chiamato in giudizio (dal 1964 il governo cileno garantisce all'Eso
e alle sue proprieta', quale organizzazione internazionale, una
sorta di immunita' diplomatica) la vicenda ha causato seri problemi
provocando anche, nel marzo 1994, l'intervento della polizia per
imporre la sospensione a tempo indeterminato dei lavori.
Fortunatamente, il governo cileno ha convenuto sull'opportunita' di
evitare un incidente diplomatico raggiungendo un accordo tra i
rappresentanti legali della famiglia Latorre che prevede un
indennizzo di circa 10 milioni di dollari.
Ora che tutte le vertenze legali sono risolte, la realizzazione
prosegue a pieno ritmo e sono gia' state montate le strutture che
ospiteranno i 4 telescopi. Nel dicembre scorso il sito del Vlt e'
stato ufficialmente inaugurato nel corso di una cerimonia svolta
alla presenza del presidente cileno, Eduardo Frey e dei vertici
dell'Eso, tra cui il direttore, Riccardo Giacconi e il responsabile
del progetto, Massimo Tarenghi.
Secondo il programma, il primo dei 4 telescopi dovrebbe diventare
operativo per la fase di test per l'agosto del prossimo anno e, da
solo, diventera' subito il piu' grande telescopio dell'emisfero
australe e il secondo in assoluto dopo i due Keck. Gli altri 3
telescopi dovrebbero seguire a scadenza annuale. L'astronomia
europea sara' pronta, cosi', a inaugurare il nuovo millennio con il
telescopio piu' grande del mondo.
Roberto Mignani
Max Planck Institut, Garching
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. NUOVI FARMACI
C'e' un'arma
contro il virus
dell'influenza
OAUTORE BUONCRISTIANI ANNA
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
MAL di testa, febbre, gola che brucia, muco nasale cosi' abbondante
da rendere difficile la respirazione... Chi non conosce i
fastidiosi sintomi che accompagnano l'influenza? Un farmaco gia'
sperimentato sull'uomo ci da' ora la speranza di poterli alleviare
e di combattere cosi' una malattia che non solo e' noiosa, ma in
certe persone, specialmente se anziane, puo' anche provocare serie
complicazioni respiratorie e cardiache.
Un gruppo di ricercatori ha sperimentato gli effetti che una
sostanza detta zanamivir ha sugli influenzati. La malattia e'
causata da un virus grande un decimillesimo di millimetro. Esso al
centro e' formato da una spirale di un solo acido nucleico, l'Rna,
circondato da un rivestimento proteico. E' in base alla
composizione di quest'insieme che i virus influenzali sono
classificati nei tipi A, B e C, ben noti a chiunque legga un
giornale o ascolti radio e televisione nei periodi delle epidemie.
Qualcuno si ricordera' pero' di aver notato, oltre alle lettere che
indicano i tipi, delle altre, H e N. Queste specificano i sottotipi
e sono le iniziali inglesi di due glicoproteine, l'emagglutinina e
la neuraminidasi, conficcate come in un puntaspilli nella membrana
che avvolge il virus.
Come tutti gli altri virus, anche quello dell'influenza per
riprodursi deve entrare in una cellula ospite che gli fornisca quel
qualcosa che gli manca. Alla cellula il virus aderisce per mezzo
dell'emagglutinina che ha sulla propria superficie: forma dei
legami chimici, in cui entrano in gioco residui di acido sialico
presenti sulla membrana della cellula ospite. Quando il virus si e'
replicato, i "figli" sono anch'essi attaccati alla membrana
cellulare: affinche' possano essere liberati e quindi messi in
grado di diffondersi, e' necessario che i legami con l'acido
sialico vengano rotti. A questo scopo entra in gioco la
neuraminidasi, enzima il cui nome viene dal fatto che l'acido
sialico e' un derivato dell'acido neuraminico.
Gli studiosi pensano che essa non si limiti a far uscire i virus
dalle cellule, ma che li aiuti anche a muoversi nel muco che
riveste l'apparato respiratorio, facendoli diffondere piu'
facilmente.
Visto che per la replicazione del virus sono importanti i ruoli
dell'enzima, i ricercatori hanno deciso di studiare sostanze in
grado di metterlo fuori uso. Tra queste, e' efficace lo zanamivir,
la cui molecola assomiglia molto a quella dell'acido sialico. La
neuraminidasi virale viene ingannata, e si rivolge allo zanamivir
come se fosse l'acido sialico da aggredire: anzi, ha per il farmaco
un'affinita' addirittura maggiore. I virus rimangono cosi'
attaccati alla cellula ospite, e l'infezione e' circoscritta.
Finora come terapia contro l'influenza ci sono gli agenti
antivirali amantadina e rimantadina, efficaci, pero', solo su virus
di tipo A e con antipatici effetti collaterali. Per combattere la
malattia quindi non resta che prevenirla con la vaccinazione, solo
parzialmente efficace a causa dell'estrema variabilita' dei ceppi
del virus.
A questo proposito, gli epidemiologi sono in allarme perche' un
virus influenzale che finora non aveva mai infettato l'uomo e'
apparso di recente a Hong Kong e ha ucciso un bimbo di tre anni. La
paura e' che possa svilupparsi su scala mondiale una nuova epidemia
causata da un virus contro il quale non si possiedono anticorpi: un
po' come la "spagnola", che meno di ottant'anni fa uccise piu' di
venti milioni di persone.
Si sente dunque ancora di piu' la necessita' di un farmaco valido
contro ogni tipo di virus influenzale. Lo zanamivir e' stato
sperimentato in Europa e nel Nord America da ricercatori sia
universitari sia appartenenti a una multinazionale farmaceutica.
Dopo la sua somministrazione nel naso per mezzo di uno spray,
sintomi come febbre, congestione nasale e tosse durano meno che
nelle persone non trattate. Inoltre i casi di complicazione della
malattia sono minori e non ci sono effetti collaterali spiacevoli.
Si pensa che il farmaco possa entrare in commercio negli Stati
Uniti nel 1999.
Anna Buoncristiani
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PREVENZIONE
Le noci allontanano il cardiologo
Con sostanze che proteggono aorta e coronarie
OAUTORE TRIPODINA ANTONIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
ANCHE le noci aspirano a "togliere il medico di torno", come le
mele, che peraltro non hanno alcun merito del genere
scientificamente documentabile.
Le virtu' salutistiche delle noci derivano loro dall'essere ricche
di l-arginina, un aminoacido necessario alla sintesi di ossido
nitrico da parte delle cellule dell'endotelio vasale. L'endotelio,
costituito da un unico strato di cellule, e' la tonaca che tappezza
i vasi, interponendosi tra il sangue circolante e le sottostanti
fibre muscolari lisce. Fino a non molto tempo fa era considerata
una barriera priva di qualsiasi attivita' propria.
Un articolo comparso sulla rivista inglese "Nature" nel 1980 ha
modificato radicalmente questo concetto.
In questo articolo, entrato ormai nella storia della medicina,
Furchgott e Zawadadzki hanno descritto la prima dimostrazione
sperimentale dell'esistenza di un fattore vasodilatante prodotto
dell'endotelio. Questo fattore da loro denominato Edrf (Endothelium
Derived Relaxing Factor) e' stato in seguito identificato con
l'ossido nitrico (NO).
Questa scoperta ha innescato una vera rivoluzione culturale. Da
allora la ricerca intorno alla "funzione endoteliale" si e'
enormemente dilatata ed ha portato a una completa revisione
dell'inquadramento delle vasculopatie e della loro terapia. Ora
sappiamo che l'endotelio, ben lungi dall'essere una membrana
inerte, si comporta come un organo "paracrino", cioe' capace di una
secrezione di tipo endocrino locale, in grado di modulare il tono
vascolare attraverso la produzione di sostanze vasodilatanti
(l'ossido nitrico, la prostaciclina, il fattore endoteliale ad
azione iperpolarizzante) e di sostanze vasocostrittrici (la
prostaglandina H2, il trombossano, l'angiotensina II, l'endotelina,
il vasocostrittore piu' potente che si conosca). Il fisiologico
equilibrio fra queste sostanze permette di mantenere un flusso
sanguigno ottimale.
L'ossido nitrico, che e' il fattore maggiormente studiato, ha
dimostrato di svolgere un ruolo essenziale non solo nel regolare
il tono vascolare, ma anche nell'inibire la proliferazione e la
migrazione delle cellule muscolari lisce, l'adesione e
l'aggregazione piastrinica, la permeabilita' delle pareti vasali a
livello di microcircolo: tutte azioni che antagonizzano i processi
attraverso cui si instaurano le lesioni aterosclerotiche. Come gia'
detto, l'ossido nitrico e' prodotto dalle cellule dell'endotelio a
partire dalla l-arginina, attraverso l'azione dell'enzima ossido
nitrico-sintetasi.
La capacita' dell'endotelio di produrre questa sostanza e'
ostacolata dall'aterosclerosi, dall'ipertensione, dal diabete,
dall'ipercolesterolemia, dal fumo, dall'eta' avanzata. In questi
casi, di conseguenza, si ha il sopravvento degli stimoli che
determinano vasospasmo e aumentata aggregazione piastrinica e una
ulteriore propensione verso quelle patologie in cui questi processi
giocano un ruolo determinante: si pensi appunto all'angina
instabile e all'infarto del miocardio.
La "scoperta" dell'ossido nitrico ha avuto inoltre il merito di
chiarire le modalita' d'azione dei nitroderivati, i farmaci piu'
antichi nel trattamento del dolore anginoso: quest'anno ricorre il
centotrentesimo anniversario della pubblicazione su "The Lancet"
dell'articolo di Sir Thomas Lauder Brunton sull'impiego del nitrito
di amile nell'angina pectoris (1867).
Ormai e' accertato che queste sostanze sono per se stesse inattive
e che possono svolgere la loro benefica azione grazie alla loro
conversione (attraverso sistemi enzimatici ancora non del tutto
noti) in ossido nitrico. L'osservazione che i nitrati possono
supplire ad una carenza di ossido nitrico endogeno ha attribuito
loro un ruolo terapeutico nuovo, molto piu' ampio di quello finora
immaginato e in buona parte ancora da esplorare.
Anche l'aggiunta di l-arginina nella dieta mostra analoghe
proprieta' di supplenza nella produzione di ossido nitrico: in
conigli con alti tassi di colesterolo si e' riusciti a dimostrare
un ripristino delle risposte vasodilatatrici e un rallentamento
nell'evoluzione aterosclerotica nell'aorta, nelle coronarie e nelle
carotidi. E' possibile ipotizzare che anche nell'uomo una dieta
ricca di l-arginina (per esempio, dieci noci al giorno) possa
produrre gli stessi benefici effetti.
Antonio Tripodina
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. INIEZIONI
Impotenza? Prova con la prostaglandina E-1
Un disturbo che colpisce il 13 per cento degli italiani, giovani
inclusi
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
UNA stima della Societa' Italiana di Andrologia rivela che nel
nostro Paese, ogni anno, si spendono 3000 miliardi per consultare
cartomanti e occultisti su problemi della sfera sessuale. Questa
cifra da' un'idea della vastita' del fenomeno e giustifica
l'importanza di affrontare il problema in modo razionale. Ecco
perche' tre societa' scientifiche (Andrologia - Urologia - Medicina
generale) hanno intrapreso uno studio epidemiologico per verificare
la reale incidenza del fenomeno in Italia (2010 soggetti sottoposti
a indagine).
Sebbene la disfunzione erettile (la cosiddetta impotenza) non sia
una patologia "grave", l'impatto sulla qualita' della vita e'
negativo in quanto incide sulle relazioni famigliari ed
interpersonali.
Si e' visto che il deficit erettivo riguarda il 12,8 per cento
degli uomini italiani (circa tre milioni) e il disturbo colpisce
non solo persone in eta' avanzata, ma anche di eta' giovanile (2
per cento tra 20-39 anni) e media (16 per cento tra 40-59 anni).
I fattori coinvolti sono vari: diabete, fumo, stress, cardiopatie,
per non dire delle cause organiche tipo interventi chirurgici
(prostata), traumi spinali, anomalie ormonali, terapie protratte
con farmaci antidepressivi, antipsicotici, per cui e' essenziale la
collaborazione fra medico generico e specialista (andrologo,
urologo) per inquadrare il paziente nel modo migliore.
Oggi la ricerca ha fatto un passo avanti grazie alla possibilita'
di utilizzare la prostaglandina E-1 per iniezione intracavernosa.
Ne ha parlato l'autorevole rivista scientifica "New England Journal
of Medicine".
Come e' noto, le prostaglandine sono sostanze a struttura
complessa (derivate dagli acidi grassi insaturi a 20 atomi di
carbonio) prodotte nella zona midollare del rene. Poiche' sono
numerose, con azioni biologiche diverse, vengono indicate con una
lettera dell'alfabeto per identificare la serie e il tipo di
formula. La prostaglandina E-1 quindi e' una sostanza prodotta dal
nostro organismo ad azione vasodilatatrice, particolarmente
indicata quando il quantitativo di sangue che perviene al pene e'
scarso, oppure il deflusso e' eccessivo. La somministrazione
dall'esterno rappresenta una terapia sostitutiva (va a colmare una
produzione carente da parte dell'organismo). Sono sufficienti
piccolissime dosi somministrate con una microiniezione nei corpi
cavernosi del pene per riportare alla normalita' il meccanismo
erettivo alterato: poiche' la sostanza viene immediatamente
degradata in sede di iniezione, non va in circolo e non ha effetto
su altri organi.
Un grosso vantaggio e' venuto dagli autoiniettori semi-automatici,
con i quali e' possibile caricare prima il dosaggio adeguato e
successivamente effettuare la somministrazione. Le dosi, le
indicazioni e le controindicazioni devono essere valutate dal
medico specialista, il quale dara' le istruzioni necessarie per
ridurre i rischi di pungere zone non adatte (setto intercavernoso e
uretra) ed evitare gli effetti collaterali come le erezioni
eccessivamente protratte e dolorose (priapismo). Gli studi
riportano ormai oltre ottomila pazienti controllati che dimostrano
l'efficacia della metodica che consente, dopo un periodo di
rodaggio, di ripristinare l'erezione spontanea.
Renzo Pellati
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ASTRONOMIA
Sguardi sull'universo
I telescopi Keck, occhi da 10 metri
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia, ottica e fotografia, tecnologia
ONOMI KECK WILLIAM, NELSON JERRY, HORN D'ARTURO GUIDO, RODDIER FRANCOIS,
CHAFFEE FRED
OORGANIZZAZIONI KECK OBSERVATORY
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, HAWAII
OTABELLE D. Ottica intelligente (Caratteristiche tecniche di un telescopio)
OSUBJECTS astronomy, optics and photography, technology
IL Cerro Paranal, sulle Ande del Cile, con il Vlt, Very Large
Telescope, 4 specchi da 8 metri equivalenti a un unico specchio da
16, diventera' il paradiso degli astronomi qualche anno dopo il
Duemila. Ma per adesso il paradiso e' nelle isole Hawaii, sulla
cima del vulcano Mauna Kea. Qui sono da poco entrati in servizio
due telescopi da 10 metri ciascuno: "Keck 1" (inaugurato nel '93) e
"Keck 2" (1996), dal nome del mecenate che li ha finanziati,
William Keck. E presto saranno pronti il telescopio nazionale
giapponese "Subaru" da 8,3 metri di diametro e "Gemini" da 8,2
metri, una collaborazione tra Usa, Canada, Gran Bretagna, Brasile,
Argentina e Cile (dove sorgera' uno strumento identico, in modo che
gli astronomi possano avere sott'occhio l'emisfero boreale e
l'emisfero australe).
I telescopi Keck e i suoi compagni si trovano in mezzo all'oceano
Pacifico a 4200 metri di quota. Nessun altro osservatorio
astronomico sta cosi' in alto. Il Mauna Kea svetta sopra meta'
dell'atmosfera. Per gli astronomi l'aria e' un nemico perche' la
sua turbolenza disturba fortemente le immagini. Eliminarne la
meta', quindi, e' un grande vantaggio, anche se ha i suoi
inconvenienti: lassu' l'ossigeno scarseggia, mettendo in
difficolta' i motori delle auto e rendendo faticosa la respirazione
dei ricercatori, con conseguenti mal di testa. Ma per poter
scrutare piu' lontano nell'universo si sopporta questo e altro. E
poi i pregi del Mauna Kea sono anche altri. Una inversione termica
trattiene le nubi tra i duemila e i tremila metri. Superato lo
strato di nuvole, il cielo e' sereno per 300 notti all'anno.
Le due cupole dei telescopi Keck sono unite da un edificio basso e
lungo in quanto gli astronomi non si accontentano di usare questi
strumenti indipendentemente l'uno dall'altro ma vogliono anche
farli funzionare come un grande interferometro: facendo incrociare
i fasci di luce provenienti dai due specchi, si ottiene in pratica
uno strumento il cui potere di risoluzione, cioe' la capacita' di
separare punti vicini, e' equivalente a quella di un telescopio da
85 metri, qual e' la distanza tra i due Keck. Cosi', grazie
all'ampiezza record degli specchi e al loro uso come interferometro
(sara' messo a punto nei prossimi mesi), questo strumento e' oggi
di gran lunga l'occhio piu' potente a disposizione degli astronomi:
puo' spingersi fino a 10-12 miliardi di anni luce, cioe' quasi ai
confini del cosmo, che dovrebbero trovarsi sui 15 miliardi di anni
luce.
La concezione dei Keck risale al 1977 e si deve a Jerry Nelson,
dell'Universita' di California. Allora la tecnologia non era in
grado di fornire specchi da dieci metri di diametro lavorati con
precisione ottica, cioe' al decimillesimo di millimetro. Nelson
penso' dunque di accostare 36 specchi esagonali da 1,8 metri,
applicando un'idea gia' proposta dall'italiano Guido Horn D'Arturo
negli Anni 30. L'insieme dei 36 specchi mantiene una perfetta
curvatura sotto la spinta di tre pistoni controllata in tempo reale
da un computer che elabora i dati fornitigli da 168 sensori. In
questo modo gli specchi conservano la giusta posizione entro lo
scarto massimo di 5 milionesimi di millimetro. La superficie di
raccolta della luce raggiunge i 76 metri quadrati, 150 mettendo
insieme i due strumenti, da confrontare con i 20 dello storico
telescopio di Monte Palomar. Diventano cosi' osservabili stelle
dieci miliardi di volte piu' deboli di quelle al limite della
visibilita' a occhio nudo. Ognuno dei due telescopi pesa 300
tonnellate, le cupole che li proteggono sono alte 25 metri. Il
tutto al prezzo, non modico, di un miliardo di dollari: tre quarti
offerti dalla Keck Foundation, un quarto fornito dall'Universita'
della California e dal Caltech.
L'isola ha due vulcani principali. Il Mauna Kea dorme da migliaia
di anni, il Mauna Loa e' in attivita' permanente. All'Osservatorio
si sale passando per un colle tra i due crateri. Da una foresta di
eucalipti si sale alla prateria di Parker Ranch e di qui all'arido
deserto della cima. Le indicazioni sono scarse, la strada e' poco
piu' di una pista, 25 chilometri di terra battuta e soltanto gli
ultimi due chilometri asfaltati, perche' la polvere disturberebbe
le osservazioni.
Il primo ad apprezzare la qualita' di questo balcone sull'universo
fu il famoso astronomo americano Gerard Kuiper, che gia' nel 1964
penso' di mettervi un piccolo telescopio per osservare i fenomeni
meteorologici di Venere, Marte, Giove e Saturno. Nel 1979, sul
picco piu' alto, fu installato il primo grande telescopio, un
riflettore da 3,6 metri frutto di una colaborazione
franco-canadese. Questo strumento e' tuttora competitivo grazie
alla sua ottica adattiva: le turbolenze dell'aria vengono
analizzate 1000 volte al secondo e in tempo reale un computer
provvede a restaurare le immagini correggendo, cento volte al
secondo, la forma di uno specchietto largo 80 millimetri e spesso
2.
Grazie a questa tecnologia, derivata da ricerche fatte per il
progetto dello "scudo spaziale" voluto da Reagan, ricerche allora
sotto segreto militare ma declassificate dopo la dissoluzione
dell'Urss, qualche settimana fa Francois Roddier e' riuscito a
osservare le eruzioni dei vulcani di Io, uno dei quattro maggiori
satelliti di Giove.
Qual e' il ruolo dei grandi telescopi della nuova generazione in
rapporto al telescopio spaziale "Hubble" e al suo successore, che
potrebbe diventare operativo intorno al 2010?
Fred Chaffee, direttore del Keck Observatory, non ha dubbi: la
capacita' di raccogliere grandi quantita' di luce per tempi molto
lunghi, cosa necessaria se si deve ottenere lo spettro di sorgenti
debolissime, rimarra' sempre il punto di forza dell'astronomia
fatta dal suolo. Il telescopio spaziale e' insuperabile
nell'avvistare gli oggetti celesti piu' remoti, ponendo nuovi
problemi agli astronomi; ma per approfondire le ricerche e
risolvere i problemi occorrono i grandi telescopi terrestri. In
cio' Mauna Kea ha ancora davanti a se' alcuni anni di dominio
assoluto, poi il testimone passera' al Vlt dell'Osservatorio
australe europeo. Il primo dei suoi 4 telescopi viene montato
proprio in questi giorni.
Piero Bianucci
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ETOLOGIA DELLO STALLONE
Carattere, potenza, bellezza
La vita di branco e lo stress dell'allevamento
OAUTORE BURI MARCO
OARGOMENTI etologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ethology
SE vi e' capitato di osservare dei cavalli selvaggi vi sarete forse
accorti che nel loro placido modo di brucare conservano un attento
controllo su cio' che accade intorno a loro. Guardando meglio
possiamo notare che uno, in particolare, e' piu' vigile e reattivo:
lo stallone. Nell'organizzazione sociale del cavallo libero,
infatti, un singolo stallone e' dominante sul suo branco. Le
femmine del gruppo, spesso meno di sei, si dividono in "matriarca",
che in genere e' la favorita, e le altre, che sono sottomesse anche
alla fattrice prediletta. Da dove proviene il fascino dello
stallone?
Lo stallone esprime, esaltandole, tutte le caratteristiche
peculiari del cavallo. L'essenza di questo animale ha radici
antichissime: giunta inalterata ai giorni nostri, si riflette in
ogni suo movimento. Nevrilita', carattere e potenza si delineano
nel suo comportamento, sono racchiusi nella sua mole per esplodere
all'improvviso in forme di vitalita' sempre diverse. E' sufficiente
osservare il preciso e possente disegno dei suoi muscoli per
riportarci a galoppate nelle praterie, nelle steppe, nei deserti.
Basta fissare la fulgida vivacita' del suo sguardo per trovarci
immersi nella profonda liberta' dell'essere e stupirci di come solo
questo animale sia un frammento di storia che vive accanto a noi.
Cerchiamo ora di capire i suoi comportamenti piu' comuni e piu'
segreti.
I cavalli sono in natura gregari e sociali perche' in questo modo
aumenta la sicurezza della loro sopravvivenza sia per la
distribuzione del cibo sia per ridurre il pericolo dei predatori.
Lo stallone e' molto aggressivo verso altri maschi maturi che si
avvicinano alle femmine e ai piccoli del suo nucleo familiare, in
special modo durante il periodo del calore.
Il maschio dominante galoppa intorno al gruppo tenendo le cavalle
e la prole nel branco, e proteggendoli da chi li aggredisce o da un
altro stallone che si avvicina. Galoppa in cerchio con orecchie
basse, mento esteso in avanti, muovendo la testa su e giu' per
incutere timore agli avversari. Al momento di un eventuale attacco
da parte dell'altro maschio si ingaggia un vero incontro di lotta
con impennate, morsi, sgroppate e calci diretti all'avversario. Il
vincitore continua a dominare oppure si alterna al comando.
Lo stallone rimane per anni con le sue femmine. I puledri sono
svezzati dalle fattrici verso i nove mesi di eta'. Spesso, pero',
lo "yearling" continua a stare vicino alla madre per piu' tempo,
specialmente se femmina; perche' i maschi verso i diciotto mesi
raggiungono la puberta' e, se intraprendenti sessualmente, possono
venire scacciati dal branco dallo stallone dominante. Cosi' alcuni
maschi giovani formano un loro gruppo di scapoli o con altre
femmine giovani fuoriuscite anch'esse dal nucleo originario. Questi
maschi sono in attesa comunque di subentrare a qualche stallone
vecchio o formarsi un proprio gruppo familiare. Se le riserve di
cibo sono abbondanti, piu' gruppi familiari si radunano formando
branchi anche molto numerosi. Gli stalloni tendono a marcare un
territorio che e' da loro difeso. Lo fanno molto spesso
generalmente urinando dove altri hanno gia' deposto le loro urine e
accumulando le feci in una zona ben delimitata. Questi sono
messaggi di controllo per gli altri soggetti del branco o per
cavalli esterni che passano in quella zona. Tutti i cavalli del
gruppo rotolandosi sul terreno si impregnano di questi odori che
danno quindi un elemento di riconoscimento olfattivo al branco
stesso.
L'approccio o corteggiamento dello stallone si manifesta con
l'ispezione olfattiva e tattile della femmina (lipcurl), dapprima a
livello generale e poi dei suoi genitali esterni, accompagnata, a
volte, da leggeri morsi, sbruffi respiratori e vocalizzi brevi ed
intensi. La risposta biochimica di questi atti e' nella capacita'
di produzione, da parte dei testicoli, di ormoni androgeni quali
testosterone, diidrotestosterone e androstenedione. Caratteristica
peculiare dei maschi della razza equina e' la presenza, anche, di
grandi quantita' di estrogeno. La fase del corteggiamento, molto
importante ma a volte sottovalutata, puo' durare fino a 15-20
minuti prima che lo stallone sia pronto alla monta vera e propria
con piena erezione e contrazione dei muscoli della groppa come
preparazione al salto.
Con l'avvento delle tecniche di inseminazione artificiale, per
concreti motivi di ordine gestionale degli stalloni, si sono venuti
a creare, a volte, disturbi del naturale atteggiamento del maschio.
L'uso della vagina artificiale puo' interrompere bruscamente quella
catena di atti utili al normale controllo, anche psicologico, della
manifestazione sessuale corretta.
Lo stallone puo' soffrire, cosi', di una serie di patologie
comportamentali che tendono ad inibirne l'attivita' riproduttiva.
L'eccitazione eccessiva, per esempio, si riscontra quando l'animale
non ha tempo di conoscere a fondo l'ambiente che lo circonda e le
cavalle che deve coprire. Reagisce cosi' con grande eccitazione,
forte libido ma senza sicurezza e serenita' nell'approccio
sessuale. Cio' puo' provocare eiaculazioni con numero piu' basso di
spermatozoi attivi e quindi diminuzione della fertilita'. Altra
causa e' la mancanza di libido derivante spesso da un pesante
sfruttamento dello stallone. La fretta o l'imperizia dell'uomo
nelle monte controllate, a volte e' causa di traumi locali che
provocano reazioni di insofferenza verso l'atto sessuale e il
disinteressamento all'approccio con le femmine.
Anche l'eccessiva aggressivita' verso altri cavalli e persone, e'
in genere collegata all'isolamento a cui lo stallone e' costretto
per la maggior parte del tempo nella sua vita di allevamento. A
tutto cio' si puo' ovviare rimettendolo in liberta' per un certo
periodo affinche' riprenda una vita di relazione piu' naturale con
femmine, altri cavalli ed ambiente circostante.
Probabilmente la strada futura per la miglior gestione degli
stalloni negli allevamenti, sara' nell'accettare la tecnologia che
si affaccia prepotentemente nel campo biologico, fatta salva la
serieta' negli intenti e nell'applicazione pratica. Dall'altra
parte occorrera' approfondire la conoscenza e il rispetto della
natura di questo animale. Solo un giusto insieme di questi approcci
potra' conservare intatto il fascino, frutto di potenza e bellezza,
che ha accompagnato lo stallone in tutta la sua evoluzione.
Marco Buri
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. CULTIVAR IN RIPRESA
Ritorna il vecchio castagno, anche transgenico
Un albero che, oltre a produrre frutti, ha fornito nei secoli un
prezioso legname
OAUTORE ACCATI ELENA
OARGOMENTI botanica
ONOMI BOUNOUS GIANCARLO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS botany
E'tempo di castagne, da sempre considerate come un frutto prezioso,
esportate dai romani al di la' delle Alpi, alimento importante,
prima che fosse importata la patata, per l'elevato valore
nutritivo. Sono composte di amido, zuccheri e una piccola
percentuale di sostanze azotate, di grassi, di fosforo e sono
ricche di vitamine B e C. Sono state in passato alimento
integrativo o sostitutivo del grano grazie alla farina che se ne
ricavava o come frutti da minestra al pari dei legumi, specialmente
della fava. Per il consumo oggi si impiegano le cultivar note come
Marroni, di cui esistono vari tipi, da quelle fiorentinesi a
quelle di Pavullo, di Chiusa Pesio, di Cervasca, di Spoleto, di
Avellino. L'albero di castagno ha un tronco corto ma possente, con
rami che si espandono armoniosamente rendendo la chioma imponente;
puo' raggiungere trenta metri di altezza, fino a quindici di
circonferenza e vivere oltre mille anni. Oltre al cibo il
castagneto ha fornito all'uomo una incredibile quantita' di
attrezzi da lavoro. E' ancora facile vedere case rurali con tavole
di castagno di lunghissima durata perche' il castagno e'
resistentissimo alle intemperie. Con la corteccia si costruivano
grondaie, canali per condurre l'acqua agli orti, mentre i tronchi
piu' vecchi sono stati usati come travi per tetti, o per fare
madie, porte, pavimenti, piatti, secchielli, mortai, ciotole.
La coltura del castagno ha conosciuto, dopo un grande favore, un
periodo di declino e di abbandono in tutta l'Europa per effetto del
cancro corticale causato dal parassita fungino Endothia parasitica
e soltanto recentemente ha mostrato segni di ripresa. Si stanno
ripristinando vecchi impianti e realizzando nuovi frutteti anche
utilizzando ibridi parzialmente resistenti alle malattie. In tale
contesto - afferma Giancarlo Bounous dell'Universita' di Torino,
uno dei massimi studiosi di questa specie - il miglioramento
genetico riveste un ruolo fondamentale per ottenere nuove cultivar
di qualita' per quanto concerne il frutto e il legname. Ovviamente
le finalita' del miglioramento genetico del castagno sono
funzionali alla destinazione del prodotto, frutto o legno, e della
tecnologia adottata nel processo produttivo: meccanizzazione della
raccolta, prodotto venduto fresco o trasformato.
Le risorse genetiche derivano essenzialmente da otto specie del
genere Castanea tra cui la C. sativa (castagno europeo) di cui
esistono estese foreste impiantate nel corso di millenni che si
estendono dal Caucaso attraverso Turchia, Grecia e Paesi balcanici
all'Italia, la Francia, la Spagna, il Portogallo e l'Inghilterra
meridionale. Anche se la C. sati va e' sensibile al mal
dell'inchiostro e al cancro corticale, esistono genotipi con
particolare resistenza al fungo. Sono disponibili copiose e varie
risorse genetiche in molte regioni del nostro Paese, vi e' pero' il
rischio di perderle; quindi si impone la necessita' della
conservazione per mantenere geni e sistemi genetici di pregio. In
Italia il problema e' complicato dal fatto che sussistono centinaia
di nomi, sinonimi e omonimi di varieta' selezionate per le
peculiari qualita' delle castagne. Quindi il lavoro da affrontare
e' moltissimo; tuttavia negli ultimi anni sono stati avviati
programmi di selezione basati su tecniche avanzate quali la
selezione precoce, l'impiego di marcatori genetici, le mappe
genomiche, gli incroci di ritorno e la selezione ricorrente. E ci
sono anche tecniche per ottenere piante transgeniche.
Elena Accati
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. NEL SALENTO
Una rarita'
botanica:
la Centaurea
OAUTORE CARTELLI FEDERICO
OARGOMENTI botanica
OORGANIZZAZIONI SOCIETA' BOTANICA ITALIANA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS botany
SULL'"Informatore botanico italiano" (quadrimestrale della Societa'
Botanica Italiana), e' stato segnalato il primo ritrovamento nel
nostro Paese di "Centaurea pumilio L.", pianta catalogata come
rarita' europea su tutti i bollettini botanici. La specie esotica
e' tipica della regione mediterranea orientale (Turchia) e delle
coste Nord-africane. Il ritrovamento, risalente comunque a diversi
anni fa prima che fosse ufficializzato dal mondo scientifico, e'
avvenuto lungo il litorale ionico meridionale della penisola
salentina.
La pianta e' un'asteracea perenne la cui altezza varia da quattro
a venti centimetri. Le foglie basali picciolate, in rosetta, hanno
consistenza carnosa; mentre i capolini, di due-tre centimetri di
diametro, sono caratterizzati da squame con margine cartilaginoso.
Ogni capolino possiede due tipi di fiori tubulosi: quelli esterni,
sterili e piu' lunghi, sono roseo-lillacino; i fiori interni
invece, fertili e piu' corti, sono biancastri con gli apici delle
antere di colore violaceo. Un censimento ha calcolato la
consistenza attuale della "Centaurea pomilio L." in circa 500
individui, di cui almeno un terzo di notevoli dimensioni,
distribuiti su una superficie di quasi 2000 metri quadrati. Gli
individui giovani, presenti con alta percentuale (80%), dimostrano
un'ottima vitalita' della popolazione.
Il futuro di questa pianta, la cui fioritura inizia alla fine di
aprile e dura per tutto agosto, e' pero' incerto. L'area su cui e'
stata rinvenuta e' soggetta a continui fenomeni erosivi. L'estremo
litorale ionico-salentino e' infatti costituito, in prevalenza, da
un substrato sabbioso di origine sedimentaria che poggia su
calcareniti facilmente degradabili per l'azione incessante del
vento e del mare. Si aggiunga che la zona del ritrovamento, specie
durante la stagione estiva, e' sottoposta a una consistente
frequentazione turistica che spesso, involontariamente, e' causa di
danno per l'ambiente.
Attualmente, non si sa come sia sorta la stazione salentina con
gli esemplari di Centaurea. Sono in corso studi biosistematici su
campioni per stabilire se si tratta di una stazione relitta oppure
di una recente introduzione.
Federico Cartelli
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. MEDICINA
Il mal di testa ora si puo' vedere
Una nuova tecnica permette di studiare l'emicrania
OAUTORE PINESSI LORENZO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Registrazione di un attacco di emicrania nella fase acuta
e nei giorni seguenti (Brain Mapping)
OSUBJECTS medicine and physiology, technology
L'emicrania e' una malattia diffusa e spesso di difficile diagnosi:
in mancanza di alterazioni osservabili, il medico puo' far conto
solo su quanto riferisce il paziente. Non esistono esami di
laboratorio che permettano di diagnosticare la malattia con
certezza. In passato si e' cercato di studiare l'emicrania
valutando le modificazioni indotte dalla crisi sul flusso ematico
cerebrale e si sono usati metodi relativamente grossolani, come
quelli dello Xenon 133 o misurazioni doppler, con risultati
discordanti. Piu' recentemente e' stato possibile mettere in
evidenza modificazioni del metabolismo cerebrale in corso di crisi
emicranica tramite la tomografia ad emissione di positroni (Pet).
Queste tecniche, molto costose, sono disponibili solo in pochi
laboratori e difficilmente possono essere utilizzate per la
diagnosi della malattia.
Lo sviluppo delle tecniche di neurofisiologia clinica ha permesso,
negli ultimi anni, di studiare in modo accurato ed innocuo le crisi
emicraniche. Sono state messe a punto nuove metodiche
neurofisiologiche come il brain mapping, lo studio dei potenziali
evocati evento-correlati e la magnetoencefalografia che hanno
consentito di visualizzare meglio le crisi emicraniche, ottenendo
preziose informazioni sul meccanismo delle stesse. L'obiettivo del
brain mapping e' quello di fornire una valutazione quantitativa
dell'attivita' elettrica cerebrale. Tramite apposite mappe
elaborate con scale di colore e' possibile ottenere una
rappresentazione grafica del segnale Eeg tradizionale, evidenziando
anche minime anomalie elettriche. Questa metodica non invasiva,
oggi disponibile in alcuni laboratori, ha permesso di capire meglio
il meccanismo della malattia.
Anche il Laboratorio del Dipartimento di Neuroscienze
dell'Universita' di Torino ha registrato, tramite apposite
apparecchiature (Brain Electrical Activity Mapping) le
modificazioni indotte dalla crisi emicranica sull'attivita'
elettrica cerebrale. Sull'emisfero colpito dalla crisi compare un
progressivo rallentamento dell'attivita' elettrica fisiologica
(l'attivita' alfa) che viene sostituita, in particolar modo durante
le crisi di emicrania con aura, da attivita' patologica lenta in
banda theta e delta. Tale attivita' elettrica lenta si localizza
spesso in zone specifiche del cervello. Le alterazioni elettriche
evidenziate possono durare per molti giorni. Le immagini a lato
illustrano la comparsa e l'evoluzione di una crisi emicranica in un
giovane paziente.
I potenziali evocati evento- correlati (Event Related Potentials)
valutano i meccanismi cerebrali che provvedono all'elaborazione
degli stimoli ambientali. Sono potenziali a lunga latenza, detti
anche potenziali endogeni o cognitivi, che riflettono la complessa
attivita' svolta dal cervello nell'ambito dei processi decisionali.
All'universita' di Munster, in Germania, il gruppo di ricerca di
Stefan Evers ha applicato queste metodiche ad un vasto gruppo di
pazienti emicranici ed ha dimostrato anomalie dei processi
cognitivi anche al di fuori delle crisi. I potenziali evocati
visivi evento-correlati sono risultati significativamente alterati
negli emicranici con una importante compromissione dei processi di
adattamento cognitivo. Il trattamento con alcuni dei farmaci
utilizzati nella profilassi dell'emicrania e' in grado di
normalizzare le anomalie bioelettriche evidenziate.
Una metodica del tutto innovativa per valutare l'attivita'
cerebrale e' costituita dalla magnetoencefalografia. In questo caso
viene registrata l'attivita' magnetica generata dal cervello e non
piu' l'attivita' elettrica. I campi neuromagnetici sono costituiti
da segnali estremamente deboli in rapporto al rumore di fondo ma
forniscono informazioni preziose anche su strutture situate nella
profondita' del cervello. In Italia l'unica apparecchiatura
magnetoencefalografica e' disponibile presso il Cnr a Roma. Lo
studio dell'attivita' neuromagnetica nei pazienti emicranici ha
confermato l'esistenza di importanti alterazioni del metabolismo
cerebrale durante la crisi.
Questi studi rivelano che il cervello emicranico e' caratterizzato
da uno stato persistente di ipereccitabilita' e di ipersensibilita'
a diversi stimoli, esogeni ed endogeni. Anche le risultanze dei
piu' recenti studi genetico-molecolari, che hanno evidenziato
anomalie dei canali ionici di membrana, collocando l'emicrania tra
le "canalopatie" concordano su questo possibile meccanismo di
malattia. La progressiva diffusione di queste metodiche permettera'
una migliore diagnosi dell'emicrania cosi' come lo studio di
farmaci piu' efficaci e selettivi.
Lorenzo Pinessi
Direttore Centro Cefalee
Universita' di Torino
ODATA 05/11/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. COSA C'E' NEL COMPUTER
File come
Puo' essere un testo, un'immagine, o musica
E deve avere un nome di non piu' di otto caratteri
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE
OARGOMENTI Informatica, elettronica
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Esempio di organizzazione dei file in un personal computer
OSUBJECTS computer science, electronics
L'UNITA' fondamentale di informazione nel colloquio fra l'uomo e il
calcolatore oppure, entro lo stesso calcolatore, fra un programma e
un altro, e' il "file". File e' sinonimo di documento. Documento
puo' essere un testo, un'immagine, un testo corredato di immagini
o, anche, come vedremo quando parleremo di personal computer
multimediali, anche un brano musicale o un filmato.
Un file e' identificato da una denominazione, come Articol3.Doc,
costituito dal nome vero e proprio a sinistra del punto, che e'
bene non contenga piu' di 8 caratteri o cifre, e da un'estensione,
composta da 3 caratteri al massimo, che, come vedremo, indica la
tipologia del documento ed e' utilizzata automaticamente dal
sistema operativo e da altri programmi.
Il nome del file e' scelto dall'utente nel momento della sua prima
creazione. Spesso gli informatici attribuiscono ai loro documenti
nomi di fantasia, come Pippo e Pluto (quando diventero' rettore del
Politecnico, nell'aula magna faro' porre un busto di Pippo, il piu'
ricorrente dei protagonisti del mondo dell'informatica). Altri
scelgono nomi selezionati dal lessico del turpiloquio, di cui non
presento nessun esempio, perche' questo articolo diventerebbe
illeggibile da signore e signorine. Altri ancora, rivelando poca
fantasia, usano tecniche enumerative e chiamano i loro file con
nomi standard, come File1, File2, e cosi' via, fino a File827 e
oltre.
Tutte queste pratiche sono sconsigliabili, perche' dopo un anno di
lavoro qualunque utente ha generato centinaia di file ed e'
opportuno che il nome del file ci aiuti nella ricerca. Cosi', ad
esempio, una lettera al veterinario per esporgli i problemi di
salute del gatto e' bene si chiami Gattomal.let e un articolo su
"La Stampa" dedicato alle rotture di scatole del mondo moderno
potrebbe essere battezzato Tommasei.doc (come li chiamava Leopardi,
rivelando piu' stile di Sgarbi, ma meno amore per Tommaseo).
La politica di attribuire ai file dei nomi semanticamente
pregnanti non e' comunque sufficiente quando si ha a che fare con
centinaia di file. Per questo motivo quasi tutti i sistemi
operativi offrono all'utente gli strumenti per organizzare i file
entro una struttura gerarchica nella quale sia piu' facile muoversi
nella fase di ricerca. Questa struttura e' organizzata ad albero,
un albero un po' singolare con la radice in alto e le foglie in
basso, come vediamo nella figura in alto che rappresenta una parte
dell'organizzazione del mio personal computer.
Per comprendere meglio la stessa figura, cerchiamo di seguire i
tortuosi percorsi mentali di un accademico. Ho deciso di
suddividere i miei documenti in quattro cartelle; la prima,
chiamata Ricerca, conterra' i miei articoli scientifici, o presunti
tali; la seconda, di nome Accademi, sara' utilizzata per
l'attivita' accademica; la terza, Corsi, conterra' le carte
relative agli insegnamenti; ed infine la cartella Varie sara'
dedicata ai documenti che non rientrano nelle categorie precedenti.
Poiche' i documenti relativi ai Corsi sono numerosi, ho deciso di
suddividere la cartella Corsi in un certo numero di sottocartelle.
La sottocartella Unionind contiene il materiale del corso di
alfabetizzazione informatica che sto tenendo all'Unione
Industriale; a sua volta questa cartella e' stata suddivisa nelle
cartelle dedicate al capo, Dagoberto Brion, e agli sponsor.
Infine, la cartella Sponsor e' stata suddivisa in tre comparti, a
cui sono stati assegnati i nomi Bav, Siemnixd e Intesa, come
contrazione su 8 caratteri o meno di Banco Ambrosiano Veneto,
Siemens Nixdorf e Intesa.
Un percorso discendente sull'albero, che parte dalla radice,
prende il nome di "path" o "cammino". Un esempio di "path" e'
/Corsi/Unionind/Sponsor/Siemnixd. Un "path" e' in sostanza
l'indirizzo di una cartella sull'albero del file system. Spesso
l'indicazione di un "cammino" e' preceduta dalla specificazione
dell'unita' di memoria di massa contenente il file system. Tale
specificazione e' generalmente formulata come A: per indicare il
floppy disk; B: per un eventuale secondo floppy; C: per lo hard
disk o una sua partizione; D: o E: per un'eventuale seconda o terza
partizione dello hard disk.
In ogni istante del lavoro, vi e' un "path corrente" o "cammino
corrente" che e' l'indirizzo della cartella su cui si sta
lavorando. E' importante tenere sempre a mente il "path corrente",
perche' i comandi del sistema operativo fanno generalmente
riferimento a tale indicazione.
Come abbiamo gia' visto, il Dos o "Disk Operating System" e' stato
il primo sistema operativo per il personal ccomputer, sviluppato da
Bill Gates nel '79. Un importante sottoinsieme dei comandi del Dos
consente all'utente di creare, poco alla volta, il suo "file
system", di riempire le cartelle e di gestire il tutto. Elenco i
primi tre, invitando il lettore a provarli sul calcolatore.
1) Dir. Prende il nome da "directory", o "direttorio", "indice",
che fu il primo nome dato alla cartella. Il comando ordina al
sistema operativo la visualizzazione del contenuto della cartella
indicata. Esempio: Dir C:/Corsi/Unionind/Sponsor/Bav ordina al
sistema la visualizzazione dei nomi dei documenti contenuti nella
sottocartella Bav della sottocartella Sponsor della sottocartella
Unionind della cartella Corsi dello hard disk.
2) Cd (o "Change Directory"). Cambia il "path corrente". Ad
esempio, dopo aver impartito il comando Cd C:/Ricerca/Voce il
direttorio o "path corrente" sara' /Ricerca/Voce sul file system
dello hard disk.
3) Md (o "Make Directory"). Aggiunge una sottocartella nella
cartella indicata. Ad esempio, il giorno in cui Bill si offrira'
come sponsor delle nostre lezioni, scriveremo: Cd
C:/Corsi/Unionind/Sponsor, per definire il direttorio corrente; e
poi Md Microsof per dare una sorella a Bav, Siemnixd e Intesa.
Angelo Raffaele Meo
Politecnico di Torino
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
I piccoli Comuni
"eco-sentinelle"
OGENERE breve
OARGOMENTI ecologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS ecology
Sono 7466 su 9102; occupano 240.615 chilometri quadrati, l'80 per
cento del territorio nazionale; sono abitati da 24 milioni di
italiani, il 42 per cento della popolazione. Sono i piccoli comuni,
quelli con meno di 15.000 abitanti, che rivendicano il ruolo di
"eco-sentinelle" del territorio e per questo hanno organizzato una
Conferenza nazionale per il 15 dicembre.
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PARLANO GLI ATLETI
"I limiti non esistono"
L'ucraino Bubka e la cubana Quirot
OGENERE dossier
OAUTORE G_BAR
OARGOMENTI sport
ONOMI BUBKA SERGEI, PETROV VITALIJ, QUIROT ANA FIDELIA
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE MONDIALE DI ATLETICA LEGGERA
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, UNGHERIA, BUDAPEST
ONOTE TEMA: IL CONVEGNO «HUMAN PERFORMANCE IN ATHLETICS - LIMITS AND
POSSIBILITIES»
OKIND dossier
OSUBJECTS sport
IO non ho mai accettato, ne mai potro', il concetto di limite: un
atleta che lo faccia e' morto". Sergei Bubka, il "gabbiano" ucraino
che catapultato dalla sua asta vuole sempre piu' avvicinare il
cielo e ha al suo attivo ben 35 primati del mondo (17 all'aperto e
18 indoor, con un top di 6,15), ha affrontato il seminario di
Budapest con la grinta che mette quando e' in gara spiegando che il
suo certosino migliorare il primato della sua specialita' di un
centimetro per volta non ha mai rappresentato una scelta di comodo,
bensi' il giusto approccio alla crescente difficolta' che ogni
nuovo limite comporta.
"Qualcuno - ha spiegato - dice che l'ho fatto per soldi, per
monetizzare il piu' possibile i miei risultati. Ma non e' vero. In
gara non si pensa al denaro. Vitalj Petrov, che per lunghi anni e'
stato il mio insostituibile allenatore, me lo spiego' fin dal
giorno in cui scopri' in me l'ambizione di ottenere il massimo.
Concentrati sui risultati, mi disse, e i soldi arriveranno".
Indubbiamente, a contraddistinguere i campioni, c'e' anche la
feroce determinazione con cui inseguono i loro traguardi. Bubka lo
ammette senza difficolta', e altrettanto fa la cubana Ana Fidelia
Quirot che, vittima di un tremendo incidente (scoppio' accanto a
lei una bombola del gas, rimase lunghi mesi in ospedale e perse il
bimbo che aveva in corpo), con rabbiosa abnegazione e' tornata in
pista vincendo due titoli mondiali e l'Olimpiade sugli 800 metri.
"Sono l'esempio vivente - sostiene - che non esistono limiti
impossibili da superare e l'unico interrogativo cui non so
rispondere e' quali risultati avrei potuto ottenere se non avessi
perso tre anni per rimettere insieme il mio corpo e
ricominciare". (g. bar.)
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
I quanti visti
da Luigi Accardi
OGENERE breve
OARGOMENTI fisica
ONOMI ACCARDI LUIGI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OKIND short article
OSUBJECTS physics
Mercoledi' 12 novembre Luigi Accardi, dell'Universita' di Roma,
autore del saggio "Urne e camaleonti", si confrontera' al
Politecnico di Torino, ore 16,30, con fisici e filosofi della
scienza sulle interpretazioni della meccanica quantistica.
Interverranno Giulio Giorello, Tullio Regge e Mario Rasetti.
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Premio Gambrinus
i vincitori 1997
OGENERE breve
OARGOMENTI energia, ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI PREMIO GAMBRINUS «MAZZOTTI»
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS energy, research
La storia dell'umanita' e' in buona parte la storia degli sforzi
per ottenere energia. Il Premio Gambrinus "Mazzotti" '97, per la
sezione Ecologia, e' stato assegnato a un libro che tratta questo
tema: "La cattura dell'energia", di Alberto Caracciolo e Roberta
Morelli, editore Nuova Italia Scientifica. Per la sezione
Esplorazione hanno vinto Mirella Tenderini e Michael Shandrick con
"Il Duca degli Abruzzi, principe delle montagne" (De Agostini); per
la sezione Montagna, Cesare Maestri con "... e se la vita continua"
(Baldini & Castoldi); per la sezione Artigianato, Marco Marini con
"Arte popolare in Italia" (ed. Punto di Fuga); ex aequo a Claudio
Povolo e a Paolo Gaspari per la sezione Finestra sulle Venezie,
rispettivamente con "L'intrigo dell'onore" e "Le lotte agrarie".
Segnalato il volume "Insediamenti alpini", edito dalla Regione
Veneto e dal Centro studi sulla montagna. La premiazione a San Polo
di Piave il 15 novembre, dopo un convegno sul tema "La politica
delle aree protette in Italia: il parco del Sile e le acque di
risorgiva".
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IL CERVELLO DI DARIO FO
Gesto teatrale e parola tra i neuroni
OAUTORE MAFFEI LAMBERTO
OARGOMENTI biologia
ONOMI FO DARIO, MARCEAU MARCEL
OORGANIZZAZIONI PREMIO NOBEL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS biology
NOVE ottobre '97: radio e televisione annunciano che il Nobel per
la letteratura e' stato assegnato a Dario Fo. Si rimane
piacevolmente sorpresi per il premio dato a un attore che,
rifacendosi alla commedia dell'arte, ha sferzato in modo geniale
politica, costumi e pregiudizi. Dai suoi spettacoli si esce
rinnovati, come se il cervello fosse stato rimesso a nuovo. Ma come
sara' il cervello di Dario Fo, grande virtuoso della parola e del
gesto?
Gli studi di neurofisiologia piu' recenti indicano che la parola e
il gesto rappresentano allo stesso tempo per il cervello un'uscita
e un'entrata in un fee dback che lo modifica funzionalmente e
strutturalmente. Ho immaginato allora di poter fare un'analisi di
visual imaging del cervello di Dario Fo, con le tecniche piu'
moderne come la Pet (tomografia a emissione di positroni) o la Fmr
(risonanza magnetica funzionale) e ho fantasticato di studiarmelo
con cura in diretta, durante uno dei suoi ineguagliabili monologhi.
Come prevedibile, era in piena attivita' una ben estesa area di
Broca, l'area motrice del linguaggio, con neuroni che guidavano con
grande precisione i muscoli di laringe, faringe e lingua dando vita
a quelle fantastiche sequenze di parole ben orchestrate e armoniose
che acquistano senso informativo a livello cerebrale dello
spettatore al di la' del valore delle parole stesse. Si pensi al
gramelot, in cui non esistono vere parole, ma il senso logico della
storia emerge ugualmente. Ho visto una grande area motoria con
milioni di neuroni impegnati nei piu' fini movimenti di braccia,
mani e gambe; ne risultava quel linguaggio dei gesti cosi' efficace
e insieme elegante. Dario si gira, alza una gamba, ed e' tutto un
discorso che arriva al cervello dello spettatore a conferma della
pluralita' degli strumenti di comunicazione oltre alla parola
scritta. Ho pensato a Marcel Marceau, il grande mimo, ma nel suo
cervello non ho visto la grande area della parola.
Poi ho analizzato il cervello del riso e dello sghignazzo.
Esistono nel cervello due maniere di guidare il riso e il sorriso.
Vi e' un riso spontaneo guidato dal cervello dell'emozione, il lobo
limbico, e un riso piu' corticale che e' sotto il controllo della
volonta', al limite falso, che e' guidato dalla neocorteccia
prefrontale. Vi sono forme di patologia nervosa in cui solo una
delle due forme di riso e' colpita, e di quale delle due si tratti
testimonia la precisa corrispondenza con la sede della lesione
cerebrale. Quando Dario rideva e sghignazzava, ho visto i neuroni
della sua corteccia motoria molto indaffarati. Un riso
professionale. Si impara a muovere certi muscoli della faccia e ne
viene fuori un riso standard, riproducibile: il riso dell'attore.
Un cervello interessante, quello di Dario Fo. Anche la parte piu'
mediale della corteccia frontale che e' alla base della
personalita' e della volonta' dell'individuo mi e' apparsa robusta
e sviluppata.
Le ricerche di neurobiologia piu' avanzate ci parlano di un
cervello modulare e lo sviluppo particolare di certi moduli porta a
speciali prestazioni che possiamo chiamare forme di intelligenza.
Si parla ad esempio di intelligenza pittorica, musicale,
linguistica come quella del poeta, di intelligenza spaziale e
logico razionale che e' forse la piu' basilare, quella che
corrisponde al comune ragionare, ma anche quella che guida il
ragionamento scientifico e matematico. Quest'ultima e' di gran
lunga l'intelligenza o modulo cerebrale che viene piu' educata e
rinforzata nelle nostre scuole. Tutti questi cervelli sono diversi
e in effetti danno luogo a prestazioni molto diverse e spesso
enormemente specializzate tantoche' un grande matematico puo'
essere del tutto normale, o addirittura mediocre in prestazioni
cerebrali al di fuori della sua professione.
Ma e' a tutti gli effetti una forma di intelligenza anche
l'intelligenza motoria, un modulo certo molto sviluppato in
danzatori, grandi mimi, atleti, contorsionisti, chirurghi.
Benche' queste diverse "intelligenze" siano forme di attivita' del
cervello umano tutte ugualmente valide e tutte dipendenti da
attivita' simili di neuroni simili, alcune di esse sono ritenute
socialmente piu' importanti e prestigiose mentre altre vengono
tenute in poco conto perche' non sembrano avere un impatto
importante sulla societa'.
Ho pensato che quello di Dario Fo era un cervello magnifico, che
rallegrava lo sguardo del neurobiologo solo a guardarlo, e che era
soprattutto, dal punto di vista dell'osservatore neurologo, un
cervello motorio, un fantastico cervello motorio. Mi sono
rallegrato che finalmente un riconoscimento cosi' importante
arrivasse ad una grande mente a prevalenza motoria. Ho pensato che
gli accademici svedesi che assegnano il Nobel per la letteratura
dovevano essere ben informati anche sulle piu' recenti acquisizioni
della scienza del cervello.
Lamberto Maffei
Scuola Normale Superiore, Pisa
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. IL ROMPICAPO DI LANGTON
La formichina che abita
sullo schermo del computer
OAUTORE GALANTE LORENZO
OARGOMENTI matematica, informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS mathematics, computer science
IN natura si possono trovare oltre 6000 specie di formiche. Bene:
da qualche tempo il loro numero e' aumentato di una unita'. Stiamo
parlando di uno strano animaletto con molte delle qualita' tipiche
di una formica, ma che vive sullo schermo di un computer. Se non ci
credete, provate a immaginare una superficie piana suddivisa in
numerose cellette quadrate, alcune colorate di bianco altre di
nero, e su di essa fate apparire con la fantasia un esserino (la
formica) il cui moto e' governato da semplici leggi: 1) se si trova
su una cella nera la colora di bianco, ruota di 90o a sinistra e si
sposta di un quadratino in avanti; 2) se si trova su una cella
bianca, la colora di nero, ruota di 90o a destra e si sposta di un
quadratino in avanti (fig.1).
Banale, direte, ma se ora chiedessi dove si trova la formichina
dopo soli cento passi, molti non saprebbero dare risposta in un
tempo ragionevole; la maggior parte avrebbe bisogno di carta e
penna, e, determinata la posizione, nascerebbe la curiosita' di
conoscere l'evoluzione della formica dopo altri cento passi.
Insomma non e' necessario andare oltre: il problema puo' essere
affrontato con l'aiuto di un computer...
La bestiola si chiama "formica di Langton" dal nome del suo
scopritore Christopher Langton e, come ogni formica che si
rispetti, offre notevoli spunti per sagge riflessioni.
Proviamo, per prima cosa, a considerare una griglia di quadratini
tutti bianchi; la formica iniziera' a trotterellare su e giu' sullo
schermo, eseguendo rapidi cambiamenti di fronte e generando in
continuazione celle nere e bianche, ma dopo circa 10000 passi
scegliera', senza una motivazione apparente, una direzione ben
precisa, che non cessera' mai di seguire. Piu' precisamente si
dirigera' a Sud-Est, Nord-Est, Nord-Ovest o Sud- Ovest a seconda
della direzione iniziale che le avevamo attribuito, e proseguira'
nel suo tragitto disegnando una specie di autostrada (fig.2).
Il gioco si fa interessante se, invece di una superficie tutta
bianca, le sottoponiamo una griglia con alcune celle nere, sparse a
caso in una regione finita del piano: dopo un frenetico
vagabondare, ancora una volta, la poveretta sposera' una delle
quattro direzioni e scomparira' all'orizzonte.
Perche' tutto cio' si verifica puntualmente con qualsiasi
configurazione, purche' finita, di quadratini neri?
Se non trovate risposta, non vi preoccupate, nessuno al mondo e'
in grado di fare meglio di voi. Mai nessuno, peraltro, e' incappato
in una smentita; miriadi di ragazzi, di matematici e di curiosi
hanno sperimentato il fenomeno, inventando numerose disposizioni di
quadratini neri e ogni volta quel caotico puntino ha preso
l'autostrada.
I matematici Cohen e Kong sono giunti a dimostrare che il percorso
della formica e' in ogni caso illimitato, essa sfugge cioe' a
qualsiasi regione finita del tipo appena descritto; si e' comunque
ben lontani dal dimostrare che essa debba necessariamente imboccare
un'autostrada.
La questione assume l'aspetto di cio' che i matematici chiamano
congettura: una affermazione che non siamo in grado di dimostrare
ma che ci pare accettabile sulla base di esempi e analogie. Proprio
qui nasce la prima riflessione che la creatura di Langton
suggerisce: un problema cosi' semplice, dettato da due esili
regole, tiene in scacco l'intera comunita' scientifica.
L'animaletto, pero', non vuol finirla di farci pensare e, come in
una fiaba, intende offrirci una ulteriore lezione di umilta'.
Dobbiamo infatti notare che il suo comportamento sullo schermo e'
del tutto deterministico: conosciamo, cioe', con precisione sia le
equazioni che lo governano (le due regolette) sia le condizioni
iniziali (posizione di partenza e direzione iniziale, da noi
scelte). Eppure, a pochi istanti dall'inizio del suo peregrinare,
non sappiamo prevedere la sua storia e siamo costretti a stare a
guardare.
Senza andare molto lontano, possiamo provare una sensazione di
questo genere cercando di stabilire dove andra' a finire una palla
da biliardo dopo un certo numero di urti con delle sue consimili.
Consideriamo, ad esempio, il moto di una pallina che rotola senza
strisciare su un tavolo, andando incontro a ostacoli circolari (le
altre palline) che supponiamo fissi; assumiamo inoltre che gli urti
siano perfettamente elastici (l'energia cinetica globale si
conserva dopo ogni urto). Ebbene, effettuando prove consecutive con
piccolissime variazioni dell'angolazione con cui indirizziamo la
pallina, dopo pochi urti assisteremo a traiettorie completamente
diverse le une dalle altre.
La spiegazione risiede nelle proprieta' degli urti con ostacoli
circolari, che amplificano dopo pochi impatti la piccola
incongruenza iniziale (fig.3). Anche in questo caso le equazioni
sono ben note, e' sufficiente pero' una piccola imprecisione nella
determinazione della direzione iniziale per impedire qualsiasi
previsione sul tragitto della pallina.
Siamo di fronte a un esempio di caos deterministico; in natura
esistono numerosi sistemi fisici che si comportano cosi', ma il
fenomeno e' forse meno preoccupante del problema di Langton, dove,
se ben ricordate, le condizioni iniziali del moto non erano affette
da errori!
Dimenticavo. Provate a fare un programmino che vi permetta di
giocare con la formica (potete anche far viaggiare piu' formiche
insieme, il divertimento e' assicurato). Se poi non ci riuscite,
inviatemi una e-mail. L'indirizzo e': galante&mbox.vol.it.
Lorenzo Galante
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Torino: Accademia
delle Scienze
OGENERE breve
OARGOMENTI fisica
ONOMI DE ALFARO VITTORIO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND short article
OSUBJECTS physics
Il 14 novembre prolusione inaugurale 1997-'98 all'Accademia delle
Scienze di Torino: la terra' Vittorio de Alfaro sul tema "Lo spazio
e il tempo nelle teorie fisiche".
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
L'energia cellulare
Jens Skou e il Nobel per la chimica
OAUTORE FRONTE MARGHERITA
OARGOMENTI chimica, ricerca scientifica, premio
ONOMI SKOU JENS, BOYER PAUL, WALKER JOHN
OORGANIZZAZIONI PREMIO NOBEL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS chemistry, research, prize
QUEST'ANNO il premio Nobel per la chimica e' stato assegnato a tre
scienziati le cui ricerche hanno contribuito a chiarire i
meccanismi molecolari che regolano il flusso di energia che fa
funzionare le cellule.
I meccanismi su cui attira l'attenzione la scelta degli accademici
di Stoccolma sono di importanza biologica fondamentale. La molecola
che per piu' di cinquant'anni e' stata al centro dell'attenzione
dei tre premiati e' l'Atp, o adenosintrifosfato, una sostanza che
tutte le cellule utilizzano esattamente come i correntisti bancari
usano i loro soldi: risparmiandola quando ce n'e' troppa, e
prelevandola dal conto depositato quando serve. Infatti, l'energia
dell'Atp, immagazzinata nei legami chimici che tengono insieme gli
atomi che compongono la molecola, puo' essere trasferita e
conservata sotto forma di zuccheri e grassi. All'occorrenza questi
depositi vengono demoliti, e la cellula puo' recuperare nuovamente
l'energia da utilizzare nelle reazioni biochimiche del suo
metabolismo.
Ecco qualche particolare in piu' sul lavoro dei tre ricercatori
premiati. Il danese Jens Skou, professore dell'Universita' di
Aarhus in Danimarca, riceve il Nobel alla soglia degli ottant'anni
per aver scoperto mezzo secolo fa un processo molto importante che
ha per protagonista l'Atp, e che contribuisce a mantenere la giusta
concentrazione di sali all'interno della cellula. Gli altri due
scienziati, l'americano ultrasettantenne Paul Boyer
dell'Universita' della California e il piu' giovane dei tre,
l'inglese John Walker del Medical Research Council di Cambridge,
hanno invece studiato in dettaglio i meccanismi biochimici che
regolano il conto corrente energetico delle cellule, e in
particolare hanno scoperto come funziona l'enzima che produce l'Atp.
La ricerca di Skou partiva dalla constatazione che all'interno
delle cellule la concentrazione di alcuni ioni, come per esempio il
sodio e il potassio, era diversa rispetto a quella che si misurava
all'esterno. Questo significava che doveva esserci una forza
in grado di mantenere la differenza di concentrazione, che
spontaneamente non si sarebbe mai formata, e che naturalmente
tenderebbe ad azzerarsi. Intorno alla meta' del secolo, Skou si
mise a caccia del meccanismo responsabile del fenomeno, e
scopri' sulla membrana che delimita le cellule nervose una proteina
che, utilizzando Atp, era in grado di far passare all'interno della
cellula il potassio, e di pompare fuori il sodio. La differenza di
concentrazione che risulta dall'attivita' della proteina scoperta
da Skou e' alla base di molti processi vitali per le cellule. Solo
per citarne alcuni, se questo enzima non esistesse il sistema
nervoso non potrebbe trasmettere nessun impulso, le cellule non
sarebbero piu' in grado di assumere importanti sostanze nutrienti
dall'esterno, e non potrebbero neppure mantenere la loro forma
tondeggiante.
Gli altri due premiati invece hanno studiato la proteina che
sintetizza l'Atp e sono riusciti a determinare con precisione la
sua struttura. Si tratta di un enzima che si trova ancorato alla
membrana delle cellule, e che e' in grado di immagazzinare sotto
forma di Atp l'energia che si produce in seguito alla demolizione
degli zuccheri.
Non e' la prima volta che gli studi sul flusso energetico del
metabolismo cellulare ricevono l'attenzione dell'Accademia reale
svedese. Alla fine degli Anni 50 altri due ricercatori, Alexander
Todd e Fritz Lipmann, furono insigniti del Nobel proprio per le
loro scoperte sull'Atp, e il prestigioso premio venne attribuito
nel 1978 anche a Peter Mitchell, per le sue ricerche sullo stesso
argomento. Non sempre tuttavia si e' trattato del Nobel per la
chimica. Infatti gli studi sui meccanismi che regolano il
metabolismo cellulare, argomento a cavallo fra chimica e medicina,
ricevono alternativamente l'uno o l'altro dei due riconoscimenti.
Margherita Fronte
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Internet e virtuale
un corso a Torino
OGENERE breve
OARGOMENTI comunicazioni, informatica
OORGANIZZAZIONI INTERNET
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS communication, computer science
Il Laboratorio di progettazione in rete del Politecnico di Torino
organizza un corso su Realta' virtuale e Internet: applicazioni per
la progettazione, produzione, distribuzione e intrattenimento. Il
corso (20-22 novembre) fornira' conoscenze aggiornate sugli
strumenti per creare oggetti e mondi virtuali in Internet.
Informazioni: Giusy Spinasanta, tel. 011- 564.51.03; fax 564.51.99.
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. SEMINARIO A BUDAPEST
Atletica, il record definitivo
Il risultato insuperabile previsto tra il 2187 e il 2254
OGENERE dossier
OAUTORE BARBERIS GIORGIO
OARGOMENTI sport
ONOMI DAL MONTE ANTONIO, ARCELLI ENRICO, DI PRAMPERO PIETRO ENRICO
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE MONDIALE DI ATLETICA LEGGERA
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, UNGHERIA, BUDAPEST
OTABELLE T. L'evoluzione dei primati secondo Dick; T. Tabella Morton
ONOTE TEMA: IL CONVEGNO «HUMAN PERFORMANCE IN ATHLETICS - LIMITS AND
POSSIBILITIES»
OKIND dossier
OSUBJECTS sport
L' ATLETICA e' la disciplina sportiva che piu' di tutte propone e
rinnova, attraverso le sue varie specialita' di corsa, salto e
lancio, la sfida dell'uomo ai propri limiti. Pur nell'attesa
costante che accada, ad ogni nuovo record capita di stupirsi,
specie quando i miglioramenti sono notevoli, com'e' accaduto, per
esempio, nella stagione appena conclusa che ha visto il primato dei
diecimila metri migliorato dall'etiope Gebrselassie e dal kenyano
Tergat, di 10 secondi (da 26'38"08 a 26'27"85), oppure lo scorso
anno quando Michael Johnson ritocco' di ben 4 decimi il limite dei
200 metri piani che apparteneva a Mennea, correndo in 19"32 alla
fantastica media di 37,267 km/h.
Ad ogni record la domanda e': riuscira' mai qualcuno a fare
meglio? La convinzione e' che comunque questo avverra'. Semmai
l'interrogativo riguarda il quando, visto che i limiti della
macchina umana sono ancora da scoprire. Proprio questo e' stato il
tema di un seminario dal titolo "Human Performance in Athletics -
Limits and Possibilities", promosso dalla Fondazione mondiale di
atletica leggera, che ha riunito a Budapest studiosi, tecnici e
atleti per cercare una risposta. La platea degli oratori si e'
presto divisa: da una parte i tecnici che, guardando a un futuro
prossimo, non vedono limiti, dall'altra i fisiologi che invece,
ponendosi in un'epoca per noi non verificabile, individuano il
"record definitivo", quello cioe' che segnera' la massima
espressione possibile per l'uomo.
Il britannico Frank W. Dick, presidente dell'Associazione Europea
dei tecnici di atletica leggera e gia' allenatore di un bi-
campione olimpico e primatista mondiale come il decathleta Daley
Thompson, ha proposta uno studio (tabella 1) che, prendendo a
parametro le prestazioni del 1984 e confrontandole con quelle di
dieci anni dopo e attuali, ipotizza i limiti che possono essere
raggiunti da uomini e donne nelle varie specialita' nel 2004,
l'anno che riportera' i Giochi olimpici nella sua prima sede, Atene.
"Chiamiamo pure sogno - sostiene Dick - quello che e'
semplicemente l'applicazione di una citazione di John F. Kennedy,
"Se non sai immaginare una cosa, non puoi farla". Gli allenatori
devono guardare al presente, ben sapendo che un risultato valido
oggi per imporsi, non bastera' domani. Da questo punto di vista e'
chiaro che non si possono ipotizzare dei limiti. Enzo Ferrari
disse: "La perfezione e' il sogno; bisogna battersi perche'
diventi realta"'. In effetti la perfezione del presente e'
qualcosa che ciascuno di noi dovra' ridefinire nel futuro, il sogno
di oggi e' la realta' di domani. I limiti non possono essere
accettati nell'atletica". Parole che trovano piena rispondenza in
quanto a sua volta sostiene John Smith, il tecnico che ha guidato
in questi anni campioni come il trinidegno Ato Boldon o la francese
Mary-Jo Perec: "Sul muro dello spogliotoio di Boldon - racconta -
ho scritto 9"76 (l'attuale record del mondo del canadese Bailey e'
9"84, ndr). E' il tempo al quale deve puntare sui 100 metri. E chi
verra' dopo di lui, dovra' impegnarsi per fare ancora meglio. La
vita non si puo' fermare".
Il tramite dei miglioramenti e' una preparazione sempre piu'
sofisticata. Dice Antonio Dal Monte, direttore dell'Istituto di
Scienza dello Sport di Roma: "I grandi progressi nelle ultime
decadi sono principalmente attribuibili a programmi di allenamento
intensi e specifici e per questo diventa fondamentale costruire in
laboratorio una serie di test mirati allo sport praticato. E al
tempo stesso e' importante che i test fisiologici, biomeccanici e
psicologici ripropongano situazioni analoghe a quelle della gara".
Ovviamente l'illecito, l'aiuto cioe' di sostanze proibite, e'
bandito da questo discorso. Enrico Arcelli, docente di medicina
sportiva all'Universita' di Siena, sottolinea, specie per le gare
di corsa di medio-lunga distanza, l'importanza fondamentale
dell'aspetto nutrizionale, sia per quanto riguarda le bevande
(acqua) sia i cibi (soprattutto carboidrati); Jared Diamond,
docente di fisiologia all'Ucla, racconta di un suo studio
effettuato su quattro ciclisti partecipanti al Tour de France del
1984 dal quale risulta che bruciarono nei 22 giorni di corsa
(complessivamente 3826 km percorsi) ben 7000 calorie al giorno;
Carmelo Bosco, docente all'Universita' di Jyvaskyla in Finlandia,
propone un metodo innovativo di preparazione basato sul controllo
della forza e della velocita' espresse, in grado di rispecchiare in
allenamento, personalizzandole, le esigenze della specialita'
praticata.
E ancora, accanto ai progressi legati a un sempre piu' perfetto
sfruttamento della macchina- uomo, si aggiungono - quasi ad
allontanare ulteriormente i "limiti" - gli studi che vengono
effettuati sulle calzature degli atleti e quelli per rendere sempre
piu' compatibili le piste alle necessita' di chi le utilizza. Il
fondo in tennisolite, abbandonato con l'Olimpiade messicana del
1968, sembra appartenere alla preistoria; lo stesso tartan che ha
sostituito la terra rossa rimane soprattutto come concetto di
mescole sempre piu' elaborate. E al proposito non bisognera'
attendere molto per vedere stadi a nove corsie: la prima, in tinta
differente, per i runners, ossia i corridori di mezzofondo e fondo,
le altre per gli sprinters, ossia i velocisti. Il segreto sara'
nella differente elasticita' del fondo, in grado di offrire la
massima resa in rapporto al tipo di spinta prodotto dagli arti
inferiori.
A frenare gli entusiasmi provvede Pietro Enrico Di Prampero,
decano di Scienze Biomediche nella Scuola di Medicina
dell'Universita' di Udine, autore di molti libri sulla fisiologia
e, in particolare, sul costo energetico della locomozione. Il
principio fisiologico e' basato sull'idea che l'energia spesa per
correre e' la somma dell'energia necessaria a trasportare il corpo
per l'unita' di distanza. Piu' aumenta la lunghezza e minore e' di
conseguenza la velocita'. Citando gli studi (tabella 2) del
neozelandese R. H. Morton, Di Prampero traccia la curva asintotica
dell'asse cartesiano che considera i primati e gli anni in cui sono
stati conseguiti, giungendo alla conclusione che esistono dei
"record definitivi", oltre i quali l'uomo non riuscita' ad andare.
Ovviamente impossibile stabilire quando questi limiti verranno
raggiunti e quali per primi. Pero' nella fase di accostamento al
top, l'uomo si avvicinera' ad essi tra il 2187 e il 2254, con uno
scarto dell'uno per cento. Ossia il velocista dei 100 metri piani
il cui traguardo massimo potra' essere quello di correre in 9"15,
nel periodo citato dovrebbe arrivare a ottenere 9"24.
Giorgio Barberis
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. SE NE DISCUTE A PISA
Al ritmo dei numeri
Musica, matematica e "stringhe"
OAUTORE ODIFREDDI PIERGIORGIO
OARGOMENTI matematica, musica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PISA (PI)
ONOTE Convegno «Matematica e Musica»
OSUBJECTS mathematics, music
DOMANI e dopodomani si terra' a Pisa, presso la Domus Galileiana,
un convegno su "Matematica e Musica". L'argomento e' apparentemente
improbabile: la matematica e' basata sulla razionalita', la musica
sull'emotivita', e le due discipline sembrano appartenere a mondi
diversi e incomunicabili. In realta', come abbiamo ormai avuto modo
di ripetere su queste colonne piu' di una volta, le divisioni fra
le due culture sono solo apparenti, e nel caso in questione esse
sono un retaggio letteralmente romantico: e' infatti nell'800, e
solo nell'800, che si e' verificata la scissione che il convegno
cerca di sanare.
I greci chiamavano mousike' le attivita' umane governate dalle
Muse, e certo non escludevano da esse la matematica. Anzi,
l'insegnamento fondamentale pitagorico si puo' riassumere dicendo
che musica, matematica e natura sono es senzialmente coincidenti.
Pitagora riteneva infatti che ci fossero tre tipi di musica: quella
strumentale propriamente detta, quella umana suonata
dall'organismo, e quella mondana suonata dal cosmo. La sostanziale
coincidenza delle tre musiche era responsabile da un lato
dell'effetto emotivo prodotto, per letterale risonanza, dalla
melodia sull'uomo, e dall'altro dalla possibilita' di dedurre le
leggi matematiche dell'universo da quelle musicali. Con queste
premesse, non stupisce che i pitagorici stabilissero un programma
di studi per i loro allievi che, ripreso da Platone nella
Repubblica e da Agostino nel De Musica, venne codificato da Boezio
nel De institutione mu sica. Esso divenne lo standard
dell'educazione occidentale dal Medioevo all'Ottocento, e fu
chiamato quadrivium perche' comprendeva i 4 saperi fondamentali:
aritmetica, geometria, musica, astronomia.
La scoperta fondamentale di Pitagora nel campo musicale fu che era
possibile esprimere mediante rapporti numerici (le frazioni) i
rapporti armonici (gli intervalli). Ad esempio, l'ottava e'
determinata dal rapporto 2:1, nel senso che per aumentare di
un'ottava il suono di una corda tesa e' necessario dimezzarne la
lunghezza. I rapporti 3:2 e 4:3 determinano invece rispettivamente
le quinte (do-sol) e le quarte (do-fa), e analogamente per le altre
note della scala. Il che determino' o confermo' il credo
pitagorico, che "tutto e' razionale": da intendersi non in senso
generico, ma letterale (cioe': il mondo si puo' descrivere con
numeri razionali).
In realta' il credo pitagorico, come altri credi, si rivelo'
essere una pia illusione. In particolare, Pitagora stesso scopri'
che i rapporti determinanti rispettivamente un tono e due semitoni
non corrispondevano, e differivano di una quantita' piccola ma
percettibile all'orecchio, che fu chiamata comma pitagorico. Per
poter dividere l'ottava in dodici semitoni uguali, una soluzione
adottata a partire dal secolo XVIII, detta tempera mento equabile,
e popolarizzata dai 48 preludi e fughe del Clavi cembalo ben
temperato di Bach, era necessario introdurre numeri irrazionali: il
semitono temperato e' infatti determinato non piu' da una frazione,
ma dalla radice 12-esima di 2 (il 2 corrisponde all'ottava, il 12
al numero di semitoni in essa).
I rapporti fra matematica e musica sono stati determinanti nello
sviluppo della scienza moderna. L'armonia del mondo di Keplero, in
cui egli descrisse le sue famose tre leggi, e' in realta' uno
studio delle leggi musicali che regolano il moto dei pianeti,
dettagliato al punto da specificare che, nella sinfonia celeste,
Mercurio canta da soprano, Marte da tenore, Saturno e Giove da
bassi, e la Terra e Venere da alti. In uno scolio classico
ai Principia Newton mostro' come la sua piu' grande scoperta, la
dipendenza inversa dell'attrazione gravitazionale dal quadrato
della distanza, deriva in realta' da una semplice analogia
musicale, e sostenne che essa doveva quindi gia' essere nota a
Pitagora. E cosi' via, sino alla odierna teoria delle stringhe di
Witten, in cui i costituenti ultimi della materia vengono pensati
non piu' come punti (im)materiali, ma come pezzi di corda che
vibrano in uno spazio pluridimensionale, ed i cui modi di
vibrazione (o suoni) costituiscono le particelle elementari.
Nella direzione inversa, i metodi matematici sono stati essenziali
per lo sviluppo di una buona parte della musica classica. Per
limitarci a due esempi: la polifonia e la dodecafonia hanno fatto
un costante uso implicito di trasformazioni geometriche, per
invertire, ribaltare e dilatare temi musicali; e la musica
stocastica ha invece utilizzato esplicitamente una serie di
strumenti matematici sofisticati, descritti dal compositore Iannis
Xenakis nel saggio "Musica formalizzata".
Piergiorgio Odifreddi
Universita' di Torino
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
VINCITORI '97
Ig-Nobel
alla "faccia"
marziana
OAUTORE VALERIO GIOVANNI
OARGOMENTI ricerca scientifica, premio
ONOMI VONNEGUT BERNARD, HOAGLAND RICHARD, BOCKRIS JOHN
OORGANIZZAZIONI ANNALS OF IMPROBABLE RESEARCH, IG-NOBEL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS research, prize
CON un'ironia che puo' essere ben apprezzata dal Nobel (vero) Dario
Fo e con il tradizionale lancio di centinaia di aeroplanini di
carta, il 9 ottobre ad Harvard sono stati assegnati i premi
Ig-Nobel agli scienziati che hanno ottenuto risultati "che non
possono o non dovrebbero essere riprodotti". Proposti
dall'irriverente rivista Annals of Improbable Research e
intitolati all'ipotetico "fratello scemo" dell'inventore della
dinamite, gli Ig-Nobel segnalano gli studi piu' stravaganti
(comunque rigorosi, finanziati e pubblicati), che rappresentano
spesso "il peggio della ricerca" rivelando cosi' lo humour nascosto
della comunita' scientifica.
Bernard Vonnegut, fratello dello scrittore di fantascienza Kurt,
ha meritato l'alloro per la meteorologia con una ricerca sulla
spennatura dei polli come misura della velocita' dei tornado. La
dimostrazione che la Bibbia nasconde un codice segreto ha vinto
l'Ig-Nobel per la letteratura, mentre uno studio sugli insetti
spiaccicati sui parabrezza non ha avuto rivali per l'entomologia.
Il premio per l'astronomia e' andato all'americano Richard
Hoagland, per aver avvistato costruzioni alte decine di chilometri
sulla Luna e la forma di un viso umano sulla superficie marziana.
Un altro americano, John Bockris, ha vinto l'Ig-Nobel per la fisica
grazie ai risultati ottenuti (nessuno) nella fusione fredda e nella
trasmutazione degli elementi in oro. Il premio per l'economia va
invece alla giapponese Bandai, ditta produttrice del Tamagotchi,
per aver fatto sprecare milioni di ore lavorative nella cura dei
pulcini virtuali.
Il riconoscimento per la biologia e' stato assegnato ad alcuni
medici che hanno avuto la bella pensata di confrontare le attivita'
cerebrali ottenute masticando diversi tipi di chewing-gum: volevano
forse dimostrare che il "gusto lungo" aumenta la concentrazione?
Giovanni Valerio
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ONCOLOGIA
I falsi segnali della proteina tumorale
Scoperto un fattore molecolare che scatena il processo di metastasi
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI genetica, medicina e fisiologia, ricerca scientifica
ONOMI SORISIO FERNANDO, COMOGLIO PAOLO, AGNELLI ALLEGRA, GAVOSTO FELICE,
FILOGAMO GUIDO, TAMAGNONE LUCA, GIORDANO SILVIA
OORGANIZZAZIONI PREMIO «GIOVANNI BORELLO»
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, CANDIOLO (TO)
OSUBJECTS genetics, medicine and physiology, research
IL cancro e' una malattia molecolare. Da questa constatazione, che
risale alla fine degli Anni 70, confermata e precisata da una
intensa attivita' di ricerca in tutto il mondo, prende le mosse
l'oncologia molecolare, scienza relativamente giovane e fortemente
innovativa. Il cancro si sviluppa quando i geni, che comandano la
crescita delle cellule, sono danneggiati da virus o da sostanze
inquinanti come il fumo, certi componenti della benzina, certi
additivi degli alimenti. Il gene colpito, che viene allora definito
oncogene, sconvolge il normale processo di crescita delle cellule
inviando loro falsi segnali; sotto questi stimoli le cellule si
moltiplicano in modo incontrollato e si diffondono per tutto il
corpo. E' il cancro.
Oggi la chemioterapia tenta di arrivare alla cellule malate per
distruggerle; l'oncologia molecolare mira a ribaltare questo
approccio, a fare un passo decisivo: capire quali geni, e
attraverso quali meccanismi, innescano il cancro per poter
intervenire direttamente su di essi. E, dicono gli addetti ai
lavori, ormai potrebbe essere piuttosto vicina all'obiettivo.
Venerdi' ad Asti, nel corso di un convegno dedicato alla "Ricerca
finalizzata alla lotta contro i tumori", per iniziativa della
locale Lega italiana lotta contro i tumori presieduta dal professor
Fernando Sorisio sara' assegnato il premio "Giovanni Borello"
istituito dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, a Paolo
Comoglio, direttore della divisione di oncologia molecolare
dell'Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo e
titolare della cattedra di istologia dell'Universita' di Torino.
Il nuovissimo centro alle porte di Torino, costruito e dotato di
avanzatissimi laboratori per iniziativa della Fondazione piemontese
per la ricerca sul cancro presieduta da Allegra Agnelli e diretto
dal professor Felice Gavosto, e' uno dei piu' attivi laboratori
mondiali sulla frontiera avanzata dell'oncologia molecolare; in
piu' ha una caratteristica unica, quella di comprendere, gli uni
accanto agli altri, i laboratori di ricerca e i reparti di degenza,
e quindi di rendere immediatamente possibile il trasferimento delle
acquisizioni scientifiche alle attivita' terapeutiche.
Candiolo ha cominciato a funzionare da meno di un anno ma e', in
realta', il punto di arrivo di una antica e prestigiosa scuola di
studi medici che parte da Giuseppe Levi, lo scienziato
dell'Universita' torinese che nella prima meta' del secolo ha
allevato tre premi Nobel (Salvator Luria, Renato Dulbecco e Rita
Levi Montalcini), e' proseguita con Guido Filogamo, e oggi,
trapiantata nel nuovo complesso, e' rappresentata dalla
giovanissima equipe guidata da Paolo Comoglio (trenta-quarant'anni
in media, numerosi stranieri, numerosi italiani rientrati da
esperienze all'estero). Un'equipe dalla quale sono gia' usciti, per
andare a insegnare in varie universita', studiosi come Maria Flavia
Di Renzo, Carola Ponzetto, Gianni Gaudino, e nella quale lavorano
ricercatori come Alberto Baldelli, che sta sviluppando nuovi
farmaci per inibire le funzioni controllate dagli oncogeni e
prevenire le metastasi; come Silvia Giordano, che studia i
meccanismi con cui gli oncogeni provocano le metastasi; come Carla
Boccaccio, che cerca di spiegare come gli oncogeni interferiscono
con il regolare funzionamento delle cellule; o infine come Luca
Tamagnone, che ha scoperto una famiglia di geni coinvolti nei
processi con cui le cellule si riconoscono tra loro.
Il lavoro che si svolge a Candiolo non e' isolato ma avviene in un
contesto di intensi contatti internazionali: e' in corso una
collaborazione con la facolta' di medicina dell'universita' di
Harvard, la quale, tramite la Fondazione G. Armenise, sostiene le
ricerche dell'istituto torinese con un contributo importante che si
affianca ai finanziamenti dell'Associazione italiana per la ricerca
sul cancro, dell'Universita' di Torino, del Cnr, dell'Unione
Europea, di industrie farmaceutiche internazionali. Stretti
rapporti vengono mantenuti con i principali centri mondiali che si
occupano dello studio degli oncogeni tra i quali le informazioni
circolano praticamente in tempo reale via computer e Internet. A
Candiolo e' stata isolata una proteina-recettore codificata da un
oncogene denominato Met; e' prodotta in quantita' abnormi dalle
cellule del cancro dello stomaco e dell'intestino e, dalla
superficie delle cellule, invia loro falsi segnali di crescita e di
movimento.
Il segnale e' detto "scatter factor" (dal verbo inglese to scat
ter che significa diffondere, disseminare) e provoca, oltre che la
produzione anomala di cellule, anche la loro disseminazione
nell'organismo. E' la metastasi, "ed e' appunto la metastasi che
rende il cancro letale - dice Comoglio - e contro questo processo
siamo ancora ampiamente disarmati. Qui stiamo lavorando in
particolare su questo problema per mettere a punto molecole capaci
di bloccare l'attivita' dell'oncogene Met". La vittoria
probabilmente non e' per domani; tuttavia, conclude Comoglio, "la
sperimentazione autorizza un certo ottimismo".
Vittorio Ravizza
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. SCIENZIATI CERCANO SPONSOR
Mistero Tunguska, la soluzione in un lago?
Nel 1908 un meteoroide esplose in cielo distruggendo la foresta
siberiana
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia
ONOMI LONGO GIUSEPPE, DI MARTINO MARIO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS astronomy
LA chiave per risolvere il mistero di Tunguska si trova forse sul
fondo di un piccolo lago circolare, profondo 47 metri. Nei suoi
sedimenti e' probabile che sia rimasta la "firma" dell'enigmatico
corpo celeste che, esplodendo nell'alta atmosfera distrusse, il 30
giugno 1908, alle 7 del mattino, 2200 chilometri quadrati di
foresta siberiana. Una spedizione italiana si propone di
raggiungere quel luogo sperduto nell'estate del prossimo anno. Ne
faranno parte Giuseppe Longo, dell'Universita' di Bologna, e Mario
di Martino, dell'Osservatorio astronomico di Pino Torinese,
specializzato nello studio di comete e asteroidi. L'impegno
finanziario e' relativamente piccolo: 88 milioni di strumenti
scientifici e apparecchiature di supporto e circa 300 milioni per
il viaggio delle venti persone che comporranno la spedizione e il
trasporto delle attrezzature. Tuttavia, con i tempi che corrono,
anche 380 milioni sono una cifra difficilmente ottenibile da
finanziamenti pubblici. Gli scienziati sono quindi alla ricerca di
sponsor: la ricaduta pubblicitaria sarebbe infatti notevole in
quanto il mistero di Tunguska ha un grande fascino sul pubblico e
da decenni attrae l'attenzione dei giornali e delle televisioni di
tutto il mondo.
Cometa o piccolo asteroide? La risposta non e' ancora definitiva,
anche se ultimamente si propende per l'asteroide, un oggetto non
molto compatto dal diametro di qualche decina di metri. La cosa
certa e' che la mattina del 30 giugno 1908 una palla di fuoco
luminosa quanto il Sole attraverso' il cielo della Siberia da
Sud-Est verso Nord- Ovest, esplodendo intorno a 8000 metri di
quota. Il bagliore fu visibile in un raggio di 1500 chilometri, il
boato si avverti' a mille chilometri di distanza, un'onda sismica
venne registrata in tutta l'Asia e l'Europa e una luminescenza
rischiaro' il cielo notturno per un paio di mesi non solo sulla
Siberia ma anche sulla California e sull'Europa.
Soltanto nel 1928 una spedizione dell'Accademia delle Scienze
Sovietica capeggiata da L. A. Kulik raggiunse la regione
dell'evento. Gli alberi della taiga' erano ancora stesi al suolo a
raggera intorno all'epicentro, sbruciacchiati dall'incendio seguito
al loro abbattimento da parte dell'onda d'urto atmosferica. Furono
descritti come "pali del telegrafo" anneriti e strinati. Ma non si
trovo' traccia dell'oggetto esploso. Una seconda spedizione, nel
1938, raccolse una ricca documentazione fotografica, senza pero'
giungere a risposte definitive. Nel 1991 una spedizione italiana,
gia' promossa da Longo, prelevo' campioni di resina dagli alberi e
riusci' a individuarvi particelle del corpo cosmico imprigionate.
"Per sciogliere finalmente l'enigma - dice Mario Di Martino -
potrebbe essere decisivo il carotaggio del lago Ceko. E' uno
specchio d'acqua largo 500 metri che si trova a 10 chilometri
dall'epicentro e nei suoi sedimenti dovrebbe essere relativamente
facile individuare tracce di polveri rilasciate nell'alta atmosfera
dal meteoroide. Inoltre vorremmo mappare tutta l'area con rilievi
da satellite, recuperare il materiale fotografico di Kulik, fare
misure magnetometriche, cercare meteoriti con un radar e compiere
riprese aeree da un elicottero leggero prodotto in Italia, il
Dragon Fly. E speriamo che il ministero della Difesa possa metterci
a disposizione un aereo militare per raggiungere il luogo...".
Piero Bianucci
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Acqui: francobolli
di tema spaziale
OGENERE breve
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ACQUI TERME (AL)
OKIND short article
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
Ad Acqui Terme, presso Palazzo Robellini, fino al 2 novembre sara'
aperta una mostra dedicata alla filatelia con tema spaziale.
Inaugurata dall'astronauta Franco Malerba, presenta una collezione
di rare buste filateliche, molte delle quali sono state timbrate da
astronauti americani e russi nel corso di missioni spaziali. Un
centinaio sono autografate da astronauti, da Jurij Gagarin fino a
Tsiblijev e Lazutkin, i reduci della Mir.
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Troppo nutriti
i cani italiani
OGENERE breve
OARGOMENTI zoologia
OORGANIZZAZIONI HILL'S PET NUTRITION
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS zoology
Quelli italiani erano i cani piu' magri d'Europa grazie a una
nutrizione equilibrata e a una adeguata attivita' fisica. Ora,
secondo un'inchiesta della Hill's Pet Nutrition, hanno perso questo
titolo. Il 7 per cento dei nostri cani e' affetto da obesita' grave
(oltre il 25 per cento di sovrappeso); nelle stesse condizioni il
10 per cento dei gatti.
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Telethon: 725 geni
attivi nei muscoli
OGENERE breve
OARGOMENTI genetica, medicina e fisiologia, ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI TELETHON
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS genetics, medicine and physiology, research
Un gruppo di ricercatori dell'Universita' di Padova finanziato da
Telethon con quasi 2 miliardi ha individuato 725 geni attivi nel
muscolo umano ma ancora sconosciuti; 509 sono stati poi localizzati
nei cromosomi. E' un progresso importante per la comprensione e la
cura delle malattie genetiche che colpiscono l'efficienza muscolare.
ODATA 29/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. CHE COSA C'E' NEL COMPUTER
Il sistema operativo, anima del nostro personal
Conserva i file nel modo migliore, organizzando i dati sull'hard
disk o sul floppy
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE
OARGOMENTI informatica, elettronica
ONOMI GATES BILL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science, electronics
IL personal computer e' piu' anima che corpo, essendo "animato" da
un enorme patrimonio di software, costituito da milioni di
istruzioni. Il nucleo di questo software e' il sistema operativo,
quell'insieme di programmi che generano la moltitudine dei comandi
elementari necessari per l'attivita' di tutte le unita' del
calcolatore.
Molti ragazzini sanno perfettamente cosa fa, e come, il sistema
operativo, ma la grande maggioranza degli utenti di un calcolatore,
dalle dattilografe ai professori di informatica, non e'
assolutamente interessata a questi reconditi misteri della
tecnologia. Ci limiteremo quindi a descrivere i comandi che
l'utente puo' impartire al sistema operativo e attraverso il
sistema operativo all'intero calcolatore. Scopriamo cosi' che il
sistema operativo consente a chi lavora alla tastiera di "vedere"
un calcolatore "virtuale", molto piu' semplice e facile a
comandarsi del complicato calcolatore reale.
I calcolatori virtuali sono nati prima degli altri oggetti del
mondo virtuale. Sino al 1980 i produttori dello hardware
sviluppavano anche il sistema operativo, sposandolo esattamente
alla propria architettura ed ai propri obiettivi di mercato. Poi
ragioni di costo ed esigenze di specializzazione indussero i
creatori di "corpi" ad affidare ad altri la generazione delle
"anime". Fu un errore gravissimo. L'esperienza di Faust insegna che
il subaffitto delle anime da' benefici solo sul breve periodo. I
padroni delle anime sono diventati sempre piu' potenti e sempre
meno numerosi. Oggi Bill Gates si impossessa ogni giorno delle
anime di cento milioni di nuovi calcolatori e, almeno in parte, di
altrettanti uomini che su questi calcolatori lavorano. La sua
azienda leggendaria, la Microsoft, ha un valore economico
complessivo, valutato sulla base del prodotto del numero delle
azioni per il loro valore di mercato, superiore a quello della Ibm,
la grande mamma dell'informatica e degli informatici.
Il filosofo Luigi Pareyson e' stato sfiorato dal sospetto, molto
vicino all'eresia, che lo stesso demonio sia una manifestazione di
Dio. Questa congettura spiegherebbe un fenomeno che in termini
economici complessivi e' stato negativo perche' ha prodotto un
oligopolio tendente al monopolio, ma che dal punto di vista di chi
lavora alla tastiera e' molto positivo. Infatti, tutti i personal
computer del mondo, dagli americani ai taiwanesi, dopo essere stati
rivestiti da Bill Gates appaiono identici fra loro, essendo la
manifestazione della stessa macchina virtuale. Per questa
universalita' delle macchine virtuali di Bill, ci allineeremo anche
noi alle scelte del mercato e faremo riferimento quasi esclusivo,
in queste pagine, ai tre sistemi operativi per personal computer
del mondo Microsoft: Dos, Windows X.Y e Windows.
"File": questa parola potrebbe essere letta all'italiana, come
plurale della parola "fila", e sarebbe la scelta linguisticamente
corretta. Ma non lo faremo, perche' gli informatici italiani sono
cosi' esterofili che leggono all'inglese, con le inflessioni della
Silicon Valley, anche le parole italiane.
Il "file", pronunciato "fail", e' l'unita' di informazione
fondamentale nel colloquio fra il sistema operativo e l'operatore.
E' un'unita' di lunghezza indefinita, coincidente con un programma
oppure, piu' spesso, con un documento che potra' essere un testo,
oppure un'immagine, o un testo arricchito da immagini, oppure anche
un brano musicale o un filmato, come vedremo avvenire nelle
applicazioni multimediali.
Il sistema operativo conserva generalmemte il "file" sullo "hard
disk" o sul "floppy", organizzando i dati nel modo migliore in
questo momento. Ad esempio, se un documento e' lungo 10 kbyte, e
sulle tracce 1,5 e 35 sono liberi rispettivamente 3,2 e 5 settori
lunghi un kbyte ciascuno, allora i dati di quel documento saranno
dispersi su quelle tre tracce, negli spazi liberi. Comunque
l'utente non dovra' tenere a mente dove i dati sono stati allocati,
perche' questo compito spetta al sistema operativo che gestisce gli
spazi liberi ed occupati dalla memoria con l'aiuto di proprie
tabelle, invisibili all'utente: le Fat (o "File Allocation Table":
"Tavole di collocazione dei File"). Cosi' l'operatore dovra'
soltanto scegliere il nome del proprio documento in fase di
creazione e poi - cosa molto piu' difficile - ricordarlo, per
andare a ricercarlo in una fase successiva di visualizzazione o
modifica o stampa.
Il nome scelto al battesimo di un nuovo file dovra' rispettare un
certo numero di regole che si risparmiano al lettore per non
annoiarlo. Diamo invece una semplificazione di queste regole. Il
nome deve essere costituito da due parti separate da un punto. La
prima parte deve essere composta da uno o piu' caratteri, sino ad
un massimo di otto, che e' bene ricordino il contenuto del
documento; la seconda parte, detta estensione, puo' essere composta
al massimo da tre caratteri, che e' bene rispettino alcune
convenzioni ormai consolidate, al fine di ricordare la tipologia
del documento. Cosi', ad esempio, tutti i documenti prodotti con
uno dei piu' diffusi sistemi di videoscrittura, il Word, avranno
nomi del tipo Artc1.Doc, oppure Lettera7.Doc, con estensione Doc,
mentre i programmi avranno estensione Exe per ricordare al sistema
che sono "Exeguibili".
La cosa piu' difficile e' inventare un nome che a distanza di mesi
ci ricordi ancora il contenuto del file!
Angelo Raffaele Meo
Politecnico di Torino
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
L'Auditel e Diana Cosi' si misurano i gusti della «gente» ( o dei
consumatori?)
OAUTORE D'AMATO MARINA
OARGOMENTI comunicazioni, televisione, sondaggio, indice d' ascolto
OORGANIZZAZIONI AUDITEL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS communication, television, poll, viewing ratings
LA commozione popolare per la morte di Diana ha dato alla «gente» una
valenza persino politica (si pensi a Tony Blair, che ha definito Lady
D. «principessa del popolo»). In Italia dieci milioni e mezzo di
persone hanno seguito il feretro della principessa in una lunghissima
e per molti versi estenuante diretta televisiva. Non c'era mai stato
nella storia della Rai uno share piu' alto: il 75 per cento. Si e'
detto che non era questione di destra o di sinistra, e che tanta
«gente» rappresentava l'antipolitica. Soprattutto si e' parlato della
gente come di un «noi» universale. Ma chi e', che cosa e', in realta'
la «gente»? Diversa dalla classe, dal ceto, dalla casta e dal popolo,
la «gente» e' ormai - vista con l'occhio delle scienze sociologiche -
la indiscussa protagonista della societa' dell'informazione nella
quale viviamo. Ma a differenza dei «popoli» essa non ha storia,
tradizioni, miti e valori introiettati con il processo di
socializzazione; a differenza delle etnie non ha pratiche di
civilizzazione che la accomunano. La «gente» esiste nelle e per le
rappresentazioni televisive, sui quotidiani, vive solo nel presente e
soprattutto deve essere disomogenea al massino per assicurare
rappresentativita' alla sua opinione. Si concretizza infatti nei
sondaggi di opinione, che le danno consistenza e quindi, con
l'indicazione numerica, «realta'». In attesa di una legge che
stabilisca regole di attendibilita' (la legge francese potrebbe
essere un utile modello) la situazione italiana dei sondaggi e' per
ora affidata esclusivamente alla deontologia professionale dei
ricercatori. L'attendibilita' dei dati supera cosi' spesso quella di
qualsiasi alea statistica ma la realta' coincide sempre piu' spesso
con la sua rappresentazione simbolica. Cio' accade non solo perche'
esperiamo uno stato di parita' tra la realta' viva e la sua replica
televisiva, ma anche perche' siamo continuamente identificati con la
«gente» in relazione all'Auditel. L'Auditel, madre di tutti i
sondaggi, che minuto per minuto, secondo per secondo quotidianamente
da un decennio verifica l'ascolto della tv e che rappresenta con il
suo campione la gente d'Italia, dal primo agosto scorso ha
raddoppiato il suo universo. L'utenza televisiva italiana del
campione Auditel e' passata da 2424 famiglie a 5000. Lo scopo
dell'ampliamento, non indispensabile dal punto di vista della scienza
statistica, soddisfa le esigenze delle tv locali, di essere misurate
da una rete regionale di meter piu' consistente con l'obiettivo di
evidenziare le emittenti minori. L'aumento del campione sembra essere
stato fatto utilizzando i dati dell'ultimo censimento offerti
dall'Istat. Questo elemento e' fondamentale se si considera che dopo
un lungo iter legale con la Nielsen, conclusosi con una transazione
(14 settembre '95) si era ipotizzato di ampliare il campione
«ottimizzando» l'universo della Nielsen, societa' leader nell'ambito
delle ricerche di mercato. La questione non e' di poco conto perche'
concerne, appunto, la gente: cittadini o consumatori? Il campione
rappresenta gli italiani nella loro casuale complessita' o e'
estratto in funzione dei loro consumi? Evidentemente i risultati
degli ascolti saranno diversi tra i due mondi. Il problema e' stato
al centro dell'attenzione del Consiglio Consultivo degli utenti
presso il Garante (convegno conclusivo del mandato: «La
rappresentanza e l'identita' dell'utenza radiotelevisiva: i sondaggi
e la rilevazione degli indici di ascolto 18 marzo '97») perche'
evidentemente milioni di telespettatori estrapolati dal campione non
possono essere considerati e proposti all'opinione pubblica come
cittadini e/o consumatori indifferentemente. Nel corso degli anni la
funzione manifesta dell'Auditel - misurare in modo equo gli ascolti
in riferimento agli spazi pubblicitari - e' diventata succube delle
sue funzioni latenti: provare il successo con l'ascolto di
personaggi, programmi, reti, dall'informazione allo spettacolo;
insomma lo strumento da mezzo si e' trasformato in un fine,
obbedendo, anzi sancendo la legge del mercato: sono i circa diecimila
miliardi di introiti pubblicitari annui che regolano con il loro
flusso la programmazione. La quantita' di ascolti garantisce perche'
«prova» la qualita' dei programmi. L'omogeneizzazione culturale della
programmazione da un lato e l'omologazione del pubblico dall'altro
sono le due caratteristiche piu' evidenti degli effetti «perversi» di
questo sondaggio. Percio' e' essenziale che il campione sia
rappresentativo di tutti gli italiani, che esso sia riferito alla
nostra dimensione di cittadini, che non sia quindi ponderato in
funzione della nostra disponibilita' all'acquisto. L'auspicio e' che
queste cinquemila famiglie non solo si applichino quotidianamente con
meticolosa solerzia al loro mestiere di utenti accendendo e spegnendo
il meter secondo i pulsanti di riferimento, controllando l'uso che
fanno del videoregistratore (novita' dal primo agosto) ricordandosi
di connettere e sconnettere gli ospiti in visita davanti alla tv, ma
che insegnino ai loro piccoli che hanno una grande responsabilita'
perche' gestiscono con le loro scelte televisive non solo centinaia
di milioni al giorno di investimenti pubblicitari, ma si sono
accollati per tutti la responsabilita' di essere la «gente». Marina
D'Amato Universita' La Sapienza, Roma
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SOFTWARE
E Bill Gates cancello' gli spazi
OAUTORE DE CARLI LORENZO
OARGOMENTI informatica, elettronica
ONOMI GATES BILL
OORGANIZZAZIONI MICROSOFT
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
OSUBJECTS computer science, electronics
PER la sventura di traduttori, giornalisti, scrittori e quanti
generalmente scrivono con il computer e hanno bisogno di conoscere il
numero preciso di battute dei testi da consegnare ai committenti, Mi
crosoft Word, il programma di video scrittura piu' venduto al mondo,
dalla sesta versione in poi non conta piu' gli spazi tra una parola e
l'altra. Di norma si intende come «battuta» lo spazio occupato da un
carattere a stampa e lo spazio bianco ottenuto battendo la barra
spaziatrice della tastiera, e siccome nell'un caso come nell'altro
sempre di spazio si tratta, per stabilire le dimensioni di un testo
e' indispensabile che al numero dei caratteri sia sommato anche il
numero degli spazi bianchi. Per il programma della Microsoft, gli
spazi tra una parola e l'altra semplicemente non esistono. E'
possibile che, avendo sviluppato proprio in questi anni un vivo amore
per i codici antichi, Bill Gates abbia pensato d'introdurre
surrettiziamente i presupposti informatici necessari perche' gli
utenti del suo programma tornassero a vivere l'epoca antica
(preclassica e classica) in cui non si separavano le parole. Lo prova
la presenza in Word di un «glossario» che e' l'equivalente high tech
dell'uso delle abbreviazioni (troncamenti o contrazioni) comuni in
epoca romana. Verso la fine del Medioevo - dice l'Enciclopedia
Cambridge delle scienze del lin guaggio - erano in uso oltre 13.000
abbreviazioni e segni. Oggi il comune utente Microsoft Word non ha
nel suo «glossario» altrettante abbreviazioni, ma non e' tuttavia
detto che in futuro non possa anch'egli essere oggetto di studi
paleografici. La rimozione degli spazi bianchi in Word - una iattura
per i traduttori a numero di battute prodotte - ha equivalenti
suggestivi in altri ambiti della moderna comunicazione. In un bel
racconto dello scrittore tedesco Heinrich Boll, La raccolta di si
lenzi del dottor Murke, il protagonista - un redattore radiofonico -
ha l'abitudine di collezionare silenzi. Forse non e' noto a tutti che
una parte nient'affatto trascurabile del lavoro redazionale in una
stazione radiofonica consiste nel rimuovere le pause tra una parola e
l'altra, tra una frase e l'altra, in modo da rendere piu' spedita la
comunicazione. Talvolta gli intervistati sono poeti, scrittori e
filosofi che, per rispondere alle domande, riflettono, si prendono un
momento di pausa per trovare la parola piu' adatta, la costruzione
del periodo piu' efficace per la comunicazione del loro pensiero. Non
appena essi hanno lasciato gli studi radiofonici, impietosamente il
redattore di turno rimuove tutte le pause, togliendo in tal modo
tutti i segni tangibili del moto che il pensiero compie per trovare
una espressione adeguata al contenuto e illudendo cosi' gli
ascoltatori non tanto che gli ospiti intervistati parlino bene,
quanto piuttosto che il pensiero sia fatto solo di parole senza
soluzione di continuita' - come se fosse stato scritto con Mi crosoft
Word. Pause, ridondanze e silenzi sono sempre meno tollerati. E'
l'horror vacui il sentimento che governa la ricerca degli informatici
che escogitano sempre piu' perfezionati sistemi per la compressione
dei dati. Sullo schermo di un computer i silenzi, le pause del
pensiero, vale a dire i momenti in cui la riflessione rischia di
tralignare nella vertigine e si misura col vuoto del non pensiero
sono solo sottili linee alle quali si contrappongono le grandi masse
grafiche che rappresentano sul monitor il suono delle parole. Dopo
Atto senza parole Sa muel Beckett scrisse L'ultimo nastro di Krapp.
In quest'opera teatrale le pause registrate nel magnetofono sono
fondamentali e concorrono non meno delle parole a produrne il senso.
Se l'ultimo nastro di Krapp venisse registrato nell'hard disk di un
computer e poi compresso, il silenzio non sarebbe che un elemento
residuale - non conterebbe nulla, come non contano nulla gli spazi
nei documenti di Word. Certo, molte poetiche del 900 hanno fin troppo
esaltato il valore espressivo degli spazi bianchi e dei margini, ma
chissa' che invece dei codici antichi gli informatici della Microsoft
non abbiano pensato - evitando di far computare gli spazi bianchi -
che e' bene far capire agli utenti del loro programma che, presto,
sara' sospetto chi si permettera' di far pause e fermarsi a pensare
tra una parola e l'altra. Lorenzo De Carli
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Scoperta dell'Essere
La morte di Lady D. dal virtuale al reale
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI comunicazioni, televisione, indice d' ascolto
ONOMI D'AMATO MARINA, PAREYSON LUIGI
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS communication, television, viewing ratings
AL primo sbarco sulla Luna assistettero in mondovisione 600 milioni
di persone. I funerali di Diana, si dice, avrebbero avuto quasi due
miliardi di telespettatori, un terzo della popolazione mondiale.
Ammettiamo che la stima sia per eccesso e applichiamo la tara della
diffusione dei televisori, senza dubbio ben diversa nel 1969 e nel
1997. Il fenomeno rimane. E richiede una analisi scientifica, sia
pure ricorrendo a quelle scienze inesatte che sono la sociologia, la
psicologia, ed eventualmente la filosofia. In questa pagina Marina
D'Amato parte proprio dai dati di ascolto della diretta sui funerali
di Diana per analizzare in termini sociologici la realta' virtuale
nella quale viviamo e il suo dio Auditel, che ci vuole tutti ai suoi
piedi nella veste di fedeli consumatori. Ma quei funerali sono stati
soltanto la manifestazione piu' vistosa di un fenomeno che continua a
svilupparsi sotto i nostri occhi: l'attenzione collettiva e' tuttora
polarizzata da trasmissioni televisive come quella di Augias e da
altre ancora piu' vicine al facile sciacallaggio dei sentimenti, da
perizie e controperizie sull'incidente, dal nuovo libro-scandalo di
Andrew Morton. Dietro tutto questo ci sono, ovviamente, i ben noti
meccanismi della comunicazione di massa. La sinergia di giornali,
televisione, libri scandalistici. La voglia di mito che da sempre
accompagna l'uomo. L'identificazione con la ragazza dall'infanzia
difficile e con la moglie tradita. La suggestione della donna ricca e
potente che china la misericordiosa messa- in-piega sui malati di
Aids. La tenerezza per la madre che accompagna i suoi bambini a
Eurodisney resistendo per loro a tentazioni bulimiche e suicide. Il
personaggio pubblico schierato contro le mine antiuomo (il Nobel per
la pace e' stato assegnato, si e' detto, alla sua memoria). La
perseguitata dai fotoreporter. La vittima delle trame di Buckingham
Palace. Ma basta tutto questo a spiegare le reazioni alla morte della
principessa Diana? Ho il sospetto che sotto si nasconda qualcosa di
piu' profondo. La ferraglia accartocciata della Mercedes ci ha messi
tutti di fronte a un «fatto» concretissimo e irrevocabile. Tra quelle
lamiere, il virtuale e il reale sono entrati in cortocircuito.
L'incidente nel sottopassaggio parigino ha reso evidenti, crudamente
esplicite, le biforcazioni di cui e' fatta la nostra esistenza. In
genere non le percepiamo, ne' quando siamo noi, piu' o meno
consapevolmente, a scegliere nel bivio, ne' tanto meno quando e' il
flusso dell'esistenza a spingerci avanti. Eppure ogni biforcazione ne
esclude molte altre, e la biforcazione apparentemente piu'
irrilevante puo' rivelarsi decisiva. Noi, ora e qui, non siamo
nient'altro che il prodotto delle biforcazioni da cui proveniamo.
Basta inciampare per perdere un aereo destinato a precipitare e
ritrovarsi vivi per miracolo. Basta l'anticipo o il ritardo di un
attimo per capitare su un incrocio dove un altro automobilista non
rispetta lo stop. E, alla faccia di La Palisse, non e' affatto
lapalissiano che un istante prima si sia vivi e un istante dopo
morti. Nel flusso indistinto e ovattato degli eventi superficialmente
ordinari (ma nessuno lo e'), succede che qualche evento ci metta in
contatto diretto e brutale con la Realta' vera, cancellando per un
istante la realta' virtuale, mediatica, immateriale. Talvolta basta
una distrazione: per esempio, ci tiriamo dietro la porta di casa
senza aver preso le chiavi, e di colpo eccoci in una situazione
scomoda, complicata, che ne influenza tante altre, che ci cambia la
giornata (specie se e' domenica e i fabbri sono chiusi). Il filosofo
Luigi Pareyson ha analizzato i fattori di imprevedibilita' e
irrevocabilita' che rendono speciali certi eventi, mostrando come
essi rappresentino l'emergere della liberta' e dell'essere nella loro
purezza. L'evento rivelatore, osserva Pareyson, «e' la rottura di un
contesto»: «Nulla di cio' che lo precede basta a spiegarlo, nessuna
continuita' lo lega agli antecedenti (...). Non tollera ne' il
concetto di causalita' ne' il concetto di probabilita'». Pareyson
ricorda, in proposito, un racconto di Singer nel quale un vecchio
ebreo improvvisamente viene sedotto dalla cognata: «Meno di due ore
prima Reb Mendel era ancora un ebreo onesto, eminente; ora era un
depravato, un traditore di Dio» («Ontologia della liberta'», Einaudi,
1995). Dunque l'irrevocabilita', l'impossibilita' di tornare
indietro, di ricacciare l'accaduto nel non-essere, crea il contatto
con l'Essere, fuggevole e vertiginoso. E poiche' niente come la morte
e' irrevocabile, la morte di Diana, anche per le sue circostanze, e'
stato un evento in cui tutti abbiamo intravisto, al di la'
dell'esistente, l'Essere. Non ci ha scossi solo la morte della
«principessa triste», ma il fatto che quella morte ha rivelato la
nostra personale precarieta', la nostra eroica fragilita' davanti
alle biforcazioni esistenziali e il nostro rimosso bisogno di un
ancoraggio metafisico. Piero Bianucci
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. LO «STRATO LIMITE»
Ali bucate anti-attrito
Si progettano aerei piu' economici
OAUTORE BERNARDI MARIO
OARGOMENTI trasporti, tecnologia, aeronautica e astronautica, aerei
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.
OSUBJECTS transport, technology, aeronautics and astronautics, airplane
L'ALTO prezzo della velocita' di un moderno aereo di linea (oltre 200
hp per tonnellata, da confrontarsi con 100 hp/ton per gli autoveicoli
e 40 hp/ton per la trazione ferroviaria) e' solo per un terzo
imputabile al lavoro effettuato dall'ala per creare la forza
sostentatrice. La maggior parte del combustibile viene spesa per
vincere le forze che si oppongono all'avanzamento: resistenza di
forma e resistenza di attrito. La prima e' dovuta al fatto che le
linee di corrente, non riuscendo a seguire l'intera superficie del
corpo in movimento, a un certo punto se ne distaccano, creando a
valle una zona turbolenta a bassa pressione: la differenza di
pressione tra la faccia esposta al vento e la zona turbolenta a valle
origina la resistenza di forma. Il progettista ha imparato ben presto
a ridurla: mentre le controventature dei vecchi biplani disperdevano
nel vento oltre la meta' della potenza dei loro motori, la resistenza
di forma di un moderno aereo di linea non arriva al 10 per cento
della resistenza totale. A questo punto cio' che rimane da fare e'
ridurre la resistenza d'attrito, che alle attuali velocita' di
crociera assorbe quasi il 60 per cento della potenza dei propulsori.
Lo sforzo in questa direzione e' basato sulla teoria dello «strato
limite» enunciata da Prandtl nel 1904. Quando un corpo si muove in un
fluido a bassa viscosita', come l'aria o l'acqua, la viscosita'
interessa solo un sottile spessore prossimo alla superficie bagnata.
Entro tale spessore la velocita' del fluido varia dal valore zero a
contatto della superficie solida cui aderisce fermamente, per
crescere gradualmente via via che se ne scosta fino a raggiungere il
valore della velocita' della corrente libera a piccola distanza dalla
parete. Ciascuna particella fluida in movimento e' in equilibrio
sotto l'azione di forze di massa (proporzionali alla velocita' e alla
densita' del fluido) e di forze viscose che la frenano. Fino a un
determinato valore del rapporto tra forza di massa e viscosita' del
fluido i filetti fluidi si mantengono paralleli a velocita' crescente
dalla parete al limite esterno dello strato limite; oltre un
determinato valore di detto rapporto lo strato limite diviene
turbolento. E qui le cose si complicano perche' in presenza di uno
strato limite turbolento la resistenza diviene 10 volte superiore a
quella generata da uno strato limite laminare. I tentativi per
eliminare o quantomeno spostare a velocita' superiori la transizione
dallo strato limite laminare a quello turbolento hanno inizio fin dal
1939, con risultati tenuti segreti per il loro interesse militare. In
Usa, Germania e Giappone con l'ausilio delle gallerie del vento si
modificano i profili alari in modo da spostare la zona a bassa
pressione il piu' indietro possibile; il richiamo d'aria che ne
deriva aumenta la velocita' locale estendendo la laminarita' del
flusso lungo il profilo dell'ala. Un altro tentativo cosiddetto
«naturale», tuttora in atto, prende spunto dal sistema escogitato dal
«progettista» dei pesci che, per aumentare la velocita' degli squali,
ne ha modificato la pelle dotandola di lunghe striature
longitudinali. Prove in galleria del vento hanno dimostrato che
analoghe striature ricavate su lastre piane riducono la resistenza
d'attrito. Nonostante le prevedibili difficolta' di manutenzione
derivanti dall'accumulo di sporcizia, insetti, pioggia e neve nelle
finissime striature, un esteso programma di prove in volo e' stato
intrapreso da Airbus Industrie con applicazione di rivestimenti
sintetici striati in corrispondenza di parti significative di ali e
fusoliere. Oggi pero' la posta in gioco sta diventando troppo
importante perche' ci si possa accontentare dei modesti vantaggi
ottenuti con metodi di laminarizzazione «naturale» dello strato
limite. L'importanza socioeconomica del trasporto aereo e l'esigenza
tecnica di far volare senza scalo aerei da 600-1000 passeggeri da un
capo all'altro del mondo richiedono un salto deciso verso la
riduzione dei consumi; un gradino tecnologico che, attraverso una
sostanziosa riduzione della resistenza d'attrito, saldi il debito
energetico contratto dalla propulsione con il passaggio dall'elica al
getto. A tale scopo sono stati recentemente rinverditi studi ed
esperienze in atto fino dagli Anni 50 consistenti nell'aspirazione
dello strato limite attraverso fori e fessure nel rivestimento alare.
Con questo sistema si contiene la crescita dello strato limite, che
resta laminare anche alle alte velocita' di volo e la resistenza
viene notevolmente ridotta. Poiche' l'energia necessaria per aspirare
lo strato limite e' molto inferiore all'energia propulsiva
risparmiata grazie alla riduzione di resistenza all'avanzamento, il
bilancio e' largamente positivo. A meta' degli Anni 60 chi scrive
ebbe l'occasione di assistere sulla pista di Cambridge a prove di
aspirazione dello strato limite effettuate sull'ala di un Auster (un
piccolo aereo a pistoni) appositamente modificato dalla ditta
Marshall. Purtroppo la sperimentazione si concluse con la perdita del
velivolo e la morte del pilota Brian Wass, al cui ricordo e' dedicata
questa nota. Oggi pero' gli studi vengono ripresi: il bilancio
energetico appare particolarmente promettente nel caso di grossi
velivoli «tutt'ala» con forma in pianta «a delta». Infatti, mentre
nelle architetture tradizionali a forte allungamento alare
l'aspirazione dell'ala corrisponderebbe a non piu' del 30 per cento
della superficie interessata dalla resistenza d'attrito, nel
«tutt'ala a delta» la riduzione della resistenza d'attrito
interesserebbe pressoche' l'intera superficie dell'aereo. Studi
parametrici degli inglesi Denning, Allen ed Armstrong sottolineano i
vantaggi di questa configurazione. Secondo gli autori, con
l'aspirazione dello strato limite essa consentirebbe una riduzione
del 50 per cento della resistenza d'attrito. Ne conseguirebbero una
consistente riduzione della potenza installata e un aumento del 38
per cento dell'autonomia. Rispetto ai velivoli convenzionali di pari
peso si stima una maggiore capacita' interna da utilizzare a
vantaggio dei passeggeri (cuccette, sale ritrovo, bar) su prevedibili
tratte di 20 ore. Al minore inquinamento acustico e gassoso derivante
dalla riduzione della potenza si accompagnerebbe un minor danno alla
fascia di ozono. Infatti, a parita' di tutte le altre condizioni
l'aspirazione dello strato limite consentirebbe il volo di crociera a
quote ridotte rispetto a quelle che ottimizzano l'autonomia dei
velivoli convenzionali. Mario Bernardi
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
L'Italia torna in Antartide
OGENERE breve
OARGOMENTI geografia e geofisica
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS geography and geophisics
Riapre la base italiana in Antartide a Baia Terranova: 196
ricercatori partecipano alla 13a spedizione del nostro Paese nel
continente ghiacciato. Tra gli obiettivi, la ricostruzione del clima
da 30 a 100 mila anni fa.
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Storia della radio mostra ad Alba
OGENERE breve
OARGOMENTI storia della scienza, comunicazioni
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ALBA (CN)
OKIND short article
OSUBJECTS history of science, communication
Fino al 9 novembre ad Alba presso la Fondazione Ferrero (tel.
0173-29.54.27) si puo' visitare la mostra «Marconi e la storia della
radio». Il materiale esposto proviene dalla Collezione Pelagalli di
Bologna. Ha collaborato il Centro Ricerche Rai di Torino, dove e'
stato sviluppato il Dab, la radio digitale ad altissima fedelta' che
rappresenta il futuro dell'invenzione di Guglielmo Marconi.
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Societa' di Fisica 100 anni, un congresso
OGENERE breve
OARGOMENTI fisica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, COMO (CO)
OKIND short article
OSUBJECTS physics
A Como, a Villa Olmo, si terra' dal 27 al 31 ottobre il congresso
annuale della Societa' Italiana di Fisica, presieduta da Renato
Angelo Ricci. Il congresso coincide con il centenario della Societa'.
Interverranno i Premi Nobel Carlo Rubbia, De Gennes, Bloembergen ed
Esaki, il presidente Infn Luciano Maiani e Nicola Cabibbo dell'Enea.
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Padova: New Age o vecchie idee?
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PADOVA (PD)
OKIND short article
OSUBJECTS research
Si svolge il 25-26 ottobre all'Universita' di Padova il convegno
annuale del Cicap, Comitato italiano per il controllo delle
affermazioni sul paranormale. Tra i temi, il movimento New Age.
Intervengono Piero Angela, Giuliano Toraldo di Francia, Steno
Ferluga, Silvio Garattini. Informazioni: 0426-22013.
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Come si impara Dibattito a Torino
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
L'apprendimento e' il tema di un convegno che si terra' a Torino il
7-8 novembre alla Galleria d'Arte moderna. In apertura, un dibattito
interdisciplinare. Iscrizioni: 011-88.20.89.
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Pila ricaricabile ideata da Kordesh
OGENERE breve
OARGOMENTI energia
ONOMI KORDESH KARL
OORGANIZZAZIONI ELETTRONICA RR, BIG
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS energy
Si chiama Big la nuova pila ricaricabile che ridurra' la dispersione
nell'ambiente delle batterie esaurite. Presentata allo Smau dalla
Elettronica RR che ne cura la distribuzione in Italia, questa
batteria e' del tipo alcalino al manganese e applica una tecnologia
sviluppata da Karl Kordesh, che nel 1953 fu gia' l'inventore della
tradizionale pila alcalina usa-e-getta.
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Odontoiatria a Montecarlo
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Organizzato dal Centro Odontostomatologico di Torino (presidente Aldo
Ruspa) si terra' il 14 e 15 novembre al Centro Incontri
Internazionali di Montecarlo il 9o Congresso odontostomatologico.
Tema: «Endodonzia, gerodontologia e implantologia». I relatori,
provenienti da Francia, Germania, Giappone, Stati Uniti, Svizzera e
Italia, illustreranno, in particolare, le cure dei denti negli
anziani.
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Borse di studio dell'Italgas
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OORGANIZZAZIONI ITALGAS
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
L'Italgas ha istituito due borse di studio annuali da assegnare in
base alle migliori tesi di laurea in tema di energia e ambiente. Tel.
02-520.36.939.
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Su «Telema» il futuro della tv
OGENERE breve
OARGOMENTI comunicazioni, tecnologia
OORGANIZZAZIONI TELEMA
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS communication, technology
E' uscito il numero d'autunno della rivista «Telema» della Fondazione
Ugo Bordoni. La sezione monografica e' dedicata alla tv nella nuova
prospettiva aperta dai satelliti digitali e dalla moltiplicazione dei
canali. Ne scrivono, tra gli altri, Gianni Vattimo, Enzo Siciliano,
Jader Jacobelli e il direttore della rivista Ignazio Contu.
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Biotecnologie per l'arte a Torino
OGENERE breve
OARGOMENTI tecnologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND short article
OSUBJECTS technology
A Torino, presso Villa Gualino, si svolge fino a sabato un corso
sulle biotecnologie applicate alla conservazione e al restauro delle
opere d'arte.
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Cselt vince Eurospeech '97
OGENERE breve
OARGOMENTI comunicazioni
OORGANIZZAZIONI CSELT
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS communication
Lo Cselt, Centro studi e laboratori telecomunicazioni, ha vinto il
primo premio di Eurospeech '97, la conferenza mondiale sui sistemi
vocali per la comunicazione tra l'uomo e il computer svoltasi a Rodi.
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. NUOVE TECNICHE
La luminescenza a protoni per analizzare rocce lunari
OAUTORE VITTONE ETTORE
OARGOMENTI tecnologia, astronomia, fisica, chimica
ONOMI HERSCHEL WILLIAM
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology, astronomy, physics, chemistry
CHE la luminosita' della Luna sia dovuta alla riflessione della luce
solare e' cosa ben nota: lo abbiamo constatato anche con l'eclisse
del 16 settembre scorso. Eppure esistono vaste regioni sulla
superficie lunare, intorno ai grandi crateri di origine meteoritica,
che non giocano soltanto un ruolo passivo, di specchio, ma
contribuiscono attivamente all'intensita' della luce lunare
soprattutto in certe zone dello spettro cromatico. Nella notte del
18-19 aprile 1787 il grande astronomo William Herschel, lo scopritore
del pianeta Urano, osservo' sulla superficie lunare alcune regioni
luminose come fossero «carboni ardenti di cenere» in prossimita' del
cratere Aristarco. Il fenomeno fu cosi' spettacolare che Herschel
invito' Re Giorgio III di Inghilterra a osservare attraverso il suo
telescopio quella che erroneamente aveva interpretato come
manifestazione dell'attivita' di «vulcani lunari». La luminescenza
lunare anomala scomparve nel giro di pochi giorni per poi ricomparire
piu' o meno ogni 11 anni in una ventina di occasioni dal 1787 ad
oggi. La periodicita' del fenomeno e la contemporanea apparizione di
spettacolari aurore polari permisero agli inizi degli Anni 60 di
attribuire questo fenomeno al «vento solare», cioe' al flusso di
particelle cariche (essenzialmente protoni ed elettroni) di alta
energia provenienti dal Sole e che ogni undici anni assume
particolare intensita' (tempeste solari). La Luna, non protetta da
atmosfera, si comporta come una specie di «convertitore di immagine»
che trasforma l'energia della radiazione corpuscolare di origine
solare in radiazione elettromagnetica di cui sulla Terra riusciamo a
osservare soltanto la regione visibile, non filtrata dall'atmosfera
terrestre. Le informazioni che si possono estrarre dall'osservazione
di questo fenomeno sono molteplici. Selezionando la radiazione
luminosa per colore, ossia per energia, e' possibile determinare la
composizione chimica del materiale luminescente e confrontando
l'intensita' dei diversi colori, i quali rappresentano la «firma»
degli elementi, e' possibile risalire alle abbondanze delle specie
chimiche. Lo studio della luminescenza e' quindi un valido strumento
di indagine chimico-mineralogica in quanto puo' condurre
all'identificazione «a distanza» della composizione chimica della
crosta lunare. Questa tecnica spettroscopica, normalmente indicata
con l'acronimo Ibil (da Ion Beam Induced Luminescence), non e'
tuttavia ristretta al solo campo astronomico. In alcuni laboratori,
fra i quali primeggiano quelli dell'Istituto Nazionale di Fisica
Nucleare di Legnaro (Pd), si stanno installando strumenti per lo
studio della luminescenza indotta da fasci di protoni (o in genere da
ioni) prodotti da un acceleratore. Questo «vento solare» creato in
laboratorio permettera' l'analisi chimica non distruttiva di elementi
in traccia in materiali non solo di interesse geologico ma anche, e
soprattutto, in materiali per l'elettronica e la fotonica. Forse un
giorno avremo diamanti piu' «colorati», fibre ottiche piu' efficienti
e schermi video piu' luminosi grazie all'individuazione di attivatori
ottici analizzati con la tecnica Ibil. Ettore Vittone Universita' di
Torino
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. UN PROBLEMA DI LOGICA
Ponzio Pilato e il teorema di Tarski
E' difficile dire cos'e' la verita' per un matematico
OAUTORE ODIFREDDI PIERGIORGIO
OARGOMENTI matematica
ONOMI TARSKI ALFRED, AUSTIN JOHN, KRIPKE SAUL
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS mathematics
SONO venuto al mondo per rendere testimonianza della verita'» disse
Gesu' a Pilato, e questi gli domando': «Che cos'e' la verita'?»
(Vangelo secondo Giovanni, XVIII, 37- 38). Un lettore di
Tuttoscienze (Alberto Biamino) ci pone ora la stessa domanda: ci
auguriamo che, a differenza di Pilato, che se ne ando' senza
aspettare la risposta, egli abbia un minimo di pazienza, e sia
disposto a leggere il seguito. La domanda, di Pilato e del lettore,
non e' gratuita: la verita' e' infatti un concetto problematico, e il
suo maggior problema fu scoperto gia' nel secolo VI a.C. da Epimenide
di Creta. Egli si accorse che una frase del tipo «io sto mentendo»,
ossia «cio' che dico non e' vero», e' paradossale: se infatti cio'
che dico (che sto mentendo) e' vero, allora sto mentendo, e dunque
cio' che dico e' falso; e se invece cio' che dico e' falso, allora
sto mentendo, e dunque cio' che dico (appunto, che sto mentendo) e'
vero. Il paradosso fece arrabbiare San Paolo, che non l'aveva capito:
egli se la prese con i professori che insegnavano tali assurdita',
chiamandoli «ribelli, cialtroni, seduttori» (chissa' poi perche'), e
proponendo di «tappare loro la bocca» (Lettera a Tito, I, 10-12).
Nelle sue convulsioni si puo' gia' distinguere, completamente
formato, l'embrione dell'Inquisizione. Piu' seriamente, la soluzione
al paradosso impegno' i filosofi per millenni, che fecero proposte di
ogni genere. Qualcuno diede la colpa al linguaggio, sostenendo che le
frasi contraddittorie sono solo apparentemente ben formate, ma che in
realta' non hanno senso. Altri accusarono la logica, la quale
stabilisce che una frase puo' essere solo o vera o falsa (tertium
non datur), mentre l'esempio precedente non e' evidentemente ne' una
cosa ne' l'altra. Nel 1936 Alfred Tarski trovo' una soluzione
parziale del problema, che e' divenuta classica. Egli mostro' che
nelle teorie matematiche comuni la verita' non e' definibile,
perche' se lo fosse sarebbe possibile riprodurre il paradosso di
Epimenide: piu' precisamente, si potrebbe costruire una frase che
dica di se stessa di essere falsa, e ripetere il ragionamento
precedente. Il vero problema, risolto da Tarski, consiste appunto nel
costruire tale frase: il che non e' affatto immediato, perche' ad
esempio in una teoria il cui linguaggio parli di numeri non esiste a
prima vista la possibilita' di dire «io», cioe' di dare affermazioni
che parlino di se stesse. Tarski passo' poi a dimostrare che,
comunque, per le teorie matematiche comuni esiste una definizione
della verita'. Le affermazioni dei linguaggi scientifici sono infatti
costruite in maniera ordinata, a partire da affermazioni elementari
(quali «2piu'2=4», «2X2=3»...), che vengono combinate mediante
operatori elementari (quali «non», «e», «per ogni»...): poiche' la
verita' o falsita' delle affermazioni elementari di una teoria e'
evidente (ad esempio, «2piu'2=4» e' vera, e «2X2=3» e' falsa), e
quella delle affermazioni composte puo' essere ridotta alla verita' o
falsita' delle affermazioni che la compongono (ad esempio, «2piu'2=4
e 2X2=3» e' falsa), procedendo con ordine si puo' determinare la
verita' o falsita' di qualunque affermazione della teoria data.
Naturalmente, non c'e' contraddizione fra le due parti del lavoro di
Tarski: data una teoria matematica comune, per la seconda parte
esiste una sua definizione di verita', che per la prima parte non
puo' pero' essere interna alla teoria stessa. E se non puo' essere
interna, questo significa che deve essere esterna, ossia che alcune
cose di un mondo matematico si possono venire a conoscere soltanto
uscendo al di fuori di esso, e salendo per cosi' dire ad un livello
piu' alto, detto metalivel lo (cosi' come per conoscere alcune cose
del mondo reale e' necessario uscire dalla fisica e salire alla
metafisica): dunque, per ripetere quasi letteralmente un altro passo
della conversazione di Gesu' con Pilato, «il regno della verita' non
e' di questo mondo». La soluzione di Tarski e' parziale perche' essa
si applica appunto soltanto a teorie matematiche, ed ai relativi
linguaggi. Varie soluzioni del problema per i linguaggi naturali,
quali l'italiano, sono state proposte: ad esempio, da John Austin nel
1950, e da Saul Kripke nel 1975. Benche' nessuna di esse sia stata
accettata universalmente, come quella di Tarski nel suo ambito, il
lavoro dei logici continua, ed essi possono ben dire: «Siamo venuti
al mondo per dare una definizione della verita'». Piergiorgio
Odifreddi Universita' di Torino
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. LE LARVE DEI CORALLI
Nuotatrici prodigiose
E con un misterioso senso dell'orientamento
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI LEIS JEFF, WOLANSKE ERIC, DOHERTY PETER, STOBUTZKI ILONA
OLUOGHI ESTERO, OCEANIA, AUSTRALIA
OSUBJECTS zoology
SORVOLANDO a bassa quota la grande barriera corallina australiana in
una data precisa, nella quarta o quinta notte dopo il plenilunio di
novembre e dicembre, si puo' aver la fortuna di assistere a uno
spettacolo veramente straordinario. Improvvisamente le acque del mare
si intorbidano perche' milioni di coralli vi riversano gigantesche
nuvole di uova rossicce e torrenti di sperma lattiginoso. I coralli
si riproducono. Fungono da paraninfi i misteriosi messaggi chimici
che gli elementi sessuali si scambiano tra loro. In quell'apparente
babele di messaggi, tutto si svolge in realta' come in una perfetta
stazione di smistamento, senza possibilita' di disguidi. Ogni
spermatozoo e' attratto esclusivamente da un ovulo della sua stessa
specie. E i coralli si sposano sincronicamente in un rito collettivo
grandioso e impressionante. Il fenomeno si alterna con la normale
riproduzione asessuata per gemmazione e porta alla diffusione
territoriale dei coralli. Non si parla qui del corallo nobile con cui
si fanno monili e collane, bensi' dei coralli costruttori o
madrepore. Sono loro che costruiscono quelle meravigliose foreste
pietrificate dalle mille fogge e dai mille colori che formano il
reef. Sono celenterati, parenti delle meduse e degli anemoni di mare
e appartengono all'ordine dei Madreporari. Dopo questa precisazione,
riprendiamo la love story dei coralli costruttori. L'uovo fecondato
da' origine a una larvetta ciliata che esce dalla bocca del genitore
e inizia da questo momento la sua vita avventurosa. Si credeva finora
che queste larvette piccolissime fossero incapaci di nuotare e
venissero sballottate dai movimenti dell'acqua, come minuscoli
fuscelli in balia delle onde e delle correnti. Si pensava vagassero
passivamente per alcune settimane, fino al momento in cui una piccola
percentuale di quella folta schiera di larve riusciva casualmente a
trovar casa sulla scogliera. Da quel momento adottava i costumi
sedentari dei genitori. Ed ecco invece la sorpresa. Le cose non
stanno affatto cosi'. Dobbiamo la sensazionale scoperta all'ittiologo
Jeff Leis del Museo di Sydney, agli oceanografi Eric Wolanske e Peter
Doherty, nonche' alla studentessa Ilona Stobutzki dell'Universita'
James Cook di Town sville. Cosa hanno scoperto questi studiosi dopo
anni di appostamenti e ricerche? Hanno scoperto che le larve dei
coralli non sono affatto quegli esseri passivi e inerti che abbiamo
sempre creduto. Benche' spesso siano affarini minuscoli, lunghi
soltanto pochi millimetri, sono degli autentici campioni di nuoto
dotati di una insospettata resistenza. Non si lasciano trascinare dai
vortici delle correnti. E' come se sapessero che debbono trovare
nell'immensita' dell'oceano un piccolo scoglio a cui ancorarsi per
poter completare il loro ciclo vitale. Nelle acque della Grande
Barriera corallina e al largo dell'atollo Rangiroa, nella Polinesia
francese, Leis e la sua equipe hanno studiato piu' di cinquanta
specie appartenenti a quindici famiglie diverse. Ed ecco cosa hanno
scoperto. Un pesce giovanetto puo' mantenere una velocita' di 20,6
centimetri al secondo che equivale a quasi l4 volte la sua lunghezza
corporea ogni secondo. E' come se un campione olimpionico umano
coprisse i cento metri in tre secondi. Le larve piu' grosse, come
quelle dei pesci chirurgo, nuotano piu' velocemente. Ma, fatte le
debite proporzioni, quelle di alcuni pesci piu' piccoli compiono raid
stupefacenti. C'e' ad esempio un minuscolo pomacentride che copre in
un secondo un percorso equivalente a cinquanta volte la lunghezza del
suo corpo. Il campione dei campioni e' pero' un pesce soldato (gen.
Myripristis) inseguito dai sub al largo di Rangiroa, che ha nuotato
per dieci minuti alla velocita' di 56 centimetri al secondo e nello
sprint finale e' riuscito a seminare gli inseguitori umani. La cosa
piu' strabiliante emersa da queste ricerche e' che i giovanissimi
pesci hanno il senso della direzione e sono in grado di percepire la
presenza degli scogli corallini almeno a un chilometro di distanza.
Si e' visto che le larve arrivano sullo scoglio dopo il tramonto,
nell'ora in cui i grandi sciami di pesci mangiatori di plancton - i
loro piu' temuti nemici - sono andati ormai a dormire. E scelgono le
notti di luna nuova quando regna la maggiore oscurita'. Ma non c'e'
tempo da perdere. Al piu' presto possibile debbono trovare un rifugio
sicuro: il pesce pagliaccio ad esempio si affretta a nascondersi tra
i tentacoli mortali di un anemone di mare al cui veleno e' immune.
Quando spunta il mattino, i poveretti che non sono riusciti a trovare
un nascondiglio efficiente hanno la sorte segnata. Finiscono in pasto
alla folla di predatori che li attende. Non c'e' dubbio quindi che le
larve dei pesci tropicali siano ottime nuotatrici e «sentano» a che
distanza si trova lo scoglio in cui possono insediarsi per continuare
il loro sviluppo. C'e' da domandarsi quale senso le guidi in questo
prodigioso viaggio mirato. Gli studiosi escludono che possa far loro
da guida il sole o il campo magnetico terrestre. Ed escludono anche
che le possa guidare la vista, perche' la meta e' ben al di la' del
loro campo visivo. Allo stesso modo non ritengono che li possa
aiutare l'olfatto, per quanto sia l'olfatto che consente al pesce
pagliaccio di trovare l'ospite in cui insediarsi. Rimane soltanto
l'udito. Per la verita', non si hanno conoscenze sulle capacita'
auditive delle larve dei pesci. Sta di fatto pero' che le scogliere
coralline sono molto rumorose. C'e' il frangersi delle onde contro
gli scogli e ci sono i rumori prodotti da molti abitanti della
scogliera. Come quelli che fanno ricci di mare o pesci pappagallo
sgretolando il corallo, come i suoni prodotti da molti pesci
sfregando le mascelle o tamburellando con certi muscoli le loro
vesciche natatorie. Si e' poi scoperto nelle acque tropicali un
misterioso coro notturno che ha picchi di intensita' nelle notti
estive senza luna. Ed e' proprio in corrispondenza di questi picchi
che le larve raggiungono gli scogli corallini. Non e' detto pero' che
per raggiungerli debbano percorrere alla cieca centinaia di
chilometri. Nuotano soltanto per poche decine di chilometri seguendo
con sicurezza «le vie maestre» che li collegano tra loro. Isabella
Lattes Coifmann
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. MEDICINA
Il Nobel alla scoperta dei prioni
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina, ricerca scientifica
ONOMI PRUSINER STANLEY
OORGANIZZAZIONI PREMIO NOBEL PER LA MEDICINA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine, research
GLI acidi nucleici Dna e Rna sono considerati il minimo comune
denominatore della vita: gli organismi viventi, anche se estremamente
diversi sia come specie sia come individui, sono tutti caratterizzati
dal possedere un genoma costituito da acido nucleico. In altre parole
ogni organismo contiene acidi nucleici che ne definiscono
l'identita'. Ma ecco che un agente infettivo chiamato prione sembra
essere la straordinaria eccezione alla regola. L'americano Stanley B.
Prusiner, al quale e' stato conferito nei giorni scorsi il Nobel per
la medicina, studiando una infezione delle pecore e delle capre
denominata scrapie, dimostro' che un misterioso agente eziologico era
attivo mediante una proteina, e a questa «particella infettiva
proteica» diede il nome di prione. In seguito si accerto' trattarsi
d'una glicoproteina di dimensioni 100 volte inferiori a quelle dei
virus piu' piccoli, di un diametro di circa 5 nanometri cioe' di 5
miliardesimi di metro. Negli organi infetti le microfotografie
elettroniche rivelano particelle a forma di bastoncelli, che sono
aggregati di prioni. In sostanza l'infettivita' del prione si
identifica con una proteina senza acido nucleico. Questo non
significa necessariamente che il prione violi il dogma centrale (i
risultati di ricerche recenti favoriscono ipotesi meno eretiche,
l'acido nucleico potrebbe anche essere nascosto da una struttura
circostante o essere presente in quantita' troppo piccole per essere
rilevato), ma e' indiscutibile che il suo modo di riprodursi e'
eccezionale. Qualche infezione della specie umana potrebbe essere
causata dai prioni. Si tratta d'un gruppo di malattie designate come
«encefalopatie spongiformi», con una sintomatologia progressiva a
carico del sistema nervoso (come la scrapie), insorgente dopo un
periodo di incubazione molto lungo, di mesi o di anni, talora
decenni. Abbiamo il kuru, scoperto negli Anni Cinquanta in tribu'
della Nuova Guinea praticante una forma di cannibalismo rituale in
cui il cervello d'un parente deceduto veniva mangiato come atto di
omaggio. Un'altra e' la malattia di Creutzfeldt-Jakob, con lesioni
cerebrali simili a quelle dell'encefalopatia spongiforme bovina
(«mucca pazza»). Dello stesso tipo e' la sindrome di Gerstmann-
Straussler-Schenker. Un legame con la mucca pazza per ora non e'
dimostrato, comunque l'Organizzazione mondiale della sanita' esercita
un'attenta sorveglianza. Vi e' l'ipotesi che anche il morbo di
Alzheimer possa essere causato da un'infezione di prioni, tesi
tuttavia molto discutibile anche perche' l'Alzheimer non e'
trasmissibile. Volendo riassumere le nostre conoscenze a tutt'oggi,
le malattie spongiformi hanno queste caratteristiche: una latenza
clinica e biologica anche di anni; manifestazioni cliniche
esclusivamente a carico del sitema nervoso centrale, con una lenta
evoluzione progressiva senza remissioni; lesioni anatomo-patologiche
caratteristiche; nessun indice della presenza di microorganismi
conosciuti; nessuna reazione immunitaria come formazione di anticorpi
o altro; nessun mezzo di terapia; trasmissibilita' mediante
inoculazione negli animali di ultrafiltrati cerebrali. Accanto
all'ipotesi dei prioni di Prusiner ve ne sono altre, ma per il
momento la causa delle encefalopatie spongiformi rimane misteriosa.
Come sovente accade in medicina, la verita' appartiene probabilmente
alla sintesi delle diverse alternative finora proposte. Ulrico di
Aichelburg
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. SE NE DISCUTE A MONTECARLO
Al bando le bistecche di balena?
Il 49o congresso dell'International Whaling
OAUTORE NOTARBARTOLO DI SCIARA GIUSEPPE
OARGOMENTI zoologia, ecologia, congresso, caccia, animali, mare
OORGANIZZAZIONI INTERNATIONAL WHALING
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, MONACO, MONTECARLO
OSUBJECTS zoology, ecology, congress, hunting, animal, sea
E' in corso da lunedi' a Montecarlo il 49o congresso della
International Whaling dell'Unione Europea (con l'unica vistosa
eccezione rappresentata dall'Italia), si affronteranno in due opposti
schieramenti: chi vuole che la caccia alla balena continui, e chi
vuole vederla finire. Da un lato Giappone e Norvegia, fiancheggiati
da uno stuolo di microscopici Stati dei Caraibi e del Pacifico (le
cui economie sono pesantemente influenzate dagli aiuti nipponici),
che mordono il freno per ottenere continui aumenti delle quote di
caccia. Dall'altro praticamente tutti gli altri, in prima fila
Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Stati dell'Unione Europea,
che sostengono che la caccia industriale alla balena sia pratica
antiquata e crudele, retaggio di un tempo lontano in cui il mare era
infinito e l'uomo dipendeva in larga misura dalle sue risorse per
sopravvivere. Chi difende la baleniera difende innanzitutto
un'industria molto redditizia, visti i prezzi da capogiro che una
bistecca di balena raggiunge sul mercato oggi piu' dinamico, cioe'
quello di Tokyo. Inoltre, difende una tradizione, che vedrebbe da
tempo immemorabile l'uomo lottare contro gli elementi del mare per
trarne sostentamento. Infine, sostengono gli alfieri dell'arpione,
l'unica specie di balena oggi cacciata industrialmente, la
balenottera minore, e' talmente abbondante in tutto il mondo che il
migliaio circa di esemplari oggi macellati in un anno costituisce una
percentuale minima, quindi insignificante, del totale. La storia e'
ben diversa se vista dall'altra parte. L'argomento della tradizione
non tiene in Norvegia, dove la caccia alla balena e' iniziata negli
Anni 30 per rifornire di carne gli allevamenti di volpi da pelliccia,
cosi' come tiene male in Giappone, dove la caccia industriale in
grande stile mosse i primi passi nel dopoguerra per opera del
generale MacArthur, per fornire proteine alla popolazione provata dal
conflitto. Inoltre, si tratta di un'attivita' in cui il carattere
voluttuario che oggi possiede il prodotto male si concilia con la
crudelta' con cui viene ottenuto, visto che la pratica dell'uccisione
di una balena in mare raramente possiede quel carattere di
istantaneita' tipico della macellazione, per esempio, dei bovini al
mattatoio. La caccia legalizzata e' la punta dell'iceberg di uno
spaventoso traffico illegale di carne di specie protette, complici
sia il carattere difficilmente controllabile dell'attivita', sia la
scarsa o nulla volonta' di esercitare reali controlli da parte di
gran parte delle nazioni baleniere. E ancora: la pratica di
guadagnare vendendo carne di balena e' inconciliabile con quella del
guadagnare portando i turisti a vedere quelle vive: un'attivita',
quella del whale-watching, in vertiginoso aumento in tutto il mondo
(con oltre 500 milioni di dollari generati nel 1994), il piu' delle
volte di alto valore educativo, e che non consuma la sua ragion
d'essere. Il principale problema costituito dall'urto frontale tra i
due schieramenti e' che non esiste al mondo un organismo con
l'autorita' di imporre ad alcuno Stato di non cacciare le balene.
Giappone e Norvegia oggi cacciano nella piena legalita' delle regole
previste dalla Convenzione per la regolamentazione della caccia alla
balena; tuttavia, approfittando della loro maggioranza, le nazioni
conservatrici da tempo introducono, anno dopo anno, limitazioni che
rischiano di far uscire dalla Convenzione le nazioni baleniere,
spingendo pericolosamente verso una deregulation che nessuno
veramente vuole. Lo stallo potrebbe essere risolto da una
rivoluzionaria proposta presentata quest'anno dall'Irlanda,
consistente nel bando totale al commercio internazionale di prodotti
derivanti dalla baleneria, nell'istituzione di un «santuario globale»
in tutte le acque mondiali fuori dalla giurisdizione dei singoli
Paesi, e nella scomparsa definitiva degli ambigui permessi di caccia
«per motivi scientifici». Questa proposta sembrerebbe incontrare
tanto il favore dei balenieri, che potrebbero cosi' continuare a
cacciare nelle loro acque territoriali e commercializzare la carne di
balena, anche se solo entro i propri confini, tanto degli
ambientalisti piu' pragmatici, che vedrebbero scomparire
definitivamente la grande caccia industriale e aumentare l'estensione
geografica del mare protetto. A questo storico processo, iniziato
proprio sulla soglia di casa e «con vista» sul santuario per le
balene del Mar Ligure, proprio da lei proposto, l'Italia purtroppo
non partecipa. La legge che ne sancisce l'ingresso nella Commissione
baleniera al fianco degli altri Paesi d'Europa, approvata in Senato
mesi fa, non e' ancora stata pubblicata, e la relega ingiustamente
nel ruolo di spettatore. G. Notarbartolo di Sciara Presidente Icram
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA
LE PAROLE DELL'INFORMATICA - B
OGENERE rubrica
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS computer science
BACKUP. Con questo termine si indica la creazione di una copia di
riserva dei file del calcolatore. E' una operazione molto semplice,
che puo' evitare grossi guai. Un guasto al calcolatore, un vi rus o
un intervento scorretto possono rovinare irrimediabilmente un file
distruggendo il nostro lavoro di settimane o di mesi, se non abbiamo
avuto l'accortezza di crearne una copia e di conservarla in un luogo
sicuro. Il termine viene usato in riferimento alla copia di tutti i
file di un hard disk, ma normalmente ci si limita alla creazione
delle copie dei file piu' importanti. E' un operazione trascurata dai
neofiti, fino a quando non provano sulla loro pelle che cosa
significhi assitere, impotenti, alla distruzione del proprio lavoro.
Per le copie dei file si usano generalmente floppy disk, il supporto
piu' economico, ma per operazioni di backup importanti si usano anche
nastri, hard disk removibili oppure cd riscrivibili. E' buona
abitudine programmare un piano di backup, rispettandone
scrupolosamente regole e scadenze. Il concetto di backup o «riserva»
si applica anche in altri contesti. Ad esempio, un calcolatore il cui
funzionamento sia critico per la sicurezza o la continuita' di lavoro
di un impianto viene spesso affiancato da uno o piu' calcolatori di
backup, pronti a subentrare al primo quando questo si guasta.
Analogamente, una linea per la trasmissione di dati da un calcolatore
a un altro puo' essere dotata di backup costituito da una seconda
linea che vada dalla stessa sorgente alla stessa destinazione,
qualche volta su un percorso diverso, per maggiore affidabilita'. Il
backup e' definito «caldo» quando la sua attivazione e' immediata ed
e' considerato «tiepido» o «freddo» a seconda del tempo necessario
per diventare operativo.
ODATA 22/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. CHE COSA C'E' DENTRO IL COMPUTER
Un cuore da 200 milioni di battiti al secondo
In vent'anni il microprocessore del pc e' diventato mille volte piu'
veloce
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE
OARGOMENTI informatica, elettronica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science, electronics
ABBIAMO visto nelle due puntate precedenti che quell'autentico
miracolo che e' il personal computer e' opera di alcuni santi della
tecnologia. Il primo e' il Santo Ragnetto del Silicio, un
microcircuito integrato che deriva il suo nome dal fatto che i
piedini sono spuntati su tutti i lati del suo corpo, divenuto a
sezione quadrata. E' il microprocessore, un vero e proprio
calcolatore - unita' di calcolo, unita' di controllo e un po' di
memoria - realizzato in un unico «chip» delle dimensioni di un
cioccolatino. Il microprocessore di oggi, tipicamente un Pentium, ha
un cuoricino che batte 200 milioni di colpi al secondo (200 Mhz o
«megahertz») equivalenti a piu' di 100 milioni di istruzioni al
secondo, quasi mille volte piu' dei personal computer della prima
generazione di meno di venti anni fa. Il secondo e' il Santo
Centopiedi della Memoria Veloce, il circuito integrato utilizzato
nella Ram del personal computer. E' questa la memoria centrale del
calcolatore, quella dove risiedono i programmi in fase di esecuzione
e ove sono memorizzati i dati che devono essere letti e aggiornati
molto frequentemente. Oggi i tempi di lettura o scrittura di un dato
nella Ram sono dell'ordine delle decine di miliardesimi di secondo e
la sua capacita' deve essere almeno pari a 8 Mb (o «megabyte»), ossia
8 milioni di caratteri. Vengono poi i Santi Dischi del Magnetismo. Vi
e' un frate minore, il floppy disk, che ha capacita' di 1,44 Mb,
relativamente piccola, ma sufficiente per il trasferimento, piu' o
meno legale, di dati e programmi da un calcolatore ad un altro. Il
frate maggiore, l'hard disk, ha oggi capacita' molto piu' alte,
dell'ordine dei Gb (o «gigabyte»), ossia dei miliardi di caratteri.
Entrambi i Santi del Magnetismo sono molto lenti rispetto alla Ram.
Il tempo medio necessario perche' la testina si sposti nella
posizione voluta e' di alcuni millesimi di secondo, centomila volte
di piu' del tempo di lettura o scrittura di un dato nella Ram. Cosi'
la memoria magnetica e' usata come una cantina lontana e scomoda, ma
molto capace, ove conservo tanta roba che non posso tenere in casa
perche' non avrei lo spazio necessario. Tutto questo discorso
potrebbe indurre il lettore alla convinzione che un calcolatore sia
fatto prevalentemente da hardware («roba dura», «ferramenta», secondo
il vocabolario inglese), ossia da apparati elettronici o
elettromagnetici, o oggetti meccanici. Questa idea sarebbe
assolutamente falsa. Vi e' un forte dualismo nel mondo
dell'informatica che si sta progressivamente spostando in ogni
comparto industriale e sta mutando drammaticamente le regole della
competizione economica. E' il dualismo corpo-anima,
hardware-software, tecnologia «dura» - tecnologia «soffice». Generare
anime e' molto piu' difficile che produrre corpi. Dio creo' l'intero
universo in cinque giorni senza dar segni di stanchezza, ma il sesto
giorno, dopo aver soffiato sul volto di Adamo, si senti'
improvvisamente spossato e smise il lavoro. Il software di un
personal computer, ossia l'insieme dei programmi senza il quale i
miracoli dei Santi Tecnologici servirebbero a ben poca cosa, e' fatto
da molti milioni di istruzioni, per un investimento globale
dell'ordine delle centinaia di migliaia di miliardi, una cifra
sufficiente ad accontentare insieme Prodi, Dini e Bertinotti per
molte decine di finanziarie. Il cuore di questa montagna di software
e' il sistema operativo, ossia i programmi che sono venduti insieme
all'hardware e che sono strettamente necessari per il suo
funzionamento. I programmi del sistema operativo fanno molte cose
importanti, che tuttavia interessano poco l'utilizzatore del
calcolatore. Ad esempio, vi e' un sottoinsieme di programmi che
vigilano sulla tastiera e traducono il numero d'ordine del tasto nel
carattere corrispondente e vi e' un altro insieme di programmi che
traducono i dati da visualizzare in uscita in opportuni comandi per
un ragnetto specializzato, «il video controller», che pilota il video
colorando, uno per uno, i quadretti elementari di ogni immagine.
Oltre a queste attivita' invisibili, il sistema operativo colloquia
con l'operatore dal quale riceve i comandi elementari che controllano
le macroattivita' del sistema. Ne parleremo la prossima settimana.
Angelo Raffaele Meo Politecnico di Torino
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. STORIA DEI CALCOLATORI
Dalle schede perforate al floppy disk
I cartoncini potevano ospitare 80 caratteri, un dischetto un milione
e mezzo
OAUTORE MEO ANGELO RAFFAELE
OARGOMENTI informatica, storia della scienza
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science, history of science
PRIMA del 1975 i calcolatori utilizzavano come memoria di massa le
schede perforate, figlie delle schede adottate da Jacquard nel suo
telaio per la tessitura, poi riprese da Babbage nel calcolatore
meccanico programmabile. Su una scheda perforata potevano essere
memorizzati solo 80 caratteri. Nel 1975 alcuni produttori di
calcolatori cominciarono a proporre il «floppy disk» o disco
flessibile come memoria di massa. I primi «floppy» erano molto piu'
grandi di quelli di oggi, misurando 8 pollici (un pollice vale 2,54
centimetri). La capacita' dei primi supporti era dell'ordine di
64.000 caratteri, per cui una sola unita' equivaleva a un pacco di
800 schede, con il pregio di non richiedere una faticosa opera di
riordinamento quando cadeva per terra. La tecnologia dei «floppy» e'
migliorata rapidamente nell'arco dei suoi primi quindici anni di
vita, sino all'inizio di questo decennio. La dimensione si e' ridotta
agli attuali 3,5 pollici e la capacita' e' cresciuta, nonostante la
riduzione delle dimensioni, sino a 1,44 milioni di caratteri. Il
disco non e' piu' flessibile, ma l'aggettivo «floppy» e' rimasto.
Oggi e' possibile impaccare parecchi milioni di caratteri in un unico
dischetto delle dimensioni di un «floppy» ed effettivamente qualche
produttore propone supporti da decine di milioni di caratteri. Per il
momento, tuttavia, il mercato non sembra aver accolto con entusiasmo
le nuove soluzioni, probabilmente per la concorrenza di una
tecnologia alternativa: quella del Cd-Rom. La tecnologia del «floppy
disk» e' la stessa dello «hard disk» di cui abbiamo parlato la
settimana scorsa. Il dischetto e' ricoperto da un sottilissimo strato
di materiale magnetico, ove l'informazione viene scritta e letta
lungo piste circolari da testine magnetiche molto simili a quelle dei
ben noti registratori usati da molti anni per la musica. Di norma, su
ciascuna delle due facce di un disco sono incise 80 tracce circolari.
Lungo una traccia l'informazione e' suddivisa in nove settori,
ciascuno dei quali contiene 1024 caratteri, oltre all'indicazione del
numero della traccia e del numero d'ordine del settore stesso. Di
conseguenza il volume di informazione scritto su un disco e' pari a
80 tracce, moltiplicato 9 settori per traccia, moltiplicato 1024
caratteri per settore, moltiplicato due facce, per un totale di 1,47
milioni di caratteri. Questo numero e' leggermente superiore alla
capacita' netta del disco, che abbiamo visto essere dell'ordine di
1,44 milioni di caratteri; la ragione della lieve differenza e'
dovuta all'informazione di servizio del tipo di «numero della
traccia» o «numero di settore nella traccia» che precede la parte
utile di ogni settore. Oltre all'informazione di servizio, ogni
traccia contiene un opportuno insieme di bit di separazione fra i
diversi campi, che consentono al dispositivo di lettura una loro
netta separazione. Tutta l'informazione di servizio ed i bit di
separazione fra i diversi campi sono scritti, prima dell'uso del
dischetto, in una fase di preparazione chiamata - ignobile inglesismo
- «formattazione». Vedremo poi come si «formatta» un «floppy disk»;
e' invece opportuno non imparare affatto come si formatta lo «hard
disk», perche' la formattazione distrugge tutta l'informazione
precedentemente scritta e lo «hard disk» contiene sempre
un'informazione molto preziosa, scritta dallo stesso produttore del
calcolatore. A questo punto il lettore ha compreso che «floppy-» e
«hard- disk» hanno molte cose in comune: i principi di funzionamento,
la tecnologia, il ruolo di memoria di massa. Vedremo inoltre nelle
prossime settimane che essi sono trattati con gli stessi comandi e
sono visti dall'utente come segmenti della stessa realta'.
L'evoluzione di questi anni ha accentuato le specializzazioni
funzionali: lo «hard disk» si e' sempre piu' strettamente integrato
con gli altri circuiti contenuti nel box della macchina, inamovibile
ed invisibile dall'esterno. Il «floppy disk» ha invece assunto il
ruolo di veicolo di programmi e dati da un calcolatore ad un altro,
anche di produttori diversi, immutabile nelle sue caratteristiche per
consentire l'universalita'. Cosi', mentre lo «hard disk» recepiva le
novita' della tecnologia e accresceva progressivamente la sua
capacita' sino ai miliardi di caratteri dei computer di oggi, anche
di fascia bassa, il «floppy disk», dopo la prima fase di crescita
rapidissima, rimaneva praticamente fermo a 1,44 milioni di caratteri.
Un tempo, pochi dischetti erano sufficienti per contenere tutti i
dati memorizzati in uno «hard disk»; oggi mille dischetti equivalgono
a 1,44 miliardi di caratteri e potrebbero non bastare. Per questo, in
prospettiva non molto lontana, il «floppy» morira' sostituito dal Cd.
Per il momento, tuttavia, il dischetto continua a svolgere due
funzioni molto importanti. In primo luogo ci consente di ricopiare
dati e programmi da un calcolatore all'altro, piu' o meno legalmente
(speriamo che i magistrati della Procura non mi leggano). In secondo
luogo, permette il «back up», ossia il salvataggio del contenuto
dello «hard disk» su un magazzino di riserva, anche se scomodo
perche' costituito da centinaia di dischetti. Ricordate che gli «hard
disk» di oggi sono molto robusti, ma mediamente, ogni due o tre anni,
si rompono e che 35 torinesi all'anno si buttano nel Po per non aver
fatto il «back up»... Angelo Raffaele Meo Politecnico di Torino
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZA A SCUOLA. VEGETALI MA...
Attenti agli olii tropicali
OAUTORE CARDANO CARLA
OARGOMENTI alimentazione
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS nourishment
SE vogliamo sfruttare al meglio le informazioni nutrizionali presenti
sui prodotti, dobbiamo fare un confronto serrato: prendiamo per
cominciare i cibi ricchi di amido e analizziamo le percentuali di
tale carboidrato contenute: per la pasta mediamente piu' del 70%, per
il riso quasi l'80%, per il pane scendiamo invece a valori fra 30 e
45%. Per aver subito in pugno la situazione e' utile prendere atto di
una caratteristica importante di un cibo e cioe' se e' o no gia'
pronto per essere utilizzato. La pasta e il riso, cuocendo
nell'acqua, raddoppiano o quasi triplicano il loro peso. Il pane,
viceversa, viene consumato cosi' com'e' poiche' ha gia' subito tutti
i processi di preparazione. Da cio' deriva la sua minore percentuale
di amido e degli altri principi nutritivi e anche, ovviamente, le
minori Kcal fornite per 100 g. Che cosa dire invece di crakers,
grissini, salatini? Essi mostrano un contenuto di amido prossimo al
70%, percentuale, alta, piu' vicina a quella della pasta che a quella
del pane, pur trattandosi di cibi gia' pronti. Come mai? Perche' la
loro cottura comporta una maggior perdita di acqua rispetto al pane e
una conseguente maggior percentuale di nutrienti. Ma non e' tutto. Se
osserviamo le quantita' degli altri principi nutritivi, noteremo la
presenza di lipidi in percentuale di gran lunga superiore a quella
presente nella pasta e nel pane: addirittura il 10-14% contro l'1%.
E, come si sa, i lipidi forniscono, a parita' di peso, molta piu'
energia, cosa che trova conferma puntuale nelle Kcal fornite dai
crackers che sono superiori a quelle fornite da pane e pasta. E c'e'
dell'altro. Ai lipidi citati corrisponde spesso, negli ingredienti,
un vago «oli vegetali». Di quali oli si tratti, in genere non e'
specificato se non in casi rari. Tutto sommato, quel «vegetali» suona
molto rassicurante, e il pensiero va alle olive, al mais, al
girasole... Esperti in scienza dell'alimentazione ritengono possa
invece trattarsi di oli tropicali, e cioe' dell'olio di cocco, di
palma e di palmisti, peraltro anch'essi completamente vegetali. Ma
omologare «vegetali» a «salutari» puo' riservare sgradevoli sorprese.
E infatti gli oli sopraccitati sono molto ricchi in acidi grassi
dannosi per la salute e cioe' in acido laurico, miristico, palmitico,
i tre soli acidi grassi saturi ad azione ipercolesterolemizzante.
Merendine e biscotti, simili alla pasta, al pane e ai crackers per il
loro alto contenuto in carboidrati, presentano percentuali di lipidi
fino al 20%, e anche qui spesso corrispondenti a «oli vegetali» di
origine ambigua. E se e' vero che il consumo saltuario di quantita'
limitate di oli tropicali non contribuira' in modo significativo a
farci venir l'infarto, cio' non si puo' dire nel momento in cui
l'assunzione diventi piu' abbondante e protratta nel tempo. Allora e'
meglio evitare consumi cumulativi di biscotti, merendine, grissini,
crackers e di tutti quegli snacks, desserts e prodotti che contengono
«oli vegetali» non identificati! Carla Cardano
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ANTARTIDE
Balene spinte sempre piu' a Sud
Confermato il ritiro dei ghiacci australi
OAUTORE CANUTO VITTORIO
OARGOMENTI zoologia, meteorologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE G. Latitudine media del confine della calotta glaciale antartica
OSUBJECTS zoology, meteorology
DOPO il vertice di Rio del 1992 le mutazioni climatiche preoccupano
tutti i Paesi del mondo. Purtroppo, piu' studiamo il clima, piu' ci
rendiamo conto di quanto poco lo conosciamo e di quanto si sia sinora
sottovalutata questa «bestia capricciosa», come l'ha definita
l'oceanografo Broecker. Un errore di cui siamo vittime consiste nel
credere che i mutamenti di clima avvengano in modo graduale perche'
graduale e' il processo con cui l'uomo influenza il clima. Quindi
avremo ampiamente tempo ad adattarci. Questo atteggiamento non e'
minimamente giustificato dai fatti, i quali, semmai, indicano
l'opposto. Il clima e' infatti letteralmente saltato da uno stato
all'altro in periodi non di mille, ne' di cento ma di decenni quando
le perturbazioni esterne raggiunsero certi valori critici. A
connettere fenomeni apparentemente sconnessi sono gli oceani e i
ghiacciai. Qui parleremo di questi ultimi, in particolare della
calotta antartica e del suo impatto sul clima. I ghiacciai sono
importanti per almeno due ragioni: 1) essi hanno una albedo (o
riflettivita') molto alta e quindi tendono a raffeddare; 2)
funzionano da isolanti, nel senso che riducono il trasferimento di
calore dall'oceano alla piu' fredda atmosfera. Data la loro enorme
massa e volume, si potrebbe pensare che essi siano stabili e
immutabili, ma non e' cosi'. L'area ghiacciata antartica e' di circa
17 milioni di km2 (60 volte l'Italia), contiene circa 30 milioni di
km3 di ghiaccio corrispondenti al 90 per cento del volume totale dei
ghiacciai esistenti sulla Terra. La parte occidentale (a sinistra
delle montagne trans-antartiche) rappresenta il 10 per cento di
quella orientale e i due terzi si sono inabissati ma quello che
rimane e' tale che se dovesse sciogliersi farebbe innalzare il
livello del mare di 6 metri. Se cio' avvenisse alla parte orientale,
il mare si alzerebbe di 60 metri, un evento biblico. La parte
occidentale ha subito cambiamenti notevoli: nel periodo 1974-1979, e'
collassata un'area di 250 chilometri quadrati; nel 1986, sono
sprofondati 23.525 kmq, nell'1987, 5508 e nel 1995, 2849, quanto la
superficie del Lussemburgo. Anche i cosiddetti ghiacciai «tropicali»
(da 40oS a 40oN), per esempio il ghiacciaio Huascaran nel Peru',
hanno subito cambiamenti. Durante l'ultima glaciazione erano discesi
di 1 km piu' a valle. Al termine della glaciazione (circa 10.000 anni
fa) e con il conseguente riscaldamento, i ghiacciai si ritirarono
piu' a monte. In questa cornice si inserisce uno studio del geofisico
australiano W.K. de La Mare apparso il 4 settembre sulla rivista
inglese Nature riguardante le variazioni dei ghiacciai antartici nel
periodo dal 1920 sino a oggi. Cio' che lo rende particolarmente
interessante, a parte il risultato finale, e' la fonte dei dati
usati, le baleniere. Tali attivita' di pesca nella zona antartica
cominciarono nel 1904 e avvengono di regola nelle regioni fra oceano
e ghiaccio particolarmente attraenti grazie all'alta concentrazione
di attivita' biologica e quindi all'abbondanza del krill di cui si
nutrono le balene. La stagione baleniera inizia verso ottobre
(primavera australe) e continua sino ad aprile. Il Bureau of
International Whaling Statistics in Norvegia mantiene un registro di
1,5 milioni di catture catalogate seconda la data, la specie
catturata e la posizione geografica. La Mare ha analizzato con metodi
statistici questa banca dati per estrarne informazioni sulla
possibile variazione nel tempo dell'interfaccia oceano-ghiacciaio.
Nella figura vediamo rappresentata la posizione (in latitudine) di
questa interfaccia dal 1931 al 1987. Come si puo' vedere, tale
regione si e' ridotta: dal 1931 al 1954 la posizione media era a
-61,5oS ma si e' poi spostata a Sud. Dal 1937 al 1987 la posizione
media e' a - 64,3oS di latitudine, 2,8o corrispondono a 5,65 milioni
di kmq, e poiche' l'area totale e' di 17 milioni di kmq, cio'
significa un decremento dell'estensione ghiacciata del 25 per cento.
C'e' di piu'. I dati dei satelliti dal 1973 indicarono che non ci fu
grande variazione dei ghiacciai. Si estrapolo' il risultato e si
disse che questo era vero anche prima del 1973. Invece i nuovi dati
ci indicano che il grande rimpicciolimento avvenne in poco meno di 20
anni, dal 1955 al 1973. Quando i satelliti cominciarono il loro
monitoraggio, il fenomeno era gia' avvenuto. Un ulteriore esempio che
il clima puo' cambiare in decenni, non millenni come convenientemente
continuiamo a credere, a nostro pericolo. Vittorio M. Canuto Nasa,
New York
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. MATEMATICA
L'universo di Dante visto dal geometra
Nella «Divina Commedia» il cosmo e' concepito come una ipersfera
OAUTORE ODIFREDDI PIERGIORGIO
OARGOMENTI matematica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS mathematics
IL «Paradiso» dantesco e' anche il racconto di un viaggio attraverso
un mondo tolemaico con una rigida struttura geometrica, che vede la
Terra al centro di 9 sfere concentriche crescenti: i cieli della
Luna, di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di
Saturno, delle Stelle Fisse e del Primo Mobile o Cristallino.
Quest'ultimo, che «non ha altro dove che la mente divina» (XXVII,
109-110), ad un tempo racchiude l'universo sensibile e ne e' al di
fuori. Oltre il Primo Mobile e' il cielo empireo, raffigurato come
una simmetrica serie di 9 sfere concentriche decrescenti, che sono le
sedi di Angeli, Arcangeli, Principati, Potestadi, Virtu',
Dominazioni, Troni, Cherubini e Serafini, ed il cui centro e' un
punto di luce abbagliante che rappresenta Dio (XXVIII, 16-18).
L'universo dantesco si compone dunque di due (serie di) sfere
distinte, una sensibile e l'altra celeste, i cui centri sono
rispettivamente la Terra e Dio. Dante e' pero' turbato da una
mancanza di simmetria: le sfere dell'universo sensibile sono infatti
tanto piu' perfette quanto piu' si allontanano dal centro terrestre,
mentre quelle dell'universo celeste diventano tanto piu' perfette
quanto piu' si avvicinano al centro divino. E la difficolta' non e'
certo risolta dalla misteriosa spiegazione di Beatrice, secondo cui
l'ordine inverso delle sfere spirituali e' solo apparente, e il
centro divino e' in realta' la sfera maggiore. Non meno problematico
pare il fatto che gli universi sensibile e celeste stiano dentro due
sfere (il Primo Mobile e il cielo degli Angeli) che sono fra loro
disgiunte: per poter esaurire l'intero spazio esse dovrebbero infatti
avere la superficie in comune, e quindi esserne una dentro e l'altra
fuori. Per capire che diavolo succeda nel divino universo dantesco e'
bene fare un passo indietro e tornare coi piedi per terra. Se si
potesse vedere l'emisfero meridionale dal Polo Sud, l'immagine che se
ne avrebbe sarebbe quella di una serie di cerchi concentrici (i
paralleli), che si ingrandiscono fino a raggiungere un massimo
(l'equatore). Recandosi all'equatore e guardando l'emisfero
settentrionale, si vedrebbe una situazione opposta: una serie di
cerchi concentrici che diminuiscono, fino a raggiungere un punto (il
Polo Nord). La Terra si puo' dunque effettivamente rappresentare
mediante due (serie di) cerchi, che si devono immaginare come aventi
la circonferenza dell'equatore in comune: anzi, questo si fa spesso
nelle rappresentazioni cartografiche della Terra, anche se in genere
i due cerchi si riferiscono non agli emisferi Nord e Sud ma al
vecchio e nuovo mondo. L'universo dantesco e' una rappresentazione
analoga: i cerchi concentrici diventano sfere concentriche, le
coincidenti circonferenze dei cerchi massimi diventano le coincidenti
superfici delle sfere massime, e la sfera che rappresenta la Terra
diventa una ipersfera che rappresenta l'universo. Il motivo per cui
non possiamo immaginarci l'ipersfera e' che sarebbe necessaria una
dimensione in piu': come per poter vedere il globo terrestre senza
limitarsi alle due serie di cerchi si deve usare lo spazio
tridimensionale, per poter vedere l'ipersfera senza limitarsi alle
due serie di sfere si dovrebbe usare uno spazio quadridimensionale,
che pero' e' fuori della portata dei nostri sensi. Rimane da chiarire
che cosa volesse dire Beatrice nella sua spiegazione, e come sia
possibile che Dio appaia «inchiuso da quel ch'elli 'nchiude» (XXX,
12). Anche qui bastera' considerare il globo terrestre: se esso fosse
un fiore con lo stelo nel Polo Sud, ad esempio una «candida rosa»
(XXXI, 1), al suo dispiegarsi i paralleli diventerebbero cerchi via
via piu' grandi a mano a mano che si avvicinano al Polo Nord; e il
polo stesso diventerebbe non solo un intero cerchio, ma il piu'
grande di tutti. Analogamente, se l'ipersfera dantesca potesse
dispiegarsi nello spazio a quattro dimensioni, il punto divino
diventerebbe una sfera che racchiuderebbe tutte le altre. E,
sorprendentemente, questo e' esattamente il modo in cui noi vediamo
l'universo oggi, attraverso il telescopio: lo sferico fronte di
espansione delle galassie, che si trova alla distanza percorsa dalla
luce dal momento del Big Bang, e' in realta' l'immagine dispiegata di
quel solo istante. L'universo si puo' dunque immaginare come una
ipersfera, ossia come una coppia di sfere in espansione con i centri
uno nella Terra, e l'altro nel Big Bang. Il che assegna un
significato particolarmente concreto all'universo dantesco, il cui
creatore viene in tal caso a coincidere per l'appunto con l'istante
della creazione dell'universo, come ci si poteva d'altra parte
attendere dal suo ruolo istituzionale. Piergiorgio Odifreddi
Universita' di Torino
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Vicario Grazia e Levi Raffaello: «Calcolo delle probabilita' e
statistica per ingegneri», Progetto Leonardo, Bologna; «Manualetto
Rdb», Edizioni Fag, Milano
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI matematica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS mathematics
Due testi riservati agli ingegneri e agli studenti di ingegneria. Il
primo introduce all'uso di metodi probabilistici e statistici
nell'esercizio della professione ingegneristica (per esempio nella
valutazione dei rischi). Il secondo e' un'agile guida per la
progettazione e la costruzione edilizia. Piero Bianucci
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Nicolino Nicoletta: «Il pane attossicato», Documentazione Scientifica
Editrice, Bologna
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI storia della scienza
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS history of science
John Walker invento' il fiammifero a sfregamento nel 1827. Altri lo
perfezionarono introducendovi il fosforo bianco. Ne nacque una
industria che si e' praticamente estinta nel 1994 e che costituisce
un caso em blematico nei rapporti tra la voro, salute e ambiente.
Nicoletta Nicolini, ricercatrice al l'Universita' di Roma, racconta
in modo brillante l'intera vicenda.
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Couper Heather e Henbest Nigel: «Come funziona l'universo», Sirio
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy
Costruirsi un telescopio, una meridiana, un piccolo planetario. E poi
osservare il cielo per comprendere il movimento degli astri e degli
altri fenomeni celesti. In questo supplemento della rivista «Nuovo
Orione» dedicato ai ragazzi Heather Couper e Nigel Henbest grazie
alle loro doti didattiche trasformano l'astronomia in gioco e il
gioco in scienza. In edicola e richiedibile al tel. 02-204.65.10.
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Accardi Luigi: «Urne e camaleonti», Il Saggiatore
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI matematica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS mathematics
Perfettamente funzionante sul piano sperimentale, la meccanica dei
quanti ha sempre sollevato problemi sul piano teorico e filosofico in
quanto essa non si piega a una interpretazione «realistica», come
avrebbe voluto Einstein, e d'altra parte conduce a paradossi e
conclusioni difficili da accettare nella interpretazione
«irrealistica» o «idealistica» che ne diedero Bohr e, al suo seguito,
i fedeli della Scuola di Copenaghen. Luigi Accardi, 50 anni,
matematico, professore all'Universita' di Roma Tor Vergata e
all'Universita' di Nagoya, affronta il dilemma da un nuovo punto di
vista, che si pone a monte del problema: la soluzione sta in una
lettura della meccanica quantistica alla luce del calcolo delle
probabilita'. Il libro e' scritto in forma di dialogo tra personaggi
fittizi, come Candidus e Academus, e personaggi reali, come Einstein,
Popper, Bell, Regge, Feynman e Bohm. Accardi discutera' prossimamente
la sua tesi in un seminario al Politecnico di Torino.
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. FISICA
Dafne, festa a Frascati
Studiera' le particelle sub-atomiche
OAUTORE LAURELLI PAOLO
OARGOMENTI fisica
ONOMI SALVINI GIORGIO, TOUSCHEK BRUNO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, FRASCATI (ROMA)
OSUBJECTS physics
LA storia degli acceleratori di particelle in Italia inizia negli
Anni 50 nei Laboratori nazionali di Frascati. Con Dafne, la nuova
macchina appena completata, questi laboratori tornano ad un ruolo di
rilievo in un campo che li ha gia' visti all'avanguardia, subito,
alla loro nascita, sotto la guida di Giorgio Salvini, con
l'elettrosincrotrone in funzione nel 1959, poi con AdA nel '61,
ideato da Bruno Touschek e passato alla storia come il primo anello
di accumulazione per materia e antimateria; infine con Adone, nel
'69. A meta' degli Anni 70 Adone partecipo', spingendo al massimo la
sua energia, allo studio di una nuova, inattesa particella, la J/y
che apri' la via a una nuova fisica. Purtroppo questo exploit rese
anche evidente che Adone, con la sua energia e la sua intensita', non
era piu' in grado di proseguire l'esplorazione del nuovo mondo che
aveva contribuito ad aprire. Macchine di energia e dimensioni sempre
maggiori servivano per proseguire il cammino. I costi avevano pero'
ormai superato le possibilita' di un Paese come l'Italia. La corsa
verso le frontiere della fisica delle particelle resto' quindi
appannaggio di Paesi come la Germania e gli Stati Uniti o di
organizzazioni plurinazionali come il Cern di Ginevra. Nello studio
delle particelle elementari, un ruolo analogo e complementare a
quello dell'energia puo' essere svolto dalla precisione delle misure,
ovvero dalla capacita' di mettere in evidenza fenomeni rari. In
questa direzione va una nuova generazione di acceleratori, non
necessariamente di altissima energia, ma capaci di produrre
un'altissima frequenza di urti fra le particelle dei due fasci
collidenti («fabbriche di particelle» ad alta luminosita'). Dafne,
nella tradizione frascatana di originalita' concettuale e
elevatissime prestazioni, sara' la prima di queste macchine a entrare
in funzione al mondo e, sebbene sia la piu' piccola, operando a
un'energia di circa 1 GeV (un miliardo di elettronvolt), aprira' una
nuova strada. Quale contributo Dafne dara' alla conoscenza del mondo
delle particelle elementari? Esistono alcuni comportamenti di
particelle che non hanno trovato una soddisfacente sistemazione nel
quadro delle teorie attuali. Uno di questi misteri e' legato al
concetto di simmetria delle interazioni. Fu ipotizzato, fin dagli
Anni 50, che nei processi di interazione esiste una simmetria detta
Carica e Parita' (CP), che e' «quasi» sempre rispettata in natura.
Questo vuol dire che, dato un fenomeno reale, con una certa
disposizione spaziale delle particelle prima e dopo l'interazione, la
sua immagine speculare rappresenta un fenomeno realizzabile se si
scambia ogni particella interagente con la corrispondente
antiparticella, il che equivale a cambiare ogni carica nella sua
opposta. In effetti, gia' nel 1964, e la sua scoperta frutto' il
premio Nobel ai suoi autori, un fenomeno rivelo' la violazione di CP.
Si scopri' che una particella instabile, il mesone K neutro, in una
piccolissima percentuale dei suoi decadimenti, violava questa
simmetria. Ora, questa violazione di CP sembrava fuori posto nel
quadro elegante delle leggi della natura, e la sua piccolezza la
rendeva ancora meno accettabile. Oggi, dopo piu' di trent'anni, il
decadimento del mesone K resta l'unico processo osservato che violi
il CP, e i suoi meccanismi non sono completamente chiariti anche a
causa delle difficolta' di misura di effetti cosi piccoli. Uno degli
obiettivi principali di Dafne e' rappresentato dallo studio accurato
di questo fenomeno. All'energia di Dafne, l'annichilazione di una
coppia elettrone-positrone produce una particella neutra, la F, con
vita media brevissima e i cui prodotti di decadimento sono
prevalentemente coppie di mesoni K. Dafne quindi puo' essere
considerata una copiosa fonte produttrice delle particelle che si
intende studiare. A questo punto ci si puo' chiedere quale sia
l'importanza di un fenomeno cosi' raro e difficile da riprodurre. Una
spiegazione si collega proprio alla violazione di CP. Una volta
ammessa la simmetria delle leggi della natura rispetto alla carica
elettrica, cioe' per materia e antimateria, resta difficilmente
spiegabile il fatto che l'universo sia costituito prevalentemente di
materia. Oggi appare plausibile che possa essere stata sufficiente
nei primi istanti di vita dell'universo una piccola asimmetria di CP
a sbilanciare completamente a favore della materia la miscela dei
costituenti elementari. Dafne ha richiesto soluzioni tecnologicamente
avanzatissime. La sua realizzazione ha impegnato, per cinque anni,
cento persone tra ingegneri, fisici e tecnici dei Laboratori di
Frascati. Lo sforzo e' stato reso possibile anche da una stretta
cooperazione con l'industria italiana, le cui commesse, molte delle
quali ad alta tecnologia, hanno assorbito piu' di meta' dei
finanziamenti di 120 miliardi di lire. Questo ruolo di promozione
dello sviluppo di tecnologie nuove e sofisticate, che compete
all'Infn in quanto ente di ricerca, e' estrememente importante per
guadagnare alla nostra industria alti livelli di competitivita' anche
in vista degli investimenti di molte migliaia di miliardi di lire
previsti per la realizzazione dei futuri progetti di macchine di
altissima energia come Lhc al Cern di Ginevra. L'eccellenza del
programma sperimentale, cui partecipano duecento fisici e tecnici
italiani e stranieri, unito all'altissima tecnologia richiesta nella
realizzazione dell'acceleratore sono stati una sfida alla
potenzialita' dei Laboratori di Frascati e alla loro volonta' di
essere competitivi nella grande corsa alla conoscenza. Paolo Laurelli
Direttore dei Laboratori nazionali Infn di Frascati
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. CONTRO L'INQUINAMENTO
L'auto riscopre il gas naturale
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI ecologia, trasporti, tecnologia, auto
ONOMI SCOLARI PAOLO, MEOMARTINI ALBERTO
OORGANIZZAZIONI FIAT AUTO, SNAM
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OTABELLE T. Emissioni totali di anidride carbonica nell'Unione Europea
OSUBJECTS ecology, transport, technology, car
COME combattere l'inquinamento atmosferico delle citta' prodotto
dalle auto? La marmitta catalitica da' i suoi risultati ma, piu' in
generale, si pensa a un'auto dotata di propulsori di nuova
concezione, che consuma di meno e dunque inquina di meno. Gli
incentivi dello Stato alla rottamazione, per esempio, hanno permesso
di abbassare la vita media del parco auto italiano da 14,2 a 13,5
anni, con un effetto immediato sull'atmosfera in fatto di emissioni
inquinanti. Si stima che i circa 600 mila nuovi veicoli immatricolati
possano permettere una riduzione del 4 per cento delle emissioni di
ossido di carbonio (meno 120 mila tonnellate l'anno), del 3,5 per
cento di ossidi di azoto (meno 14.400 ton/anno) e del 4 per cento di
idrocarburi aromatici (meno 22 mila ton/anno). Se gli incentivi alla
rottamazione continueranno anche nel '98, il guadagno ambientale
rispetto a questi tre valori potra' essere di un altro 3 per cento.
«Le tecnologie che possono contribuire alla diminuzione dei consumi
sono molteplici», spiega Paolo Scolari, direttore del settore
Ambiente e politiche industriali della Fiat Auto. «Si va dalla
riduzione del 10 per cento del peso globale del veicolo alla gestione
elettronica del cambio, da un migliore raffreddamento del motore alla
riduzione del 40 per cento del rotolamento. Tutte innovazioni che
potrebbero ciascuna contribuire per un 4-5 per cento alla riduzione
dei consumi. Sui motori diesel si puo' ottenere addirittura un
risparmio netto del 15% con l'iniezione diretta ad alta pressione,
come avviene gia' sulla nuova Alfa 156 JTD». Una vettura-laboratorio,
la Punto Economy Power, presentata all'ultimo Salone dell'auto di
Francoforte, con una ventina di «trucchi» tecnologici, riesce a
consumare 3,6 litri di carburante su 100 chilometri, dove la media (a
parita' di percorso) e' di 7,4 litri in Italia, oltre i 9 litri in
Germania e Gran Bretagna, 12 litri in Giappone e Stati Uniti. I 4
litri scarsi di carburante per ogni 100 chilometri forse resteranno
una chimera, ma la Fiat (anche in virtu' di un Protocollo di intesa
siglato con il ministero dell'Ambiente nell'aprile scorso, che di
fatto anticipa i futuri standard europei anti- inquinamento) si e'
posta come obiettivo concretamente raggiungibile quota 5,9 litri
entro l'anno 2005. Vale a dire una riduzione dei consumi del 20 per
cento. Novita' interessanti vengono anche dal fronte delle auto a
metano (gas naturale). In Italia circolano circa 300 mila vetture a
gas, un quarto del totale mondiale (siamo secondi solo
all'Argentina), che possono contare su una rete di 293 distributori.
«Grazie a un accordo Eni-Fiat, la Snam si e' impegnata a raddoppiare
questa rete di vendita in 2-3 anni», spiega Alberto Meomartini,
vicepresidente e amministratore delegato Snam. «Investiremo circa 100
miliardi e porteremo il gas nelle stazioni di servizio, accanto ai
normali distributori di benzina e gasolio, in modo da incentivare
l'utilizzo del metano quale carburante alternativo». Dal canto suo la
Fiat ha appositamente realizzato la Marea Bipower, la prima auto di
serie che puo' essere alimentata sia a benzina sia a gas naturale e
che arriva sul mercato proprio in questi giorni. Il sistema di
alimentazione e' stato interamente riprogettato e consente di
mantenere invariate le prestazioni del propulsore. A gas la nuova
Marea ha un'autonomia di oltre 250 chilometri e sapendo che un chilo
di metano (954 lire alla pompa) ha una resa energetica equivalente a
quella di 1,45 litri di benzina i vantaggi economici, oltreche'
ambientali, sono evidenti. Andrea Vico
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
E spuntarono le Eolie
Come si formano gli arcipelaghi vulcanici
OAUTORE TIBALDI ALESSANDRO
OARGOMENTI geografia e geofisica, vulcano, terremoti
OORGANIZZAZIONI EUROPA, ITALIA, ISOLE EOLIE
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Struttura tipica di un vulcano
OSUBJECTS geography and geophisics, volcano, earthquake
GUARDANDO una carta geografica delle Isole Eolie, a Nord della
Sicilia, si puo' osservare che sono disposte a semicerchio. Ogni
isola rappresenta la cima di un vulcano emerso dalle acque: Stromboli
e Vulcano sono attivi, Lipari ha probabilita' di risvegliarsi in
quanto l'ultima eruzione e' avvenuta in epoca storica, mentre le
altre isole possono essere considerate completamente inattive in
quanto le ultime eruzioni sono avvenute parecchie decine di migliaia
di anni fa. In anni recenti, diverse campagne di studi oceanografici
hanno ricostruito con grande ricchezza di particolari i fondali
marini circostanti le Isole Eolie, permettendo di osservare che
esistono altri vulcani completamente sommersi posti sulla
prosecuzione dell'arcipelago sia verso Est che verso Ovest. L'insieme
di tutti questi edifici vulcanici disegna in pianta un arco perfetto
con la convessita' rivolta verso Sud-Est. Archi del tutto simili sono
costituiti dalle isole Marianne, situate a Est del Mar delle
Filippine, dalle isole Sandwich del Sud, tra l'Antartide e la Georgia
del Sud, dalle isole di Banda, tra la Nuova Guinea e l'Australia,
dalle isole di Celebes, a Sud delle Filippine, e dalle isole delle
Piccole Antille, tra Puerto Rico e il Venezuela. A queste ultime in
particolare, appartiene il vulcano recentemente risvegliatosi
dell'Isola di Montserrat. Viene spontanea la domanda: come mai tutti
questi arcipelaghi presentano una geografia ad arco perfetto? La
spiegazione per gli «addetti ai lavori» e' conosciuta da un certo
tempo, mentre numerose scoperte su questi archi sono appena state
presentate nel corso di un congresso internazionale tenutosi
all'Universita' di Adelaide, in Australia. Gli arcipelaghi citati
sono tutti costituiti da vulcani cresciuti fino ad emergere dal mare,
con eventuali altri vulcani sommersi come alle Eolie; ogni isola
vulcanica e' gradualmente cresciuta grazie alla risalita verticale di
magma attraverso un sistema di fratture di alimentazione che si
protende entro la crosta terrestre per parecchie decine di
chilometri. Ogni isola vulcanica rappresenta quindi la proiezione in
superficie del punto di origine della risalita magmatica. In questi
casi il magma si forma in seguito alla discesa in profondita', lungo
piani inclinati, di alcuni settori della crosta terrestre, fenomeno
conosciuto come «subduzione delle placche tettoniche». Quando una
parte di una placca in subduzione raggiunge una profondita'
sufficiente, le condizioni di alta pressione e tempertura ne
permettono la fusione parziale. La porzione fusa, essendo piu'
leggera delle rocce circostanti, inizia a salire «galleggiando» fino
a raggiungere la superficie, dove da' luogo alle eruzioni. Se la
superficie terrestre fosse piatta, e se le placche in sub duzione
avessero sempre la forma di un piano inclinato verso l'interno della
Terra, una placca raggiungerebbe la stessa profondita' lungo punti la
cui proiezione in superficie corrisponde ad una linea retta. Essendo
in realta' la superficie terrestre sferica e alcune placche di
subduzione curve con la convessita' verso il basso, le condizioni di
uguale profondita', e cioe' di uguale pressione e temperatura
necessarie alla fusione, vengono raggiunte lungo una serie di punti
non rettilinei: questo avviene in quanto le zone laterali della
placca in subduzione si trovano piu' vicine alla superficie
terrestre. Le zone di fusione vengono quindi raggiunte in punti via
via piu' avanzati lungo i bordi laterali della placca in subduzione.
Il magma poi risalendo da alcuni punti lungo le zone di fusione dara'
luogo in superficie ad un arco. Si calcola che il fenomeno di
formazione diretta del magma da una placca in subduzione avviene a
una profondita' dell'ordine del centinaio di chilometri, dove si
raggiungono temperature attorno ai 600-700 oC. Questo magma impiega
un tempo lunghissimo per risalire lungo i vari sistemi di fratture
che incontra; per arrivare in superficie il viaggio del magma
richiede un minimo di trentamila anni, ma puo' arrivare anche fino a
centoventimila. Durante la lenta risalita, il magma viene a contatto
con tutti gli strati di rocce che attraversa, con le quali si puo'
localmente mischiare cambiando cosi' le proprie caratteristiche
fisico-chimiche e aumentando di volume. Alla fine la quantita' di
magma che arriva in superficie negli archi puo' essere molto grande,
anche molto maggiore, secondo gli studi piu' recenti, di trenta
chilometri cubi ogni chilometro quadrato di territorio per milione di
anni. Da un punto di vista geologico sono fenomeni molto veloci: il
nostro vulcano Stromboli per esempio, che e' alto due chilometri e
mezzo a partire dal fondale marino, e' sorto in appena un centinaio
di migliaia di anni, se paragonati ai circa quattro miliardi e mezzo
di anni di eta' della crosta terrestre. Alessandro Tibaldi
Universita' di Milano
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
EMERGENZE GEOLOGICHE
Vesuvio, la paura rimossa
L'Italia a rischio tra terremoti e vulcani
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI geografia e geofisica, vulcano, terremoti, libri
OPERSONE CASERTANO LORENZO
ONOMI CASERTANO LORENZO
OORGANIZZAZIONI EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE C. Terremoti e vulcani nel mondo
T. Tipi di vulcano
ONOTE «Vulcani e terremoti»
OSUBJECTS geography and geophisics, volcano, earthquake, book
IL terremoto dell'Umbria e delle Marche ci ha riproposto
drammaticamente l'emergenza sismica, un rischio che riguarda il 45
per cento del suolo italiano. Ma l'emergenza vulcanica, benche' meno
frequente e piu' limitata dal punto di vista territoriale,
potenzialmente non e' meno preoccupante. In Italia e nel mondo. Mezzo
miliardo di persone vivono sotto la minaccia di vulcani attivi o
sonnacchiosi ma pronti a ridestarsi. Questa estate la piccola isola
caraibica di Montserrat e' stata inesorabilmente ricoperta dalla
cenere del vulcano Soufriere e la popolazione ha dovuto fuggire.
Alcune delle piu' affollate megalopoli sono alla portata di vulcani
attivi e minacciosi, da Citta' del Messico a Tokyo, Manila, Giakarta,
Quito; intorno al Vesuvio, che nel 79 d.C. ha mostrato tutta la
violenza di cui e' capace distruggendo Pompei, Ercolano e Stabia, si
sono addensate in questi 1900 anni 10 milioni di persone. Quale sorta
di attrazione fatale tiene avvinghiata tanta gente a questi luoghi?
Il filosofo Giordano Bruno, che era nato a Nola, defini' il Vesuvio
«il padre della Campania», come ricorda il vulcanologo Lorenzo
Casertano in un libro appena uscito («Vulcani e terremoti», Edizioni
scientifiche italiane), «per l'influenza sia positiva che negativa
che esso ha avuto sulla vita vegetale ed animale, e quindi anche su
quella umana, che pullula e brulica alle sue falde»; qui, come
altrove, il vulcano con il materiale eruttato ha creato i terreni
fertili e pianeggianti che hanno attirato fin dalla piu' lontana
antichita' gli insediamenti umani, e fornito altre risorse preziose
come l'abbondanza di pietra da costruzione, fonti di acqua calda,
materiali utili come zolfo, boro, rame e persino oro e argento.
All'alba della civilta' mediterranea l'ossidiana di Lipari, il nero
vetro vulcanico duro e tagliente, fu una materia prima
importantissima per ricavarne utensili, «cio' che per noi e' stato
l'acciaio prima, e la plastica poi», dice ancora Casertano, esportata
in tutta Europa per secoli. Ma oggi, con l'aumento della popolazione
del pianeta e la crescita di megalopoli sovraffollate il
rischio-vulcani e' diventato enorme; per la zona vesuviana, in
previsione di una ripresa eruttiva che la maggioranza dei vulcanologi
ritiene certa e violenta seppure non collocabile nel tempo, e' stato
messo a punto un complesso piano di evacuazione, sulla cui
attuabilita' peraltro le opinioni sono molto contrastanti. Comunque
sia, il Vesuvio rappresenta un caso particolare perche' e' il vulcano
piu' studiato del mondo e quindi, per quanto e' possibile, anche il
piu' conosciuto e controllato. Al contrario, la maggioranza dei 1500
vulcani attivi sulla Terra (a parte quelli sottomarini) sono situati
in regioni remote, difficilmente raggiungibili, in Paesi con poche
risorse da dedicare al loro studio. Le Nazioni Unite, da parte loro,
hanno dichiarato gli Anni 90 decennio internazionale per la riduzione
dei rischi naturali ma ovviamente non hanno molte risorse da dedicare
alla vulcanologia. Si sono invece attivati i vulcanologi: la
International Association of Volcanology and Chemistry of the Earth's
Interior ha deciso di mettere sotto osservazione 15 vulcani
particolarmente a rischio. Sono: Merapi in Indonesia, Taal nelle
Filippine, Unzen e Sakurajima in Giappone, Ulawun in Papua Nuova
Guinea, Mauna Loa e Rainier negli Stati Uniti (il primo nelle Hawaii
il secondo nei pressi delle citta' di Seattle e di Tacoma nello Stato
di Washington), Colima in Messico, Santa Maria-Santiaguito in
Guatemala, Galeras in Colombia, Teide nelle isole Canarie, Santorini
in Grecia, Riragongo in Congo e i nostri Vesuvio ed Etna. Gli
scienziati hanno messo a punto metodi sempre piu' precisi e
affidabili per prevedere le eruzioni, i singoli vulcani sono stati
catalogati in varie categorie che dovrebbero avere comportamenti
specifici e caratteristici; di fatto, pero', ogni vulcano ha una
storia a se', la sua attivita' non e' sempre costante ma puo'
cambiare nel tempo. Alcuni eventi sono particolarmente insidiosi per
le popolazioni, difficilmente prevedibili, praticamente
incontrollabili; piu' che le colate laviche vere e proprie furono i
gas e le cosiddette colate piroclastiche, frammenti di magma, di
roccia, ceneri tipiche delle eruzioni esplosive, a mietere le vittime
di Pompei; fu una cosiddetta «nube ardente» o «valanga ardente», una
grande massa di materiale vulcanico accumulato alla sommita' della
montagna e trasformatosi improvvisamente in una frana rovente, che
l'8 maggio 1902 piombo' a 150 chilometri l'ora dalle pendici della
Montagne Pelee, nella Martinica, e in pochi minuti rase al suolo la
cittadina di Saint- Pierre uccidendo 29 mila persone (si salvo' solo
un negro, condannato a morte, protetto dalle mura della prigione). Fu
una colata di fango o «lahars» che ricopri' Ercolano mentre la vicina
Pompei veniva sepolta da cenere e lapilli. Queste colate possono
avvenire sia durante l'eruzione a causa dell'acqua e del vapore
acqueo emessi dal vulcano sia poco dopo a causa di violente
precipitazioni, d'altronde spesso favorite dal fatto che al di sopra
delle bocche eruttive vi e' una forte concentrazione di ceneri
finissime che agiscono come nuclei di condensazione e favoriscono la
formazione di piogge. Altrettanto insidiose le colate provocate dallo
scioglimento di nevi e ghiacciai durante le eruzioni di vulcani molto
alti, come quelli andini; il 14 novembre 1985 in Colombia l'eruzione
del Nevado del Ruiz causo' una colata che spazzo' via decina di
villaggi e provoco' 26 mila morti. E infine nell'eruzione esplosiva
del Krakatoa nel 1883 fu un maremoto di violenza inaudita a provocare
la maggior parte delle 36 mila vittime sulle coste dello stretto
della Sonda. L'eruzione del Nevado del Ruiz era stata prevista da
alcuni mesi ma le popolazioni non avevano creduto a un effetto cosi'
disastroso; le cose sono andate meglio sei anni fa nelle Filippine
con il Pinatubo; la sua eruzione fu annunciata in anticipo e le
popolazioni indotte ad allontanarsi. A poco a poco, quindi, la
capacita' di prevedere le eruzioni aumenta; aumenta anche
l'attenzione delle autorita' preposte alla sicurezza e la
disponibilita' delle popolazioni a seguirne le indicazioni. Cio'
dimostra che la prevenzione e' possibile anche di fronte a cataclismi
che, finora, l'umanita' aveva sempre subito come eventi fatali.
Vittorio Ravizza
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
«Encarta 98», cd-rom Microsoft
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI didattica, elettronica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS didactics, electronics
LA prima enciclopedia multimediale su cd-rom, «Encarta», e' ora
disponibile anche in lingua italiana. Microsoft mise sul mercato
questa sua opera nel 1993 e da allora si calcola ne abbia venduti
otto milioni di copie in 60 Paesi. La versione italiana non si limita
alla lingua. L'orientamento stesso dell'opera e' stato adattato al
mercato italiano, con l'aggiunta e l'ampliamento di voci specifiche.
Complessivamente le voci sono piu' di ventimila, per un totale di 6,5
milioni di parole, 150 mila collegamenti ipertestuali e 300 rimandi a
siti Internet. Inoltre e' incluso il dizionario «Zingarelli minore»,
con i suoi 59.000 lemmi. Gli elementi multimediali sono costituiti da
6400 immagini, 1900 brevi brani audio, 100 video e animazioni, 1000
carte geografiche, grafici e tabelle, 23 foto panoramiche a 360
gradi. L'aggiornamento arriva al luglio 1997. Il motore di ricerca
interpreta anche eventuali errori ortografici, aiutando a trovare la
parola desiderata anche quando la formulazione risulta sbagliata. Per
usare «Encarta» e' necessario un computer multimediale con processore
486DX o superiore, Windows 95, 8 MB di Ram e 20 MB liberi su hard
disk. A complemento, entro dicembre arriveranno sul mercato anche un
«DizioRom» e un «Atlante mondiale».
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. NON SOLO IN MONTAGNA
Camosci sulla Costa Azzurra
Piccoli branchi anche sulla riviera di Trieste
OAUTORE GROMIS DI TRANA CATERINA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
LA tradizione ha sempre descritto il camoscio come simbolo di
grandiosi scenari montani, di agilita' e destrezza nel regno
silenzioso delle cime piu' impervie, di robustezza e coraggio
nell'infuriare della tormenta tra i dirupi. Le leggende ne parlano
come di cavalcatura di streghe che celebravano i loro riti sulle
vette e narrano di camosci che presero i raggi della luna per
colorare di rosa le rocce delle Dolomiti. E, ancora, la credenza sul
camoscio albino: il cacciatore che lo uccidera' morira' entro l'anno
e l'ombra bianca dalle corna d'oro apparira' di nuovo sulle cime. E'
da ridimensionare questa figura che nell'immaginario di tutti vive a
quote piu' alte degli ultimi alpeggi e che partorisce a temperature
proibitive. Il camoscio alpino (Rupicapra rupica pra) e' invece un
animale adattabilissimo che predilige ambienti di media e bassa
montagna se non e' relegato dall'uomo a quote piu' elevate.
Importanti per il suo benessere sono i versanti ripidi e rocciosi per
sfuggire i pericoli, cosa che fa con grazia e leggerezza per i doni
che la natura gli ha elargito (o meglio: per gli adattamenti
evolutivi che la selezione naturale gli ha imposto): una possente
muscolatura, con articolazioni e tendini che accompagnano elasticita'
a resistenza, e zoccoli che sono un modello per eccellenza di
calzature da roccia: formati di un tallone morbido ed elastico
particolarmente adatto ad aderire alle pietre piu' scivolose, hanno
un bordo duro per lo spostamento sui versanti piu' ripidi, e una
membrana che distendendosi a ponte tra i due unghioni divaricati
garantisce una maggiore superficie portante sulla neve. Possiede un
cuore con pareti muscolari eccezionalmente spesse, capaci di
sopportare senza danno oltre 200 battiti al minuto durante le corse
sfrenate, e nel suo sangue si trovano tantissimi globuli rossi, per
trasportare ai tessuti la maggiore quantita' possibile di ossigeno,
che scarseggia ad alta quota. Se pero' trova un ambiente favorevole
si spinge sempre piu' in basso, colonizza zone pastorali e arriva
fino ai greti dei fiumi, come accade a una popolazione di camosci che
oggi prospera a 100 metri di quota vicino a Nizza. Altri gruppi si
sono spinti al Monte Baldo, all'Altopiano di Asiago, alla Sacra di
San Michele all'imbocco della Val Susa, addirittura sul mare nei
pressi di Trieste. I piu' grandi nemici dei camosci sull'arco alpino
dovrebbero essere le aquile, i cacciatori e l'inverno. Ma sulle Alpi
i camosci arrivano al mezzo milione, moltissimi. Le aquile in
rapporto a una cosi' grande popolazione sono poche e ben nutrite, e i
cacciatori di montagna stanno diventando troppo educati alla caccia
di selezione e alle severe leggi che la governano per rappresentare
un reale pericolo anche nei comparti alpini dove non c'e' la
protezione totale dei parchi nazionali. Resta l'inverno, il
principale fattore di mortalita', soprattutto per i piccoli che
tendono a produrre proteine utili alla crescita, trascurando di
accumulare i grassi, indispensabili scorte quando la neve dura a
lungo, la dieta diventa poverissima e ogni corsa di troppo puo'
essere fatale. Anche i maschi adulti pagano un grosso tributo alla
cattiva stagione perche', dopo essersi presentati in autunno sui
campi d'amore nel pieno del vigore, dimentichi della timidezza, tra
furibondi inseguimenti ai rivali e rapidi rientri nei branchi di
femmine da controllare, non mangiano quasi piu' e perdono peso ed
energia. E' il sacrificio che offrono per il perpetuarsi della
specie: dove il clima e' piu' rigido il rapporto tra sessi non e'
pari, perche' gli amori tardivi consumano le riserve dei maschi che
arrivano stremati all'inverno. Le femmine sono favorite in questa
selezione: dalla seconda settimana di settembre fino a dicembre,
finita la lattazione, non consumano grandi energie e non diminuiscono
di peso. Cosi', accompagnate dai piccoli di sei mesi e dai giovani
dell'anno precedente, possono trasferirsi ai quartieri di
svernamento, sui versanti esposti a Sud dove la neve scioglie prima e
dove e' facile la caduta di slavine che lasciano scoperte festuche e
nardi secchi per sopravvivere. I maschi si accontentano delle zone
lasciate libere e in parte si ritirano nel bosco, dove si nutrono di
erbe secche, ramoscelli di arbusti, aghi di conifere. D'inverno le
ore che i camosci dedicano al pascolo si prolungano perche' la
ricerca del cibo e' impegnativa e gli organi della digestione
lavorano ad un regime completamente diverso dall'estate: lo stomaco
presenta un'acidita' molto meno accentuata del solito, in modo che la
digestione e' molto piu' lenta ma anche piu' completa. Puo' essere
pericoloso l'arrivo della primavera, quando i pascoli rinverdiscono
prima che il rumine riacquisti la completa funzionalita': allora,
dopo essere sopravvissuti agli stenti, possono morire per
l'ingordigia e il troppo cibo. Le femmine dei camosci alpini arrivano
di solito al primo parto a tre anni. Le vecchie camozze sterili, note
come inutili distrazioni dei maschi nel periodo degli amori, non
subiscono tanto un calo della fertilita' con gli anni, quanto una
sempre minore capacita' di allevare i piccoli perche' arrivano al
parto troppo deboli dopo l'inverno. Durante la bella stagione e'
facile vedere alle prime luci del mattino e al tramonto i camosci al
pascolo, sui versanti montuosi esposti a Nord dove i raggi del sole
sono meno cocenti e dove possono sdraiarsi all'ombra durante il
giorno a ruminare. L'unita' sociale di base e' formata da una femmina
con il suo neonato e con la giovane figlia dell'anno precedente. I
maschi sono solitari e di solito pascolano a quote piu' basse. I
branchi, spesso numerosi, composti da femmine, piccoli e giovani,
sono raggruppamenti occasionali: non e' fissa la vedetta che con un
fischio segnala il pericolo, ne' lo e' la funzione di capobranco in
una femmina esperta che guida la fuga. I trofei dei camosci che
abitano le zone piu' elevate sono il segno di una vita di stenti e
privazioni. La bellezza o meno di questi astucci cornei a crescita
continua, portati da entrambi i sessi, non ha se non in minima parte
un'origine genetica; dipende invece dalla ricchezza di cibo
soprattutto nei primi anni di vita, quando si formano i piu' lunghi
anelli di crescita delle corna. I camosci delle Alpi Marittime hanno
trofei piu' belli di quelli che vivono a quote piu' alte nel parco
del Gran Paradiso. Quelli introdotti in Nuova Zelanda, progenie di un
piccolo ceppo di montanari austriaci in origine provati nell'aspetto
dalla vita durissima dell'alta quota, sono diventati i camosci piu'
belli del mondo. Il futuro di questa specie, dopo aver colonizzato le
montagne, sara' nelle vigne e tra gli olivi: qui pascoleranno
maestosi animali con trofei bellissimi e si sentira' il fischio di
allarme della vedetta a coprire il frinire delle cicale. Caterina
Gromis di Trana
ODATA 15/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. LISTA ROSSA WWF
Animali d'Italia da salvare
In pericolo tredici specie nostrane
OAUTORE GRANDE CARLO
OARGOMENTI zoologia, ecologia
OORGANIZZAZIONI WWF
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS zoology, ecology
ANCHE la natura di casa nostra rischia di scomparire, non solo gli
elefanti, le tigri, le balene e i grandi animali simbolo della natura
selvaggia: ce lo ricorda il Wwf, che dopo il Libro Rosso delle Piante
ha presentato la prima lista rossa dei vertebrati italiani a rischio
di estinzione. Un lungo elenco, che si affianca a quello degli
animali gia' scomparsi dall'Italia nel corso di questo secolo. Si
tratta di 13 specie: una di mammiferi (la Lince delle Alpi), 10 di
uccelli (l'Aquila di mare, il Gipeto - Gypaetus barbatus, che come
abbiamo scritto su queste pagine era estinto sulle Alpi ma e' stato
nuovamente avvistato - l'Avvoltoio monaco, l'Albanella reale, il
Falco pescatore, la Starna italiana, il Gobbo rugginoso, la Quaglia
tridattila, la Gru e la Monachella nera) e 2 (Lucertola muraiola di
Pianosa e la Lucertola campestre di Santo Stefano) sottospecie di
rettili. Non consola molto scoprire che nessuna estinzione si e'
verificata dopo gli Anni 70 (soprattutto grazie a chi si batte per la
conservazione della natura), perche' le condizioni degli habitat in
Italia sono piuttosto gravi: delle 343 specie studiate, il 68 per
cento dei vertebrati (terrestri e di acqua dolce) italiani sono a
rischio e oltre la meta' delle specie tendono a diminuire. In
concreto, il gruppo piu' in pericolo e' quello dei pesci (56% delle
specie italiane), seguito dai rettili e dagli anfibi. Se consideriamo
pero' il numero delle specie a rischio, il triste primato spetta agli
uccelli (170 su 261 nidificanti in Italia), che risultano la classe
di vertebrati con il maggior numero di specie in pericolo nel nostro
Paese. Questo accade perche' gli uccelli sono comunque piu' numerosi
rispetto agli altri gruppi. Tra i pesci sono minacciati meta' dei
ciclostomi (lamprede) e dei pesci d'acqua dolce, in pericolo grave
sono gli Storioni cobice e ladano padano-veneti e il Carpione del
Garda. Salvarli e' difficile, se non impossibile, perche' i loro
nemici sono molti: innanzitutto bisogna lottare contro l'introduzione
di specie con cui sono entrate in competizione: ad esempio il Siluro
(Silurus glanis), segnalato nel bacino del Po con sempre maggiore
frequenza a partire dalla fine degli Anni 70 un grosso predatore che
raggiunge taglie considerevolmente superiori a quelle di qualsiasi
predatore autoctono; nell'areale originario, che comprende l'Europa
centrale e orientale, l'Asia occidentale, il Caucaso e l'Anatolia,
puo' arrivare a 3-4 metri di lunghezza e 200-300 chilogrammi di peso.
Ma soprattutto pesa il degrado dei nostri fiumi. Contro
l'inquinamento industriale e agricolo le nostre acque sono ancora
troppo indifese. E' stata ad esempio «depotenziata» la legge Merli
sugli scarichi inquinanti, in quanto per gli inquinatori sono per lo
piu' previste solo sanzioni amministrative e non piu' penali. Le
sanzioni penali colpiscono solo le industrie che scaricano
direttamente nei fiumi non se lo fanno nelle pubbliche fognature. E
inoltre, in questo caso, i limiti sono incerti, perche' le industrie
possono ottenere deroghe dai Comuni. Inutile dire che da parte delle
industrie c'e' stata la «corsa alle fognature». Altri micidiali
minacce sono gli sbarramenti e le dighe, che impediscono alle specie
migratrici di riprodursi, la pesca e il bracconaggio, la captazione
di acqua (che dissecca fiumi e torrenti), la cementificazione delle
sponde e lo scavo degli alvei. Quanto agli altri gruppi, sono
minacciati il 40,8% dei rettili (di cui 4 in pericolo critico, come
la Tartaruga caretta e la Lucertola azzurra dei faraglioni), il 40,5%
degli anfibi (dei quali 4 in pericolo critico, come la Salamandra
alpina di Aurora e il Pelobate fosco), il 39% dei mammiferi (7 sono
in pericolo critico, come la Foca monaca, l'Orso bruno alpino e la
Lontra), il 32% degli uccelli (18 in pericolo critico, come il
Grifone, il Capovaccaio, l'Aquila del Bonelli). Con gli animali che
scompaiono (quasi sempre a causa dell'attivita' umana, che li
colpisce direttamente o piu' spesso ancora trasforma gli habitat
naturali), diciamo addio a un equilibrio antico e ad emozioni
irripetibili: ai maggiolini che si facevano correre sul tavolo da
bambini, ai gamberi di acqua dolce delle gite fuori porta, al volo
maestoso dei rapaci in montagna, alle nuvole di passeri in campagna
che facevano il nido nei fienili e nei covoni, cancellati dalle
imballatrici meccaniche. Vent'anni fa Pasolini scriveva che avrebbe
dato tutta la Montedison per una sola lucciola. Carlo Grande
ODATA 04/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SPECIALE ASTRONAUTICA. TRA UN ANNO IL LANCIO
Un gigante in orbita
Maxilaboratorio per il 2000
OGENERE dossier
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, salone, congresso, mondiale
ONOMI VIRIGLIO GIUSEPPE
OORGANIZZAZIONI NASA, FINMECCANICA, ALENIA SPAZIO, ISS (STAZIONE SPAZIALE
INTERNAZIONALE)
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OTABELLE D.T. Ecco la Space Station del futuro
ONOTE TEMA: CONGRESSO MONDIALE DI ASTRONAUTICA AL LINGOTTO DI TORINO
OKIND dossier
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, showroom, congress, world
OTTOBRE '98, giusto un anno al lancio. La data puo' subire qualche
spostamento, ma e' ormai sicuro che per la Stazione spaziale
internazionale (Iss) il conto alla rovescia sta davvero per
cominciare. «La maggior parte dei componenti sono costruiti, anche se
ci fossero ritardi nella consegna di elementi da parte della Russia
sono gia' pronte le soluzioni alternative e non si torna piu'
indieto» dice Giuseppe Viriglio, responsabile delle attivita'
spaziali di Finmeccanica, cui fa capo tra l'altro Alenia Spazio.
Sara' un razzo russo Proton a mettere in orbita il primo elemento,
denominato Fgb, finanziato dalla Nasa ma costruito dai russi, attorno
al quale nei successivi cinque anni sara' montato un autentico
condominio volante lungo oltre 88 metri e largo 110, pesante 420
tonnellate che orbitera' a 400 chilometri dalla Terra ospitando sei
persone. La marcia di avvicinamento alla Iss e' stata lunga e
tormentata, ha subito ridimensionamenti. Ma non sono mai mutati gli
obiettivi: creare un laboratorio permanente e presidiato dall'uomo
per ricerche di ampio respiro da condurre in orbita intorno alla
Terra. Le precedenti esperienze in questo campo condotte con
Spacelab, Skylab, con la stazione russa Mir, con gli shuttle stessi
hanno dimostrato l'utilita' del lavoro in condizioni di microgravita'
in un ampio ventaglio di attivita', dalla medicina alle scienze della
Terra, dalla robotica alla creazione di nuovi materiali. La Iss sara'
piu' grande di qualsiasi oggetto spaziale precedente, avra' piu'
laboratori, disporra' di piu' energia, consentira' il trasporto in
orbita di una massa di carichi scientifici mai finora consentito; e
con i suoi sei posti mettera' a disposizione turni di volo per decine
di ricercatori di tutto il mondo. La stazione e' un traguardo ma
anche una fase di passaggio verso una fase nuova della vicenda
spaziale con la prospettiva di far compiere alla ricerca un balzo in
avanti in molti campi: conservazione dell'energia, tecniche di
raffreddamento e riscaldamento, software dei computer,
telecomunicazioni, riciclaggio dei rifiuti, depurazione dell'acqua.
Potra' essere ampliata la ricerca su materiali e leghe che non
potrebbero esistere ed essere manipolati sulla Terra, siano essi
polimeri o superconduttori, proteine o seminconduttori per la
prossima generazione di computer. E' stato osservato che la stazione
spaziale internazionale e' la piu' estesa collaborazione scientifica
che sia mai stata organizzata tra Paesi diversi; in effetti su di
essa si sono concentrate le risorse tecnologiche e finanziarie di
tutti i principali Paesi avanzati del mondo: gli Stati Uniti
attraverso la Nasa, i nove membri dell'agenzia spaziale europea Esa e
cioe' Germania, Francia, Italia, Belgio, Danimarca, Olanda, Norvegia,
Spagna e Gran Bretagna, Giappone, Canada e infine Russia (partner
quest'ultimo che ha portato nell'impresa la formidabile esperienza
dell'ex Unione Sovietica ma anche i contraccolpi delle difficolta'
finanziarie di cui soffre il Paese). Nella costruzione di Iss
l'Italia ha la responsabilita' di tre grossi elementi oltre ad altri
contributi minori. Si tratta di Columbus Orbital Facility, o Cof; del
Mini Pressurized Logistic Module, o Mplm, e di due «Nodi» (il numero
2 e il numero 3 mentre il numero 1 e' fornito dagli Usa), ossia gli
elementi di interconnessione tra diverse parti della stazione. Tutti
«made in Alenia Spazio». Il Columbus, principale contributo europeo
alla stazione, e' un laboratorio pressurizzato (lunghezza 6,6 metri,
diametro 4,5) che sara' portato in orbita da uno shuttle e sara'
destinato principalmente alla scienza dei materiali, alla fisica dei
fluidi e alle scienze della vita; occupato da due persone, restera'
attaccato in maniera permanente alla Iss per i dieci anni della sua
prevista vita operativa. Alenia Spazio e' responsabile della
definizione, sviluppo e pre-integrazione dell'intero sistema
termomeccanico, che sara' poi consegnato alla tedesca Dasa per il
completamento e i test prima della consegna alla Nasa. L'Mplm, e' un
programma congiunto tra Nasa e Agenzia spaziale italiana e di cui
Alenia Spazio ha l'intera responsabilita'; ha le stesse dimensioni
del Columbus ed e' un sistema logistico pressurizzato che, caricato
sugli shuttle, sara' utilizzato per il trasporto di materiali e
uomini tra la Terra e la stazione, ma potra' anche restare agganciato
alla stazione come modulo abitabile. Ne saranno costruiti tre
esemplari, che dovranno compiere 25 voli ciascuno in un periodo di 10
anni. Alenia Spazio dovra' poi assistere la Nasa durante le fasi di
impiego. I «nodi»: lunghi 7 metri e con un diametro di 4,6 metri, con
le loro sei aperture per l'aggancio ai vari elementi pressurizzati
della stazione e per il «docking» con gli shuttle sono le pietre
angolari della stazione: hanno il compito di collegarne le diverse
parti e consentire il passaggio dell'equipaggio da un laboratorio
all'altro; a titolo di esempio al nodo 2 saranno agganciati tra gli
altri elementi il laboratorio Usa, il Columbus, il modulo giapponese
e l'Mplm. Alenia Spazio sara' infine partecipe del cosiddetto Atv
(Automated Transfer Vehicle), una capsula automatica lunga 8,5 metri
che sara' portata in orbita da un razzo Ariane 5 e servira' per
trasportare carburante, acqua e altri rifornimenti alla stazione; la
societa' italiana fornira' il «cargo carrier» cioe' il modulo
pressurizzato derivato dall'Mplm in cui saranno stivati i materiali.
La presenza italiana sulla Iss e' di assoluto rilievo; anzi
«sorprendente» la definisce Giuseppe Viriglio. «Se immaginiamo di
dipingere la stazione con i colori delle varie bandiere nazionali -
dice il capo delle attivita' spaziali di Finmeccanica - il bianco-
rosso-verde sarebbe addirittura predominante». Una presenza superiore
alle previsioni iniziali e ottenuta grazie all'esperienza accumulata
dalla societa' italiana nella progettazione e costruzione di moduli
abitati, il primo dei quali fu lo Spacelab. «Abbiamo cominciato a
progettare lo Spacelab nel '70 e consegneremo l'ultimo elemento della
stazione spaziale internazionale nel 2003; sono piu' di trent'anni di
lavoro in questo campo specifico, un lavoro destinato a continuare in
vista dell'impiego di elementi simili sulla Luna e su Marte». Ma
neanche il lavoro per la Iss finira' con la consegna dell'ultimo
pezzo; la stazione sara' gestita da terra per tutti i preventivati
trent'anni di vita operativa: gli ingegneri ne dovranno tenere sotto
controllo ogni particolare 24 ore su 24, dovranno testare ogni nuovo
elemento che le dovra' essere inviato. «Mantenere la stazione sara'
un'impresa enorme, che costera', compresi i lanci, 1,2-1,5 miliardi
di dollari l'anno», sottolinea Viriglio. «Abbiamo proposto che il
centro multifunzionale per il controllo della parte europea sia
collocato a Torino; se la spunteremo contro tedeschi e francesi
vorra' dire ottenere un 10-20 per cento del lavoro per i prossimi
trent'anni con l'impiego di 300- 400 tecnici altamente qualificati.
Regione, Provincia e Comune hanno assunto un ruolo guida assicurando
una delle condizioni richieste dall'Esa, e' cioe' la creazione di un
organismo a maggioranza pubblica come garanzia di continuita'. Per
questo credo che la spunteremo e che Torino potra' diventare
l'alternativa a Capo Kennedy». Vittorio Ravizza
ODATA 04/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SPECIALE ASTRONAUTICA. PERCHE' TORINO
Le radici della cultura spaziale
OGENERE dossier
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, salone, congresso, mondiale
OORGANIZZAZIONI IAF (FEDERAZIONE ASTRONOMICA INTERNAZIONALE), NASA, ALENIA
SPAZIO,
FIAT AVIO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
ONOTE TEMA: CONGRESSO MONDIALE DI ASTRONAUTICA AL LINGOTTO DI TORINO
OKIND dossier
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, showroom, congress, world
IL congresso mondiale di astronautica che si apre lunedi' a Torino
nel Centro del Lingotto offre a tutti noi una importante
opportunita': quella di scoprire quanto le attivita' spaziali
facciano ormai parte anche della nostra vita quotidiana. Parliamo al
telefono, e un satellite a 36 mila chilometri dalla Terra fa
rimbalzare la nostra voce da un continente all'altro. Guardiamo la
televisione, e altri satelliti lavorano per inviarci in diretta le
immagini della corsa di Formula 1 o della situazione meteorologica
sull'Europa. In vacanza facciamo un'escursione in montagna o una
crociera in barca a vela, e la nostra posizione viene determinata con
la precisione di 100 metri tramite i satelliti Gps (Global
Positioning System). Ancora: controlli per garantire il rispetto
degli accordi internazionali sul disarmo, tutela dell'ambiente,
ricerca di risorse minerarie, gestione del traffico navale e stradale
passano per i satelliti. E sono migliaia le tecnologie nate per lo
spazio e diventate di uso comune: dalle celle solari della nostra
calcolatrice da tasca al Ccd della telecamera che usiamo per
riprendere il compleanno della nonna fino ad apparecchiature delle
sale operatorie e dei reparti di di rianimazione. Accanto a questi
aspetti applicativi ce ne sono altri di tipo essenzialmente
culturale, per certi versi ancora piu' importanti. Grazie alle sonde
spaziali ormai conosciamo la superficie dei pianeti e degli altri
corpi del sistema solare meglio di certe regioni terrestri poco
accessibili, come i poli o l'Amazzonia: una buona parte di quella che
fino a qualche anno fa era astronomia oggi e' diventata geografia. Il
satellite Cobe ha permesso di misurare con estrema accuratezza la
«radiazione fossile» lasciata dal Big Bang, proiettando una nuova
luce sulle origini del cosmo. Dalla sua orbita il telescopio spaziale
«Hubble» sta ridisegnando l'universo. Nell'avventura scientifica resa
possibile dalla conquista dello spazio, Torino ha svolto un ruolo di
primo piano. Sono nati qui lo Spacelab, il satellite Hipparcos per
misurare la posizione di oltre centomila stelle, il satellite
Tethered per generare elettricita' in orbita, i satelliti Lageos per
ricerche di geofisica, il satellite Sax per lo studio del cielo nei
raggi X. Tra pochi giorni, il 13 ottobre, partiranno verso Saturno,
dove giungeranno nel 2004, le sonde Cassini- Huygens, e anche qui ci
sono grossi contributi italiani. Infine, la Stazione spaziale
internazionale, di cui Alenia Spazio realizza molti elementi
strutturali, potra' avere a Torino - si spera - il Centro di
controllo e di gestione. Questo congresso della Iaf, insomma, non si
svolge al Lingotto per caso. Piero Bianucci
ODATA 04/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SPECIALE ASTRONAUTICA. AL LINGOTTO
Un convegno e una mostra per lo spazio
OGENERE dossier
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, salone, congresso, mondiale
ONOMI MISHIN VASSILIJ, VALLERANI ERNESTO, SCALFARO OSCAR LUIGI, BERLINGUER
LUIGI, DE JULIO SERGIO, CULBERTSON FRANCK
OORGANIZZAZIONI IAF (FEDERAZIONE ASTRONOMICA INTERNAZIONALE), AIDAA, NASA,
ALENIA
SPAZIO, FIAT AVIO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
ONOTE TEMA: CONGRESSO MONDIALE DI ASTRONAUTICA AL LINGOTTO DI TORINO
OKIND dossier
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, showroom, congress, world
IL Congresso mondiale della Federazione Astronautica Internazionale
(Iaf), giunto alla 48a edizione, torna per la seconda volta in
Italia. Era gia' successo nel 1977 a Roma, e si ripete quest'anno a
Torino, da sempre capitale delle attivita' aerospaziali italiane. Il
congresso si svolgera' al Lingotto dal 6 al 10 ottobre. Migliaia i
congressisti attesi: direttori e alti funzionari di tutte le agenzie
spaziali (americana, europea, russa, giapponese), astronauti,
ricercatori, esponenti del mondo dell'industria spaziale. Saranno
presenti anche alcuni degli ormai anziani progettisti dei primi
satelliti artificiali sovietici, che spianarono la strada dello
spazio alle capsule abitate. Uno dei piu' noti e' Vassilij Mishin,
che nel 1965 divenne capo del programma lunare sovietico antagonista
dell'Apollo americano. Questa edizione della Iaf e' organizzata dalla
Aidaa (Associazione Italiana di Aeronautica e Astronautica), il cui
presidente, Ernesto Vallerani, e' a capo del comitato organizzatore.
Il tema e' attualissimo: «Developing Business from Space». Sara' il
presidente della Repubblica Scalfaro ad aprire i lavori al Lingotto,
lunedi' 6 ottobre, insieme con i rappresentanti di Regione Piemonte,
Provincia di Torino, Citta' di Torino e Camera di Commercio. Per il
pubblico, la mostra aprira' la mattina del 7 ottobre; la prima
giornata e' riservata agli addetti ai lavori, che potranno seguire,
nel pomeriggio, una sessione plenaria su «L'Italia e lo Spazio», con
il ministro della Ricerca scientifica Luigi Berlinguer, il presidente
dell'Agenzia spaziale italiana Sergio De Julio e i capi delle agenzie
con le quali l'Italia collabora, compresa la Nasa, presente a Torino
con il suo amministratore Daniel Goldin. Sempre nella prima giornata
verra' inaugurata la mostra «Space 97 Show», che presentera' il
meglio della produzione e dei programmi spaziali delle principali
agenzie e aziende di tutto il mondo. Tra le curiosita', un modello in
scala 1:10 della stazione spaziale internazionale che verra'
assemblata in orbita a partire dal 1998, e vari altri modelli di
razzi e capsule, compreso l'europeo «Ariane 5». Questa grande vetrina
sara' anche una importante occasione offerta alle industrie italiane
e alla nostra Agenzia spaziale per esporre progetti e realizzazioni:
ne saranno testimonianza i modelli in scala del satellite a filo
Tethered, lo Spacelab e altri satelliti e lanciatori, che hanno fatto
si' che l'Italia diventasse la terza nazione europea per impegno nel
settore, soprattutto con Alenia Aerospazio. Tra i progetti dei razzi,
FiatAvio avra' uno stand dedicato al progetto del vettore «Vega», un
razzo tutto made in Italy che in un prossimo futuro potra' lanciare
satelliti fino a 1000 chili di peso. Grande risalto avra' Marte. Ci
sara' un prototipo del robottino a sei ruote Sojourner, quello
sbarcato sul pianeta rosso il 4 luglio; alcuni tecnici del Centro
Nasa Jpl di Pasadena lo faranno muovere su un terreno simile a quello
marziano tramite radiocomandi. Saranno possibili anche collegamenti
diretti audio e video con centri spaziali della Nasa, mentre per gli
appassionati segnaliamo la mostra di modellismo, una mostra
filatelica, uno stand per videocassette e Cd-Rom di carattere
astronomico e astronautico; ci sara' anche uno stand per i libri,
organizzato dalla Hoepli, che conterra' lo spazio «Leggere di
Scienza». Sono attesi Franck Culbertson, astronauta-pilota dello
Shuttle e responsabile dei voli con la Mir, Jeff Hoffman, che ha
volato in cinque missioni, Buzz Aldrin, che scese sulla Luna con
Armstrong nella storica notte del 21 luglio 1969, gli astronauti
italiani Malerba, Guidoni e Cheli. Una sessione sara' dedicata ai
programmi Seti per la ricerca di esseri intelligenti extraterrestri.
ODATA 04/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SPECIALE ASTRONAUTICA
GLI INIZI
OGENERE dossier, dati storici, cronologia
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, storia della scienza, salone, congresso,
mondiale
ONOMI GAGARIN JURIJ, SHEPARD ALAN, GLENN JOHN, TERESKHOVA VALENTINA,
ARMSTRONG NEIL, ALDRIN BUZZ, COLLINS MIKE
OLUOGHI ITALIA
ONOTE TEMA: CONGRESSO MONDIALE DI ASTRONAUTICA AL LINGOTTO DI TORINO
OKIND dossier, historical data, chronology
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, history of science, showroom, congress,
world
4 OTTOBRE 1957 L'Urss lancia lo Sputnik 1, primo satellite
artificiale in orbita intorno alla Terra. -------» 4 NOVEMBRE 1957
L'Urss lancia lo Sputnik 2 con a bordo il primo essere vivente dello
spazio, la cagnetta Laika. -------» 31 GENNAIO 1958 Anche gli Usa
lanciano il primo satellite artificiale, l'Explorer 1, che scopre le
fasce di radiazione che circondano la Terra (Fasce di Van Allen).
-------» 4 OTTOBRE 1959 La sonda russa Lunik 3 invia le prime
immagini della Luna, fotografandone la faccia nascosta. -------» 12
APRILE 1961 L'Urss lancia in orbita la capsula Vostok 1 con a bordo
Jurij Gagarin, che diventa il primo uomo spaziale. -------» 5 MAGGIO
1961 La Nasa lancia in traiettoria suborbitale la capsula Mercury
«Freedom 7» con a bordo Alan Shepard, primo americano nello spazio.
-------» 20 FEBBRAIO 1962 John Glenn compie tre orbite sulla «Mercury
Friendship 7», e diventa il primo americano in orbita attorno alla
Terra. -------» 16 GIUGNO 1963 L'Urss lancia in orbita la Vostok 6
con a bordo Valentina Tereskhova, la prima donna inviata nello
spazio. -------» 18 MARZO 1965 Primato russo anche per le
«passeggiate spaziali»: Alexeij Leonov esce dalla Voskhod 2, e
diventa il primo pedone spaziale. L'americano Ed White fara' lo
stesso tre mesi dopo uscendo dalla Gemini 4. -------» 6 APRILE 1965
Lanciato in orbita il primo satellite per telecomunicazioni: e'
l'«Early Bird», dotato di 240 canali telefonici e uno televisivo per
conto di Intelsat. -------» 31 GENNAIO 1966 La sonda russa Lunik 9
effettua il primo atterraggio morbido sulla Luna, imitata il 30
maggio successivo dall'americana «Surveyor 1». -------» 27 GENNAIO
1967 Prima tragedia dell'astronautica americana: durante una
simulazione a Cape Kennedy scoppia un incendio nella capsula Apollo 1
che causa la morte di Grissom, White e Chaffee. Il successivo 23
aprile stessa sorte tocchera' al russo Komarov, schiantatosi al suolo
con la «Sojuz 1» al rientro dallo spazio. -------» 24 DICEMBRE 1968
La prima capsula con equipaggio (Borman, Lovell, Anders) entra in
orbita attorno alla Luna. -------» 20 LUGLIO 1969 Alle 22,17 ora
italiana il Lem «Aquila» effettua il primo atterraggio lunare. Alle
4,56 del 21 luglio Neil Armstrong diventa il primo uomo sulla Luna,
seguito alcuni minuti piu' tardi da Buzz Aldrin. In orbita lunare,
nell'Apollo 11, li attende Mike Collins. -------» 13 APRILE 1970
Esplode il modulo di servizio dell'Apollo 13 con a bordo Lovell,
Haise e Swigert. I tre rischieranno a piu' riprese di morire nello
spazio, ma rientreranno sani e salvi il 17 aprile nel Pacifico. Il
programma lunare subira' un ritardo, ma Apollo 14 tornera' sulla Luna
il 5 febbraio 1971. -------» 19 APRILE 1971 L'Urss lancia il primo
laboratorio spaziale, il «Saljut 1», verra' occupato nel giugno
successivo dall'equipaggio della Sojuz 11 (Dobrowolskhij, Volkhov e
Patsaijev), che pero' verra' recuperato senza vita a Terra per una
improvvisa depressurizzazione della capsula al rientro. -------» 2
MARZO 1972 Lancio della sonda Nasa «Pioneer 10», la prima che
effettuera' con successo un incontro ravvicinato con Giove, e la
prima a superare i confini del sistema solare.
ODATA 04/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SPECIALE ASTRONAUTICA. 4 OTTOBRE 1957
Lo Sputnik e' in orbita
Il primo satellite artificiale della storia
OGENERE dossier, dati storici
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, storia della scienza, salone, congresso,
mondiale
ONOMI VON BRAUN WERNER, GLENN JOHN, JOHNSON LYNDON, KENNEDY JOHN, KOROLEV
SERGHEIJ
OORGANIZZAZIONI SPUTNIK 1, NASA
OLUOGHI ITALIA
ONOTE TEMA: CONGRESSO MONDIALE DI ASTRONAUTICA AL LINGOTTO DI TORINO
OKIND dossier, historical data
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, history of science, showroom, congress,
world
IN Italia erano le 21 del 4 ottobre 1957, e come ogni sera, alla
stessa ora, Radio Mosca mandava in onda il suo notiziario in lingua
inglese. Ma anziche' trasmettere le solite notizie di politica
interna ed estera, il bollettino annuncio' che l'Unione Sovietica
aveva lanciato con successo il primo satellite artificiale della
storia: «Sta girando attorno al globo» - comunico' la radio moscovita
- «su traiettoria ellittica alla quota di 900 chilometri dal suolo.
Ha forma sferica, con diametro di 58 centimetri, pesa 86 chilogrammi
e porta con se' un apparecchio radiotrasmittente. Il suo nome e'
Sputnik» (parola che in russo significa «compagno di viaggio»). Il
breve comunicato fece subito il giro del mondo ancor piu' velocemente
di quanto non facesse il satellite in orbita, mentre le telescriventi
dei giornali e delle agenzie di stampa si mettevano in moto a ritmo
frenetico. Lo «Sputnik 1» era in orbita tra i 228 e i 947 chilometri
d'altezza, e gia' inviava a Terra il suo celebre segnale, quel «bip-
bip» che veniva captato sul nostro pianeta da vari centri di
radioascolto governativi e privati. Lo «Sputnik 1» era stato lanciato
da un misterioso poligono spaziale nascosto tra le steppe del
Kazakhistan, quella che poi sarebbe diventata la base spaziale di
Bajkonur. In tutto il mondo l'impresa suscito' stupore e
incredulita', soprattutto negli Stati Uniti, dove quel segnale dallo
spazio suonava come un'atroce sconfitta nella supremazia tecnologica
della guerra fredda in atto con l'ex Urss. Il vicepresidente Lyndon
John son disse: «Adesso non possiamo piu' perdere tempo. I russi
hanno un satellite che dall'alto puo' fare di tutto, puo' persino
controllarci, e in futuro possono scagliarci sulla testa bombe come
sassi da un cavalcavia. Comunque io non voglio andare a dormire alla
luce di una luna comunista...». In effetti per gli americani era una
beffa, poiche' alcuni mesi prima avevano annunciato un satellite in
grado di effettuare ricerche sull'ambiente spaziale intorno alla
Terra, in occasione dell'Anno Geofisico Internazionale, che aveva
radunato, in un imponente sforzo di indagine, i massimi esperti al
mondo dal 1o luglio 1957 al 31 dicembre 1958. Werner Von Braun, che
guidava gli ingegneri missilistici tedeschi che dopo la sconfitta
della seconda guerra mondiale finirono dalla parte americana,
lavorava gia' ad un razzo vettore in grado di lanciare un satellite
made in Usa. Von Braun, che faceva parte dell'esercito, nulla poteva
fare poiche' nella dura gara interna tra le forze armate, la spunto'
la Marina, che con il suo razzo Vanguard che recava sulla sommita' un
satellite piccolo come un pompelmo, colleziono' una serie di
fallimenti tali da convincere poi Eisenhower a puntare verso il
gruppo di Von Braun, che con il suo potente e affidabile vettore
«Jupiter C», lancio' in orbita con successo il 31 gennaio 1958
l'«Explorer 1». Da allora lo spazio comincio' ad «allargarsi»; i
lanci di satelliti aumentarono e la gara tra le due superpotenze si
faceva sempre piu' interessante, con nuovi record in fatto di peso,
dimensioni, distanze raggiunte e risultati scientifici ottenuti.
D'altra parte il periodo di guerra fredda tecnologica non dava premi
a chi arrivava secondo, e in quel periodo chi dominava nello spazio
aveva potere assoluto sulla Terra. Per viaggiare nello spazio era
infatti necessario disporre di motori a razzo che funzionavano con
miscele di propellenti ad alto potere di combustione, di materiali
capaci di resistere a temperature estreme, di apparati elettronici
piccoli e allo stesso tempo capaci di governare un razzo o una
capsula a ritmi rapidissimi e con grande affidabilita'. Nel frattempo
i russi avevano lanciato il secondo «Sputnik» con a bordo il primo
essere vivente, la cagnetta Laika, che fu inviata nello spazio per
studiarne le reazioni. Ma il piccolo bastardino, che subito divenne
una simpatica mascotte in tutto il mondo, era stato mandato in orbita
con biglietto di sola andata, poiche' ancora non era stata sviluppata
una tecnica per il rientro dei satelliti. Laika brucio' cosi' al
contatto dello «Sputnik 2» con gli strati atmosferici, creando una
nuova atmosfera di inquietudine a Terra, e scatenando le prime
polemiche animaliste. I voli con animali erano poi proseguiti con
altri cani lanciati e quasi tutti recuperati sani e salvi dai russi,
e da scimmie inviate nello spazio dagli americani per spianare la
strada ai primi uomini dello spazio, che arrivarono nel 1961 con il
volo di Gagarin, primo uomo a compiere con successo una missione
spaziale. Ancora una volta i russi erano arrivati primi, e solo un
anno dopo, con il volo orbitale di John Glenn, durato 5 ore, la Nasa
riusci' a pareggiare i conti con una Russia che aveva gia' portato
Gherman Titov a restare per 24 ore in orbita su una capsula Vostok
ben piu' pesante e tecnologicamente avanzata della «Mercury»
statunitense. A galvanizzare gli animi ci penso' il presidente John
Kennedy, subentrato dal 1960, che annunciava nel 1961 l'invio di un
americano sulla Luna entro la fine degli Anni 60. A quel punto le
risorse finanziarie per la Nasa aumentarono pur di superare i russi e
di raggiungere la Luna per primi. Ancora una volta fu Von Braun a
fare da regista di questo scenario affascinante, che lo si poteva
riassumere nello sviluppo del gigantesco razzo vettore Saturno 5,
alto 110 metri, che fu sviluppato dal 1961 con una serie di lanci di
prova. Fu questo razzo vettore, che dal 1968 al 1972, con una spinta
di 3400 tonnellate, porto' gli americani verso la Luna con le capsule
Apollo, decretando il trionfo americano e la sconfitta russa. Una
sconfitta che aveva un perche': la controparte russa di Von Braun, e
cioe' il progettista- capo Sergheij Korolev, che aveva ideato e
progettato le missioni sovietiche dagli Sputnik fino alle prime Soyuz
sviluppando vettori e capsule, era morto nel 1966, e chi ne assunse
l'eredita' non fu in grado di sviluppare un razzo (chiamato N-1),
affidabile come il Saturno 5. L'N-1 esplose in volo in 4 lanci su 4.
Con la vittoria lunare americana, avvenuta solo 12 anni dopo lo
«Sputnik 1», un'era si chiuse e se ne apri' un'altra, all'insegna
dello sviluppo di satelliti applicativi sempre piu' sofisticati, di
sonde che furono inviate nel Sistema Solare, e laboratori spaziali,
come i Saljut russi e lo Skylab americano, che consentivano agli
astronauti di restare nello spazio per lunghi periodi, effettuare
nuovi esperimenti scientifici impossibili da realizzare sulla Terra,
e per studiare gli aspetti medici di una lunga permanenza in vista di
un futuro viaggio verso Marte che gia' nel 1969 appariva come una
tappa di sequenza logica successiva all'arrivo sulla Luna. Antonio Lo
Campo
ODATA 04/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SPECIALE ASTRONAUTICA
IL PRIMO SHUTTLE
OGENERE dossier, dati storici, cronologia
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, storia della scienza, salone, congresso,
mondiale
ONOMI YOUNG JOHN, CRIPPEN BOB, MC AULIFFE CHRISTA, MALERBA FRANCO
OLUOGHI ITALIA
ONOTE TEMA: CONGRESSO MONDIALE DI ASTRONAUTICA AL LINGOTTO DI TORINO
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world
14 MAGGIO 1973 Lancio dello Skylab, laboratorio orbitale americano
che verra' visitato da tre equipaggi fino all'8 febbraio 1974.
-------» 17 LUGLIO 1975 Primo aggancio in orbita tra una capsula
russa ed una americana, con l'Apollo di Stafford, Slayton e Brand, e
la «Sojuz 19» di Leonov e Kubasov. -------» 20 LUGLIO 1976 La sonda
americana Viking 1 e' la prima ad effettuare un atterraggio su Marte.
La seguira' la Viking 2, il successivo 7 agosto. -------» 20 AGOSTO
1977 Parte da Cape Canaveral la sonda «Voyager 2», che effettuera'
con successo un grand tour nel sistema solare, inviando immagini e
dati dai sistemi dei pianeti Giove e Saturno, e (unica sonda finora
ad esserci riuscita), Urano (gennaio 1986) e Nettuno (agosto 1989).
-------» 12 APRILE 1981 Viene lanciato per la prima volta uno Space
Shuttle. E' il «Columbia», con a bordo i due piloti John Young e Bob
Crippen. -------» 7 FEBBRAIO 1984 Prima «passeggiata spaziale» senza
cordoni di collegamento tramite uno zaino a razzi, compiuta da Bruce
Mc Candless all'esterno dello Shuttle Challenger. -------» 28 GENNAIO
1986 Esplode in volo il Challenger, causando la morte dei sette
occupanti, compreso il primo «cittadino dello spazio», l'insegnante
Christa Mc Auliffe. I voli delle navette riprenderanno solo il 29
settembre 1988. -------» 20 FEBBRAIO 1986 Viene lanciato dall'ex Urss
il nucleo di quella che sara' la prima stazione orbitante della
storia, la Mir (Pace). La struttura e' stata completata con
l'aggiunta di altri cinque moduli nel 1995 ed e' tuttora (anche se
con qualche difficolta'), operativa. -------» 13 MARZO 1986 La sonda
europea Giotto sfiora e supera indenne a soli 500 km il nucleo della
cometa di Halley. E' il primo e finora unico veicolo spaziale ad
avere effettuato una tale impresa. -------» 25 APRILE 1990 Dalla
navetta Discovery viene collocato in orbita il telescopio orbitante
«Hubble», che puo' scrutare fino ai confini dell'universo. -------»
29 OTTOBRE 1991 Primo rendez-vous con immagini di un asteroide da
parte della sonda americana «Galileo», lanciata nel maggio 1989 con
uno Shuttle. Nel dicembre 1995 si tuffera' nella coltre gassosa di
Giove, e fornira' immagini e dati di immenso valore sulle lune del
«pianeta gigante». -------» 4 AGOSTO 1992 Viene collaudato dallo
shuttle Atlantis il primo dispiegamento di un «satellite a filo»: di
costruzione italiana, il «Tethered» e' controllato a bordo della
navetta dal primo astronauta italiano, Franco Malerba. -------» 14
GENNAIO 1994 La sonda americana «Magellano» completa gli studi e la
mappa piu' importanti e completi finora mai effettuati sul pianeta
Venere. -------» SETTEMBRE 1994 La sonda euro-americana «Ulysses», e'
la prima a sorvolare i poli del Sole. -------» 29 GIUGNO 1995 Primo
aggancio in orbita tra uno shuttle e la Mir: inizia la cooperazione
Usa- Russia nello spazio e i primi test in vista della realizzazione
della stazione spaziale internazionale. -------» 4 LUGLIO 1997 Una
sonda torna su Marte. E' l'americana «Pathfinder», che sgancera'
sulla superficie un robottino a sei ruote. E' la prima di una lunga
serie che fino al 2007 precedera' le missioni preparatorie dello
sbarco umano.
ODATA 04/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SPECIALE ASTRONAUTICA
PRIMATI, NUMERI E CURIOSITA' DALLO SPAZIO
OGENERE dossier, dati storici, cronologia
OAUTORE LO_C
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, storia della scienza, salone, congresso,
mondiale
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.T. 1957-1997: un esercito di robot alla
conquista del sistema solare
ONOTE TEMA: CONGRESSO MONDIALE DI ASTRONAUTICA AL LINGOTTO DI TORINO
OKIND dossier, historical data, chronology
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, history of science, showroom, congress,
world
DISTANZA. Il veicolo spaziale piu' distante dalla Terra e' il Pioneer
10, una sonda lanciata nel 1972 che adesso si trova a 6.200 milioni
di chilometri da noi. Fra due anni verra' sorpassata da Voyager 1,
sonda partita nel 1977 ma che viaggia piu' velocemente. -------»
VELOCITA'. Il record e' di due sonde tedesco-americane, le «Helios A»
e «Helios B», lanciate per lo studio del Sole: ogni volta che
raggiungono il perielio della loro orbita solare toccano i 252.600
chilometri orari, contro i 211.000 della sonda Mariner 10 che passo'
vicino a Mercurio nel settembre 1974. La «Helios B» detiene un altro
record: e' la sonda che piu' si e' avvicinata al Sole, alla distanza
di 43 milioni di chilometri. Tra le missioni con equipaggio umano, il
piu' veloce e' stato l'Apollo 10, che nel maggio 1969 con a bordo
Stafford, Young e Cernan raggiunse i 39.897 chilometri orari
viaggiando verso la Luna per la missione preparatoria al primo
allunaggio del luglio successivo. -------» POTENZA. Il razzo vettore
piu' potente finora sviluppato e' l'N-1, che i sovietici lanciarono
per tre volte senza successo tra il 1969 e il 1972. N-1, che doveva
essere la controparte russa del Saturno V americano per voli umani
verso la Luna, produceva una spinta di 4620 tonnellate, contro le
3400 del Saturno V. Come propulsori presi singolarmente, il piu'
potente finora e' l'RD-170 realizzato per il razzo russo Energhija,
lanciato due volte con successo nel 1987 e 1988. RD-170 produce una
spinta di 860 tonnellate nello spazio e 740 sulla Terra; e' il primo
motore a razzo sviluppato in Russia che funziona con idrogeno e
ossigeno liquidi, attualmente e' gestito da un consorzio
russo-americano, si pensa di riutilizzarlo per futuri razzi. -------»
DURATA. Se Alan Shepard nel 1961 effettuo' il piu' breve dei voli
spaziali (15 minuti e 22 secondi su traiettoria sub-orbitale), il
volo piu' lungo e' quello del cosmonauta che detiene il record di
permanenza nello spazio: Valerij Poliakhov, partito con la Sojuz
Tm-18, ritorno' a Terra con la Sojuz Tm-20 dopo 437 giorni trascorsi
sulla stazione orbitante Mir. Il precedente record, sempre di
cosmonauti russi, era stato di 366 giorni da parte di Titov e
Manarov. -------» VETERANI. Il maggior numero di missioni spaziali
appartiene a due americani. Sono ben sei le missioni effettuate da
John Young (Gemini 3 e 10, Apollo 10 e 16, Shuttle STS-1 e STS-9) e
da Story Musgrave (Shuttle STS-6, STS-19, STS-33, STS-44, STS-61,
STS-80). -------» ANZIANITA'. Musgrave detiene anche il record
dell'astronauta piu' anziano, avendo volato durante la sua ultima
missione all'eta' di 61 anni, nel novembre-dicembre 1996. Musgrave ha
dato le dimissioni pochi mesi fa dalla Nasa, mentre Young, pur non
essendo in servizio attivo, a 67 anni figura tuttora come astronauta
presso il centro di Houston. -------» CURIOSITA'. Tra gli astronauti
delle missioni Apollo sulla Luna vi sono alcuni primati curiosi. Il
primo uomo a fare pipi' sulla Luna fu Buzz Aldrin il 21 luglio 1969
(Apollo 11); il primo a inciampare e fare un mezzo capitombolo
Charles Conrad (Apollo 12); il primo a praticare degli sport, golf e
lancio del giavellotto Alan Shepard (Apollo 14); John Young (Apollo
16) batte' il record di velocita' (si fa per dire) e distanza in
automobile sulla Luna: 18 chilometri orari su 34 chilometri. I
naufraghi dello spazio con Apollo 13 (Lovell, Swigert e Haise) si
consolarono battendo il record di distanza dalla Terra giungendo a
400.171 chilometri mentre circumnavigavano la faccia nascosta della
Luna. -------» SULLA LUNA. Eugene Cernan e Harrison Schmitt,
dell'ultima missione lunare (Apollo 17), hanno il record della piu'
lunga permanenza sulla Luna: 22 ore e 5 minuti in tre escursioni, e
74 ore e 59 minuti di permanenza del Lem sulla superficie selenica.
-------» PASSEGGIATA. La piu' lunga passeggiata spaziale appartiene a
tre astronauti usciti all'esterno della navetta Endeavour nel maggio
1992 per riparare il satellite in avaria Intelsat VI: 8 ore e 29
minuti da parte di Pierre Thuot, Rick Hieb e Tom Akers. -------»
EQUIPAGGI. Due sono gli equipaggi piu' numerosi, entrambi su navette
americane: otto astronauti (cinque americani, due tedeschi e un
olandese) partirono e tornarono a Terra sul Challenger nel 1985. Nel
1995 con la navetta Atlantis, partita con sette astronauti, ne
tornarono a Terra otto, poiche' un cosmonauta russo fu prelevato
dalla stazione Mir per essere riportato a Terra dopo il primo
attracco in orbita tra una navetta e la stazione russa. -------»
PESO. L'oggetto piu' pesante lanciato in orbita terrestre e' il
complesso «Saturno 4-B - Apollo 15», con a bordo Scott, Worden e
Irwin: pesava 130 tonnellate, qualcosa in piu' rispetto agli altri
complessi di missioni Apollo. (lo. c.)
ODATA 04/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SPECIALE ASTRONAUTICA. BUSINESS E ATTIVITA' SPAZIALI
Affari a gravita' zero
Un enorme sviluppo per le telecomunicazioni
OGENERE dossier
OAUTORE VALLERANI ERNESTO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, telecomunicazioni, tecnologia, salone,
congresso, mondiale
OORGANIZZAZIONI NASA, SPACELAB, ISS (STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE)
OLUOGHI ITALIA
ONOTE TEMA: CONGRESSO MONDIALE DI ASTRONAUTICA AL LINGOTTO DI TORINO
OKIND dossier
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, technology, showroom, congress,
world
CONSIDERARE le attivita' spaziali come una opportunita' di «business»
e' diventato negli ultimi tempi un fatto ricorrente, oggetto di molti
dibattiti, interviste e congressi, non ultimo quello della Iaf che si
terra' a Torino dal 6 al 10 ottobre. Fino a pochi anni fa si parlava
di spazio avendo in mente le missioni scientifiche e le imprese di
astronauti e cosmonauti, poco si sapeva delle missioni militari e le
prime missioni applicative - telecomunicazioni, osservazione della
Terra, meteorologia - incuriosivano ma non lasciavano ancora
intravedere sviluppi di natura commerciale. Oggi, pur continuando
l'impegno dei governi a supporto delle attivita' di frontiera, come
lo sviluppo di nuovi piu' potenti lanciatori (si veda Ariane 5), la
realizzazione di strutture orbitali quali la Stazione Spaziale
Internazionale e la messa in orbita di impegnativi satelliti
scientifici come il telescopio «Hubble», il baricentro delle
attivita' spaziali si sta progressivamente spostando verso attivita'
di natura piu' pratica e commerciale. Ad aprire la strada sono stati
i satelliti di telecomunicazione che a centinaia affollano l'orbita
geostazionaria e ora in grandi quantita' formeranno le costellazioni
satellitari in orbite basse, come nel caso di Iridium e di Globastar
e fra breve di Teledesics con le sue centinaia di satelliti. Esiste
un mercato, servizi sempre piu' sofisticati a costi sempre piu'
accessibili vengono offerti e i satelliti sono divenuti un elemento
inserito nel complesso molto piu' ampio delle telecomunicazioni e
della diffusione delle informazioni che domina la nostra civilta'.
Una sorprendente varieta' di nuove applicazioni connesse ai servizi
multimediali si sta concretizzando in questi ultimi tempi e ogni
giorno forniscono, specialmente negli Stati Uniti, una serie di
iniziative miranti a coprire delle particolari esigenze di mercato.
All'inizio erano solo le grandi ditte, con migliaia di tecnici
specializzati, che si avventuravano nello sviluppo di nuove
iniziative, oggi sono presenti sul mercato anche i piccoli
imprenditori che gareggiano con i grandi operatori del settore in
termini di nuove idee che spesso anticipano di diversi anni le
realizzazioni. La progressiva espansione dell'uso dei satelliti per
applicazioni «utili» quali, oltre alle telecomunicazioni, la
meteorologia, la ricerca delle risorse terrestri e marine, la
navigazione, il controllo del traffico aereo, a sua volta induce una
sempre maggiore domanda di mezzi di trasporto spaziali in grado di
fornire servizi affidabili a costi ridotti. La produzione dei
lanciatori, principalmente di piccole e medie dimensioni, si profila
come un'area di proficua attivita' commerciale, specialmente se si
considera il servizio «chiavi in mano» ossia la fornitura del mezzo
di trasporto, delle operazioni di lancio e la funzionalita' stessa
del satellite in orbita. E' sorprendente osservare come negli Stati
Uniti siano nate diverse imprese, il piu' delle volte con a capo
prestigiosi personaggi che per anni hanno lavorato alla Nasa o nelle
ditte piu' importanti, che unitisi ad ancora piu' intraprendenti
investitori, disponibili a rischiare ingenti somme, si sono messi con
l'aiuto di qualche personal computer a progettare lanciatori di basso
costo. Tanti gli entusiasmi, poche per ora le realizzazioni concrete,
ancora meno i successi reali; pero' il segno e' chiaro: si sta
procedendo ormai lungo una strada diversa dal passato. Non si
attendono piu' i fondi governativi per affrontare imprese che
commercialmente si progettano remunerative; ben presto arriveranno i
successi anche in questo settore e la commercializzazione dello
spazio assumera' dimensioni sempre maggiori. A testimonianza di
questo nuovo spirito che ha investito recentemente gli Usa e che
ricorda le fasi precedenti lo sviluppo su larga scala dell'aviazione,
basti ricordare l'iniziativa del primo X-Price istituito sulla scia
di quanto fatto per la prima trasvolata atlantica destinato a
premiare con dieci milioni di dollari il primo lanciatore di
costruzione privata che riuscira' a effettuare due voli orbitali
entro due settimane. A fianco di questo aspetto relativo alla
produzione dei satelliti e di mezzi di lancio, concepiti come
opportunita' di reale ritorno a breve di investimenti spesso anche
ingenti, le attivita' spaziali vanno viste nel prossimo futuro come
una fonte di business anche per un altro aspetto. Fino ad oggi lo
spazio, sfruttando essenzialmente la posizione dei satelliti in
orbita, ha generato, per quanto riguarda gli aspetti commerciali,
solamente «servizi» basati sulla diffusione di informazioni, e dati,
per i quali si e' sviluppato in diversi settori, un mercato di utenti
in netta crescita. All'orizzonte si profila pero' un'altra
rivoluzione, i cui effetti potrebbero risultare ancora piu'
importanti per le generazioni del nuovo secolo. Attraverso le
ricerche, in parte gia' effettuate a bordo dei laboratori spaziali,
fra i quali quello europeo Spacelab, in parte pianificate per essere
eseguite non appena la Stazione Spaziale Internazionale sara'
orbitante, lo spazio e' destinato in futuro a fornire «prodotti
commerciali» particolari, realizzati sfruttando le condizioni uniche
che si creano in orbita, in virtu' dell'assenza di gravita'. Nei
laboratori in «zero g.», sotto l'occhio attento di astronauti
ricercatori, sono destinati a prendere corpo nuovi materiali, nuove
leghe, nuovi farmaci, nuovi enzimi, nuove proteine, nuovi cristalli,
nuove sostanze e prodotti dalle caratteristiche eccezionali, perche'
generati in un ambiente non influenzato dalla forza di gravita' che
condiziona sulla terra tutti i processi della loro formazione, e che
introduce al loro nascere asimmetrie che ne limitano le
caratteristiche e le proprieta' fisiche. Per attuare questa
trasformazione e' necessario che i governi pero' continuino gli
investimenti nello sviluppo delle infrastrutture orbitali come stanno
facendo per la realizzazione della Stazione Spaziale Internazionale;
le ingenti somme necessarie allo sviluppo, per esempio, di nuovi
sistemi di trasporto completamente recuperabili che unici
permetteranno, quando realizzati, di abbattere i costi di lancio non
possono essere reperite sul mercato finanziario privato. I governi,
anche quelli delle nazioni che fino ad ora sono state piu' impegnate
nel sostenere, con i loro investimenti, le attivita' spaziali di
frontiera sembrano pero', in questi ultimi tempi, voler ridurre la
loro esposizione finanziaria, invitando il settore privato a prendere
maggiori iniziative e favorendo, per ridurre le spese,
l'imprenditorialita' dei singoli cittadini. Siamo in presenza di un
cambiamento sostanziale che va pero' attuato con estrema cautela e
oculatezza, altrimenti si corre il rischio che ne risultino favorite
solo le imprese che richiedono investimenti modesti e che
garantiscono ritorni in tempo breve e ne escano penalizzate tutte
quelle imprese che richiedono invece strategie di piu' ampia portata
e di piu' lunga durata. Da un equilibrio fra imprese governative nel
settore delle attivita' spaziali e in quello dello sviluppo di nuove
infrastrutture spaziali ed iniziative presenti condotte su base
strettamente commerciale, si va costruendo la fase matura delle
attivita' spaziali che importeranno lo sviluppo del nuovo secolo in
diversi settori, alcuni ora non prevedibili. Ernesto Vallerani
Presidente Aidaa
ODATA 04/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SPECIALE ASTRONAUTICA. FORSE IL 15 OTTOBRE
«Ariane 5» alla prova di appello
Il nuovo grande vettore europeo torna sulla rampa di lancio dopo il
disastro dell'anno scorso Intanto si e' festeggiato il centesimo
decollo di «Ariane 4». Il 15 per cento e' «made in Italy»
OGENERE dossier
OAUTORE RIOLFO GIANCARLO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, progetto, salone, congresso, mondiale
OORGANIZZAZIONI ARIANE 5, FIAT AVIO, BPD, SEP
OLUOGHI ITALIA
ONOTE TEMA: CONGRESSO MONDIALE DI ASTRONAUTICA AL LINGOTTO DI TORINO
OKIND dossier
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, plan, showroom, congress, world
RIPARTE Ariane 5. A sedici mesi dall'incidente che distrusse in volo
il primo esemplare, il grande vettore europeo e' di nuovo sulla rampa
di lancio. Chiarite le cause del fallimento - un errore nel software
del sistema di guida - i tecnici dell'Esa hanno sottoposto i
programmi dei computer di bordo a un'attenta revisione. Se non ci
saranno intoppi, il lancio e' previsto per il 15 ottobre. Capace di
scagliare in orbita geostazionaria due o piu' satelliti per volta,
per un carico complessivo di sei tonnellate (oppure uno solo, pesante
6,8 tonnellate), il nuovo vettore permettera' all'Europa di
consolidare la leadership raggiunta nei lanci commerciali. Il 60 per
cento di questo business e' in mano ad Arianespace, che lo scorso
anno ha fatturato un miliardo e mezzo di dollari e ha 43 satelliti
nel portafoglio ordini. Pochi giorni fa alla base di Kourou, nella
Guyana Francese, e' stato festeggiato il centesimo lancio Ariane. Il
primo era avvenuto la vigilia di Natale del 1979. Pochi, in questi 18
anni, i fallimenti: i razzi europei vantano un tasso di successo
elevato (oltre il 96 per cento dei satelliti collocati nell'orbita
prevista), superiore a quello dei concorrenti americani e russi. Con
il boom delle telecomunicazioni, la domanda di lanci in orbita
geostazionaria - la missione tipica di Ariane - e' in crescita. E
aumentano anche le dimensioni dei satelliti. Per anni si e' seguita
questa evoluzione migliorando le prestazioni del vettore con
successive versioni. Ariane 5, invece, e' un progetto completamente
nuovo. Il carico utile e' quasi doppio rispetto all'Ariane 4 (che ha
appena festeggiato il centesimo lancio) e crescera' in futuro. Oggi
un satellite per telecomunicazioni pesa 3 tonnellate, ma ne vengono
progettati di piu' grandi: 4,5 tonnellate e oltre. Sono allo studio,
percio', versioni potenziate del nuovo lanciatore, capaci di portare
in orbita di trasferimento geostazionaria due di questi
supersatelliti in un colpo solo. Oltre all'aumento della capacita' di
trasporto, Ariane 5 punta sulla riduzione dei costi. Rispetto ad
Ariane 4 si prevede un risparmio del 45 per cento per ogni
chilogrammo messo in orbita. Un risultato dovuto al maggiore carico
utile e a una concezione molto piu' semplice, resa possibile dal
progresso nel campo della propulsione. Proviamo a mettere accanto
Ariane 4 e Ariane 5. Il primo ha tre stadi, piu' quattro booster a
propellente solido o liquido, per un totale di dieci motori. Il suo
successore ha uno stadio principale con un solo motore a idrogeno e
ossigeno liquidi - il Vulcain, da 120 tonnellate di spinta -
affiancato da due enormi booster a propellente solido, realizzati
dalla FiatAvio-Bpd in collaborazione con la francese Sep. Accesi al
momento della partenza, forniscono 540 tonnellate di spinta ciascuno
per i primi due minuti di volo. C'e' poi lo stadio superiore, munito
di un piccolo motore a propellente liquido, con il compito di
imprimere l'accelerazione finale per immettere il carico in orbita.
Quattro motori in tutto. Abbiamo detto del ruolo della FiatAvio per
quanto riguarda i booster, ma l'azienda italiana ha anche progettato
e costruito un altro componente chiave di Ariane 5: la turbopompa che
alimenta il motore Vulcain, immettendo nella camera di combustione
132 tonnellate di ossigeno liquefatto a -183 gradi, al ritmo di 216
chilogrammi al secondo. In tutto l'industria nazionale e' presente su
Ariane 5 con una quota del 15 per cento (un importante contributo
viene anche dalla Microtecnica), che corrisponde alla cifra investita
nel progetto dal nostro Paese, circa 1700 miliardi su un totale di
oltre 11 mila. Soldi spesi bene? L'esperienza dice di si'. Il denaro
impegnato per lo sviluppo dei precedenti lanciatori europei non solo
ha prodotto ricerca, innovazione tecnologica e occupazione, ma ha
reso almeno cinque volte tanto. E tutti i contributi pubblici sono
stati recuperati con le tasse sugli utili realizzati. Giancarlo
Riolfo
ODATA 04/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SPECIALE ASTRONAUTICA
PER IL PUBBLICO
OGENERE dossier
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, salone, congresso, mondiale
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
ONOTE TEMA: CONGRESSO MONDIALE DI ASTRONAUTICA AL LINGOTTO DI TORINO
OKIND dossier
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, showroom, congress, world
IL Congresso della Federazione Astronautica Internazionale offre
anche interessanti manifestazioni aperte al grande pubblico. Le
giornate spaziali torinesi iniziano oggi, 4 ottobre, in coincidenza
con il quarantesimo anniversario del lancio dello Sputnik 1, il primo
satellite artificiale. Lo «Sputnik day» prevede una conferenza al
Centro Congressi «Torino Incontra» (piazzale Valdo Fusi), che sara'
allo stesso tempo un salto all'indietro nel tempo (potremo rivedere
le immagini dei primi satelliti artificiali e delle prime capsule con
astronauti, e ascoltare le registrazioni fatte a Torino dai fratelli
Judica Cordiglia dal Centro di Radioascolto Spaziale) e sara' anche
l'occasione per fare il punto sulla ricerca spaziale di oggi e di
domani, in particolare sulla Stazione spaziale internazionale. Ne
parleranno gli astronauti italiani Franco Malerba, Maurizio Cheli e
Umberto Guidoni, presenti anche i padri-progettisti dello Sputnik, in
una serata aperta al pubblico, moderata da Piero Bianucci e Silvia
Rosa- Brusin. Gli appassionati dei film di fantascienza o di
astronautica potranno rivedere sul grande schermo pellicole famose
come «Abbandonati nello spazio», «Uomini Veri», «Apollo 13» o il
vecchio «Uomini sulla Luna» in una rassegna al cinema Massimo, che
coincidera' con i giorni del congresso al Lingotto. In programma
cicli di conferenze divulgative, dedicate non solo all'astronautica,
ma anche alle discipline vicine a questo settore, come l'astronomia,
la fisica e la geofisica. Si parlera' di multimedialita', di
cooperazione internazionale per lo spazio, di stazioni spaziali, di
telemedicina, di costellazioni di satelliti per telecomunicazioni
radiomobili e di ricadute della ricerca spaziale per creare nuove
tecnologie al servizio dei portatori di handicap.
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
«VENTURESTAR»: IL FUTURO NELLO SPAZIO
L'astronave del dopo-Shuttle
E' 15 volte piu' veloce del suono, primo test nel '99
OAUTORE RIOLFO GIANCARLO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, tecnologia
OORGANIZZAZIONI NASA, LOCKHEED MARTIN
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
OTABELLE D. Caratteristiche tecniche della nuova navetta spaziale VentureStar
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, technology
E' uno dei grandi temi di cui si parla al 48o International
Astronautical Congress in corso a Torino fino a venerdi': la Nasa ha
scelto il successore dello Space Shuttle, ha dato il via libera al
progetto VentureStar della Lockheed Martin e lo sviluppo della nuova
navetta va avanti speditamente. Il primo traguardo e' fissato per il
marzo del 1999, quando inizieranno i voli dell'X33, il modello in
scala 1:2 della futura astronave. Tocchera' una velocita' 15 volte
superiore a quella del suono e sara' il banco di prova per materiali
e tecnologie d'avanguardia, dal sistema automatico di guida ai
propulsori di nuovo tipo. Sviluppo e costruzione del velivolo
sperimentale - valore della commessa, un miliardo di dollari - sono
affidati alla divisione Skunk Works della Lock heed, il centro di
ricerca dov'e' nato il caccia invisibile ai radar F117A. Il primo
lancio di VentureStar e' previsto entro il 2005. Il nuovo veicolo
spaziale, alto 38 metri e con una forma che ricorda un ferro da stiro
appiattito, decollera' in posizione verticale da una rampa di lancio
e raggiungera' l'orbita per poi rientrare nell'atmosfera e planare
sulla pista di un aeroporto. Come lo Shuttle, ma con alcune
differenze fondamentali. Vediamole. L'attuale navetta, progettata
all'inizio degli Anni 70 ed entrata in servizio un decennio piu'
tardi, ha bisogno di un equipaggio. La guida del VentureStar, invece,
verra' affidata interamente ai computer, che utilizzeranno le
informazioni dei sistemi di navigazione inerziale e satellitare. Gli
astronauti saranno semplici passeggeri: tecnici e scienziati diretti
alla stazione spaziale, ospitati in un modulo pressurizzato
all'interno della stiva. Nelle missioni per la messa in orbita dei
satelliti non sono previsti uomini a bordo. Il VentureStar tornera'
sulla Terra pronto per un nuovo volo. Dello Shuttle, invece, solo
l'Orbiter (l'astronave vera e propria) puo' essere impiegato piu'
volte, mentre i motori a propellente solido e il serbatoio
dell'idrogeno e dell'ossigeno liquidi sono «a perdere». Per inciso, i
booster dello Shuttle sono concepiti per essere recuperati (scendono
nell'oceano appesi a paracadute) e riutilizzati, ma revisionarli
costa troppo e la Nasa preferisce impiegarne ogni volta di nuovi. Un
razzo monostadio, capace di andare in orbita alleggerito del solo
propellente, richiede un rapporto peso/spinta molto piu' favorevole
rispetto agli attuali sistemi di lancio. Uno sguardo ai numeri. A
parita' di carico utile - 25 tonnellate in orbita bassa - VentureStar
avra' una massa al decollo di mille tonnellate, contro le 2041 dello
Shuttle. Il peso a vuoto sara' inferiore alle 90 tonnellate: un terzo
della navetta attuale. Il segreto di questa «cura dimagrante» e'
l'impiego diffuso di nuovi materiali compositi, molto piu' leggeri di
quelli tradizionali. A contenere il peso, contribuisce anche la
configurazione senza ali: a generare il sostentamento aerodinamico
nelle fasi di volo atmosferico sara' la particolare forma della
fusoliera. Oltre alla leggerezza, questa particolare soluzione
presenta altri due vantaggi. Il primo e' il grande volume interno,
che permette di ospitare, oltre al carico utile, i serbatoi del
propellente. Il secondo e' la riduzione del riscaldamento provocato
dall'attrito con l'aria durante il rientro nell'atmosfera. La
protezione termica puo' quindi essere affidata a materiali compositi
a matrice metallica e ceramica, senza dover ricorrere alle tegole di
silicio adottate dallo Shuttle e fonte di innumerevoli grattacapi.
Per ottenere il necessario rapporto tra spinta e peso, Lock heed
punta anche sui propulsori a idrogeno e ossigeno liquidi di nuovo
tipo, chiamati linear ae rospike. Ideati dalla Rocketdy ne, questi
motori scaricano i gas attraverso un ugello completamente diverso da
quelli impiegati sinora. In tutti i propulsori a razzo, la camera di
combustione comunica all'esterno attraverso un vaso di espansione a
forma di campana. Nel nuovo motore ci sono tante camere di
combustione di piccole dimensioni, che dirigono il loro getto contro
le due facce di un elemento conformato in modo da accelerare i gas di
scarico. Mentre il rendimento dei motori a razzo tradizionali e'
ottimizzato a una certa potenza e a una data quota, gli aerospike
possono adattare il proprio funzionamento in modo da ottenere la
massima resa in ogni condizione. Sull'X33 saranno installati due
prototipi di questi propulsori, costruiti utilizzando le pompe del
motore J-2, impiegato dal secondo e dal terzo stadio del vettore
lunare Saturno V. I risultati dei test serviranno ai progettisti per
sviluppare i propulsori definitivi, gli RS2200. Il VentureStar ne
avra' sette, per una spinta complessiva di 1365 tonnellate. Tutte
queste soluzioni tecniche hanno lo scopo di ridurre i costi di
manutenzione e di lancio. L'obiettivo e' ambizioso: in meno di una
settimana dal ritorno a terra, la navetta dovra' essere pronta per
una nuova missione. Per lo Space Shuttle occorrono piu' di tre mesi e
il lavoro incessante di migliaia di tecnici che devono smontare,
controllare, riassemblare, certificare ogni sistema. Il VentureStar
dovrebbe abbattere queste spese almeno del 90 per cento. Vale a dire
che il «prezzo del biglietto» scendera' da 20 mila dollari per
chilogrammo trasportato in orbita ad appena duemila. Se questo
obiettivo verra' raggiunto, per l'astronautica si aprira' davvero una
nuova era. Giancarlo Riolfo
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
AMBIENTE
Indonesia lezione da imparare
OAUTORE BOLOGNA GIANFRANCO
OARGOMENTI ecologia, incendi, danneggiamenti, ambiente, economia
OLUOGHI ESTERO, ASIA, INDONESIA
OSUBJECTS ecology, fire, damage, environmental, economics
LE immagini e le notizie che giungono da qualche settimana dal
Sud-Est asiatico mostrano chiaramente quello che potrebbe essere uno
scenario futuro di tante crisi locali con i loro riflessi globali.
William Catton, studioso di problemi economici ed ecologici, scrisse
nel 1980 un libro dal titolo «Overshoot: the ecological basis of
revolutionary change». L'o vershoot (che possiamo tradurre come
«superamento») e' la crescita che eccede i limiti posti dall'ambiente
e conduce quindi al un disastro. Nel Sud-Est asiatico siamo di fronte
a un vero e proprio overshoot. Questo «sorpasso» deriva da tante
cause tra loro drammaticamente sinergiche: ambientali, sociali,
economiche e politiche. Nel dramma indonesiano appaiono tutti i temi
del moderno ambientalismo: deforestazione, siccita', scarsita' delle
risorse idriche, mutamenti climatici, effetto serra, governo
sovrannazionale delle questioni ambientali. Tra i Paesi in via di
sviluppo con una rapida crescita economica negli ultimi anni ve ne
sono molti del Sud-Est asiatico. La crescita del 6,3% registrata dai
Paesi in via di sviluppo nel 1996 ha segnato il quinto anno
consecutivo di tassi superiori al 6%. La crescita economica in
Indonesia e' stata, nel 1996, del 7,8%, l'Asia, escluso il Giappone,
e' cresciuta a un tasso dell'8% nel 1996 mantenendosi per il quinto
anno su valori uguali o superiori a questo. La rapida crescita
economica porta, se non correttamente indirizzata dai governi, a una
devastazione ambientale. Questa, a sua volta, mina le basi di uno
sviluppo sociale ed economico duraturo e sostenibile, che andrebbe a
beneficio della reale ricchezza del Paese e delle future generazioni.
Oggi l'Indonesia trae una quota significativa del suo export dal
petrolio e dal legname e nella classifica dei Paesi con il piu' alto
debito estero e' al 5o posto, dietro Brasile, Messico, Cina e India.
Quindi e' un Paese dove si ha una notevole deforestazione, anche per
scopi agricoli (certo destinati soprattutto all'esportazione, come
nel caso dell'olio di palma) e molto occupato a far crescere la sua
economia per fronteggiare i debiti. In questo contesto appare nella
sua gravita' una delle grandi questioni che attanagliano i Paesi
poveri che rincorrono la crescita economica: quello della proprieta'
della terra. Anche in Indonesia (come nella gran parte dei Paesi in
via di sviluppo) sono pochi i ricchi proprietari terrieri. Il Brasile
e' uno dei Paesi in cui questo fenomeno ha proporzioni preoccupanti:
il 45% del territorio e' di proprieta' dell'1% della popolazione. La
distribuzione del reddito non deve essere considerata l'unica misura
di equita' e di benessere. La tragedia indonesiana scaturisce da un
nefasto mix di concause in cui le scelte politiche hanno una parte
significativa a dimostrazione di come l'insipienza e la ricerca del
profitto immediato siano fattori devastanti. Ignorare i limiti della
natura, promuovere politiche di rapine delle risorse naturali, non
avviare una contabilita' ecologica che affianchi quella economica,
non affrontare i problemi ecologici legandoli a quelli dell'equita'
sociale, conduce dritti a un «overshoot». E' fondamentale invertire
la rotta finche' siamo in tempo. Gianfranco Bologna Segretario Wwf
Italia
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
AL VIA IL 13 OTTOBRE
Traguardo Saturno, dopo 7 anni di viaggio
Con la sonda «Cassini» della Nasa partira' anche l'europea «Huygens»
OAUTORE DI MARTINO MARIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, astronomia
OORGANIZZAZIONI NASA, ESA
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Il programma della missione spaziale Cassini Huygens
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, astronomy
LUNEDI' 13 ottobre da Cape Canaveral partira' verso Saturno la
missione «Cassini- Huygens» (salvo blocchi imposti dai verdi che
contestano la presenza a bordo di un generatore di elettricita' al
plutonio). La data prevista era il 6 ottobre, ma un banale incidente
ha danneggiato il sistema di isolamento termico della sonda
«Huygens», per cui e' stato necessario rimuoverla dall'ogiva del
vettore Titan 4B/Centaur e procedere a riparazioni. La
Cassini-Huygens, che dovrebbe arrivare a Saturno il 1o luglio 2004,
e' la piu' grande sonda mai inviata verso un altro pianeta: il costo
totale della missione superera' i tre miliardi di dollari (oltre 5000
miliardi di lire, quanto il nostro governo cerca di risparmiare con
la manovra sulle pensioni), una cifra enorme se paragonata alle nuove
missioni Nasa che fanno parte del programma Discovery, come Near,
Pathfinder e Mars Global Surveyor, il cui costo e' stato contenuto
entro i 150 milioni di dollari. Gli obiettivi principali di
Cassini-Huygens sono due: la ricognizione di Saturno, dei suoi anelli
e dei 18 satelliti, che verra' effettuata dai 12 strumenti di cui e'
dotato l'orbiter Cassini, e l'esplorazione da parte della sonda
Huygens di Titano che, con i suoi 5150 km di diametro, dopo Ganimede
(5260 km), la piu' grande luna di Giove, e' il secondo satellite
naturale del Sistema Solare. Verso la fine del giugno 2004, quando la
sonda si trovera' in prossimita' di Saturno, verra' acceso il motore
principale che, fornendo la necessaria decelerazione, permettera' il
suo inserimento in orbita attorno al pianeta. Il 6 novembre 2004 la
Huy gens si sgancera' dalla Cassini a una distanza di sei milioni di
chilometri da Titano, che raggiungera' dopo tre settimane tuffandosi
nella sua atmosfera, per molti aspetti simile a quella che si pensa
avvolgesse la Terra poco dopo la sua formazione. Nelle due ore e
mezzo della discesa frenata da un paracadute, oltre a riprendere
immagini i sei strumenti della Huygens faranno l'analisi
chimico-fisica della coltre gassosa che circonda Titano e se la sonda
riuscira' a sopravvivere all'impatto con la superficie, dovrebbe
raccogliere dati anche sulla sua composizione e consistenza.
Osservazioni dalla Terra fanno pensare che Titano, sulla cui
superficie la temperatura si aggira intorno ai -180o C, sia
parzialmente ricoperto da laghi o mari di una miscela di etano e
metano liquidi. L'energia necessaria al funzionamento degli strumenti
di bordo, non essendo possibile utilizzare pannelli solari alla
distanza dal Sole a cui si trova Saturno, verra' fornita da tre
generatori che convertono il calore prodotto dal decadimento di circa
33 kg di plutonio-238 in elettricita'. E sono proprio queste tre
piccole centrali elettriche che sino all'ultimo momento potrebbero
impedire la partenza della sonda. I movimenti ecologisti americani
infatti gia' da mesi stanno bombardando la Casa Bianca di petizioni
affinche' il lancio venga annullato per evitare il rischio di
contaminazione radioattiva che potrebbe verificarsi nel caso in cui
il lancio stesso fallisse. Cassini-Huygens e' una missione congiunta
tra la Nasa e l'Agenzia spaziale europea (Esa). Un grosso contributo
alla realizzazione degli strumenti di cui sono fornite le due sonde
e' stato dato dall'Italia. L'Alenia Spazio ha costruito l'antenna ad
alto guadagno, il complesso radar multimodo e il sottosistema di
strumentazione scientifica a radiofrequenza. L'Istituto di
astrofisica spaziale del Cnr e le Officine Galileo hanno realizzato
parte dello spettrometro della Cassini, mentre all'Universita' di
Roma e' stato realizzato il pacchetto di strumenti che a bordo di Huy
gens misureranno temperatura, pressione e conducibilita' elettrica
dell'atmosfera di Titano. La durata nominale della missione in orbita
intorno a Saturno e' di 4 anni: se tutto procedera' bene, prima della
fine del prossimo decennio avremo un quadro completo del pianeta piu'
affascinante del Sistema Solare e del suo corteo di satelliti. Mario
Di Martino Osservatorio Astronomico di Torino
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. RICERCA CSELT
Ecco la fanta-casa
Alta tecnologia per usi domestici
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI tecnologia, ricerca scientifica, telecomunicazioni
OORGANIZZAZIONI CSELT, TELECOM ITALIA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OTABELLE D. La casa intelligente
OSUBJECTS technology, research
WALTER torno' a casa tardi, quel pomeriggio, e subito si tuffo' sul
divano a caccia del telecomando che si era intrufolato tra i cuscini.
La ricerca fu vana, ma Walter non se ne preoccupo' affatto. «Eddy»,
disse a voce alta, per attivare i sensori del maggiordomo
elettronico, «accendere il televisore». E, appena lo schermo fu
illuminato: «Attivare guida elettronica ai programmi». Lo schermo si
scompose in una dozzina di riquadri, i docici canali che la famiglia
Rossi aveva seguito con maggior frequenza durante l'ultima settimana.
Sempre con un comando dato a voce Walter scelse un documentario
naturalistico trasmesso da una tv inglese selezionando l'opzione
«sottotitoli in italiano». Gli era facile, da qualche mese, seguire i
programmi della tv britannica, proprio da quando sul computer di casa
avevano installato una microtelecamera e aveva conosciuto Mark, suo
coetaneo di Glasgow. Piu' che «amici di penna» i due potevano
definirsi «amici di monitor». Walter penso' che a quest'ora anche
Mark sarebbe stato a casa e decise di chiamarlo. Lascio' a Eddy il
compito di spegnere il televisore e le luci della sala e fece per
sedersi alla consolle del computer principale di casa Rossi. Che,
come sempre accadeva quando papa' non lo usava per telelavorare da
casa, era occupato da Sofia, la sorella grande di Walter. Si era
collegata con Beatrice, sua compagna di classe, per scrivere il testo
finale della ricerca che dovevano svolgere insieme. Grazie a due
minuscole telecamere inserite nei rispettivi video, le due amiche si
potevano vedere mentre si passavano testi e immagini da un computer
all'altro proprio come se fossero sedute allo stesso tavolo. In
attesa di poter chiamare Mark, Walter collego', sempre via Internet,
il personal computer della sua cameretta a una banca dati musicale
specializzata in inni sacri chiedendo di ascoltare «in diretta» il
«Da fond de me anime», versione dialettale del Magnificat, che doveva
ripassare per il coro della parrocchia. Non prima, pero', di aver
ordinato un film per la serata. In videoteca era appena arrivato
«Indiana Jones nella grotta dei Quaranta Ladroni», quattordicesima
avventura del famoso archeologo. Walter digito' sul telecomando il
codice di accesso e indico' al computer della videoteca a che ora far
iniziare la proiezione. Direttamente nel salotto di casa Rossi,
ovviamente. Sembra fantascienza; ma non lo e'. Si tratta
semplicemente di applicazioni domestiche di tecnologie ampiamente
sperimentate in altri campi, che ora, data la sempre maggiore
diffusione dei computer domestici e della telematica, diventano alla
portata di tutti. Un assaggio di come potrebbe diventare la nostra
casa nei prossimi anni (ma anche nei prossimi mesi, dipende dalla
vostra curiosita' e dal vostro grado di «familiarita'» con le nuove
tecnologie per le telecomunicazioni) ci e' offerto da Cselt che, a
Torino, nell'ambito dell'edizione 1997 di Experimenta (aperta a Villa
Gualino, fino al 26 ottobre), ha allestito una sorta di
mini-appartamento del futuro. Cselt e' il prestigioso centro di
ricerca del gruppo Telecom che studia come rendere sempre piu'
versatili e fruibili i servizi legati alle telecomunicazioni. Ecco
allora che nasce «Domus Aurea», la «casa intelligente» dove, tramite
un computer, e' possibile il controllo automatico degli apparati
domestici, come accendere luci o alzare tapparelle. Un sistema
particolarmente utile agli anziani e ai disabili (permette anche il
telesoccorso o la telemedicina) perche' le istruzioni si possono
impartire anche a voce. Ormai, infatti i programmi di riconoscimento
e sintesi vocale hanno raggiunto un ottimo livello di affidabilita'.
A Experimenta e' possibile provare «Eloquens», che permette a un
normale computer domestico di convertire un testo scritto in un
parlato naturale e comprensibile, con tanto di pause e intonazioni
corrette. Cosi' il calcolatore puo' trasformarsi in una sorta di
maggiordomo elettronico, puntuale nell'eseguire i nostri comandi e
persino in grado di raccontarci una fiaba della buona notte. Qualche
mese ancora e potremo utilizzare da casa, tramite Internet e le reti
in fibra ottica, alcuni servizi multimediali per divertirsi o
lavorare da casa. Il sistema «Armida» consente, in tecnica Atm, di
ricevere film, cataloghi, videonews. Con «Sabbia» si possono
realizzare molto facilmente collegamenti audio-visivi per il
telelavoro o la teledidattica; «Warps» e' un servizio di audio on
demand: permette la riproduzione di brani musicali attraverso una
rete tipo Internet, con la possibilita' di ascolto, in alta fedelta'
e in tempo reale, del titolo scelto. Tenetevi pronti a una casa
sempre piu' informatizzata, dunque, e non spaventatevi. Se alla
tecnologia non c'e' scampo, anche grazie al lavoro dei ricercatori di
Cselt, c'e' il modo di «addomesticare» e rendere semplici da usare le
macchine piu' complicate. Che, dopotutto, hanno senso solo se possono
renderci la vita piu' semplice. Non viceversa. Andrea Vico
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Gilmore Robert: «Alice nel paese dei quanti», Raffaello Cortina,
Ghirardi Gian Carlo: «Un'occhiata alle carte di Dio», Il Saggiatore
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI fisica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS physics
LA meccanica dei quanti e', con la relativita', la grande rivoluzione
scientifica del nostro secolo. Sfortunatamente non si tratta di una
teoria intuitiva. Anzi, e' per natura controintuitiva: qualcuno ha
detto che la meccanica dei quanti non la si capisce, ma ad essa ci si
abitua. Tanto piu' che le sue verifiche sperimentali sono
innumerevoli e precise fino a molte cifre decimali. Particelle che
sono anche onde, principio di indeterminazione, fluttuazioni del
vuoto e particelle virtuali diventano tuttavia concetti accessibili
nella narrazione di Robert Gilmore, professore di fisica
all'Universita' di Bristol. Il suo libro e' una parafrasi di «Alice
nel paese delle meraviglie» leggibile a vari livelli, da quello del
lettore piu' sprovveduto fino allo specialista. Ognuno ne trarra'
riflessioni utili. Se poi si desidera un approfondimento
problematico, e' consigliabile il saggio di Gian Carlo Ghirardi, un
fisico dell'Universita' di Trieste molto attento anche agli aspetti
filosofici della conoscenza.
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
The Hutchinson: «Dictionary of Scientist», Helicon
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS didactics
Da qualche mese la Penguin Italia (tel. 02-458.69.960) rappresenta
nel nostro Paese le case editrici inglesi Helicon e Hardwired.
Quest'ultima e' il settore editoriale della famosa rivista «Wired»,
la bibbia della cultura telematica, e ha pubblicato recentemente
«Digerati» di John Brockman, una galleria dei protagonisti
dell'universo informatico: questo libro e' gia' tradotto nelle
edizioni Garzanti, e quindi non saranno molti gli interessati alla
versione originale, ora distribuita da Penguin Italia. Assolutamente
prezioso e' invece il dizionario degli scienziati «Hutchinson»,
un'opera che non ha l'equivalente nel nostro Paese. Contiene la
biografia di 1800 scienziati, meta' dei quali del nostro secolo, e
tra questi vi sono piu' donne che in qualsiasi altro dizionario del
genere. Di molti sono riportate citazioni particolarmente
significative. L'opera si apre con una sintetica storia delle
principali discipline scientifiche e si conclude con una cronologia
delle scoperte e l'elenco dei premiati con il Nobel fino al 1995.
Esemplari la precisione e l'aggiornamento delle informazioni. C'e' da
augurarsi che prima o poi arrivi anche una edizione italiana.
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Autori vari: «Medicina e biologia in Cd-rom», Zanichelli
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS medicine and physiology
Il «Dizionario eciclopedico di scienze mediche e biologiche e di
biotecnologie» italiano-inglese e inglese-italiano di Giovanni
Delfino, Eudes Lanciotti, Gianfranco Liguri e Massimo Stefani,
prezioso repertorio di consultazione e di documentazione edito da
Zanichelli, e' ora anche disponibile su un Cd- Rom. L'opera, che
contiene 41 mila voci, puo' essere esplorata a tutto testo combinando
parole-chiave con gli operatori «and» e «or». Il dischetto e'
accompagnato da un volume di 144 pagine che raccoglie le 28 appendici
dell'opera, consultabili piu' agevolmente su carta.
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Morris Desmond: «Osservare il cane», Mondadori
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI etologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS ethology
Perche' i cani abbaiano e ululano? In che modo invitano a giocare
altri cani o il loro padrone? Perche' quando ha paura il cane cammina
con la coda tra le gambe? Sono alcune della cinquantina di domande a
cui risponde questo libro divertente e molto illustrato di Desmond
Morris, notissimo zoologo e divulgatore inglese che fu allievo del
premio Nobel Niko Tinbergen.
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Cooper J. C.: «Dizionario degli animali mitologici e simbolici», Neri
Pozza
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI antropologia e etnologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS anthropology and ethnology
Da sempre l'uomo si e' fatto uno zoo di animali immaginari, come il
capricorno e l'ippogrifo, o ha attribuito doti immaginarie ad animali
reali. Questo curioso e accurato dizionario ne fornisce un quadro
completo. Piero Bianucci
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. PREMI ITALGAS 1997
Come rigenerare l'energia geotermica
C'e' anche un software che aiuta a trovare il petrolio
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI ricerca scientifica, tecnologia, premio, vincitore
OPERSONE MALLET JEAN LAURENT, WOODS ANDREW WILLIAM
ONOMI MALLARDI PIERO, TOGNON GIUSEPPE,
MALLET JEAN LAURENT, WOODS ANDREW WILLIAM
OORGANIZZAZIONI PREMIO ITALGAS PER L'INNOVAZIONE E LA RICERCA SCIENTIFICA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS research, technology, prize, winner
JEAN-Laurent Mallet, francese, professore alla Scuola superiore di
geologia dell'universita' di Nancy, e Andrew William Woods, inglese,
professore di Matematica applicata all'universita' di Bristol, sono i
vincitori del Premio Italgas per l'innovazione e la ricerca
tecnologica 1997. Istituito 11 anni fa per riconoscere il lavoro di
scienziati impegnati in ricerche con immediate ricadute pratiche,
dopo un decennio ispirato a questa formula, il premio muta lievemente
rotta, premiando progetti o iniziative di ricerca realizzati in Paesi
dell'Unione Europea in tre settori: energia, ambiente, informazione
(intesa come informatica e comunicazione). La consegna dei premi (150
milioni di lire) da parte del presidente di Italgas, Piero Mallardi,
e del sottosegretario alla Ricerca scientifica Giuseppe Tognon,
avverra' a Torino la sera di venerdi' 10 ottobre al Teatro Regio. Il
progetto di Jean-Laurent Mallet si chiama «Gocad»; e' un software
applicativo che consente di visualizzare in tre dimensioni sistemi
geologici molto complessi ed e' gia' ampiamente utilizzato nella
ricerca petrolifera. Mallet, 53 anni, ha costruito il suo software
partendo dall'ormai ben nota tecnologia Cad (Computer aided design)
sulla quale ha innestato un nuovo algoritmo matematico indicato come
Dsi (Discrete smooth interpolation, Interpolazione discreta-continua)
che puo' avere applicazione dalla medicina alle scienze ambientali
alle scienze dei materiali, ma che ha trovato il suo campo principale
di sfruttamento nella ricerca petrolifera. Messo a punto nell'89, il
progetto Gocad oggi viene utilizzato da 25 compagnie petrolifere e da
26 tra universita' e centri di ricerca; se all'inizio vi avevano
lavorato solo lo stesso Mallet e un ricercatore del Cnrs (l'organismo
francese corrispondente al nostro Consiglio nazionale delle ricerche)
oggi vi lavorano 20 ricercatori e altrettanti giovani laureati in
stretta collaborazione con gli utilizzatori per migliorarne e
ampliarne il campo di applicazione: due volte l'anno, a Nancy e a
Houston, si svolgono incontri durante i quali ricercatori e
utilizzatori si scambiano dati e informazioni, cosa abbastanza
sorprendente data la comprensibile ritrosia delle industrie a
rivelare aspetti vitali della loro attivita'. Altrettanto
sorprendente e' il fatto che Gocad abbia sfondato negli Usa, dove la
potente industria petrolifera puo' contare sui piu' agguerriti
scienziati locali, finanziati con cospicui contributi. Il progetto di
Andrew Woods (Generazione di energia geotermica: il controllo della
reiniezione dei fluidi) e' di grande rilievo ambientale perche' serve
allo sfruttamento di una fonte di energia pulita e rinnovabile. Per
l'Italia, poi, ha una particolare rilevanza, dato che il nostro Paese
e' ricco di risorse geotermiche ancora non completamente utilizzate,
di cui diventa possibile un piu' efficiente impiego. Woods, 43 anni,
studioso di fenomeni vulcanici e di terremoti (ha appena ricevuto a
Roma il premio internazionale Marcello Carapezza di vulcanologia) ha
speso gli ultimi cinque anni nello studio dei giacimenti geotermici,
in particolare nelle tecniche di reiniezione di acqua in sistemi ad
alta temperatura, come i geyser della California e i soffioni di
Larderello. Lo sfruttamento dei giacimenti ha portato a un
progressivo abbassamento della pressione, al quale si risponde
iniettando nuova acqua con la quale generare il vapore utilizzato per
far muovere le turbine delle centrali elettriche. L'iniezione di un
liquido in una roccia permeabile ad alta temperatura, il modo in cui
esso permea la roccia stessa e di conseguenza vaporizza e' un
processo di non facile analisi. Woods, insieme con il suo
collaboratore Shaun Fitzgerald, sulla base di numerosi esperimenti in
cui veniva iniettato un liquido entro strati di sabbia ad alta
temperatura, ha realizzato una serie di modelli matematici in cui
svela molti aspetti finora sconosciuti di questo processo; dopo aver
constatato che se l'iniezione avveniva troppo rapidamente il processo
di vaporizzazione diminuiva rapidamente e che, al contrario, se
l'iniezione era piu' lenta l'effetto era costante, lo studioso
inglese e' giunto a individuare la velocita' ottimale di reiniezione.
Per un'industria ormai antica e matura (fu nel lontano 1818 che
Francois de Larderelle inizio' lo sfruttamento del lagone di
Montecerboli, in provincia di Pisa, per ricavarne acido borico) i
vantaggi derivanti da una conoscenza precisa dei meccanismi
attraverso cui nelle viscere della Terra si genera l'energia
geotermica sono evidenti: si puo' prolungare la vita utile dei
giacimenti, aumentarne il rendimento e accrescere l'impiego di
un'energia amica dell'ambiente al posto degli inquinanti combustibili
fossili. Gli studi di Woods hanno inoltre portato alla individuazione
di una nuova forma di instabilita' che insorge quando il liquido
migra attraverso uno strato poroso e vaporizza; al di la' degli
effetti pratici questa scoperta porta un contributo alla conoscenza
dell'intermittenza dei geyser, prima non del tutto chiarita. Vittorio
Ravizza
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. CREATA IN GIAPPONE
Canta, e' sexy e incide dischi ma non esiste
Kyoko Date, sedicenne, e' la prima diva virtuale: una Barbie
elettronica
OAUTORE VALERIO GIOVANNI
OARGOMENTI elettronica
ONOMI YOSHITAKA HORI, KYOKO DATE
OLUOGHI ESTERO, ASIA, GIAPPONE
OSUBJECTS electronics
BALLA, canta, ha un fisico perfetto ed e' gia' diventata l'idolo dei
ragazzini giapponesi. Si chiama Kyoko Date, dice di avere 16 anni, ma
non esiste. Kyoko e' una diva «virtuale», la prima pop star
interamente generata al computer, nata da un'idea del trentenne
Yoshitaka Hori, responsabile della divisione media della HoriPro, una
delle piu' importanti agenzie giapponesi di talent scout. Sempre alla
ricerca di nuove stelle da lanciare sul mercato, la HoriPro e'
ricorsa a un personaggio virtuale, costruito su misura a tavolino per
soddisfare i gusti del pubblico. Kyoko (battezzata con il prosaico
nome di progetto DK-96, dove DK sta per «Digital Kids», e 96 e'
l'anno di immissione sul mercato) e' stata lanciata proprio come una
qualunque altra star televisiva: studio dell'aspetto fisico e del
look, con consulenti per l'abbigliamento e il trucco, infine la
produzione di una serie di canzoni. La pubblicita' ha fatto il resto.
Della parte grafica si e' occupata la Visual Science Laboratory, una
delle maggiori societa' di software nipponiche. Venti maghi della
computer grafica hanno lavorato a DK-96 per un anno e mezzo. Ci sono
volute dieci persone solo per realizzarne il viso. I suoi movimenti
di danza sono quelli di una vera ballerina, mentre la voce e'
sintetizzata sulle basi di quelle di una cantante e di un'attrice. Ma
Kyoko Date non e' solo uno dei tanti personaggi disegnati al
computer. Gli esperti di comunicazione della HoriPro le hanno anche
dato un passato: e' questa la vera novita'. Proprio come Rachel,
l'indimenticabile replicante del film «Blade Runner», anche Kyoko ha
ricordi fittizi. E' nata il 26 ottobre 1979 alla periferia di Tokyo,
figlia dei gestori di uno sushi-bar, e ha una sorella di quindici
anni. Una famiglia normale, come quelle dei ragazzini che la adorano,
per i quali e' stata progettata fino all'ultimo particolare. Adora la
cioccolata, le gomme da masticare e la boxe e il suo primo amore e'
un ragazzo di cui svela solo l'iniziale del nome (M). Ora Kyoko sta
prendendo lezioni di lingue. Ne avra' presto bisogno, perche' la
HoriPro e' intenzionata a farla «lavorare» 24 ore su 24. La diva
virtuale puo' parlare un numero illimitato di lingue ed e' facilmente
adattabile a ogni mercato. E poi e' clonabile, instancabile, senza i
capricci dei veri divi. Il sogno di ogni manager. Presto potra'
partecipare anche a talk show televisivi dal vivo, grazie a
tecnologie di animazione in tempo reale che utilizzano gli apparecchi
della realta' virtuale. E, non dimentichiamolo, potra' apparire in
diretta su tutti i canali: un dono di ubiquita' catodica che non e'
alla portata neppure dei presenzialisti del «Costanzo show». Di
fronte a prospettive cosi' vantaggiose, una decina di societa' si
sono gia' prenotate per lo sfruttamento commerciale della sua
immagine. Kyoko Date ha finora inciso una serie di canzoni di
successo e in questi giorni sta per uscire il suo primo Cd. I suoi
progettisti contano di farla diventare anche un videogame, e la
faranno presto sbarcare a Taiwan e a Hong Kong. Prepariamoci
all'invasione. Giovanni Valerio
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. MISSIONE UVSTAR
Il cielo ultravioletto rivela i suoi segreti
OAUTORE STALIO ROBERTO
OARGOMENTI ottica e fotografia, astronomia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS optics and photography, astronomy
IL telescopio Uvstar (Ultraviolet Spectrograph Telescope for
Astronomical Research), frutto di una collaborazione tra
l'universita' di Trieste e quella dell'Arizona, ha concluso la sua
missione scientifica sulla navetta Discovery: al secondo volo dopo
l'esordio del '95, ha raccolto circa 100 mila immagini per lo studio
delle sorgenti cosmiche nelle bande dell'ultravioletto estremo (Euv),
una regione dello spettro elettromagnetico alla frontiera fra l'UV e
i raggi X, da cui e' possibile raccogliere informazioni sullo stato
fisico del gas cosmico. La maggior parte degli obiettivi scientifici
sono stati centrati. Acquisiti, tra l'altro, dati sull'emissione
ultravioletta di Giove e del plasma rilasciato dal satellite Io lungo
la sua orbita intorno al pianeta. Sono state indagate la
distribuzione in energia della radiazione ultravioletta emessa da
stelle in differenti fasi evolutive, osservati gruppi o ammassi di
stelle e la cometa Hale Bopp. Inoltre, e' stata misurata la
luminescenza diurna e notturna dell'atmosfera terrestre. Cio' che si
spera di ottenere e' un contributo alla soluzione di alcuni dei
problemi correnti della ricerca astronomica: l'origine del plasma e
dei meccanismi di mantenimento dell'energia intorno a Io; l'emissione
di particelle di origine stellare, che vanno a rifornire il mezzo
interstellare e ne influenzano l'evoluzione; il contenuto stellare
delle grandi aggregazioni di stelle in vista della verifica dei
processi evolutivi; l'esistenza o meno di gas nobili come l'elio,
neon e argon nelle comete, che permetterebbe di stabilire la loro
origine interstellare o planetaria; i processi fisici che avvengono
nella ionosfera terrestre. Spettacolari, infine,le osservazioni di
sorgenti stellari. Il prossimo volo di Uvstar? E in programma per
l'ottobre 1998. Roberto Stalio Universita' di Trieste
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. LE TERMITI
Piccole insaziabili
Insetti che hanno 200 milioni di anni
OAUTORE LATTES COIFFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI MAETERLINK MAURICE
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Schema di un termitaio «a circolazione chiusa», e di un termitaio
a «circolazione aperta»
OSUBJECTS zoology
SCRIVEVA Maurice Maeterlink nel l926: «Le piccolissime termiti
europee sono fragili, poco numerose, inoffensive. Al contrario delle
loro sorelle tropicali, non s'introducono che raramente nelle case e
vi compiono danni insignificanti». Se fosse vissuto piu' a lungo,
Maeterlink si sarebbe fatta tutt'altra idea di fronte al numero
crescente di focolai termitici che si sono andati scoprendo in questi
ultimi decenni in archivi, chiese, biblioteche, musei, d'Italia, di
Francia e di altri Paesi europei, con danni incalcolabili al
patrimonio storico e artistico. Altro che inoffensive! Per farsene
un'idea basta dare un'occhiata a una trave di legno infestata dalle
termiti e ci si rendera' conto di quanto subdola e imponente sia la
loro azione devastatrice. La superficie esterna sembra intatta. Ma
l'interno e' completamente corroso. E cosi' le terribili divoratrici
di cellulosa possono invadere un intero edificio senza che alcuno se
ne accorga, se non quando e' troppo tardi. Allo stesso modo le
termiti divorano la sapienza contenuta nei libri, lasciando intatta
la copertina e i margini delle pagine. Nel nostro Paese la specie
piu' temibile e' la termite lucifuga (Reticulitermes lucifugus). Meno
pericolosa e' la termite dal collo giallo (Calotermes flavicollis)
che si accontenta di scavare gallerie nel legno degli alberi morti.
Sono entrambe bestioline quasi invisibili a occhio nudo. La loro
forza sta nel numero e il segreto del loro successo sta probabilmente
nella perfetta organizzazione sociale, risultato di duecento milioni
di anni di evoluzione. Se non fossero cosi' mirabilmente organizzate,
non avrebbero potuto giungere sino a noi dal lontano paleozoico,
valicando intere ere geologiche, adattandosi al mutare dei climi e al
succedersi dei cataclismi che hanno sconvolto questa nostra Terra
inquieta. C'e' nella loro societa' una rigida suddivisione in caste.
Dopo la seconda o la terza muta - il periodico cambio del
rivestimento chitinoso esterno - gli individui si differenziano in
«operai», «soldati» e «riproduttori». I primi costituiscono la
stragrande maggioranza. Sono i minuscoli factotum del termitaio, che
lavorano incessantemente per ingrandire il nido, per trasportare
nelle apposite celle le uova che la regina depone a ritmo frenetico
(sino a 30 mila al giorno in certe specie tropicali), per soddisfare
le mille esigenze della comunita'. Solo la difesa e' compito dei
soldati, muniti di mandibole taglienti come cesoie e talora di
secrezioni agglutinanti che invischiano i nemici immobilizzandoli. Ci
sono infine i riproduttori, maschi e femmine alati che pensano solo a
sfornare uova, le femmine, e a fecondarle, i maschi. Si chiamano,
chissa' perche', re e regine, benche' nulla di regale ci sia nel loro
comportamento. Operai e soldati sono privi non solo di ali, ma anche
di occhi o li hanno rudimentali. Cio' nonostante i soldati delle
formiche tropicali Nasutitermes sono capaci di lanciare a molti
centimetri di distanza un liquido secreto da una speciale ghiandola,
centrando in pieno l'avversario con una mira sorprendente per un
individuo cieco. E non meno sorprendente e' la tecnica costruttiva
della formica-bussola australiana (Amitermes meridionalis) i cui
operai ciechi sanno deporre il materiale edilizio, granellino su
granellino, in modo tale che il risultato sia un nido cuneiforme con
l'asse maggiore orientato rigorosamente in direzione Nord-Sud. Si e'
scoperto che le termiti, come le api, sono sensibili al campo
magnetico terrestre, ed e' probabile che sia il senso magnetico a
guidare le Amitermes nella costruzione dei loro singolari nidi. Ed e'
proprio nelle costruzioni che si manifesta la stupefacente sapienza
architettonica delle termiti. Il nido si svolge per la maggior parte
nel sottosuolo, ma in molte specie continua in una sovrastruttura
aerea che puo' raggiungere persino i sette metri di altezza. Al suo
interno, celle, gallerie, cunicoli sono tutti a temperatura e
umidita' costante, anche dove picchia il sole rovente dei tropici. Le
termiti hanno realizzato cosi' l'aria condizionata assai prima di
noi. Re e regina fabbricano, tra gli altri, uno speciale «feromone
inibitore di casta» che ha il potere di bloccare lo sviluppo degli
organi sessuali. Lo leccano i cortigiani che si assiepano loro
intorno e lo trasmettono agli altri membri della societa' grazie al
fenomeno della trofallassi, cioe' a quel continuo scambio di cibo che
avviene regolarmente tra gli individui. Quando il feromone inibitore
di casta viene a mancare per la scomparsa dei reali, allora alcune
operaie riescono a raggiungere la maturita' sessuale trasformandosi
in re e regine di ricambio. La maggior parte delle 2200 specie di
termiti si nutre di legno e di carta, ma non riuscirebbero a
digerirla se non avessero l'attiva collaborazione di colonie di
flagellati (protozoi) specializzati nella digestione della cellulosa.
Mediante speciali enzimi, i protozoi la scindono in carboidrati che
sono assimilabili sia per loro che per le termiti. Le quali ospitano
i preziosi coadiutori nell'intestino, dove formano una massa cospicua
il cui peso oscilla da un terzo a un sesto di quello dell'insetto. Le
larve neonate che ne sono sprovviste, se lo procurano mangiando gli
escrementi delle larve piu' anziane. Le termiti hanno affrontato e
risolto brillantemente il problema che assilla l'uomo in maniera
sempre piu' angosciosa: lo smaltimento dei rifiuti. E' un problema
non indifferente anche per le societa' delle termiti che possono
raggiungere in alcune specie tropicali i dieci milioni di individui.
Ebbene, gli escrementi diventano per loro un ottimo materiale
edilizio. Tutto viene riciclato nella maniera piu' razionale. E non
basta. Il fenomeno del riciclaggio non si ferma qui. Per tenere il
nido sempre lindo e igienicamente impeccabile cosa fanno le termiti
quando trovano il corpo di una compagna morta? L'acchiappano e se lo
mangiano. Cosi' evitano che sopraggiunga la putrefazione ad ammorbare
l'aria. La sostanza proteica viene immediatamente utilizzata. La si
rimette in circolo. Cosi' la morte diventa subito vita. Isabella
Lattes Coifmann
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. NUOVE CURE
E' autunno, pensiamo all'ulcera
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI OSPEDALE MOLINETTE
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS medicine and physiology
VI sono malattie con una frequenza che varia con le stagioni. Le
cause possono essere periodiche differenze del clima, delle
abitudini, dell'alimentazione, ma non sempre il rapporto e' chiaro.
E' il caso dell'ulcera gastro-duodenale. La elaborazione di oltre 11
mila esami endoscopici effettuati da un gruppo di studio della
Divisione di gastroenterologia dell'Ospedale Molinette di Torino ha
dimostrato un andamento ciclico dell'ulcera, con maggiore frequenza
dei casi in autunno e primavera. Questa osservazione e' stata
confermata da altri studi internazionali. Quale l'origine? Le attuali
conoscenze hanno modificato le vecchie idee sull'ulcera. Oggi si sa
che l'ulcera e' fortemente associata alla infezione della parete
gastrica da parte del batterio Helicobacter pylori, causa di gastrite
cronica. Il legame fra il batterio e l'ulcera e' indicato dal fatto
che l'infezione, dimostrabile mediante test diagnostici, e' presente
in oltre il 90 per cento dei pazienti con ulcera, e che
l'eliminazione del batterio con opportune terapie riduce notevolmente
il tasso di recidive dell'ulcera. E' probabile che il batterio
predisponga all'ulcera aumentando la secrezione di acido gastrico. Il
trattamento dell'ulcera ne e' stato rivoluzionato, la terapia
antibatterica e' diventata il punto forte in confronto alla
tradizionale terapia contro l'acidita'. La terapia antibatterica
consente nella maggior parte dei pazienti una remissione prolungata
della malattia ed e' di durata breve, dai 7 ai 15 giorni, in
confronto alla terapia antiacida che deve essere protratta per
evitare il rischio di ricadute. Vari farmaci sono attivi contro
l'Helicobacter, specialmente se associati: bismuto sottonitrato,
metrodinazolo, antibiotici quali amoxicillina e claritromicina.
L'infezione e' eliminabile nell'85-95 per cento dei casi, e l'effetto
protettivo puo' persistere per anni. Quanto ai farmaci anti-acido
citiamo gli antisecretori (riducono la produzione di acido da parte
delle cellule gastriche) quali gli antagonisti dei recettori H2
(cimetidina, ranitidina) e i piu' recenti inibitori della «pompa
protonica» (omeprazolo), attualmente i piu' efficaci inibitori della
produzione di acido. Ma torniamo all'andamento stagionale
dell'ulcera: e' opportuno progettare una terapia apposita in autunno
o in primavera, le stagioni nelle quali risulta una maggiore
frequenza dei sintomi? Secondo il gruppo torinese citato all'inizio,
e recenti ricerche d'un gruppo israeliano che ne ha ripreso gli
studi, esiste una correlazione fra l'infezione da Helicobacter e le
fluttuazioni della malattia. Qualora la terapia antibatterica non
risolvesse il problema, una terapia stagionale con farmaci
antisecretori sarebbe indicata dopo un'accurata valutazione del caso.
Ulrico di Aichelburg
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. DISINFORMAZIONE IN TV
I dentisti: sicure le otturazioni in amalgama
Il mercurio non da' problemi, lo confermano molti studi e anche l'Oms
OAUTORE TESSORE GIORGIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI OMS ORGANIZZAZIONE MONDIALE PER LA SANITA'
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
UNA trasmissione televisiva sui possibili rischi per la salute
provocati dalle otturazioni in amalgama dei denti cariati ha creato
un forte allarme nella popolazione. E' un allarme giustificato?
L'amalgama d'argento e' il materiale piu' usato dai dentisti per il
restauro dei denti posteriori. Si calcola che ogni anno nel mondo
vengano eseguiti con questo prodotto 500 milioni di otturazioni e 200
milioni nei soli Stati Uniti. L'amalgama per uso odontoiatrico e' una
lega di argento, stagno, rame, palladio, indio piu' un metallo
liquido, il mercurio. Quando questi metalli vengono miscelati fra
loro si forma un materiale plastico facilmente modellabile che
indurisce completamente in circa due ore. In odontoiatria l'amalgama
si usa con ottimi risultati da piu' di un secolo come materiale da
restauro per i denti cariati; negli ultimi vent'anni la sua qualita'
e' molto migliorata: e' diminuita la quantita' di mercurio e si sono
aggiunti nuovi componenti che ne riducono la corrosione. I pregi
indiscussi di questo materiale sono: ottimo sigillo marginale,
facilita' di utilizzo, lunga durata, grande esperienza clinica e
basso costo del restauro finale. I difetti sono: un colore che non si
mimetizza con il dente, da cui il termine popolare di «piombatura»,
la necessita' di eseguire preparazioni di cavita' ritentive e in un
certo senso demolitive in quanto l'amalgama non possiede la capacita'
di legarsi alla struttura dentale e infine una potenziale tossicita'
dovuta al mercurio. La questione della pericolosita' per la salute e'
vecchia quasi quanto il materiale stesso e ha portato i ricercatori a
produrre su questo tema una vastissima letteratura scientifica. I
rischi per pazienti ed operatori sanitari sono legati, in massima
parte, alla possibile inalazione e ingestione di mercurio durante
l'esecuzione dei restauri o la loro rimozione. Durante queste
manovre, il paziente puo' efficacemente essere protetto da una
speciale barriera di gomma che isoli i denti dal resto del cavo
orale. Il mercurio una volta legato agli altri metalli e' stabile:
viene liberato nel cavo orale dalle otturazioni in quantita'
assolutamente trascurabili per la salute. Un lavoro scientifico
pubblicato in Germania nel 1995 che tratta di una nuova tecnica messa
a punto per misurare la quantita' di vapore di mercurio presente nel
cavo orale e nella saliva, ha accertato che la quantita' di mercurio
dovuta alle otturazioni non e' assolutamente pericolosa. Alle stesse
conclusioni sono giunti i ricercatori dell'Universita' di Gote borg
in una ricerca pubblicata nel '97. La popolazione europea assume
giornalmente con gli alimenti circa 5-10 microgrammi di mercurio
mentre fino a 5 possono essere quelli liberati dalle otturazioni. La
somma dei due valori e' di gran lunga inferiore al valore accertato
dall'Organizzazione Mondiale della Sanita' come quotidianamente
tollerabile pari a 30-40 microgrammi/giorno. Studi molto accreditati
di Ivanovic (1989) e Wirz (1992) hanno dimostrato che i pazienti
portatori di numerosi restauri in amalgama non presentano un tasso di
mercurio piu' elevato ne' nel sangue ne' nelle urine rispetto a
pazienti che non hanno restauri in amalgama. Il mercurio puo'
svolgere un'azione tossica sui sistemi nervoso e renale; Baasch nel
1966 formulo' l'ipotesi che l'amalgama potesse essere la causa della
sclerosi multipla, ipotesi che, nonostante non sia stata avvalorata
fino ad oggi da alcuna delle numerose ricerche scientifiche in
proposito e abbia ingannato migliaia di pazienti, viene ancora
portata come una prova della tossicita' di questo materiale.
L'Associazione per la sclerosi multipla ha preso posizione invitando
i propri soci a non farsi sostituire i restauri sperando in un
miglioramento. L'avvelenamento cronico da mercurio in persone che
sono esposte per ragioni di lavoro puo' dare origine a una patologia
con manifestazioni quali depressione, ansia, irritabilita', cefalea,
stanchezza, perdita della memoria, difficolta' di concentrazione,
tremori. I mass media soprattutto nei Paesi scandinavi, in Germania,
negli Stati Uniti e piu' di recente anche in Italia hanno riportato
notizie, prive di serio fondamento scientifico riguardo al rischio
amalgama, notizie che spesso fanno riferimento ad articoli di vecchia
data, successivamente smentiti da ricerche piu' attente e
sofisticate. La diffusione di falsi allarmismi presso la popolazione
e' favorita dalla medicina «alternativa» e probabilmente anche
dall'industria dentale, interessata a spingere materiali sostitutivi
molto piu' costosi e remunerativi dell'amalgama. L'Oms
(Organizzazione Mondiale della Sanita') nel 1995 con la
collaborazione dei suoi organi, Oral Health Program e Of fice of
Global and Integrated Environmental Health, insieme alla Fdi
Federation Dentaire In ternationale ha pubblicato un documento che
conclude che i restauri in amalgama sono sicuri e che non esiste
ragione per sostituire restauri in amalgama ancora efficienti con
restauri in altri materiali. Nel documento si legge anche che per
ragioni ecologiche in alcuni Stati vi sono o vi saranno delle
limitazioni all'uso dell'amalgama e che molto spesso queste
restrizioni sono state male interpretate dai mass media che a loro
volta hanno suscitato ingiustificati timori nella popolazione e una
grande richiesta di sostituzione di restauri. Giorgio Tessore
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. ECCEZIONALE ASSEMBRAMENTO DI GRANCHI
Cinquantamila tutti insieme
Scoperto nella Manica al largo del Dorset
OAUTORE CIMA CLAUDIO
OARGOMENTI zoologia
ONOMI COLLINS KEN
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, BRIDPORT
OSUBJECTS zoology
ALL'INIZIO di agosto uno scienziato, per caso, si e' imbattuto in una
vastissima assemblea di granchi: gli animali coprivano, a 8 metri di
profondita', l'estensione di un campo da tennis e il loro strato era
di circa dieci animali l'uno sull'altro. E' possibile che, grazie a
questa fortuita osservazione, si sia scoperto perche' i crostacei
sono soliti radunarsi in massa. Ken Collins, un oceanografo
dell'Universita' di Southamp ton, ha scoperto l'enorme congrega di
granchi, del genere Oxyrhyncha (in inglese: spiny spider crab),
tuffandosi al largo di Bridport, Dorset, sulla Manica. Non aveva mai
visto una scena del genere, ha dichiarato il dr. Collins: «Benche' si
sapesse di queste periodiche riunioni oceaniche'', nessuno sa, e puo'
predire, quando esse avvengano». Lo scienziato ha stimato che
sott'acqua c'erano almeno 50.000 esemplari, per un peso complessivo
di 10 tonnellate. I granchi, caratterizzati da lunghe gambe, simili a
spine (donde l'aggettivo «spiny»), possono crescere sino alla
grandezza di una mano, sono molto comuni in Inghilterra, ed esportati
in quantita' sul Continente dove la loro polpa e' molto richiesta.
Collins esclude che si sia trattato di una assemblea alla quale i
membri convergevano per fini sessuali: a suo parere, l'accoppiamento
non riuscirebbe in una simile confusione. Egli crede che le riunioni
avvengano in momenti particolarmente vulnerabili della vita degli
animali: «Poiche' essi non hanno un'ossatura interna, ma solo una
corazza esoscheletale, esterna cioe', che mutano in diverse fasi
della loro crescita, nelle ore della muta essi sono estremamente
vulnerabili», dice Col lins. Egli ritiene che questa ipotesi possa
essere fondata, anche perche' l'appuntamento di massa degli adulti,
in tal modo, protegge anche gli elementi piu' piccoli, ben riparati
in mezzo alle corazze piu' resistenti e sviluppate. Altri granchi, e
le aragoste, invece, usano, al fine della muta, infilarsi in buche
durante la fase critica. Collins ora ha diramato l'invito ai
subacquei della zona di aiutarlo a scoprire se sul fondo ora esista
un vasto spessore di corazze dismesse. Claudio Cima Universita' di
Aberdeen (UK)
ODATA 08/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. E' COMPOSTO DA 895.932 CIFRE
Il piu' grande numero primo
Calcolato da un giovane informatico inglese
OAUTORE PEIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI matematica
ONOMI SPENCE GORDON, ARMENGAUD JOEL, WOLTMAN GEORGE
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA
OSUBJECTS mathematics
C'E' un nuovo record nella caccia ai grandi numeri primi, quelli che
sono stati battezzati «giganti». Lo ha stabilito un giovane
informatico inglese, Gordon Spence, il quale, con un semplice PC
dotato di un Pentium 100 MHz, ha trovato il piu' grande numero primo
che oggi si conosca. Le sue cifre sono 895.932, il doppio di quelle
del numero- record precedente, di cui avevamo dato notizia su
TuttoScienze del 22 gennaio scorso. Il nuovo numero primo gigante e'
22976221-1. Per scrivere tutte le sue cifre sarebbero necessarie
sessanta pagine di questo giornale. Si tratta ancora di un numero
primo di Mersenne, cioe' di quelli trovati applicando la formula
2p-1, dove «p» dev'essere a sua volta un numero primo cioe', lo
ricordiamo, divisibile soltanto per uno e per se stesso. Non e' detto
pero' che applicando questa formula si trovi sempre un numero primo e
quindi ogni volta e' necessaria una lunga e accurata verifica. Spence
ha lavorato 15 giorni sul suo computer per accertare che il numero da
lui trovato fosse effettivamente primo e un'ulteriore verifica, prima
di diffondere la notizia della sua scoperta, e' stata fatta con
l'aiuto di un supercomputer. Anche Spence, come l'informatico
francese Joel Armengaud, di cui ha battuto il record, fa parte del
Gimps, Great Internet Mersenne Prime Search, il gruppo dei cacciatori
di numeri primi guidato da George Woltman, il programmatore della
Florida, autore di un programma per la ricerca dei numeri primi,
messo gratuitamente a disposizione su Internet. Al gruppo hanno gia'
aderito piu' di duemila appassionati di teoria dei numeri, ad ognuno
dei quali e' stato assegnato un intervallo di numeri da controllare.
L'obiettivo e' quello di arrivare entro il Duemila al controllo di
tutti i numeri di Mersenne con esponente inferiore a 3.000.000. Fino
ad oggi sono stati scoperti trentasei numeri primi di Mersenne, ma si
ritiene che tra l'uno e l'altro esistano ancora altri numeri primi
sconosciuti dello stesso tipo. Questa ricerca dei numeri primi
giganti, al di la' della grande gara, limitata un tempo all'ambiente
dei matematici e allargata oggi a tutti i possessori di un PC, ha
introdotto nuove tecniche di calcolo nella moltiplicazione dei grandi
numeri, utili in molte applicazioni tecniche e scientifiche. La
Intel, ad esempio, usa una versione modificata del programma di
Woltman per scoprire possibili difetti dei suoi Pentium. La caccia
continua e chi volesse aderire all'iniziativa tenga presente che da
alcuni mesi e' disponibile anche la versione italiana del sito del
Gimps. L'indirizzo al quale collegarsi per avere tutte le
informazioni e scaricare il programma necessario per partecipare alla
caccia e' il seguente: http://www.mclinck.it/perso
nal/MC5225/mersenne/prime- it.htm. Federico Peiretti
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IL TERREMOTO IN UMBRIA E MARCHE
Appennino a rischio
Perche' due scosse forti in poche ore
OAUTORE DRAGONI MICHELE
OARGOMENTI geografia e geofisica, terremoti
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PERUGIA (PG)
OTABELLE T. La scala Mercalli
C. Le zone sismiche in Italia
OSUBJECTS geography and geophisics, earthquake
PERCHE' avvengono i terremoti? Un giorno potremo prevedere un sisma
come quello che ha sconvolto l'Umbria e le Marche? Dopo millenni di
ipotesi fantasiose, la ricerca scientifica degli ultimi cento anni ha
infine risposto al primo quesito. I terremoti sono la conseguenza di
accumuli di energia elastica nello strato piu' superficiale della
Terra, chiamato litosfera. L'energia si accumula perche' la litosfera
e' frammentata in numerose placche che si muovono l'una rispetto
all'altra, anche se cosi' lentamente che normalmente non ce ne
accorgiamo. Questa energia non puo' accumularsi all'infinito, perche'
la resistenza delle rocce che formano la litosfera ha un limite.
Purtroppo il rilascio dell'energia accumulata non avviene in maniera
dolce, ma si produce in modo improvviso e traumatico, con un
terremoto. Poiche' l'accumulo di energia avviene soprattutto lungo i
margini delle placche litosferiche, e' qui che ha origine la maggior
parte dei terremoti. La catena degli Appennini e' uno di questi
margini di placca. La memoria dei terremoti avvenuti negli ultimi
duemila anni, registrata nei cataloghi della sismicita', ha permesso
di disegnare una mappa della pericolosita' sismica del territorio
italiano, da cui si puo' constatare che l'Appennino Umbro-Marchigiano
ha risentito anche in passato di terremoti con intensita' simile a
quella del 26 settembre scorso. I valori massimi della pericolosita'
si riscontrano pero' piu' a Sud: il terremoto che colpi' l'Irpinia
nel 1980 libero' un'energia sismica ottanta volte piu' grande di
quella totale delle due forti scosse che hanno interessato le Marche
e l'Umbria. Se e' vero che il meccanismo dei terremoti e' stato
chiarito nelle sue grandi linee e che le aree caratterizzate da
maggiore pericolosita' sismica sono state individuate, non siamo
tuttavia in grado di prevedere quando avra' inizio una crisi sismica,
ne' quale sara' la sua evoluzione. Nella maggior parte dei casi,
avviene una scossa principale seguita da numerose scosse piu'
piccole, fino all'esaurimento del fenomeno. In altri casi, l'energia
viene liberata tramite uno sciame sismico, cioe' una serie di scosse
di energia relativamente piccola, che puo' durare anche alcuni mesi.
Di solito, uno sciame sismico non e' la premessa ad una scossa di
maggiore energia. Il problema sta nella grande complessita', oltre
che nella inaccessibilita', dell'interno della Terra. I rilasci di
energia sismica avvengono infatti tramite il rapido scorrimento dei
lembi di grandi fratture, chiamate faglie, che sono presenti nella
litosfera. Cio' che rende impossibile, allo stato attuale, prevedere
i terremoti e' la nostra ignoranza riguardo ai movimenti delle
placche litosferiche, alla posizione e alla geometria delle faglie,
alle condizioni di sforzo cui sono sottoposte, alla resistenza che
esse oppongono allo scorrimento. Ottenere queste informazioni e'
difficile, perche' e' solo in occasione dei grandi terremoti che
possiamo raccogliere dati sufficienti a delineare un quadro delle
strutture sismogenetiche presenti in una certa regione, ma questo e'
possibile solo se la regione stessa e' dotata, al momento del
terremoto, di una rete strumentale sufficientemente fitta, il che
avviene oggi solo in alcune regioni della California e del Giappone.
Finche' il quadro non sara' completo, le informazioni raccolte non
permetteranno di dire alcunche' di certo sul terremoto successivo che
colpira' la stessa regione, il quale potra' avere origine da una
faglia diversa, non ancora individuata. In un terremoto medio-grande,
possono essere coinvolte piu' faglie vicine e le modalita' con cui
l'energia viene rilasciata dipendono, oltre che dalla geometria del
sistema di faglie, anche dalle asperita' presenti sui lembi delle
stesse, secondo un complicato processo di trasferimento dello sforzo
da un'asperita' all'altra. Questo meccanismo fisico spiega il perche'
della molteplicita' delle scosse che caratterizza di solito gli
eventi sismici. Nei loro movimenti, che possono essere anche lenti e
quindi asismici, le faglie, o i diversi segmenti di esse,
interagiscono tra loro, col risultato che lo sforzo viene trasferito
e concentrato laddove esistono asperita' che ostacolano lo
scorrimento. Le dimensioni di tali asperita' e la loro distribuzione
sulle faglie sono i fattori che determinano la grandezza e la
successione delle scosse. In questa situazione, e' inevitabile che i
terremoti che si susseguono nel corso dei secoli in una stessa
regione siano diversi l'uno dall'altro. Per questo motivo, non sempre
un dato sito viene colpito con la stessa intensita' e il fatto che un
edificio abbia resistito per alcuni secoli non garantisce che
continui a farlo per il futuro. Inoltre e' evidente che l'effetto dei
terremoti sulle strutture e' cumulativo: in assenza di incisivi
interventi di consolidamento, le piccole lesioni che ogni terremoto
produce indeboliscono sempre piu' gli edifici nel corso del tempo. E
la situazione puo' essere aggravata da interventi edilizi
inappropriati. Va pero' detto che, anche qualora i terremoti fossero
prevedibili con largo anticipo, cio' consentirebbe forse di salvare
le vite umane, ma non di evitare i danni al patrimonio edilizio e al
contesto socio-economico dell'area colpita. Come e' stato ripetuto in
questi giorni, se si vogliono ridurre al minimo i danni agli edifici,
oltre che alle persone, occorre procedere a un intervento sistematico
di consolidamento del patrimonio edilizio in tutte le aree ad elevato
rischio sismico. Si tratta di un intervento imponente, perche' queste
aree costituiscono quasi la meta' del territorio italiano e
contengono migliaia di centri storici: esso potra' essere realizzato
solo in un lungo arco di tempo. Ma e' l'unico modo che conosciamo per
ridurre il rischio per le popolazioni e per salvare un patrimonio
destinato altrimenti ad andare progressivamente distrutto. Michele
Dragoni Direttore del Dipartimento di Geologia e Geofisica
Universita' di Bari
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN EDICOLA
Einstein e' diventato un cd-rom
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI fisica, elettronica, didattica
ONOMI EINSTEIN ALBERT, REGGE TULLIO
OORGANIZZAZIONI LA STAMPA, SPECCHIO DELLA STAMPA, ZANICHELLI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS physics, electronics, didactics
E = mc2, cioe' Energia = massa per la velocita' della luce elevata al
quadrato, fondamentale conseguenza della teoria della relativita'
speciale di Albert Einstein, e' forse la formula piu' citata al
mondo, ma sicuramente anche la meno compresa. E' facile farsi belli
con dotte citazioni ma raramente si e' poi capaci di spiegare che
cosa sono spazio e tempo, o massa ed energia, o quale relazione leghi
queste grandezze, e via discorrendo. Per divulgare l'opera dello
scienziato piu' famoso di tutti i tempi l'Editrice La Stampa ha
realizzato il cd-rom «VirtLab Einstein», che sara' diffuso il 4
ottobre con il settimanale «Specchio» al prezzo di 24.500 lire
(quotidiano e magazine inclusi). A far luce sulle fondamentali
scoperte del piu' grande scienziato del nostro secolo, una guida
d'eccezione, il fisico Tullio Regge, che spiega la relativita' con
parole elementari e continui riferimenti alla quotidianita',
aiutandosi con cartoni animati e senza usare neppure una formula. Il
cd-rom e' diviso in cinque sezioni. C'e' un'«Aula» dove ascoltare
brevi lezioni su punti fondamentali della teoria della relativita'
(scritte dallo stesso Regge), un «Laboratorio» per effettuare alcuni
semplici esperimenti virtuali e far sedimentare cio' che si e'
imparato e una «Biblioteca» ricca di testi di approfondimento, di
informazioni bibliografiche sui personaggi della fisica negli Anni 20
e 30 e di un glossario. La figura di Albert Einstein e' raccontata a
tutto tondo nella sezione «Chi era?», mentre facendo un salto
all'«Edicola» si possono trovare numerosi articoli divulgativi sulla
relativita' apparsi su «Tuttoscienze» ed e' anche possibile
«incontrare» Tullio Regge per intervistarlo. Molto apprezzabili, poi,
alcuni strumenti di supporto alla navigazione, che non sono cosi'
scontati nei cd-rom oggi sul mercato, e che sono indice di qualita'.
Il «Logbook», per esempio, che mette in evidenza le parti gia' viste
e quel che ancora resta da affrontare, mentre con la «Mappa» e'
possibile spostarsi all'istante in qualsiasi parte del programma, con
estrema agilita' e senza passare dal menu'. Grazie alla
collaborazione della Zanichelli, in primavera «VirtLab Einstein»
verra' affiancato da una nuova versione, con taglio piu' scolastico e
rivolto agli insegnanti. Una volta incuriositi gli allievi con il
primo dischetto, con il secondo (dove la matematica e la fisica del
liceo trovano il giusto spazio) i docenti saranno aiutati nel
proporre tali argomenti in classe. Perche' acquistare questo cd- rom?
Sembrera' prosaico, ma un ottimo motivo e' il rapporto
qualita'-prezzo. E' cosa rara trovare oggi un multimedia curato ed
efficace a un costo cosi' contenuto. In secondo luogo perche', dal
punto di vista di chi ama la scienza, si tratta di un'iniziativa
editoriale da sostenere. In Italia c'e' un'ottima cultura umanistica,
mentre la cultura scientifica e' zoppicante e trascurata. Eppure
viviamo in un mondo sempre piu' tecnologicizzato dove, se vogliamo
essere padroni delle nostre scelte, e' indispensabile possedere
nozioni basilari di fisica, informatica, genetica... Con questi
obiettivi e' nato il progetto VirtLab (che si inserisce in una linea
di altri cd-rom gia' prodotti da La Stampa, come la raccolta completa
degli articoli di Tuttoscienze) e che ha in calendario la
realizzazione di altri cd-rom dedicati ai maggiori scienziati della
storia. Andrea Vico
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SVOLTA DOPO LA CRISI
Marte, piccoli satelliti e Space Station
C'e' anche un razzo nei programmi italiani per i prossimi cinque anni
OGENERE intervista
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, progetto
OPERSONE BIGNAMI GIOVANNI
ONOMI BIGNAMI GIOVANNI
OORGANIZZAZIONI ASI, ESA, NASA, FIAT AVIO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND interview
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, plan
PER una settimana Torino sara' la capitale mondiale delle attivita'
spaziali. Dal 6 al 10 ottobre il Lingotto ospitera' il 48o
International Astronautical Congress: 2000 esperti - leader di Nasa,
Esa e tutte le altre agenzie, manager di industrie aero-spaziali,
astronauti, scienziati - discuteranno su come sviluppare il business
dello spazio. L'Italia e' il terzo contribuente dopo Germania e
Francia nelle imprese spaziali europee e ha forti interessi
commerciali: Alenia sta costruendo in catena di montaggio i satelliti
del sistema Globalstar per il telefonino planetario ed e' molto
coinvolta nella Stazione spaziale internazionale che si incomincera'
a montare in orbita tra meno di un anno. Anche nella ricerca pura
l'impegno italiano e' forte, sia con l'Esa, l'agenzia spaziale
europea, sia con l'Asi, la nostra agenzia nazionale. Qui, dopo anni
di scontri interni, di paralisi e di sprechi, i problemi di gestione
sembrano finalmente risolti e si guarda a programmi ambiziosi. L'Asi
sta per consegnare al Cipe il piano spaziale nazionale 1998-2002, per
il quale sono gia' stanziati 6500 miliardi in 5 anni al netto dei
debiti, un finanziamento piu' alto rispetto agli attuali 1050
miliardi annui. Ne parliamo con Giovanni Bignami, neodirettore
scientifico dell'Asi, 53 anni, docente universitario, astrofisico
delle alte energie, implicato nelle ricerche con il satellite Cos-B,
premiato nel '93 dall'American Astronomical Society per un lavoro
ventennale sulla pulsar Geminga. Professor Bignami, quali sono gli
obiettivi dell'Asi? «Prima di tutto confermare la nostra forte
presenza nell'Esa, ai cui programmi contribuiamo con circa il 15 per
cento. Quanto all'attivita' nazionale, la scelta strategica e' quella
di fare dei piccoli satelliti scientifici. Abbiamo interpellato la
comunita' scientifica, ottenendo ben 41 proposte». Come avverra' la
scelta? «Entro dicembre ne selezioneremo 5 per le quali si fara' lo
studio di fattibilita' nel 1998. Sono in corsa satelliti per
astronomia, osservazione della Terra, fisica fondamentale, con masse
da 100 a 350 chilogrammi. A fine 1998 si scegliera' la prima missione
vincente. Contiamo di vararne una ogni due anni, a costi di circa 50
milioni di dollari ciascuna» Che ruolo avra' l'Asi nella Stazione
spaziale internazionale? «L'investimento fatto e' grande, quindi
dobbiamo trarne benefici proporzionali, sia commerciali sia
scientifici. L'Italia gioca su due tavoli: abbiamo un accesso alla
stazione tramite l'Esa e un accesso diretto Asi- Nasa. L'Esa ha
selezionato 4 proposte italiane su un totale di 8: quindi finora
siamo rappresentati al di sopra della nostra partecipazione
economica. L'Asi inoltre dispone di alcuni esperimenti sulla stazione
per contatti diretti con la Nasa: saranno esperimenti prevalentemente
di scienze della vita». Ci sono programmi di esplorazione
planetaria? «Il programma principale e' l'esplorazione di Marte, sia
nell'Esa, con la sonda Mars Express, sia con la Nasa: in Sardegna
dovremmo realizzare un'antenna parabolica da 64 metri che potrebbe
servire alla Nasa per inseguire le sue sonde. Con l'Esa sono in
programma anche missioni alla Luna e a Mercurio, oltre, ovviamente,
la missione Rosetta per lo studio delle comete». In astrofisica che
cosa si prepara? «Partecipiamo con l'Esa alle missioni Xmm (raggi
X), Integral (raggi gamma), First (infrarosso) e Planck (radiazione
di fondo). Guardando al futuro la cosa piu' importante e' NGST, New
Generation Space Telescope, un telescopio molto ambizioso, con una
apertura da 6 a 8 metri, collocato in uno dei punti di librazione di
Lagrange». Poi c'e' l'osservazione della Terra... «L'osservazione
della Terra e' una nuova dimensione del programma scientifico Esa e
noi vi partecipiamo anche con ricerche di geofisica». L'Italia potra'
finalmente contare su un proprio razzo, per esempio il lanciatore
Vega gia' in avanzata fase di progettazione da parte di Fiat-Avio?
«Senz'altro c'e' la volonta' di fare un lanciatore adatto a mettere
in orbita piccoli satelliti; l'idea e' di sviluppare una
collaborazione Italia-Francia. La base di Malindi, in Kenya, verra'
mantenuta ma i lanci potrebbero anche avvenire da Kourou». Piero
Bianucci
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
I cristalli del Bianco
OGENERE breve
OARGOMENTI chimica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, AOSTA (AO)
OKIND short article
OSUBJECTS chemistry
Venerdi' scorso e' stata inaugurata a Punta Helbronner, 3462 metri di
quota, la mostra permanente «Cristalli del Monte Bianco», realizzata
dalla societa' delle funivie del Bianco e dall'assessorato alla
cultura della Valle d'Aosta con il supporto tecnico dell'Associazione
regionale di mineralogia. E' il museo piu' alto d'Europa e sara'
aperto tutto l'anno compatibilmente con le esigenze di manutenzione
della funivia che collega Courmayeur a Chamonix e che ha come punti
di massima quota la Punta Helbronner sopra il rifugio Torino in
Italia e l'Aiguille du Midi in Francia. La mostra ospita le
collezioni «Franco Lucianaz» e «Roberto Ferronato», dal nome dei due
valdostani che per anni hanno raccolto i minerali. Vi sono stupendi e
variatissimi cristalli di quarzo che sono classici dell'area del
Monte Bianco, sia nella varieta' ialina (incolore e trasparente), a
volte dotata di un'«anima» di inclusioni fluide, sia in quella
affumicata, talvolta accompagnata da una bellissima fluorite rosa o
da inclusioni verdi di clorite o rosse di ossidi di ferro. Altri
minerali da ammirare in belle cristallizzazioni sono l'adularia, la
titanite, la pirite, la galena, la molibdenite, la calcite, il
berillo, i granati, le miche, le tormaline. Come mostra ospite, in
questi giorni e' presente una bella esposizione del Museo di Scienze
naturali di Torino curata da Giorgio Peyronel. (b. ba.)
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Scienza e pubblico dibattito a Pisa
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PISA (PI)
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
Alla Scuola Normale di Pisa si terra' l'8 ottobre il dibattito
«Scienza e pubblico: comunicare nella correttezza». Intervengono
Margherita Hack, Franco Bassani, Paola De Paoli, Franco Conti, Gianni
Fochi, Franco Foresta Martin, Franco Prattico, Giorgio Celli,
Giuliano Toraldo di Francia, Sergio Carra', Piero Bianucci. Tel.
050-509.317.
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Padova paranormale: congresso Cicap
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI CICAP
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PADOVA (PD)
OKIND short article
OSUBJECTS research
Il 25 e 26 ottobre si svolgera' all'Universita' di Padova il quinto
convegno del Cicap, Comitato italiano per il controllo delle
affermazioni sul paranormale. Interverranno Piero Angela, Enrico
Bellone, Luciano Arcuri, Steno Ferluga, Riccardo Luccio. Tra i temi
affrontati, il fenomeno New Age, la bioarchitettura e la
pranoterapia. Per informazioni, tel: 0426-220.13.
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. STORIA DELLA TECNOLOGIA
E lo schermo imparo' a parlare
Settant'anni fa, con Al Jolson, il primo film sonoro
OGENERE anniversario
OAUTORE VALERIO GIOVANNI
OARGOMENTI storia della scienza, tecnologia, acustica, cinema
ONOMI BARON AUGUSTE, JONSON AL
OORGANIZZAZIONI WARNER BROTHERS, WESTERN ELECTRIC, DOLBY
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, CALIFORNIA, LOS ANGELES
OKIND anniversary
OSUBJECTS history of science, technology, acoustics, cinema
CHARLIE Chaplin amava ripetere, dall'alto della sua arte e della sua
saggezza, che «l'essenza del cinematografo e' il silenzio». E' quindi
probabile che, se fosse ancora tra noi, all'attore-regista divenuto
famoso nei panni di Charlot, il personaggio-simbolo del cinema muto,
non piacerebbe ricordare che, proprio settanta anni fa, il cinema
conquistava la parola. Il 6 ottobre 1927, infatti, veniva proiettato
«Il cantante di jazz», un film nel quale il faccione dipinto di nero
di Al Jolson si agitava sullo schermo mentre dalla sua grande bocca
bianca, per la prima volta, uscivano anche dei suoni. Come spesso
succede nella storia della scienza e della tecnologia, anche il
cinema sonoro e' frutto di una serie di spinte economiche e di
progressi tecnici, cominciati gia' nel 1898, pochi anni dopo
l'invenzione dei fratelli Lumiere, quando il francese Auguste Baron
deposita un brevetto «per registrare e riprodurre simultaneamente le
scene animate e i suoni che le accompagnano». Dopo numerosi
tentativi, il progetto riesce alla Warner Brothers, una delle
maggiori case di produzione hollywoodiane che, in una situazione
finanziaria molto grave, investe tutto sulle ricerche nel sonoro,
sostenuta dalla Western Electric. La scommessa e' vincente: dopo un
mediocre «Don Giovanni e Lucrezia Borgia» del 1926, non ancora
parlato ma accompagnato solo da un commento musicale registrato,
l'anno successivo esce «Il cantante di jazz». Nel mondo del cinema e'
una rivoluzione. La musica (non piu' affidata al pianoforte o
all'orchestra in sala, come accadeva all'epoca del muto) e,
soprattutto, la parola sconvolgono Hollywood. Molti attori dalla voce
mediocre si avviano al viale del tramonto, i registi si sentono
perduti in uno spettacolo dove i dialoghi diventano dominanti. Nelle
polemiche fra i paladini del muto (Chaplin in testa) e gli entusiasti
del nuovo mezzo, il pubblico pero' non ha dubbi e accoglie
trionfalmente il sonoro. A meta' degli Anni 30, tutte le case
cinematografiche seguono l'esempio della Warner e i film parlati non
sono piu' una novita', ma una necessita'. Il primo metodo utilizzato
su larga scala per la sonorizzazione dei film e' la colonna sonora
fotografica, detta anche ottica, perche' sfrutta la luce. Su un'area
opaca della pellicola, con procedimenti fotografici si fissano
sottili tracce che variano in ampiezza al variare del suono. Quando
il film viene proiettato, un sottile fascio di luce attraversa le
tracce, percependone le variazioni. Una cellula fotoelettrica
converte la luce in un segnale elettrico che varia allo stesso modo e
che viene infine amplificato e convertito in suono dagli altoparlanti
nella sala. E' un metodo senza dubbio economico, perche' la colonna
sonora viene stampata sulla pellicola contemporaneamente alle
immagini, ma di qualita' molto bassa e con suono non stereofonico.
Proprio per questo, negli Anni 50 viene introdotta la colonna sonora
magnetica. Sul margine della pellicola viene incollata una sottile
striscia di ossido di ferro, che contiene le informazioni sonore,
lette poi dalle testine magnetiche contenute nel proiettore. E' un
significativo passo in avanti: la qualita' e' nettamente migliore e
c'e' la possibilita' di fissare tracce multiple per il suono
stereofonico. Voci, musiche e rumori di fondo possono essere
ascoltati da altoparlanti posti al centro, a sinistra o a destra
degli schermi giganti che vengono introdotti proprio in questi anni,
aggiungendo ancora maggiore realismo al cinema. Nonostante i costi
elevati (da 2 a 14 volte quelli di una traccia ottica), con questo
metodo sono girati kolossal come «La tunica» o «Il giro del mondo in
80 giorni». Ma la colonna sonora fotografica, poco costosa e di
facile manutenzione, continua a dominare fino agli Anni 70, quando i
laboratori Dolby riescono a sviluppare un nuovo processo, sempre
ottico, il Dolby Stereo. Nello spazio riservato alla colonna sonora
convenzionale ci sono due tracce che portano non solo le informazioni
di un suono stereo, ma anche quelle per un terzo canale al centro
dello schermo e per un quarto («surround»), destinato ai suoni
naturali e agli effetti speciali sonori. Il suono stereofonico
diventa cosi' alla portata delle tracce ottiche, stampate sempre
simultaneamente ai fotogrammi, poco costose e di facile manutenzione.
Negli Anni 90 la parola-chiave (non solo nel cinema) e'
«digitalizzazione». Cosi', anche la riproduzione del suono e'
diventata digitale. I ricercatori della Dolby hanno messo a punto il
metodo Dolby Sr-D (Spectral Recording-Digital), che puo' essere
stampato sulle pellicole insieme alla corrispondente traccia
analogica, in questo modo la colonna sonora puo' essere ascoltata
anche dai riproduttori tradizionali. Per il suono digitale, e' in
pieno svolgimento una guerra commerciale e tecnologica, nella quale
non si risparmiano colpi bassi: il Dts (Digital Theater System),
lanciato nel 1993 per l'uscita del primo «Jurassic Park», non e'
altro che la copia del francese Lc Concept. E anche l'Sdds (Sony
dynamic digital sound) e il Thx di LucasFilm sono entrati nel
conflitto. Intanto le ricerche sembrano puntare a un suono
tridimensionale, simile a quello che sentiamo ogni giorno nella
realta'. Per completare la verosimiglianza della grande illusione del
cinema. Giovanni Valerio
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. E' SUCCESSO IL 6 SETTEMBRE
Incidente cosmico evitato
Un grande bolide nel cielo italiano
OAUTORE BATTISTON ROBERTO
OARGOMENTI astronomia, fisica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PERUGIA (PG)
OSUBJECTS astronomy, physics
RIPRENDIAMO con nuovi particolari una notizia gia' data da
«Tuttoscienze» due settimane fa. E' la tranquilla sera di sabato 6
settembre, non e' ancora mezzanotte, le stelle splendono sopra i
colli di Perugia. La gente prende il fresco al Colle della Trinita',
non c'e' fretta di rientrare. Improvvisamente un chiarore cancella le
stelle: uno, due lampi diffusi, seguiti da un boato. Le ipotesi si
rincorrono: un incidente, fuochi d'artificio, la nuova pubblicita'
della grande discoteca giu' nella piana. Un po' di attesa, ma poi non
accade nulla, comincia ad essere tardi, si torna a casa. Una scia
luminosa e' stata osservata sull'Italia centrale, dove per giorni si
parlera' dell'avvistamento di un Ufo. C'e' anche una testimonianza
dal Piemonte, giunta a «Tuttoscienze». Pochi pero' si sono resi conto
di cio' che e' successo: abbiamo rischiato grosso. La Terra ha appena
incrociato l'orbita di un asteroide di alcuni metri di diametro. Uno
dei milioni che orbitano attorno al Sole. Se le sue dimensioni
fossero state 10-20 volte piu' grandi e fosse precipitato, questo
articolo non sarebbe stato scritto per la prematura scomparsa del suo
autore. Se fosse stato cento volte piu' grande avrebbe causato una
catastrofe di dimensioni mai viste a memoria d'uomo. Si e' trattato,
probabilmente, di un raro caso di «sfioramento»: pare che l'asteroide
non sia precipitato ma abbia continuato la corsa lungo la sua orbita.
Nel 1908, in Siberia, ando' peggio. Sopra i boschi di Tunguska, un
oggetto di circa 50 metri di diametro esplose nell'atmosfera,
rilasciando l'energia di una bomba atomica da 10 megatoni (una bomba
di potenza media) e incendiando una zona di migliaia di chilometri
quadrati. Senza nemmeno raggiungere la superficie della Terra e
creare un cratere. Ma anche questo evento impallidisce rispetto
all'effetto devastante dell'impatto dell'asteroide da 10 chilometri
che circa 65 milioni di anni fa colpi' la Terra con una energia pari
a 50 milioni di megaton, 5000 volte l'energia dell'odierno arsenale
atomico, causando la scomparsa del 75 per cento delle specie viventi,
tra cui i dominatori di allora, i dinosauri. La storia dei pianeti
del sistema solare e' segnata da incontri piu' o meno fatali, con
altri corpi celesti decisi a non dare la precedenza. Non ci rendiamo
conto della pericolosita' di questi incontri ravvicinati, perche'
essi sono rari. Ma su tempi cosmici, i pianeti vengono bombardati a
ritmo incessante, per lo piu' aumentando la loro massa a spese di
qualche escoriazione, qualche volta perdendo dei pezzi o addirittura
frantumandosi. Tutti conosciamo il fenomeno delle stelle cadenti. Si
tratta delle scie lasciate da asteroidi grandi come granelli di
sabbia, che evaporano per l'attrito con l'aria negli strati alti
dell'atmosfera. La Terra e' colpita continuamente da questi
frammenti. Parecchie volte al mese invece e' colpita da un asteroide
di qualche metro. Ogni due o trecento anni incappiamo in un asteroide
come quello di Tunguska, ogni duecentomila anni in un asteroide da
qualche centinaio di metri, grande a sufficienza per mettere in serio
pericolo l'intera umanita'. Queste le statistiche. Ma la pura
statistica puo' trarre in inganno. Un evento del genere puo' capitare
fra un anno, pur rispettando la predizione statistica. E' come con un
incidente in automobile: averne uno e' improbabile, ma puo' succedere
di averne due di seguito. Uno delle molte migliaia di asteroidi della
fascia che sta tra Marte e Giove, potrebbe prendere un'orbita anomala
e puntare all'improvviso verso di noi. Oppure uno degli asteroidi
dall'orbita irregolare che attraversano da miliardi di anni le orbite
dei pianeti interni. Ce ne accorgeremmo solo pochi mesi prima
dell'impatto, questi oggetti scuri sono infatti difficilissimi da
vedere, probabilmente troppo tardi per fare qualche cosa, a meno di
non avere sviluppato la tecnologia adatta. Si puo' fare qualche cosa
contro una montagna di dieci chilometri di diametro lanciata a decine
di migliaia di chilometri all'ora contro la Terra? In linea di
principio e' possibile lanciare una navicella che per mezzo di una
esplosione nucleare, o di una appropriata spinta applicata
all'asteroide, lo frammenti o meglio ne modifichi la traiettoria quel
tanto che serve per evitare l'impatto con la Terra. Ma questa tecnica
non e' mai stata provata, ed il suo sviluppo richiederebbe ingenti
investimenti. Se, da una parte il rischio e' basso la posta in gioco
e' pero' altissima: per cui il problema esiste. Nel 1993 la cometa
Shoemaker-Levy, che per miliardi di anni aveva gravitato
tranquillamente attorno al Sole, nel giro di pochi mesi fu attratta
da Giove e frantumata dagli effetti di marea in una ventina di
frammenti di qualche chilometro di diametro. Nel 1994 i frammenti
caddero in rapida successione su Giove ad una velocita' di 200.000
chilometri l'ora, liberando una gigantesca energia. Le macchie create
dalle onde d'urto dei vari impatti, superarono il diametro della
Terra. Fu per gli astronomi un fenomeno straordinario. Ma anche per i
politici: la stessa settimana il Congresso americano approvo' una
legge che prevede entro il 2005 il censimento di tutti i corpi di
piu' di un chilometro di diametro la cui orbita puo' interessare il
nostro pianeta. In collaborazione con il Dipartimento della difesa e
le agenzie spaziali dei vari Paesi. Da anni questo provvedimento era
stato richiesto dalla comunita' scientifica americana, ma solo di
fronte alla catastrofe gioviana il potere politico ha iniziato a
prestare ascolto agli scienziati. Per fortuna l'evento «convincente»
e' avvenuto su di un altro pianeta. Roberto Battiston Universita' di
Perugia
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. SUCCESSO AL JET
Energia da fusione un record europeo
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI energia, fisica
ONOMI BERTOLINI ENZO
OORGANIZZAZIONI JET
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, CULHAM
OSUBJECTS energy, physics
IL traguardo di una energia quasi illimitata, pulita e a basso costo
e' piu' vicino: per la prima volta la fusione nucleare ha prodotto
meta' dell'energia spesa per innescare la reazione. Prima il rapporto
era 10 di spesa e 1 di ricavo. La meta finale, ovviamente, e' un
reattore dal quale esca piu' energia di quella che si spende. Il
nuovo primato e' stato stabilito lunedi' a Culham, in Inghilterra,
dove sorge l'impianto sperimentale Jet (Joint Experimental Torus),
una collaborazione tra tutti i Paesi dell'Unione Europea piu' la
Svizzera. Spiega Enzo Bertolini, veronese, 64 anni, laurea in
ingegneria e in fisica, capo del gruppo italiano a Culham: «Abbiamo
immesso una miscela in parti uguali di deuterio e trizio, i due
isotopi pesanti dell'idrogeno. Per riscaldare la miscela a molti
milioni di gradi e mantenerla compatta tramite potenti campi
magnetici sono stati necessari circa 24 megawatt di energia. La
fusione di deuterio e trizio in elio ha liberato 12 megawatt: un
risultato molto incoraggiante». Un primo successo fu ottenuto il 9
novembre 1991: allora il Jet genero' un po' meno di due megawatt
spendendone 16. Il record passo' poi agli Stati Uniti, dove una
macchina sperimentale che ha terminato il suo ciclo di ricerche nella
scorsa primavera, ha raggiunto i 10 megawatt. Adesso il primato e'
tornato in Europa. Dopo il successo del 1991 il Jet e' stato
modificato per poter usare la miscela di deuterio e trizio al 50 per
cento, simile a quella che si pensa di adottare nei reattori a
fusione commerciali, quando si riuscira' a realizzarli. Nella
ristrutturazione, e' stato aggiunto un «divertore» magnetico che
consente di concentrare il plasma meglio e piu' a lungo. Al Jet
lavorano 700 scienziati e tecnici. L'Italia partecipa ai
finanziamenti tramite Enea e Cnr. Il budget annuale e' di 78 milioni
di Ecu, circa 70 miliardi di lire, ma in queste settimane i
ricercatori sono in ansia per le incertezze che gravano sul futuro
dei finanziamenti. A livello di collaborazione mondiale, il prossimo
passo sara' la realizzazione di Iter, un reattore a fusione che
dovrebbe portare a soluzioni decisive per poter costruire la prima
centrale commerciale. La fusione nucleare e' il processo energetico
che tiene accese le stelle e che avviene in modo esplosivo nella
Bomba H. Per giungere a una fusione non esplosiva ma controllata i
problemi tuttora aperti sono parecchi: bisogna far durare la reazione
piu' a lungo senza sporcare le pareti della camera di combustione,
realizzare materiali che resistano a forti flussi di neutroni e a
temperature di centinaia di milioni di gradi, e poi trasformare il
calore ottenuto in elettricita'. Difficile fare previsioni sui tempi.
Diciamo che intorno al 2050 forse potremo accendere la luce pensando
che l'elettricita' arriva da una centrale funzionante, in piccolo,
esattamente come il Sole e le altre stelle.(p. bia.)
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. NELLE BRUGHIERE SCOZZESI
Pernici in declino
In crisi i proprietari delle riserve
OAUTORE CIMA CLAUDIO
OARGOMENTI zoologia, ecologia, sport, caccia
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA
OSUBJECTS zoology, ecology, sport, hunting
FINO a qualche anno fa il «glorioso» 12 agosto, data di inizio della
stagione di caccia alla pernice rossa scozzese (Grouse, quella che
appare sull'etichetta di una nota marca di whisky; Lagopus scoticus),
era uno dei giorni piu' attesi nel calendario della Upper Class
britannica. Torme di signori danarosi e altolocati si radunavano in
avite residenze di campagna e si disperdevano nelle brughiere per la
caccia a questa pernice, unica della Gran Bretagna, il cui volo
veloce e radente e' sempre stato considerato come una sfida per il
piu' esperto fucile. L'evento trascendeva gia' in partenza il mero
fatto sportivo, essendo un rituale che si perpetua da oltre un
secolo, quando il Principe Alberto, marito della Regina Vittoria,
fece costruire il Castello di Balmoral anche per praticare questa
caccia. Contestualmente, l'arrivo dei primi uccelli uccisi a Londra,
per essere serviti sulle tavole dei migliori e piu' esclusivi
ristoranti, era salutato da tradizionali servizi sulla stampa
inglese. Non oggi, non piu': l'unico titolo e' stato quello per
riferire che un gruppo di ecologisti mascherati ha attaccato, sulle
alture di Durham, una comitiva di anziani e ricchi americani
convenuti per la caccia, lasciandone sei con gli occhi neri. Questo
episodio, e le recenti furibonde diatribe sull'opportunita' di
abolire la caccia (coi cani) alla volpe, altro pilastro
dell'establishment britannico, hanno convinto i proprietari delle
grandi riserve di caccia a scegliere una strategia di basso profilo:
nessuna ostentazione, pochi giornalisti, invitati e graditi. Una
campagna per abolire questo sport potrebbe anche vincere, stima
l'«Economist», ma con dure conseguenze contabili. Benche'
nell'insieme i cacciatori spendano (vitto, alloggio, equipaggiamento
a parte) anche 15.000 sterline al giorno, la maggior parte dei
proprietari delle riserve e' in perdita. La Confederazione dei
proprietari scozzesi, che rappresenta la meta' delle riserve
britanniche, ha dichiarato di avere speso nel '94, 14 milioni di
sterline per la manutenzione e cura delle distese di erica, habitat e
fonte di cibo per gli uccelli, ricavandone solo un guadagno di
quattro milioni. Loro si definiscono «protezionisti» per eccellenza e
non ammettono che qualcuno li accusi di scarsa sensibilita'
ecologica: senza di noi, avvertono, le brughiere si trasformerebbero
in distese di felci altissime (un vero flagello, tipico della Gran
Bretagna). In ogni caso, le loro azioni sono sotto attento controllo
da parte dei gruppi ambientalisti, fra cui la famosa Rspb, Royal
Society for the Protection of Birds, che accusano i loro
guardiacaccia di uccidere meta' degli animali prima che la caccia
inizi ufficialmente, quando maggiormente essi sono vulnerabili,
essendo appena usciti dalla stagione fredda. Altri dicono che lo
sport sia ininfluente anche come fonte di lavoro, oggi: ci sono solo
530 guardiacaccia in tutta la Scozia, trent'anni fa ce n'erano
migliaia: sarebbe meglio, dicono, convertire l'economia delle
brughiere verso scopi (eco)turistici, favorendo operazioni di
rimboschimento. In effetti, le grandi tenute di caccia, vaste come
meta' di una provincia italiana, sono in crisi: i proprietari avevano
all'inizio favorito lo sfruttamento ai fini venatori, effettuando
costose operazioni di drenaggio, e predisponendo, grazie anche a
cospicui sussidi della Forestry Commission, piantagioni di conifere.
Cosi' e' stato per la Riserva di Mar, 207 kmq nel cuore dei
Cairngorms, adiacente a quella, piu' piccola, della Regina (Balmoral,
solo 144 kmq): sino al 1960 di proprieta' dei Duchi di Fyfe, poi
venduta a un banchiere svizzero, poi ad un magnate della stampa
americano, ora e' stata acquistata, per 10 milioni di sterline (nella
cifra erano inclusi castelli, residenze, arredi) dal National Trust
for Scotland; l'Nts e' ora impegnato, con l'aiuto di volontari, a
riconvertire le brughiere di caccia, eliminando le canalette che
drenavano i colli, e favorendo, colmandole, la trasformazione
naturale. Le piantagioni di conifere verranno lasciate marcire. E le
pernici? Anche loro sembrano averne abbastanza. Stanno declinando
come numero; gli uccelli uccisi nel 1994, in Scozia, furono 64.000,
contro i 233.000 del 1989. Non pare che la cifra sia destinata a
cambiare molto quest'anno. Anche nei ristoranti si respira un'aria
bassa, benche' i primi esemplari siano stati offerti dai menu' del
Savoy e del Connaught gia' la sera del 12 agosto, altri grandi locali
hanno deciso di farne a meno. Infatti, secondo il maitre di Chez
Nico, a Park Avenue, i nostri clienti migliori sono sui loro yacht
nel Mediterraneo e, del resto, per godere la carne di questi uccelli,
gia' di per se' estremamente selvatica e fibrosa, bisogna averli
cacciati. Claudio Cima Universita' di Aberdeen (UK)
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. AUMENTA LA TEMPERATURA
La vegetazione alpina migra verso l'alto
OAUTORE OSELLA LEONARDO
OARGOMENTI botanica, ecologia, meteorologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, LA THUILE (AO)
ONOTE 2o Congresso «Ecologia e biogeografia alpine»
OSUBJECTS botany, ecology, meteorology
L'AUMENTO della temperatura media terrestre origina fenomeni vari che
gli scienziati stanno tenendo d'occhio. Tra questi la distribuzione
della flora in montagna, poiche' il calore ne agevola la propagazione
a quote finora non raggiunte a seconda delle latitudini: un fatto
positivo al quale puo' far da contraltare la scomparsa di specie che
si trovano ad affrontare a quote inferiori condizioni piu' difficili.
L'esame di questi equilibri e dell'evoluzione del pionierismo
vegetale sulle Alpi e' uno dei tanti temi toccati nei giorni scorsi
al 2o Congresso «Ecologia e biogeografia alpine» che si e' tenuto a
La Thuile, in Val d'Aosta. E' stata anche l'occasione per ricordare i
cento anni del Giardino Botanico Chanousia, fondato dall'abate Pierre
Chanoux e oggi situato in territorio francese a causa delle
spartizioni territoriali post- belliche. Hanno partecipato ai lavori
circa 140 studiosi iscritti, piu' un buon numero di uditori, e le
discussioni sono state suddivise in sette simposi. La questione della
diffusione vegetale ha ottenuto una notevole attenzione sia nel
seminario che ha trattato di «periodi glaciali e loro eredita'
genetica» (presidente il britannico Richard Abbot) sia in quello che
aveva per tema «le unita' di vegetazione delle Alpi e l'importanza
delle influenze esterne» (presieduto dall'elvetico Jean Paul
Theurillat): due aspetti diversi di una medesima realta'. Le tecniche
di ricerca basate sui metodi della biologia molecolare e della
chemotassonomia permette di valutare la variabilita' genetica di
molte specie artiche e alpine, suffragandola e confrontandola con i
dati ottenuti da reperti fossili, in particolare frutti, pollini e
semi. Se a questo si aggiungono le opportune considerazioni riguardo
i meccanismi particolari di sviluppo della vegetazione, e' anche
possibile disegnare un quadro probabilistico di cio' che potrebbe
succedere in futuro ipotizzando per esempio fra i parametri di
valutazione proprio quell'aumento di temperatura che si registra sul
globo terrestre. E a questo proposito forniscono preziose indicazioni
le osservazioni fatte in relazione a quanto gia' si conosce riguardo
la penetrazione della vegetazione mediterranea in zone alpine (dalle
Alpi liguri a quelle jugoslave, dal Friuli al lago di Garda). Un
altro tema ha tenuto banco in modo specifico nel simposio che si
occupava del «ruolo ecologico delle micorrize negli ecosistemi
alpini» (organizzatori Kurt Haselwandter di Innsbruck e Paola
Bonfante Fasolo di Torino). La micorriza e' il risultato di una
simbiosi tra l'apparato radicale di una pianta e un fungo. L'opinione
pubblica ne ha una conoscenza indotta, determinata dalla popolarita'
assunta da quella forma micorrizica commestibile che e' il tartufo.
Ma al di la' di questa fama da gourmet, la micorriza interessa i
botanici perche' e' un segno di stress nutrizionale da parte della
pianta, che ne trae cosi' benefici ai fini dell'assorbimento di
sostanze indispensabili e della crescita. Cio' e' stato ben
evidenziato, per esempio, studiando l'«Arnica montana», il lampone e
il mirtillo. Ne deriva un'importanza cruciale della micorrizazione
nel funzionamento degli ecosistemi e anzi il simposio ha dimostrato
proprio come le comunita' vegetali delle zone alpine, artiche e
subartiche siano dominate da piante micorriziche. Una componente di
rilevante importanza, e non solo in montagna, sono i licheni (forme
di associazione tra un fungo e un'alga) e le briofite (tra le quali
si annoverano per esempio muschi ed epatiche). Anche queste forme
vegetali sono finite sotto la lente dei botanici convenuti a La
Thuile, in particolare quelli che si occupano di fitogeografia e che
hanno lavorato nel simposio presieduto da Pier Luigi Nimis di
Trieste. Infatti dalle briofite si traggono indicazioni relative alle
variazioni climatiche e alla biologia delle zone acquitrinose
(sfagni), mentre i licheni costituiscono un indicatore prezioso del
grado di inquinamento dell'aria in insediamenti urbani vallivi. I
rapporti biologici pongono conflittualmente a contatto le piante con
gli insetti fitofagi, che da esse traggono alimento. Parametri
ecologici e genetici permettono di valutare la resistenza dei
vegetali a questi attacchi e di cio' si sono occupati i ricercatori
organizzati in simposio da Martine Rowell-Tahier di Neuchatel. Di
grande interesse, anche a livello progettuale, le discussioni che
hanno animato il gruppo coordinato da David Aeschimann, del
Conservatorio e Giardino Botanico di Ginevra. Qui si e' parlato di
progetti floristici e si sono definite alcune collaborazioni
interistituzionali e transfrontaliere, come ad esempio un piano per
la gestione della biodiversita' vegetale in Valle d'Aosta e in
Savoia. Da sottolineare infine, sempre per le prospettive progettuali
che la materia sottende, il ruolo dell'ingegneria naturalistica in
zone alpine. Il gruppo coordinato dal triestino Giuliano Sauli ha
fatto il punto della situazione sull'impiego di forme vegetali a
scopo antierosivo e di consolidamento del suolo. Fra i contributi in
merito, ne e' venuto uno dai ricercatori torinesi Siniscalco, Barni,
Montacchini e Rosa, riguardo un caso di inerbimento in piste da sci
della Valle di Susa. E anche qui hanno fatto capolino le micorrize,
che irrobustendo l'apparato radicale offrono un efficace supporto
all'attivita' di consolidamento del terreno. Leonardo Osella
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL TORDO BEFFEGGIATORE
Per amore fa anche il rumore del treno
Uccello eccezionale imitatore di suoni e canti di altre specie
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI DERRICKSON KIM, DERRICKSON MERRITT
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
OSUBJECTS zoology
SI dice poliglotta chi parla molte lingue. Quindi da un uccello
chiamato «mimo poliglotto» ci si aspetta che sappia fare altrettanto.
Ma non crediate che il Mimus polyglottus, un grazioso uccello dalla
lunga coda, si esprima in inglese, russo o tedesco. Lui si accontenta
di mimare il canto di altre specie di uccelli. E non e' davvero cosa
da poco, visto che e' capace di imitare il canto di moltissimi
colleghi canterini. Non solo. Nella sua mania di riprodurre i suoni
che gli giungono all'orecchio, e' capace di imitare perfettamente il
gracidio delle rane, il rumore di un treno o qualunque altro suono.
Per la verita', l'imitazione che il mimo poliglotta fa del canto di
altre specie e' leggermente diversa dal canto originario, ma la voce
dell'uccello imitato e' chiaramente riconoscibile nella versione del
mimo. Il singolare imitatore, chiamato anche «tordo beffeggiatore»,
vive nel Nordamerica, dalla California settentrionale fino allo Stato
di New York, a Nord-Est. A Sud si spinge fino al Messico e a molte
isole delle Antille. Pugnace, difende accanitamente il suo
territorio, ingaggiando spesso battaglie di confine con i vicini. Pur
di far valere i suoi diritti, non esita ad attaccare anche predatori
piu' grandi, come serpenti, animali domestici e perfino l'uomo. In
questa specie cantano maschio e femmina a differenza di quanto
avviene in altri uccelli canori, nei quali il canto e' prerogativa
maschile. Colui o colei che canta ha l'abitudine di ripetere la
stessa strofa fino a una dozzina di volte, prima di passare a quella
successiva. Non e' detto pero' che tutti i motivi siano rubacchiati
alle altre specie. Il mimo poliglotta e' un po' cantautore. Il suo
repertorio comprende infatti anche non pochi motivi originali. Ed e'
un repertorio che si arricchisce di giorno in giorno, perche', a
quanto risulta dalle ricerche di Merritt e Kim Derrickson dello Zoo
Nazionale di Washington, i maschi per lo meno continuano ad
aggiungere nuovi temi ai loro canti durante tutta la vita. E'
naturale che la gente si domandi quale funzione pratica abbia per
l'uccello un canto cosi' complesso. Si sono fatte molte ipotesi al
riguardo. La piu' popolare e' che il mimo poliglotta si serva
dell'eccezionale vocabolario canoro per tener lontane dal suo
territorio le altre specie di uccelli che hanno la stessa dieta. Ma
vari ricercatori che hanno studiato a lungo la biologia del mimo
poliglotto, tra cui Randall Breitwisch dell'Universita' di Dayton,
non sono di questo avviso. Sembra infatti che gli uccelli di molte
specie, di cui i mimi imitano il canto, si mostrino completamente
indifferenti quando si trovano vicini agli imitatori, per nulla
intimiditi. Gli studiosi ritengono invece che, in accordo con la
teoria darwiniana della selezione sessuale, la femmina scelga il
maschio che canta meglio. Il talento vocale del mimo poliglotto si
sarebbe sviluppato durante la sua storia evolutiva come risultato
della selezione sessuale. Allo stesso modo come la coda spettacolare
del pavone maschio si e' sviluppata in maniera esagerata perche' la
femmina nel corso dell'evoluzione ha dato sempre la preferenza ai
maschi dotati di code piu' belle e piu' grandi. E' emerso infatti
dalle ricerche degli studiosi che i mimi poliglotti scapoli cantano
molto piu' di quelli sposati. Cantano non solo di giorno, ma perfino
di notte. E c'e' da chiedersi quando trovino il tempo si schiacciare
un pisolino. Una volta pero' che lo scapolo ha trovato una compagna
attratta dalla sua serenata canora, il suo ritmo di canto diminuisce
sensibilmente. Ed e' stato anche dimostrato che gli uccelli rimasti
vedovi, immediatamente dopo la scomparsa della moglie, riprendono a
cantare a squarciagola, proprio come facevano quando erano scapoli.
Il canto degli uccelli sposati non e' sempre uguale. Raggiunge punte
massime durante la costruzione del nido, durante l'accoppiamento e la
deposizione delle uova. Cala invece sensibilmente durante il periodo
della cova e cessa del tutto durante l'allevamento dei piccoli.
Evidentemente per non attirare l'attenzione dei predatori in una fase
cosi' delicata del ciclo biologico. Ma gli uccelli riprendono a
cantare non appena i piccoli imparano a volare e lasciano il nido. E'
il momento in cui i genitori si devono dar da fare per costruire un
altro nido che possa accogliere la nuova covata. Questo ciclo puo'
ripetersi per tre o quattro volte durante la stagione riproduttiva.
Ma perche' i mimi poliglotti hanno bisogno di un repertorio vocale
cosi' ricco? Evidentemente la straordinaria varieta' di suoni
trasmette alla femmina in cerca di marito una quantita' di
informazioni sul pretendente. Le indica la sua eta', il suo stato
generale di salute, le sue capacita' e chissa' cos'altro ancora. I
vari canti vengono usati pero' in circostanze diverse. Derrickson ha
osservato che alcuni vengono usati dai maschi sposati quando questi
si trovano in compagnia delle rispettive consorti, altri invece
vengono usati quando l'uccello e' in volo. Raramente il maschio canta
durante il corteggiamento. Di tanto in tanto succede che i mimi
poliglotti divorzino. E' di solito la femmina che abbandona il
territorio del marito e va a stabilirsi in quello di un maschio
scapolo vicino. Succede di solito quando la covata e' andata a male -
le uova non si sono sviluppate o i nidiacei sono morti -. Noi umani
siamo subito pronti a darle la croce addosso e a trattarla da
adultera. Ma la natura ha le sue leggi inderogabili. L'uccello, cosi'
come l'animale in genere, ha un compito preciso: perpetuare la
specie. Percio' poco importa se la femmina riesca nell'intento con
l'aiuto di un maschio piuttosto che con quello di un altro. Tanto
piu' che spesso i nidiacei finiscono in pasto ai predatori, perche'
il padre si e' mostrato inefficiente e non ha saputo difendere
adeguatamente nido e prole. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. UNA RICERCA AL CERN
I raggi cosmici sono salutari?
Indagini sulle radiazioni nell'alta atmosfera
OAUTORE BRESSAN BEATRICE
OARGOMENTI fisica, ricerca scientifica
ONOMI O'SULLIVAN DENIS, SCHRAUBE HANS, SILARI MARCO
OORGANIZZAZIONI CERN
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA
OSUBJECTS physics, research
SI e' appena conclusa al Cern di Ginevra una campagna di misura per
confrontare e calibrare strumenti utilizzati sugli aeroplani per
misurare la radiazione cosmica. Si tratta di una serie di
esperimenti, due all'anno dal 1993, facenti parte del progetto
finanziato dalla Comunita' Europea. Dopo aver dedicato molti anni
allo studio del radon, della radiazione cosmica di fondo e della
radioattivita' intorno alle centrali nucleari, un gruppo si interessa
in modo sistematico ai campi di radiazione in quota per verificare se
gli equipaggi dei voli commerciali sono soggetti a rischio. Terminata
la prima fase, 1993-'95, la seconda fase del progetto, di cui fanno
parte il Dias (Dublin Institute of Advan ced Studies), l'Universita'
di Saarlandes e il Gsf in Germania, il National Radiological Protec
tion Board in Inghilterra, l'Agenzia per la protezione dell'ambiente
in Italia e, come sub- contractor, il Cern, l'Ssi (Swe dish Radiation
Protection Insti tute) di Stoccolma, l'Universita' di Siegen e il
Physikalisch Tech nische Bundesanstalt di Braunschweig, ha avuto
inizio 18 mesi fa. «E' la prima volta che mi occupo di dosimetria -
dice Denis O'Sullivan, responsabile del progetto e professore di
fisica dei raggi cosmici al Dias, l'Istituto fondato da Schrodinger
dopo la seconda guerra mondiale -, la mia area di ricerca e' la
fisica dei raggi cosmici. Nello spazio, essendoci meno materia, le
interazioni nucleari sono molto piu' rare di quelle che avvengono
nell'atmosfera terrestre. I raggi cosmici provenienti da stelle
distanti 10 milioni di anni luce, nel loro lungo viaggio attraversano
4 o 5 grammi di materia, contro i 1000 che incontrano nell'atmosfera
in un solo millesimo di secondo». In quota la dose da radiazione
aumenta a causa dei prodotti che emergono dalle interazioni nucleari
dei raggi cosmici con l'atmosfera e raggiunge un'intensita' massima a
circa 15 chilometri da terra. In volo l'esposizione non avviene mai a
livello del massimo: la maggior parte degli aeroplani commerciali
vola fra gli 11 e i 12 mila metri, mentre il Concorde viaggia a 17
mila metri. Tra le miriadi di particelle che si producono
dall'interazione dei raggi cosmici con l'atmosfera, i neutroni sono
responsabili di una grossa parte della dose totale: l'effetto
biologico dipende dallo spettro energetico della radiazione
neutronica. «Si tratta di un effetto radiologico globale - continua
O'Sul livan - che raggiunge valori misurabili, ma mai troppo elevati
e come tali poco dannosi per l'organismo. Solo nel momento in cui se
ne accumula una certa quantita' bisogna valutarne i rischi». Rischi
che comunque sono minimi considerando che mediamente un equipaggio
vola circa 1000 ore all'anno, un tempo la cui la dose integrata si
mantiene ancora a livelli bassi. Diverso il caso degli astronauti,
costretti a rimanere molto piu' tempo nello spazio (si pensi ad
un'eventuale missione su Marte, che durera' due anni). «Attualmente -
dice Hans Schraube del Gsf di Monaco - stiamo facendo un esperimento
di pura fisica per stimare poi durante l'ultimo anno del progetto gli
effetti dosimetrici. Finora non si e' trovata una relazione fra danno
biologico e radiazione incidente: non c'e' nessuna evidenza
sperimentale tra le dosi ricevute in volo e un possibile aumento dei
tumori. Cio' che invece si nota e' che la salute degli equipaggi e'
in media migliore di quella di un campione di riferimento
statisticamente confrontabile, con uguali caratteristiche e abitudini
sociali». Le dosi cui sono soggetti i piloti che viaggiano sulle
rotte atlantiche sono comprese tra 1 e 5 millesimi di Sievert
all'anno, dove il Sievert e' l'unita' di misura della dose
equivalente, non molto superiori al fondo naturale. Per rendere piu'
facile l'interpretazione dei dati, il progetto prevede di confrontare
i risultati acquisiti con diversi strumenti su rotte ben note. Tra
gli strumenti per la dosimetria delle radiazioni ionizzanti, quelli
di tipo attivo danno una risposta immediata grazie a un'elettronica
capace di analizzare il segnale inviatogli dal rivelatore. La Tissue
Equivalent Proportio nal Chamber (Contatore Propor zionale Tessuto
Equivalente), di cui si sta progettando una nuova versione all'Ssi di
Stoccolma, appartiene a questa categoria. E' un rivelatore delle
dimensioni di qualche centimetro riempito di una miscela di gas
carbonio, azoto, ossigeno e idrogeno, nelle stesse percentuali
presenti nel tessuto biologico. Ai valori di pressione opportuni
questo strumento e' in grado di riprodurre l'interazione radiazione-
tessuto a livello cellulare. Il Linus, Long Interval Neutron Sur
vey-meter (Rivelatore di Neu troni a Risposta Estesa), e' stato
sviluppato grazie a una collaborazione tra l'Universita' di Milano e
l'Infn (Frascati e Milano) a partire da uno strumento di tipo
Rem-Counter. Il Rem-Counter, inventato nel 1963, fornisce una
risposta direttamente in equivalente di dose e funziona bene per
neutroni nell'intervallo di energia dai termici fino a 10-15
MegaelettronVolt (MeV), essendo stato originariamente sviluppato per
lavorare nel campo dei reattori a fissione. In quota c'e' un grosso
contributo neutronico sopra i 10 MeV e per le misurazioni se ne
utilizza allora una versione modificata in grado di rivelare neutroni
fino a parecchie centinaia di MeV. «Partendo da un modello
commerciale chiamato Snoopy - dice Marco Silari, uno degli ideatori
del Linus e ora al Cern - siamo riusciti a sviluppare uno strumento
che oggi viene adottato in diverse forme in altri laboratori ed e'
gia' prodotto da due ditte, negli Stati Uniti e in Germania». I
rivelatori di tipo passivo che, come le pellicole radiografiche per
raggi X, registrano i valori della dose accumulata su lunghi
intervalli di tempo, consentono le letture dei dati sperimentali a
distanza di parecchi giorni l'una dall'altra. Questi dosimetri
infatti vengono fatti volare sulla stessa rotta per diversi mesi.
L'Nrpb partecipera' a un programma della Nasa per misure di
radiazione nella stratosfera, installando strumentazione e dosimetri
su un aereo militare in grado di volare a piu' di 20 chilometri di
quota. Bisognera' aspettare il prossimo meeting di aggiornamento, ai
primi di dicembre a Vienna, e la fine della seconda fase del progetto
a giugno del 1999, per quantificare definitivamente gli effetti
radiologici in quota. Beatrice A. Bressan
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Cento «Ariane» successo europeo
OGENERE breve
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OORGANIZZAZIONI ARIANE, BPD, FIAT AVIO
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
Il centesimo razzo «Ariane» e' stato lanciato con successo dalla base
europea di Kourou, nella Guyana francese. Costruito dalla
Aerospatiale, utilizza booster italiani della Bpd-Fiat Avio. «Ariane»
ha effettuato 29 voli negli ultimi 30 mesi, immettendo in orbita
quaranta satelliti; sono 180 i contratti stipulati dal 1980 ad oggi.
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Scienza dei materiali in un cd-rom
OGENERE breve
OARGOMENTI elettronica, didattica
OORGANIZZAZIONI GIUNTI
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS electronics, didactics
E' in libreria «Edumat, dalla pietra al microchip» (Ed. Giunti,
69.900 lire), un cd-rom didattico dedicato alla fisica e alla scienza
dei materiali rivolto alla scuola superiore e all'universita'. Lo ha
prodotto l'Istituto nazionale per la fisica della materia.
Informazioni: Infm di Genova, Francesca Gorini, telefono
010-659.87.42.
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Cassini e Saturno al Casino' di Sanremo
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, SANREMO (IM)
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
In parallelo con le «Giornate Cassiniane» in corso a Perinaldo,
mercoledi' 22 ottobre, al Casino' municipale di Sanremo, per la nuova
stagione di incontri letterari organizzata da Ito Ruscigni, Piero
Bianucci e Mario Di Martino terranno una conferenza con proiezioni
sul tema «Cassini alla conquista di Saturno», con riferimento sia
all'astronomo sia alla omonima sonda della Nasa che verra' lanciata
il 12 ottobre. Il giurista Giovanni Conso e lo scrittore Giuseppe
Conte saranno i conferenzieri di martedi' 14 e 28.
ODATA 01/10/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Cinema, scienza e archeologia
OGENERE breve
OARGOMENTI archeologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS archaeology
Dal 6 al 10 ottobre, a Rovereto, Festival del Cinema archeologico
organizzato da «Archeologia viva», la rivista edita da Giunti. Dal 14
al 18 ottobre, al Teatro Regio di Parma, «Prix Leonardo 97», festival
internazionale di film scientifici. Tema: «Il futuro del nostro
pianeta».
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. TECNICA DEI PONTI SOSPESI
Le strade campate in aria
Con i nuovi materiali in futuro sara' possibile costruire manufatti
lunghi dieci chilometri
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI tecnologia, trasporti, architettura
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. I ponti sospesi
OSUBJECTS technology, transport, architecture
I ponti sospesi sono il mezzo migliore per superare un profondo corso
d'acqua o una gola, o per scavalcare un estuario affollato di
imbarcazioni; questo perche' essi consentono campate molto piu' ampie
dei ponti poggianti su pilastri. Per la collocazione dei ponti
sospesi si scelgono siti che consentano fondamenta e ancoraggi molto
solidi, le forze che agiranno sulle diverse parti del manufatto sono
accuratamente studiate al computer e un modello in scala del ponte
viene provato nella galleria del vento per accertare che sia sicuro
in tutte le condizioni. Le strutture portanti dello Humber Bridge,
uno dei piu' famosi ponti sospesi del mondo inaugurato in Gran
Bretagna nel 1981, sono due torri di cemento armato alte 155 metri;
esse sorreggono i due cavi principali, tesi tra due ancoraggi
costituiti da due enormi blocchi di cemento affondati nel suolo e
situati sulle due sponde. La maggior parte del peso del ponte e'
trasferito dai cavi sulle torri; ogni ancoraggio pesa 300 mila
tonnellate e puo' sopportare una trazione di 20 mila tonnellate per
ciascun cavo. Il piano stradale e' costituito da 124 cassoni di
acciaio saldati insieme ognuno dei quali pesa 140 tonnellate. Questa
struttura ha una forma aerodinamica tale da consentire al vento di
attraversarla agevolmente; il piano viabile e' sospeso ai cavi
principali mediante tiranti. Anche senza veicoli i cavi principali, i
tiranti e il piano stradale pesano circa 30 mila tonnellate. Lo
Humber Bridge e' il piu' lungo ponte del mondo a campata unica; la
luce centrale misura 1410 metri mentre quelle laterali portano la
lunghezza totale a due chilometri. I materiali ad alte prestazioni
(nuovi tipi di acciaio e di cemento armato, compositi di fibre di
carbonio) fanno prevedere che nel prossimo secolo si possano
costruire campate addirittura di 10 chilometri. Infatti lo Humber
Bridge sara' presto superato dal Great Belt East Bridge che dovrebbe
essere completato in Danimarca entro il '97 (campata singola di 1624
metri) e dall'Akashi Kaikyo Bridge che sara' terminato in Giappone
nel '98 (luce centrale di 1990 metri e lunghezza totale 3910 metri).
1) Il ponte e' sorretto dall'alto dai cavi principali e dai tiranti e
dal basso dalle torri; le frecce indicano la tensione esercitata sui
cavi e la pressione sulle torri. 2) La posa dei cavi. Ognuno dei cavi
portanti e' composto di 37 fili di acciaio di 5 millimetri di
diametro. Ognuno di questi fili viene disteso al disopra delle torri
mediante una puleggia che scorre avanti e indietro tra una estremita'
e l'altra, quindi tutti i fili sono stretti insieme e compressi da
una pressa idraulica. Il cavo che ne risulta ha un diametro di 68
centimetri, contiene circa 15.000 fili e pesa circa 11.000
tonnellate. Per proteggerli dalla corrosione i singoli fili sono
galvanizzati; a sua volta il cavo e' cosparso di minio e infine
avvolto dentro una guaina di filo di acciaio galvanizzato. 3) Le
fondamenta in cemento armato delle torri sono costruite all'interno
di cilindri di calcestruzzo rinforzato affondati nel letto del fiume
e dai quali e' stata pompata via l'acqua. Le torri sono cave e
all'interno contengono ascensori che servono per la manutenzione.
4)Cavo. 5)Sella. 6)Pilastro. 7)Torre. 8)Ancoraggio del cavo. a)Camera
di separazione. b)Cavo. c)Barre di acciaio. d)Roccia. e)Cemento
armato. 9) Il piano stradale e' costituito da una serie di sezioni
simili a cassoni di acciaio; le diverse sezioni sono trasportate con
chiatte in corrispondenza della posizione che dovranno occupare e
quindi sollevate per mezzo di gru. Ogni sezione viene appesa ai cavi
per mezzo di tiranti e quindi saldata alla sezione contigua. 10)
Cassone di acciaio di forma aerodinamica. 11) Cavi di sollevamento.
ODATA 12/03/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
HALE-BOPP: SU INTERNET FOTO E ULTIME NOTIZIE
OAUTORE COSSARD GUIDO
OARGOMENTI astronomia, elettronica, comunicazioni
OORGANIZZAZIONI INTERNET
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy, electronics, communication
LA cometa Hale-Bopp e' gia' molto bella e facilmente individuabile a
occhio nudo. Tuttavia il fatto che sia osservabile prima dell'alba
non invoglia all'osservazione. Chi non ha intenzione di fare una
alzataccia ma vuole seguire l'evoluzione della Hale-Bopp, puo' essere
costantemente aggiornato sulla cometa e vederne splendide immagini
grazie a quella che potremmo definire una osservazione virtuale
attraverso Internet. Indichiamo alcuni siti. Il primo che consigliamo
e' raggiungibile all'indirizzo http://www.eso.org/comet-hale-bopp/
che e' la pagina dell'Eso, l'Osservatorio australe europeo. Questa
pagina comprende numerose informazioni e in particolare le
effemeridi, cioe' le tavole con le posizioni e i parametri della
cometa. Se si desiderano solo queste ultime si puo' andare
direttamente a
http://www.eso.org/comet-hale-bopp/hale-bopp-eph-jan28-dy.txt.
Un'altra home page molto interessante e' quella della Nasa, che si
trova all'indirizzo http://NewProducts.jpl.nasa.gov/comet/. Questa
offre numerose possibilita', tra le quali quella di accedere a piu'
di mezzo migliaio di immagini e di navigare tra indirizzi diversi,
quali La scoperta della Hale-Bopp, Le animazioni, Le novita' e le
foto che mostrano la Hale-Bopp in compagnia di un ancora sconosciuto
corpo luminoso. Anche in questo caso, se interessano solo le
effemeridi si puo' andare direttamente all'indirizzo
http://NewProducts.jpl.nasa.gov/comet/ephemjpl.html. Le piu' recenti
informazioni a proposito della cometa, comprese le osservazioni piu'
tecniche e quelle radiotelescopiche, sono disponibili all'indirizzo
http://pdssbn.astro.umd.edu/halebopp/. All'indirizzo
htpp://cfa-www.harvard.edu/cfa/ps/Headlines.html si possono trovare
le International Astronomical Union Circular (Iaucs), cioe' gli
aggiornatissimi bollettini ai quali e' anche possibile abbonarsi per
posta. Splendide sono le immagini prese dall'Hubble Space Telescope
che si possono trovare a http://www.arcorp.com/Hale-Bopp.html Sempre
da questa pagina e' possibile disporre, in particolare, delle
informazioni che hanno consentito di valutare il diametro della
cometa in ben 40 chilometri, quattro volte quello della cometa di
Halley. In Italia abbiamo attivissimi astrofili. Citeremo la pagina
dell'Associazione Astronomica Cortina, disponibile a:
http://www.sunrise.it/associazioni/aac/comete/9501.htm. Infine, una
curiosita': chi volesse osservare la cometa dal mare, puo' mettersi
in contatto con il Centro nautico di Levante (011-7723529) per
partecipare a una gita in barca a vela con la guida di un esperto
(partenza da La Spezia). Guido Cossard
ODATA 26/03/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. LA GUERRA DELLE RETI
Mattanze in alto mare
Nel mondo troppi pescherecci e sempre meno pesci
OARGOMENTI tecnologia, ecologia, mare, regolamento, leggi, internazionali
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE C. Dove infuria la guerra del pesce; D. I diversi tipi di reti
utilizzate
per la pesca (rete da circuizione, rete pelagica, rete derivante)
OSUBJECTS technology, ecology, sea, law, international
GUERRA del pesce»; un'espressione che si sente sempre piu' spesso. Le
dispute internazionali che di tanto in tanto scoppiano sui diritti di
pesca hanno la loro origine nelle difficolta' che hanno colpito
questa industria negli ultimi 15 anni. In sintesi: ci sono troppi
pescherecci e sempre meno pesci e per questo i vari Paesi tendono a
proteggere le proprie risorse e gli interessi dei propri pescatori
limitando l'attivita' dei pescatori stranieri. La «guerra del tonno»,
del '95, tra pescatori inglesi e spagnoli scoppio' perche' i primi
avevano cominciato a pescare i tonni nelle acque del Golfo di
Biscaglia, cosa che non avevano mai fatto prima; inoltre pescavano
con le reti, un metodo piu' efficace ma meno ecologico di quello
usato dagli spagnoli che invece impiegano la lenza. Inoltre e'
piuttosto frequente che i vari Paesi si accusino a vicenda di pescare
piu' pesce di quanto ne consentano le «quote», fissate da trattati
internazionali, o di pescare esemplari troppo giovani, che non hanno
ancora raggiunto la misura minima per poter essere catturati.
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Norme europee sulla pesca Le acque comprese entro le 6 miglia dalla
costa sono di esclusiva pertinenza di ciascun Paese; anche le acque
comprese tra 6 e 12 miglia sono di pertinenza del Paese costiero,
tuttavia per tradizione ai pescatori di altri Paesi e' riconosciuto
il diritto di pescare determinate specie in certi periodi dell'anno.
Le acque tra le 12 e le 200 miglia sono normalmente accessibili a
chiunque ma cio' a condizione che il peschereccio sia in possesso
della necessaria quota oppure che peschi specie non soggette a quota.
Oltre tale limite si estendono le acque internazionali.
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Rete da circuizione E' utilizzata per catturare pesci di branco, come
aringhe o sgombri. Il peschereccio cala un capo della rete in un
certo punto poi si mette in moto e, calando man mano altra rete,
descrive un largo cerchio fino a ritornare al punto di partenza;
infine, tirando un cavo di acciaio posto nel bordo inferiore, viene
chiuso il fondo della rete che e' immediatamente salpata.
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Rete pelagica (sciabica d'alto mare) E' impiegata anch'essa per
pescare aringhe e sgombri.
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Rete derivante (detta anche spadara perche' utilizzata in particolare
per la cattura del pesce spada) Questo tipo di rete e' sotto accusa
perche' causa la morte di migliaia di cetacei. Alla fine di
quest'anno sara' fuorilegge.
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DOVE INFURIA LA GUERRA DEL PESCE (tabella di Airone) 1. India - 2.
Thailandia - 3. Mare di Timor - 4. Indonesia - 5. Cina / Vietnam - 6.
Isole Spratly - 7. Taiwan / Cina - 8. Filippine - 9. Isole Kurili
meridionali - 10. Mare di Okotsk - 11. Isole del Pacifico - 12.
Galapagos - 13. Honduras - 14. New England / Georges Bank (Usa) - 15.
Grand Banks (Canada) - 16. Newfoundland (Canada) - 17. Regno Unito /
Irlanda - 18. Atlantico del Nord / Golfo di Biscaglia - 19. Isole del
Canale - 20. Svalbard - 21. Mare del Nord - 22. Mediterraneo - 23.
Somalia - 24. Senegal - 25. Argentina / Falkland - 26. Usa / Canada.
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Il Mediterraneo e' considerato un mare ricco qualitativamente, ma con
popolamenti non paragonabili come quantita' ai mari tropicali o
nordici, ed e' considerato uno dei meno pescosi del mondo. Sui fondi
sabbiosi vivono molluschi e anellidi e praterie di piante acquatiche
come poseidonie e zosterie. Sui fondali rocciosi abbondano specie
come sparidi, serranidi, blennidi, labridi. Al largo si trovano pesci
pelagici migratori come clupeidi, sgombridi, tunnidi, carangidi. Piu'
popolato e redditizio per la pesca l'Adriatico, grazie alle sue
scarse profondita' e agli apporti fluviali che favoriscono lo
sviluppo di fitoplancton, primo anello della catena alimentare. Nel
Mediterraneo le tonnare tradizionali sono in crisi perche' da alcuni
anni la pesca dei tonni avviene in altomare ad opera di grandi
pescherecci giapponesi che per individuare i branchi impiegano il
sonar o addirittura gli elicotteri.
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. COME FUNZIONA UN GRANDE AEROPORTO
Qui torre di controllo...
Le complesse procedure per atterraggio, decollo, parcheggio
OAUTORE V_R
OARGOMENTI trasporti, elettronica, tecnologia, aerei
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.
OSUBJECTS transport, electronics, technology, airplane
LA torre di controllo corrisponde agli occhi e al cervello
dell'aeroporto. Nei grandi scali e' una struttura solitamente divisa
in due parti, ciascuna con caratteristiche e funzioni molto diverse:
una parte sopraelevata rispetto alle altre costruzioni dello scalo,
con grandi vetrate da cui e' possibile osservare a occhio nudo o con
il binocolo tutto il sedime aeroportuale con le piste, le bretelle, i
raccordi, i piazzali di sosta; una seconda parte situata in genere al
disotto della prima e' invece priva di finestre perche' di qui i
controllori «vedono» attraverso quegli occhi elettronici che sono i
radar. Gli aerei si avvicinano agli aeroporti di destinazione sotto
la guida radio dei controllori dei centri regionali di controllo (in
Italia sono quattro situati a Milano-Linate, Padova, Roma-Ciampino e
Brindisi) che ne seguono tutto il volo sugli schermi dei loro radar a
lungo raggio, dove essi compaiono sotto forma di un puntino arancione
in movimento accompagnato da una serie di indicazioni utile a
identificarli. Giunti a circa 80 chilometri dallo scalo gli aerei
compaiono anche sugli schermi radar a corto raggio della torre di
controllo. Da qui un primo controllore ne segue sul monitor la fase
di avvicinamento (a mezzo radio indica, per esempio, la pista che
deve essere usata, autorizza l'atterraggio immediato o «parcheggia»
il volo su un circuito di attesa se a terra c'e' molto traffico); un
secondo controllore, in contatto visivo, impartisce l'istruzione per
l'atterraggio vero e proprio (segnala forza e direzione del vento,
visibilita', ecc.), e un terzo infine guida l'aereo a terra lungo i
raccordi fino alla piazzola di sosta. La sequenza inversa viene
seguita in partenza. Spetta alla torre, in particolare, dare via via
l'autorizzazione alla messa in moto, al rullaggio e al decollo.
Appena l'aereo si e' sollevato abbastanza da essere agganciato dai
radar a lungo raggio viene affidato ai controllori del centro
regionale ed esce dalla competenza della torre. Ogni giorno (dati del
'96) a Fiumicino (tre piste) atterrano o decollano in media 650
aerei, a Linate (una sola pista) 430. Va tenuto conto, pero', che il
traffico non e' omogeneo per tutte le 24 ore, ma ha un «picco» tra le
7 e le 9 del mattino e un altro tra le 18 e le 20; in queste ore
nella torre il lavoro diventa frenetico ed estremamente delicato per
la necessita' di mantenere la separazione tra gli aerei sia in volo
sia in pista (minimo un minuto tra un movimento e l'altro), di
alternare decolli e atterraggio e di guidare i velivoli a terra in un
autentico labirinto di vie di rullaggio e piazzole percorse, oltre
che dai velivoli, da decine di veicoli sfreccianti in tutte le
direzioni. Gli addetti alle torri dei singoli aeroporti non agiscono
isolatamente ma in stretto collegamento con i centri regionali di
controllo, coordinati a loro volta a livello superiore; per esempio
in Europa esistono organismi comunitari, come Eurocontrol, che stanno
acquistando autorita' crescente. Da alcuni anni, ad esempio, le
autorizzazioni alla messa in moto vengono «filtrate» a livello
superiore sulla base della conoscenza generale dello stato del
traffico per evitare di intasare le aerovie e gli scali di
destinazione. Vittorio Ravizza
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1. Tra 80 e 25 chilometri. Un controllore di volo, in una sala
situata ai piedi della torre di controllo, prende l'aereo in carico e
lo segue sul suo schermo radar. Per radio VHF (Very High Frequence),
indica all'equipaggio la rotta da seguire, l'altitudine e la
velocita' (tra i 550 e i 600 chilomteri orari). 2. Da 25 chilometri
all'atterraggio. Il controllore locale, dalla torre, da' il cambio al
collega. La velocita' dell'aereo scende all'incirca tra i 400 e 500
chilomteri all'ora. Quando l'apparecchio ha toccato terra il
controllore locale trasmette al pilota la frequenza radio di
controllo al suolo. 3. Al suolo. Il controllore al suolo contatta
l'aereo all'uscita dalla pista e lo guida fino al suo arresto
definitivo al terminal. Egli segue gli spostamenti di tutti gli
aeromobili al suolo sul suo schermo radar sul quale e' rappresentata
la pianta dell'aeroporto. In genere puo' prendere in carico e
controllare una dozzina di velivoli contemporaneamente.
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La sorveglianza radar. La posizione e la velocita' di ogni aero in
volo sono rilevate dai radar al suolo, e trasmesse alla sala di
controllo. Posizione degli aerei al suolo. E' segnalata dal radar
situato sul tetto della torre di controllo e trasmessa ai controllori
al suolo.
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SCHERMO RADAR con copertura di un perimetro di 30 chilometri Contorno
della citta', zona interdetta al sorvolo Aeroporto, raffigurato
semplicemente con tratti simbolizzanti le piste Differenti perimetri
intorno all'aerostazione Corridoi aerei d'avvicinamento e di uscita
Aereo che si muove a velocita' reale Principali informazioni
concernenti l'aereo: A (arrivo), P (partenza), Compagnia aerea,
Numero del volo Livello del volo o altitudine in centinaia di piedi
(un piede 30,5 centimetri circa) Velocita' in decine di nodi (un
nodo=un miglio-ora, cioe' 1,852 chilometri orari).
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. IL VOLO A PROPULSIONE UMANA
Pedalando tra le nuvole
Il sogno di Icaro realizzato grazie a materiali ultraleggeri
OARGOMENTI tecnologia, trasporti, aerei
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Struttura e funzionamento dell'aereo «Dedalus»
OSUBJECTS technology, transport, airplane
Nel 1988 questo aereo, chiamato 'Dedalus', volo' per 118 chilometri
da Creta a Santorino, nel Mar Egeo, ad una velocita' media di 29,6
chilometri l'ora. La sola fonte di energia era fornita dal pilota
stesso, che fece girare l'elica pedalando senza mai smettere per
quattro ore. In tal modo e' stato stabilito il record di distanza per
il volo a propulsione umana fino ad ora imbattuto. La difficolta' del
volo a propulsione umana e' data dalla impossibilita' di disporre di
sufficiente energia per lungo tempo. Infatti il corpo umano puo'
fornire al massimo un apporto di energia di 225 watt. (Nel 1903 il
motore a scoppio usato dai fratelli Wright per il primo volo della
storia forniva 10 mila watt e non pesava piu' di un corpo umano). Il
volo a propulsione umana e' stato reso possibile dai nuovi materiali
ultraleggeri, tuttavia resta ancora molto lontano dall'essere
comunemente praticabile. Un'ala molto allungata consente di decollare
ad una velocita' molto bassa (circa 6,4 chilometri l'ora) ma
inevitabilmente un velivolo di questo genere sara' sballottato anche
dal piu' lieve soffio di vento. Un'ala di dimensioni minori sarebbe
piu' robusta ma richiederebbe maggiore potenza. Per il volo del
record il team che ha costruito il 'Dedalus' fu costretto a restare a
Creta per un mese in attesa che il tempo fosse sufficientemente
stabile da consentire il tentativo. Le ali sono costruite in schiuma
di stirene e legno di balsa ricoperti da una pellicola di mylar
intorno a un longherone principale di fibra di carbonio. Anche il
timone e' fatto di fibra di carbonio per mantenere basso il peso. Il
pilota (un ciclista di livello mondiale) ha entrambi i piedi
assicurati ai pedali e giace quasi sdraiato all'interno di una cabina
progettata per offrire la minima reistenza all'aria. A disposizione
ha gli strumenti che gli indicano la velocita' e la quota di volo. Il
passo dell'elica puo' essere variato in modo da mantenere in ogni
istante il migliore ritmo di pedalata. Anche un 'motore' unano
produce calore; per questo motivo un'apertura al disotto dell'ala
aspira aria fresca. A bordo e' collocata una riserva di sei litri di
soluzione salina-zuccherina per evitare che il pedalatore si
disidrati durante l'intensa e lunga fatica. 1. Cloche posta
lateralmente: serve a manovrare il timone e gli impennaggi 2.
Puleggia del timone 3. Puleggia degli impennaggi 4. Leva per variare
il passo dell'elica 5. All'elica 6. Indicatore della velocita' e
della quota 7. Pedali in tubolare fissati mediante una fibbia a forma
di C alle scarpe del pilota 8. Due contenitori posti su ambedue i
lati della cabina per sei bottiglie da un litro di soluzione
salina-zuccherina 9. Peso totale a vuoto del velivolo: 32 chilogrammi
10. Indicatore della velocita' 11. Elichetta di balsa 12. Longherone
della fusoliera 13. Cavo collegante gli strumenti di controllo in
cabina 14. Pilone in balsa 15. Magneti 16. Ad ogni giro
dell'elichetta i magneti emettono impulsi elettrici mediante i quali
viene misurata la velocita' 17. Diametro dell'elica: 3,44 metri;
velocita' di rotazione: 108 giri/minuto 18. Presa d'aria per dare al
pilota una temperatura confortevole 19. Ciclista professionista:
energia espressa 200 watt 20. Superficie delle ali 31 metri quadrati;
apertura alare 34 metri
ODATA 23/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. LA PIASTRINA ANTI TACCHEGGIO
Un microprocessore contro i furti
Se non e' disattivata alla cassa scatta l'allarme
OARGOMENTI elettronica
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Funzionamento della targhetta anti-furto
OSUBJECTS electronics
E' molto comune vedere, applicata agli indumenti in vendita nei
grandi magazzini, una targhetta di plastica bianca. Essa fa parte del
sistema antifurto del negozio. In effetti non e' un semplice pezzo di
plastica ma un allarme elettronico che lancia un acuto fischio a 75
decibel se qualcuno tenta di romperla o di rimuoverla con la forza.
Il fischio e' avvertito da un apparecchio chiamato con una sigla
inglese ATD (acoustic tone detector) sintonizzato sulla specifica
frequenza della targhetta, ed amplificato in modo che chiunque nel
negozio lo possa sentire. Se qualcuno tenta di portare un indumento
provvisto di targhetta fuori dal negozio scatta un altro allarme. Nei
pressi dell'uscita e' infatti situata un'antenna radio collegata a
una trasmittente a bassa potenza; l'antenna, in genere nascosta,
trasmette segnali a una specifica frequenza (superiore alla banda
delle onde lunghe della radio), in maniera da creare un'area
'protetta' tutto intorno all'uscita. Se una targhetta entra nell'area
protetta il suo microprocessore capta le onde radio dell'antenna e
risponde con un segnale analogo. Questo a sua volta fa scattare
l'allarme principale e nello stesso momento mette in funzione
l'allarme interno della piastrina che, in questo modo, segnala il
ladro in maniera inequivocabile. Le targhette anti-taccheggio sono
disattivate alle casse, anch'esse circondate da un'area di
sorveglianza; qui, dove il capo provvisto di targhetta deve essere
pagato e impacchettato, un'apposita macchina emette un discreto
avvertimento sonoro e una luce lampeggiante per ricordare alla
commessa di rimuovere la targhetta dopo il pagamento. Se la commessa,
nonostante l'avvertimento, dimentica di farlo la targhetta stessa
emette una serie di segnali sonori al momento in cui il cliente con
il capo si allontana dalla cassa. In tal modo puo' essere richiamato
indietro e la targhetta viene tolta. La targhetta, che riceve
l'energia da una piccola batteria, viene passata sotto un
interruttore sensibile al movimento: se non c'e' movimento la
targhetta viene disattivata. 1. La targhetta anti-furto posta sui
capi di abbigliamento nei negozi si attiva quando il vestito viene
portato via senza pagarlo; essa fa funzionare un allarme che suona
fino a quando la targhetta non viene rimossa alla cassa. 2.
Microprocessore. E' il cervello della targhetta; riceve, interpreta e
invia informazioni 3. Interruttore dell'allarme. Attiva la targhetta
quando questa viene mossa 4. Allarme. Emette un segnale sonoro a
72-75 decibell 5. Batteria alcalina. Fornisce l'energia alla
targhetta 6. Gli impulsi acustici della targhetta sono captati
dall'ATD (acoustic tone detector) che li amplifica 7. Onde sonore 8.
Una volta che l'ATD ha captato i segnali audio della targhetta entra
in funzione l'allarme fino a quando il segnale della targhetta non
cessa oppure questa non esce dal suo raggio d'azione 9. Merce dotata
di targhetta anti-furto 10. Taccheggiatore 11. ATD. Ritrasmette
l'allarme 11 BIS. Se la targhetta viene rotta o strappata scatta
l'allarme 12. La targhetta non disattivata entra nel campo di
sorveglianza all'uscita: scatta l'allarme sia della targhetta sia
dell'ATD 13. Per disattivare le targhette anti-furto le commesse sono
dotate di uno strumento speciale sensibile al movimento 14. Quando la
targhetta entra nel campo sorvegliato della cassa scatta
l'avvertimento sonoro che ricorda alla commessa di staccarla 15.
Cassa 16. L'antenna radio ricevente-trasmittente crea un campo
protetto vicino all'uscita 17. Pagamento regolare: nessun allarme 18.
Uscita
ODATA 30/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. AL MUSEO DI SCIENZE NATURALI DI TORINO
Il pianeta delle scimmia
«Primates», una grande mostra sui «cugini» dell'uomo
OAUTORE SCAGLIOLA RENATO
OARGOMENTI zoologia
ONOMI VISALBERGHI ELISABETTA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OTABELLE T. Distribuzione geografica delle famiglie dei primati
OSUBJECTS zoology
LA popolazione delle scimmie, o meglio dei primati non umani, e'
diffusa con diverse densita', in una ampia fascia del globo, compresa
grosso modo, fra il 40o parallelo nord e il 35o parallelo sud. In
Europa l'ultima colonia di scimmie (bertucce), e' a Gibilterra,
mentre la popolazione piu' a nord e' in Giappone. Grandissime le
diversita' fra le specie: dal microcebo murino e l'uistiti' pigmeo
che pesano meno di cento grammi, al maschio del gorilla che puo'
superare i 180 chili. Molti quadrumani sono onnivori, altri mangiano
solo pochi alimenti selezionati. I macachi sono adattabili ad
ambienti diversi, da quello dell'Assam che vive fino a tremila metri
d'altezza nelle foreste dell'Himalaya, al macaco di Formosa che vive
sia in foreste che sulle spiagge. I Primati vivono comunque
soprattutto in aree tropicali e sub tropicali; l'80 per cento e'
arboricolo e prospera nelle foreste pluviali, vivendo tra i dieci e
in cinquanta metri d'altezza, in qualche caso senza scendere mai a
terra. L'affascinante mondo dei nostri cugini e' visibile al Museo di
Scienze Naturali di Torino, ospitato nello straordinario edificio
seicentesco dell'ex Ospedale San Giovanni Vecchio in via Giolitti 36,
opera dell'architetto Amedeo di Castellamonte. «Primates», e' il nome
della complessa mostra multimediale che svolge il tema con video,
tabelle, registrazioni sonore, esemplari impagliati, reperti
osteologici, notizie storiche e scientifiche. La mostra e' stata
curata da Elisabetta Visalberghi del Cnr di Roma, e Marina Valente.
Parte del materiale esposto proviene dalla collezione di Primatologia
del Dipartimento di Biologia Animale dell'Universita' di Torino, che
comprende oltre 500 reperti dell'8/900, raccolti da naturalisti ed
esploratori in Africa e America Latina. «Una raccolta preziosa e
irripetibile come del resto le altre, di uccelli, rettili e mammiferi
non esposti - spiega il direttore del Museo Olindo Bortesi - perche'
alcuni esemplari sono estinti, altri non sono piu' cacciabili e
perche' infine e' ormai quasi impossibile pensare di rifare un tale
colossale lavoro di tassidermia e ricostruzione di scheletri come si
faceva un tempo». Tra l'altro ci sono nel mondo specie in immediato
rischio di estinzione come l'Apalemure dorato in Madagascar, il
Leontocebo dalla testa nera in Brasile, (ne rimangono in tutto 200
individui allo stato selvatico), la Scimmia lanosa dalla coda gialla
in Peru', il Gibbone cinerino a Giava in Indonesia, il Rinopiteco del
Tonchino in Vietnam, per citarne solo alcune. «I paesi piu' ricchi di
specie di primati - scrive la Visalberghi - sono il Brasile (77
specie), Indonesia (36 specie), Zaire (32 specie), madagascar (30).
In quest'ultimo paese, patria dei lemuri, il 98 per cento delle
specie sono endemiche, cioe' non presenti in altre parti del
mondo...Dal confronto fra la morfologia, l'intelligenza e il
comportamento dell'uomo e dei Primati non umani - le specie a noi
evolutivamente piu' vicine - possiamo capire meglio in cosa siamo
differenti e in cosa siamo simili a loro». Sono gia' centinaia gli
studenti che hanno visitato la mostra. C'e' da sperare che
l'esperienza non si riduca ad una specie di videogame, ma che i
ragazzi si rendano conto del significato di parole come ambiente,
sopravvivenze delle specie, biodiversita', rispetto di uomini, cose,
animali; concetti astratti che occorre pero' trasferire in concreto
nella vita civile. Insomma «vedere» e capire, oltre che guardare.
Renato Scagliola
ODATA 07/05/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. IL MICROWATCHER DI «GIOCANATURA»
Avventure nell'invisibile
Osservare farfalle, spore, fiori, funghi e cristalli Con «Specchio»
una mini enciclopedia e un microscopio
OAUTORE GRANDE CARLO
OARGOMENTI tecnologia, didattica
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Le fasi della metamorfosi. Il ciclo vitale della farfalla.
Il microscopio portatile «Microwatcher»
OSUBJECTS technology, didactics
Attenzione a dove si mettono i piedi: ogni passo sul prato significa
calpestare 500 fili d'erba, un migliaio di microinsetti e acari, 30
mila vermi filamentosi, alcuni miliardi di microbi. Camminiamo pure,
ma coscienti di quanto e' straordinariamente vario, divertente e
fragile ogni centimetro di natura. Ogni metro di asfalto, ogni
mattonnella di autobloccante, ogni goccia di veleno che si butta in
acqua o finisce per terra influisce su migliaia di microorganismi e
di conseguenza, a lungo andare, anche sulla qualita' della nostra
vita. Con qualche piccolo accorgimento, non e' difficile scorgere
l'infinita' di microscopiche creature che di solito sfuggono alla
vista. Per osservarne qualcuna anche ad occhio nudo, ad esempio, si
puo' portare con se', durante un picnic, una tovaglia bianca.
Spargiaciamoci sopra un pungo di terra, in modo che sia distinguibile
granello per granello. Allora, sul telo immacolato, appariranno
piccoli coleotteri, miscroscopici millepiedi, lunghi al massimo un
millimetro o due. Invece, un po' di muschio su di un fazzoletto di
carta sostenuto da una reticella e appoggiato su un piatto pieno
d'acqua, sopo uno e due giorni ci permettera' di scoprire minuscoli
invertebrati chiamati «nematodi», sottili un capello e lugnhi
mediamente un millimetro. dopo i due giorni di attesa troveremo
questi animali nel residueo acquoso. Per vedere bene i nematodi,
pero', bisogna avere un ingranditore come il «Microwatcher» il
microscopio portatile che a partire dal prossimo 10 maggio Specchio
della Stampa distribuira' in 5 puntate (al prezzo di lire 10.900 a
uscita) partecipando all'iniziativa «Giocanatura». Per cinque
settimane saranno allegati a «Specchio» i cinque elementi che
costituiscono il visore, accompagnati da altrettanti libretti
corredati da vetrini utili per osservare farfalle (qui vediamo
qualche disegno tratto dal fascicolo ad esse dedicato), fiori,
insetti e aracnidi, funghi e vegetali, minerali e fossili. Il
microscopio offre la possibilita' di «ingrandire la natura» cento,
duecento e quattrocento volte. A cento ingrandimenti si possono
osservare non solo i nematodi, ma anche cristalli di sale e il
polline dei fiori basta sfriore un vetrino con gli stami, e l'agente
che feconda la pianta apparira' sotto i nostri occhi. A duecento
ingrandimenti puo' essere esaminato un frammento di cipolla immerso
in una goccia d'acqua e posto sul vetrino: appariranno anche le
cellule con i nuclei. Oppure una fogliolina di muschio, sempre in una
goccia d'acqua e schiacciata bene sul vetrino: saranno distinguibili
non solo le cellule, ma anche i cloroplasti che contengono la
clorofilla. A 400 ingrandimenti si possono osservare i globuli rossi
del sangue: non e' proprio il caso di tagliarsi, basta sfruttare la
gocciolina di sangue di una pustolina (o delle gengive, a volte
quando ci si lava i denti) e «spalmarla» bene sul vetrino, con
l'aiuto di un altro vetrino da taglio. Appariranno celluline che
assomigliano a salvagenti, dischetti dal diametro di sette millesimi
di millimetro. Meravigliose scoperte del «microcosmo» sono state
fatte da uno zoologo inglese che ha dedicato anni di ricerche per
rubare i segreti degli insetti in volo. Ha scoperto ad esempio,
grazie a ingrandimenti e macchine fotografiche portentose, come fanno
minuscoli insetti detti collemboli a sfuggire ai predatori: spiccano
vertiginosi salti, durante i quali ruotano su se stessi anche cento
volte al secondo, con una «coda» che scatta fuori grazie a un sistema
di muscoli che pompano liquidi verso la base della «coda», un po'
come il dito di un guanto di gomma, se si soffia aria dentro. Carlo
Grande
ODATA 14/05/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. UN CODICE PER IL WHALEWATCHING
Non disturbare le balene
Nel Mar Ligure nuota l'80 per cento dei cetacei del Mediterraneo
OAUTORE MORETTI MARCO
OARGOMENTI zoologia, didattica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OTABELLE D.T.
OSUBJECTS zoology, didactics
A parte alcuni Paesi irriducibili (Norvegia, Islanda e Giappone), nel
resto del mondo le navi prendono il largo per avvistare le balene,
non piu' per cacciarle. Sulla spinta dell'interesse e dell'amore per
la natura, il whalewatching - l'osservaizone dei cetacei - e'
diventato un'attivita' molto popolare: tra le immensita' oceaniche
del Pacifico come nel nostro piccolo Mar Ligure. La curiosita' e
l'affetto per i giganti del mare rischia pero' di disturbare le loro
attivita' riproduttive e l'habitat in cui vivono. Per evitare che
l'interesse si trasformi in danno, i whalewatcher devono attenersi a
una serie di regole messe a punto negli ultimi anni dai National
Parks and Wildlife Service di Paesi come gli Stati Uniti, il Canada,
l'Australia e la Nuova Zelanda, dove le spedizioni ecoturistiche sono
diventate un fenomeno di massa. La prima regola e' non disturbare le
balene: ogni mezzo si deve mantenere a una distanza minima stabilita
dall'animale. I nuotatori con pinne e maschera possono avvicinarsi
fino a 30 metri. I surfisti (compreso il windsurf), le barche a remi
e i piccoli natanti a motore si devono fermare ad almeno 100 metri.
Le imbarcazioni maggiori si devono mantenere tra i 150 e i 200 metri
dai cetacei a seconda della dimensione. Per gli elicotteri il limite
e' di 400 metri. E per i Piper, Cessna e altri piccoli velivoli e' di
300 metri. Durante l'avvicinamento uomini e mezzi devono ridurre al
minimo l'impatto acustico: bisogna restare in silenzio e spegnere i
motori delle barche. Se la balena agita la coda e la sbatte con
violenza sulla superficie dell'acqua, manda un segnale
inequivocabile: significa che si sente disturbata o aggredita; in
questo caso non valgono le regole sulle distanze e qualunque mezzo
deve allontanarsi. Un'altra regola base e' che le imbarcazioni non
devono mai inserirsi in un branco, perche' rischiano di dividere le
madri dai cuccioli, provocando un dramma. E i passeggeri non devono
gettare nulla in mare e non dare cibo ai cetacei: l'oceano non e' uno
zoo. Marco Moretti
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A due passi da casa nostra, nel bacino corso-ligure-provenzale nuota
piu' dell'80 per cento dei cetacei del Mediterraneo: oltre mille
balenottere comuni e circa 25 mila stenelle. Le balene si dividono in
due sottordini: gli odontoceti (dentati) e imisticeti, che al posto
dei denti hanno centinaia di fanoni, lamine di una consistenza simile
a quella delle unghie. Il capodoglio (Physeter macrocephalus) e' la
piu' grande balena dentata degli oceani, il maschio raggiunge i 19
metri di lunghezza e le 70 tonnellate di peso. Herman Melville in
Moby Dick lo descrive come «il piu' grande abitante del globo, la
piu' terribile a incontrarsi di tutte le balene, la piu' maestosa
d'aspetto, la piu' preziosa, essendo la sola creatura da cui si
ricavi lo spermaceti». Il luogo piu' vicino per incontrare il
capodoglio sono le isole Azzorre (Portogallo). L'isola di Pico, dopo
la cessazione dell'attivita' baleniera nel 1984, e' diventata il
migliore indirizzo d'Europa per il whalewatching. Alle Azzorre non
s'incontrano solo capodogli: nel 1995 sono stati avvistati 423
esemplari appartenenti a 12 diverse specie, tra cui l'orca (Orcinus
orca), un cetaceo di 9 metri della famiglia dei delfini
soprannominato «balena assassina» perche' divora pesci e foche: le
leggende marinare hanno alimentato il mito della sua malvagita', ma
non sono mai stati segnalati attacchi all'uomo. Qui, come in tutti
gli oceani, l'avvistamento dei dorsi incurvati tra le onde e dei
celebri spruzzi e' facile con il bel tempo: le probabilita'
diminuiscono col mare grosso. Il piu' spettacolare incontro col
capodoglio lo si ha, tra ottobre e agosto, a Kaikoura in Nuova
Zelanda, dove diversi operatori raggiungono i cetacei dal mare e dal
cielo. E, oltre al capodoglio, si puo' vedere la balena pilota
(Globicephala melaena): piu' di 5 mila esemplari nuotano nei mari
della Nuova Zelanda, si muovono in branchi di anche 200 individui. La
piu' grande migrazione dei Mari del Sud e' pero' quella delle
megattere, dette anche balene gobbe (Megaptera noveangliae):
dall'Antartide attraverso la Nuova Zelanda raggiungono le acque delle
Isole Fiji e della Grande Barriera Corallina Australiana per
riprodursi. Le si avvista in tutte le isole della Barriera e
soprattutto nell'arcipelago australiano delle Whitsunday. Un lungo
viaggio per la stagione degli amori, simile a quello che le balene
grigie compiono ogni anno dal gelido Mare di Bering alle acque calde
della Baja California. Circa 6 mila esemplari (su 18 mila presenti
nel Pacifico) raggiungono la laguna Ojo de Liebre (Messico) con un
viaggio estenuante di 8 mila chilometri. E' una carovana marina in
fuga: i giganti dell'Oceano viaggiano a una velocita' di crociera di
6 miglia l'ora e non sostano nemmeno per mangiare. Una rotta
collaudata da secoli per sfuggire ai rigori dell'inverno polare. In
Baja California, tra dicembre e marzo, s'avvistano i loro enormi
dorsi lucidi, colore dell'ardesia, sovrastati dal classico spruzzo -
generato dai potenti soffi di aria e schiuma attraverso cui
respirano. La laguna Ojo de Liebre e' il luogo sacro dove si compie
il rituale dell'accoppiamento. Accade ogni anno e dopo tredici mesi
le balene ritornano nello stesso luogo per la festa del parto
collettivo delle femmine. Le balene grige pesano fino a 40
tonnellate, distribuite su 15 metri di lunghezza. Nonostante la mole,
gli enormi cetacei affiorano fra le onde per librarsi sulle acque con
grandi salti: individuati dagli etologi come una vera e propria danza
d'amore. Mamma balena da' alla luce cuccioli lunghi gia' 5 metri, del
peso variante fra mezza e una tonnellata. I balenotteri bevono 190
litri di latte al giorno e aumentano il loro peso di quasi mezzo
chilo all'ora. Meraviglie della natura a cui non sempre la scienza
riesce a dare una spiegazione. E' il caso del transito delle balene
nel canale del Mozambico, al largo di Anakao (Madagascar). Ogni anno,
il 12 agosto, un branco passa nel canale durante il viaggio
dall'emisfero boreale verso l'Antartide: un mistero, perche' le
balene sono senza dubbio animali abitudinari, la loro puntualita' e'
pero' nell'ordine di settimane non di ore. Quelle che transitano
nelle acque del Madagascar sono invece puntuali come un orologio
svizzero. (m. m.)
ODATA 21/05/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. COME FUNZIONA IL SONAR
Onde acustiche sottomarine
Impulsi sonori che riverberano quando incontrano un ostacolo
OARGOMENTI tecnologia, acustica
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Come funziona il sonar
OSUBJECTS technology, acoustics
IL termine sonar deriva dall'espressione inglese Sound Navigation and
Ranging, cioe' navigazione e localizzazione con mezzi acustici; esso
indica un'apparecchiatura largamente impiegata in molte attivita'
nautiche o piu' genericamente subacquee, sia in campo civile sia
militare, che utilizza la riflessione di onde sonore per individuare
la presenza di oggetti sommersi o per definire la forma e la
profondita' dei fondali. Il primo sonar acustico subacqueo fu
realizzato nel 1942 dal fisico americano Frederick Hunt nel
laboratorio di acustica sottomarina dell'universita' di Harvard sulla
base di studi sulla riverberazione iniziati fin dal 1934, studi che
avevano dimostratro come in acqua una parte dell'energia di un'onda
sonora ritorna alla sorgente quando incontra un elemento che ne
interrompe la regolare propagazione. In sostanza il principio di
funzionamento e' simile a quello del radar salvo che, al posto delle
onde elettromagnetiche, utilizza onde acustiche (che in acqua si
diffondono a grande velocita' e a grande distanza). Impulsi sonori
vengono lanciato in tutte le direzioni; se le onde incontrano un
ostacolo ne vengono riflesse rimbalzando verso la fonte che le ha
emesse; registrate, analizzate e riportate su uno schermo forniscono
un'immagine sommaria dell'oggetto o del fondale e consentono di
stabilirne la distanza con grande precisione. Molto utilizzato nelle
fasi finali della seconda guerra mondiale, da allora le applicazioni
del sonar si sono moltiplicate: e' un ausilio indispensabile per la
navigazione in acque poco profonde e poco conosciute, e' utilizzato
per cercare relitti affondati (come nel caso della nave albanese
colata a picco nel braccio di mare di Otranto, della quale si
tentera' il recupero) o banchi di pesci nella pesca d'altura. In
campo bellico e' il principale mezzo per la lotta contro i
sottomarini ma e' anche utilizzato per la guida dei siluri. 1. Il
generatore di impulsi del sonar e' solitamente istallato al di sotto
della nave 2. Impulsi prodotti dal sonar3. Eco rimandata da un
oggetto 4. Generatore di impulsi sonar. Installato sotto il livello
dell'acqua invia le onde sonore e capta le onde riflesse 5. Le
informazioni sono trasmesse via cavo o fibra ottica 6. Processore.
Traduce i segnali in forma elettronica e li invia al monitor 7.
Monitor. Visualizza le immagini degli oggetti individuati dal
generatore di impulsi 8. Le onde sonore sono emesse da un cristallo
piezoelettrico posto nella testa trasduttrice. Tale cristallo quando
viene attraversato da una corrente elettrica alternata emette
vibrazioni che provocano onde sonore. Lo stesso cristallo, con un
procedimento inverso, capta le onde riflesse; queste infatti lo
mettono in vibrazione e cio' provoca l'emissione di un segnale
elettrico 9. Motore. Fa ruotare la testa del sonar di pochi gradi
alla volta; ad ogni scatto il sonar emette una serie di onde sonore e
quindi rimane immobile per il tempo sufficiente a captarne l'eco 10.
Scheda contenente i circuiti elettronici. Essi regolano l'emissione
dei segnali e la registrazione delle onde riflesse, il trasferimento
delle informazioni al processore e controllano il motore 11.
Carenatura pressurizzata riempita di olio 12. Regolatore di
pressione. Consente di regolare la pressione all'interno della
carenatura per adeguarla all'aumento della pressione esterna a mano a
mano che il sonar scende in profondita'. Cio' per impedire che la
carenatura venga schiacciata 13. Collegamento con il processore a
bordo della nave 14. Il sonar puo' essere installato sulla carena di
un'imbarcazione o a bordo di un'apparecchiatura sottomarina
indipendente 15. Sonar installato su un mezzo sottomarino
telecomandato 16. Sonar installato entro un cilindro di acciaio
inossidabile trainato mediante un cavo da un'imbarcazione.
ODATA 04/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. METEOROLOGIA VIOLENTA
Tifoni, cicloni, trombe d'aria
Le cause: pesanti sbaldi pressione atmosferica
OAUTORE VARALDO ANTONIO
OARGOMENTI meteorologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Formazione e caratteristiche di cicloni e tornado
OSUBJECTS meteorology
NELLA troposfera, la parte piu' bassa dell'atmosfera terrestre (fino
a circa 10 chilometri dal suolo), la distribuzione dell'aria non e'
uniforme ma varia da zone di bassa pressione, dove l'aria e' dilatata
e spinta verso l'alto, a zone di alta pressione, dove e' compressa
verso la superficie terrestre; queste disomogeneita' determinano
spostamenti d'aria in senso orizzontale dalle aree anticicloniche
(alta pressione) a quelle cicloniche (bassa pressione). I venti e le
precipitazioni traggono sempre origine da questi spostamenti, ma con
sostanziali differenze alle diverse latitudini. (dis.1) (dis.2) In
Europa, e cosi' in genere alle medie latitudini, le perturbazioni
sono conseguenza della formazione di aree cicloniche in cui aria
fredda (piu' pesante) di origine polare circonda e solleva aria calda
tropicale (piu' leggera) che viene cosi' raffreddata e, cedendo
acqua, forma le precipitazioni. (dis.3) Con il passare del tempo il
fronte freddo, la linea lungo la quale l'aria fredda si incunea sotto
quella calda, si avvicina e quindi raggiunge il fronte caldo isolando
cosi' la massa d'aria calda e completando l'evoluzione del ciclone;
sfortunatamente i cicloni si presentano quasi sempre a famiglie di
3-5 elementi, (dis.4) ciascuno dei quali, nel suo percorso verso Est,
si evolve con leggero ritardo rispetto al precedente. Nella zona
intertropicale le aree cicloniche sono caratterizzate da venti scarsi
ed abbondanti precipitazioni; possono pero' evolvere in veri e propri
cicloni tropicali. Si tratta in questo caso (dis.5), di fenomeni
meteorologici violentissimi (i tifoni dell'Estremo Oriente e gli
uragani del Centro America) che si originano sul mare,
prevalentemente nei mesi a cavallo tra estate e autunno, quando si
possono cioe' formare masse d'aria calda e umida; migrano poi, con
velocita' fino a 80 km/h, su isole e coste per esaurirsi quando
penetrano nei continenti o si spostano su acque piu' fredde. I venti,
con velocita' di 100-200 km/h, convergono verso il centro dell'area
ciclonica dove si innalzano sollevando l'aria umida marittima e
determinando la condensazione del vapor d'acqua e, infine, le
eccezionali piogge; le parte centrale del ciclone, l'occhio, (dis.6)
ha un diametro di qualche decina di km e presenta venti deboli e
variabili con nubi scarse tali da consentire ampie schiarite. Nota e'
la forza distruttiva di questi cicloni, dovuta sia alla violenza dei
venti che alle inondazioni provocate dal mare che invade la
terraferma. Ma l'evento meteorologico piu' spettacolare e' il
tornado, vortice ciclonico di piccolo diametro e grande intensita'
che si estende verso il basso a partire da una nube temporalesca; la
tipica forma ad imbuto, con la parte larga rivolta verso il
cumulonembo e il tubo a forma di proboscide proteso verso il suolo,
e' in realta' una nube di goccioline (dis.7), d'acqua miste a polvere
e detriti in cui l'aria circola in senso antiorario con moto
ascendente a velocita' di oltre 300 km/h. Il tubo, al cui interno la
pressione cade a valori bassissimi, presenta diametri che variano da
pochi metri a diverse centinaia di metri ed e' inizialmente piu' o
meno verticale, ma spostandosi si inclina sempre di piu'. Queste
spettacolari «trombe d'aria» sono tipiche della parte sud-occidentale
degli Usa, tra le Montagne Rocciose ed il Messico, dove compiono
percorsi piuttosto consueti in direzione Est alla velocita' media di
40-50 km orari. Il loro straordinario potere distruttivo e' dovuto
all'azione combinata dei fortissimi venti e del repentino sbalzo di
pressione: l'approssimarsi del vortice crea infatti un «vuoto d'aria»
che puo' provocare persino lo scoppio delle case. Antonio Varaldo
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ANTEPRIMA A BERLINO
Voglio una vita tutta digitale
Tv, computer, Dvd e hi-fi nel salotto del futuro
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI elettronica, comunicazioni
OORGANIZZAZIONI IFA
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, GERMANIA, BERLINO
OSUBJECTS electronics, communication
PASSARE da una settimana di passeggiate sui monti del Friuli ai
chiassosi padiglioni dell'Ifa di Berlino, una delle principali fiere
mondiali dell'elettronica di consumo, e' stato come compiere un balzo
di 7-8 secoli in una notte; di colpo ci si ritrova ammaliati dalle
opportunita' offerte dalle telecomunicazioni digitali, dalla Web-tv,
dagli schermi piatti al plasma, dal Dvd e dalle trasmissioni radio
Dab (digitali). Da' le vertigini. Eppure grandi novita' a Berlino
quest'anno non se ne sono viste. Quasi tutti i grossi nomi
dell'elettronica hanno piuttosto badato a consolidare l'offerta, con
prodotti piu' raffinati, piu' versatili e piu' mirati sulle diverse
fasce di acquirenti. Cio' non vuol dire che l'edizione 1997 dell'Ifa
sia stata noiosa o sottotono. Tutt'altro. E' stata una «fiera delle
chicche», tutte da scovare e da apprezzare. Come la radio da orecchio
della Philips, grande quanto un apparecchio acustico, che si appoggia
sull'esterno del nostro padiglione auricolare, completa di batteria,
antenna, tasto per il volume e per la sintonia. Acquistandone due si
puo' ottenere un effetto «simil-stereo». Tutte le novita' presentate
confermano comunque alcune linee di tendenza che negli ultimi 2-3
anni si son fatte sempre piu' marcate. E' ormai fuori luogo, per
esempio, parlare di computer, televisore, impianto hi-fi come entita'
distinte. La Grundig ha presentato il «Web Box»: utilizzando una
smart card, dal televisore ci si potra' collegare direttamente a
Internet. E se non avete la tastiera, poco male, tutti i servizi di
posta elettronica sono accessibili grazie a un sistema di
riconoscimento vocale. Praticamente ogni produttore di televisore ha
inserito nella propria gamma uno o piu' modelli con scheda Vga gia'
montata. In questo modo tra monitor del personal computer e
apparecchio televisivo non c'e' piu' differenza e, volendo, ci si
puo' divertire a lavorare sul proprio pc visualizzando tutto su un
megaschermo a 42 pollici in formato 16X9. La Philips ha presentato
un'intera nuova famiglia di apparecchi in grado di collegare tra loro
tv e pc. Il modello di punta e' il «Dvx 8000», un vero e proprio
anello di congiunzione, dotato di un processore, il Tri- media,
capace di adattare il video a qualsiasi tipo di standard, dal normale
Pal al segnale digitale. Inoltre e' compreso un lettore Dvd video e
Dvd-Rom, uno per cd-audio, scheda SuperVga, modem per il collegamento
a Internet, e la funzione Epg (Electronic Guide Program). Il tutto
gestito da un Pentium Mmx a 233 MHz e al costo di 9- 10 milioni di
lire (ma vi sono modelli meno «dotati», come il «Ponte», e quindi
meno costosi). Il tutto sara' disponibile nel giro di poche
settimane. Un'altra tendenza che pare inarrestabile e' la
digitalizzazione di tutto cio' che e' mass-media. Due settori che
ancora «resistevano», le trasmissioni radio e la fotografia, hanno
ormai ceduto e i rispettivi meccanismi analogici stanno per andare in
pensione. Proprio con l'inaugurazione dell'Ifa, infatti, in Germania
e in Gran Bretagna sono ufficialmente iniziate le prime trasmissioni
digitali via radio, in sigla Dab, Digital audio broadcasting.
Trasmettere via radio in digitale non e' vantaggioso solo per la
qualita' del suono (pari a quella di un com pact) e per la drastica
riduzione di interferenze. Le trasmissioni numeriche permettono di
aggregare al suono una nutrita serie di informazioni «di contorno»
utili a chi guida. Avvisi sulla situazione del traffico, consigli sui
percorsi migliori, messaggi commerciali o turistici inerenti una
cittadina che si sta attraversando durante un viaggio... e chi piu'
se ne inventa piu' ne metta. Con l'autunno saranno quasi 200 le
emittenti pubbliche e private che inizieranno a trasmettere in Dab,
120 solo in Germania, le restanti suddivise tra Inghilterra, Svezia,
Giappone e Singapore. In Italia entro Natale dovrebbero avviarsi
trasmissioni su Roma, Torino e Milano. Gli apparecchi per ricevere in
Dab sono ancora costosi (non meno di 2 milioni di lire), ma entro la
fine del 1998 i prezzi dovrebbero dimezzarsi. Nel giro di 5-6 anni le
classiche reflex con il rullino di pellicola impressionabile a 35
millimetri diventeranno un oggetto da amatore. Con lo stesso peso e
le stesse dimensioni, tra le mani ci ritroveremo una fotocamera
digitale ove le scene piu' belle delle nostre vacanze verranno
immagazzinate in un dischetto sotto forma di complesse sequenze di 0
e di 1. Bastera' infilare il dischetto nel computer di casa per
rivedere ogni scatto, zoomare su un particolare o ritoccare le
immagini per eliminare le imperfezioni. Diverremo tutti fotografi
provetti. Ma anche provetti imbroglioni: con un programma di
manipolazione delle immagini abbiamo visto «cancellare» un intero
bikini e trasformare l'innocente fotografia di una ragazza sulla
spiaggia in uno scostumato (e' la parola giusta) po ster da officina.
Per la cronaca: questi software che cominciano a essere abbordabili
ai comuni mortali, da parecchi anni vengono utilizzati nelle
redazioni delle riviste scandalistiche. Comunque sia, la fotografia
digitale e' uno dei nuovi mercati e tutti hanno ormai calcolato le
possibilita' di business. La «Mavica» della Sony (gia' disponibile
sul mercato tedesco) e' un po' ingombrante, ma e' l'unica - per ora -
che archivia le immagini su un normale floppy da 3,5 pollici in modo
da poter visionare subito le foto su qualunque pc, senza alcuna
interfaccia. La Sharp e' riuscita a produrre una digital camera, la
«Ve-Lc1», spessa appena 4 centimetri e pesante 210 grammi. La Philips
ha lanciato a Berlino il suo primo apparecchio per fotografare in
digitale, la «Esp2» (apripista di altri modelli che verranno), capace
di memorizzare fino a un centinaio di immagini, da visualizzare sul
televisore o sul monitor del pc, da scaricare su un hard-disk, da
«materializzare» mediante un'apposita stampante. Anche quest'anno si
e' fatto un gran parlare del Dvd (Digital video disc), la nuova era
della multimedialita' perche' capace di immagazzinare, in un normale
disco argentato da 120 millimetri di diametro, anche due interi film
con tanto di doppiaggio in 7-8 lingue, suono Dolby e accessori vari
(schede tecniche sul regista, pettegolezzi sugli attori...). Sono
almeno due anni che il Dvd e' «la novita'», «il prodotto prossimo a
rivoluzionare il mercato». Per il momento tutto fumo e niente
arrosto. Ma e' pur vero che fino a quando le ma jors americane del
cinema non si decidono a fornire un catalogo decente di film su Dvd,
nessuno avra' voglia di spendere dal milione al milione e mezzo di
lire per comprarsi il nuovo lettore. Pare che per il prossimo Natale
siano in arrivo novita' e che il 1998 sia finalmente l'anno buono per
il lancio mondiale dei Dvd... Vedremo. In ogni caso su questo
argomento ci impegniamo a tenervi aggiornati e vi diamo appuntamento
alle prossime settimane. A Berlino, come sempre capita in queste
occasioni, ci si lustra gli occhi su oggetti sempre piu' sofisticati
e stupefacenti, che solo superficialmente rendono l'idea di quanto
corra il progresso tecnico. Che vanno, pero', presi con il giusto
equilibrio e il giusto distacco. Perche' se la tecnologia delle
telecomunicazioni ci spinge a chiuderci in casa (cosa esco a fare? il
mondo mi arriva in salotto) allora e' meglio un pugno di amici sui
monti della Carnia. Andrea Vico
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TELEFONINI
Cellulare Euro-Usa fax incluso
OAUTORE A_VI
OARGOMENTI comunicazioni, elettronica
OORGANIZZAZIONI IFA
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, GERMANIA, BERLINO
OSUBJECTS communication, electronics
SUL versante della telefonia mobile, all'Ifa, la grande rassegna
annuale di elettronica di Berlino di cui riferiamo ampiamente anche
negli altri articoli che compaiono su questa stessa pagina, due
oggetti molto interessanti sono stati presentati dalla Bosch. Uno e'
il nuovo portatile «718 World Com»: il primo Gsm a 900 MHz in grado
di funzionare automaticamente anche negli Stati Uniti (con lo
standard Pcs/Gsm 1900) senza bisogno di alcuna interfaccia o modifica
interna. E' inoltre possibile inviare fax con una velocita' di
trasmissione di 9600 bit al secondo. Il tutto senza che il «718» sia
piu' grande o piu' pesante di un normale telefonino. In Germania
sara' disponibile a partire dalla prossima primavera al prezzo di
800-900 marchi. Sempre nei primi mesi del 1998, la Bosch, tramite il
marchio Blaupunkt, lancera' sul mercato il «RadioPhone», un telefono
Gsm integrato in una moderna autoradio. Ovunque e' (giustamente!)
vietato telefonare mentre si e' alla guida, ma non sempre e'
possibile tenere spento il proprio cellulare mentre si viaggia. Il
«RadioPhone» risolve il problema: il telefono funziona tramite la
stessa scheda di un normale Gsm (sono dunque impossibili le
telefonate a scrocco) e si puo' attivare con la voce, tramite un
microfono montato sul cruscotto. Il «RadioPhone» puo' ricevere
informazioni sul traffico e puo' anche sintonizzarsi sui segnali del
Gps. Anche la Philips rafforza la sua presenza nel settore della
telefonia mobile e conferma tutta la sua gamma che ha quale elemento
di punta il «Genie» che, con appena 95 grammi e' il piu' leggero Gsm
attualmente sul mercato. Il modello «Diga» si arricchisce di una
versione per il Pcn (Pcn e' la rete a 1800 MHz sulla quale operera' a
breve il terzo gestore della telefonia mobile). Sony presenta il
«Cdm- X2000», minuscolo e simpatico telefonino dove ogni operazione
e' controllabile tramite una rotella che si chiama jog- dial e che
permette di fare tutto con una mano sola. Inoltre questo apparecchio
e' dotato di un sistema di registrazione digitale per poter prendere
fino a una ventina di secondi di «appunti vocali», anche mentre si
sta telefonando. Nokia risponde con il modello «1631», che puo'
essere ricaricato anche grazie a una batteria solare, e con il
«8110i», che offre la possibilita' di collegarsi direttamente a
Internet senza passare attraverso un modem o un computer. (a. vi.)
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PICCOLA GUIDA ALLE NOVITA' PIU' CURIOSE IN ARRIVO SUL MERCATO
OARGOMENTI elettronica, comunicazioni
OORGANIZZAZIONI IFA
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, GERMANIA, BERLINO
OSUBJECTS electronics, communication
LETTORE DI CD MULTIUSO. Una delle novita' piu' prestigiose, e anche
piu' costose, presentate all'Ifa di Berlino e' il «DVX 8000» della
Philips, un lettore di cd tuttofare, punto di arrivo della
convergenza digitale di Tv e computer. Legge Cd-rom, Dvd, Cd audio.
Viene proposto come il cuore del salotto multimediale dei prossimi
anni. Da esso si diramano i collegamenti all'impianto hi-fi e al
tv-computer. Sul mercato a Natale.
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FOTOGRAFIA DIGITALE. Dopo un avvio difficile, ostacolato dalla
diffidenza degli appassionati di fotografia abituati alla pellicola,
la camera digitale sta arrivando alla maturita' tecnologica. In
questo modello (Mavica Sony) le immagini finiscono in un dischetto,
dal quale possono essere inviate su Tv e computer; ovviamente il
vantaggio sta soprattutto nella possibilita' di elaborare le foto:
praticamente non c'e' limite ai trucchi.
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CELLULARE CON INTERNET. Il telefonino cellulare non si limita piu' al
servizio in voce ma diventa sempre piu' un terminale mobile della
rete, adattabile a qualsiasi mansione. Un modello sviluppato dalla
Nokia e' progettato apposta per il collegamento a Internet. Non c'e'
bisogno di un modem o di un computer, ma naturalmente puo' essere
collegato a un portatile o a un palmare. Il peso e' contenuto in 152
grammi.
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TELEFONINO INTERCONTINENTALE. Il nuovo cellulare che la Bosch sta per
mettere sul mercato risolve i problemi di telefonia mobile di chi
viaggia tra Europa e Stati Uniti. L'apparecchio «World-Com 718»
funziona infatti con standard mondiale Gsm 900 sia sulla rete
cellulare europea sia su quella americana, adattandosi
automaticamente alla situazione. Chi va negli Stati Uniti, quindi,
mantiene il proprio numero.
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RADIO DA ORECCHIO. Tra le curiosita' segnaliamo questa piccolissima
radio, che puo' stare interamente nell'orecchio dell'utente, avendo
le dimensioni di un auricolare con l'unica aggiunta di una antenna a
stilo lunga pochi centimetri. Capta la modulazione di frequenza, ha
un comando per la regolazione del volume e un comando per la
sintonizzazione automatica delle stazioni. La batteria e' contenuta
nell'apparecchio.
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
A MILANO
Ci si vede il 2 ottobre allo Smau
OARGOMENTI elettronica
OORGANIZZAZIONI SMAU
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)
OSUBJECTS electronics
IL 2 ottobre a Milano si inaugura lo Smau '97: e' l'occasione per
vedere molte delle novita' anticipate in questa pagina. Sony esporra'
tutta la sua gamma di televisori a schermo totalmente piatto, i tv
color con monitor a cristalli liquidi e il nuovo monitor per pc
«GdmW900» da 24 pollici con formato 16:10. Sara' anche possibile
provare la fotocamera digitale Mavica. Philips presentera' il «Velo
1», un pc palmare completo di Windows Ce, la «Esp2», sua prima
macchina fotografica digitale e il rivoluzionario «Flat Tv», uno
schermo al plasma da 42 pollici spesso appena 11,5 centimetri. Bosch
esporra' il «718 World Com». Siemens presentera' Gigaset 2000, una
famiglia di cordless Dect.
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. EDITORIA ELETTRONICA
Il fiume carsico dei bit
Una enciclopedia dell'era multimediale
OAUTORE DE CARLI LORENZO
OARGOMENTI didattica, elettronica, editoria
OORGANIZZAZIONI UTET
OLUOGHI ITALIA
ONOTE «Dizionario enciclopedico multimediale» (DEM)
OSUBJECTS didactics, electronics, publishing
L'ELEMENTO piu' importante di un'opera creata per essere letta
mediante il computer e' l'interfaccia, la quale svolge in un tempo
molte funzioni, consentendo per esempio l'accesso alle informazioni
contenute nell'opera, orientando la lettura, ma - soprattutto -
facendo emergere di volta in volta nodi diversi dell'ipertesto. Tra
le altre cose, infatti, l'interfaccia e' anche la momentanea
apparizione di catene d'informazioni che, proseguendo la
consultazione dell'opera, apparirebbero diversamente concatenate. E'
un po' come il punto dal quale emerge un fiume carsico. Il Dizionario
enciclopedico multimediale (DEM) della Utet colpisce di primo
acchito per la sua interfaccia molto sobria e priva di tutti quei
pulsanti e cursori, ostentati con espedienti grafici che ambiscono a
produrre vaghi effetti di tridimensionalita', che caratterizzano le
opere di consultazione create negli Stati Uniti e scimmiottate in
Europa. Il DEM - nel quale non si naviga seguitando a far clic,
aprendo e chiudendo finestre una dentro l'altra - si presenta come
una grande finestra divisa in tre colonne. A sinistra si leggono gli
indici di classificazione: Materie, Aree Geografiche e Multimedia; a
destra abbiamo gli indici finali, i quali svolgono anch'essi varie
funzioni, per esempio quella di segnalibro, quella d'indicare le voci
pertinenti col lemma cercato e, quella di ricordare il percorso
seguito. Nella colonna centrale, la piu' ampia, e' invece posta la
sequenza ininterrotta di lemmi che costituiscono la vera e propria
enciclopedia. In un certo senso, a sinistra dell'enciclopedia,
abbiamo l'asse paradigmatico, vale a dire le scelte possibili; a
destra abbiamo l'asse sintagmatico, vale a dire l'esecuzione del
percorso di ricerca seguito consultando l'enciclopedia. La
consultazione vera e propria puo' beninteso passare per le
indicazioni offerte dagli indici di classificazione che fungono da
cartelli indicatori. Ma, per una piu' rapida ricerca, viene spontaneo
sollecitare col puntatore del mouse il segno «piu'» collocato nella
barra di comando, mediante il quale si accede a una finestrella in
cui e' possibile indicare il lemma che si desidera cercare. Questo
tipo di consultazione, tipicamente da computer, e' la piu' praticata
da chi vuole una rapida risposta ai suoi quesiti: e se ha il limite
di isolare il lemma dal corpus enciclopedico, una felice peculiarita'
del DEM consiste nella capacita' di allineare non solo il lemma che
si desidera trovare ma anche quelli semanticamente pertinenti. Grazie
a questa strategia di consultazione il DEM riesce ad abbozzare un
contesto in cui collocare il lemma cercato e, nello stesso tempo,
offre utili tracce per altre ricerche pertinenti con quella da noi
intrapresa. La pagina-nodo del DEM conosce un'altra profonda
metamorfosi facendo clic col mouse su qualunque parola. Questo
comando, infatti, riconfigura di nuovo la finestra principale,
spostando a destra quella in cui si leggono i lemmi dell'enciclopedia
per far posto a un dizionario che spiega il significato della parola
su cui avevamo orientato il puntatore del mouse. Il DEM e' dunque,
insieme, enciclopedia e dizionario, consentendo un immediato
passaggio dall'una all'altro e offrendo anche una finestra per
l'elenco dei termini contrari o sinonimici a quelli di cui il
dizionario da' il significato. Se il DEM, di primo acchito, appare
dunque un'opera elettronica che sembra voler mimare la sobrieta'
delle opere di consultazione cartacee, mettendo a loro agio gli
utenti che hanno maggior famigliarita' coi volumi delle biblioteche,
in realta' e' un dizionario che si avvantaggia pienamente delle
intrinseche caratteristiche del mezzo digitale. Prova ne e' l'uso,
anch'esso sobrio e votato all'informazione precisa e mai meramente
spettacolare, delle risorse multimediali. Immagini, filmati,
animazioni e documenti sonori sono testi perfettamente calettati nel
macrotesto enciclopedico. La natura multimediale dell'opera non svia
l'attenzione del lettore dallo scopo primo del dizionario: informare
anzitutto, e tracciare in seguito i lineamenti di un eventuale
approfondimento. Non manca qualche difetto. I fondini e le musichette
di sottofondo, proprio perche' possono essere scelti dall'utente, al
quale e' pure data la possibilita' di farne a meno, hanno una
leziosita' che si concilia poco con la serieta' dell'impresa e
risultano solo ornamentali proprio perche' la consultazione del DEM
mostra quanto bene sia possibile fondere testo e multimedialita'. Le
voci enciclopediche sono spesso laconiche, ma per far di piu' ci
vorrebbero opere simili per ogni campo del sapere, cosi' da garantire
una piu' vasta informazione. La presenza nel cofanetto (titolo: Il
grande dizionario enci clopedico Utet) in cui e' venduto il DEM di
una piu' tradizionale opera cartacea (Il mondo dal 1970 a oggi.
Annali di storia contemporanea, di Gianpiero Bordino e Giuliano
Martignetti) denuncia di per se stessa i limiti della consultazione a
video e sembra dire che, quando davvero occorre approfondire la
conoscenza di una questione, il libro - con quella sua interfaccia
cosi' bene consentanea all'attivita' della riflessione - e'
insostituibile. Ma altrettanto lo e' il CD-Rom quando la
consultazione avviene mentre si scrive con il computer; il fatto di
poter trasferire porzioni di testo dal DEM ai documenti che andiamo
redigendo, trasformando lo schermo del nostro computer nel
nodo-finestra di un piu' grande ipertesto che si compone del DEM, dei
nostri testi e, magari, della rete di computer al quale siamo
collegati, e' una possibilita' di cui - una volta sperimentata -
difficilmente puo' fare a meno chi scrive al computer, vedendo in tal
modo trasformata la sua macchina nell'apertura che permette di far
emergere momentaneamente il proprio testo dal fiume carsico di testi
che scorre col flusso dei bit. Lorenzo De Carli
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. RICORDO DI CARL SAGAN
Voleva parlare con omini verdi
OGENERE dati biografici
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI storia della scienza, astronomia
OPERSONE SAGAN CARL
ONOMI HART JAMES,
SAGAN CARL
OORGANIZZAZIONI NASA
OLUOGHI ITALIA
OKIND biografic data
OSUBJECTS history of science, astronomy
IL 20 dicembre 1996, quando cedette al tumore del midollo che lo
aveva aggredito, Carl Sagan, 62 anni, sui giornali italiani ebbe
poche righe. Ci voleva «Contact», il film tratto dal suo unico
romanzo, per renderlo popolare anche presso il pubblico italiano.
Bene cosi', se un film hollywoodiano serve a ricordare un uomo che ha
fatto molto per l'astronomia, per la divulgazione scientifica e per
una idea nobilmente audace, benche' al limite dell'impossibile:
quella di stabilire un contatto - riecco la parola-chiave - tra
l'umanita' ed eventuali abitanti di altri mondi. Di «Conctat» Sagan
ha curato la sceneggiatura in collaborazione con James V. Hart
(speriamo in bene, considerato che finora questi aveva scritto
dialoghi cinematografici per Dracula e Frankenstein). Gli spettatori
pero' devono sapere che Sagan era professore di astronomia alla
Cornell University e che alla Nasa ebbe un ruolo decisivo nel
promuovere l'esplorazione del sistema solare con sonde-robot. I suoi
lavori di planetologia sono stati pubblicati nelle riviste piu'
prestigiose: se la stazione meteorologica che la missione
«Pathfinder» ha paracadutato su Marte il 4 luglio si intitola a Carl
Sagan, ci sono quindi ottimi motivi. Sagan aveva anche un grande
senso della comunicazione. La sua serie di documentari televisivi
«Cosmos» fu seguita da 500 milioni di persone in una sessantina di
Paesi. I suoi libri divulgativi sono letture piacevolissime e
affascinanti, al punto da fargli attribuire un Premio Pulitzer.
«Contact», che la Bur ripresenta in edizione economica, e' un romanzo
di fantascienza costruito con abilissima tecnica narrativa e - cosa
rara a parte i casi di Asimov e di Clarke - ineccepibile nei dati
scientifici che sono il presupposto della narrazione. Questo genio
della comunicazione si vede anche nell'impegno che Sagan mise nel
sostenere le ricerche di forme di vita extraterrestri. Profeta del
dialogo con E.T., Sagan sapeva perfettamente che bisogna costruire il
consenso popolare intorno a una iniziativa cosi' incerta come il
programma Seti (Search for Extra Terrestrial Intelligence). Nacquero
cosi' i due messaggi agli extraterrestri messi sulle sonde Pioneer e
Voyager. I due Pioneer hanno a bordo una targa dorata che riporta la
rotta della sonda, alcune nozioni scientifiche di base e il disegno
di un uomo e una donna nudi. All'epoca del lancio della sonda (1972)
su questi graffiti ci fu una polemica perche' l'uomo appare inciso
con i suoi attributi sessuali, la donna no. Linda Sagan, l'artista
che disegno' quelle figure preoccupandosi anche di mettere nei
lineamenti del volto qualcosa di tutte le razze umane, era stata
infatti censurata dalla Nasa, e la censura aveva suscitato la
protesta delle femministe. Inizialmente uomo e donna si tenevano per
mano: nella versione definitiva vennero separati: un alieno avrebbe
potuto pensare a un essere con quattro gambe e due braccia. A bordo
dei due Voyager, lanciati nel 1977, c'e' un messaggio piu'
sofisticato: in un disco sono incisi brani musicali (da Mozart a
Beethoven, ma anche un po' di jazz e di rock), espressioni di saluto
in tutte le lingue, rumori come lo sciabordio del mare e il boato di
una eruzione vulcanica, persino lo schiocco di un bacio. Sia i
Pioneer sia i Voyager sono ormai al di la' del sistema solare, stanno
avventurandosi nello spazio tra le stelle. Inutile dire che i loro
messaggi non hanno praticamente alcuna probabilita' di trovare un
destinatario, e in ogni caso ci vorranno 32 mila anni perche' il
Pioneer arrivi nei dintorni di una stella (Lambda Serpentis). Ma fu
lo stesso Carl Sagan a osservare che quei messaggi erano in realta'
diretti agli abitanti della Terra, per renderli consapevoli di quale
piccola cosa sia l'umanita' nei confronti del cosmo. Il contatto con
alieni intelligenti fu il grande sogno di Sagan probabilmente piu'
per motivi filosofici che scientifici. Pensava, Sagan, che da quel
contatto l'umanita' sarebbe uscita unita e migliore; pensava
addirittura che grazie ad esso si sarebbe salvata (eravamo in anni di
guerra fredda e negli arsenali delle superpotenze c'erano armi
sufficienti per uccidere ogni uomo una cinquantina di volte). A
muovere Sagan, insomma, era prima di tutto una molla civile.
«Contact» e' dedicato alla figlia Alexandra «con l'augurio di poter
lasciare alla sua generazione un mondo migliore di quello che abbiamo
trovato noi». Piero Bianucci
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. PROGRAMMA SETI
«Contact» all'italiana, ma non e' un film
Parte la caccia ad E.T. con il radiotelescopio di Bologna
OAUTORE CAGNOTTI MARCO
OARGOMENTI ricerca scientifica, astronomia
ONOMI SAGAN CARL, FOSTER JODIE, MONTEBUGNOLI STELIO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
ONOTE Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), Serendip (Search
for Extraterrestrial Radio Emission from Nearby Developed Intelligent
Populations)
OSUBJECTS research, astronomy
C'E' molta gente che antepone il proprio lavoro a ogni altro aspetto
della propria vita. Quando pero' quel lavoro ruota intorno
all'eventualita' di una scoperta tanto improbabile quanto
rivoluzionaria, la vicenda si fa davvero interessante. E' il caso di
Ellie Arroway, interpretata da Jodie Foster in «Contact» (dal 26
settembre nelle sale cinematografiche italiane), una giovane
radioastronoma che rinuncia a tutto pur di sposare la causa della
ricerca di intelligenze extraterrestri, nonostante la scarsa
considerazione di cui gli studi Seti (Search for Extra-Terrestrial
Intelligence) godono nell'establishment scientifico. Sembra una
battaglia persa in partenza, ma contro ogni previsione un segnale
arriva, e tutta la vicenda ruota intorno al problema della risposta
da dare e delle reazioni, individuali e collettive, alla scoperta che
non siamo soli nel cosmo. Fa piacere vedere finalmente un film che,
nonostante qualche concessione alla fantasia, e' realizzato con
attenzione al rigore scientifico. Non per nulla in «Contact» si
avverte la mano dell'autore del romanzo da cui la storia e' tratta:
Carl Sagan, l'astrofisico e divulgatore morto alla fine dell'anno
scorso, che della ricerca di intelligenze aliene e' stato uno dei
piu' entusiasti sostenitori. Se Seti gode di poco credito nella
comunita' scientifica statunitense, fino a vedere cancellato quattro
anni fa un programma su grande scala della Nasa, in Italia finora e'
stato ignorato totalmente. Eppure non manca la possibilita' tecnica
di far partire un progetto autonomo, con fondi e tempo di
osservazione dedicati: la Croce del Nord e le due parabole Vlbi (Very
Large Baseline Interferometry) di Medicina (Bologna) e Noto
(Siracusa) sono strumenti che si presterebbero a questo tipo di
ricerche. Nondimeno anche nel nostro Paese uno spiraglio per Seti si
e' aperto: un nuovo, potente strumento proveniente dalla California
arrivera' ai primi di ottobre a Medicina, e consentira' di compiere
ricerche senza rubare tempo e risorse ad altri programmi di studio.
Cercare il classico ago nel pagliaio avrebbe piu' probabilita' di
successo che rilevare un segnale intelligente di origine
extraterrestre. Non solo bisogna avere la fortuna di puntare il
radiotelescopio sulla stella giusta e proprio nel momento in cui gli
alieni decidono di inviare un segnale, ma anche la frequenza da
seguire e' tutt'altro che scontata. Molti ricercatori ritengono che
la piu' plausibile sia a 1,42 GHz, corrispondente alla riga
dell'idrogeno neutro, ma ovviamente nessuno e' in grado di dire con
certezza quale sarebbe la scelta di una civilta' aliena decisa a
comunicare. Cosi' qualcuno ha pensato che, non sapendo bene dove,
quando e come osservare, tanto vale procedere a caso. Per
«serendipita'» si intende la scoperta di qualcosa di imprevisto e
inatteso mentre si sta cercando qualcos'altro. Con ragione, dunque,
un gruppo di scienziati dell'Universita' di Berkeley ha chiamato
Serendip (Search for Extraterrestrial Radio Emission from Nearby
Developed Intelligent Populations) un progetto che prevede l'uso di
un'apparecchiatura in grado di operare contemporaneamente a qualsiasi
altro programma di osservazione radioastronomica, senza monopolizzare
tempo e risorse. Lo strumento di quarta generazione, Serendip IV,
puo' seguire 168 milioni di canali in una banda di frequenza larga
100 MHz ed e' appena stato installato presso il radiotelescopio di
Arecibo, a Puerto Rico. Un modulo di Serendip IV, che e' in grado di
seguire 4 milioni di canali in una banda di 2,5 MHz, arrivera' in
Italia ai primi di ottobre e verra' installato a Medicina. Si tratta
di un prestito dell'Universita' di Berkeley al CNR che, rispettando
lo spirito di tutto il progetto Serendip, non sottrarra' tempo ne'
alle antenne, che continueranno ad operare autonomamente sui progetti
gia' previsiti, ne' agli operatori, perche' il funzionamento delle
apparecchiature e' completamente automatizzato e i ricercatori
vengono allertati solo in presenza di un segnale sospetto. «L'unica
condizione che gli americani hanno posto per prestarci lo strumento -
dice Stelio Montebugnoli della Stazione Radioastronomica di Medicina
- e' l'impegno da parte nostra a tenere lo strumento costantemente in
funzione, collegato, ad almeno una delle tre antenne della nostra
rete». E aggiunge: «Per il resto, il costo dell'intera operazione
sara' di pochi milioni di lire, e mettera' a disposizione della
nostra comunita' scientifica uno strumento potente che le permettera'
di inserirsi a pieno titolo nell'ambito delle ricerche Seti».
Perfetto esempio di serendipita', un genovese diretto verso il Catai
ha scoperto per caso l'America. Chissa' mai che qualche emulo
italiano di Ellie Arroway non riesca grazie a Serendip a ripetere,
500 anni dopo, un exploit che per la cultura umana potrebbe essere
anche piu' rivoluzionario. Marco Cagnotti
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ALLE GALAPAGOS
Tartarughe, rettili venuti dall'eternita'
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI MELVILLE HERMAN, DE ROY TUI
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, ECUADOR, GALAPAGOS
OSUBJECTS zoology
SEMBRAVANO venute fuori dalle fondamenta del mondo. A guardarle si
aveva l'impressione di un tempo senza tempo che durasse
all'infinito». Questa la sensazione che provo' Herman Melville la
prima volta che si vide davanti una tartaruga gigante delle
Galapagos. Un colosso. Una corazza lunga fino piu' di un metro, larga
oltre due metri. Le zampe anteriori, ricoperte da squame grosse come
cosce umane. Tui De Roy, che tiene in osservazione da molti anni
l'ultimo grande rifugio delle Testudo elephantopus (questo il nome
scientifico della specie) nell'isola Isabela, la piu' vasta delle
Galapagos, stima che ve ne siano circa 4500 che scorrazzano ancora
nell'isola, specie nelle regioni centro-settentrionali, in
corrispondenza dei vulcani spenti. Scorrazzano per modo di dire. La
loro rotta e' sempre la stessa, da tempo immemorabile. Ne rimane
testimonianza nei sassi levigati dal peso dei milioni di individui
che hanno percorso nei secoli gli stessi sentieri. I rettili si
trattengono in prevalenza sui terreni lavici e aridi delle zone
pianeggianti e vanno regolarmente sugli altopiani vulcanici, dove
trovano tenere erbette da brucare (il terreno vulcanico e' sempre
molto fertile) e soprattutto acqua. Quando una tartaruga assetata
giunge a un punto d'acqua, immerge completamente la testa, beve con
avidita', pompando con la bocca e rimane a bagno per alcune ore. Se
la stagione e' particolarmente secca, le tartarughe si accontentano
della rugiada notturna che si condensa sulla vegetazione o forma
piccole pozzanghere. Ma nell'attesa delle piogge, se ne passano a
volte mesi e mesi di sete e di digiuno quasi integrale. Ed e' allora
che nasce piu' accesa la competizione per contendersi lo spazio nelle
poche pozzanghere ancora umide. La stagione delle piogge non e'
sempre uguale. In certi anni incomincia a piovere in gennaio e
continua per quattro mesi, in altri tutto si riduce a uno o due
acquazzoni in marzo o aprile. Comunque, la stagione delle piogge,
lunga o breve che sia, e' l'epoca degli amori. E' allora che i maschi
diventano eccitati e aggressivi. Per quanto le loro lotte siano
ritualizzate - il confronto tra i rivali e' una prova di forza, non
un duello cruento - i contendenti si sollevano sulle zampe anteriori
e affrontano gli avversari a bocca spalancata, come se volessero
morderli. Ma poi si limitano a spingersi muso contro muso, finche'
uno dei due si allontana. Il vincitore deve ora conquistarsi una
femmina e non sempre e' cosa facile. Lei si schermisce. Spesso lui la
deve inseguire e non riesce a starle dietro nel groviglio della
vegetazione. Quando finalmente riesce ad acchiapparla, la immobilizza
mordendole le zampe. Poi i due si uniscono e l'accoppiamento puo'
durare anche un'ora. In questa fase, i maschi lanciano fortissimi
muggiti che si odono fino a 200 metri di distanza. Nel bel mezzo
della stagione secca le femmine gravide migrano nelle parti piu'
infuocate delle caldere vulcaniche per deporre le uova, simili per
forma e dimensioni alle palle da bigliardo. Non c'e' migliore
incubatrice naturale. Per raggiungere le localita' adatte, percorrono
anche molti chilometri. Poi, giunte sul posto prescelto, scavano
faticosamente la terra arida con le zampe posteriori, fanno due o tre
buche e vi lasciano scivolare dentro le uova, ricoprendo i nidi con
terra, mescolata a urina ed escrementi. Incominciano a scavare
generalmente nel pomeriggio inoltrato e terminano il loro lavoro dopo
circa dodici ore. Prima di allontanarsi spianano la superficie,
rotolandocisi sopra varie volte e premendo il terreno con la corazza.
Da 4 a 6 mesi dopo emergono le tartarughine, ma una folla di nemici
e' in agguato, pregustando il sapore delle loro tenere carni. Sono
predatori naturali, come le poiane, ma soprattutto predatori
introdotti incautamente nelle Galapagos dall'uomo, come cani
selvatici, gatti, maiali e ratti. Per cui si puo' dire che sopravviva
si' e no un uovo su diecimila. E' un miracolo che le gigantesche
tartarughe delle Galapagos siano giunte fino ai giorni nostri,
nonostante lo spaventoso massacro dei secoli passati. Questi rettili
sono stati la dispensa viveri di interi bastimenti, quando le navi
dei pirati prima e quelle dei pescatori di balene poi facevano
regolarmente scalo nelle isole per approvvigionarsi di carne fresca.
Una carne che si era rivelata gustosissima, di facile digeribilita',
cosi' ricca di grasso che per cucinarla non occorreva ne' burro ne'
olio. Di sapore piu' delicato e genuino della carne di manzo. Una
vera pacchia per gli equipaggi delle navi. Esaminando i diari di
bordo delle baleniere, uno zoologo americano scopri' che solo tra il
1811 e il 1844 erano state caricate a bordo e ovviamente consumate
quattordicimila tartarughe. Questo dato da' un'idea dell'entita'
dello sterminio. E pensare che quando i primi spagnoli arrivarono
nelle Galapagos, le tartarughe elefantine popolavano tutte le isole
dell'arcipelago. Anzi si erano differenziate in molte sottospecie
diverse. Ogni isola ne ospitava una sua propria. Oggi cinque di
queste sottospecie si sono estinte e parecchie altre sono sull'orlo
dell'estinzione. La situazione e' peggiorata anche perche' sono
arrivate delle temibili concorrenti in fatto di cibo, le capre
selvatiche, altra incauta introduzione da parte dell'uomo. Proprio
recentemente migliaia di queste capre hanno invaso l'area del vulcano
Alcedo nell'isola Isabela, togliendo alle tartarughe non solo il
cibo, ma anche l'ombra degli alberi, cosi' necessaria nelle ore piu'
calde della giornata. Per fortuna la Stazione di ricerca Charles
Darwin - che si trova sull'isola Santa Cruz - ha indetto una campagna
per l'eliminazione delle voracissime capre. E d'altra parte fin dagli
Anni 70 la Stazione sta attuando un programma di allevamento
artificiale che ha gia' dato brillanti risultati e consentira' - si
spera - di salvare le sottospecie in pericolo riportando nelle isole
originarie questi affascinanti giganti che possono vivere anche piu'
di duecento anni. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PIANTA CARNIVORA
Bentornata Drosera!
OGENERE box
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, SVIZZERA
OKIND boxed story
OSUBJECTS botany
Per i botanici si tratta di «un piccolo miracolo»: estinta da oltre
due secoli al Nord delle Alpi, e' riapparsa in centinaia di esemplari
in una zona nel cantone San Gallo la pianta carnivora Drosera in
termedia, forse germogliata da semi vecchi di duecento anni. Mentre
alcune droseracee - spiega il portavoce di un gruppo di ricercatori
botanici svizzeri - si incontrano spesso a Nord delle Alpi, in
particolare nelle torbiere d'altitudine, la Drosera intermedia era
considerata estinta nella regione. Il suo ritorno nei pressi di
Altstaetten potrebbe spiegarsi con la germinazione di semi dormienti
da circa duecento anni e risvegliati dal ritorno di condizioni
favorevoli. In altre parole, il ritorno della Drosera potrebbe essere
una conseguenza, questa volta positiva, dell'effetto serra.
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IN ITALIA
E' l'ora dei parchi marini
OAUTORE NOTARBARTOLO DI SCIARA GIUSEPPE
OARGOMENTI ecologia, conferenza, nazionale, parchi naturali, mare
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OSUBJECTS ecology, lecture, national, sea
SI apre domani a Roma la prima conferenza nazionale sulle aree
nazionali protette, un'importante manifestazione sui parchi e sulle
riserve italiane organizzata dal ministero dell'Ambiente. Non
potrebbe esserci occasione piu' appropriata, per l'Italia, per
compiere un risolutivo giro di boa in tema di aree protette marine, e
passare finalmente dalle parole ai fatti. Ce ne sarebbe un gran
bisogno, visto che nel nostro Paese, di riserve o parchi marini, ne
esistono di fatto soltanto due - Ustica e Miramare - certo pregevoli
se presi singolarmente, eppure microscopici e di portata irrisoria se
messi a fronte dell'intero sviluppo costiero nazionale e della sua
varieta' naturalistica. Parrebbe, questo, il momento piu' propizio
per dare uno scossone al letargo che in passato sembra aver
intorpidito le istituzioni in fatto di parchi marini. E' infatti
merito di Edo Ronchi, ministro dell'Ambiente, l'aver sgombrato il
terreno dal ginepraio delle competenze ministeriali in frequente
conflitto, affidando le aree marine protette interamente
all'Ispettorato Centrale per la Difesa del Mare. Pur indispensabile,
tuttavia, la volonta' politica non basta per dotare l'Italia di
parchi e riserve marine che ci mettano al passo con gli altri Paesi
europei. Occorrono fondi adeguati, disponibilita' da parte delle
popolazioni locali e competenze tecnico-scientifiche. Due sono i
principali motivi per cui la collettivita' deve investire nelle aree
protette: il fatto che i costi derivanti dalla perdita di ricchezze
naturali per incuria e degrado sono immensamente piu' elevati di
quelli necessari a mantenerla, e la potenziale capacita' delle aree
protette di autofinanziarsi una volta affermate in un fluido
meccanismo gestionale e nella conoscenza del grande pubblico.
L'amministratore che lascia incustoditi gli Uffizi per risparmiare
sugli stipendi dei guardiani dovra' vedersela con la legge oltre che
con il pubblico ludibrio, e lo stesso dovrebbe avvenire per chi
trascura di garantire adeguata protezione ai beni naturali.
Altrettanto importante e' l'atteggiamento di coloro che vivono e
traggono sostentamento all'interno o comunque nell'ambito dell'area
protetta: atteggiamento spesso purtroppo per niente benevolo, e non
senza giustificazione. In troppe occasioni in passato non si e' data
sufficiente importanza al fattore umano. Le persone e le loro
esigenze devono divenire la forza trainante della protezione
dell'ambiente, dopo tutto saranno proprio loro le prime a beneficiare
di tale protezione. Dunque il successo di un'area marina protetta e'
strettamente legato alla precisa individuazione delle categorie dei
suoi utenti, e al loro sapiente coinvolgimento tanto nella
pianificazione quanto nella gestione. Ultimo, ma non meno importante,
e' il problema delle competenze scientifiche, che in materia di
creazione di aree marine protette in Italia ancora non esistono in
misura sufficiente. Ne' potrebbe essere altrimenti, vista la carenza
di palestre per esercitarsi. Tuttavia questa mancanza di tradizione
non e' un problema se sapremo affrontarlo con umilta', attingendo
all'ormai rodata esperienza disponibile nella comunita' scientifica
internazionale. Per creare un'area marina protetta non e' possibile
infatti applicare pedissequamente i criteri utilizzati per un parco
terrestre: occorrono nuovi paradigmi, imposti dalla natura nebulosa
dei confini nel fluido ambiente del mare. Un parco marino non si puo'
recintare, non sono gli oggetti o le strutture in esso contenute che
occorre proteggere, e allo stesso modo non esistono barriere in grado
di escludere i fattori di degrado quali l'inquinamento dalla
terraferma e dall'atmosfera, i cambiamenti idrologici, o gli
squilibri ecologici di aree contigue. Al contrario, in un parco
marino occorre tutelare i processi criticamente importanti al
funzionamento dell'ecosistema: ad esempio i cicli dei nutrienti e
dell'energia, la presenza in buona salute di habitat riproduttivi, la
percorribilita' di rotte di migrazione o di dispersione degli
organismi. G. Notarbartolo di Sciara Presidente ICRAM
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. COME REAGISCE ALL'ANIDRIDE CARBONICA
E' l'Oceano Atlantico a fare il nostro clima
OAUTORE CANUTO VITTORIO
OARGOMENTI meteorologia, geografia e geofisica
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE G. Influenza dell'Oceano Atlantico sul clima
OSUBJECTS meteorology, geography and geophisics
SE la guerra e' una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai
generali, come disse Clemenceau, il futuro del nostro pianeta e' una
cosa troppo seria per lasciarlo in mano solo ai politici e
diplomatici ai quali tocca il poco invidiabile compito di suggerire
le tabelle di marcia dello sviluppo per i prossimi decenni. Il
contributo degli scienziati per capire quel complicato sistema che e'
il clima e' essenziale nel processo decisionale. Cio' e'
particolarmente vero in vista dei nuovi risultati scientifici di cui
parlero' in quest'articolo e della prossima, importante riunione a
Kyoto a dicembre, dove ci si aspetta che si stabiliscano i limiti di
emissione dei gas serra per i vari Paesi. Compito, diciamolo
chiaramente, quanto mai difficile. Il clima e' come un animale
dall'apparenza mansueta ma che puo' scattare a stati di «ira funesta»
quando la provocazione superi una certa soglia, passata la quale non
si puo' piu' tornare allo stato iniziale. Detto in altri termini, il
sistema clima, atmosfera piu' oceani, possiede vari stati di
equilibrio; non tutti pero' sono favorevoli alla vita su questo
pianeta. Quantificare tali stati e' tutt'altro che facile data la
nostra incompleta conoscenza del fenomeno clima, definito «la media
del tempo su un periodo di trent'anni». Come sara' il clima dei
prossimi 50-100 anni? I parametri generali sono noti. La CO2
(anidride carbonica) che potenzia l'effetto serra e' in aumento:
prima della rivoluzione industriale la sua concentrazione era dello
0,028%, oggi e' del 30% maggiore, risultato delle attivita' umane
come la combustione di carbone, petrolio, gas naturale nonche'
deforestazione. Se continuiamo di questo passo, quando la CO2 si
sara' raddoppiata, la temperatura media del nostro pianeta potra'
essere 2-4 oC superiore a quella di oggi. Ma ci sono altri pericoli
assai piu' insidiosi che solo ora stanno venendo alla luce. Uno di
questi e' stato svelato da uno studio portato a termine a Berna da
Stoker e Schmitter, apparso sulla rivista inglese «Nature» il 28
agosto. Poiche' gli oceani possiedono grande inerzia termica, essi
rispondono molto lentamente a perturbazioni esterne: un'azione di
oggi non si rivelera' se non fra molti decenni. Ecco perche' gli
oceani sono oggetto di tanta attenzione: hanno una scala di tempi
tipica del clima, non gia' del «tempo», che e' invece governato da
fenomeni con scale di tempi piu' corte, come appunto i fenomeni
atmosferici. Abbiamo gia' avuto modo di discutere sulle pagine di
questo giornale le caratteristiche piu' salienti del grande «nastro»
dell'Oceano Atlantico, il serpentone d'acqua responsabile del clima
moderato che ha permesso all'Europa di fiorire mentre Paesi alla
stessa latitudine sull'Oceano Pacifico sono sotto zero, il che si
deve al fatto che c'e' poca evaporazione, il che in ultima analisi e'
dovuto alla bassa temperatura. La quantita' di calore rilasciata dal
nastro atlantico nelle regioni dell'Europa del Nord e' prodigiosa, un
milione di miliardi di watt! Sappiamo da studi di paleo- climatologia
che circa 11.000 anni fa, il nastro si spense pochi decenni, per poi
risuscitare. Come per il diavolo, il suo peggior nemico e' l'acqua,
non quella santa ma quella dolce, quella piovana, non salata, che lo
rende meno pesante (denso) e quindi meno incline a sprofondarsi nei
fondi marini dove inizia il suo viaggio attorno al mondo. Il suo
secondo nemico e' la temperatura che, qualora si alzasse, renderebbe
l'acqua piu' leggera e quindi, di nuovo, meno disposta ad affondarsi.
Ma questi sono proprio due fenomeni prodotti dall'effetto serra: piu'
precipitazioni al Nord e riscaldamento delle acque superficiali. Se
tale nastro dovesse collassare, addio Europa: buona parte di essa si
popolerebbe di renne. Quello che successe 11.000 anni fa, un decesso
temporaneo del nastro, non fu dovuto a un aumento della temperatura
poiche' eravamo in un'era post- glaciale, ma all'arrivo
nell'Atlantico di una grande quantita' di acqua dolce dovuta allo
scioglimento di ghiacciai del continente americano che normalmente
scorrevano a Sud verso il Golfo del Messico, ma che per qualche
ragione cambiarono rotta, si inserirono nel fiume San Lorenzo e
finirono nell'Atlantico che si «dolcifico'» al punto che quasi mori'.
Il che ci dice che un decremento della salinita' ha un effetto
maggiore che un aumento della temperatura (i due fenomeni abbassano
la densita' dell'acqua). Quattro anni fa, due scienziati americani di
Princeton, Manabe e Stouffer, dimostrarono una cosa assai
sorprendente: qualora si caricasse l'atmosfera con due-tre volte la
CO2 di oggi, il nastro si spegnerebbe inesorabilmente. Lo studio
appena pubblicato fa un passo in piu' e ci dice che e' importante non
solo l'ammontare totale della CO2 equivalente (cioe' rappresentativa
di tutti i gas ad effetto serra), ma anche il tasso con cui e'
emessa, una conclusione di grande valore pratico. Nella figura
riproduciamo i risultati piu' salienti: nella verticale c'e' la
portata del nastro corrispondente oggi a circa 25 Sv (Sv e' una
unita' in onore dell'oceanografo norvegese Sverdup e corrisponde ad
un milione di metri cubi al secondo; 25 Sv sono equivalenti alla
portata di 100 Rio delle Amazzoni!). Notiamo questi fatti salienti:
Curva 1. Se l'incremento annuale e' dello 0,5%, il nastro non
collassa, anche se in una prima fase si indebolisce riducendo la sua
portata quasi fino alla meta'; poi si riprende, per ritornare quasi
al valore iniziale. Curva 2. Con un aumento annuale dell'1 per cento,
avviene il collasso quando si sia raggiunta una concentrazione totale
dello 0,075%, cioe' circa il doppio di oggi. Curva 3. Lo stesso
avviene se l'aumento annuale e' del 2%, ma in questo caso il collasso
avviene quando la concentrazione e' minore, dello 0,065%. Quantunque
tutto cio' non sia verita' evangelica, tali risultati stanno
convergendo: scienziati in Paesi diversi, usando modelli diversi,
hanno ottenuto essenzialmente lo stesso comportamento dell'oceano
sotto uno stress causato dall'uomo. Il pericolo che corre l'Europa
qualora si affievolisse il nastro atlantico e' semplicemente troppo
grande, non possiamo trasformare l'Atlantico nel Pacifico. E' un
rischio che speriamo sia ben presente a coloro che dovranno regolare
le future azioni dell'umanita' a Kyoto, in dicembre. Vittorio M.
Canuto Nasa, New York
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PROBLEMI DI CUORE
La scossa salvavita
Nell'arresto cardiaco i primi cinque minuti di assistenza medica sono
decisivi Appello da un convegno: abilitare gli infermieri all'uso del
defibrillatore
OAUTORE DESTRO ANTONIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI ITALIAN RESUSCITATION COUNCIL
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, RIMINI (RN)
OTABELLE D. Sezione del cuore
OSUBJECTS medicine and physiology
ACCADE abbastanza spesso che il cuore vada incontro ad alterazioni
del ritmo dei battiti (aritmie); ci sono pero' aritmie benigne e
aritmie maligne. Fra le maligne ce n'e' una (detta fibrillazione
ventricolare, Fv), fulminea e poco prevedibile, che e' la causa piu'
comune dell'arresto cardiaco improvviso (morte improvvisa cardiaca).
La Fv puo' insorgere nelle prime fasi di un infarto miocardico acuto
(che e' dovuto all'occlusione di una delle coronarie, arterie che
irrorano le pareti del cuore). Quando questo avviene, l'infarto si
complica con un arresto cardiaco. Fortunatamente solo una parte
piccola degli infarti va incontro a questa grave complicanza; ma si
tratta di una complicazione che, se insorge, lo fa soprattutto nelle
prime fasi dell'infarto, quando il paziente spesso non e' ancora in
ospedale. Ecco perche' oggi di infarto si muore molto meno (in
ospedale), ma bisogna avere la fortuna di arrivarci presto e ben
assistiti. Invece i decessi preospedalieri, a seconda delle
statistiche, sono dal 50 al 70% del totale. In caso di arresto
cardiaco improvviso, la salvezza del paziente e' legata al fatto che
ci sia accanto a lui, in quel momento, qualcuno in grado di capire la
gravita' della situazione e di cominciare entro 4-6 minuti
dall'arresto, a praticare la «Rcp» (rianimazione cardiopolmonare), in
attesa che sia possibile collegare il paziente a un apparecchio
chiamato defibrillatore col quale dargli la scossa salvavita. E' una
drammatica partita che si gioca tutta li', sul luogo dell'evento, nel
giro di pochi minuti; una battaglia da vincere prima che il cervello
diventi irrecuperabile. E' quindi necessario prevedere strategie
sociali, educative ed organizzative perche' la battaglia contro la
«morte improvvisa cardiaca» (che secondo le statistiche colpisce 1
persona su 1000 all'anno), sia organicamente impostata anche in
Italia. Il primo passo e' diffondere l'insegnamento sull'emergenza
cardiorianimatoria fra la popolazione: nell'Europa del Centro-Nord
l'insegnamento cardiorianimatorio ha raggiunto percentuali di
residenti fra il 5 ed il 20%, in alcune citta' Usa supera il 30%. In
Italia le percentuali sono minime e dovute solo a iniziative locali,
come quelle di Monza, Vicenza, Rimini. Una strategia nazionale
potrebbe prevedere diversi momenti in cui si insegna gradualmente al
cittadino come riconoscere una emergenza cardiaca, come dare
l'allarme in modo corretto, che fare in attesa dell'arrivo
dell'ambulanza. Un primo grado di insegnamento elementare potrebbe
avvenire in III media (cosi' si raggiungerebbero tutti i cittadini).
La Rcp e' indispensabile comunque, si e' detto, per guadagnare tempo:
ma nell'arresto cardiaco improvviso da Fv (che ne rappresenta la
causa grandemente piu' frequente) il momento risolutivo e' la
defibrillazione, cioe' una scossa elettrica erogata, con opportuna
tecnica, sul torace. La scossa deve sopravvenire al piu' presto
possibile e nel frattempo il paziente esanime deve essere tenuto in
vita con la Rcp. Piu' precoce sara' la scossa, piu' probabilita' ci
saranno che la Rcp sia poi coronata dalla ripresa di attivita'
cardiaca spontanea. Il defibrillatore, che oggi ha le dimensioni di
una valigetta «24 ore», richiede l'intervento di un soccorritore
esperto, che sappia interpretare l'elettrocardiogramma e decidere
istantaneamente se e come dare la scossa. Per ovviare a questi
limiti, da circa vent'anni sono in uso anche i defibrillatori
automatici o semiautomatici esterni («Dae»). Contengono in piu' un
computer, che analizza il ritmo cardiaco, predispone l'apparecchio
alla scarica, se necessaria, dandone contemporanea informazione al
soccorritore con messaggi vocali e scritti. L'affidabilita' dei Dae
e' tale che vengono abitualmente utilizzati, in molti Paesi, da
soccorritori non medici e addirittura non sanitari (agenti di
polizia, vigili del fuoco). Ad esempio, i Dae sono in dotazione anche
al personale di bordo degli aerei di linea della compagnia
australiana, con numerosi casi di resuscitazione in volo. In Italia
invece questi apparecchi, per motivi di tipo legale e culturale, sono
di fatto utilizzati solo dal medico, con inevitabili e spesso fatali
ritardi. Nelle rare aree italiane in cui gli infermieri professionali
del 118 sono stati autorizzati a usare il Dae, i netti incrementi
delle percentuali di sopravvivenza sono stati puntualmente ottenuti,
come nelle esperienze straniere. Questi problemi sono stati tema del
Convegno dell'Italian Resuscitation Council, tenutosi a Rimini in
questi giorni. Ne e' emerso come sia necessaria una modifica delle
norme italiane, che consenta l'uso dei Dae anche a soccorritori non
medici, adeguatamente addestrati e abilitati. Antonio Destro Italian
Resuscitation Council
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ADDUCINA E REGOLAZIONE DEL SALE
Ipertensione, individuata una causa di tipo genetico
OAUTORE TRIPODINA ANTONIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI BIANCHI GIUSEPPE
OORGANIZZAZIONI OMS, LANCET, OSPEDALE SAN RAFFAELE
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)
OSUBJECTS medicine and physiology
E' ben noto che il cloruro di sodio, il comune sale da cucina, ha un
ruolo importante nello sviluppo di alcune forme di ipertensione
arteriosa. Per questo l'Organizzazione mondiale della sanita'
suggerisce che il trattamento dell'ipertensione inizi sempre con una
dieta povera di sale: e' provata l'efficacia di questo provvedimento
nel ridurre i valori della pressione, sia sistolici che diastolici.
Restava pero' oscuro il motivo per cui, in una popolazione con dieta
ricca di sale, solo una percentuale dal 15 al 30% vada incontro
all'ipertensione. Nessuna teoria era del tutto convincente. Non per
nulla il 95% delle forme di ipertensione e' ancora definito
«essenziale». Un modo elegante per dire «da causa ignota». Le cose
tuttavia stanno cambiando. Il merito di aver trovato il bandolo di
una complicatissima matassa va in buona parte ad un gruppo di ricerca
italiano, guidato da Giuseppe Bianchi, nefrologo dell'Ospedale San
Raffaele di Milano, i cui dati sono stati recentemente pubblicati su
«Lancet». La storia inizia negli Anni 60, con la selezione di una
razza di ratti geneticamente ipertesi, denominata Milano. Su questi
ratti, che sviluppano un'ipertensione simile a quella umana, sono
state condotte negli ultimi anni ricerche per identificare i geni
alterati e per comprendere attraverso quali meccanismi si sviluppa
l'ipertensione. Grazie a questo lavoro l'ipertensione ora e' un po'
meno «essenziale». Analogamente a quanto osservato nei ratti Milano,
si e' visto che circa il 40% delle persone ipertese presenta una
«adducina» alterata. L'adducina e' una proteina che ha il
delicatissimo compito di modulare, nelle cellule del tubulo renale,
la funzione della pompa sodio/potassio, addetta al riassorbimento del
sodio dalle orine, in modo che venga mantenuto un giusto equilibrio
nella composizione dei liquidi corporei. E' costituita da due
sub-unita', alfa e beta, codificate da geni diversi. L'errore
riguarda piu' spesso l'alfa-adducina (il cui gene si trova sul
cromosoma 4). Un piccolo errore (la sostituzione di un aminoacido con
un altro, in una molecola costituita da ben 720 aminoacidi), ma
sufficiente a squilibrare la funzione della pompa che fa riassorbire
piu' sodio di quanto non ne venga eliminato. E quando nel sangue si
ha un eccesso di sodio, parte di esso va a localizzarsi nelle
fibrocellule muscolari lisce delle arteriole, rendendole piu'
sensibili alla stimolazione del sistema nervoso simpatico, da cui una
persistente vaso-costrizione e un aumento della pressione arteriosa.
L'adducina alterata compare anche nel 25% di persone con pressione
normale: si presume che perche' l'ipertensione si sviluppi sia
necessario il concorso di altri geni mutati, gia' in parte
individuati. Un'importante osservazione e' che gli ipertesi che hanno
una mutazione del gene dell'adducina rispondono molto bene ai farmaci
che aumentano l'eliminazione del sodio (alcuni diuretici) e alla
restrizione dietetica del cloruro di sodio. E' gia' pronta per la
sperimentazione una nuova molecola che, a dosi bassissime, e' in
grado di correggere le anomalie della pompa sodio/potassio legate
all'adducina mutata. Stiamo quindi per entrare nell'era in cui sara'
importante avere per ogni paziente iperteso una specie di carta
d'identita' genetica, che permettera', in parecchi casi, una terapia
basata sulla correzione delle cause piuttosto che dei sintomi, come
avviene ora. Antonio Tripodina≥
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. SE NE DISCUTERA' A TORINO
Ritorna il fantasma della Tbc tre milioni di vittime all'anno
OAUTORE MODA GIULIANA, VALPREDA MARIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, biologia
OORGANIZZAZIONI OMS
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OTABELLE T. Casi stimati di tubercolosi nel mondo (dati 1997)
OSUBJECTS medicine and physiology, biology
SCIENZIATI di tutto il mondo, sotto l'egida dell'Unione
Internazionale contro la tubercolosi e le malattie respiratorie,
dibatteranno a Torino, il 6-7 ottobre, presso la nuova sede della
Facolta' di Veterinaria, i principali problemi della tubercolosi,
umana e animale. Al centro dell'attenzione sara' Mycobacterium bovis,
il germe che colpisce prevalentemente il bovino ma e' responsabile
anche di gravi patologie nell'uomo. Di particolare interesse la
rassegna dei nuovi metodi diagnostici e delle prospettive di indagine
aperte dalle biotecnologie. A fine convegno, le rappresentanze delle
maggiori organizzazioni internazionali di sanita' pubblica, con in
testa gli esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanita' di
Ginevra (Oms), si riuniranno per decidere le strategie migliori di
lotta all'infezione. Nota fin dall'antichita' (lesioni inequivocabili
sono state rinvenute anche in mummie dell'antico Egitto) la
tubercolosi e' stata una delle patologie con cui la scienza medica si
e' confrontata con difficolta', tra tragedie personali e drammi
sociali, nella cornice di suggestioni psicologiche e letterarie.
Nella lotta alla tubercolosi i successi decisivi, dopo decenni di
terapie poco efficaci nei sanatori, sono venuti con l'era antibiotica
e con la successiva messa a punto di programmi di cura intensivi,
capaci di combattere l'infezione in tempi relativamente brevi. La
rilevanza del problema aveva peraltro dato un impulso straordinario a
una estesa e capillare rete di diagnosi, cura e prevenzione,
rappresentata nel nostro Paese dai Consorzi antitubercolari, ma
sviluppatasi ovunque con caratteristiche analoghe. Un forte
contributo e' stato fornito anche, almeno nei Paesi a reddito medio
elevato, dal miglioramento delle condizioni di igiene e di
alimentazione della popolazione mentre il Terzo Mondo paga da sempre
un tributo di milioni di malati e migliaia di morti ogni anno. Oggi
il problema tubercolosi e' ritornato clamorosamente alla ribalta
anche nelle nazioni piu' ricche, a testimonianza che la lotta contro
questa infezione non e' mai definitivamente vinta. Le cifre sono
allarmanti: si calcola che nei prossimi 10 anni potrebbero morire per
tubercolosi circa 30 milioni di persone. Inoltre la tubercolosi e'
ancora in testa nella classifica della mortalita' da agenti batterici
e circa un terzo della popolazione mondiale e' colpita da questa
malattia. Le cause della recrudescenza (8 milioni di nuovi casi nel
1996) sono molteplici. Innanzitutto la grande resistenza del germe,
che si e' rapidamente adattato anche ai farmaci utilizzati, in
particolare all'idrazide dell'acido isonicotinico e alla
streptomicina: si ritiene che almeno 50 milioni di persone soffrano
di forme resistenti alla terapia. Determinante anche la formazione di
nuove sacche di povera' scarsamente assistite, collegate solo in
parte ai recenti flussi migratori, e l'aumento delle forme di
immunodepressione, che colpiscono percentuali crescenti di
popolazione. La rete dei controlli, molto allentata dopo i successi
di questa seconda meta' del secolo, rischia di rivelarsi
assolutamente insufficiente. Troppi casi sono diagnosticati in
ritardo o rimangono nascosti da altre patologie e, considerata l'alta
contagiosita' della malattia, costituiscono una prolungata fonte di
rischio. Una certa percentuale di episodi trova la sua origine negli
animali, colpiti da specie diverse del micobatterio, capaci pero' di
infettare anche l'uomo. Ridotto di molto il rischio di contagio
alimentare, sono soprattutto le categorie professionali esposte
(allevatori, veterinari, macellatori, tecnici di laboratorio) a
contrarre l'infezione. Se anche la prestigiosa rivista «Nature» ha
lanciato l'allarme con un articolo intitolato «Tubercolosi: indietro,
verso un futuro che spaventa», sembrano da valutare molto seriamente
gli appelli di medici e ricercatori a rinnovare l'attenzione per
questo antico male. Giuliana Moda Mario Valpreda
ODATA 24/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZA DELLA VITA. UNA FONTE DI CONTAGIO
La tubercolosi bovina: anche le foche sono serbatoi di infezione
OAUTORE MODA GIULIANA, VALPREDA MARIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, biologia, animali
OORGANIZZAZIONI OMS
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS medicine and physiology, biology, animal
LATTE bovino: un alimento che accompagna dall'infanzia alla vecchiaia
la maggior parte degli uomini. Per questo le autorita' sanitarie di
tutto il mondo dedicano attenzioni particolari alla sanita' di base
delle mandrie specializzate per questa produzione. Gli interventi di
risanamento degli allevamenti sono iniziati fin dagli Anni 20, quando
si e' applicato su larga scala il test tubercolinico che consente
l'individuazione precoce dei bovini infetti. In Italia il primo latte
di mandrie indenni da tubercolosi e' stato commercializzato negli
Anni 50, con iniziative su base volontaria. Oggi la legge impone che
tutti gli animali che producono latte e carne siano controllati
annualmente e certificati indenni da tubercolosi. I vantaggi ricadono
non soltanto sulla salute pubblica ma anche sull'economia delle
aziende agricole, considerato che la tubercolosi bovina penalizza
pesantemente, quantitativamente e qualitativamente, le produzioni.
Gli animali che i veterinari delle Usl diagnosticano infetti vanno
prontamente eliminati e, per compensare il danno subito agli
allevatori, viene corrisposto un parziale indennizzo. Una diagnosi
tempestiva della tubercolosi bovina e' particolarmente importante
perche' la malattia e' altamente contagiosa e il germe resiste a
lungo nell'ambiente. Entrato nell'organismo, il micobatterio
tubercolare puo' localizzarsi in tutti gli organi, ma colpisce
preferibilmente polmoni e apparato digerente. Gli allevamenti infetti
sono sottoposti a una rigida quarantena sanitaria durante la quale
non possono ne' vendere animali ne' commercializzare i prodotti. La
qualifica di allevamento ufficialmente indenne si consegue dopo che
tutti gli animali presenti nell'azienda sono risultati negativi a due
prove tubercoliniche effettuate a distanza di sei mesi. In Italia la
tubercolosi bovina e' ormai contenuta e il traguardo
dell'eradicazione totale, gia' raggiunto in molti Paesi europei, e'
ormai a portata di mano. Tuttavia cresce continuamente l'elenco delle
specie animali colpite dall'infezione tubercolare. La letteratura
scientifica, remota e recente, riporta con dovizia di particolari la
descrizione della malattia in mammiferi di ogni tipo. Si va dalle
specie domestiche (cani, gatti, capre, suini, conigli), in cui il
fenomeno e' stato ampiamente studiato per combattere e prevenire la
possibilita' di contagio all'uomo, agli animali di zoo e circhi
(scimmie e pappagalli in testa), fino a insospettate categorie di
selvatici. Studi australiani hanno dimostrato la presenza del
micobatterio di tipo bovino nelle foche. L'origine dell'infezione e'
stata individuata in alcuni pinnipedi, affidati alle cure di un
addestratore che aveva avuto contatti con bovini infetti. Dalle foche
«addomesticate» il contagio si e' poi trasferito a quelle in
liberta'. Sotto accusa, come serbatoi di infezione che spiegano la
ricomparsa della tubercolosi in mandrie al pascolo in zone gia'
risanate, anche il tasso in Inghilterra e, in Nuova Zelanda,
l'opossum. Questo Paese e' anche alle prese con il pericolo
costituito dai daini, colpiti da forme particolarmente gravi del
morbo. Bufali, cervi, cammelli, elefanti, cinghiali sono altri
animali che rappresentano spesso l'anello di connessione fra
l'ambiente silvestre e quello domestico. I problemi sollevati dalla
presenza della tubercolosi nei selvatici sono complessi: soluzioni
drastiche di abbattimento e severa riduzione dei portatori non sono
sempre praticabili, perche' contrastano con le esigenze di
salvaguardia della fauna e degli equilibri territoriali. (val. e mo.)
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
CONQUISTA TECNOLOGICA
Chi si vede, un atomo!
I miracoli di un nuovo microscopio
OAUTORE CONTI ALDO
OARGOMENTI ottica e fotografia, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS optics and photography, technology
FIN dallo sviluppo dei primi modelli che descrivevano la materia come
costituita da minuscoli mattoni, l'uomo ha sempre desiderato di
«vedere» direttamente gli atomi. Purtroppo le leggi fisiche
impediscono di realizzare strumenti ottici in grado di raggiungere
questo scopo. Neppure la microscopia elettronica, nonostante abbia
notevoli capacita' di distinguere dettagli minuscoli, ci riesce.
Sebbene se ne parli poco, esistono pero' degli strumenti in grado di
spingersi nell'analisi della materia fino al livello atomico.
Capostipite di questa famiglia di microscopi e' quello a effetto
tunnel che, inventato nel 1981, ha fruttato il premio Nobel ai suoi
realizzatori. Consiste in una minuscola punta che viene posta molto
vicino al campione, che a sua volta sta su un dispositivo in grado di
muoverlo in modo molto preciso e per distanze piccolissime.
Applicando una minima differenza di potenziale fra il campione e la
punta, quando la distanza fra questi e' di pochi Angstrom
(decimiliardesimi di metri), alcuni elettroni riescono a superare
questa distanza per effetto tunnel, e si misura una corrente che
dipende fortemente dalla distanza. Mantenendo costante la distanza
fra la punta e il campione, ma muovendo quest'ultimo in modo da
analizzarne una porzione, l'intensita' della corrente puo' servire
per disegnare un'immagine sullo schermo di un calcolatore,
attribuendo colori diversi alle diverse correnti misurate punto per
punto. Sorprendentemente, grazie alla sua estrema sensibilita',
questo strumento e' in grado di analizzare la posizione dei singoli
atomi sulla superficie di un conduttore. La grande evoluzione di
questo genere di strumenti e' avvenuta nel 1986. Uno degli inventori
del microscopio a effetto tunnel si chiese se per generare l'immagine
non fosse possibile, invece della corrente, utilizzare le forze che
agiscono fra gli atomi, permettendo cosi' l'analisi anche di campioni
non conduttori. Da questa idea e' nato il «microscopio a forza
atomica», che, utilizzando una struttura simile rispetto al suo
cugino, sfrutta pero' principi del tutto diversi. La punta esiste
ancora, ma e' montata all'estremita' di una sensibilissima asta che
si flette anche sotto sforzi minimi. Portando molto vicini il
campione in esame e la punta, le forze fra gli atomi faranno flettere
l'asta su cui quest'ultima e' montata; se il dorso dell'asta e'
riflettente, tramite un piccolo laser e' possibile misurare la
flessione con grandissima precisione e utilizzare questa misura per
ricostruire un'immagine sullo schermo di un calcolatore. Anche in
questo caso, per ottenere l'immagine, il campione viene mosso al di
sotto della punta. Questi strumenti riescono a vedere dettagli su
scala atomica, ma sono altre le caratteristiche che ne hanno
decretato il successo. Per prima cosa, essi sono in grado di ottenere
informazioni tridimensionali, analizzando dettagli di dimensioni
estremamente diverse, da qualche decimo di millimetro fino alla scala
atomica. A differenza dei microscopi elettronici, loro diretti
antagonisti, possono analizzare qualsiasi superficie senza che sia
necessaria una preparazione preventiva, mentre i microscopi
elettronici devono operare sotto vuoto e, se il campione non e'
conduttore, occorre ricoprirlo con un leggero strato di oro che, come
la neve su un paesaggio, cancella i dettagli piu' fini. I microscopi
a forza atomica possono operare senza limitazioni in ogni ambiente,
immersi in liquido (anche in acidi molto corrosivi) o sotto vuoto
spinto, permettendo di studiare fenomeni finora solamente ipotizzati
o indagati con sistemi indiretti come, ad esempio, i processi di
crescita dei cristalli. Lo sviluppo della microscopia a forza atomica
e' proceduto a passi da gigante. E' possibile ora ottenere immagini
mantenendo la punta in vibrazione ma lontano dal campione, in modo
che questo non possa esserne danneggiato. Tutto questo, unito alla
possibilita' di lavorare con la punta immersa in un liquido, offre la
possibilita', ad esempio, di analizzare direttamente i tessuti
viventi ricavandone preziose informazioni non accessibili prima. Su
scala ancora piu' piccola, ma senza uscire dal campo biologico, molte
molecole, proteine, ma anche intere sequenze di Dna, vengono ora
analizzate con questi microscopi. In alcuni casi si possono
analizzare pure cellule viventi e, recentemente, ad un congresso in
Italia, sono stati presentati risultati molto interessanti
riguardanti gli effetti dei campi elettrici sulla morfologia delle
cellule. Alcuni strumenti permettono anche di ottenere immagini
diverse, che non rappresentino solo la topografia del campione: punte
magnetizzate possono indagare la distribuzione dei domini magnetici
del materiale, punte attivate chimicamente sono in grado di studiare
la distribuzione di alcune sostanze chimiche sulla superficie in
esame, ma anche di particolari recettori sulle membrane cellulari.
Altre immagini possono invece mostrare le proprieta' elastiche del
campione in esame permettendo, ad esempio, di individuare elementi
piu' rigidi al di sotto della superficie. In altri casi si possono
eseguire misure di microconducibilita' termica o di
microriflettivita', sostituendo alla punta una minuscola termocoppia
o una fibra ottica. Misurando la torsione dell'asta e' possibile
misurare anche gli attriti fra la punta e il campione, evidenziando
zone con caratteristiche diverse. Oltre alle applicazioni nel mondo
della ricerca, questi strumenti stanno prendendo piede rapidamente
nelle industrie, ed anche in Italia sono cominciate le installazioni
di questi microscopi presso privati. In questo genere di ambienti la
fanno da padrone le applicazioni riguardanti la scienza dei materiali
e, in particolare, gli studi riguardanti le proprieta' dei polimeri.
Altre applicazioni sono state pero' trovate nell'elettronica, dal
controllo della rugosita' dei materiali usati per la costruzione dei
dispositivi elettronici, fino al controllo degli stessi, magari
studiando a livello microscopico i campi elettrici da essi prodotti o
producendo mappe di temperatura di componenti in prova. Tutte le cose
descritte finora non esauriscono pero' le possibilita' di questi
microscopi, che vanno oltre la loro capacita' di produrre immagini o
misurare proprieta' delle superfici che analizzano. La punta,
infatti, puo' anche essere usata per modificare la posizione degli
atomi del campione. Famosa e' ormai la scritta Ibm ottenuta spostando
atomi di carbonio sulla superficie di un cristallo di mica, e poi
«fotografata» con lo stesso strumento. La capacita' di manipolare gli
atomi in questo modo fa prevedere sviluppi incredibili in
elettronica; gia' adesso vengono riparate in questo modo le
costosissime maschere che servono per fotoincidere i circuiti
integrali. Trent'anni fa il fisico americano Richard Feynman aveva
parlato delle grandi cose che si sarebbero potute fare avendo la
capacita' di disporre a nostro piacimento molecole o singoli atomi...
Aldo Conti Universita' di Milano
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
FRONTIERE
I nano-robot tra scienza e pura follia
OARGOMENTI tecnologia, elettronica
ONOMI FEYNMAN RICHARD, MCLELLAN WILLIAM, VON NEUMANN JOHN
OORGANIZZAZIONI AMERICAN PHYSICAL SOCIETY, CORNELL UNIVERSITY
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, NEW YORK, ITHACA
OSUBJECTS technology, electronics
LE chiamano nanotecnologie. Dove «nano» non significa nano ma e' il
prefisso che per convenzione indica un miliardesimo di una qualsiasi
unita' di misura e, per estensione, di qualsiasi oggetto. Un
nanometro e' dunque un miliardesimo di metro, un nanosecondo un
miliardesimo di secondo, un nanobuttiglione un miliardesimo
dell'onorevole Buttiglione (entita' davvero molto piccola). Possiamo
collocare nel 1959 la nascita delle nanotecnologie. In quell'anno
Richard Feyn man - che nel 1965 ricevera' il Nobel per i suoi lavori
sulle particelle subnucleari - intervenendo all'assemblea
dell'American Physical Society parlo' della possibilita' di costruire
in dimensioni microscopiche macchine allora, e tuttora, molto
ingombranti. Per stimolare le ricerche in questa direzione, Feynman
mise in palio mille dollari per chi riuscisse a realizzare una pagina
di libro 25.000 volte piu' piccola di quelle normali e un motore
elettrico non piu' grande di un cubo di 4 millimetri di lato. Il
bando di concorso usci' su «Engineering and Science», prestigiosa
rivista del Caltech, e su «Popular Science Monthly», dove ricevette
il titolo «Come costruire un'automobile piu' piccola di questa
virgola». Feynman, probabilmente il fisico piu' geniale del secolo
dopo Einstein e certamente buon suonatore di bongo, gia' tre mesi
dopo dovette versare mille dollari all'ingegner William McLellan, che
gli presento' un motore elettrico dalle misure stabilite e dalla
potenza di un milionesimo di cavallo vapore. Non aveva contante,
firmo' un assegno. Gli altri mille dollari li sborso' 25 anni dopo
allo studente Thomas H. Newman, che nel 1985 incise la minuscola
pagina con la tecnica dei chip elettronici. Oggi le nanotecnologie
diventano una realta' grazie al fatto che si sta imparando a
osservare e a manipolare la materia molecola per molecola, atomo per
atomo. I microscopi a effetto tunnel e a forza atomica sono strumenti
che spianano la strada suggerita da Feynman; la nanochitarra lunga 10
millesimi di millimetro costruita alla Cornell University e' poco
piu' di una curiosita', ma dimostra che il traguardo e' a portata di
mano. Eniac, il primo computer, occupava un appartamento e pesava
decine di tonnellate. La sua potenza di calcolo oggi ce la portiamo
nel taschino della giacca. Il robot «Sojourner» che sta esplorando
Marte pesa dieci chili ed e' grande come una valigetta 24 ore. Di
questo passo le sonde spaziali del futuro saranno presto poco piu'
grandi di un insetto. E forse un giorno vedremo davvero quei
minuscoli robot «costruttori universali» immaginati da John von
Neumann, il padre del computer: cioe' dei robot capaci di costruire,
partendo da materia prima bruta, qualsiasi congegno, e quindi anche
una copia di se stessi. Il fisico Frank Tipler (Tulane University,
Usa) ha verificato che un «costruttore universale» potrebbe pesare
molto meno di 100 grammi. Ecco la dimostrazione. Il robot di von
Neumann dovrebbe avere come minimo le capacita' intellettuali di un
essere umano. Il nostro cervello contiene cento miliardi di neuroni e
puo' memorizzare 10 elevato alla quindicesima bit, equivalenti a 100
milioni di libri. Questa potenzialita', nel caso del cervello umano,
e' contenuta in un organo che pesa un chilo e mezzo. Attualmente si
ammette che e' gia' possibile codificare un bit ogni 20 atomi. In
futuro, con i calcolatori quantistici, e' pensabile che si arrivi a
un bit ogni atomo. Cento grammi di materiale piu' leggero del ferro
contengono 10 alla ventiquattresima atomi. Poiche' la potenzialita'
cerebrale umana equivale a 10 alla 15 bit, in 100 grammi di materia
si possono codificare 10 alla 24 bit: un miliardo di volte il
contenuto di un cervello. Anche ammettendo che un singolo costruttore
universale di von Neumann abbia bisogno delle competenze di centomila
cervelli umani, cioe' di 10 alla 20 bit, un oggetto nanotecnologico
dal peso di 100 grammi potrebbe contenere diecimila costruttori
universali. La popolazione di una piccola citta'. Vista cosi', la
colonizzazione dell'universo sembra qualcosa di (remotamente)
realizzabile. Ma non dimentichiamo che tra il genio e la follia
talvolta il confine e' sottile. Piero Bianucci
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Nano-chitarra per i microbi
E' lunga dieci millesimi di millimetro
OAUTORE CAGNOTTI MARCO
OARGOMENTI tecnologia
ONOMI CRAIGHEAD HAROLD, DREXLER ERIC
OORGANIZZAZIONI CORNELL UNIVERSITY, IBM, XEROX
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, NEW YORK, ITHACA
OSUBJECTS technology
IMMAGINATE un microbo che si esibisce in virtuosismi musicali. Troppo
piccolo per maneggiare uno strumento? Non piu'. Presso la Cornell
University a Ithaca, nello Stato di New York, e' stata realizzata una
chitarra tanto minuscola da essere alla portata perfino di un
batterio. Lunga 10 micron (un micron e' un milionesimo di metro, e
per dare un termine di paragone si puo' dire che il diametro di un
capello misura 200 micron) e' ricavata da un singolo cristallo di
silicio e ha sei corde larghe 50 nanometri (miliardesimi di metro),
cioe' non piu' di cento atomi accostati l'uno all'altro in fila. Se
fosse possibile pizzicarle, il microscopico strumento suonerebbe,
sebbene a frequenze al di fuori della soglia di udibilita' e
certamente con un'intensita' che solo un protozoo potrebbe forse
apprezzare, se avesse orecchie... Per fabbricarla un cristallo di
silicio e' stato letteralmente scolpito con la tecnica della
«litografia a fascio di elettroni», utilizzando un procedimento gia'
sfruttato nell'industria microelettronica per costruire i processori
dei computer. Applicazioni? Nessuna, e' ovvio, se non la ricaduta in
termini di immagine dei ricercatori che hanno messo a punto lo
strumento per dimostrare le potenzialita' della nanotecnologia, che
e' diventata oggetto di ricerca in molte universita' e nei laboratori
di importanti industrie come l'Ibm e la Xerox. Mentre la foto della
chitarra eseguita con un microscopio elettronico vinceva un
importante premio negli Stati Uniti e finiva su Internet, i suoi
costruttori si dedicavano a studiare impieghi piu' utili delle
tecniche che hanno permesso di fabbricarla. Qualche futurologo a'
arrivato a sostenere che dalla nanotecnologia scaturira' in futuro
una trasformazione dell'intero ciclo produttivo paragonabile alla
rivoluzione industriale. L'americano Eric Drexler si spinge a
immaginare schiere di minuscoli robot in grado di costruire in poche
ore oggetti complessi e costosi come aerei e automobili, microsonde
che navigano nel flusso sanguigno per compiervi analisi e
nanomacchine che riparano i denti in maniera completamente indolore.
Per il momento, tuttavia, la nanotecnologia si trova ancora allo
stadio della sperimentazione, anche se e' gia' in grado di produrre
oggetti piu' utili di uno strumento musicale per microbi. Le prime
applicazioni realistiche si trovano in tutti quei settori in cui e'
necessario lo sviluppo di sonde microscopiche. «Riusciamo a spostare
i nostri congegni e a misurarne il moto depositando anche solo un
elettrone sulla loro superficie», dice Harold G. Craighead, docente
alla Cornell University (Usa) e artefice della nanochitarra insieme
con un suo studente che sta preparandosi al dottorato. Una microsonda
sarebbe dunque in grado di valutare le forze associate all'azione di
ogni singola biomolecola. Ma la nanotecnologia puo' essere usata
anche per far oscillare microscopici specchi e modulare molto
rapidamente un raggio laser nelle comunicazioni con le fibre ottiche,
incrementandone la velocita' di trasmissione. Nella fabbricazione di
microapparecchiature elettromeccaniche ormai si e' scesi sotto la
soglia del micron. La prossima tappa e' la realizzazione di
particolari delle dimensioni di un nanometro. Ma arrivare a tanto
richiedera' un approccio completamente diverso. «So che possiamo
andare oltre quanto realizzato finora - afferma Craighead - Il vero
problema e' sapere quanto lontano possiamo arrivare per avere
proprieta' meccaniche controllabili e misurabili. Penso che ormai
siamo arrivati al limite in cui diventa sempre piu' difficile
realizzare particolari piu' piccoli ma ancora funzionali». Nel
frattempo, quasi per gioco, si dedica alla liuteria per microbi.
Marco Cagnotti
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. GEOMETRIA
Disegni o teoremi?
L'arte matematica di Escher
OAUTORE VERNA MARINA
OARGOMENTI matematica
ONOMI ESCHER MAURITS CORNELIS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS mathematics
CONFESSAVA di avere un interesse profondo per le leggi della
geometria nascoste nella natura, ma negava qualunque capacita' di
comprendere la matematica. «Sono assolutamente sprovveduto nella
conoscenza delle arti esatte», dichiarava. Eppure tutta l'opera di M.
C. Escher - non uso' mai il suo nome completo, Maurits Cornelis -
esprime curiosita' e comprensione dell'ordine geometrico e della
simmetria e una straordinaria capacita' di inventare «metafore
visive» per esprimere i concetti fondamentali della scienza. Nato
(nel 1898 a Leeuwarden, in Olanda) da un padre ingegnere, con tre
fratelli maggiori scienziati, sviluppo' subito un punto di vista
inusuale da cui guardare i dettagli della natura. Un matematico
clandestino, lo definisce Doris Schattschneider, docente di
matematica al Moravian College di Bethlehem, che ha avuto accesso ai
suoi quaderni di appunti e ai disegni «periodici», conservati alla
Fondazione Escher. Era ossessionato dal problema della divisione
regolare di una superficie piana, che riempiva con cloni di figure
che dovevano esprimere l'idea di infinito chiuso in uno spazio
finito. «Era un vero matematico - dice Doris Schattschneider -. Si
creo' le sue categorie, invento' una nuova classificazione, rivesti'
di immagini perfette concetti astratti difficilissimi da spiegare,
come la dualita', l'auto-referenza, l'infinito, la trasformazione
topologica, le dimensioni». Con il fiuto del precursore, si
appassiono' a quella che oggi viene chiamata «simmetria dei colori»
quarant'anni prima che i matematici le prestassero l'attenzione che
si merita. Lastricava le sue superfici piane con creature - angeli,
diavoli, uccelli, farfalle - che si intrecciavano per coprirle tutte,
esplorando sistematicamente ogni possibilita' della cristallografia.
«L'idea che le simmetrie di una pavimentazione possano trascinare con
se' i colori - dice Doris Schattschneider - fu presa in
considerazione da matematici e cristallografi soltanto negli Anni
50». Escher trovo' soluzioni rivoluzionarie proprio perche' era
libero dagli schemi correnti: non conosceva nessuna regola di base e
riteneva che il problema della divisione di un piano non fosse di
pertinenza esclusiva dei matematici e dei cristallografi. «I
cristallografi - scriveva - hanno proposto una definizione del
concetto, hanno stabilito la natura e il numero dei sistemi per
dividere un piano in modo regolare. Ma, com'e' nella loro natura,
sono interessati al meccanismo che apre il cancello piu' che al
giardino che sta dietro». Lui invece mirava al giardino: il cancello
era solo il modo per entrarci. E «giardini» furono inizialmente le
grandi pavimentazioni arabe, frutto di algoritmi di cui voleva
carpire il segreto - in modo intuitivo e visuale, non teorico. Cosi'
visito' l'Alhambra a Granada e la Moschea La Mezquita a Cordoba e
realizzo' disegni colorati di quelle geometrie. Dopo aver assorbito
l'informazione visiva, Escher cerco' di sviluppare una sua teoria
delle pavimentazioni periodiche, sostituendo a quadrilateri,
pentagoni ed esagoni creature colorate, messe in modo che ogni pezzo
fosse chiaramente visibile e non confinasse con un altro dello stesso
colore, utilizzando il minor numero di colori possibile. Via via che
il suo studio progrediva, cerco' di limitarsi a due soli colori, il
bianco e il nero. «Per gli schizzi preparatori, invento'
un'annotazione simbolica - dice ancora Doris Schattschneider - che
stabiliva i collegamenti delle linee di ogni singolo pezzo sia fra di
loro sia con quelle dei pezzi adiacenti. Alcuni di questi simboli
erano gia' utilizzati dai matematici, ma Escher diede loro un
significato nuovo. E' una notazione non convenzionale, ma eccellente:
e' concisa e suggerisce simbolicamente le isometrie che collegano
tutte le parti di un pezzo». A quarant'anni, dopo aver esaminato e
scartato un altissimo numero di possibilita', trovo' la soluzione
finale ai suoi problemi. Classifico' 24 tipi diversi di
pavimentazione: parallelogrammi, losanghe, rettangoli, quadrati,
triangoli. Stabili' il centro della rotazione delle figure, i
rapporti tra pezzi adiacenti, la colorazione. E rivesti' le forme
geometriche con abiti nuovi. Escher era affascinato anche dalla
dualita': il giorno e la notte, il paradiso e l'inferno, l'acqua e il
cielo. Come renderla visivamente? Come rivelare la matematica che
governa un concetto tanto elusivo? «Trovo' la soluzione nell'uso del
bianco e nero e dei due motivi intrecciati - conclude Doris
Schattschneider -. Ognuno ripetuto sempre con lo stesso colore,
ognuno figura principale o sfondo, secondo come si guarda il
disegno». Nei celebri motivi a lucertole o farfalle, utilizza un
«sistema di triangoli» che ruotano in due modi diversi, in base a
precise regole geometriche. Chissa' perche' si ostinava a negare il
suo talento matematico! Marina Verna
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Asteroide sull'Italia
OGENERE breve
OAUTORE P_C
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, VITERBO (VT)
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy
Domenica 7 settembre alle ore 0,20 un bagliore ha illuminato il cielo
per almeno due secondi, che sono sembrati lunghissimi agli occhi
stupefatti dei testimoni oculari. Un oggetto descritto come un «masso
incandescente» ha illuminato la notte di bianco-azzurro nella zona di
Viterbo per poi allontanarsi silenziosamente verso Nord- Ovest, senza
frammentarsi, seguito da una piccola coda. Il fenomeno sarebbe durato
poche decine di secondi. Ci sono stati avvistamenti anche da Siena e
da varie parti della provincia di Viterbo. L'ipotesi piu' probabile
e' quella di una grossa meteora, cioe' di un frammento roccioso e/o
metallico vagante nello spazio e passato a 70-80 chilometri di quota,
dove non si puo' udire alcun suono. «Fireball» (sfera di fuoco) e' il
termine esatto per la sua classificazione, mentre il «bolide» si ha
quando si ode anche il rumore. Un tipo davvero speciale perche' la
luminosita' raggiunta e' senza dubbio maggiore di quella della Luna
piena (mag -12), e quindi da collocarsi in un valore di magnitudine
attorno a -15, cioe' alla luminosita' teoricamente diffusa da 16 Lune
piene, circa 600 volte le fireball piu' luminose. La traiettoria
seguita pone la meteora tra i rarissimi casi di «sfioramento» , cioe'
di attraversamento della atmosfera terrestre (entrata e uscita),
senza impatto ne' disintegrazione. Solo un altro caso e' stato
accertato con fotografie e rilievi da satellite, sul Lago Jackson
nello Wyoming (Usa), il 10 agosto 1972. (p. c.)
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Tumori: su «Science» scoperta italiana
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI TESTI ROBERTO
OORGANIZZAZIONI SCIENCE
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Il gruppo di ricerca di Roberto Testi dell'Universita' di Tor Vergata
(Roma) ha individuato un nuovo meccanismo che causa la morte delle
cellule, meccanismo che si potrebbe forse applicare per uccidere le
cellule tumorali. La scoperta e' uscita su «Science» del 12
settembre.
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
E' nata «Coelum» rivista di astronomia
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia, editoria
OORGANIZZAZIONI COELUM
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy, publishing
E' in edicola una nuova rivista mensile di astronomia, «Coelum», nata
da un contrasto con l'editore del mensile «Il Cielo» che ha portato
al distacco di una parte della redazione.
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Inquinamento luminoso
OGENERE breve
OARGOMENTI ecologia, astronomia
OORGANIZZAZIONI ASSOCIZIONE ASTROFILI BRESCIANI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, BRESCIA (BS)
OKIND short article
OSUBJECTS ecology, astronomy
Indetta dall'Associazione astrofili bresciani, il 4 ottobre si
celebrera' la Giornata contro l'inquinamento luminoso che ostacola la
visione del cielo ad astronomi professionisti e dilettanti. Adesioni:
fax 030- 87.25.45. Su questo tema e' appena uscito uno studio molto
completo di Pierantonio Cinzano: «Inquinamento luminoso e protezione
del cielo notturno». L'edizione e' a cura dell'Istituto veneto di
scienze, lettere e arti (tel. 041-521.0177).
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
«Heos», rivista telematica
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica, editoria
ONOMI PIVATELLO UMBERTO
OORGANIZZAZIONI HEOS, INTERNET
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, VERONA (VR)
OKIND short article
OSUBJECTS research, publishing
A Verona, diretta da Umberto Pivatello, e' nata su Internet la
rivista scientifica «Heos». Per informazioni: 045-80.156.74.
Indirizzo: heos&intesys.it
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. DAL 6 AL 10 OTTOBRE
Torino, l'astronautica e' qui
Mostra e dibattiti aperti alle scuole
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
ONOMI VALLERANI ERNESTO
OORGANIZZAZIONI IAF (FEDERAZIONE ASTRONAUTICA INTERNAZIONALE)
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
ONOTE 48o Congresso mondiale della Iaf
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
A quarant'anni dal lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik
(4 ottobre 1957), e in coincidenza con una nuova fase
dell'esplorazione di Marte, si svolgera' tra il 6 e il 10 ottobre a
Torino presso il Lingotto il 48o Congresso mondiale della Iaf
(Federazione Astronautica Internazionale), una sorta di «Onu dello
spazio» che permette ogni anno di radunare i massimi esperti di tutte
le nazioni in un grande convegno. L'occasione per l'Italia e per il
settore spaziale nazionale e' grande, cosi' come per il pubblico che
potra' visitare gli stand del Lingotto. Non si tratta, infatti, di
una manifestazione per soli addetti ai lavori. L'Alenia Aerospazio
organizza visite guidate per le scolaresche, che potranno cosi'
ammirare il modello in scala 1:10 della prossima stazione spaziale
internazionale, dei razzi americani, russi, europei e di altre
nazioni, di satelliti e sonde, incluso il fantastico robottino
«Sojourner» che la Nasa ha sperimentato nel deserto dell'Arizona,
identico a quello che adesso se ne va a spasso su Marte. Vi saranno
anche conferenze didattiche per gli studenti. Tra queste, un ciclo
comprende i seguenti temi: «Orologi e Spazio», «Misure della costante
di gravitazione nello spazio», «Fisica e aerodinamica», «Gli ultimi
10 alla 90 anni dell'universo», «Perche' la Terra rallenta»,
«Immagini dello Space Telescope», «Perche' su Marte» e «La faccia
nascosta della Luna». Il provveditore agli studi di Torino, Marina
Bertiglia, ha promosso con una circolare alle scuole le visite
guidate alla manifestazione della Iaf, che si svolgeranno al mattino
e prevedono l'accesso a sistemi multimediali e interattivi per
simulare esplorazioni planetarie in realta' virtuale. Sara' anche
possibile accedere a collegamenti televisivi in diretta con la Nasa e
con altri centri spaziali, in particolare con quelli che raccolgono
ed elaborano i dati provenienti dal telescopio spaziale «Hubble». Le
varie conferenze permetteranno inoltre di vedere da vicino e
ascoltare alcuni tra i grandi protagonisti dei prini quarant'anni
dell'era spaziale, come gli astronauti e i progettisti dello Sputnik,
che saranno a Torino. Questa 48a edizione della IAF e' organizzata
dalla Aidaa (Associazione Italiana di Aeronautica e Astronautica). Il
suo presidente Ernesto Vallerani, capo del comitato organizzatore,
sottolinea che «forse per la prima volta, un congresso
tecnico-scientifico su temi astronautici e' stato programmato per
interessare anche il grande pubblico, sia per il tema centrale,
dedicato allo sviluppo del business dello spazio e alle ricadute
tecnologiche che da esso provengono, sia per la presenza
contemporanea di una mostra, un forum per dibattiti aperti, e una
serie di eventi, come lo «Sputnik day», che il 4 ottobre prevede una
conferenza a Torino con la partecipazione di astronauti italiani e
dei progettisti dello Sputnik». Le scuole interessate a prenotarsi
per le visite guidate, possono farlo presso Federico Licci, ai numeri
011-7180739 e 7180902, o al fax 011-7180270. Antonio Lo Campo
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. RICERCA ITALIANA
«Hubble» stana una pulsar
E' la settima (su 700 note) identificata otticamente
OAUTORE MIGNANI ROBERTO
OARGOMENTI astronomia, fisica
ONOMI CRAVERO PATRIZIA, GIOVANNI BIGNAMI
OORGANIZZAZIONI CNR
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy, physics
A trent'anni dalla loro scoperta, le pulsar non sono piu' oggetti
cosi' misteriosi, pur rimanendo tra i corpi celesti piu'
affascinanti. Si tratta di «stelle di neutroni», cioe' aggregati di
materia nucleare iperdensi (una volta e mezzo la massa del Sole
concentrata in una sfera di 10 chilometri di raggio) che si formano
in seguito ad esplosioni di supernova. Anche se in un certo senso le
pulsar sono stelle morte, rappresentano, tuttavia, qualcosa di piu'
di semplici «cadaveri» stellari. Esse, infatti, continuano a
irradiare energia anche se in modi e in forme diverse dalle stelle
normali. In particolare, sono visibili in molte finestre dello
spettro elettromagnetico dove segnalano la loro presenza attraverso
l'emissione di impulsi principalmente nelle onde radio, e in misura
minore anche nei raggi X e nei raggi gamma. La ricerca di questi
oggetti nella banda ottica e' molto ardua per il fatto che si tratta
di sorgenti estremamente deboli. Per questo motivo, i cacciatori di
pulsar devono impiegare i telescopi piu' grandi e potenti del mondo.
In trent'anni, infatti, sono soltanto sei le pulsar osservate
otticamente su un totale di piu' di 700, la prima delle quali e'
stata la famosa Pulsar del Granchio all'interno della nebulosa
omonima nella costellazione del Toro. L'osservazione di uno di questi
oggetti nella banda visuale costituisce, quindi, un evento
assolutamente eccezionale. Recentemente, e' stata osservata una
settima pulsar, nota con il nome di catalogo di PSR1055-52. La
scoperta e' stata riportata da un gruppo di astronomi milanesi
dell'Istituto di Fisica Cosmica del Cnr del quale fanno parte, oltre
a chi scrive, Patrizia Caravero e Giovanni Bignami. Come e' facile
immaginare, l'impresa non e' stata delle piu' semplici. Alcuni
tentativi sono stati effettuati negli anni precedenti utilizzando uno
dei piu' potenti telescopi dell'emisfero australe: il New Technology
Telescope (Ntt), dell'Osservatorio australe europeo (Eso), a La Silla
sulle Ande cilene. Sfortunatamente, l'osservazione si e' subito
rivelata molto piu' complicata del previsto. La pulsar, infatti, ha
il pessimo gusto di trovarsi nelle immediate vicinanze di una stella
almeno 100 mila volte piu' brillante e questo rende ancora piu'
difficile rivelarne il debole flusso luminoso. Per fare un esempio,
sarebbe come voler individuare la luce di un fiammifero sullo sfondo
di un faro potente. La situazione e' peggiorata dalla presenza
dell'atmosfera terrestre. Per effetto delle turbolenze atmosferiche,
l'immagine della stella vicina tende ad allargarsi fino a coprire
praticamente la pulsar. Si tratta, quindi, di una osservazione
estremamente difficile, praticamente proibitiva per i telescopi
terrestri anche sfruttando le migliori condizioni atmosferiche.
L'unica possibilita' per individuare PSR1055-52 era, quindi, quella
di tentare un'osservazione dallo spazio con il telescopio spaziale
«Hubble». Cosi' e' stato. L'osservazione e' stata eseguita lo scorso
maggio con lo strumento Foc (Faint Object Camera) per una durata
totale di circa 2 ore e mezzo. Per diminuire il rischio di
«contaminazione» da parte della stella vicina l'osservazione e' stata
effettuata usando un filtro sensibile alla radiazione e messa nel
vicino ultravioletto dove ci si aspetta che la pulsar sia piu'
brillante della sua vicina. L'osservazione e' riuscita al di la'
delle piu' ottimistiche previsioni. Le immagini trasmesse a terra dal
Telescopio Spaziale mostrano chiaramante debole una sorgente
puntiforme (magnitudine 25) al centro del campo di vista dello
strumento esattamente nella posizione prevista. Non vi sono, quindi,
dubbi che si tratti proprio di PSR1055-52. Quali processi fisici
permettono alle pulsar di brillare nella banda ottica? Nelle pulsar
piu' giovani si tratta di radiazione di sincrotrone che viene emessa
da particelle cariche quando si muovono nell'intenso campo magnetico
della pulsar. L'efficienza di questo processo, pero', diminuisce
rapidamente con l'eta' ed e' trascurabile per le pulsar piu' vecchie,
come PSR1055-52 (cinquecentomila anni). La luminosita' ottica di
queste pulsare, invece, e' dovuta interamente alla superficie della
stella di neutroni, che si raffredda irradiando nello spazio il
proprio calore latente. Roberto Mignani Istituto di fisica cosmica
Cnr, Milano
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. DIDATTICA
I Cd-rom raccontano le imprese spaziali
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI didattica, elettronica
OORGANIZZAZIONI RIZZOLI NEW MEDIA, HOCHFEILER MULTIMEDIA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS didactics, electronics
SE siete affascinati dai misteri del cielo o appassionati dalla
eccezionalita' delle missioni spaziali, la «Grande Enciclopedia
dell'Universo» e' il cd-rom che fa per voi (Rizzoli New Media, 99
mila lire). Potete ripercorrere tutte le tappe delle missioni Apollo,
curiosare nel cuore pulsante di una stella o aggirarvi per la Via
Lattea, indagare il mistero della nascita dell'universo, scoprire i
retroscena di tutte le missioni spaziali o studiare le schede
tecniche dei veicoli che l'uomo ha costruito per conquistare lo
spazio. Un capitolo e' dedicato a tutti i principali protagonisti
dell'epopea spaziale, come Gagarin, il primo uomo che sia andato in
orbita, e gli astronauti che sbarcarono sulla Luna, mentre i razzi e
le navicelle piu' importanti sono anche raffigurati in tre
dimensioni. Per approfondire singoli temi, la Hochfeiler Multimedia
(che, nonostante il nome, e' un'editrice di Roma) propone la collana
«Voyager», con due titoli gia' disponibili («Giove» e «Saturno») e
altri in preparazione. Immaginando di essere a bordo di una sonda
spaziale in orbita attorno a questi pianeti, e' possibile una visita
virtuale per scoprirne tutte le caratteristiche. Per i piu' esperti,
Tecniche Nuove Multimedia ha realizzato «L'universo in cd-rom» (39
mila lire), che contiene il programma Skyglobe capace di visualizzare
tutte le mappe celesti, individuare con precisione la posizione delle
stelle nonche' compiere tutta una serie di operazioni per preparare
il lavoro di una notte al telescopio. Vi sono anche 150 immagini
della Nasa che si possono estrarre e ritoccare con gli appositi
programmi Windows. Andrea Vico
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. A UN SECOLO DALL'ESTINZIONE
Un gipeto nato libero
Lieto evento sulle Alpi in Alta Savoia
OAUTORE GIULIANO WALTER
OARGOMENTI zoologia
OORGANIZZAZIONI ALP ACTION, APEGE
OLUOGHI ITALIA
ONOTE Gipeto
OSUBJECTS zoology
SPESSO siamo costretti a parlare dell'estinzione di specie viventi:
50.000 l'anno; una su quattro delle 4600 specie di mammiferi potrebbe
scomparire per sempre. Finalmente, invece, una buona notizia: da
qualche mese il primo gipeto nato in liberta' dal progetto di
reintroduzione sulle Alpi ha dispiegato il suo volo, a un secolo
dall'estinzione della specie sulla catena alpina. La notizia della
nascita, avvenuta in Alta Savoia, e' stata tenuta segreta sino al 22
agosto per non disturbare il giovane uccello, nato nei pressi del
luogo in cui, otto anni fa, i suoi genitori erano stati reintrodotti.
E' stato battezzato Phenix Alp Action in onore delle due associazioni
Alp Action - Programma Internazionale di Finanziamento Aziendale per
l'Ambiente - e Apege - ente per lo studio e la gestione dell'ambiente
- che da tempo collaborano al progetto europeo di reintroduzione di
questo grande avvoltoio. Presente un tempo su tutto l'arco alpino, il
gipeto e' stato vittima di una campagna di caccia che lo ha fatto
scomparire dalle Alpi. In Italia l'ultimo esemplare fu abbattuto il
29 ottobre 1913 in Val di Rhemes. Proprio a Rhemes Notre Dame, a fine
giugno, il Parco del Gran Paradiso e la Regione Valle d'Aosta hanno
inaugurato un nuovo Centro Visitatori dedicato al gipeto. La
reintroduzione dello splendido avvoltoio e' partita con un progetto
internazionale del 1978 in seguito a un'iniziativa di Gilbert Amigues
e Paul Geroudet avviata nel 1972 in Alta Savoia. Dal 1978 la Societa'
Zoologica di Francoforte e il Wwf hanno assunto il coordinamento
internazionale del progetto passato poi nel 1992 alla Fondazione per
la Conservazione del Gipeto barbuto. Collaborano 5 Paesi: Germania,
Austria, Francia, Italia e Svizzera. Si e' partiti da giovani gipeti
nati in cattivita'. Per poterne disporre sono stati coinvolti 30
parchi zoologici, la Stazione di allevamento di Vienna e il Centro
d'allevamento dell'Apege in Alta Savoia. Il primo esemplare fu
liberato nel 1986 in Austria e a tutto il 1997 erano stati liberati
in ambiente naturale 72 gipeti, in cinque localita' dell'arco alpino:
Alti Tauri (Austria, 25), Grigioni (Svizzera, 13) Alta Savoia
(Francia, 23) Argentera (Italia, 4) Mercantour (Francia, 7). E
finalmente, il 5 agosto scorso, a 116 giorni dalla nascita, Phenix
Alp Action ha effettuato il primo volo. E' il primo gipeto nato in
liberta' sulle Alpi da oltre cento anni. Il padre di Phenix e'
Melchior, nato allo zoo di Inn sbruck e liberato il 28 maggio 1988 in
Alta Savoia. La madre, Assignat, e' svizzera ed e' nata il primo
aprile 1989 allo zoo di Garenne e liberata nella stessa zona di
Melchior l'11 luglio 1989. I due neo genitori hanno formato coppia
nell'inverno del 1992 e la primavera seguente hanno iniziato a
costruirsi il nido sulle pareti rocciose. I primi accoppiamenti sono
stati osservati nell'inverno successivo, ma nel 1994 il disturbo
arrecato da alcuni fotografi ha indotto Melchior ad abbandonare il
suo territorio. Il 7 febbraio 1996 fu individuata una covata. Ma
purtroppo la femmina smise di covare dopo tre settimane.
Fortunatamente il 16 febbraio 1997 un'altra covata e' pronta. I
genitori si alternano regolarmente nel loro compito e, specie il
maschio, difendono il nido dall'attacco dei corvi imperiali. Passano
cosi' i lunghi 54 giorni invernali e, dopo oltre cento anni rinasce
un gipeto alpino. E' l'11 aprile quando la «squadra gipeto»
dell'Apege, che segue insieme alla rete internazionale di
monitoraggio il destino degli uccelli reintrodotti, osserva che
Assignat sta nutrendo un piccolo. Phenix rimane nascosto, ben
protetto dai genitori. Bisognera' attendere il 2 maggio per vederne
la piccola testa e un'ala durante il pasto. Le insidie della montagna
sono ancora molte per il piccolo. La notizia viene tenuta nascosta.
Per fortuna l'inverno permette alla coppia di trovare cibo a
sufficienza, nonostante la scarsita' delle valanghe, e dopo sette
settimane Phenix trascorre la sua prima notte solitaria nel nido.
Poco dopo, a 116 giorni dalla nascita, sara' il tempo dei primi voli
a segnare il suo successo, e quello di un'impresa ambiziosa. Il
Progetto Gipeto, con questo primo risultato positivo, segna un punto
importante ma e' tutt'altro che concluso. I responsabili
dell'operazione fanno sapere che c'e' bisogno della collaborazione di
tutti gli appassionati, perche' il controllo dei 68 esemplari sin qui
rilasciati e' possibile solo con l'aiuto di osservatori volontari.
Sino a oggi sono state raccolte in una banca dati piu' di 11.000
segnalazioni provenienti da un migliaio di osservatori. Per l'Italia
l'unico sito di reintroduzione e' il Parco naturale delle Alpi
Marittime. A primavera, nel territorio di Entracque, verranno
rilasciati altri due gipeti, portando cosi' il numero complessivo a
sei esemplari. Tra il marzo e l'aprile scorsi, nell'area del parco
piemontese, sono stati osservati quattro gipeti, ognuno riconoscibile
da specifiche marcature fatte decolorando alcune penne per renderli
facilmente identificabili. Il Parco delle Alpi Marittime e' tra i
coordinatori della raccolta delle osservazioni del progetto.
Un'apposita scheda puo' essere richiesta (Parco Alpi Marittime, corso
D. L. Bianco 5, 12010 Valdieri) da chi vuole collaborare
all'iniziativa. Walter Giuliano
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. BOTANICA
Gerani, difendiamoli dai virus
OAUTORE ACCATI ELENA
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS botany
E' meritata la popolarita' che circonda i gerani, piante di facile
coltivazione, sempreverdi, in fiore per un lungo periodo dell'anno
purche' la temperatura si mantenga di qualche grado sopra lo zero.
Solo in Italia erroneamente si parla di geranio anziche' di
pelargonio: i generi Pelargo nium e Geranium appartengono entrambi
alla famiglia delle Germinacee, che deve il suo nome alla parola
greca geranos, alludendo al fatto che il frutto ha la forma del becco
di una gru. Il Pelargonium pero' possiede un fiore con corolla
irregolare, ha sette stami, e' originario del Sud Africa, ha uno
sperone nettarifero sotto il sepalo inferiore, mentre il geranium ha
fiore regolare, porta dieci stami, e' originario di zone a clima
freddo e non possiede il tipico sperone nettarifero. La coltivazione
del pelargonio e' sicuramente una delle piu' avanzate ed e' forse
quella a cui la ricerca nel settore della floricoltura ha dedicato la
massima attenzione. Si tratta di una specie che proviene dal Sud
Africa, da una zona caratterizzata da clima desertico, con scarsa
piovosita' e terreno povero. Per tale motivo questo genere si adatta
a condizioni sfavorevoli per affrontare le quali ha sviluppato un
apparato radicale profondo che scende nel terreno fino a un metro; le
foglie si sono ispessite e sono divenute tormentose per ridurre la
traspirazione, mentre il fusto e' diventato legnoso e nodoso con
aspetto xerofitico. Dal Sud Africa un nobile veneziano introdusse il
Pelargo nium triste nelle ville venete intorno al 1600, da dove poi
arrivo' all'Orto botanico di Padova. Altri pelargoni, come il P.
zonale, il piu' conosciuto, caratterizzato dalla presenza di un alone
marrone sulle foglie, il P. peltatum, noto come edera per la forma
delle foglie, furono introdotti dagli olandesi che con le loro
naviper approvvigionarsi di acqua, si fermavano al Capo di Buona
Speranza provenienti dalle Indie. Quindi ebbero inizio le
ibridazioni, gli incroci e le successive selezioni per ottenere le
tante forme attualmente coltivate, delle quali ogni anno si producono
circa 20 milioni di vasi soltanto nel nostro Paese. Poiche' molte
varieta' di pelargonio provengono da cloni moltiplicati vegetalmente,
questo metodo di moltiplicazione contribuisce alla diffusione di
virosi. Esistono descrizioni diverse per riferirsi al medesimo virus,
fatto che complica di molto la classificazione dei sintomi e
l'identificazione dei virus. Inoltre, malgrado la presenza del virus,
la pianta non esterna i sintomi o lo fa in modo ridotto. Per questo
e' stata messa a punto una selezione sanitaria raffinata, che
assicura la produzione di talee indenni da virosi attraverso un
indessaggio meccanico o sierologico che riesce a rigenerare le piante
virosate anche se la varieta' e' completamente contaminata. Ricerche
raffinate al riguardo sono state effettuate presso il laboratorio di
fisiologia vegetale del Cnrs ad Angers. Inoltre e' stato dimostrato
che e' possibile aumentare il numero di talee che si possono ottenere
da una pianta irrorando con dosi pari a pochi milligrammi per litro
quest'ultima mediante una delle cinquanta gibberelline conosciute.
Poiche' il consumatore e' sempre piu' esigente e richiede vasi
fioriti assolutamente compatti, si impiega un brachizzante, prodotto
non inquinante, che consente di avere piante di larghezza uguale
all'altezza, determina un incremento di clorofilla, anticipa la
fioritura e produce tessuti piu' consistenti. Chi vuole inviare vasi
fioriti a grande distanza incontra un grave problema relativo alla
caduta dei petali, variabile da una varieta' all'altra. Negli Usa e'
stato messo a punto un apparecchio ingegnoso composto da due braccia
scuotitrici che terminano con un allargamento in cui viene infilato
un vaso. Queste vengono fatte muovere per qualche secondo: trascorso
tale tempo, si conteggiano i petali caduti. Esiste un prodotto, il
tiosolfato d'argento, che distribuito per irrorazione entra
immediatamente in circolo nella pianta e rallenta la caduta dei
petali. Elena Accati Universita' di Torino
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA
Un instancabile volatore
Anche 400 chilometri al giorno
OAUTORE FRAMARIN FRANCESCO
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
ONOTE Gipeto
OSUBJECTS zoology
SECONDO recenti ricerche fatte in Sud Africa, il gipeto spende tre
quarti del tempo diurno in volo di perlustrazione a bassa quota alla
ricerca del cibo. Cio' corrisponde a oltre 400 chilometri percorsi
ogni giorno. Il gipeto si serve piuttosto poco delle termiche e delle
altre grandi correnti d'aria ascensionali e sfrutta per lo piu' il
vento nelle forme irregolari e piu' leggere, come le deboli correnti
di origine termica presenti dalle prime ore del giorno, oppure il
gradiente del vento cioe' le differenze di velocita', specialmente
fra il suolo e 15-30 metri di altezza. Il gipeto inoltre deve
manovrare con facilita', per seguire il rilievo tormentato del suo
habitat esclusivo: la montagna. L'amplissima distribuzione nelle
montagne di due continenti (Asia e Africa) prova che esso ha
raggiunto una grande padronanza di questo tipo di volo, cioe' del
volo veleggiato a bassa quota su terreno irregolare. In un habitat
apparentemente diverso - il mare - ma anch'esso caratterizzato dal
vento, altri uccelli hanno raggiunto grande padronanza del volo su
lunghi percorsi: i veleggiatori pelagici. La principale
caratteristica aerodinamica degli albatros e delle berte
(Procellariformi) sono le ali strette e lunghe, la stessa degli
alianti ad alta efficienza. Sono i vortici formantisi all'estremita'
dell'ala che ne diminuiscono l'efficienza: essi vengono ridotti in
parte dalle separazioni («slots») fra le penne estreme dell'ala
(remiganti), ma specialmente dal grande allungamento dell'ala stessa
(«aspect ratio»: rapporto fra lunghezza e larghezza o, piu'
esattamente, fra il quadrato della lunghezza e l'area). Non e' un
caso che la forma delle ali del gipeto si differenzi da quella larga
e digitata degli avvoltoi e dei grandi veleggiatori terrestri, e
assomigli piuttosto a quella stretta e appuntita dei veleggiatori
marini: e' un esempio di evoluzione convergente. Una traccia di cio'
e' il cambiamento di forma delle ali che si compie nel Gipeto con la
prima muta. Le nuove remiganti secondarie sono piu' corte di quelle
mutate, il che aumenta l'allungamento alare di circa il 15% e con
esso l'attitudine al volo veleggiato su lunghe distanze dell'uccello
ormai emancipato. Rispetto ai veleggiatori marini e a molti terrestri
il gipeto ha sviluppato una coda piu' lunga: e' un vantaggio non
tanto per la portanza quanto per la manovrabilita'. Tale
caratteristica e' certamente legata al tipo di volo praticato dal
gipeto nell'ambiente montano. Sia gli uccelli pelagici, sia per
sempio un grande veleggiatore delle savane dalle ali allungate come
il gipeto e il falco giocoliere, che volano in campo aperto, hanno
code cortissime e pressoche' inutili per virare, tanto che
normalmente virano mediante improvvisi cambi dell'inclinazione
laterale. Le forme esteriori non debbono far dimenticare un fattore
invisibile ma indispensabile di ogni buon volatore: l'abilita' di
manovra. Anche i migliori veleggiatori fra gli uccelli sono meno
efficienti aerodinamicamente dei moderni alianti, nel senso che in
planata perdono quota piu' di questi. Ma essi sentono in ogni istante
le condizioni del vento e possono reagire e manovrare prima e meglio
di qualsiasi pilota. Scrive Jean Dorst a proposito degli uccelli
pelagici: «Le traiettorie delle berte, degli albatros e anche dei
gabbiani mostrano che vengono seguiti, si puo' dire, alla lettera i
cambiamenti del vento in mare. «Una perfetta percezione delle
condizioni aerodinamiche informa gli uccelli sull'istantanea
evoluzione del vento, forse con l'aiuto di particolari organi tattili
(i Procellariformi ne sarebbero appunto provvisti, come sarebbe
dimostrato dalla morfologia del tutto particolare delle loro fosse
nasali)». Non pare azzardato ipotizzare qualcosa del genere anche per
il gipeto: le strane e caratteristiche appendici attorno al becco in
forma di baffi e barba potrebbero servire ad accrescere la sua
sensibilita' al vento - un organo apposito per un vantaggio non
trascurabile a un veleggiatore di lungo corso. Francesco Framarin
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. FORESTA AMAZZONICA
Vespe e formiche, alleati micidiali
Le due specie di insetti coabitano difendendosi a vicenda
OAUTORE BOZZI MARIA LUISA
OARGOMENTI zoologia, ecologia
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, BRASILE
OSUBJECTS zoology, ecology
LA morale di questa storia potrebbe essere: l'unione fa la forza...
se conviene. Lo scenario: la foresta amazzonica soggetta alle
periodiche inondazioni del Rio delle Amazzoni e dei suoi affluenti.
Protagonisti: formiche e vespe che abitano le une accanto alle altre,
se non addirittura nella stessa casa, unendo l'arsenale chimico nella
difesa delle rispettive colonie. Aggiungete un uccello tessitore che,
sguarnito di armi proprie, gode del vantaggio di avere vicini
bellicosi. Formiche, vespe e uccello tessitore appendono il nido al
ramo di un albero, in modo che durante i 6 mesi di acqua alta, questa
citta' pendula sia al di sopra del livello dell'acqua. Le formiche,
del genere Azte ca, costruiscono enormi nidi di fango essiccato a
forma di cono appesi per la base a un ramo in genere di Macrolobium
acaciae folium. Lunghezza un metro, cupi e possenti come castelli
rovesciati, i formicai hanno la superficie corrugata da una sorta di
tegole, cosi' che la pioggia scorre via senza penetrare all'interno.
Particolare non trascurabile in una regione tra le piu' piovose della
Terra. Qui dentro vivono circa 250.000 formiche, che formano una
societa' al femminile: come in tutti gli Imenotteri i maschi
compaiono solo all'epoca della riproduzione, perche' non hanno altra
funzione che quella di donare i loro geni per le generazioni
successive. Le formiche, tutte femmine quindi, sono ripartite fra
alcune riproduttrici, molte bambinaie, altrettante foraggiatrici e
una legione di soldatesse a cui e' affidata la difesa della colonia.
L'arma e' l'acido formico ad alta concentrazione, che sulla cute
umana genera una sensazione notevolmente dolorosa. L'esercito
pattuglia notte e giorno l'albero della dimora, attaccando qualsiasi
estraneo osi anche solo toccare un ramo. Uno o due fori del diametro
di 2 o 3 centimetri sulla parete del formicaio e un andirivieni di
vespe intorno a queste aperture rivelano la presenza di altre
inquiline. L'associazione fra vespe e formiche e' un fatto inconsueto
da queste parti, dove le vespe sono spesso vittime delle formiche
legionarie. Quando un'orda di legionarie si affaccia sul nido, tutte
le vespe adulte lo abbandonano di gran carriera radunandosi in uno
sciame su un ramo poco lontano, da dove si cercano un altro posto
adatto per costruire una nuova casa. Ma per queste vespe, Agelaia
myrmecophila e A. hamiltoni, il nido delle Azteca e' una fortezza
dove vivere al sicuro: non che le vespe non siano dotate di armi
proprie, come testimonia il pungiglione con cui termina l'addome
delle femmine. Pero' nessuna gazza, nemico atavico della Age laia, si
azzarda ad atterrare su un nido di formiche Azteca per procurarsi un
pranzo, con il pericolo di assaggiare invece il fuoco delle armi
chimiche delle padrone di casa. E non dovete credere che le vespe,
abili ingegneri quanto le formiche e organizzate in una societa'
tutta al femminile analoga alla loro, si accontentino di un semplice
buco come casa. Ripartito in piu' piani, ognuno formato da tante
cellette, un nido di vespe occupa all'interno del formicaio delle
Azteca un volume della grandezza di un melone, che le formiche
tollerano per una ragione di convenienza: sfruttano la loro presenza
contro eventuali nemici. E infine, nei periodi di magra avere le
vespe in casa puo' tornare utile: in fondo, sono sempre un ottimo
cibo! Come dire: il lupo perde il pelo ma non il vizio. D'altronde le
formiche Azteca, che fanno razzia di vermi, larve e piccoli insetti
spostandosi lungo le liane come novelli Tarzan da un albero all'altro
di un vasto territorio, non sono altro che predoni. Ma durante le
inondazioni piu' forti, quando le liane sono parzialmente sott'acqua,
alle formiche viene a mancare il mezzo di trasporto piu' comune per
il rifornimento di cibo. Spinte dal digiuno, in casi estremi, le
formiche si rifanno sulle povere vespe: secondo le testimonianze di
alcuni scienziati, il campo di battaglia e' seminato di centinaia di
corpi di vespe smembrati e fatti a pezzi, che le formiche trasportano
freneticamente in casa ammassandoli in cambusa. Invece le vespe
Polybia rejecta e Synoeca virginiana sfruttano il vicinato con le
Azteca senza pagarne costi cosi' alti. Estremamente aggressive,
appendono i loro nidi vicino al castello delle Azteca e collaborano
efficacemente alla difesa del luogo di residenza. Lo sanno bene gli
indios, che per nulla al mondo si avvicinano con la canoa ad un ramo
con i loro nidi penduli. Se si valica una certa distanza di
sicurezza, infatti, centinaia di vespe si lanciano in massa contro
l'invasore. L'attacco puo' significare anche la morte per un uomo, ma
non si puo' dire che le vespe non avvisino del pericolo. Una parte di
loro rimane nella costruzione, un'altra va sulla superficie esterna e
quindi tutte insieme battono all'unisono l'addome contro il nido di
carta, che rimbomba con il rumore ritmato di un esercito in marcia.
Su questi rami fortificati l'uccello tessitore Cacicus cela, nero e
giallo, costruisce il suo nido e ci sta benissimo, ma inerme com'e'
non puo' far altro che produrre grandi schiamazzi se qualcuno si
avvicina. Questa storia, che finora non era mai stata pubblicata, e'
frutto delle osservazioni di scienziati impegnati nella salvaguardia
dell'ambiente amazzonico. Molte domande aspettano una risposta da uno
studio piu' sistematico: quali predatori spingono questi animali alla
coabitazione? Quali altri fattori entrano in gioco? In quali
circostanze le formiche scindono il contratto di affitto con le
vespe? Percio' le Azteca and Company attendono volontari, prima che
il loro ambiente scompaia sotto le ruspe. Maria Luisa Bozzi
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PUGILATO E LESIONI CEREBRALI
I traumi del ring
Causano i sintomi dell'Alzheimer
OAUTORE GIACOBINI EZIO
OARGOMENTI sport, medicina e fisiologia
ONOMI CLAY CASSIUS (MOHAMED ALI')
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS sport, medicine and physiology
LE statistiche indicano chiaramente che i danni provocati da traumi
cerebrali cronici sono il pericolo maggiore per il pugile
professionista. Un pugile su sei ha dei problemi neurologici dopo i
50 anni, principalmente deficit cognitivo e cambiamenti nel
comportamento con mancanza di inibizione. E' davanti ai nostri occhi
l'immagine anche troppo nota di Mohamed Ali' ex campione del mondo
dei pesi massimi. Pugile intelligente con straordinarie abilita'
fisiche e tattiche, e' attualmente affetto da una forma molto grave
di Parkinson che gli ha permesso a stento di tenere in mano la
fiaccola olimpionica all'inaugurazione dei Giochi l'anno scorso. E'
ben conosciuto il fatto che ripetuti traumi cranici non solo sul ring
ma anche nel contesto di altri sport quali il calcio (colpi del
pallone alla testa), football americano (testate violente), hockey su
ghiaccio (collusioni con gli avversari e colpi di bastone) producano
una costellazione di danni cerebrali e quindi difetti cognitivi
permanenti, Parkinson, difficolta' ad eseguire movimenti (atassia),
problemi di equilibrio, cambiamenti profondi dell'umore (depressioni)
e della personalita'. Nei pugili viene descritta una particolare
forma di demenza chiamata appunto pugilistica o encefalopatia
traumatica cronica. Queste sindromi sono il risultato di danni
neurologici prodotti da prolungati e ripetuti traumi cranici non
avvertiti immediatamente dallo sportivo e quindi piu' pericolosi e
subdoli. Nella massa cerebrale tali traumi si traducono non solo in
piccole emorragie e conseguenti cicatrici ma anche in lesioni simili
a quelle riscontrate nella malattia di Alzheimer, le piu'
caratteristiche delle quali sono le placche neuritiche indicative di
estesi cimiteri di cellule nervose ed alterazioni cosiddette
neurofibrillari indici di alterazioni profonde di quel che
costituisce lo scheletro di sostegno della cellula nervosa. Tali
alterazioni sono praticamente indistinguibili da quelle riscontrate
nell'Alzheimer, la causa piu' frequente (60%) di demenza senile.
Proprio a causa della somiglianza (sintomi e lesioni del cervello)
tra demenza pugilistica e Alzheimer ci si e' chiesto se non si
trattasse della stessa malattia. Recenti studi hanno identificato un
fattore genetico di rischio per l'Alzheimer in una proteina cerebrale
trasportatrice del colesterolo chiamata apolipoproteina E (APOE)
quale concausa delle forme senili piu' comuni della malattia. L'APOE
si presenta sotto tre diverse forme (alleli) genetiche dette E2, E3
ed E4 dando luogo a sei diverse combinazioni genetiche di eredita'
paterna e materna. L'aver ereditato da entrambi i genitori la forma
E4 aumenta notevolmente il rischio di sviluppare piu' precocemente la
malattia (il contrario se abbiamo ereditato la forma E2). E' quindi
logico chiederci se quei pugili che siano portatori della forma APOE
4 siano anche maggiormente esposti al rischio di sviluppare la
demenza. Se cio' fosse vero sarebbe altamente sconsigliabile per i
pugili (e per chiunque fosse esposto a causa della professione a
traumi cranici) di intraprendere questo sport. La presenza o meno di
tali geni e' facilmente determinabile dalla nascita (o addirittura
prenatalmente) con un esame relativamente semplice. Tenendo conto
delle recenti osservazioni di casi sempre piu' frequenti di Parkinson
e demenza tra i pugili americani ed europei un gruppo di ricercatori
della Cornell University di New York dei Dipartimenti di Neurologia e
Neuroscienze hanno intrapreso uno studio di 30 pugili professionisti
di diversa origine e razza pubblicato recentemente sulla rivista
«Jama». La maggior parte era costituita da pugili professionisti
appartenenti ad associazioni locali sia aderenti volontariamente allo
studio sia scelti dalla New York State Athletic Commission per un
controllo neurologico obbligatorio. L'eta' media era di 49 anni (il
gruppo comprendeva diversi pugili non piu' attivi) e il criterio di
scelta era basato su un numero di almeno 12 episodi singoli di traumi
cranici sul ring. Il criterio si basava su statistiche compiute su
338 pugili professionisti. Dei 30 solo 11 venivano ritenuti normali
secondo una scala di 10 punti determinata mediante test
neuropsicologici. Tra coloro ritenuti sofferenti di deficit mentali 3
venivano considerati affetti da un alto grado di demenza. Tra questi
si notava la presenza costante del genotipo APOE 4 (almeno un
allele). Si poteva pure dimostrare una diretta correlazione tra
presenza di almeno un allele E4 e grado di deficit mentali. Tali
risultati suggeriscono due importanti conclusioni, la prima che la
presenza di un fattore di rischio come l'APOE 4 sia importante nel
determinare l'insorgenza della demenza pugilistica e la seconda che
esista una relazione tra questa forma di demenza e le forme piu'
comuni di Alzheimer. Se tali dati verranno confermati da studi con
casi piu' numerosi si arriverebbe forse a consigliare i portatori di
fattori genetici di rischio quali l'APOE 4 di astenersi dal praticare
professionalmente sport quali pugilato, calcio, football americano e
hockey su ghiaccio che potrebbero esporli al rischio di sviluppare
precocemente gravi forme di demenza di tipo Alzheimer. Ezio Giacobini
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. INQUINAMENTO AMBIENTALE
Piombo e cadmio nell'insalata
Sono 63 mila gli agenti chimici in circolazione
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI ecologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology
LA vicenda «mucca pazza» e l'uso di anabolizzanti e beta-agonisti per
favorire la crescita negli allevamenti bovini (oltre all'uso
indiscriminato di antibiotici) hanno messo in luce il problema
dell'inquinamento ambientale. Ma questo non e' esclusivo del mondo
animale: riguarda anche i prodotti di origine vegetale. Basta pensare
alle sostanze che si accumulano nella frutta e nella verdura, come i
pesticidi, ormai insostituibili (diserbanti, insetticidi, fungicidi,
fumiganti) e sempre piu' numerosi, tenuto conto dei fenomeni di
resistenza che si sono creati da parte degli insetti. Attualmente si
calcola che si e' esposti, durante l'arco della vita, a circa 63.000
agenti chimici, di cui solo 15.000 sono oggetto di indagini
tossicologiche. Cio' che attiva la tossicita' dei pesticidi e', da un
lato, l'impiego fraudolento di composti non ammessi in certe
coltivazioni, e, dall'altro, l'uso di quantita' eccessive di principi
attivi autorizzati. L'inquinamento ambientale consente la
penetrazione nelle derrate agricole dei metalli pesanti come
arsenico, piombo e cadmio, responsabili di numerosi guai al fegato e
ai reni. Nel mondo vegetale ci sono anche i contaminanti naturali,
come le micotossine, sostanze tossiche che derivano dai funghi
parassiti delle piante in particolari condizioni di umidita',
temperatura, cattivo stoccaggio. Basta ricordare la patulina
(caratteristica delle mele e delle pere), la vomitossina (mais) e
l'aflatossina (arachidi, noci e mandorle) ad attivita' cancerogena.
Altri contaminanti naturali tipici del mondo vegetale sono i nitrati,
derivati dell'azoto che le piante traggono dal terreno. Oggi la loro
presenza puo' essere eccessiva per l'uso di fertilizzanti azotati non
opportunamente dosati. I nitrati, a loro volta, possono trasformarsi
in nitriti, per cattive condizioni di stoccaggio o per azione della
flora batterica nel tratto gastro-intestinale umano. I nitriti
possono dar luogo a sostanze pericolose come le nitrosammine, ad
attivita' cancerogena. I nitriti sono anche in grado di agire
sull'emoglobina trasformandola in metemoglobina: da quel momento i
globuli rossi perdono la capacita' di fissare e cedere l'ossigeno ai
tessuti. Gli organismi piu' esposti alle contaminazioni ambientali
sono quelli dei bambini per l'immaturita' dei meccanismi di
disintossicazione enzimatica, per l'incompleta funzionalita' di
organi escretori come il rene, per i bassi livelli di proteine capaci
di legare prodotti tossici, per l'incompleto sviluppo delle barriere
fisiologiche (ad esempio, nel circolo cerebrale). Per garantire
sicurezza sui prodotti per l'infanzia (omogeneizzati), le aziende
qualificate devono produrre le materie prime in ambienti protetti da
rischi di contaminazione. In questi ambienti si praticano i sistemi
di coltivazione piu' adatti alle caratteristiche del terreno,
riducendo l'impiego di sostanze chimiche potenzialmente dannose,
adottando una serie di misure per evitare i contaminanti naturali e
controllando le modalita' di trasporto, stoccaggio e lavorazione:
tutti provvedimenti necessari per rientrare nei limiti piu'
restrittivi raccomandati da organismi nazionali e internazionali come
Oms, Fao, Cctn (Commissione consuntiva tecnologica nazionale) e Iarc
(Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro). Renzo Pellati
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA
I veleni a tavola
Infezioni alimentari
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, alimentazione
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, nourishment
LE ultime indagini epidemiologiche eseguite su scala mondiale
indicano che la frequenza di alcune infezioni trasmesse dagli
alimenti e' aumentata. Per esempio si segnalano numerose epidemie di
salmonellosi, cosi' chiamate perche' causate dai microrganismi del
genere Sal monella (dal nome del batteriologo americano Salmon): la
febbre tifoide, i paratifi, gastroenteriti acute, setticemie, sono
appunto salmonellosi. Qualche anno fa un'epidemia negli Stati Uniti,
dovuta a latticini contaminati da Salmonel la enteritidis, colpi'
circa 225 mila persone. Altri agenti patogeni trasmessi dagli
alimenti emergono dalle attuali ricerche, nuovi, o gia' noti ma a
proposito dei quali si ignorava la propagazione per via alimentare.
Tali per esempio le infezioni da sierotipo 0157:H7 del batterio
Escherichia coli, con enteriti emorragiche e insufficienza renale
acuta, talora mortali specialmente nei bambini. Fiammate epidemiche,
in genere associate alla carne bovina, sono state segnalate in
Australia, Canada, Giappone, Stati Uniti, in diversi Paesi europei
compresa l'Italia, in Africa. L'anno scorso una vampata di E. coli
colpi' 6300 scolari giapponesi, la piu' importante epidemia di questi
microrganismi finora registrata. Soltanto da poco tempo si e'
accertata la trasmissione alimentare del batterio Listeria
monocytogenes, soprattutto per consumo di formaggi a pasta molle o di
carne. Numerosi Paesi hanno segnalato fiammate di listeriosi,
specialmente l'Australia, gli Stati Uniti, la Svizzera. Queste piu' o
meno nuove malattie trasmesse dagli alimenti rappresentano pesanti
minacce in parecchie circostanze, fra le quali i viaggi
internazionali. E' evidente che i viaggiatori (proprio l'estate e'
l'epoca dei viaggi) sono esposti a rischi alimentari per essi non
abituali, ad infezioni da microrganismi patogeni rari nei loro Paesi.
Questi microrganismi si evolvono, formano nuovi ceppi virulenti e
resistenti agli antibiotici, la malattia diventa difficilmente
curabile. Frattanto si accresce nel mondo intero il numero dei
soggetti molto sensibili a tali infezioni: gli anziani, i malnutriti,
gli infetti dal virus Hiv dell'Aids, con riduzione dell'immunita'. Le
malattie trasmesse dagli alimenti rappresentano una grave minaccia
per la salute e per l'economia degli individui, delle famiglie e
delle nazioni. Nel quadro della sua campagna di educazione per la
salubrita' degli alimenti l'Organizzazione mondiale della sanita' ha
pubblicato le famose «10 regole d'oro» per la preparazione di
alimenti sani. Alcune di queste regole riguardano i viaggiatori: per
esempio consumare alimenti cotti, bere liquidi contenuti in bottiglie
sigillate, bollire l'acqua dei rubinetti e via dicendo. Nei Paesi
caldi e in quelli nei quali l'igiene lascia a desiderare, ogni pasto
e' un rischio per il turista, anche in un albergo a quattro stelle.
Ulrico di Aichelburg
ODATA 17/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. EMBRIOLOGIA
E' nato Cerberus, girino a due teste
Ricerche utili per capire i meccanismi della malformazione dei feti
OAUTORE FRONTE MARGHERITA
OARGOMENTI biologia
ONOMI SPEMANN HANS
OORGANIZZAZIONI UNIVERSITA' DELLA CALIFORNIA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS biology
A volte nei laboratori di embriologia la realta' non e' molto lontana
dalle vicende che ci narra la mitologia. Nel corso degli anni, la
manipolazione degli embrioni, al fine di comprendere i meccanismi
responsabili della formazione degli organi che compongono un essere
vivente, ha prodotto creature strane, che troppo spesso hanno messo
in cattiva luce gli embriologi e il loro lavoro, considerato al
limite del lecito, se non addirittura immorale. E tuttavia il mistero
nascosto nei complessi mutamenti che dall'uovo fecondato danno
origine a un organismo completo e' uno degli enigmi piu' affascinanti
della biologia. L'ultima strana creatura arriva dai laboratori
dell'Universita' della California di Los Angeles, dove la
«costruzione» di un girino a due teste ha permesso di chiarire la
funzione di una proteina che, non a caso, gli scopritori hanno
battezzato cerberus, proprio come il mitico cane a tre teste
guardiano degli inferi. La molecola e' stata isolata da una zona
dell'embrione chiamata «organizzatore di Spemann», dal nome del
ricercatore, premio Nobel nel 1935, che la identifico' per la prima
volta in embrioni di tritone. Nello sviluppo embrionale precoce,
l'organizzatore di Spemann svolge la funzione di direttore
d'orchestra, perche' le sue cellule sono in grado di determinare il
destino di tutte le altre componenti attraverso un processo che i
biologi chiamano induzione primaria. Ma come ci riescono? Da quando
Spemann con la sua scoperta rivoluziono' l'embriologia moderna, molti
suoi colleghi e allievi hanno tentato di svelare i meccanismi
molecolari che stanno alla base del fenomeno. Si ritiene che le
cellule dell'organizzatore secernano delle proteine che vengono
captate dalle cellule vicine, e che sono in grado di dirigerne lo
sviluppo. Una ventina di molecole proteiche responsabili di varie
tappe del differenziamento embrionale sono gia' state identificate, e
cerberus e' una di queste. Per saggiarne la funzione il gruppo di
ricerca di Los Angeles ha utilizzato un procedimento del tutto
analogo a quello che permise a Hans Spemann di identificare
l'organizzatore: l'hanno spostata dall'altra parte. Infatti, se e'
vero che cerberus e' in grado di convincere le cellule vicine a
organizzarsi per formare una testa (con tanto di occhio, cervello, e
un piccolo cuore e un fegato appena al di sotto), iniettandola in un
embrione in cui gli organi non sono ancora formati si dovrebbe
ottenere un essere con due teste. La prima, quella naturale, indotta
dalla proteina normalmente presente nelle cellule dell'organizzatore
di Spemann; la seconda, invece, indotta dalla proteina iniettata
artificialmente dalla parte opposta rispetto alla posizione
dell'organizzatore. L'esperimento e' stato condotto su una specie di
rana molto cara agli embriologi, lo Xenopus, e il girino bicefalo che
ne e' risultato, che non ha raggiunto l'eta' adulta, e' la prova
vivente che l'ipotesi era corretta. Il prossimo passo sara' cercare
di capire il meccanismo biochimico che regola questo processo, che
certamente coinvolge molte altre molecole. Nel frattempo pero' e'
partita la caccia alla proteina che, nei mammiferi, potrebbe
esercitare un'azione analoga a quella svolta da cerberus negli
anfibi. L'identificazione di questa molecola potrebbe aiutarci a
capire, ad esempio, come agiscono certe sostanze chimiche che, come
l'alcol o alcuni agenti inquinanti, provocano gravi malformazioni nei
feti. Margherita Fronte
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IL FUTURO TELEMATICO
Internet, Borges, Babele
La cultura digitale tra apocalittici e integrati
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI comunicazioni, elettronica, tecnologia, informatica, libri
ONOMI CAILLIAU ROBERT, GATES BILL, DE CARLI LORENZO
OORGANIZZAZIONI MONDADORI, BOLLATI BORINGHIERI
OLUOGHI ITALIA
ONOTE «La strada che porta a domani», «Internet. Memoria e oblio»
OSUBJECTS communication, electronics, technology, computer science, book
SI puo' discutere se il telefono lo abbia inventato Meucci o Graham
Bell. Purtroppo e' certo che Bell lo brevetto'. Altrettanto sicuro e'
che Bell inizialmente non valuto' bene la portata del suo brevetto.
Pensava, Bell, che grazie al telefono la gente avrebbe potuto
ascoltare i concerti stando a casa. In certo senso, credeva di aver
inventato la radio. Piu' tardi, Marconi giudico' che fosse un grave
limite delle onde radio il fatto che tutti potessero intercettarle, e
quindi non fosse garantita la segretezza dei messaggi. Marconi aveva
inventato la radio, ma avrebbe voluto inventare il telefono. Appena
nate, le tecnologie sono misteriose anche per i loro creatori:
l'interazione di una nuova tecnologia con il resto del mondo (a
cominciare dalle tecnologie gia' esistenti) e' difficilmente
prevedibile. Von Neumann e gli altri padri dei computer immaginavano
un futuro con pochi e potentissimi calcolatori e molti utenti che ne
affittavano l'uso per qualche secondo o per qualche ora, a seconda
delle necessita'. Invece le grandi macchine hanno avuto uno sviluppo
modesto, mentre tra poco in ogni casa ci sara' un piccolo personal
computer. Imprevedibilissima, poi, e' stata, e' e sara' l'interazione
tra la tecnologia del telefono e la tecnologia informatica.
Ovviamente, dal matrimonio e' nata la telematica. Ovviamente oggi e
in futuro saranno sempre piu' importanti le applicazioni della
telematica: Internet, telelavoro, moneta elettronica, telemedicina,
realta' virtuale e cosi' via. Ovviamente la societa' di oggi e di
domani sara' la societa' dell'informazione. Ovviamente la societa'
dell'informazione e' e sara' digitale, sicche' la transizione da una
cultura analogica (del continuo) a una cultura quantizzata (del
discontinuo) si presenta come una svolta epocale, paragonabile
all'invenzione della stampa. Ovviamente le fibre ottiche
permetteranno di trasmettere flussi quasi illimitati di informazioni
digitali. Ovviamente queste informazioni saranno sempre di piu'
multimediali (dati, parole scritte, suoni, immagini fisse e in
movimento, bidimensionali e tridimensionali). Ovviamente i vecchi
testi sequenziali lasceranno sempre di piu' il posto a ipertesti
aperti a molteplici accessi. Ovviamente... Ma siamo lontani dal
capire come le cose andranno a finire. Cioe', per essere piu'
concreti, dove ci portano Internet, la telematica, le fibre ottiche,
la cultura digitale e ipertestuale. L'appello di Robert Cailliau,
l'ingegnere del Cern che ha ideato il Word Wide Web, a non usare
Internet come se fosse la televisione evoca un problema profondo, un
problema che non e' tecnologico ma filosofico. Perche' e' un problema
di senso. Del senso e delle finalita' che intendiamo dare al mondo e
a noi stessi. Sul senso e sulle finalita' di Internet due libri
freschi di stampa ci invitano a riflettere da prospettive opposte,
che con una semplificazione alla Umberto Eco potremmo ancora definire
da «apocalittici» o da «integrati». Portavoce degli integrati e' Bill
Gates, l'uomo piu' ricco del mondo, il fondatore della Microsoft. Il
suo libro, edizione aggiornata 1997, e' «La strada che porta a
domani» (Mondadori, 420 pagine, 30 mila lire). Portavoce di una
riflessione filosofica e' Lorenzo De Carli autore di «Internet.
Memoria e oblio» (Bollati Boringhieri, 155 pagine, 24 mila lire).
Bill Gates ci presenta un panorama probabilmente molto realistico del
futuro a 10-15 anni. Ci accompagnera' un «wallet Pc» grande come un
portafoglio tramite il quale comunicheremo con il mondo intero,
pagheremo e verremo pagati, spediremo e riceveremo posta elettronica
e fax, faremo il punto con la precisione di qualche metro grazie ai
satelliti Gps, terremo sotto controllo la nostra salute, lavoreremo,
voteremo, giocheremo e studieremo. La societa' dell'informazione
digitale globalizzata, insomma, sara' la migliore delle societa'
possibili. E se anche non lo fosse, peggio per noi, perche' il suo
avvento e' comunque inevitabile. Quindi tanto vale sperare che lo
sia. Colpisce, in Bill Gates, l'intelligenza nello scrutare
l'evoluzione delle tecnologie telematiche accoppiata alla assoluta
incapacita' di analizzarne le conseguenze meno superficiali. Proprio
questo, invece, e' l'obiettivo di Lorenzo De Carli, 37 anni, nato a
Ginevra, laureato in filosofia del linguaggio a Pavia, redattore
culturale della Radio Svizzera Italiana. La questione del senso della
mutazione culturale in corso e' al centro delle sue analisi sia che
affronti criticamente gli ipertesti o la semiosfera di Internet o i
meccanismi della memoria e dell'oblio in un mondo radicalmente
digitalizzato, nel quale la cultura analogica sara' archeologia,
necropoli sepolta e irrecuperabile. Mi soffermero' soltanto su
quest'ultimo aspetto, quello della memoria del digitale e dell'oblio
dell'analogico, prendendola un po' alla larga. Borges nel racconto
«La Biblioteca di Babele» immagina una biblioteca che contenga tutti
i libri possibili combinando i 25 segni ortografici. Questi libri
hanno tutti 410 pagine, ogni pagina ha 40 righe, ogni riga 40
lettere. Qual e' il numero delle combinazioni, incluse quelle senza
significato, di gran lunga le piu' frequenti? Un numero grandissimo
ma non infinito, risponde giustamente Borges. Piergiogio Odifreddi,
logico matematico dell'Universita' di Torino, ha fatto il calcolo. I
volumi della Biblioteca di Babele sarebbero 25 elevato a 655.000,
cioe' 10 elevato a 900.000. Cifra immane, se si pensa che tutte le
particelle nucleari che formano l'universo sono appena 10 alla 82.
Ma, appunto, pur sempre finita. Tuttavia, sostiene Borges, la
letteratura rimane qualcosa di infinito, «per la sufficiente e
semplice ragione che un solo libro lo e'»: cio' che conta «e' il
dialogo che intavola con il lettore», e «tale dialogo e' infinito».
Bene. Internet e' cio' che piu' somiglia alla Biblioteca di Babele.
Per ora contiene solo qualche miliardo di pagine ma in teoria
potrebbe avvicinarcisi. E' realistico pensare che un giorno gran
parte dei libri di tutti i tempi saranno memorizzati in forma
digitale e richiamabili da chiunque in qualsiasi parte del mondo
attraverso la Rete. Sofisticati motori di ricerca potranno scovare
tutte le citazioni di qualsiasi parola o concetto. Sarebbe la Memoria
Universale? De Carli, pacatamente, ci fa capire che no, non lo
sarebbe. Intanto non tutti i testi verranno digitalizzati: chi
scegliera' che cosa? Qui svanira' forse una parte importante della
nostra cultura. Inoltre, digitalizzando, si perde qualcosa (molto)
degli originali analogici. Si perde quel senso che ognuno di noi ci
mette dentro, quell'essenza interpretativa nella quale Borges (ma
anche i filosofi ermeneutici: sto pensando a Luigi Pareyson) fa
consistere l'intrinseca infinita' del dialogo opera-lettore. «Cio'
che manca allo spoglio elettronico dei testi - scrive De Carli - sono
i testi stessi, dei quali non risulta nota che la porzione che
incornicia la parola cercata. (...) Manca la nostra esperienza di
lettori, che magari hanno durato fatica per approfondire la
conoscenza di questo e quel libro, e che - senza saperlo - proprio
attraverso quella fatica o quella felicita' danno un senso
particolare al libro stesso. (...) Al computer non e' concesso di
ricordare per contrasto, ne' di illuminare il senso di un documento
con il significato contestuale derivato dal rapporto di tale
documento con altri contigui». Come accade per gli «idiots savants»,
insomma, cosi' per i computer l'eccesso di memoria e' causa di oblio.
E l'oblio e' il nostro destino se affidiamo al digitale la nostra
memoria. Il Dizionario Utet fondato da Salvatore Battaglia ci ha
fatto capire che nessuna parola ha significato in se'. Ogni parola e'
definita da tutte le altre del testo che la contiene. L'espressione
«selva oscura» o l'aggettivo «galeotto» sono definiti soltanto se
inseriti in tutti i cento canti della «Divina commedia». Ma della
«Divina commedia» il computer puo' prendere in esame solo una parola
per volta. Digitale e analogico sono irriducibili. Forse bisogna
partire di qui (sotto c'e' tutta la diatriba continuo-discreto,
meccanica classica-meccanica quantistica) per capire dove stiamo
andando. Ma non si puo' pretendere che ci aiuti Bill Gates. Piero
Bianucci
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Appello del padre della Rete
«Non usatela come il cinema o come un mercato»
OGENERE dichiarazione
OAUTORE FRONTE MARGHERITA
OARGOMENTI comunicazioni, elettronica
OPERSONE CAILLIAU ROBERT
ONOMI BERNERS LEE TIM,
CAILLIAU ROBERT
OORGANIZZAZIONI CERN, INTERNET
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE G. Crescita esponenziale (numero di computer collegati a Internet, in
milioni)
OKIND statement
OSUBJECTS communication, electronics
IL futuro di Internet? «Se ben utilizzata la Rete potra' svolgere un
ruolo fondamentale per la comunicazione fra le diverse culture».
Cosi' la pensa Robert Cailliau, l'ingegnere belga che, insieme con
Tim Berners-Lee, ideo' all'inizio del decennio il sistema del World
Wide Web, noto piu' familiarmente come www, nel laboratorio di fisica
piu' grande del mondo, il Cern di Ginevra. Non per caso il sistema
che oggi, tramite Internet, consente di ottenere in tempi brevi
informazioni e immagini su qualsiasi attivita' umana, e di
condividere documenti, idee e pensieri con persone all'altro capo del
mondo, e' nato attorno a un acceleratore lungo 27 chilometri, dove lo
scambio rapido dei dati da un laboratorio all'altro e con il resto
della comunita' scientifica mondiale e' di primaria importanza. «Il
nostro lavoro e' partito dalle tecniche di collegamento fra computer
che gia' erano state sviluppate, e dai programmi per la realizzazione
di ipertesti, che permettono di ottenere piu' informazioni su un
certo argomento semplicemente cliccando col mouse sulla parola di un
testo che corrisponde al soggetto di interesse», spiega Cailliau. «In
realta' non abbiamo inventato nulla, ma abbiamo trovato il modo di
integrare questi due elementi». Eppure, sebbene l'idea di poter
scambiare documenti ipertestuali attraverso il computer non fosse
nuova, prima dei due ricercatori del Cern altri laboratori, fra cui
quelli della Xerox e della Apple, avevano tentato di raggiungere lo
stesso obiettivo, senza tuttavia riuscirvi. «Perche' io e Tim non
siamo miliardari? Nel 1991 decidemmo di rendere pubblico e
accessibile a tutti il nostro programma, in modo che chiunque potesse
utilizzarlo e migliorarlo; la versione che diffondemmo pero' non era
ancora definitiva, perche' mancava la possibilita' di inserire
immagini. Commettemmo l'errore piu' grave che potessimo fare, e non
solo per noi stessi». Una decisione che Bill Gates non avrebbe certo
preso, e che ha cambiato il futuro di Internet. «In peggio», sostiene
Cailliau. Ben presto infatti arrivarono sul mercato programmi pr la
navigazione in Internet che utilizzavano il prototipo diffuso dal
Cern; ma sfortunatamente i primi successi commerciali furono ottenuti
da sistemi che consentivano per lo piu' l'accesso ai documenti gia'
presenti in rete, mentre trascuravano la parte relativa alla
creazione di pagine personali. «Nelle nostre intenzioni Internet
doveva essere un mezzo di comunicazione per lo scambio di documenti e
informazioni. Oggi invece la maggioranza degli utenti utilizza la
rete come un giornale, o come la televisione, senza intervenire sui
contenuti di cui fruisce, e senza neanche conoscere le procedure che
gli permetterebbero di farlo. Purtroppo l'aspetto piu' innovativo ed
esaltante di Internet, la libera circolazione delle idee e il
dibattito fra persone appartenenti a culture diverse e distanti, e'
sfruttato molto poco». Forse e' per questo che Cailliau guarda con
interesse alle «chat lines», quei luoghi telematici in cui persone
che non si sono mai viste chiacchierano dai poli opposti del mondo di
tutto cio' che passa loro per la testa: «Quello che proprio non mi va
giu' e' vedere uno strumento come il www sfruttato per scopi
commerciali. Ormai ogni sito contiene almeno una immagine
pubblicitaria che, oltre ad appesantire i documenti e rallentare il
caricamento delle pagine, tradisce la natura di Internet». La
grafica, secondo l'ideatore del www, «dovrebbe essere funzionale e
chiarire elementi del testo; oggi invece sulla rete siamo in pieno
Rococo'». E c'e' di piu', perche' l'ingegnere belga ritiene che
l'eccessiva attenzione rivolta alle immagini sia andata a discapito
di altri importanti aspetti, come la strutturazione dei contenuti (il
piu' delle volte le pagine web non sono diverse da quelle di un
giornale) o l'efficacia dei motori di ricerca, quei sistemi
utilizzati dagli utenti per cercare i dati di interesse nel mare di
informazioni che circolano sulla rete. Un altro aspetto preoccupa
Cailliau, ora che da piu' parti si leva la richiesta di disciplinare
i messaggi e le immagini diffusi via Internet: «Rifiuto
categoricamente l'idea che possa esistere su Internet una autoria'
super partes che si preoccupi di censurare i contenuti, perche'
sarebbe impossibile controllarla», afferma il ricercatore. Per
frenare il dilagare di fenomeni come quello della pornografia on-
line, o per limitarne i danni, Cailliau propone un programma chiamato
Pics, in grado di filtrare l'informazione che arriva sullo schermo a
seconda dell'utente collegato. «Per quanto riguarda la propaganda
terroristica, o i contenuti illegali, invece, penso semplicemente che
i server che la trasmettono dovrebbero essere soppressi. Chi opera
illegalmente via Internet non dovrebbe essere trattato diversamente
dalle tipografie o dalle stazioni radiofoniche e televisive che
diffondono questo genere di messaggi. E' in sostanza un problema
politico». Margherita Fronte
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ECOLOGIA
Ripuliamo le citta' dai metalli
OAUTORE PAVAN DAVIDE
OARGOMENTI ecologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology
LA pulizia delle strade di una citta' e' considerata una cenerentola
rispetto ad altri aspetti dell'igiene ambientale, come la raccolta
differenziata o lo smaltimento dei rifiuti. Molti sono i problemi che
incidono sulla qualita' di questo servizio. Il principale e' la sosta
delle auto, che impedisce un lavoro accurato proprio nei punti dove
la quantita' di spazzatura e' maggiore; un altro problema e' la
tecnologia in uso, che prevede ancora un largo impiego di risorse
umane per una produttivita' che rimane, peraltro, molto bassa. A
queste difficolta' si aggiungono considerazioni di carattere
economico. La copertura dei costi, pari al 25% del costo totale
dell'igiene urbana, solo per il 15% e' assicurata dalla tassa di
smaltimento dei rifiuti, mentre il restante 10% deve essere
recuperato dal Comune tramite altre fonti, spesso non facilmente
individuabili. Un'ultima questione e' legata all'organizzazione del
lavoro nelle aziende di igiene urbana, ove spesso risorse destinate
allo spazzamento vengono impiegate in altri servizi. Di fronte a
questo scenario e' opportuno ridiscutere la pulizia della citta' in
termini nuovi. L'Azienda di igiene urbana di Padova (Amniup) ha
condotto recentemente un'accurata analisi della quantita' e della
provenienza delle polveri secche raccolte dalle spazzatrici nelle
strade cittadine. La fonte principale e' stata individuata negli
scarichi delle auto (950 kg/giorno), seguita dagli impianti termici e
dalle emissioni industriali. Sommando l'emissione prodotta
dall'attivita' umana (1600 kg/giorno) con le polveri prodotte in modo
naturale, si ottiene un totale di circa 2100 kg di polveri al giorno.
Se pensiamo che Padova e' una media cittadina con una superfice di 92
chilometri quadrati, possiamo immaginare quanto alta possa essere la
produzione di polveri in citta' piu' grandi, dove in alcuni mesi
dell'anno il ricambio dell'aria e' molto scarso per le particolari
condizioni atmosferiche. Certo, molte di queste polveri sono disperse
nel vento, ma il vento non opera reazioni chimiche: le particelle
verranno trasportate inalterate o su altre strade o su edifici vicini
oppure disperse nei campi con una loro immissione nella catena
alimentare. Lo studio dell'Amniup, analizzando anche la tipologia
delle polveri, ha riscontrato una notevole quantita' di metalli
pesanti (arsenico, piombo, rame e selenio) in concentrazioni
piuttosto elevate e pericolose per la salute. Da questo si comprende
che l'intervento di spazzatura delle polveri non e' solo un problema
estetico, ma un vero intervento ambientale sanitario, che richiede
macchinari adeguati. Non si parla piu' di un semplice spostamento
della polvere, ma di una sua eliminazione con attrezzature fornite di
acqua per favorirne l'asportazione. L'obiettivo tecnologico da
raggiungere sta a meta' tra lo spazzamento manuale, di grande
qualita' ma molto costoso, e quello meccanizzato, economico ma poco
flessibile. Una soluzione intelligente e' rappresentata dalle
minispazzatrici a tre ruote, che hanno produttivita' inferiori alle
spazzatrici meccaniche classiche, ma sono in grado di operare fra la
folla e in strade strette e trafficate. La scarsa velocita' di questi
mezzi e' compensata dalla creazione di numerosi nuclei capillarmente
distribuiti sul territorio e forniti di autonomia operativa.
L'inquinamento da rumore prodotto da queste macchine viene combattuto
ricorrendo a tecnologie derivate dall'industria aeronautica e
spaziale: si identifica la frequenza emessa dalla macchina e la si
contrasta con altre frequenze. Questa soluzione permette di isolare
l'operatore in cabina anche se e' difficoltosa l'eliminazione del
rumore esterno. Ulteriori miglioramenti sono stati raggiunti nella
qualita' dello spazzamento: oggi e' possibile operare un filtraggio
quasi completo dell'aria utilizzando le tecnologie dell'industria del
cemento. Il problema da risolvere e' nell'alta percentuale di
ingombro del sistema di filtraggio, che va a scapito dello spazio
dedicato alla raccolta dei rifiuti. Davide Pavan
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. SPETTACOLO IN CIELO
La Luna nell'ombra della Terra
Il 16 settembre un'eclisse totale ben visibile dall'Italia
OAUTORE FERRERI WALTER
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy
MARTEDI' 16 settembre la Luna si nascondera' nell'ombra della Terra.
Questa eclisse e' senza dubbio il fenomeno astronomico piu' rilevante
del mese, e sara' completamente visibile dall'Italia in un orario
molto comodo: nelle prime ore della notte, dalle 19 alle 22 e 30.
Quest'anno si e' gia' verificata un'eclisse di Luna, nella notte tra
il 23 e il 24 marzo. Ma, a prescindere dalle condizioni atmosferiche
generalmente sfavorevoli per l'Italia, fu un'eclisse parziale,
osservabile solo poco prima dell'alba: la Luna tramontava mentre
usciva dal cono d'ombra della Terra. Il 16 settembre, invece, per
l'Italia la Luna sorge quando inizia a immergersi nel cono dell'ombra
terrestre e il cielo e' ancora chiaro: una circostanza favorevole per
riprendere foto panoramiche, se si ha la fortuna di avere come sfondo
un bel paesaggio. Per poter seguire l'eclisse fin dall'inizio occorre
avere l'orizzonte Est libero; si pensi che l'inizio della totalita'
viene raggiunto gia' alle ore 20 e 15 minuti (circa un'ora dopo il
sorgere), quindi con una Luna a poco piu' di 10 gradi sopra
l'orizzonte. Il valore esatto varia da localita' a localita'. Le
regioni piu' favorite sono quelle piu' ad Est (la Puglia in primo
luogo); quelle meno favorite il Piemonte e la Valle d'Aosta, dove la
Luna sorge gia' parzialmente eclissata. Ma ecco i tempi esatti delle
principali fasi: ingresso nell'ombra, 19h 08m (ora legale estiva);
inizio totalita', 20h 16m; fase massima, 20h 47m; fine totalita', 21h
17m; uscita dall'ombra, 22h 25m. Durante l'eclisse la Luna avra' ai
suoi lati Giove e Saturno. Una buona occasione per immortalare sulla
pellicola questa configurazione. Giove, riconoscibile come la stella
piu' brillante del cielo, sara' a Ovest (nella costellazione del
Capricorno) e Saturno, che si presenta come una stella luminosa, a
Nord-Est (nella costellazione dei Pesci, come la Luna). Ma Saturno
sorgera' solo un'ora dopo la Luna. Per riprendere contemporaneamente
tutti e tre questi corpi celesti e' necessario un obiettivo a grande
campo, ad esempio un grandangolare da 20 mm sul formato 24x36 mm. Le
pose ottimali sono quelle di qualche secondo (ad esempio 8) con
pellicola 100 ISO e diaframma f/4. Il fenomeno all'inizio si presenta
come un'intaccatura sul bordo lunare occidentale. Col passar dei
minuti questa zona ricurva si dilata a spese del resto del disco.
Quando la Luna e' immersa per meta' nell'ombra terrestre, appare la
colorazione cuprea, cosi' caratteristica delle eclissi, dovuta alla
luce solare deviata dalla nostra atmosfera. Da essa e' possibile
trarre informazioni sull'anello atmosferico del nostro pianeta
interessato dal fenomeno. In passato, prima dell'era spaziale, le
eclissi di Luna erano seguite anche per ottenere dati sulla nostra
atmosfera: proprio perche' vi possono essere piu' o meno polveri,
piu' o meno nubi, la luce che arriva in queste condizioni sulla Luna
non e' sempre la stessa, ne' dello stesso tipo. Talvolta la luce e'
cosi' intensa da far dubitare ai non addetti ai lavori che l'eclisse
abbia effettivamente luogo; in altre circostanze essa e' cosi' debole
da far sparire la Luna totalmente alla vista. E' interessante
osservare come con l'aumentare dell'ombra, fino alla totalita',
appaiano stelle via via piu' deboli, e anche delle meteore (solo la
notte precedente, tra il 14 e il 15, e' prevista la massima attivita'
dello sciame delle Alfa Aurigidi). Peccato che questo spettacolo si
possa ammirare in tutta la sua grandiosita' solo lontano dalle luci
cittadine. Un'informazione piu' ampia e approfondita riguardo
all'eclisse del 16 settembre si puo' trovare nel numero della rivista
mensile «Nuovo Orione» attualmente in edicola. Walter Ferreri
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. «MARS GLOBAL SURVEYOR»
Si stringe l'assedio a Marte
Da domani un'altra sonda spiera' il pianeta
OAUTORE DI MARTINO MARIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, astronomia
OORGANIZZAZIONI MARS GLOBAL SURVEYOR
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, astronomy
A 10 mesi dal lancio e dopo quasi 800 milioni di chilometri di
viaggio interplanetario la sonda della Nasa «Mars Global Surveyor»
domani, con un giorno di anticipo sulla tabella di marcia,
raggiungera' Marte. La missione «Mars Pathfinder» ci ha dato immagini
con dettagli senza precedenti di un angolo della superficie marziana.
Il compito principale di Surveyor sara' quello di ottenere una mappa
fotografica completa ad alta definizione del pianeta rosso. Tra poche
ore con un comando inviato dalla stazione di controllo a terra verra'
acceso il motore principale, che in 25 minuti di funzionamento
frenera' la sonda diminuendo la sua velocita' da 18.000 a 3550
km/ora, permettendole cosi' di essere catturata dal campo
gravitazionale marziano e di immettersi in un'orbita fortemente
ellittica con una distanza massima e minima dal pianeta
rispettivamente di 56.000 e 110 km. Dopo questa manovra Surveyor
effettuera' una lunga serie di cambiamenti orbitali che, senza far
piu' ricorso al motore di bordo, faranno assumere alla sonda
un'orbita circolare, che verra' percorsa in poco meno di due ore a
un'altezza di 380 km dalla superficie del pianeta. L'innovativa
procedura, denominata «aerobraking» (aerofrenaggio), consiste nello
sfruttare l'attrito della sonda con gli strati piu' alti della tenue
atmosfera marziana per diminuire la sua velocita' e circolarizzare
l'orbita. Surveyor, infatti, ogni qualvolta nel suo percorso orbitale
si trovera' alla minima distanza dal pianeta, si tuffera' nella sua
atmosfera subendo un continuo rallentamento della velocita' orbitale.
Le operazioni saranno pero' piu' complicate del previsto in quanto
uno dei due pannelli solari, che forniscono l'energia elettrica per
il funzionamento degli strumenti di bordo, non si e' aperto
completamente dopo il lancio, modificando quindi l'assetto
aerodinamico della sonda. Per evitare danni dovuti a un'eccessiva
pressione e ad un possibile surriscaldamento, la lunga manovra di
aerobraking verra' effettuata in maniera piu' graduale di quanto
originariamente programmato. Questo problema fara' ritardare l'inizio
del lavoro scientifico, che comincera' verso la meta' del prossimo
mese di marzo, con circa due mesi di ritardo sul programma previsto.
Mars Global Surveyor ha una massa di poco superiore alla tonnellata
ed e' una macchina dotata di strumenti costruiti utilizzando le
tecnologie piu' recenti. Ecco i principali. 1) La «Mars Orbiter
Camera», una telecamera che nel modo ad alta risoluzione permettera'
di individuare oggetti di dimensioni di poco superiori al metro.
Questo strumento effettuera' anche riprese giornaliere a grande campo
di Marte del tutto simili a quelle dei satelliti meteorologici
terrestri. Da queste immagini sara' possibile seguire e studiare
l'evoluzione della meteorologia del pianeta nel corso di un intero
anno marziano (687 giorni terrestri). 2) Il «Mars Orbiter Laser
Altimeter» in base ai tempi di percorrenza dei segnali laser inviati
e riflessi dalla superficie permettera' di misurare l'altezza delle
montagne e la profondita' delle valli marziane con una precisione di
poche decine di metri. 3) Il «Thermal Emission Spectrometer»
misurera' l'eventuale calore emesso dal pianeta, studiera' la
struttura termica dell'atmosfera e disegnera' una mappa mineralogica
completa della superficie. 4) Il «Magnetometer/Electron
Reflectometer» analizzera' le proprieta' magnetiche di Marte, da cui
si potra' dedurre la struttura interna del pianeta. La «vita
scientifica» di Mars Global Surveyor avra' una durata di poco
inferiore ai due anni, dopodiche' verso la fine del gennaio 2000 la
sonda verra' utilizzata come satellite per telecomunicazioni per
trasmettere a terra i dati raccolti dai «lander» che con cadenza
biennale verranno inviati sulla superficie di Marte. In questo
periodo di tempo, se tutto funzionera' come previsto, Surveyor
raccogliera' piu' di 80 gigabyte di dati scientifici, sufficienti a
riempire 130 cd-rom. Questa enorme quantita' di informazioni
contribuira' in maniera decisiva a comprendere a fondo molti degli
aspetti ancora insoluti relativi all'atmosfera, al campo magnetico,
alla mineralogia ed alle complesse morfologie superficiali del
pianeta, che sotto tutti gli aspetti e' quello piu' vicino alla
Terra, ed a preparare il terreno per la sua esplorazione da parte
dell'uomo nei primi decenni del prossimo secolo. La Nasa ha gia'
promesso, come del resto ha fatto con Pathfinder, di immettere in
tempo reale sulla rete Internet le immagini piu' significative che
verranno inviate da Surveyor. In particolare quelle della cosiddetta
«faccia», un rilievo della superficie marziana nella regione
denominata Cydonia, che fu scoperto analizzando le immagini riprese
nel luglio 1976 dall'Orbiter della sonda Viking 1 e che, forse per un
gioco d'ombre, assomiglia ad un volto umano. Questa scoperta sollevo'
subito molti interrogativi sulla reale natura ed origine di questa
strana formazione, a cui senz'altro risponderanno le immagini ad alta
risoluzione che ci inviera' Surveyor. Mario Di Martino Osservatorio
di Torino
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. NUMEROLOGIA
Un quadrato magico per vincere la peste
Tra matematica e superstizione, affascino' anche Albert Durer
OAUTORE ODIFREDDI PIERGIORGIO
OARGOMENTI matematica
ONOMI GAUDI' ANTONI, SUBIRACHS JOSEPH MARIA, DURER ALBRECHT
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS mathematics
DURANTE un breve soggiorno a Barcellona ho visitato la Sagrada
Familia, incompiuta cattedrale dell'architetto Antoni Gaudi. Mentre
l'occhio del turista ondeggiava lungo le linee curve che
caratterizzano l'intera opera, quello del matematico si e' fermato su
di un particolare della Facciata della Passione, opera dello scultore
Joseph Maria Su birachs. Dietro la statua di Giuda che bacia Gesu',
oltre ad un serpente che rappresenta il diavolo, c'era infatti la
tabella di 16 numeri qui indicata con la lettera A. E' evidente che
essa ha alcune interessanti proprieta': ad esempio, la somma dei
numeri di ciascuna riga, di ciascuna colonna e di ciascuna diagonale
e' sempre la stessa, cioe' il fatidico 33 che permette al dottore di
capire se abbiamo il catarro, ma che in questo caso si riferisce
all'eta' che, secondo la leggenda, Cristo avrebbe avuto quando mori'
in croce. Tabelle di questo genere si chiamano quadrati magici, e
quello in questione e' piuttosto spettacolare: ci sono infatti 88
modi in cui quattro numeri della tabella danno come somma 33 (se non
ci si limita esattamente a quattro numeri, le combinazioni salgono
allora a 310). Lasciamo al lettore il divertimento di scovarli da
se', citando soltanto le disposizioni particolarmente simmetriche che
si ottengono considerando ciascuno dei settori quadrati Nord-Est,
Nord-Ovest, Sud-Est e Sud-Ovest, cosi' come il quadrato centrale, o i
numeri ai quattro angoli. A causa delle loro proprieta' misteriose, i
quadrati magici hanno attirato l'attenzione di numerologi e mistici
fin dall'antichita'. Il piu' antico che si conosca e' qui indicato
con la lettera B. Esso e' chiamato Lo Shu dai cinesi, che ne
attribuiscono la scoperta al mitologico imperatore cinese Yu (2200
a.C.). Gli I Ching gli assegnano un significato particolare: il
numero 5, che sta in mezzo sia al quadrato che alla successione dei
numeri da 1 a 9, rappresenta la terra; i rimanenti numeri dispari
rappresentano l'elemento maschile yang, i punti cardinali e le
stagioni (ad esempio, 1 il Nord e l'inverno); i numeri pari
rappresentano l'elemento femminile yin; sul bordo pari e dispari si
alternano, e coppie successive rappresentano i quattro elementi,
cioe' acqua (1,6), fuoco (2,7), legno (3,8) e metallo (4,9). Anche
gli indiani conoscevano quadrati magici: un esempio del secolo X o XI
si trova a Kha juraho, benche' esso sia surclassato dalle statue
erotiche che affollano il luogo, e che concentrano l'attenzione del
turista su piaceri certamente celestiali, ma di natura meno astratta
della matematica. In Europa i quadrati magici furono introdotti
relativamente tardi, nel secolo XV, dall'ottomano Moschopulos.
L'esempio classico forse piu' famoso e' quello qui indicato con la
lettera C. Esso appare nell'incisione Malinconia di Albert Durer. La
data dell'opera e' il 1514, ed e' riportata nelle due caselle
centrali dell'ultima riga. Oltre alle solite proprieta', l'esempio ne
ha anche una speciale: la somma dei numeri in due caselle simmetriche
rispetto al centro e' sempre la stessa (17). Questo quadrato veniva
spesso inciso su un piatto d'argento, e regolarmente usato come
talismano contro la peste. I quadrati magici 3 per 3 e 4 per 4 non
sono ovviamente i soli possibili: anzi, modificandoli
appropriatamente e aggiungendo loro dei bordi si possono ottenere
quadrati 5 per 5 e 6 per 6, da cui si possono poi ottenere quadrati 7
per 7 e 8 per 8, e cosi' via. In altre parole, quadrati magici n per
n esistono per ogni n maggiore di 2. Piergiorgio Odifreddi
Universita' di Torino
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. VITA DA POLIPO
Intelligente e giocherellone
Impara, ricorda e ha una vista acutissima
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia, etologia
ONOMI SUTHERLAND STUART
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology, ethology
SE ne sta li' acciambellato in fondo all'acquario. Cerca di
nascondersi tra pochi mattoni che simulano una tana, pallida
imitazione dei crepacci della roccia subacquea dove si rifugia in
natura. Lo tocco con una bacchetta. Da grigio rosato che era, si
scolora di colpo. Si e' spaventato. Il suo cambiamento cromatico e'
il termometro del suo umore. Il polpo comune (Octopus vulgaris), noto
generalmente solo per i suoi pregi gastronomici, e' indubbiamente un
essere molto sensibile. Il comportamento di questo prigioniero mi
ricorda lo spettacolo a cui ho assistito nello Zoo di Seattle (Stati
Uniti). Il protagonista era un gigante che pesava - dicevano - una
trentina di chili. Apparteneva alla specie Octopus dofleini, i cui
esemplari possono raggiungere i 50 chili (I nostri polpi arrivano
come massimo ai 25, ma di solito sono molto piu' piccoli). Una bella
ragazza con la maschera da sub e le pinne invita il polpo ad uscire
dalla tana, bussando gentilmente all'ingresso. L'animale tira fuori
un tentacolo, la sub gli fa il solletico (si fa per dire) e da quel
momento il grosso mollusco esce dal suo nascondiglio e segue la
fanciulla docile come un agnellino, esibendosi con lei in una specie
di balletto. Quando avvicino la ragazza alla fine dello spettacolo,
mi sorprende apprendere che il polpo non viene premiato con una
manciata di granchi come avevo immaginato. Nei circhi o nei
delfinari, quando si addestrano gli animali ad eseguire gli esercizi
che mandano in visibilio il pubblico la tecnica e' sempre quella del
premio se l'esercizio e' stato eseguito correttamente. La maestra del
polpo mi racconta invece che il suo allievo non gioca per ricevere
una ricompensa. Il gioco e' per lui un'attivita' autoremunerativa,
come lo e' per i mammiferi. Il fatto che il polpo ami il gioco come
tale e' senza dubbio indice di intelligenza. E, per quanto non
manchino gli scettici, sono in molti a sostenere che l'Octopus sia un
animale intelligente. Lo dimostra l'astuzia con cui scova la preda.
Se un'aragosta viva si trova entro un contenitore di vetro chiuso da
un tappo, il polpo, soggetto sperimentalmente a quel supplizio di
Tantalo, tanto armeggia attorno al recipiente con i suoi otto
tentacoli finche' riesce a capire che bisogna aprire il tappo per
cavarne fuori l'aragosta. Cosa che puntualmente fa. La preda non gli
sfugge. L'esperimento ha dimostrato che i polpi, invertebrati,
impiegano per raggiungere la preda su per giu' lo stesso tempo dei
topi, che sono vertebrati superiori. Si ricordano anche la strada
giusta da seguire, tanto che sono in grado di ripercorrerla senza
errori anche settimane dopo. E non basta. Questi stupefacenti
molluschi, se opportunamente addestrati, sanno imparare e ricordare
figure geometriche diverse, come rettangoli orientati in senso
orizzontale o verticale, croci, quadrati e cos! via. Stuart
Sutherland dell'Universita' del Sussex (Gran Bretagna) ha addestrato
i polpi a riconoscere forme varie, sulle orme delle classiche
esperienze compiute nella Stazione Zoologica di Napoli negli Anni
Sessanta dal neurobiologo J. Z. Young dell'University College di
Londra e dalla sua equipe, che riuscirono a individuare nel cervello
del polpo un centro della memoria visiva e un centro della memoria
tattile. Grazie alle ricerche di Young si e' scoperto che i processi
di apprendimento e memorizzazione avvengono nel polpo in maniera
molto simile a quella dei vertebrati. Piu' recentemente ricerche
condotte nella stessa Stazione hanno rivelato che un polpo puo'
imparare a scegliere una pallina rossa invece di una bianca per
semplice imitazione, osservando il modo in cui si comporta un altro
polpo che viene premiato se sceglie la pallina rossa e viene punito
se sceglie quella bianca. Certo c'e' da rimanere stupefatti di fronte
al comportamento intelligente di questo mollusco che ha vita breve,
al massimo un paio d'anni, e si riproduce una sola volta nella vita.
Dice una sostenitrice entusiasta della sua intelligenza, l'etologa
Jean Boal dell'Universita' del Texas a Galveston: «Il polpo fa cose
che nemmeno molti mammmiferi sono in grado di fare!». Il cervello del
polpo e' dieci volte piu' grande di quello di un pesce delle stesse
dimensioni e contiene mezzo miliardo di neuroni. Quasi la meta' si
trovano nei voluminosi lobi ottici. Non c'e' quindi da stupirsi se
l'animale possegga due grandi occhi dallo sguardo quasi umano, con
tanto di retina, di cristallino regolabile e di palpebre. La sua
vista e' acutissima. Il polpo distingue nettamente forma e dimensione
degli oggetti. Distingue persino la luce polarizzata, per noi
invisibile. Nell'epoca degli amori, il maschio cerca una compagna. Se
sono in parecchi ad aspirare alla stessa femmina, lottano per
disputarsela. Tocca al vincitore fecondarla. E il maschio usa in
questa circostanza il suo «ectocotile», uno dei tentacoli terminante
a cucchiaio che serve per trasportare le cartucce di seme, le
«spermatofore» nell'ovidotto femminile. Un'operazione che dura oltre
un'ora. Il maschio sembra impassibile. Ma uno studioso ha scoperto
che ogniqualvolta scarica una spermatofora nel corpo dell'amata, il
suo cuore perde un battito. Piu' emotivo di cosi'! La femmina depone
circa centocinquantamila uova che dispone a grappoli come cascate di
perle. Ne ha grande cura, quasi fosse consapevole che quella e' la
sua unica occasione di maternita'. Non fa altro che accarezzarle,
ripulirle, aerarle e tutto questo avviene entro la cavita' di una
roccia il cui ingresso e' stato ostruito da un sasso che la madre ha
sistemato ad arte per evitare l'ingresso dei predatori. E' tale
l'amore per le sue creature che mamma polpo per tutto il tempo che
dura lo sviluppo (da 5 a 7 settimane) non va a caccia e non si nutre.
Alla fine, non appena la folla dei polipetti sgusciati dalle uova si
disperde nelle acque azzurrine del mare, lei, spossata dallo stress e
dal digiuno, muore. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PARCHI IN USA
Wilderness
Rafforzate e ingrandite una serie di immense aree (30 mila km
quadrati), nella California orientale
OAUTORE FRAMARIN FRANCESCO
OARGOMENTI ecologia, parchi naturali
ONOMI CLINTON BILL
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, CALIFORNIA
OSUBJECTS ecology
IN un pianeta sempre piu' affollato, dove c'e' sempre meno spazio per
chiunque per far qualsiasi cosa, e' sorprendente che una nazione
riesca a sottrarre allo sfruttamento umano e riservare alla natura
qualcosa come 30 mila chilometri quadrati del suo territorio (un'area
maggiore del Piemonte). Non si tratta d'una nazione spopolata o
guidata da un regime autoritario. Avviene negli Stati Uniti
d'America. Bill Clinton ha firmato una legge, detta California Desert
Protection Act, che rafforza e ingrandisce una serie di aree protette
nella California orientale. La legge, approvata dal Congresso dopo un
iter di 8 anni, ha ampliato e promosso al rango di parco nazionale
due monumenti nazionali: la Valle della Morte, che con i suoi 13.000
chilometri quadrati relega ora al secondo posto per ampiezza il
venerando Yellowstone (9000 chilometri quadrati), e il Joshua Tree,
di 3200. Essa ha inoltre promosso Riserva nazionale, in attesa di un
parco, un'area del deserto Mojave di 5600 chilometri quadrati.
Infine, nell'intera regione che comprende i tre parchi, la legge ha
definito 109 «aree Wilderness», alcune all'interno dei parchi stessi:
sono 30.000 kmq di territori naturali, senza insediamenti ne'
alterazioni umane, da conservare letteralmente in tale stato. Dal
1980, anno in cui Jimmy Carter firmo' un simile intervento di
protezione per l'Alaska, mai territori cosi' vasti erano stati
protetti con una sola legge. Si deve ricordare che negli Usa le aree
protette sono destinate in linea generale soltanto alle visite (a
pagamento, se parchi), non ad ambiziosi quanto equivoci sviluppi
socio-economici, come da noi. Benche' l'area in questione porti il
nome generico di «deserto californiano», in realta' comprende parti
di due vasti deserti, il Great Basin (Nevada) a Nord e il Sonora
(Messico) a Sud, piu' la zona di transizione fra essi che e' il
deserto Mojave. Essa comprende catene montuose (fino a 3300 metri),
pianure salate, formazioni di dune e una straordinaria varieta' di
ecosistemi. La vegetazione presenta fra l'altro foreste di pini,
arbusteti di ginepri, ciuffi di palme, distese di cactus e ospita
specie tipiche del deserto: topi-canguro, «corridori della strada»
(una specie di cuculo terrestre), tartarughe etc., ma anche piccole
popolazioni di mufloni, cervi, coyote, aquile reali. L'area, benche'
desertica, non e' del tutto disabitata ne' e' tutta di proprieta'
pubblica. Gli interessi pastorali, minerari, ricreativi (uso di
veicoli fuori- strada) e d'altro genere erano e sono cospicui,
provenienti soprattutto da Las Vegas a Nord e da Los Angeles con la
sua megalopoli a Sud. Per fronteggiarli e controllarli, si sono
coalizzate non meno di 120 organizzazioni locali e nazionali di
conservazionisti. La California non era scarsa di parchi nazionali:
basta pensare ai celebri parchi delle sequoie, Redwoods e Sequoia, o
a Yosemite, la piu' antica area protetta d'America «firmata» da
Abramo Lincoln nel 1864. Anche negli stati vicini di Utah, Arizona,
Colorado sono molti gli ecosistemi simili gia' protetti, come i
parchi nazionali del Grand Canyon o della Foresta Pietrificata. C'e'
da sperare che i turisti europei, che in numero crescente si recano a
visitarli, si convincano che il migliore sfruttamento delle ultime
aree naturali, grandi o piccole che siano, e' conservarle come sono.
Francesco Framarin
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL CASUARIO AUSTRALIANO
Uno struzzo feroce e onnivoro
Puo' sventrare chiunque con un'unghiata
OAUTORE GABETTI FELICITA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI BLEWITT BEN
OLUOGHI ESTERO, OCEANIA, AUSTRALIA
OSUBJECTS zoology
AMMONISCE Ben Blewitt, ranger a Cap Tribulation nel Nord Queensland
Australia: «Se sulla pista che sale a Thornton Peak senti un sordo
bu-bu-bu attenta, e' il feroce struzzo casuario che corteggia la sua
femmina. E' molto aggressivo alla fine della stagione riproduttiva».
La stagione riproduttiva del Casuario australiano (Casuarius
casuarius) va da giugno a ottobre. Quando una femmina entra nel suo
territorio, subito il maschio inizia l'approccio sollevando le piume
del dorso e passa al corteggiamento. Girando attorno alla femmina
emette sordi soffianti bu-bu-bu, e quando questa si accovaccia in
accettazione, esibisce segnali di riappacificazione beccuzzandola fra
le piume del dorso e sul capo mimando la pulitura e, appollaiato su
una sola zampa, con l'altra le liscia il fianco. Si forma una coppia
temporanea per le settimane necessarie alla deposizione progressiva
delle uova in un nido che il maschio ha preparato in una depressione
del terreno foderata di foglie. Le uova, da 3 a 5, di 135x95
millimetri e 584 grammi, sono di color verde. La femmina si allontana
poi dal nido e va in cerca di un altro maschio. La signora, fedele a
ognuno quanto basta a fecondare le sue uova, pratica una poliandria
progressiva con due o tre partner e conseguenti due o tre covate a
ogni ciclo riproduttivo. Per questa sua strategia e' per alcune
tribu' della Nuova Guinea la «madre ancestrale», con significato
rituale di fertilita'. Il maschio cova per 50 giorni le uova che si
schiudono non sincronizzate, e si occupa delle cure parentali per 9
mesi. I pulcini nascono gialli rigati di marrone. A 1-2 anni
raggiungono la taglia adulta e una colorazione piu' scura. A 3 anni,
in livrea definitiva nera, sono adulti; e a 3 e mezzo maturi
sessualmente. Si stima vivano circa 12-19 anni. Il Casuario casuarius
(Southern Cassowary) genere Casuarius (altre 2 specie: C.
unappendiculatus, C. bennetti) famiglia Casuariidae, e' un uccello
alto 130- 170 cm, di 29-34 kg il maschio e 58 kg la femmina, non
volatore con moncherini di ali piu' piccoli di ogni altro non
volatore, coperto da piume uniformi ruvide, a doppio rachide, assenti
le timoniere, le remiganti ridotte a 5 o 6 nudi rachidi. Le parti
nude, colorate in porpora, blu e turchese, sono il collo con due
lunghi barbigli (caruncole) e la testa che inalbera un imponente elmo
cefalico di cartilagine spugnosa con astuccio corneo con cui s'apre
la strada nell'intrico dei calamus spinosi. La zampa robusta, atta a
velocita' fino a 50 km/h, al salto da fermo di 1,5 metri e al nuoto,
e' tridattila con unghia del dito interno di 10 centimetri a
coltello. Il casuario abita la Nuova Guinea e il N.E. Queensland
Australia. Il suo habitat la foresta pluviale. Mangia frutti di 75
specie di piante, ma anche funghi, lumache, insetti. E' attivo
all'alba e al tramonto in un suo territorio abituale determinato
dalla disponibilita' di cibo, ma attua un piccolo nomadismo su
percorsi e guadi fissi. Solitario e schivo, e' difficile vederlo.
Scendendo dal Mounth Alexandra, mi sono imbattuta nella sua traccia
piu' famosa. Al centro della pista, come uno scrigno di gemme o una
torta decorata da ciliegine, c'era un massiccio escremento cosparso
di brillantissimi semi porpora e turchesi, semi che, scortecciati
nell'intestino ma non digeriti e vitali, sono dispersi da questo
«seminatore ecologico» a molti chilometri dalla raccolta. Semi di
grossi frutti che solo uno struzzo puo' ingoiare, il che rende la sua
sopravvivenza e quella di molte piante strettamente interdipendenti.
Di solito non e' aggressivo ma talvolta, soprattutto nella stagione
riproduttiva e dell'allevamento, dopo una intimidazione con corpo
inarcato, penne arruffate, becco puntato a terra, emette un suono
rimbombante e sollevandosi in aria fa scattare le zampe in avanti
sventrando l'avversario con le unghie a baionetta. Le vittime sono
soprattutto porci selvatici predatori delle uova e dei pulcini, ma
attacca anche l'uomo. La sua arma micidiale era ben conosciuta dai
cacciatori di uova da collezione, e di piume per i cappellini delle
nostre nonne. Felicita Gabetti
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA
Uomini e foreste
«I parchi? La meta' di un esperimento per accertare gli effetti degli
interventi umani sull'ambiente»
OAUTORE F_FR
OARGOMENTI ecologia, parchi naturali
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology
IN parecchi Paesi, e specialmente in Italia, poche istituzioni sono
oggetto di contrasti e dispute come i parchi nazionali: si contesta
la loro istituzione, la loro gestione e' travagliata, persino le loro
finalita' sono sovente rimesse in causa. La ragione e' che alla
conservazione della natura - l'idea che e' alla base di ogni tipo di
parco - concorrono motivazioni eterogenee (etiche, scientifiche,
economiche, politiche) difficili da confrontare e valutare
sinteticamente. Per lo piu' esse sono di ordine globale e a lungo
termine (salvaguardia del clima, delle diversita' biologica, dei
diritti delle future generazioni), di rado sono decisivi nei casi
concreti. Esse dipendono dalla cultura e dalla tradizione locale (nel
Mediterraneo, una foresta non e' valutata come in Scandinavia). Il
problema globale e': fino a che punto si possono sfruttare per il
profitto umano immediato le risorse del Pianeta stesso e il nostro
futuro? In attesa di risposte scientifiche piu' precise, di una
crescita della sensibilita' ecologica e della solidarieta' mondiale,
bisogna ammettere che i parchi nazionali finora creati non hanno
provocato alcun guaio ne' pregiudicato alcuna scelta, a differenza di
molte iniziative di «sviluppo». Ma c'e' di piu'. Oltre a mantenere
finalita' tutt'altro che obsolete, essi ne offrono di nuove. Forse la
piu' attuale e' quella rimarcata da G. Caughley: i parchi formano la
meta' di un esperimento per accertare l'effetto dell'intervento umano
nei processi ecologici. I parchi sono l'elemento di controllo del
resto del mondo sotto trattamento. Per questo dovrebbero essere
manipolati il meno possibile.(f. fr.)
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. STORIA DEL TATUAGGIO
Disegni a fior di pelle
Un costume tribale nato in Polinesia
OAUTORE MORETTI MARCO
OARGOMENTI antropologia e etnologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS anthropology and ethnology
LA moda del tatuaggio dilaga, tattoo shop aprono i battenti in tutte
le citta' italiane. Farsi disegnare la pelle con aghi e china e' un
costume sempre piu' diffuso tra i giovani dei Paesi dell'Occidente.
Le decorazioni cutanee con aghi indolori e metodi moderni, garantiti
a livello igienico, sono l'eredita' di tradizioni diffuse fin
dall'antichita' tra popolazioni africane, inuit e polinesiane. In
Africa Occidentale veniva praticata una cruenta scarificazione del
viso, marchiato da giochi di cicatrici, gli eschimesi si ornavano
passando con un ago del filo annerito sotto la pelle. Fu pero'
nell'Oceano Pacifico che il tatuaggio, realizzato con tecniche
elaborate, divenne un elemento caratterizzante della cultura
polinesiana. Tatuaggio e' l'unica parola italiana, con tabu' (da
tapu), che derivi da un termine maori: da ta tatau, tradizionale
metodo d'impressione su un tessuto ricavato dalla corteccia di una
varieta' di gelso diffuso in gran parte dell'Oceano Pacifico. Il
tatuaggio e' stato praticato per secoli in gran parte della
Polinesia. Era molto diffuso nelle Isole della Societa' e a Samoa. E
divenne un elemento chiave della tradizione delle Isole Marchesi e
della Nuova Zelanda, dove uomini e donne si decoravano gran parte del
corpo e del viso. Alle Marchesi gli uomini si ornavano con bande nere
e motivi geometrici le gambe, le braccia, il collo, la faccia e i
glutei; mentre le donne avevano disegni attorno a bocca e orecchie.
In Nuova Zelanda il moko (tatuaggio) era praticato con motivi
curvilinei simili a quelli raffigurati nelle sculture. Gli uomini
erano piu' segnati delle donne: soprattutto su faccia, cosce e
natiche. Le donne erano decorate sul mento e attorno alla bocca e -
meno frequentemente - su polsi, fronte e seno. A Tahiti e nelle altre
Isole della Societa', invece, solo alcuni capi si tatuavano il viso
e, mentre molti uomini decoravano l'intero corpo, le donne avevano
motivi incisi solo su polsi, mani e caviglie. In buona parte della
Polinesia, il tatuaggio era praticato nella puberta' come rito
iniziatico che, oltre alla pelle, marcava la vita del giovane. I
disegni cutanei erano talismani: proteggevano da malattie e
malocchio, e aumentavano il coraggio. I loro motivi rappresentavano
totem (tiai) o antenati (tu puna) ed erano scelti a secondo di eta',
sesso, clan o rango. Certi disegni indicavano una distinzione
sociale: erano riservati a capi e sacerdoti. Il tatuaggio aveva
implicazioni spirituali, estetiche e persino erotiche: secondo il
gusto dell'epoca, esaltava la bellezza naturale. Alle Marchesi e
nelle Isole della Societa' il tatuaggio veniva praticato con una
dolorosa tecnica incidendo la pelle con denti di maiale per poi
colorare la ferita con tintura di carbonfossile. E ancora piu'
cruenta era la tecnica usata per il moko dai maori della Nuova
Zelanda: la pelle veniva tagliata con ceselli di osso, pulito via il
sangue s'infilava nell'incisione del pigmento bluastro con uno
scalpellino dentato. Una lunga tortura a cui i guerrieri si
sottoponevano senza lasciar sfuggire un lamento. Piu' che di tatuaggi
si trattava di una scarificazione che ornava la pelle con un gioco di
cicatrici che, in Nuova Zelanda, non denotava pero' mai il rango
della persona, ne' era considerata una prova di coraggio. I motivi
del tatuaggio variavano in ogni arcipelago: erano geometrici (rombi,
cerchi, greche, stelle, fasce e tratti intermittenti) o figurativi
(animali, cocchi, scene di combattimento). Dopo l'arrivo dei coloni
europei la pratica del tatuaggio fu bandita - insieme a danze e
nudita' - e condannata dai missionari in tutto il Pacifico.
Resistette solo nelle Samoa Occidentali: l'arcipelago polinesiano
ancora oggi culturalmente piu' integro. Cosi' mentre la parola
polinesiana veniva adottata dalle maggiori lingue europee e il
tatuaggio diventava un costume diffuso tra i marinai di tutto il
mondo, dalle Marchesi alla Nuova Zelanda i maori dimenticarono uno
dei principali elementi della loro tradizione. I disegni indelebili
sul corpo ritornarono a cavallo tra gli Anni 60 e 70 sull'onda delle
rivendicazioni culturali che in Polinesia Francese ridiedero vita
anche a danze, teatro, pittura e scultura. Contemporaneamente un
processo analogo avvenne anche in Nuova Zelanda, dove pero' i maori
avevano conservato una ricca memoria tribale. In Polinesia Francese,
l'artefice del revival fu Tavana Salmon, un uomo tahitiano di padre
norvegese, cresciuto tra le Hawaii e gli Stati Uniti. Ballerino, a
vent'anni Salmon torno' a Tahiti, dove creo' un gruppo di danza
interpolinesiano con oltre duecento membri provenienti da Nuova
Zelanda, Hawaii, Samoa e Tonga, oltre che dagli arcipelaghi
controllati dai francesi. Salmon riscopri' l'arte del tatuaggio
documentandosi negli archivi del Bishop Museum di Honolulu per la
parte teorica e a Samoa per quella tecnica. Torno' a Tahiti e
comincio' a tatuare centinaia di persone. Piu' tardi introdusse
competizioni di tatuaggio nel Festival of Pacific Arts: la kermesse
che ogni quattro anni raccoglie in un diverso arcipelago tutte le
espressioni artistiche del Pacifico. Negli Anni Ottanta, quando nel
Pacifico la ricerca delle radici divenne un fenomeno di massa, il
tatuaggio si diffuse in tutta la Polinesia Francese e in particolare
alle Marchesi: divento' un'affermazione d'identita' culturale, ma
anche una scelta estetica. E le antiche tecniche di tatuaggio, causa
di sofferenza, in tutti gli arcipelaghi furono soppiantate da metodi
indolori simili a quelli usati in Occidente. Marco Moretti
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Viaggio a Saturno breve rinvio
OGENERE breve
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
La navicella «Cassini» che doveva partire il 6 ottobre verso Saturno
ha subito un piccolo danno all'impianto termico. Il lancio e'
rinviato di alcuni giorni. La «finestra» utile si chiude il 4
novembre. Su «Cassini» viaggia anche «Huygens», sonda europea che
scendera' su Titano.
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Borse di studio di Telethon
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI TELETHON
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS research
Il comitato promotore di Telethon bandisce 40 borse di studio per
giovani ricercatori italiani e stranieri che operino nel campo della
biologia cellulare e molecolare e della genetica. Le domande devono
pervenire entro il 29 settembre (via Prospero Santacroce 5, 00167
Roma). Informazioni: 06-6601.54.26.
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Torino: il futuro della sanita'
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Il 17 settembre a Torino, nel Centro del Lingotto, congresso
«Italmedica» sul futuro della sanita'. Intervengono Enrico Garaci e
Daniel Louis. Informazioni: 011-66.44.111.
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Navi medievali a Venezia
OGENERE breve
OARGOMENTI archeologia, trasporti, navali
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, VENEZIA (VE)
OKIND short article
OSUBJECTS archaeology, transport, ship
C'e' un cimitero di navi medievali sul fondale della laguna di
Venezia: l'annuncio e' stato dato a Ustica, in un incontro promosso
da «Archeologia viva».
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Archeologia su Internet
OGENERE breve
OARGOMENTI archeologia, comunicazioni
OORGANIZZAZIONI VOX MULTIMEDIA
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS archaeology, communication
Un Cd-rom prodotto dalla Vox Multimedia offre la preziosa
opportunita' di navigare tra i siti archeologici di Internet. Per
informazioni: 06-32.00.309.
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Trieste: master in comunicazione
OGENERE breve
OARGOMENTI comunicazioni, didattica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TRIESTE (TS)
OKIND short article
OSUBJECTS communication, didactics
Sono aperte fino al 30 settembre le iscrizioni al master biennale in
comunicazione della scienza istituito presso il Laboratorio
interdisciplinare della Scuola superiore studi avanzati di Trieste.
Tel. 040-378.74.62.
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Neuropsichiatri ad Alba
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE FERRERO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ALBA (CN)
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Il 26 e 27 settembre ad Alba, Fondazione Ferrero, Centro di
Riabilitazione Neurologica, via De Amicis 16, congresso nazionale:
«Nuovi farmaci per la neuropsichiatria dello sviluppo». Presidenti Di
Cagno e Bergamasco. Sabato 27, seminario sulla Gait Analysis
(valutazione del movimento umano). Segreteria Piera Cian:
011-661.23.33.
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Sicurezza domestica un concorso
OGENERE breve
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI UNI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
L'Ente italiano unificazione (Uni) lancia il 1o Concorso Internet su
«La sicurezza degli impianti domestici - Legge 46/90». Informazioni
allo 02- 70.10.59.92 e http://www.unicei.it/uni/sicurezza.
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Premiato Garattini
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica, premio, libri, medicina
ONOMI GARATTINI SILVIO, LA MORGIA MARIA
OORGANIZZAZIONI PREMIO PAVESE
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS didactics, prize, book, medicine
Silvio Garattini ha ricevuto uno speciale Premio Pavese per il libro
«La buona salute», scritto con la giornalista Maria R. La Morgia (ed.
Le Tracce, Pescara).
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. I DATI DELL'OMS
Allarme grande obesita'
Colpisce dagli Usa alla Micronesia
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, statistiche
OORGANIZZAZIONI OMS, OBESITY RESEARCH, ISTITUTO AUXOLOGICO ITALIANO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, statistical data
RECENTEMENTE l'Organizzazione mondiale della Sanita' (Oms) ha
lanciato l'allarme per la «grande obesita'», richiamando sul problema
l'attenzione dei servizi sanitari di tutti i Paesi che fanno
riferimento a questa struttura delle Nazioni Unite con sede a
Ginevra. L'espressione «grande obesita'» ha un preciso significato
tecnico: indica un sovrappeso superiore del sessanta per cento
rispetto al peso ideale (Indice di Massa Corporea di grado III). In
questi pazienti l'eccesso di peso puo' causare alterazioni anatomiche
e funzionali di vari organi e apparati. Le complicazioni che ne
derivano sono numerose: diabete, ipertensione, cardiopatia ischemica,
osteoartrosi (sovraccarico alle articolazioni portanti), aumentata
probabilita' di alcuni tipi di tumore. La «grande obesita'» si
accompagna spesso ad alterazioni respiratorie che possono andare da
una ridotta saturazione di ossigeno nel sangue durante le ore
notturne in assenza di sintomi, alla presenza di apnee durante il
sonno, alla cosiddetta sindrome di Pickwick (il termine trae origine
dal personaggio descritto da Charles Dickens) caratterizzata da
estrema facilita' ad addormentarsi per ridotta ventilazione
polmonare. Recenti dati pubblicati sulla rivista «Obesity Research»
rivelano che negli Stati Uniti piu' di un terzo della popolazione
adulta e un quarto degli adolescenti risulta affetto da obesita' e
come questa sia associata a una aumentata morbilita' e mortalita'
(trecentomila decessi all'anno!) e come il costo complessivo possa
essere stimato intorno ai cento miliardi di dollari. Non bisogna
credere che l'obesita' sia un problema esclusivo dell'Occidente
industrializzato. Alcune indagini hanno rilevato che nell'isola di
Nauru, in Micronesia, il sovrappeso di grado 2 riguarda il 70 per
cento delle donne e il 65 per cento degli uomini. Nelle donne
congolesi il sovrappeso tocca il 12 per cento, nel Ghana il 17, nel
Mali il 6, in Cina il 7,2. Nell'America del Sud e nei Caraibi la
situazione e' paragonabile a quella europea: Brasile 25 per cento,
Cuba 26, Peru' 25. Per ridurre il sovrappeso esistono vari
trattamenti, che corrispondono a diversi modi di affrontare il
problema. I nutrizionisti danno importanza essenzialmente alla dieta.
Gli psicologi tendono a modificare il comportamento alimentare. I
farmacologi prescrivono farmaci per ridurre l'appetito e
l'assorbimento dei principi nutritivi, stimolare il metabolismo. Nei
casi estremi i chirurghi propongono il bendaggio gastrico o il
bisturi per ridurre il volume gastrico. I centri salutistici
raccomandano l'attivita' fisica e le apparecchiature ginniche. In un
convegno organizzato recentemente dall'Istituto Auxologico Italiano
(Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico con sede a
Piancavallo) e' emerso che, per curare i grandi obesi, e'
indispensabile un trattamento multidisciplinare protratto nel tempo,
affinche' sia possibile ridurre le recidive. La grande obesita'
infatti impone problemi diversi rispetto all'obesita' media perche'
offre resistenza alle comuni terapie e gli obiettivi finali sono
diversi. Nel soggetto con sovrappeso moderato, una riduzione del
dieci per cento del peso corporeo comporta, nella maggioranza dei
casi, la normalizzazione di patologie e rischi associati. Nella
grande obesita', per il conseguimento degli stessi risultati, la
perdita di peso deve essere piu' elevata (almeno il trenta per cento
del sovrappeso) e il mantenimento del calo di peso e' fortemente
limitato. Considerando l'alto costo assistenziale di questa patologia
(sono in aumento gli adolescenti obesi) diventano necessari maggiori
investimenti per la ricerca. Per ora si e' accertato solamente il
fattore genetico, ma non e' determinante. Sono certamente coinvolti i
fattori ambientali, come l'elevato consumo di grassi, la ridotta
attivita' fisica e le ricorrenti oscillazioni di peso provocate da
regimi dimagranti squilibrati. Renzo Pellati
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. VACCINAZIONI
Cerotti transdermici a ultrasuoni
E per il Terzo Mondo vaccini al gusto di banana
OAUTORE FURESI MARIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, farmaceutica
ONOMI LANGHER ROBERT
OORGANIZZAZIONI MIT, OMS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
AGLI inizi degli Anni 70 la ricerca farmaceutica si assunse l'impegno
di trovare nuove e migliori vie per la somministrazione dei farmaci
al fine di renderla piu' economica, piu' sicura, piu' semplice oltre
che piu' efficace e del tutto indolore. La prima nuova forma di
assunzione ebbe come veicolo il cerotto transdermico programmabile.
Nei confronti delle tradizionali forme di assunzione i cerotti
adesivi assicurano parecchi ventaggi tra i quali l'assenza
dell'«effetto urto» provocato dalle iniezioni endovenose; la cessata
necessita' dell'operatore specializzato richiesto da tutte le
iniezioni in genere e la possibilita' di risparmiare al paziente,
specie se trattasi di un bambino, la sofferenza psicofisica da esse
provocata. Non minori i vantaggi che i cerotti transdermici offrono
nei confronti della via orale, e tra di essi bastera' citare la
possibilita' di evitare le perdite di potenzialita' curative che
subiscono pillole e affini nell'attraversare l'ambiente acido dello
stomaco e nel venire a contatto con le secrezioni del fegato che
agiscono sulla loro struttura chimica prima che il farmaco giunga al
punto di utilizzo, tramite il sistema sanguigno. Naturalmente anche i
cerotti transdermici non mancano di aspetti negativi, ma veramente di
rilievo vi e' solo la resistenza che la pelle e, in particolare, lo
strato corneo oppongono al transito del farmaco. Il problema e' pero'
gia' risolto ricorrendo all'energia elettrica con impulsi rapidi,
frequenti e di cosi' bassa potenza da passare inavvertiti. Per i
farmaci composti da macromolecole, quali il Dna e le proteine, e'
stato inventato un sistema a ultrasuoni che garantisce una «spinta»
piu' potente, aumentando di migliaia di volte la capacita' di
penetrazione del farmaco. Il primo farmaco a venir somministrato per
via transdermica fu, nel 1981, la scopolamina efficace contro la
kinetosi (mal di mare, mal d'auto, mal d'aria e simili); dopo la
ripresa delle ricerche, i migliori risultati sono stati ottenuti con
l'interferone gamma, che potenzia le capacita' di difesa
dell'organismo, e con l'eritropoietina efficace nella cura
dell'anemia. A ottenerli e' stato un ricercatore del Mit
(Massachussetts Institute of Technology), Robert Langher, che nel '95
ha sperimentato i cerotti transdermici contenenti i tre farmaci
succitati impiegando gli ultrasuoni aventi la frequenza di 20 mila
Hertz. Diverse altre tecniche sono state sperimentate in questi
ultimi anni per rendere piu' semplice e gradita l'assunzione dei
farmaci. Tra di esse spiccano quelle imperniate sulle biotecnologie
e, in particolare, sulle piante transgeniche nelle quali il
patrimonio genetico viene modificato dall'ingegneria genetica
facendolo diventare un ottimo veicolo per l'assunzione dei farmaci e
soprattutto dei vaccini. La ricerca biotecnologica si e' molto
intensificata in questo ultimo quinquennio dopo che l'Oms
(Organizzazione mondiale della sanita') ha lanciato il programma
«Children Vaccine Iniziative», diretto a salvare, con la
vaccinazione, i due milioni di bimbi dei Paesi del Terzo Mondo che
ogni anno muoiono di malattia infettiva. Tra i primi a rispondere
all'appello delle Nazioni Unite e' stato il Centro di ricerca
dell'A.M. Texas University puntando a un vaccino economico, a
immediata portata delle popolazioni in via di sviluppo e senza alcun
problema per l'assunzione: le piante transgeniche. Il primo programma
conclusosi con successo riguardava la pianta del tabacco, nel cui Dna
e' stato inserito l'antigene del virus dell'epatite B, stimolante la
produzione degli anticorpi immunizzanti. Purtroppo la vaccinazione
non era praticabile a causa della tossicita' della pianta. Il
successivo passo avanti e' stato compiuto con la patata transgenica
utilizzabile in campo veterinario ma che in campo medico e'
difficilmente accettabile dato lo sgradevole sapore della patata
quando e' cruda e la perdita della capacita' immunizzante quando e'
cotta. E' ora in arrivo la soluzione ideale del problema con il
ricorso alla pianta di banana transgenica che mantiene intatto il
sapore. Dopo gli ottimi risultati ottenuti sugli animali superiori
procede ora positivamente il collaudo sull'uomo. Si avvia quindi a
soluzione il problema sanitario del Terzo Mondo, che puo' solo in
piccola misura oggi salvare i propri bambini dalle mortali malattie
infettive, a causa delle difficolta' di vaccinarli con i tradizionali
sistemi. I due milioni di bambini che ogni anno muoiono di malattia
infettiva d'ora in poi potranno essere salvati grazie al vaccino alla
banana. Mario Furesi
ODATA 10/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. MULTIMEDIA
Tutto il corpo umano in un cd-rom didattico
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI didattica, elettronica, medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI GIUNTI MULTIMEDIA
OLUOGHI ITALIA
ONOTE «Il corpo umano»
OSUBJECTS didactics, electronics, medicine and physiology
FORSE qualche medico di famiglia potrebbe utilizzarlo per aiutare i
propri pazienti a capire la diagnosi. C'e' un affaticamento del
fegato? Anziche' tanti paroloni ostici alla maggior parte di noi, un
paio di clic per visualizzare sullo schermo un disegno del fegato e
dare il via a una animazione che ne spiega il funzionamento e
l'interazione con altri organi. Stiamo parlando del cd-rom «Il corpo
umano» (Giunti Multimedia, 99 mila lire), che offre immagini
veramente chiare (spettacolari le fotografie) e un commento sonoro
dal linguaggio accessibile a tutti. Ottimi i link tra i vari
argomenti, che aiutano, tra l'altro, a scoprire la complessita' del
nostro corpo, mentre qualche video e' un po' datato (comunque
efficace). Interessante per la scuola o lo studio a casa, la
possibilita' di ascoltare e leggere le informazioni in 5 diverse
lingue (italiano, inglese, francese, spagnolo e tedesco). Un prodotto
analogo e' il «Grande atlante del corpo umano» (Dorling
Kindersley-Rizzoli, 119 mila lire), denso di 700 schermate, oltre
1000 illustrazioni, un centinaio di animazioni e 45 minuti di
commento sonoro. Se non si punta subito a una ricerca precisa tra i
90 mila termini, e' possibile scegliere un percorso guidato per una
prima ricognizione sulla struttura del corpo umano e il funzionamento
di organi e apparati interni. Per le sue caratteristiche grafiche e
per il linguaggio (sempre di buon livello scientifico, ma piu'
ammiccante), e' un cd-rom ottimo per i ragazzi e particolarmente
consono all'uso didattico nelle elementari e nelle medie. Semplice da
usare, disponendo di una stampante a colori e' possibile trarre
schemi e disegni. Andrea Vico
ODATA 19/03/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. METEOROLOGIA
Il 23 marzo «giornata» del clima
OAUTORE MERCALLI LUCA
OARGOMENTI meteorologia
OORGANIZZAZIONI OMM ORGANIZZAZIONE METEOROLOGICA MONDIALE, SOCIETA' ITALIANA
DI
METEOROLOGIA APPLICATA
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA; EUROPA, ITALIA, ROMA
ONOTE «Giornata Meteorologiaca Mondiale»
OSUBJECTS meteorology
FRA tante ricorrenze e celebrazioni, ne esiste anche una dedicata
alla meteorologia. E' la «Giornata Meteorologica Mondiale», che viene
celebrata ogni anno il 23 di marzo per ricordare l'entrata in vigore
della Convenzione dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale,
approvata nel 1950. Domenica prossima, quindi, la scienza del tempo e
del clima vivra' la sua «giornata». L'Organizzazione meteorologica
mondiale (Omm) e' una agenzia speciale delle Nazioni Unite, con sede
a Ginevra, in uno dei tanti palazzi di vetro sulle rive del lago
Lemano. Svolge un ruolo di primo piano, in quanto garantisce il
funzionamento della complessa e capillare rete di scambio dei dati
meteorologici che ogni tre ore fluiscono nel Global
Telecommunications System, una sorta di sistema nervoso che consente
ad oltre 170 nazioni (pressoche' la totalita' di quelle esistenti) di
disporre delle previsioni meteorologiche. Quasi cinquant'anni di
lavoro scientifico e di piena operativita' fanno dell'Organizzazione
Meteorologica Mondiale un eccezionale esempio di stabilita' e
coesione che supera ogni tipo di barriera politica, nella
consapevolezza che il fluido atmosferico puo' essere controllato e
compreso solo con un grande, unico sforzo congiunto. E poi c'e' il
supporto alla didattica, la formulazione delle normative, il
coordinamento dei programmi internazionali di ricerca sul clima, il
sostegno ai Paesi in via di sviluppo... Vale la pena fare un viaggio
nelle pagine Internet (http://www.wmo.ch), per scoprire quanto e'
vasto e poliedrico questo settore in costante evoluzione. Tornando
alla Giornata Meteorologica Mondiale, ogni anno le si associa un
tema. Quello del 1997 e' «Meteorologia e risorse idriche nelle zone
urbane». Un argomento quanto mai attuale, visto l'enorme impatto che
il rapido tasso di crescita della popolazione urbana sta producendo
sull'ambiente e sull'uso delle risorse naturali. Pochi numeri a
conferma di cio': nel 1950 la popolazione mondiale ammontava a 2,5
miliardi di persone, dei quali un terzo localizzate nelle citta';
entro il 2000, oltre la meta' della popolazione prevista, pari a 6,2
miliardi di persone, vivra' in grandi agglomerati urbani. L'alta
densita' di popolazione espone dunque le citta' a un rischio
amplificato nei confronti dei disastri naturali, della cui totalita'
il 70 per cento deriva da eventi meteorologici estremi. La presenza
degli edifici, l'impermeabilizzazione delle superfici e il forte
consumo di energia creano inoltre un particolare clima urbano, a
volte molto differente dalle zone rurali adiacenti. La temperatura e'
generalmente piu' elevata (effetto «isola di calore», i temporali
piu' intensi, la circolazione del vento disturbata, l'accumulo degli
inquinanti favorito, tutti aspetti che interagiscono con i consumi
energetici, il benessere, la salute e la sicurezza degli abitanti. Il
clima urbano, sebbene artificialmente modificato, diviene di giorno
in giorno piu' importante in quanto influenza direttamente la vita e
l'economia della maggior parte degli abitanti della Terra. In linea
con questa riflessione, due giorni dopo la data ufficiale della
ricorrenza Omm, si terra' a Roma l'incontro «Meteorologia ed Aree
Metropolitane», voluto dal Dipartimento di Fisica dell'Universita'
«La Sapienza» di Roma, dalla Societa' Italiana di Meteorologia
Applicata e dalla Societa' Meteorologica Subalpina. Sara' un momento
importante per fare il punto su alcuni aspetti dell'atmosfera che
circonda le nostre grandi citta', Roma, Milano, Torino, Venezia, solo
per citarne alcune, e fornire elementi quantitativi che non
dovrebbero essere trascurati dagli amministratori locali. Luca
Mercalli Direttore di Nimbus
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. INDOCINA
Le dighe sul Mekong
Ciclopici progetti per il 2010
OAUTORE MORETTI MARCO
OARGOMENTI ecologia, tecnologia
OORGANIZZAZIONI ASIAN DEVELOPEMENT BANK
OLUOGHI ESTERO, ASIA, CINA
OTABELLE C. Il percorso del fiume Mekong
OSUBJECTS ecology, technology
IL Mekong, «il fiume piu' bello e selvaggio» della Terra secondo
Marguerite Duras, sta per essere ridisegnato in un ciclopico progetto
di sviluppo incentrato su comunicazioni e produzione di energia
elettrica. Dalla sua sorgente sulle montagne dell'Himalaya tibetano
fino al delta vietnamita nel Mar Cinese Meridionale, il Mekong scorre
lentamente per 4500 chilometri attraverso sei Paesi in cui vivono 230
milioni di abitanti. Cina, Birmania, Laos, Vietnam, Cambogia e
Thailandia concorrono a una conferenza interstatale di cooperazione
per lo sviluppo della regione del Mekong. Il piano, articolato in
oltre cento «progetti prioritari» per un budget complessivo di 40
miliardi di dollari, prevede la costruzione entro il 2010 di quindici
dighe - con relative centrali idroelettriche - sul Mekong e sui suoi
affluenti solo nella provincia cinese dello Yunnan. Una strada
asfaltata servira' l'asse Bangkok-Phnom Penh-Ho Chi Minh (la vecchia
Saigon). L'asfalto coprira' anche 34 piste al crocevia tra Laos,
Thailandia e Yunnan: la regione piu' incontaminata dell'Indocina dove
vivono alcune delle ultime etnie tribali. Una linea ferroviaria
colleghera' Kunming, il capoluogo dello Yunnan, a Bangkok e Singapore
attraverso il Laos. E' gia' in costruzione il primo tratto dalla
frontiera thailandese a Vientiane. Con sbarramenti e dragaggi il
Mekong sara' reso navigabile dallo Yunnan al delta. L'intera regione
sara' inclusa in un'unica rete telefonica e telematica a fibre
ottiche. E la costruzione di aeroporti e alberghi di lusso
trasformera' il bacino del Mekong in un nuovo polo turistico
incentrato sulle spettacolari citta' dei templi: Pagan in Birmania,
Luang Phabang in Laos, Angkor Wat in Cambogia e Lijiang in Yunnan. Un
piano che dovrebbe sollevare le diseredate economie di Birmania,
Laos, Cambogia e Vietnam: Paesi poveri con infrastrutture rudimentali
e gran parte della popolazione con un'economia di sussistenza. Paesi
provati da guerre e dittature che oggi avanzano legittime aspirazioni
di sviluppo. I primi dubbi sul progetto vengono pero' proprio da
questi Paesi. Mentre lo sviluppo della regione del Mekong e'
sostenuto a spada tratta da Cina, teatro da tempo di una crescita del
10 per cento annuo, Thailandia, in pieno boom economico, Giappone e
Singapore, soggetti finanziari del progetto. A preoccupare e'
soprattutto l'impatto delle dighe sull'ecosistema del fiume. Gli
sbarramenti in Yunnan darebbero garanzie energetiche alla Cina ma -
insieme a quelli in Laos - avrebbero il principale scopo di
alimentare lo straordinario boom della Thailandia che consuma i due
terzi dell'energia della regione. La principale diga costruita in
Yunnan creerebbe un bacino capace d'imprigionare per 6 mesi il 20 per
cento delle acque del fiume, che ha un fluire approssimativo annuo di
500 miliardi di metri cubi d'acqua. La Cina garantisce che l'impianto
regolera' il corso del fiume, ma la possibilita' continua a
inquietare i Paesi a valle. Il minor flusso del Mekong aumenterebbe
le infiltrazioni di acqua salina nella regione del delta mettendo in
pericolo le risaie del «granaio» del Vietnam, oltre alla fauna
lacustre. L'abbassamento delle acque rischia di vanificare la pesca
nel lago di Tonli Sap in Cambogia. E il progetto in Laos di una mega
diga (la Nam Theum 2) sull'altopiano del Nakai, capace di 1500
megawatt (10 volte l'attuale produzione del Paese), prevede
l'allagamento di meta' di un altopiano oggi coperto di foresta
pluviale e popolato da specie animali in pericolo d'estinzione come
la tigre, l'orso e l'antilope muntjat. Senza contare i danni arrecati
a popolazioni tribali come i Meo, i Soh, i Luan, i Thai Bor e i
Kaleung che abitano da secoli le regioni tra il Laos e lo Yunnan:
spostando altrove i loro villaggi smarrirebbero per sempre parte
delle loro culture. Considerazioni ambientali che hanno sollevato le
proteste delle organizzazioni ecologiste internazionali e hanno
rimesso in discussione il finanziamento della Banca Mondiale a una
parte del progetto. La costruzione delle dighe ha sponsor chiari come
la Cina e la Thailandia finanziate dall'Asian Development Bank,
grazie all'immediato ritorno dell'operazione in due Paesi in piena
crescita. Un oleodotto tra la Birmania e la Thailandia e' gia' stato
pagato dalle compagnie petrolifere. Lo sviluppo del trasporto aereo
sara' opera della Thai: principale vettore della regione. E quello
delle strutture alberghiere dalle multinazionali del settore. E'
invece molto meno chiaro chi paghera' per realizzare le opere
stradali, ferroviarie e per rendere navigabile il fiume: interventi
costosissimi che permetterebbero pero' la creazione di una futura
rete di distribuzione commerciale. In prima fila ci sono le
megafinanziarie giapponesi, interessate domani a collocare i loro
prodotti sul nuovo mercato del Mekong e gia' oggi a trovare nuove
fonti per placare l'insaziabile domanda di legno di Tokyo. In tutto
il Sud-Est Asiatico l'industria nipponica del legname ha disboscato
all'impazzata: nelle isole Filippine le foreste sono state ridotte
dal 60 al 10 per cento del territorio. In Vietnam sono diminuite dal
43 al 27 per cento (un calo per meta' dovuto alla guerra chimica), ma
Laos, Cambogia e Birmania sono ancora in buona parte coperte da
foreste vergini. Un'ottima - quanto preoccupante - ragione per
modernizzare la loro rete di trasporti. Marco Moretti
ODATA 02/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. I PATRIMONI DELL'UNESCO
I tesori dell'umanita'
Oltre 500 siti protetti in piu' di cento Paesi
OAUTORE GIULIANO WALTER
OARGOMENTI ecologia, geografia e geofisica
OORGANIZZAZIONI UNESCO
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE T.
OSUBJECTS ecology, geography and geophisics
COMPIE 25 anni l'impegno dell'Unesco - l'organizzazione delle Nazioni
Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura - nel campo della
conservazione del patrimonio mondiale. Natura, storia, cultura.
L'eredita' lasciata dall'uomo nel corso della sua avventura sul
pianeta e l'ambiente nel quale essa si e' potuta sviluppare va
tutelata, preservata per il futuro. Il patrimonio mondiale
dell'umanita' e' sotto controllo speciale dal momento in cui, nel
novembre 1972, a Nairobi, fu adottata la Convenzione per la
protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale. A occuparsi
del vasto progetto di inventario di questi beni e' stata chiamata
l'Unesco. Un impegno al tempo stesso materiale e spirituale, di
grande delicatezza, con l'obiettivo di fare dell'intera umanita' non
solo l'erede ma anche la custode del patrimonio ambientale e
monumentale del pianeta. La lista del «patrimonio mondiale» e' ricca
di 506 beni, suddivisi in 380 siti culturali, 107 naturali e 19 siti
misti, situati in 107 Paesi. Si e' appena arricchita di 37 nuove
ammissioni decise, come ogni anno, da una speciale commissione
riunita a Merida (Messico) nel 1996. Si tratta di uno scrigno di
bellezze naturali, artistiche, architettoniche, paesaggistiche,
monumentali che rappresentano un capitale insostituibile, spesso
indispensabile al mantenimento stesso della vita sul pianeta. E che
nonostante cio' e' minacciato quotidianamente dall'azione
irresponsabile degli uomini che troppo poco fanno per tutelarlo,
difenderlo dall'azione distruttiva delle guerre, da quella non meno
preoccupante del crescente inquinamento, oppure dell'urbanizzazione
accelerata e del turismo di massa. L'idea fondante dell'Unesco e' che
questo patrimonio travalica l'interesse e le competenze dello Stato
sul cui territorio si trova l'opera da tutelare, per diventare
competenza dell'intera umanita'. Dunque la conservazione e la
valorizzazione di questo patrimonio comune richiede l'attiva
cooperazione internazionale e i singoli stati sono incoraggiati e
sostenuti sul piano legislativo, tecnico, finanziario e
amministrativo dalle iniziative dell'Unesco. Uno specifico comitato,
costituito da una ventina di rappresentanti degli oltre 140 Stati che
hanno ratificato la convenzione, valuta annualmente i beni candidati
a essere iscritti nella lista e proposti dai singoli Stati che
contestualmente impegnano in primo luogo se stessi nella salvaguardia
del sito. Se questo sara' accolto nella lista potra' inoltre contare
sull'aiuto dello specifico fondo istituito dalla convenzione e
mantenuto grazie ai contributi degli Stati membri e a donazioni di
privati e istituzioni che consentono di fornire supporti materiali,
tecnici o in materia di formazione professionale per personale
specializzato. I beni inseriti in questa «mappa delle meraviglie»
comprendono, per quanto riguarda la sezione cultura, i monumenti
propriamente detti, dalle opere di architettura, pittura e scultura,
ai reperti archeologici, alle incisioni rupestri, agli insiemi di
edifici e, dal 1993, anche i cosiddetti «paesaggi culturali». La voce
«patrimonio naturale» raccoglie invece i monumenti naturali
costituiti da formazioni fisiche e biologiche o loro raggruppamenti,
significativi sotto l'aspetto estetico o scientifico, le formazioni
geologiche e fisiografiche, nonche' le zone che rappresentano gli
habitat di specie animali e vegetali minacciate che abbiano valore
scientifico o per la conservazione. Per entrambe le grandi categorie
e' inoltre indispensabile il carattere di valore universale
eccezionale. Questo e' stato definito, nell'ambito degli orientamenti
operativi della convenzione messi a punto per valutare il patrimonio
mondiale, ricorrendo a specifici criteri. Perche' un sito possa
essere inserito nella lista del patrimonio mondiale, e accedere al
fondo internazionale di intervento, dovra' rispondere ad almeno uno
dei criteri. Per i beni culturali sono sei: 1) rappresentare un
risultato artistico o estetico unico: 2) aver esercitato un'influenza
notevole sugli sviluppi successivi nel campo dell'architettura o
delle arti; 3) essere la testimonianza eccezionale di una tradizione
o di una cultura; 4) figurare tra gli esempi piu' caratteristici di
un tipo di struttura; 5) rappresentare un esempio eccezionale di un
insediamento tradizionale; 6) essere associato con eventi o con
tradizioni di importanza universale fuori della norma. Le direttive
specificano inoltre che il sito deve qualificarsi per la sua
autenticita' e carattere originale in rapporto alla o alle culture di
cui e' espressione e deve essere autentico nella sua forma, nei
materiali, nelle tecniche di lavorazione in relazione al suo
contesto. I criteri per la selezione dei beni naturali sono quattro:
1) essere esempi rappresentativi dei grandi stadi della storia della
Terra, comprese le testimonianze della vita, dei processi geologici
in corso nello sviluppo delle forme terrestri o elementi geomorfici o
fisiografici di grande significato; 2) essere rappresentativi dei
processi ecologici e biologici in corso durante l'evoluzione e lo
sviluppo degli ecosistemi e delle comunita' di piante e animali
terrestri, acquatiche, costiere o marine; 3) rappresentare fenomeni
naturali o aree di una bellezza naturale e di una importanza estetica
eccezionale; 4) contenere gli habitat naturali piu' rappresentativi e
importanti ai fini della conservazione in sito della diversita'
biologica, ivi compresi quelli in cui sopravvivono specie minacciate
di grande importanza per la scienza o la conservazione. Vedremo
prossimamente, in dettaglio, alcuni esempi rappresentativi di questi
tesori dell'umanita'. Nel disegno sono segnati solo alcuni dei tanti
luoghi protetti in Europa. Ricordiamo che in Italia i siti sotto
l'egida Unesco sono solo sette: le incisioni rupestri in val
Camonica, Santa Maria delle Grazie a Firenze e il centro storico,
Venezia, piazza del Duomo a Pisa, e i centri storici di Roma e di San
Geminiano in Toscana. Tra i posti piu' famosi in elenco e segnati
sulla cartina: i menhir di Stonehenge in Gran Bretagna; Mont St.
Michel e le cattedrali gotiche di Amiens e Chartres (Francia); le
grotte di Altamira e la cattedrale di Burgos (Spagna), i centri
storici di Varsavia e Cracovia (Polonia), la citta' di Budapest; la
Medina di Tunisi e l'anfiteatro romano di El Djem (Tunisia); i parchi
naturali del Tassili N'Ajer e l'oasi di Tadrart (Sahata algerino). Le
rovine romane di Cirene in Libia; il Monte Athos, Delfo ed Epidauro
(Grecia), la citta' vecchia di Istambul. Walter Giuliano
ODATA 09/04/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. ENERGIA
La memoria del pendolo e il caos
OAUTORE BEDARIDA FEDERICO
OARGOMENTI energia
ONOMI DAVIES PAUL, SILARI MARCO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS energy
GLI storici distingueranno tre livelli d'indagine nello studio della
materia: il primo e' rappresentato dalla meccanica newtoniana, il
trionfo della necessita'; il secondo e' costituito dall'equilibrio
termodinamico, il trionfo della probabilita'. Ora vi e' un terzo
livello che emerge dallo studio dei sistemi lontani dall'equilibrio.
Cosi' scrive Paul Davies nel suo libro «Il cosmo intelligente» nella
traduzione di Marco Silari, editore Mondadori. Prigogine e altri
chiamano questi sistemi strutture dissipative. I sistemi dissipativi
sono quelli in cui un'energia nobile (meccanica, elettrica, chimica)
si trasforma in calore (energia degradata) e che riforniti nel tempo
di energia nobile secondo una qualche legge possono a un certo punto
assumere comportamenti caotici, a prima vista imprevedibili. Si e'
cominciato in questi casi a fare uso della parola caotico (caos
deterministico) in contrapposizione alla parola aleatorio, che
definisce un comportamento disordinato puramente casuale. Nascono in
questo modo le sfumature di gergo proprie della fisica, a cui i
dizionari non fanno a tempo ad adeguarsi, e che costituiscono il
cruccio degli insegnanti di italiano, qualche volta sollecitandone
l'ironia. Il pendolo reale puo' essere un esempio relativamente
semplice di struttura dissipativa. Ce ne sono altre estremamente
complesse, come il tempo meteorologico, e proprio perche' troppo
complesse lasciamole perdere. Esistono tanti tipi di pendolo. Nel
caso piu' elementare il pendolo semplice e' costituito da un corpo di
piccole dimensioni, sospeso all'estremita' di un filo, la cui massa
deve essere trascurabile per non complicare il sistema dinamico. La
lunghezza del filo deve rimanere rigorosamente costante. Questo
pendolo ideale, isolato e senza attrito, una volta messo in moto
continuera' a oscillare senza fine. Se mentre oscilla gli si da' un
impulso, il pendolo si muovera' secondo un nuovo schema di moto, che
continuera' a mantenere anche in seguito. Il pendolo conserva per
sempre memoria del disturbo subito. Il periodo del pendolo, definito
come il tempo necessario a fare un'oscillazione completa, e'
direttamente proporzionale alla radice quadrata della lunghezza del
filo e inversamente proporzionale alla radice quadrata delle gravita'
del luogo dove l'oscillazione avviene. Questo vuol dire che piu'
lungo e' il pendolo, piu' lungo e' il tempo per fare un'oscillazione
completa; e vuol anche dire che se l'attrazione di gravita' varia, il
periodo di oscillazione varia in modo inverso. Su un'astronave,
l'attrazione di gravita' g diventa piccola, perche' in gran parte
compensata dalla forza centrifuga. Un astronauta che facesse
oscillare il pendolo in quelle condizioni, lo vedrebbe oscillare
molto lentamente, con un periodo lunghissimo. Poiche' la relazione
tra il periodo e g dipende nella formula dall'inverso della radice
quadrata, la gravita' ridotta a 1/10.000 di g, come nelle normali
astronavi, fara' aumentare di 100 volte il periodo di oscillazione
(100 e' l'inverso della radice quadrata di 1/10.000). Di conseguenza,
un pendolo che sulla Terra abbia un periodo di un minuto, sullo
Shuttle fara' un'oscillazione in un'ora e 40. Naturalmente un
astronauta che perdesse tempo a fare un esperimento di questo genere
rischierebbe di essere licenziato subito: abbiamo soltanto fatto un
esempio per definire il pendolo ideale. Ma il pendolo reale e' una
cosa diversa dal pendolo ideale, perche' siamo in presenza
dell'attrito, che consuma energia producendo calore (energia
degradata). Qualunque sia il suo moto iniziale, se non intervengono
forze dall'esterno, il pendolo reale pian piano si ferma. Il pendolo
ha perso memoria della sua vita passata. Se invece, dall'esterno,
viene sollecitato da forze, per esempio di tipo meccanico (energia
nobile), puo' diventare in certe condizioni un sistema totalmente
disordinato, che non ha piu' niente a che vedere con l'ordine ritmico
che di solito gli e' proprio. Il pendolo e' diventato un sistema
caotico. Federico Bedarida Universita' di Genova
ODATA 16/04/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. BIOLOGIA MOLECOLARE
Nuove cure dell'angiogenesi
Cuore: le ricerche sulla circolazione collaterale
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, biologia
ONOMI LEVI MONTALCINI RITA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, biology
IN caso di grave diminuzione dell'afflusso di sangue in un organo,
per esempio nel miocardio (la parte muscolare del cuore), esiste la
possibilita' che per reazione nasca una circolazione collaterale,
ossia una nuova rete di vasi sanguigni, compensante almeno in parte
il deficit. A proposito dello sviluppo di questo tipo di circolazione
si parla di «angiogenesi», generazione di vasi (dal greco angeion,
vaso). L'angiogenesi ha inizio dall'endotelio, la membrana sottile
che riveste internamente i vasi sanguigni: le cellule endoteliali
migrano dai vasi esistenti verso la zona priva di sangue e vanno a
formare nuovi vasi sanguigni. Oggi sappiamo che l'angiogenesi dipende
da fattori di crescita, Growth Factors, il primo dei quali, Nerve
Growth Factor (fattore di crescita nervosa), fu scoperto nel 1952 da
Rita Levi Montalcini, premiata col Nobel. Attualmente si conoscono
oltre una cinquantina di fattori di crescita, proteine aventi la
proprieta' di stimolare la moltiplicazione e la differenziazione di
determinate cellule. Per ogni tipo di cellula esistono uno o piu'
fattori di crescita. Nel caso dei vasi sanguigni i principali sono
indicati con le sigle bFGF e VEGF. Le tecniche di biologia molecolare
hanno reso possibile la produzione di fattori di crescita in
laboratorio. Per esempio il gene che codifica VEGF, una volta
clonato, puo' essere inserito nel genoma d'un batterio, Esterichia
coli, il quale si mettera' a produrre VEGF in grande quantita'. A
questo punto il fattore di crescita diviene potenzialmente
utilizzabile come agente terapeutico. Vi e' ormai un'abbondante
bibliografia sulla somministrazione dei fattori di crescita
dell'angiogenesi. In parecchie specie animali quali topi, conigli,
cani, suini, si e' osservato con tale somministrazione un aumento del
numero dei vasi sanguigni supplenti. In alternativa, essendo molto
breve la vita dei fattori di crescita somministrati per via
endovenosa, si puo' ricorrere alla somministrazione dei geni che li
codificano, realizzando cosi' una terapia genica. Ma ormai si ha gia'
qualcosa di piu' delle esperienze animali. Uno studio clinico sullo
sviluppo della circolazione collaterale mediante trasferimento del
gene di VEGF nella parete delle arterie ha avuto inizio negli Usa nel
dicembre del 1994, e i risultati nei primi pazienti sono stati
riferiti da J. M. Isner, A. Pieczek, R. Schainfeld e altri su Lancet,
1996. Questo tipo di ricerche e' in via di sviluppo. Il punto
essenziale sara' la messa a punto di trattamenti selettivi favorenti
lo sviluppo della circolazione la' dove e' indicato (miocardio, arti
inferiori). Infine, accanto allo sviluppo della circolazione
collaterale, potrebbero sorgere altre applicazioni di questa
«angiogenesi terapeutica», per esempio nel decorso post-operatorio di
interventi sulle arterie. I fattori di crescita dei vasi sanguigni
stanno dunque per debuttare nell'uomo e dovrebbero avere un avvenire
di importanti applicazioni. Ulrico di Aichelburg
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Polidoro Massimo: «Misteri», ed. Eco, Varese
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS research
Che cosa c'e' di vero nella «maledizione» di Tutankhamen, nella
pericolosita' del Triangolo delle Bermude, nelle profezie di
Nostradamus, nel miracolo di San Gennaro, nel mostro di Loch Ness?
Poco, o meglio, niente, come e' facile immaginare. Ma e' tale la
speculazione su presunti «misteri» da parte di ciarlatani di vario
tipo, che e' bene non liquidare questi argomenti con un'alzata di
spalle e, anzi, documentarsi bene, in modo da disporre di argomenti
fondati a difesa della corretta informazione e di una sana
razionalita'.
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. EPATITE C
La difficile guerra dei linfociti contro i virus
Perche' spesso l'interferone non e' efficace nella terapia
OAUTORE PONZETTO ANTONIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Il fegato
OSUBJECTS medicine and physiology
IL virus dell'epatite C (Hcv) non uccide le cellule del fegato quando
le infetta in laboratorio; al contrario, le fa lavorare di buona lena
per tutti i suoi fabbisogni. Ecco la buona notizia - tutta italiana -
comunicata da Guido Carloni del Cnr di Roma. Come e' possibile,
allora, che ci siano pazienti infettati dell'Hcv con malattie, anche
gravi, del fegato? La spiegazione e' nel nostro sistema immunitario,
che ha come scopo la eliminazione delle cellule occupate dai
«nemici», cioe' da batteri e virus. I virus sono organismi
incompleti: non hanno la capacita' di sopravvivere senza una cellula
vivente che fornisca loro il necessario. Percio' hanno solo due
scelte, per sopravvivere: 1) non far del male alle cellule che li
mantengono; 2) replicarsi cosi' in fretta da poter invadere sempre
nuove cellule, appena uccisa quella che stavano usando. Il virus Hcv
si moltiplica adagio, e si trova in piccole quantita' nelle cellule
del fegato infettate; qui si comporta come un invasore che riduce in
schiavitu' gli abitanti della citta' conquistata. Ecco dove
interviene il sistema di sicurezza dell'organismo (il sistema
immunitario), sempre all'erta, sempre alla ricerca di possibili
nemici per mezzo dei linfociti (un gruppo scelto di globuli bianchi)
che pattugliano l'organismo giorno e notte, alla ricerca di indizi
che possano far scoprire gli alieni. Gli indizi sono quelle parti del
virus che fanno capolino sulla superficie delle cellule infettate.
Appena avvistato il nemico, i linfociti di pattuglia comunicano con
la centrale operativa - la milza e il midollo osseo - che invia
squadre di agenti specializzati nell'assalto e nella distruzione del
bersaglio: i linfociti killer. Ed ecco il danno al fegato. Il nostro
organismo cerca di liberarci dal virus invasore, ma puo' farlo solo
uccidendo anche le vittime innocenti, cioe' le cellule del fegato. La
loro morte non causa tuttavia conseguenze gravi, li' per li', per tre
motivi: 1) nel fegato abbiamo 300 e piu' miliardi di cellule, mentre
50 miliardi sono sufficienti a far tutto il lavoro necessario; 2)
ogni cellula morta e' sostituita rapidamente da una nuova cellula; 3)
solo poche cellule sono uccise ogni giorno, per colpa del virus C. E
allora - torniamo a domandarci - perche' ci sono pazienti ammalati
gravemente? In primo luogo, quanto e' vero che sia frequente una
malattia grave? Leonard Seeff, in uno studio sui militari americani,
ha osservato che soggetti infettati da Hcv, e dunque con epatite C,
avevano una sopravvivenza, dopo 18 anni dalla infezione acuta,
superiore a quella dei compagni non infettati. La spiegazione del
mistero e' semplice: i soldati americani morivano piu' per infarto e
per cancro del polmone che non per cirrosi del fegato. E ancora, nel
1977 a Lipsia, in Germania, oltre 1500 giovani donne furono infettate
dal virus C con derivati del sangue: a 18 anni di distanza nessuna ha
la cirrosi, anche se quasi tutte sono ancora infettate, e una certa
percentuale ha una epatite cronica. Che l'infezione da virus Hcv
causi la cirrosi oppure no, sembra ancora una volta dipendere dal
sistema immunitario del paziente. Gianfranco Peano ci spiega come:
chi possiede l'antigene Dr5 del sistema di istocompatibilita' (quello
comunemente detto «dei trapianti») raramente si ammala in modo grave,
anche se ha contratto l'infezione da virus C. Per nostra fortuna il
Dr5 e' presente nel 42 per cento degli italiani. Il Dr5 fa parte dei
segnali che le cellule usano per far vedere i «nemici» ai linfociti
di pattuglia; si puo' pensare che il Dr5 sia un segnale troppo
debole, che i linfociti non lo vedano bene, quindi non avvertano la
centrale, che a sua volta non invia i killer. Ma se il riconoscimento
e' avvenuto, e i killer inviati? Non possono certo uccidere a
casaccio tutte le cellule che incontrano. Percio' anche i linfociti
d'assalto devono riconoscere gli antigeni di istocompatibilita', e
poi devono trovare dei «rampini d'arrembaggio» per potersi ancorare e
fermare proprio li'; se cosi' non fosse, continuerebbero a correre
per l'organismo, armati fino ai denti, senza aver trovato il nemico.
I nostri «rampini d'arrembaggio» si chiamano molecole di adesione; di
norma non ci sono sulla superficie delle cellule, proprio perche' la
loro presenza induce i killer a fermarsi ed uccidere. E' il sistema
immunitario - ancora lui - a regolare la comparsa di queste molecole
di adesione sulle cellule, cosa che fa per mezzo di segnalatori, fra
cui l'interferone. L'interferone e' un prezioso meccanismo di difesa,
prodotto dalle nostre stesse cellule in risposta all'invasione, allo
scopo di attivare i meccanismi cellulari di resistenza alle
infezioni. Tutte le cellule del corpo rispondono in massa al segnale,
e si attivano, pronte alla difesa con ogni mezzo. Ma se il nemico non
compare il sistema poi torna alle condizioni di partenza. Cosi',
quando diamo l'interferone dall'esterno con una iniezione, la
sostanza va ad avvertire ogni cellula dell'organismo, gridando «al
lupo! al lupo!» e attiva tutte le cellule, in ogni organo. Ma il
virus C e' solo nel fegato, e quando tutto il corpo si accorge di
essere stato ingannato, torna alle condizioni «normali», come la
gente torna a casa nella favola del pastorello bugiardo. Questa e'
una delle ragioni per cui l'interferone spesso non e' efficace nella
terapia dell'epatite da virus C, come invece si era sperato. Si
dovrebbe intervenire sui linfociti killer, o sulle molecole di
adesione, ma per ora non esistono farmaci capaci di far questo in
modo specifico. Antonio Ponzetto
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Scienza e fede mostra a Piacenza
OGENERE breve
OARGOMENTI storia della scienza
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS history of science
Al Collegio Alberoni di Piacenza si aprira' il 22 settembre la mostra
«Scienza e fede». Tra i documenti che presentera', le edizioni
originali di alcune opere di Galileo. Per informazioni e
prenotazioni: 0523-79.52.42.
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Ecologia alpina a La Thuile
OGENERE breve
OARGOMENTI ecologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS ecology
A La Thuile, in Valle d'Aosta, dal 6 all'11 settembre, si svolgera'
il 2o Congresso di ecologia e biogeografia alpine. Tra i temi,
glaciazioni, micorrize, insetti fitofagi, progetto flora.
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Stella variabile scoperta italiana
OGENERE breve
OAUTORE L_P
OARGOMENTI astronomia
ONOMI MASI GIANLUCA
OORGANIZZAZIONI OSSERVATORIO DI CAMPO CATINO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, FROSINONE (FR)
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy
Una nuova stella variabile e' stata scoperta, nella costellazione
della Volpetta, da Gianluca Masi, un giovane studioso
dell'Osservatorio di Campo Catino (Frosinone). La scoperta e'
avvenuta confrontando immagini ottenute il 31 dicembre '96 e il 9
luglio '97. Masi ha notato in quella del 1996 una stella che mostrava
una luminosita' decisamente superiore (magnitudine 13,5) rispetto
all'immagine piu' recente (circa 15). Nonostante il grande numero di
stelle presenti nella zona, il confronto delle immagini e' stato
possibile grazie a una particolare procedura computerizzata, il
«blinking», che consiste nel visualizzare sullo schermo del computer
le immagini da confrontare, attentamente sovrapposte. In questo modo
un'eventuale stella variabile, che nell'intervallo di tempo fra le
due riprese abbia subito un cambiamento di luminosita', viene vista
«lampeggiare», al contrario delle altre che appaiono fisse.
Individuata la variabile si e' proceduto a verificare se nella zona
esistevano oggetti gia' segnalati. Le verifiche sono iniziate dal
General Catalogue of Variable Stars, che riporta informazioni su 28
mila variabili: e' stato inviato un annuncio all'Aavso (American
Association of Variable Star Observers) e al Bureau dei Telegrammi
astronomici di Cambridge. In breve tempo, Brian Skiff, del Lowell
Observatory, confermava la scoperta. Questa e' stata annunciata
ufficialmente il 1o agosto e il 4 giungeva a Masi un messaggio di
congratulazione di Janet Mattei, direttrice dell'Aavso. (l. p.)
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. BIOLOGIA MOLECOLARE
Le anomalie dei cromosomi
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
UN bambino su 300 ha una malattia genetica dipendente da anomalie dei
cromosomi, che sono i filamenti presenti in numero di 46 nel nucleo
di ognuna delle cellule del nostro organismo, costituiti dal Dna
suddiviso a sua volta in un centinaio di migliaia di segmenti, i
cosiddetti geni. Una seconda categoria di patologie genetiche dipende
da alterazioni (mutazioni) di uno o piu' geni: di queste patologie
esistono alcune migliaia di manifestazioni, si ritiene che un
handicap su quattro derivi da tale causa, e a tutt'oggi si conosce
circa un decimo dei geni implicati. La diagnosi e la comprensione
fisiopatologica di numerose malattie, la causa delle quali era ancora
misteriosa pochi anni fa, sono divenute possibili grazie ai progressi
della genetica. Per cio' che riguarda i cromosomi, alle tecniche
classiche di esame se ne sono ora aggiunte altre che permettono una
analisi piu' precisa e piu' risolutiva delle lesioni cromosomiche.
Quanto ai geni, l'esplosivo sviluppo delle tecniche di studio del
Dna, ossia la cosiddetta biologia molecolare, ha consentito di
conoscerne sempre meglio le mutazioni. In pratica che possiamo
chiedere alla diagnostica delle malattie genetiche? Ormai si hanno
conoscenze precise sulle indicazioni dei relativi esami. Data la
frequenza delle anomalie del numero e della struttura dei cromosomi
nella patologia costituzionale umana, le indicazioni dell'esame del
cariotipo (cosi' e' denominato l'insieme delle caratteristiche dei
cromosomi), sono numerose, tanto nel periodo prenatale quanto alla
nascita e poi nell'infanzia, alla puberta', negli adulti in eta' di
procreare. L'esame nel periodo prenatale, quando si sospettino
anomalie cromosomiche nel nascituro, ha lo scopo di permettere ai
genitori di decidere su base documentata se proseguire o meno la
gravidanza, oppure di rassicurarli. Le principali indicazioni sono
l'eta' materna dai 38 anni in su, l'esistenza di un'anomalia
cromosomica in uno dei genitori, l'antecedente d'una gravidanza con
cariotipo anormale, e alcune altre. La sindrome di Down, che in
passato era nota semplicemente come «mongolismo», e' la malattia
cromosomica (47 cromosomi invece dei normali 46) piu' frequente, e la
frequenza aumenta con l'eta' della madre. Nel neonato si esamina il
cariotipo in presenza d'un quadro clinico evocatore di anomalie quali
malformazioni anatomiche o ambiguita' sessuale. Nell'infanzia si
esamina il cariotipo in presenza d'un ritardo mentale, di turbe del
comportamento, di difetti di crescita, e nella puberta' in presenza
di anomalie della differenziazione sessuale. Nell'adulto le
indicazioni dell'esame del cariotipo sono principalmente legate alle
anomalie della riproduzione quali la sterilita' e gli aborti precoci,
ma essenziale per il consiglio genetico e' anche lo studio del
cariotipo nei genitori di bambini portatori di anomalie. Quanto alla
analisi del Dna, essa mira a mettere in evidenza le mutazioni dei
geni nei pazienti nei quali si sospetta una malattia genetica il cui
gene responsabile sia noto. Nel periodo postnatale l'indagine sulla
mutazione d'un determinato gene puo' essere eseguita per confermare
una diagnosi clinica e prendere subito le provvidenze opportune (un
esempio: diabete insipido nel neonato) oppure, in soggetti sani o
asintomatici, puo' essere indicata nel programma d'uno studio della
famiglia, riguardante per esempio l'emofilia, la distrofia muscolare
di Duchenne, la corea di Huntington, fino ai tumori ereditari. Nel
periodo prenatale le principali indicazioni sono antecedenti
famigliari d'una malattia genetica, o un'ecografia che faccia
sospettare una malattia genetica della quale si conosca il gene
responsabile. Vi e' da dire pero' che questa analisi e' sovente resa
molto complessa dal grande numero di differenti mutazioni. Infatti la
maggior parte delle malattie genetiche dipendono da piu' d'un tipo di
mutazione, per esempio oltre 150 mutazioni sono state descritte nel
gene responsabile d'una forma di talassemia, oltre 600 nel gene
responsabile della mucoviscidosi o fibrosi cistica. A tale
eterogeneita' «genica» si aggiunge una eterogeneita' «genetica»: una
stessa malattia puo' essere causata dall'alterazione di differenti
geni come accade nelle forme famigliari dell'Alzheimer, e viceversa
lo stesso gene puo' essere implicato in differenti malattie. Comunque
sia l'analisi del Dna, pur con tutti i limiti attuali, permette di
confermare una diagnosi clinica, o di diagnosticare una malattia
genetica prima della comparsa dei sintomi, percio' di proporre
provvedimenti adeguati. Gli anni a venire vedranno gli sviluppi della
medicina predittiva (conoscenza prenatale e postnatale del «terreno
genetico») e della terapia genica. L'esplorazione delle anomalie
cromosomiche e l'analisi del Dna saranno attivita' essenziali nella
medicina del prossimo secolo. Ulrico di Aichelburg
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. RISCHI DELL'AUTOMEDICAZIONE
Come ammalarsi con le medicine
OAUTORE CADARIO GIANNI
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
L'AUMENTO del consumo di farmaci, anche in conseguenza del crescente
malvezzo di ricorrere all'automedicazione su consiglio di amici,
parenti o mass media, e la continua introduzione in commercio di un
numero crescente di molecole farmacologicamente attive, hanno
determinato un parallelo incremento di effetti indesiderati di tipo
sia tossico sia reattivo. La reale frequenza della farmacoallergia e'
molto difficile da stabilire sia per l'eterogeneita' delle
manifestazioni cliniche che per l'incompletezza delle varie
casistiche riportate in letteratura, ma non siamo lontani dalla
realta' se diciamo che il 15 per cento della popolazione va incontro,
in seguito alla somministrazione di farmaci, a disturbi (a volte
anche a malattie) che nel 3 per cento dei casi sono di tale gravita'
da rendere necessario il ricovero in ospedale e in 1-2 casi su 1000
possono essere fatali. Se poi si considerano le reazioni che
intervengono in pazienti ricoverati (dal 5 al 30 per cento a seconda
delle varie statistiche) si rende chiaramente evidente come il
problema delle reazioni da farmaci sia ormai di importanza sociale.
L'Oms, Organizzazione Mondiale della Sanita', definisce «reazione
indesiderata» qualsiasi risposta a un farmaco che sia dannosa e
inattesa, e che sopravvenga alle dosi comunemente usate nell'uomo a
scopo di profilassi, diagnosi o terapia. La Societa' italiana di
allergologia e immunologia clinica ha preparato un «memorandum» con
lo scopo di razionalizzare l'approccio metodologico alle reazioni
avverse ai farmaci. Il memorandum divide le reazioni in due gruppi
principali: le reazioni «prevedibili», dipendenti dal dosaggio,
correlate all'azione farmacologica e che si possono verificare in
tutti gli individui; e le reazioni «imprevedibili», indipendenti
dalla dose, non correlate all'azione farmacologica, ma dipendenti
dalla risposta individuale di soggetti predisposti. Le reazioni
prevedibili sono rappresentate dalle reazioni tossiche (o da
sovradosaggio, in cui gli effetti sono direttamente proporzionali
alla quantita' di farmaco assunto oltre un livello soglia), dagli
effetti collaterali (che compaiono a dosaggi terapeutici, sono
strettamente collegati all'azione terapeutica e il loro manifestarsi
dipende dalla grande variabilita' della tolleranza individuale),
dagli effetti secondari (che sono conseguenza della principale azione
farmacologica) e dalle interazioni farmacologiche (due o piu' farmaci
somministrati contemporaneamente possono interagire dando luogo ad
effetti indesiderati). Le reazioni imprevedibili sono le intolleranze
(dovute a un abbassamento della soglia di risposta individuale a un
dato farmaco in alcuni pazienti), le idiosincrasie (reazioni
qualitativamente anormali dipendenti da deficit metabolici o
enzimatici che si evidenziano solo dopo assunzione di particolari
farmaci), le reazioni allergiche (qualitativamente anormali sono
reazioni in cui si puo' dimostrare un meccanismo immunologico) e
pseudoallergiche (queste ultime, clinicamente sovrapponibili alle
reazioni allergiche, differiscono nel meccanismo d'azione, non
immunologico). Tra le manifestazioni cliniche, quelle cutanee
rappresentano sicuramente l'aspetto piu' comune delle reazioni
allergiche o pseudoallergiche a farmaci. Si va da forme molto comuni
come l'orticaria, l'angioedema, le dermatiti allergiche da contatto,
l'eritema fisso da medicamenti e gli esantemi maculo papulari (che
possono essere facilmente confusi con malattie virali
«esantematiche») a forme occasionali come l'eritema polimorfo, le
dermatiti esfoliative, da fotosensibilizzazione, le eruzioni
purpuriche associate o no a trombocitopenia e le eritrodermie ad
altre, fortunatamente piu' rare perche' a volte mortali, come le
sindromi di Stevens-Johnson o di Lyell. Inoltre possono essere
presenti manifestazioni respiratorie come la rinite o l'asma, in
altri casi la reazione avversa e' rappresentata solo dalla febbre, ma
piu' in generale qualunque organo o apparato puo' essere interessato
(midollo osseo, fegato, rene, polmone) e in alcuni casi
l'interessamento e' addirittura «sistemico» come nella malattia da
siero e nelle vasculiti o nel Les da farmaci e nello shock
anafilattico. Tra i farmaci che provocano piu' frequentemente
reazioni allergiche il primato spetta ai Fans (farmaci
antinfiammatori non steroidei), spesso utilizzati come antidolorifici
e antifebbrili, seguiti dagli antibiotici (soprattutto penicilline e
sulfamidici), dalle vitamine e dagli anestetici. Da segnalare, tra i
farmaci in grado di provocare piu' frequentemente reazioni
allergiche, le vitamine del complesso B, componenti abituali di
numerosi preparati propagandati dall'industria farmaceutica come
«ricostituenti» e conseguentemente invocati come panacea per una
vasta gamma di situazioni ritenute patologiche. Questo fatto dovrebbe
costituire serio motivo di riflessione sull'abuso di medicamenti
richiesti o prescritti perche' «tanto male non fanno...». Gianni
Cadario Centro Malattie Allergiche Torino, Ospedale Molinette
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA
SOPHORA, AZALEA, PITOSFORO
OGENERE box
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OKIND boxed story
OSUBJECTS botany
Piante adatte ad un giardino zen nell'Italia del Nord: Alberi ed
arbusti: Acerpalmatum «dissectum», Acer japonicum «aureum», Arbutus
unedo, Azalea japonica, Buxus rotundifolia, Chamaecyparis obtusa
«nana gracilis», Cryptomeria japonica, Ilex crenata «golden gem»,
Nandina domestica, Parrotia persica, Pinus mugo «pumilio»,
Pittosporum tobira, Punica granatum «nana», Rhododendron hybridum,
Sophora japonica «pendula», Viburnum davidii, Viburnum tinus «eve
price». Tappezzanti alte: Azalea «tisbury nord», Ceanothus
thyrsiflorus, «repens», Cotoneaster «coral beauty», Lavandula
«munstead nana», Lonicera nitida «maigrun», Rosa «fairy damsel».
Tappezzanti basse: Herniaria glabla, Ophiopogon japonicus
«viridissima», Sagina subulata.
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL GIARDINO ZEN
Paesaggio per meditare
La natura ridotta all'essenziale
OAUTORE VIETTI MARIO
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS botany
IN un giardino, inteso come spazio ben definito e ordinato, la
persona che lo ha concepito proietta le proprie caratteristiche
culturali e le collega strettamente alla Natura. Dunque il giardino
puo' essere considerato una forma d'arte. Per noi occidentali il
giardino e' un complemento dell'abitazione, collegato all'ambiente
circostante, e viene sempre costruito con un fine di utilita' oltre
che puramente estetico. E' un luogo creato per il nostro piacere,
dove passeggiamo per ammirare la vegetazione, ma che riflette sovente
il dominio dell'uomo sulla natura. Nei giardini orientali invece
l'uomo non assume un ruolo dominante, ma si immerge spiritualmente
nell'ambiente che lo circonda; il giardino diventa cosi' un luogo da
contemplare dall'esterno alla ricerca del proprio Io. La
caratteristica dei giardini giapponesi, e soprattutto di quello zen,
e' che l'uomo non li attraversa ma sosta lungo il bordo e viene
stimolato alla meditazione. Attraverso la contemplazione di questo
paesaggio ricco di simboli egli cerca di raggiungere la serenita' e
forse anche la felicita' interiore. Il giapponese ama coltivare il
proprio giardino e lo disegna come fosse un quadro, ma poiche' per la
dottrina buddhista l'arte e' una sorta di attivita' religiosa e la
natura e' sacra, il giardino assume una dimensione spirituale. Ecco
perche' il giardino giapponese e' stato sempre influenzato dalle piu'
importanti religioni orientali, tra le quali il buddhismo zen e'
forse la piu' significativa. Per il monaco zen l'«arte del
giardinaggio» e' come un esercizio spirituale alla continua ricerca
del suo rapporto con la natura. La religione zen, originaria della
Cina, fu introdotta in Giappone verso la fine del XII secolo. Il
culmine dell'arte dei giardini si ebbe durante il periodo Muromachi
(1338-1573) con la realizzazione di quelli che sono considerati i
veri giardini zen: la natura viene «spogliata», ridotta
all'essenziale, i materiali (pietre, sabbia, ghiaia) diventano
protagonisti e la vegetazione non domina come nel paesaggio classico
occidentale, ma svolge un ruolo di complemento. Il giardino di
contemplazione per eccellenza e' il «giardino secco» (Karesansui)
dove il paesaggio viene riprodotto senza ricorrere all'acqua.
L'impressione generale che risulta e' quella di un ambiente naturale,
spontaneo, ma solo in apparenza. Il giardino zen infatti e' studiato
nei minimi dettagli, sempre con riferimenti simbolici: le pietre
(isole), con forme e collocazioni ben precise, affiorano da un «mare»
di ghiaia dove con un rastrello apposito vengono tracciati dei solchi
(le onde); un «fiume» nasce da una roccia e origina una distesa di
acqua (granito bianco) o ancora un ponte in pietra «scavalca» il
mare. Niente e' lasciato al caso, tanto meno le essenze vegetali che,
come abbiamo detto, non devono dominare. Anche nelle nostre regioni
e' possibile realizzare un giardino zen, naturalmente utilizzando
materiali locali e scegliendo piante adatte al clima. Vengono
inserite alcune piante esemplari come punti focali e numerose
tappezzanti, le piu' alte delle quali formano i «cuscini», mentre le
piu' basse vanno a sostituire i muschi non coltivabili facilmente nei
nostri climi. Nella stesura del progetto il paesaggista deve
immedesimarsi nella dottrina zen, cercando di prestare la massima
attenzione a non alterarne la filosofia concettuale originaria. La
costruzione, poi, presenta alcune difficolta' come la ricerca delle
rocce che devono apparire lavorate e consumate dal tempo e dalle
intemperie. E' necessario preparare con cura il sottofondo del «mare»
di ghiaia con opportune pendenze e sistemi drenanti per evitare che
l'acqua piovana ristagni in superficie. Qualora si desideri
illuminare l'area, si devono scegliere dei corpi illuminanti privi di
una loro bellezza intrinseca, mimetizzandoli in mezzo al verde.
Indispensabile e' l'installazione di un impianto automatico di
irrigazione a scomparsa in modo che dall'esterno non sia visibile
nessun meccanismo. A giardino ultimato si presenta il non facile
compito della manutenzione, distinta in lavori di formazione e lavori
di mantenimento. I primi comprendono tutte quelle operazioni di
potatura continue per trasformare le piante in vere e proprie
sculture viventi; la forma piu' diffusa sara' quella tondeggiante, ma
si otterranno progressivamente anche forme piu' casuali e meno
regolari. Saranno necessari diversi interventi nel corso dell'anno,
usando le apposite forbici e non il tosasiepi per evitare di
tranciare le foglioline, fino ad ottenere una vegetazione compatta. I
lavori di mantenimento invece comprendono tutti gli interventi
ordinari (annaffiature, concimazioni, tosature, trattamenti
antiparassitari) necessari a conservare le piante in buona salute;
inoltre si dovra' periodicamente rastrellare la ghiaia per formare le
«onde del mare». Mario Vietti
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. MIXOMICETI
Sono piante o animali?
OAUTORE BENEDETTI VALENTINA
OARGOMENTI biologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Il ciclo vitale di un fungo mucillaginoso appartenente ai
mixomiceti
OSUBJECTS biology
PERCORRENDO, anche con occhio distratto, il catalogo sistematico
degli esseri viventi, ci si accorge che esistono alcuni gruppi a cui,
esclusi pochi specialisti, non bada nessuno. Non e' certo il caso del
regno animale: quasi tutti i gruppi zoologici hanno i loro
estimatori, che vanno dagli entomologi agli appassionati del
bird-watching, dai collezionisti di conchiglie agli amatori dei
crostacei (non foss'altro che per bieche motivazioni gastronomiche);
ne' e' il caso del regno vegetale: i fiori piacciono a tutti, e tutti
(salvo forse qualche assatanato boscaiolo) sono preoccupati per la
sorte delle foreste. Tutti conoscono i funghi, i protozoi, i batteri,
le alghe, le felci... E i Mixomiceti? A quelli, nessuno ci pensa. Non
che siano un gran che: cinque o seicento specie distribuite un po'
per tutto il mondo; una posizione sistematica a lungo discussa: chi
li considerava piante, chi animali, chi una sorta di categoria
intermedia tra i due regni (da cui il vecchio nome di Micetozoi); un
aspetto tutt'altro che accattivante: quando qualcuno si accorge della
loro presenza, li percepisce come chiazze mucillaginose e li scambia
facilmente per materiale in decomposizione, in cio' suffragato dal
fatto che vivono prevalentemente su legni morti, sul letame o
comunque su substrati umidi e ricchi di detriti organici. Nonostante
la premessa cosi' poco incoraggiante, i Mixomiceti sono organismi
pieni di interesse e, a loro modo, di fascino. Prendiamo a paradigma
una delle specie meglio studiate, il Dictyo stelium discoideum che,
ignorato dai piu', e' largamente diffuso nei boschi dell'emisfero
boreale. E' un organismo unicellulare, molto simile e un'ameba: come
le amebe si muove, emettendo pseudopodi, e come le amebe si nutre,
inglobando particelle alimentari per fagocitosi. Come le amebe,
infine, si riproduce per semplice scissione. Da un'ameba, si sa, non
si puo' pretendere molto, ne' essa pretende molto dal mondo
circostante, se non cibo e condizioni favorevoli per la sua
sopravvivenza; per questo motivo, essa ha due forme primitive ma
efficaci di sensibilita': percepisce stimoli chimici, che la guidano
verso il cibo o la fanno allontanare da sostanze ostili, e stimoli
luminosi, che le fanno evitare la troppa luce e di conseguenza il
troppo calore. Quando le risorse alimentari divengono insufficienti,
le «amebe» del Dictyostelium cessano di riprodursi e, grazie a
complessi meccanismi di chemiotassi, iniziano ad aggregarsi tra loro.
Conviene ricordare che, per chemiotassi, si intende un fenomeno per
cui la presenza nell'ambiente di una determinata sostanza chimica
induce un organismo a spostarsi verso di essa o in direzione opposta.
Nel caso delle nostre amebe, la sostanza in questione e' il cAMP
(adeno sinmonofosfato ciclico). Il nome ostico non tragga in inganno:
si tratta di una sostanza molto banale, che viene prodotta da tutte
le cellule di questo mondo e svolge, all'interno di esse, importanti
funzioni di «segnale» intercellulare. Nel Dictyostelium, il cAMP
funge invece da segnale extracellulare: e' sufficiente che un'ameba
inizi a produrlo perche' quelle vicine ne siano irresistibilmente
attratte; ma non solo: a loro volta, esse vengono stimolate a
produrre altro cAMP, che richiama ulteriori amebe. Il fenomeno ha
dimensioni bibliche: migliaia e migliaia di cellule, come lemming
nella tundra artica, arrivano da ogni parte e si ammassano le une
sulle altre, fondendosi progressivamente in un unico e gigantesco
superorganismo. E' importante, a questo punto, mantenere il senso
delle proporzioni. Il superorganismo, che arriva ad essere costituito
da oltre 100.000 cellule, e' gigantesco soltanto nell'ottica di
un'ameba: in realta', la cosa che si forma e' un ammasso cellulare
(il termine corretto sarebbe quello di pla smodio) dall'aspetto
simile a quello di una lumaca e con una lunghezza di 1-2 millimetri.
Proprio come una lumaca, il plasmodio striscia lentamente lasciando
dietro di se' una scia mucillaginosa ed e' curioso osservare come
esso tenda a dirigersi verso le fonti di luce e di calore, mentre le
singole amebe, in precedenza, rifuggivano da questi stimoli. La
spiegazione di questo radicale mutamento comportamentale e' semplice:
il plasmodio va in cerca di condizioni ottimali per dare il via
all'ultima delle sue sorprendenti trasformazioni. Raggiunto il «posto
buono», il plasmodio pone difatti fine alla sua peregrinazione e
mette radici. Non nel senso proprio del termine: le cellule poste a
una delle sue estremita' si dispongono a formare un piede di sostegno
largo e piatto; quelle dell'estremita' opposta formano invece un
peduncolo filiforme, mentre le cellule centrali migrando all'apice
del peduncolo, vanno a costruire un corpo fruttifero e si trasformano
in spore. La spora e' una delle piu' formidabili invenzioni evolutive
della materia vivente: essa non e' altro che una cellula catafratta,
una sorta di guerriero medievale, protetto da un'armatura
pesantissima e impenetrabile. Talmente pesante da impedire qualsiasi
movimento, ma talmente impenetrabile da impedire qualsiasi danno:
l'unica differenza sta nel fatto che il guerriero medievale doveva
comunque mangiare e respirare, mentre la spora non ne ha alcun
bisogno. Essa puo' rimanere in uno stato di vita latente per periodi
lunghissimi, sopportando senza problemi condizioni ambientali
impensabili per qualsiasi altra forma di vita. Cosi' e' per le spore
del Dictyo stelium, che rimangono tali fino a che la situazione non
si fa ottimale per la loro germinazione. Da ogni spora nascera'
allora una nuova ameba che, come in ogni storia biologica che si
rispetti, riprendera' il ciclo. Valentina Benedetti
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. UOMINI E CANI
Boby, all'eta' della pietra
Il sodalizio nato oltre 135 mila anni fa
OAUTORE FRONTE MARGHERITA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI WAYNE ROBERT, MORRIS DESMOND
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
L'ORIGINE del sodalizio fra il cane e l'uomo si perde nella notte dei
tempi, e gli antenati del nostro miglior amico, simili a lupi,
accompagnavano nelle loro lunghe migrazioni gli ominidi, dall'aspetto
scimmiesco, gia' 135.000 anni fa. Lo sostiene il genetista Robert
Wayne, dell'Universita' della California, pubblicando sulla rivista
«Science» i risultati una ricerca che, se confermati, sposterebbero
indietro di oltre 100.000 anni quella che si riteneva fosse la data
dell'inizio dell'amicizia con l'animale che piu' amiamo, data che
coincide anche con l'origine del cane come specie a se'. Dopo aver
confrontato il Dna di numerose razze canine con quello di lupi,
sciacalli e coyote, il gruppo di Wayne ha decretato che, nonostate la
diversita' fra San Bernardo e Barboncino, e' il lupo l'unico antenato
di tutti i cani moderni. E l'analisi genetica ha anche permesso di
stabilire che la differenziazione fra la specie selvatica e quella
domestica, che si realizzo' perche' l'uomo inizio' a selezionare le
caratteristiche dei lupi in modo da potersene servire, risale a circa
135.000 anni fa. La biologia molecolare viene spesso impiegata per
stabilire le relazioni evolutive fra animali, perche' il confronto
del patrimonio ereditario di specie diverse, racchiuso nella molecola
del Dna, permette di determinare in modo molto preciso il loro grado
di parentela. Accade tuttavia spesso che i risultati della genetica
siano in disaccordo con le prove ottenute attraverso altri
procedimenti. E poiche' questo si e' verificato anche per la ricerca
di Wayne, numerosi biologi invitano ad accogliere con cautela i dati
del gruppo californiano. Fino ad ora infatti l'esame dei reperti
rinvenuti nei siti archeologici faceva ritenere che il rapporto fra
il cane e l'uomo non fosse piu' vecchio di 14.000 anni, epoca a cui
risalgono le piu' antiche ossa canine rinvenute nei villaggi che in
quel periodo nostri antenati iniziavano a costruire, abbandonando
progressivamente la vita nomade. Secono Wayne la discordanza fra
questa stima e la data stabilita su base genetica e' dovuta al fatto
che solo quando gli uomini divennero stanziali la differenza fra cani
domestici e lupi selvatici si fece abbastanza evidente da poter
essere rivelata, oggi, dalla semplice analisi della morfologia dei
resti delle loro ossa. Prima di allora, spostandosi con l'uomo, gli
antenati dei cani avevano conservato quasi tutte le loro
caratteristiche da lupi, eccettuata probabilmente l'indole e pochi
elementi della loro anatomia. Solo successivamente, quando la nostra
specie abbandono' la vita nomade, i cani accompagnarono l'uomo non
piu' soltanto durante le battute di caccia, ma divennero importanti
anche per l'allevamento del bestiame, per il controllo del
territorio, oltre che per la semplice compagnia. La diversificazione
dei ruoli del miglior amico dell'uomo accentuo' alcune delle sue
caratteristiche, e porto' alla nascita delle razze canine. Tuttavia
inizialmente il rapporto fra le due specie non fu probabilmente cosi'
amichevole. Secondo il noto biologo americano Desmond Morris, prima
che i nostri antenati imparassero a sfruttare le straordinarie
capacita' del lupo cacciatore, nella relazione fra l'animale e l'uomo
quest'ultimo doveva ricoprire il ruolo di predatore. Solo
successivamente si stabili' il sodalizio, forse perche' qualche
cucciolo rimase assieme ai nostri antenati dirigendo la sua naturale
propensione alla solidarieta' del branco verso il gruppo degli
uomini. Ma addomesticare un lupo non doveva essere certo un compito
facile. A conferma di cio', l'analisi genetica di Wayne ha dimostrato
che quasi tutte le razze canine discendono da un solo ceppo di lupi;
e questo significa che l'uomo addestro' una sola volta l'animale
selvatico, e poi si servi' di incroci fra gli esemplari gia'
addomesticati per selezionare le razze piu' adatte a servirlo. E se
inizialmente la nostra specie si avvicino' a quella canina per uno
scopo esclusivamente utilitaristico, lentamente il rapporto cambio',
e cane e uomo divennero fratelli. Numerose testimonianze
archeologiche raccontano la storia di questa amicizia. Ad esempio,
qualche anno fa in Medio Oriente fu rinvenuta la tomba di una donna
risalente al 9600 a.C., e raggomitolato accanto a lei fu trovato lo
scheletro di un cucciolo non piu' vecchio di cinque mesi. Un mano
della donna posata sulla testa del cane sembrava accarezzarlo.
Margherita Fronte
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. MULTIMEDIA
E' italiano il miglior Cd-rom didattico
Giocando con le sette note, i bambini scoprono la musica
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI didattica, informatica, elettronica, premio
OORGANIZZAZIONI CHILDREN SOFTWARE REVIEW, RAINBOW
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS didactics, computer science, electronics, prize
E' stato l'unico prodotto italiano selezionato, su 976 titoli
provenienti da tutto il mondo. Ha sbaragliato la concorrenza di
giapponesi, inglesi e americani tanto da meritarsi il premio che ogni
anno la Children Software Review aggiudica ai migliori cd- rom per
l'infanzia. E' gia' stato tradotto in 9 lingue ed e' in vendita in 18
Paesi, tra i quali Usa e Giappone, mercati tradizionalmente ostici ai
prodotti multimediali europei. Insomma, «Il fantasma dell'opera»,
cd-rom per conoscere la musica e giocare con le 7 note, ha dimostrato
come il Vecchio Continente possa scrollarsi di dosso quella sorta di
sudditanza psicologica che ci rende terra di conquista in fatto di
tecnologia multimediale. I cd-rom educational, che promettono
massicce dosi di sapere attraverso l'esca del cartone animato, il
piu' delle volte sono insipidi dal punto di vista grafico. La
fluidita' dell'animazione, l'espressivita' dei personaggi,
l'originalita' della scenografia e la precisione dei particolari, le
luci calde, rimangono una esclusiva dei cartoni animati di tipo
cinematografico. Quasi sempre, infatti, nelle animazioni multimediali
i personaggi si muovono a scatti e le immagini mancano di
profondita'. E' una questione di costi, di limite tecnologico dei
programmi di authoring multimediale (Macromedia e Toolbook, per
citare i due piu' diffusi), ma anche di fantasia e creativita'.
«Tutti problemi che abbiamo saltato a pie' pari», spiega Igino
Straffi, direttore di Rainbow, che dalla sede di Recanati (una bella
villa che si affaccia sull'Adriatico) e' partito alla conquista del
difficilissimo mercato mondiale dei multimedia. «Fin dal primo
momento abbiamo stabilito come priorita' assoluta la qualita' delle
immagini e dei testi. Quindi abbiamo cercato la collaborazione di
autori validi, abbiamo scelto macchinari di alto profilo tecnico e
abbiamo deciso di creare un motore grafico ad hoc, un player per le
animazioni che e' praticamente cresciuto con noi, ed ogni giorno
subisce modifiche e migliorie». «Il fantasma dell'opera» (99 mila
lire, per ambiente Windows, distribuito dalla Clementoni) e' un
educational appositamente studiato per avvicinare al mondo della
musica i bimbi dai 5 ai 12 anni. Una notte, un alieno di nome Oscar
piomba nel giardino di Tommy. Oscar (ideato da Carlo Rambaldi) si
ciba di note, di melodie: dunque, per procurargli da mangiare, Tommy
accompagna il suo nuovo amico alle prove dell'orchestra sinfonica. Ma
in teatro compare un fantasma e si scopre che un terribile gangster
vuole mandare in rovina l'orchestra per distruggere il teatro e
costruirvi un parcheggio. I piu' pigri possono semplicemente godersi
un cartone animato che dura quasi un'ora (realizzato con oltre 30
mila disegni). Ma Tommy & C. sapranno ben presto coinvolgere tutti
nelle loro avventure. Che si trasformeranno in un viaggio alla
scoperta di tutti i generi musicali e dei principi base della fisica
del suono. Il cd-rom e' corredato da una tastierina di plastica che,
applicata alla console del computer, si trasforma in una vera e
propria tastiera elettronica, con undici diversi strumenti
selezionabili. Si puo' ascoltare una serie di divertenti lezioni,
quindi verificare i risultati ottenuti tramite 9 diversi videogiochi,
tutti animati dai protagonisti della storia. Troviamo il karaoke per
imparare a cantare a tempo e con la possibilita' di registrare su
hard- disc, i quiz sulla fisica del suono, un test per vedere se sei
un bravo disc-jockey, altri giochi sulle conoscenze delle sette note
e del pentagramma (alcuni, a volte, ripetitivi). I disegni, molto
garbati, non aggressivi e, finalmente, di gusto europeo, anche se i
personaggi sono cosmopoliti (per ovvie esigenze di mercato). Chiaro
il manualetto di introduzione all'uso del cd- rom, mentre un po'
complicata e' la partenza: occorre agire tramite comandi di Windows.
Sarebbe stata piu' comoda la classica icona. Andrea Vico
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ANDARONO DISTRUTTI CON «ARIANE 5»
Rivivono i satelliti Cluster
Studieranno, nel 2000, il vento solare
OAUTORE RIOLFO GIANCARLO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OORGANIZZAZIONI ESA, ARIANE 5, CLUSTER
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
UNA nube di fumo e una pioggia di frammenti infuocati. Questo il
drammatico epilogo del primo volo del vettore «Ariane 5», lanciato da
Kourou il 4 giugno dell'anno scorso. Un incidente ormai senza
misteri. A 30 secondi dalla partenza il razzo ha deviato dalla
traiettoria per un errore nel software del sistema di guida:
inevitabile il comando di distruzione del missile impazzito. Un duro
colpo per l'Agenzia spaziale europea (Esa), con pesanti conseguenze
non solo per il programma «Ariane 5». Nell'esplosione, infatti,
andarono persi anche i quattro satelliti «Cluster», dai quali gli
scienziati attendevano molte risposte sul campo magnetico terrestre,
sul vento solare e i suoi effetti sul nostro pianeta. A oltre un anno
da quel fallimento, la delusione e' mitigata da due buone notizie. La
prima riguarda il secondo «Ariane 5», che verra' lanciato nei
prossimi mesi, compiute tutte le modifiche necessarie al software di
controllo e ai sistemi di bordo. La sorpresa, pero', e' il secondo
annuncio dell'Esa: la resurrezione del programma «Cluster», decisa
dopo mesi di trattative, sotto la spinta della comunita' scientifica
internazionale coinvolta nel progetto. I nuovi satelliti verranno
messi in orbita, due alla volta, nel 2000. A lanciarli saranno due
razzi russi del tipo Soyuz. In realta', dei quattro satelliti,
soltanto tre saranno costruiti ex novo da un consorzio industriale
guidato dalla tedesca Dasa. Il quarto, chiamato «Fenice» come
l'uccello del mito, sara' messo insieme con i pezzi di ricambio dei
veicoli andati perduti con l'incidente dell'«Ariane 5». In un primo
momento aveva preso piede l'idea di lanciare solo quest'ultimo,
rinunciando pero' ai principali obiettivi della missione. Un ripiego
che avrebbe lasciato tutti insoddisfatti. La rinascita del progetto
Cluster, che costera' 214 milioni di Ecu (circa 415 miliardi di
lire), restituisce integrita' al vasto programma di ricerca
scientifica dell'Esa, noto come Orizzonte 2000. Un edificio con
quattro pietre angolari, la prima delle quali era proprio lo studio
sull'interazione tra il Sole e la Terra basato sulle missioni Cluster
e Soho, l'osservatorio solare lanciato con successo alla fine del
1995. Gli altri tre programmi-chiave, previsti a partire dal 1999,
sono le missioni Xmm, Integral e la sonda Rosetta. Cluster in inglese
significa gruppo o grappolo. Il nome richiama la caratteristica
peculiare del programma: l'impiego di una formazione di quattro
satelliti, disposti ai vertici di un tetraedro, cioe' di una piramide
triangolare, per scandagliare lo spazio lungo un'orbita polare
fortemente ellittica (140 mila chilometri di apogeo e 25 mila di
perigeo). Grazie alle loro misurazioni sara' possibile studiare su un
modello tridimensionale i complessi fenomeni dovuti all'incontro tra
le particelle ionizzate del vento solare e il campo magnetico che
avvolge e protegge il nostro pianeta. Oltre che la fisica, i
risultati della missione interessano molte discipline. Ci si chiede,
per esempio, che cosa avviene quando particelle del vento solare sono
catturate dal campo magnetico terrestre. Alle spettacolari aurore
boreali e australi, si possono aggiungere effetti sull'ambiente e sul
clima? Non mancano gli aspetti pratici. Il bombardamento
elettromagnetico che accompagna le «tempeste solari», legate a
periodi di particolare attivita' della stella, disturba le onde radio
e puo' danneggiare i satelliti per telecomunicazioni. In certi casi
provoca addirittura sbalzi di tensione nella rete di distribuzione
dell'energia elettrica. Sino al black-out: accadde nel Quebec, nel
marzo del 1989. Giancarlo Riolfo
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Ciufolini Ignazio e Wheeler John Archibald: «Gravitation and
inertia», Princeton University Press
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI fisica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS physics, book
Se si usasse anche in Italia eleggere lo «scienziato dell'anno», non
c'e' dubbio che il candidato piu' forte sarebbe attualmente Ignazio
Ciufolini, ricercatore presso l'Istituto di fisica dello spazio
interplanetario del Cnr, a Frascati. Con un elegante e delicatissimo
esperimento realizzato tramite i satelliti artificiali «Lageos»,
Ciufolini e' riuscito, primo al mondo, a mettere in evidenza una
forza prevista dalla relativita' generale di Einstein: la forza
gravitomagnetica. Questo risultato rappresenta una ulteriore prova
della teoria di Einstein e apre un nuovo campo di ricerca di grande
interesse. A confermare il valore scientifico di Ciufolini, ecco un
libro da lui scritto in collaborazione con John Archibald Wheeler,
«Gravitation and inertia». Wheeler, professore emerito di fisica
all'Universita' di Princeton, e' noto come uno dei massimi fisici
teorici viventi: gran parte del suo lavoro e' dedicato agli sviluppi
della teoria einsteiniana della gravitazione e dello spaziotempo.
«Gravitation and inertia» non e' una lettura per tutti, molte pagine
sono irte di formule, ma alcune parti sono accessibili anche a chi,
senza una specifica preparazione matematica, possieda i concetti
fondamentali della fisica relativistica. Non a caso a questo libro e'
stato assegnato il prestigioso premio dell'American Association of
Publishers. Lo segnaliamo ai lettori piu' appassionati di fisica e
astrofisica, con l'augurio che Ciufolini prima o poi possa darcene
una versione italiana di taglio divulgativo. Piero Bianucci
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Isman Umberto e Minazzi Fabio: «Fotografare in montagna», Vivalda Ed.
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI didattica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS didactics, book
Non un libro ma un Cd-Rom che contiene un completissimo manuale di
arte e tecnica della fotografia in montagna: 250 link ipertestuali,
250 foto commentate, un'ora di audio.
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Lupato Giovanni: «Una supernova nel medioevo», Biroma Ed.
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI fisica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS physics, book
La Nebulosa del Granchio, un fioco chiarore diffuso nella
costellazione del Toro, e' uno dei piu' straordinari laboratori della
fisica e dell'astrofisica: grazie ad essa si e' costruita in gran
parte la teoria delle pulsar, cioe' delle stelle di neutroni. La
nebulosa deriva dall'esplosione di una supernova avvenuta nel 1054,
in pieno medioevo. Per anni si e' ripetuto, acriticamente, che il
fenomeno fu notato in Cina ma fu del tutto ignorato in Europa.
Giovanni Lupato, con una accuratissima ricerca storica, ha invece
scoperto tutte le testimonianze occidentali sull'eccezionale evento
celeste.
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ENERGIA DEL FUTURO
Fusione freddissima
La tecnica basata su atomi muonici
OAUTORE DEL ROSSO ANTONELLA, MULHAUSER FRANCOISE
OARGOMENTI energia, fisica
ONOMI FRANK CHARLES
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Schema di reattore a fusione calda
OSUBJECTS energy, physics
FINORA si conoscono due modi di produrre energia nucleare: la
fissione e la fusione. Solo la prima e' stata effettivamente
realizzata per la produzione controllata di energia. La fissione si
ottiene con l'urto tra un neutrone e un nucleo di uranio 235. Ne
derivano 200 unita' di energia (MeV) e dei «frammenti» nucleari:
scorie radioattive la cui eliminazione rimane uno dei problemi di
piu' difficile soluzione. Le potenzialita' energetiche di questa
reazione nucleare sono pero' ben superiori a quelle di una normale
reazione chimica che bruci materia organica, per esempio legno o
petrolio: la fissione di un atomo di uranio genera 47 milioni di
volte piu' energia dell'ossidazione di un atomo di carbonio. In
natura sia l'uranio sia il legno o il petrolio sono disponibili in
quantita' limitate. Non stupisce quindi che gli scienziati continuino
a cercare un metodo di produrre energia che sia al tempo stesso
potente, non inquinante e che utilizzi elementi rinnovabili.
Attualmente sono in atto diversi studi volti, per esempio, alla
produzione di uranio a partire da atomi di plutonio secondo alcune
reazioni note. Ma cosi' non si elimina il problema delle scorie,
anche se ne diminuisce la gravita'. D'altro canto, la prospettiva di
realizzare in breve tempo la fusione nucleare, dovendo ottenere le
alte pressioni e le alte temperature che sono alla base dei processi
che avvengono nelle stelle, non appare vicina. Sono stati fatti vari
tentativi per creare un processo di fusione che non richieda ne'
altissime temperature ne' altissime pressioni. L'Istituto di fisica
dell'Universita' di Friburgo in Svizzera, che utilizza le
attrezzature e i fasci di particelle del laboratorio Paul Scherrer
Institut situato nei pressi di Zurigo, lavora su questo problema.
L'interesse dei fisici e' stato suscitato in particolare da un'idea
proposta da Charles Frank nel 1947: consiste nell'utilizzo di atomi
muonici come catalizzatori delle reazioni di fusione in miscele
gassose di deuterio e elio. I muoni sono particelle elementari 200
volte piu' pesanti degli elettroni che orbitano intorno ai nuclei
atomici. Quando un muone di carica negativa entra nelle orbite
atomiche, grazie alla sua massa non trascurabile, riesce ad
avvicinarsi al nucleo piu' di quanto non farebbe un elettrone con la
stessa energia di movimento, riuscendo ad «espellere» l'elettrone
stesso. Un atomo di idrogeno che abbia al suo interno un muone e'
circa 200 volte piu' piccolo del corrispondente atomo di idrogeno
costituito dall'elettrone. In questo modo si viene a creare uno stato
intermedio in cui il muone orbita intorno ai due nuclei ravvicinati
la cui separazione e' talmente ridotta che tutto si risolve in una
maggiore probabilita' che avvenga la fusione tra i nuclei stessi.
Ogni volta che cio' avviene si ha la produzione di energia che, in
certi casi, puo' risultare circa 4 volte superiore a quella
rilasciata dal carbonio in fase di ossidazione. Tale quantita' e'
sicuramente ridotta rispetto alle reazioni nucleari che coinvolgono
l'uranio ma ha il vantaggio di produrre residui la cui radioattivita'
puo' essere assorbita dalle normali apparecchiature che vengono oggi
utilizzate in tutti i laboratori di fisica delle particelle. Inoltre,
il processo non si autoalimenta senza l'invio di muoni; puo' quindi
essere interrotto in non piu' di 3 milionesimi di secondo. Se
confrontiamo questo tipo di «fusione freddissima» con gli studi di
fattibilita' di una fusione calda, vediamo che le apparecchiature
necessarie e le tecnologie coinvolte sono concettualmente piu'
semplici e fisicamente gia' sperimentate. Si tratterebbe infatti di
utilizzare un acceleratore di protoni per ottenere, dall'interazione
con un opportuno bersaglio, una certa quantita' di muoni, e di
inviare poi questi verso un nuovo bersaglio costituito da una miscela
di deuterio e elio. La condizione ottimale si raggiunge quando la
miscela di gas si trovi alla temperatura di 30 oK (-243 oC). La
maggiore difficolta' che i fisici coinvolti in questa ricerca stanno
incontrando, e' il limite massimo di fusioni ottenute per muone
inviato. Per produrre una quantita' considerevole di energia si
dovrebbe arrivare a ottenerne 1000 per muone. E' necessario quindi
ancora del tempo ma la fusione catalizzata dai muoni ha gia' iniziato
a rivelare le sue potenzialita'. Antonella Del Rosso Francoise
Mulhauser Universite' de Fribourg
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
I LIMITI DELLE RISORSE MARINE
Pescati gli ultimi merluzzi di Terranova
Un evento-simbolo nello sfruttamento insensato della natura
OAUTORE NOTARBARTOLO DI SCIARA GIUSEPPE
OARGOMENTI ecologia, zoologia, mare
ONOMI BONINO EMMA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology, zoology, sea
I Grandi Banchi di Terranova erano noti un tempo come uno dei
territori di pesca piu' ricchi del mondo, con una produzione annua,
ancora negli Anni 60, di quasi un milione di tonnellate di merluzzo.
Oggi sono stati cancellati dal novero delle zone di pesca del pianeta
per un motivo agghiacciante nella sua semplicita': i merluzzi sono
finiti, sono stati tutti pescati. L'episodio canadese non e' isolato.
Allarmanti segnali d'impoverimento delle popolazioni ittiche arrivano
da quasi tutte le regioni del mondo, e in tutti i casi i problemi
sono riconducibili alla mancanza di appropriati regimi di gestione
delle risorse marine. E' un po' come se il mare ci stesse dicendo:
«La festa e' finita, adesso dovete cambiare». E' facile capire
perche' siamo arrivati a questo punto. Il mare e' da sempre sinonimo
di infinito per l'uomo, e il pescatore nel corso dei secoli e' andato
plasmando la sua mentalita' e le sue strategie di caccia in perfetta
sintonia con un ambiente che praticamente non aveva limiti. L'avvento
di tecnologie potenti e sofisticate al servizio della pesca, della
navigazione, della refrigerazione e del trasporto, ha stravolto
questo equilibrio tra uomo e mare, e il cambiamento e' stato cosi'
rapido che l'uomo fatica a capirlo e ad accettarlo. A questo punto si
presentano due alternative. La prima e' la strada piu' facile, e
purtroppo quella che l'umanita' sembra piu' incline ad imboccare: non
far nulla. Si continua a pescare come se niente fosse, e se il pesce
dovesse finire, come e' avvenuto a Terranova, qualche santo
provvedera'. Facile soprattutto perche' scarica politici e
amministratori da responsabilita' immediatamente visibili, complice
la complessita' delle dinamiche ambientali marine, talvolta ermetiche
anche per degli specialisti. La seconda strada, impervia e
accidentata, comporta scelte coraggiose e spesso impopolari, ma e'
l'unica che puo' darci la speranza di un ritorno all'equilibrio tra
uomo e mare. Questa strada ci impone di contenere i prelievi delle
risorse entro livelli chiaramente sostenibili, per poter lasciare al
mare il tempo e la possibilita' di ricostituirle. La difficolta' di
questa strategia risiede soprattutto in un tragico equivoco: che la
limitazione dello sforzo di pesca per salvare la risorsa porti a una
contrapposizione tra gli interessi dei pescatori e quelli
dell'ambiente. E risiede proprio qui l'equivoco che in questi tempi
da' filo da torcere al Commissario europeo Emma Bonino, che sta
affrontando con determinazione lo spinoso problema. Come dovrebbe
essere facile intuire, questa contrapposizione e' fittizia, perche'
in realta' i pescatori fanno parte dell'ambiente marino, e la tutela
dei pesci non puo' non comportare anche la tutela dei pescatori. A
questa logica si potrebbe obiettare che, imponendo ai pescatori di
pescare di meno, e' inevitabile una loro penalizzazione economica.
Cio' e' purtroppo vero oggi, ma potrebbe - e dovrebbe - non esserlo.
Dobbiamo infatti riconoscere che la vera responsabilita' di questa
incresciosa situazione non e' dei pescatori soltanto, ma di tutti noi
che facciamo parte di una societa' refrattaria a convivere con una
pianeta che ci va ogni giorno piu' stretto. Se costi ci saranno di
questa scelta necessaria - e ce ne saranno - non sara' alla categoria
dei pescatori che dobbiamo mandare il conto, ma a noi stessi. Il
ridimensionamento delle attivita' di pesca dovrebbe essere contenuto
all'interno di un ripensamento radicale della politica del mare e
delle strategie di gestione delle sue risorse. Sara' un cammino lungo
e non facile. Di grande importanza sara' il ruolo della ricerca
scientifica, che convogliando competenze dai settori piu' disparati -
scienze del mare, economia, ingegneristica, giurisprudenza - dovra'
portare al superamento degli attuali conflitti mediante l'avvio di
progetti multidisciplinari a largo respiro, che si avvalgono della
piu' vasta collaborazione internazionale. Occorrera', per esempio,
conoscere a fondo la dinamica delle popolazioni dei pesci pescati,
per poter stabilire con la dovuta precauzione la quota di prelievo
sostenibile. Se la quota sara' inferiore alla domanda, sara' il
mercato a doversi adattare alzando i prezzi come e' avvenuto per il
tonno in Giappone, dove una porzione di sushi al ristorante raggiunge
cifre da capogiro - e scaricando in tal modo i costi maggiori sul
consumatore anziche' sul settore produttivo. Dovranno essere poi le
nuove tecnologie a consentire che il prodotto - a questo punto
divenuto davvero pregiato - raggiunga il cliente disposto a pagare il
prezzo giusto, in qualsiasi angolo del mondo esso si trovi. Molta
strada c'e' inoltre da percorrere per migliorare le tecnologie di
pesca, per renderla sempre piu' selettiva e quindi diminuire il suo
impatto sull'ambiente, al tempo stesso potenziando l'acquacoltura.
Occorrera' infine prevedere nuove forme di occupazione legate al
mare, per supplire all'inevitabile riduzione dell'impiego, dovuta
tanto all'imperativo di pescare meno, quanto alla possibilita' di
pescare meglio. E qui dovra' intervenire in aiuto un turismo in
formidabile espansione, che ha nel mare la sua destinazione piu'
popolare, e che indubbiamente assorbira' in futuro competenze e
disponibilita' umane ingenti per attivita' che valorizzino, rendano
fruibili, gestiscano e conservino le ricchezze naturali che il mare
ancora possiede. G. Notarbartolo di Sciara Presidente dell'Istituto
Centrale per la Ricerca applicata al mare
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Iceberg
Dal polo, sara' rimorchiato fino al porto di Lisbona
OAUTORE O_R
OARGOMENTI ecologia, mare
OLUOGHI ITALIA
ONOTE «1998 - ANNO DEGLI OCEANI»
OSUBJECTS ecology, sea
UNA spedizione internazionale guidata dallo scienziato Igor Popov
andra', con navi russe e di altri Paesi, a prendersi un iceberg - al
Polo Sud o Nord, lo sapremo soltanto alla partenza - per rimorchiarlo
fino al porto di Lisbona, dove diventera' l'attrazione principale
dell'Expo. Potrebbe essere il primo passo per realizzare un'idea alla
quale da anni lavorano alcuni scienziati: trasformare gli iceberg in
gigantesche fonti di acqua dolce a disposizione dell'umanita'.
Progetti del genere erano gia' in fase avanzata nello scorso
decennio; interessati, specialmente i Paesi affacciati al Golfo
Persico e all'oceano Indiano. Il progetto russo per l'Anno degli
oceani comprende anche altre iniziative. Tra queste, una spedizione a
vela attraverso il globo (partita il 20 luglio da San Pietroburgo, vi
ritornera' nello stesso giorno del '98), una gara di nuotatori
impegnati nel tragitto abitualmente compiuto dai trichechi durante le
migrazioni stagionali e la ripetizione su una barca uguale a quelle
del quindicesimo secolo di una parte del viaggio che porto' il
commerciante russo Afanasi Nikitine in India con una quindicina di
anni di anticipo su Vasco de Gama. (o. r.)
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Crociera
Reale e virtuale (su Internet) con premi e borse di studio
OAUTORE O_R
OARGOMENTI ecologia, mare
OORGANIZZAZIONI ONU
OLUOGHI ITALIA
ONOTE «1998 - ANNO DEGLI OCEANI»
OSUBJECTS ecology, sea
UNA crociera attraverso gli oceani: reale per un gruppo di scienziati
e di cronisti, virtuale per tutte le scuole del mondo. Attraverso un
apposito sito Internet, l'equipe di «Oceano '98» trasmettera'
quotidianamente testi, immagini, dati; studenti e insegnanti
proporranno quesiti, commenti, richieste di ulteriori delucidazioni,
elaboreranno temi in materia, compiranno sul proprio territorio
ricerche collegate a quelle degli scienziati, confrontando poi i
risultati con loro e con altre scolaresche impegnate su argomenti
analoghi. Ci saranno anche alcuni premi abbastanza insoliti, da
assegnare, per esempio, al «gruppo piu' interattivo», o «piu'
impegnato», ma anche all'«idea piu' intrigante» o piu' «innovativa».
«Oceano '98» prevede inoltre numerose borse di studio per progetti
che riguardino la protezione degli oceani e il cosiddetto «sviluppo
sostenibile» delle risorse. La crociera si svolgera' su piu' navi,
che si daranno il cambio, incontrandosi nei vari porti; ciascuna
inalberera' il vessillo dell'Onu, ogni volta trasferito nel corso di
una cerimonia ufficiale. L'ultima nave tornera' al punto di partenza,
riportando la bandiera. (o. r.)
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
1998: INIZIATIVA ONU
L'anno degli oceani
Studiarli, rispettarli, proteggerli
OAUTORE ROTA ORNELLA
OARGOMENTI ecologia, mare
OORGANIZZAZIONI ONU
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE T. La catena alimentare delle forme di vita marine
D. La Terra e gli Oceani
ONOTE «1998 - ANNO DEGLI OCEANI»
OSUBJECTS ecology, sea
INDETTO dall'Onu per il 1998, l'«Anno degli oceani» chiama il mondo a
guarire le acque del nostro pianeta dal degrado, dallo sfruttamento
indiscriminato e, forse piu' ancora, dalle conseguenze
dell'ignoranza. Per gli Stati, una «Carta degli Oceani» ispirata alla
Carta della Terra sottoscritta a Rio nel 1992. Per i governi, le
istituzioni pubbliche e private, gli organismi non governativi,
un'apposita rete che coordini lo scambio di ricerche e studi. Per le
scuole, una gigantesca azione di informazione e coinvolgimento.
Infine, la megarassegna «Ocean Expo '98» a Lisbona, e una serie di
premi per elaborati scientifici e opere d'arte ispirate agli oceani.
Fulcro delle iniziative l'Unesco, in particolare la Commissione
oceanografica intergovernativa. Nelle acque oceaniche, che coprono il
71 per cento della superficie del pianeta, affluisce una mole di
sostanze tossiche che arriva per il 75 per cento dalla terraferma,
fognature e rifiuti domestici e/o industriali. La minaccia riguarda
soprattutto i mari chiusi, come il Mediterraneo (per pulirlo
occorrerebbero dai 30 ai 100 miliardi di dollari). Ma anche in alto
mare la situazione si e' definitivamente aggravata per l'uso, di
recente invalso in non poche aziende, di inabissare in mare scorie
altamente pericolose, comprese quelle nucleari, che si disattiveranno
solamente fra decine di migliaia di anni. L'85 per cento dei detriti
che si depositano sui fondali e' in plastica; questo materiale
diventa ricettacolo di microrganismi che perturbano l'equilibrio
marino, impediscono gli scambi gassosi tra i diversi strati
dell'acqua, riducono l'ossigeno nelle zone profonde. Finisce
nell'acqua pure il 33 per cento dell'inquinamento atmosferico; dalla
benzina proviene il 98 per cento del piombo, e da alcuni tipi di
insetticidi il 9 per cento dei cloridrati, sostanze di cui sono state
trovate tracce persino tra i pinguini e gli orsi polari. Lungo le
coste vive praticamente la meta' del mondo industrializzato. Il
fattore demografico essendo potenziato dalle migrazioni, nei prossimi
decenni questa popolazione aumentera' del'1,5 per cento. Il fenomeno
alterera' ulteriormente gli equilibri ecologici, economici, sociali,
pesera' sulle risorse idriche ed energetiche, sulle strutture per lo
smaltimento dei rifiuti, sui prezzi che saliranno e sui porti che
dovranno essere ingranditi per reggere il maggiore volume di
commerci. Entrata in vigore a fine '94, la Convenzione delle Nazioni
Unite sul diritto del mare (Unclos) sancisce la completa autorita'
dei Paesi rivieraschi nell'area fino a 200 miglia nautiche al largo
delle coste. Un enorme trasferimento di risorse - le zone di fronte
al Peru', al Cile, alla Namibia e al Senegal, ad esempio, sono fra le
piu' pescose del mondo - ma anche di responsabilita'. E che tutti i
Paesi siano messi nelle condizioni di potervi fare fronte, e'
interesse comune del Nord piu' ricco come del Sud piu' povero. Oggi
almeno 200 milioni di persone campano esclusivamente sui proventi
della pesca; dall'89, quella al largo registra un calo costante,
tanto che entro il 2000 il deficit globale di pesce arrivera' (salvo
impreviste inversioni di tendenza) a 30 milioni di tonnellate. La
maggioranza dei Paesi ha preso provvedimenti per limitare l'attivita'
di pescatori stranieri, ma ben di rado ha regolamentato anche quella
dei connazionali. Per proteggere le specie, non soltanto animali,
finora alla merce' dei vari predatori, alcuni diplomatici dell'Unclos
suggeriscono di dichiarare «patrimonio dell'umanita'» tutto cio' che
sta nei fondali marini a oltre 200 chilometri dalle coste, mentre
l'Istituto francese di ricerca scientifica per lo sviluppo nella
cooperazione ritiene che una possibile soluzione stia nell'attribuire
alle risorse idriche lo status giuridico di «bene raro». Ornella Rota
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Vineis Paolo: «Prima della malattia», Marsilio
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS medicine and physiology, book
E' proverbiale, ma semplicistica, l'affermazione «prevenire e' meglio
che curare», spesso seguita da «prevenire conviene anche sul piano
economico». La realta' e' piu' complessa e sfumata. Le scelte da fare
cambiano profondamente a seconda che ci si metta dal punto di vista
dell'individuo o della societa', in una prospettiva utilitaristica o
egualitaria. Il discorso sulla prevenzione e' quindi, alla radice,
essenzialmente un discorso di etica. Paolo Vineis analizza appunto
l'intricata questione morale della prevenzione, senza preoccuparsi di
trasmettere piu' dubbi che certezze. Su alcuni dati, tuttavia, non
sussistono dubbi. Per esempio, in base alle conoscenze gia'
disponibili sarebbe possibile prevenire il 30 per cento dei tumori e
delle malattie cardiovascolari. Eppure l'Unione Europea destina 8
milioni di Ecu all'anno al programma per il cancro e un miliardo e
200 milioni di Ecu (150 volte di piu') per sostenere le coltivazioni
di tabacco; e negli Stati Uniti la spesa pubblicitaria per le
sigarette e' il doppio del bilancio del National Cancer Institute.
Qualsiasi commento e' superfluo, ma il primo dato e' particolarmente
impressionante, visto che stiamo svenandoci per «entrare in Europa».
Forse, prima ancora di entrare in Europa, bisognerebbe sapere che
cosa ci si va a fare.
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Archeologia a Ustica
OGENERE breve
OARGOMENTI archeologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS archaeology
Fino al 7 settembre a Ustica si svolge la Rassegna internazionale del
cinema di ambiente mediterraneo, quest'anno sul tema «Laghi, mari e
fiumi: i luoghi della civilta'», organizzata dalla Riserva Marina e
da «Archeologia viva». Verranno anche presentate le ultime scoperte
archeologiche subacquee.
ODATA 03/09/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Conferenza di geomorfologia
OGENERE breve
OARGOMENTI geografia e geofisica
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS geography and geophisics
Si conclude oggi a Bologna la quarta Conferenza internazionale di
Geomorfologia. Sono intervenuti 800 ricercatori di tutto il mondo.
Frane, vulcani, ghiacciai e impatto ambientale tra i temi affrontati.
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. GLI ONCOSOPPRESSORI
Scoperto un gene che regola la riproduzione cellulare
Una ricerca americana promette importanti sviluppi nella comprensione
dei tumori
OAUTORE MARCHISIO PIER CARLO
OARGOMENTI genetica, medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS genetics, medicine and physiology
QUANDO si afferma pubblicamente che si e' vicini alla soluzione del
problema cancro e si chiedono aiuti per la ricerca si e' accusati di
essere dei visionari o peggio dei narcisisti che pensano alla loro
sterile carriera. Eppure, nell'intera comunita' scientifica
internazionale si respira un'aria di tensione ottimistica su questo e
altri problemi che da noi corrisponde a miopi tagli e al blocco di
qualsiasi investimento a lungo termine. Queste considerazioni amare
derivano dal fatto che negli Stati Uniti e' stata fatta una grande
scoperta e la' ad essa e' stato dato un grande rilievo come da noi si
riserva solo a eventi scientificamente irrilevanti. La scoperta
consiste nell'identificazione di un nuovo gene soppressore dei tumori
chiamato Pten. Pten e' un acronimo che sta per phosphatase and tensin
ho molog deleted in chromosome 10. Si tratta di un gene ibrido che
contiene simultaneamente informazioni per un'attivita' fosfatasica
che interessa proteine fosforilate in tirosina insieme a sequenze
simili a quelle di una proteina, la tensina, che organizza parte dei
sistemi adesivi cellulari e le loro connessioni con la forma e la
motilita' cellulare. Inoltre Pten scompare dal cromosoma 10 che e'
notoriamente sede di molte mutazioni in molti tipi di tumori maligni.
Vediamo di spiegare perche' Pten e' una scoperta importante.
Innanzitutto il fatto che, nelle cellule normali, l'attivita'
fosfatasica rimuova il fosfato dalle tirosine fosforilate da molti
oncogeni e fattori di cre scita, che si sa essere iperattivi nei
tumori, indica che questa attivita' di Pten si oppone, nelle cellule
normali, agli stimoli che portano le cellule a dividersi in maniera
abnorme. E' come se fosse una sorta di controllore che dice alle
cellule di reprimere la loro tendenza a dividersi sotto l'impulso di
stimoli diversi. Il fatto che Pten manchi in molti tumori dice
semplicemente che la sua funzione di controllore non c'e' piu' e gli
stimoli proliferativi possono liberamente scatenarsi. Le tirosina
fosfatasi non sono di per se' una novita' e piu' volte sono state
trattate su «Tuttoscienze» come la controparte «buona» degli oncogeni
o geni del cancro. La novita' e' un'altra e, a mio parere, molto
rilevante. L'omologia di Pten con la tensina rende questa molecola un
membro ufficiale dei sistemi adesivi cellulari. La tensina e'
conosciuta da una ventina d'anni come proteina implicata nel tenere
insieme le molecole che attraversano la membrana e sentono l'ambiente
producendo segnali di organizzazione della forma cellulare e
controllando i movimenti delle cellule stesse. In altre parole la
tensina collabora a organizzare il cosiddetto scheletro cellulare e
ne controlla i muscoli. Se viene meno quella parte di tensina
contenuta in Pten viene meno anche il rapporto corretto tra cellula e
ambiente sufficiente probabilmente a scatenare il comportamento
anarchico implicato nella generazione delle metastasi. Nella folla di
segnali molecolari che controllano la proliferazione in funzione
della posizione che le cellule hanno nei tessuti Pten ha
probabilmente un'attivita' importante che diventera' chiara nei
prossimi mesi. Gia' da ora tuttavia Pten va ad arricchire quella
famiglia in crescita costituita dai geni oncosoppressori le cui
mutazioni sono sempre piu' importanti nel controllo della genesi del
cancro. Per due ragioni. La prima e' che e' relativamente facile
trovarne le mutazioni a scopo diagnostico e preventivo. La seconda e'
che sara' proprio attraverso la reintroduzione di geni
oncosoppressori assenti o mutati che la terapia genica del cancro
potra' diventare una realta' terapeutica nei primi anni o decenni del
prossimo secolo. Infine, mi piace constatare che finalmente la genesi
del cancro ridiventa un fenomeno di alterazione globale del
comportamento cellulare e non la si considera piu' dovuta solo al
capriccio di un singolo oncogene. Se questa ultima causa fosse
l'unica, il cancro avrebbe da tempo finito di essere un problema.
Lasciatemi spendere un ultimo appello di aiuto alla ricerca di base:
il cancro non verra' sconfitto solo dalla ricerca sul cancro ma dalla
buona ricerca da chiunque sia fatta. Pier Carlo Marchisio
Universita' di Torino e Dibit, Milano
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. DISTURBI DEL SONNO
Vittime della sleep apnea 500 risvegli per notte
OAUTORE QUAGLIA GIANFRANCO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI BRAGHIROLI ALBERTO, SACCO CARLO
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE MAUGERI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, VERUNO (NO)
OTABELLE T. Le cause dell'insonnia secondo i pazienti. I danni provocati
dall'insonnia
OSUBJECTS medicine and physiology
SVEGLIARSI cinquecento volte per notte: uno sgradevole primato. Anzi,
una patologia, un tormento che colpisce il quattro per cento della
popolazione fra i quaranta e i sessantacinque anni (soprattutto
uomini) e va oltre il dieci per cento tra coloro che russano, bevono
alcolici, fumano, hanno la pressione alta e sono obesi. La malattia
si chiama «sleep apnea» ma nonostante il suo nome non ha nulla da
spartire con il mondo subacqueo. I sintomi: addormentarsi troppo
rapidamente, russamento, continui risvegli notturni, che finiscono
con l'influire pesantemente sulla qualita' della vita del paziente,
anche quella lavorativa; sonnolenza e mal di testa al mattino. Sulle
colline del Novarese, nella clinica del lavoro e della riabilitazione
di Veruno (Fondazione Maugeri) e' sorto un laboratorio per la
polisonnografia, cioe' per la rilevazione delle patologie
respiratorie che si manifestano durante il sonno. Il laboratorio e'
attrezzato per individuare le patologie legate alla «sleep apnea» e
indicarne le cure. I pazienti che arrivano qui - spiegano i
responsabili del laboratorio Alberto Braghiroli e Carlo Sacco -
spesso soffrono di cefalea, russano, trascorrono notti agitate e sono
facili al risveglio improvviso con un senso di soffocamento. Insomma,
la conseguenza e' che sono quasi sempre di umore nero. Chi e'
soggetto a sleep apnea risulta assonnato e spesso si addormenta
addirittura durante la prima visita. La terapia consigliata inizia
gia' nel laboratorio, una normale cameretta d'ospedale, dove il
paziente e' ricoverato per una notte. Alle pareti poster che
riproducono paesaggi di mare e montagna. Una telecamera, una
ragnatela di tubicini connessi al letto. Il paziente non deve fare
altro che dormire (o per lo meno tentare di dormire) proprio come a
casa. L'unica differenza, importante, consiste nel fatto che il suo
sonno e' «spiato» dai sensori e dalla telecamera: un operatore al
computer controllera' tutte le informazioni inviate dagli strumenti.
Il mattino dopo il dormiente conoscera' se il suo caso puo' rientrare
nella patologia della «sleep apnea». Il centro di Veruno ha svolto
anche un sondaggio testando un campione di ottocento persone. Grazie
ai dati cosi' raccolti, i medici hanno disegnato un identikit tipo
del paziente soggetto a questa patologia: generalmente la «sleep
apnea» e' dovuta a malformazione delle vie aeree, connessa a
determinate caratteristiche fisiche come l'obesita', il collo corto e
la mandibola piccola. Le pareti della faringe vibrano al passaggio
dell'aria durante il sonno in modo cosi' energico da provocare il
classico rumore del russamento e da congiungersi tra loro, impedendo
il transito dell'aria. «Non respirando - spiegano i medici - le
riserve d'ossigeno si impoveriscono finche' un brevissimo risveglio,
talmente breve che in genere il paziente non lo ricorda neppure,
consente la ripresa della respirazione. Il vero problema di questi
pazienti e' che spesso non sono consapevoli di aver maturato la sleep
apnea, negano di russare e addirittura di avere sonno». La soluzione
consiste nel far riprendere i normali ritmi sonno-veglia. I
ricercatori hanno messo a punto un apparecchio chiamato «C Pap»
(Continuous positive airway pressure) che esercita una pressione
continua a livello delle vie aeree permettendo a chi lo usa di
respirare bene durante il sonno. La macchinetta e' collegata con un
tubo e una mascherina al paziente. La terapia, naturalmente, va
proseguita per anni. Gianfranco Quaglia
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ALLARME OMS
Le nuove malattie infettive
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
CHE possano comparire infezioni nuove e' risaputo, basta pensare
all'Aids. Ma negli ultimi tempi, a parte questo evento eccezionale,
si e' avuta un'esplosione di inconsuete manifestazioni nel vasto
dominio della patologia infettiva, che si riteneva ormai
stabilizzato. Molti fattori hanno concorso a modificare il panorama
infettivo, in primo luogo gli straordinari progressi della tecnologia
per riconoscere nuovi microrganismi patogeni: perfezionamento dei
terreni di coltura, scoperta degli anticorpi monoclonali per una fine
analisi degli antigeni dei microrganismi e una diagnosi rapida, e
soprattutto la biologia molecolare, una vera rivoluzione per la
infettivologia, che consente di mettere in evidenza microrganismi non
identificabili in altro modo. Si veda la Pcr (Polymerase Chain Rea
ction), una tecnica proposta dall'americano Mullis (premio Nobel
1993) mediante la quale da una molecola di Dna se ne possono generare
in poche ore miliardi, un passo da gigante nelle scienze biologiche,
e nel campo delle malattie infettive applicabile a ricercare
microrganismi sconosciuti. Sono stati individuati molti nuovi
microrganismi causa di manifestazioni patologiche nell'uomo. Dicendo
microrganismi «nuovi» si intendono varie possibilita': gia' noti in
patologia veterinaria o vegetale ma non ancora per l'uomo; gia' noti
ma rivelatisi in rapporto con malattie finora non considerate
«infettive» (vedi Helicobacter pylori in rapporto con l'ulcera
gastroduodenale, vedi virus responsabili di tumori o di malattie
degenerative del sistema nervoso centrale quali le encefalopatie
subacute spongiformi trasmissibili - la «mucca pazza»); infine
veramente nuovi, probabilmente mutanti di microrganismi non patogeni
per l'uomo e circolanti nell'ambiente, piuttosto che entita'
realmente nuove (un esempio e' il virus dell'Aids). Inoltre sono
state identificate una trentina di nuove malattie. Ancora qualche
anno fa si aveva l'impressione che la lunga lotta ingaggiata per
eliminare le malattie infettive fosse pressoche' compiuta: il vaiolo
era stato cancellato, una mezza dozzina di altre malattie erano
oggetto d'una campagna di sradicamento, 8 bambini su 10 nel mondo
erano vaccinati contro infezioni gravi, gli antibiotici guarivano.
Purtroppo nonostante questi successi l'ottimismo si e' rivelato una
illusione: le malattie infettive rimangono la principale causa di
morte nel mondo, almeno 17 milioni ogni anno, la maggior parte
bambini. Come dice il rapporto dello scorso anno dell'Organizzazione
mondiale della sanita', la lotta contro le malattie infettive e'
sempre piu' difficile, la tubercolosi e la malaria che sembravano
dominate sono in ripresa, altre come il colera e la febbre gialla
colpiscono regioni un tempo risparmiate, talune infezioni mostrano
grande resistenza ai farmaci, nuove malattie mortali (come la febbre
emorragica di Ebola per la quale non esistono ne' cure ne' vaccini)
fanno la loro comparsa in numerose zone della Terra. E ancora, il
ruolo dei virus dell'epatite e di altri agenti infettivi nello
sviluppo di numerosi tipi di tumore e' sempre piu' manifesto. Ne
deriva una crisi mondiale: nessun Paese e' al riparo dalle malattie
infettive, lo sviluppo socio-economico di numerosi Paesi e'
ostacolato dal peso di questo fardello, la maggior parte dei
progressi realizzati per la salute umana sono oggi rimessi in
discussione. Naturalmente si tratta di problemi diversi nei Paesi
industrializzati, nelle grandi metropoli, nei Paesi in via di
sviluppo. Dobbiamo pero' attenderci progressi importanti in due
principali direzioni. La prima e' l'aumento della rapidita' e
sensibilita' della diagnosi microbiologica grazie agli anticorpi
monoclonali, alle sonde molecolari sempre piu' raffinate, alle
tecniche di Pcr e di quelle affini (Li gase Chain Reaction). La
seconda e' l'epidemiologia molecolare, ossia lo studio della
variabilita' genetica dei microrganismi, che fara' meglio comprendere
la fisiopatologia delle malattie infettive e conoscere il loro reale
impatto nelle popolazioni grazie a test diagnostici sempre piu'
specifici. Ulrico di Aichelburg
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. APPRENDIMENTO
Il bambino e' poliglotta per natura
Puo' imparare senza sforzo
OAUTORE GIACOBINI EZIO
OARGOMENTI biologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Le zone del cervello che controllano il linguaggio
OSUBJECTS biology
PONIAMO che una famiglia torinese con un bambino di quattro anni
debba spostarsi per ragioni di lavoro a Pechino. Dilemma dei
genitori: mandare il bambino ad una scuola materna di lingua cinese o
ad una di lingua italiana? Risposta: dal punto di vista linguistico
la scelta non ha nessuna importanza. Frequentando un asilo cinese e
usando l'italiano in casa, dopo un anno il bambino parlera'
correntemente sia il cinese sia l'italiano. Complichiamo un tantino
la situazione supponendo che la madre non possa stare a casa e che
sia necessario assumere una governante per le ore libere. Purtroppo
la governante parla solo l'inglese. Conseguenza: a sei anni il
bambino parlera' correntemente il cinese e l'italiano e in piu'
comprendera' ottimamente anche l'inglese. Spiegazione: il cervello di
un bambino di intelligenza normale (senza alcun dono particolare per
le lingue) e' in grado di apprendere fino a tre lingue diverse nel
periodo dai 3 anni ai 7 anni senza molti sforzi. Di fatto non e'
difficile imbattersi in casi del genere in un mondo che vede
spostamenti sempre piu' frequenti per motivi di lavoro. Se pensiamo
che solo il 10 per cento degli italiani (contro il 70 per cento degli
scandinavi e degli olandesi) parla correntemente una seconda lingua
europea, ci rendiamo conto non solo della carenza delle nostre scuole
ma anche della miopia dei genitori italiani. Che molti svizzeri siano
veri trilingui puo' essere verificato semplicemente acquistando dei
francobolli in un ufficio postale svizzero usando a piacere (o
alternandole) una delle tre lingue ufficiali del Paese e aggiungendo
talvolta anche l'inglese. Ma come puo' il cervello umano apprendere,
assorbire e conservare tutti questi vocaboli? In quali parti del
cervello sono rappresentate e collocate le linge apprese o
contemporaneamente o in tempi diversi della nostra vita? Vengono
stratificate nel cervello come fette di salame in un panino oppure
sono totalmente separate? Per una separazione spaziale parlano le
osservazioni fatte su persone che avendo acquisito prima una lingua
materna e poi una seconda lingua locale (che hanno usato per tutta la
vita), in caso di un danno (traumi, tumori, embolie) disimparino la
seconda e ritornino a parlare la prima. Altri casi sono quelli di
pazienti a cui venne rimossa una parte del lobo temporale del
cervello in seguito a terapia chirurgica per casi particolari
d'epilessia e che passino ad usare la lingua secondaria invece della
primaria. Nei poliglotti la stimolazione elettrica di zone corticali
puo' sopprimere temporaneamente l'uso di una singola lingua. Nel
corso di una traduzione si possono registrare spostamenti
dell'elettroencefalogramma ad aree diverse del cervello a seconda
della lingua utilizzata dall'interprete. Solo metodi come la
risonanza magnetica funzionale o la tomografia ad emissione di
positroni permettono di determinare la relazione spaziale tra la
lingua materna e una seconda lingua nella corteccia cerebrale. Un
gruppo di neuroscienziati della Cornell University e del Centro
Sloan-Kettering di New York, usando tali metodi, hanno esaminato sei
soggetti bilingui tardivi (ad esempio italiano-tedesco) con
acquisizione della seconda lingua da adulti e sette soggetti bilingui
precoci (acquisizione della seconda lingua nell'infanzia
contemporaneamente alla prima). Ad essi venne chiesto di svolgere dei
test linguistici in due lingue, ad esempio la descrizione di
avvenimenti svoltisi durante un periodo particolare del giorno
precedente alternando le due lingue. Si pote' cosi' dimostrare, con
la risonanza magnetica funzionale, che nella corteccia del lobo
frontale nella regione sensibile al linguaggio, esiste una netta
separazione tra la seconda lingua acquisita tardivamente e la lingua
materna. Nel caso in cui le due lingue siano state imparate
contemporaneamente e precocemente esse sono rappresentate nelle
medesime aree dello stesso lobo frontale. Esiste inoltre una seconda
rappresentazione spaziale delle due lingue in una stessa area
appartenente al lobo temporale. Questi risultati fanno pensare che
esistano funzioni e ruoli diversi riservati a zone corticali separate
e distinte che possono essere attivate diversamente a seconda
dell'eta' in cui si impara la lingua e che dipendono dalla sequenza
secondo la quale esse vengono apprese. Ezio Giacobini
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ECOLOGIA
Le acque italiane sono invase da pesci stranieri
Il quaranta per cento della nostra fauna ittica non e' originaria ma
importata
OAUTORE GIULIANO WALTER
OARGOMENTI ecologia, zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology, zoology
QUASI il 40 per cento della fauna ittica del nostro Paese e'
alloctona, cioe' non originaria: e' urgente intervenire per tutelare
la biodiversita' delle nostre acque, in particolare per le specie
salmonicole, alcune delle quali minacciate di estinzione, come la
trota marmorata e la trota macrostigma, comprese come specie di
interesse comunitario nella direttiva europea «Habitat». Le specie
del genere Salmo presentano una grande variabilita' nei caratteri
morfologici e nelle livree, che dipendono dagli adattamenti
ambientali. I piu' recenti studi sull'ittiofauna europea indicano
l'esistenza di due sole specie indigene: il salmone atlantico,
migratore che depone le uova in acque dolci per poi andare verso il
mare, presente nelle aree settentrionali del continente, e la trota,
con popolazioni migratrici o stanziali in acqua dolce, e varie
sottospecie, presenti in tutta Europa. Per quel che concerne la
trota, progenitrice delle varie forme e sottospecie viventi nella
maggior parte del continente, puo' essere considerata la Salmo
trutta trutta. Le vicende geografiche e climatiche del periodo
glaciale e gli aspetti morfologici dei bacini idrografici sono stati
all'origine della sua evoluzione. Per l'area mediterranea il ruolo
delle varie forme indigene puo' essere assegnato alla Salmo trutta
macrostigma. La situazione sistematica e zoogeografica tuttavia e'
piuttosto ingarbugliata, sia per la relativa facilita' con cui le
varie forme si ibridano tra loro, sia per cause che dipendono
dall'uomo. L'importanza commerciale della specie e la politica della
pesca sportiva da oltre un secolo hanno dato il via a cospicui
ripopolamenti con pesci selezionati da ditte specializzate. Cio' ha
comportato alterazioni nel quadro distributivo e causato
l'inquinamento genetico delle popolazioni naturali. L'attuale quadro
sistematico accredita, in Italia, la presenza di Salmo carpio,
endemica del Lago di Garda, Salmo fibreni, nuova specie endemica del
Lago di Posta Fibreno, Salmo trutta con le sottospecie trutta, mar
moratus e macrostigma. Per la prima i problemi vengono dalla forte
pressione della pesca e dai ceppi utilizzati per le semine, con la
conseguente ibridazione di quelli indigeni che ne hanno determinato
la scomparsa. La trota marmorata e' in diminuzione in gran parte
dell'Italia settentrionale: e' soprattutto l'immissione di trote
fario nel suo habitat caratteristico ad averne causato l'ibridazione,
con la conseguente comparsa di individui con caratteri intermedi tra
le due forme. La trota macrostigma risente degli areali isolati,
localizzati nel versante tirrenico dell'Italia centro meridionale e
isole, e della forte pressione della pesca, spesso esercitata anche
con metodi illegali. Salmo carpio e Sal mo fibreni, endemiche dei
singoli bacini, derivano da questa caratteristica la loro alta
vulnerabilita'. Come si vede da questa sintetica ricognizione, siamo
di fronte a una situazione che richiede programmi e progetti di
salvaguardia. Una interessante proposta di ricerca per la
caratterizzazione ecologica e genetica e conseguente salvaguardia
della biodiversita' dei popolamenti salmonicoli d'acqua dolce in area
mediterranea, viene dall'Associzione Italiana Ittiologi Acque Dolci e
dal Dipartimento di Produzioni Animali Epidemiologia ed Ecologia
della Facolta' di Veterinaria dell'Universita' di Torino, ed e' stata
presentata al ministero per l'Ambiente. La fasi del progetto
prevedono l'individuazione di tutti gli elementi faunistici ancora
recuperabili nelle zone in cui le immissioni non abbiamo gia' causato
modifiche irreversibili del patrimonio genetico, lo studio della
diversita' genetica tra le varie forme di salmonidi attraverso
tecniche di elettroforesi delle proteine e dei frammenti di
restrizione del Dna. Al di la' dell'interesse scientifico, lo studio
della variabilita' genetica a livello molecolare e' alla base di
un'adeguata strategia di gestione delle popolazioni naturali,
rispettandone le diversita' genetiche, identificando con certezza le
popolazioni pure da utilizzare nei ripopolamenti e misurando
l'impatto di questi ultimi sulle popolazioni naturali. Dal punto di
vista pratico, il risultato della ricerca consentirebbe proprio di
individuare ceppi autoctoni utilizzabili per operazioni di recupero
di queste importanti componenti della biodiversita' europea. Ma per
allontanare il pericolo di estinzione sara' indispensabile una serie
di misure di salvaguardia, come l'istituzione di riserve fluviali,
programmi di riproduzione artificiale con ceppi puri e, soprattutto,
una sensibilizzazione dei pescatori e degli organismi di gestione
della pesca che dovranno progressivamente abbandonare la pratica dei
ripopolamenti delle acque interne con specie estranee al patrimonio
genetico locale. Walter Giuliano
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL TASSO
Un albero elegante ma velenoso
OAUTORE ACCATI ELENA
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS botany
L'AUSTRIA e' probabilmente il Paese europeo dove il tasso e' piu'
diffuso. In questo Paese, infatti, il tasso viene impiegato non come
esemplare isolato e maestoso, a volte anche un po' funebre come
accade da noi, ma al contrario, come albero decorativo, sfruttando la
sua duttilita' e la sua risposta alla potatura, che permette di
sagomarlo in forma di cono, palla, piramide o cubo: un fatto, questo,
che gli conferisce un aspetto allegro e piacevole, rendendolo adatto
alle piazze delle citta', ai giardini storici e ai parchi pubblici.
Poche specie compongono ormai il genere Taxus della famiglia delle
Taxacee, assai piu' diffuso e abbondante nei tempi preistorici. E'
presente attualmente in Europa, in Asia e nell'America
settentrionale. Ben noto per la sua longevita', il tasso cresce molto
lentamente: un esemplare piantato in Scozia nel 1126 ha un diametro
di appena 120 centimetri! I tassi sono piante dioiche, cioe'
possiedono fiori maschili riuniti in infiorescenze globose, rotonde,
di colore giallo, e fiori femminili solitari, verdi, portati su
individui separati, come accade anche nel caso del Kiwi (l'Actinidia
sinensis). Le foglie, di colore verde scuro nella pagina superiore e
verde chiaro in quella inferiore, portate da un breve picciolo, sono
ravvicinate e disposte su due file. Il falso frutto e' costituito da
un seme osseo circondato da una formazione carnosa, l'arillo, di
colore rosso brillante contrastante piacevolmente con il verde scuro
delle foglie persistenti durante tutto l'anno. Della polpa dolce
dell'arillo, utilizzata per preparare marmellate e uno sciroppo
espettorante, sono ghiotti gli uccelli; mentre il seme e' velenoso,
come anche varie parti della pianta. «Albero della morte» lo
chiamavano infatti sia Dioscoride sia Plinio, alludendo alla
velenosita' dovuta alla presenza nelle foglie di un alcaloide (la
tassina), anche se sono state prescritte in passato come succedaneo
della digitale. La tossicita' delle foglie varia con i diversi
periodi dell'anno: e' maggiore quando le foglie sono fresche e nei
mesi invernali. Anche Ovidio collega il tasso a immagini funeree;
infatti scrive di come la strada che conduce agli inferi sia
ombreggiata di tassi, d'altra parte i romani nei giorni di lutto
ornavano il capo di ghirlande di tasso. Sembra che in passato i
cavalli, specialmente quelli addetti alle imprese funebri, siano
stati vittime di avvelenamento in quanto mangiavano le foglie di
tassi nei cimiteri. Cicerone elogia l'abilita' dei giardinieri romani
bravissimi nell'«ars topiaria», cioe' nel modellare sapientemente
tasso e bosso non solo in figure geometriche, ma anche in personaggi,
animali, barche. Il tasso non ha importanza come specie forestale; il
legno, arancione brunastro, se lucidato puo' pero' dare ottimi
risultati; nel passato la sua elasticita' e compattezza erano molto
apprezzate, e infatti veniva usato per fabbricare archi. L'interesse
prevalentemente decorativo e' comprensibile anche per l'esistenza di
varieta' di Taxus baccata come Adpressa, assai folta, con rami
sottili e germogli penduli che portano foglie piccole ovali, Aurea,
derivata dalla precedente con foglie di colore giallo oro; Dova
stonii con fusto centrale breve e branche lunghe leggermente
ascendenti che portano rametti e foglie pendenti; Fastigiata,
conosciuta anche come Tasso irlandese, una varieta' femminile a
portamento eretto e colonnare con foglie che ricoprono completamente
i rami. Anche se il Taxus baccata e' il piu' conosciuto, sono note e
impiegate altre specie di tasso distinguibili in base alla
dimensione, al colore o alla forma delle foglie che nel Taxus
brevifolia (detto anche tasso occidentale) sono lunghe soltanto
0,6-1,7 centimetri, a differenza dei 3-5 centimetri del Taxus
baccata; nel Taxus chi nensis (tasso cinese) sono falcate, mentre nel
Taxus cuspi data sono di un colore verde molto scuro. Elena Accati
Universita' di Torino
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. RISCHI DELLE VACANZE ESOTICHE
Quelle meduse belle e assassine
La specie piu' pericolosa infesta i mari d'Oriente
OAUTORE PERELLI MATTEO
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Ciclo riproduttivo della medusa Aurelia
OSUBJECTS zoology
SIMILI a eleganti mongolfiere che fluttuano nell'immensita' degli
abissi marini, le meduse dal punto di vista evolutivo si trovano al
fondo della scala zoologica, subito dopo le spugne: come gli anemoni
di mare, i coralli e le gorgonie, appartengono al gruppo degli
Cnidari, vasto insieme di celenterati che si nutrono di prede
catturate mediante capsule urticanti chiamate cnidociti o nematociti.
Questi organi urticanti non servono solo alla cattura delle prede ma
anche come mezzo di difesa dai possibili aggressori. Essi sono
costituiti da batterie di cellule velenose specializzate di forma
ovoidale contenenti al loro interno un bastoncello estroflettibile,
intorno al quale e' avvolto a spirale un lungo e minuscolo tubo
uncinato dal quale esce la sostanza urticante. Migliaia di siringhe
miniaturizzate pronte a iniettare il proprio veleno al minimo
sfioramento. Le vittime di solito sono pesciolini e gamberetti, che
vengono paralizzati, portati alla bocca dai tentacoli e divorati.
Delle duecento specie di meduse esistenti, solo settanta sono
pericolose per l'uomo. La medusa piu' pericolosa vive negli oceani
Pacifico e Indiano e rende alquanto rischiosa la balneazione in Nuova
Guinea, nelle Filippine e in Australia. E' la famigerata Chironex fle
ckeri, o medusa «cubo». I lunghissimi tentacoli di questa specie
contengono tossine micidiali che possono causare la morte in pochi
minuti necrotizzando i tessuti e distruggendo le cellule del sangue
della vittima. Nel Mediterraneo la piu' urticante e' la bellissima
Pelagia noctiluca: infligge ustioni dolorose, ma che passano nel giro
di qualche ora. Deve il suo nome al fatto che, se si ha la fortuna di
osservarla di notte (e da una imbarcazione), al tocco di una mano o
di una minima turbolenza dell'acqua si illumina di tanti puntini rosa
e lilla, rischiarando il mare. Gli Cnidari a cui appunto appartengono
le meduse sono noti fin dall'era primaria, in cui le meduse fossili
presentavano gia' l'aspetto di oggi. A Ediacara, giacimento nel Sud
dell'Australia, sono state ritrovate le piu' antiche impronte di
meduse, databili al precambriano, cioe' a 600 milioni di anni fa;
molto prima di 225 milioni di anni fa, quando comparvero i dinosauri.
Non e' quindi necessario ricorrere alla clonazione di meduse fossili,
anche se perfettamente conservate, come alcuni scienziati e lo
scrittore Michael Crichton nel celebre «Jurassic Park» hanno
ipotizzato per i dinosauri, bensi' e' sufficiente tuffarsi nel nostro
mare per poter apprezzare creature marine cosi' come si presentavano
milioni di anni or sono. Se poi non vogliamo correre rischi, le
possiamo comodamente osservare all'Acquario di Genova dove dal giugno
scorso e' stata allestita una vasca a forma di cilindro: una colonna
d'acqua alta sette metri con un diametro di 240 cm ed una capacita'
di 30 mila litri, dove volteggiano in un flusso d'acqua circolare
oltre 200 meduse appartenenti alla specie Aure lia aurita. Questa
specie, chiamata anche medusa «quadrifoglio» per la forma che il suo
apparato digerente disegna al centro dell'ombrella, e' diffusa in
tutti i mari temperati del mondo. Nell'osservarle pulsanti nell'acqua
trasmettono una sensazione di pace. Le meduse sono costituite al 95
per cento di acqua; non hanno testa, scheletro ne' organi per la
respirazione e l'escrezione, ma sono costituite da due strati di
tessuti epiteliali con all'interno una sostanza gelatinosa chiamata
mesoglea. Questo non impedisce alle meduse di possedere un apparato
digestivo, organi sensoriali, cellule muscolari e urticanti, e
neuroni. L'ombrella pulsando permette i movimenti. Alla base si
inserisce una formazione tubolare, il manubrio, alla cui estremita'
si apre la bocca. L'Aurelia presenta molti tentacoli che partono dal
margine inferiore dell'ombrella, mentre, intorno alla bocca, sono
disposte quattro lunghe braccia orali. Hanno poi organi sensoriali
detti ropali che intervengono nel mantenimento dell'equilibrio e sono
inoltre sensibili alla luce consentendo all'animale di riconoscere la
propria posizione rispetto al fondo marino, distinguere l'ombra dalla
luce, stabilire la direzione delle correnti. La riproduzione e'
alquanto particolare, la forma tipica ad ombrello rappresenta solo
uno stadio del complesso ciclo vitale delle meduse. Ad esempio
l'Aurelia passa gran parte della sua vita sul fondo. Esistono
individui maschi e femmine che, al momento della riproduzione,
rilasciano gameti (cellule sessuali maschili e femminili) in acqua.
L'uovo fecondato da' luogo a una larva che si fissa sul fondo ed
assume la forma di polipo. Il polipo comincia a riprodursi generando
tante piccole giovani meduse dette efire che cresceranno fino a
diventare adulte. Quale migliore stratagemma per lo sviluppo della
vita, la creazione di esseri costituiti per la maggior parte d'acqua,
liberi di fluttuare per il mare privi di veri e propri organi ed
apparati, con unicamente delle cellule organizzate in tessuti.
L'evoluzionista americano Gene Bylinsky, autore del libro «La vita
nell'universo di Darwin», ipotizzando lo sviluppo nell'universo di
forme di vita alternativa a quelle terrestri, penso' alla probabile
esistenza di creature simili a meduse. In pianeti con un'atmosfera
piu' densa rispetto alla nostra potrebbero infatti trovarsi a loro
agio esseri medusoidi, come per i pesci e gli altri animali acquatici
e' invitante l'oceano. Fantabiologia a parte, e' importante
sottolineare che le meduse sono estremamente utili all'uomo: per
esempio, grazie ai meccanismi biologici che servono a produrre
luminescenza, le meduse del genere Aequorea sono utilizzate per
studiare rimedi contro il cancro. Nel 1991 alcune meduse vennero
perfino inviate nello spazio per studiare gli effetti dell'assenza di
gravita' sull'uomo. Le meduse sono indispensabili all'equilibrio
dell'ecosistema pelagico, rappresentando un anello importante della
catena alimentare marina. La grande tartaruga liuto e varie specie di
pesci, come il pesce luna, sono ghiotte della sua gelatina. Impariamo
quindi a conoscere e rispettare queste creature oceaniche la cui
presenza in mare e' spesso indice di acqua pulita, anche se talvolta
ci possono creare qualche piccolo inconveniente. Matteo Perelli
Biologo ricercatore presso l'Acquario di Genova
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. TRA DUE ANNI IN ORBITA
Telescopio multiplo per raggi X
Un progetto europeo con l'Italia in prima fila
OAUTORE MUSSO CARLO
OARGOMENTI astronomia, aeronautica e astronautica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy, aeronautics and astronautics
TRA due anni l'Agenzia spaziale europea lancera' uno dei piu'
ambiziosi satelliti per astronomia mai realizzati. Si chiama Xmm e
permettera' di raccogliere immagini e informazioni sull'energia di
sorgenti di raggi X fino a cento volte piu' deboli di quelle finora
conosciute. I raggi X sono fotoni di alta energia che vengono emessi,
in diversa misura, da molti oggetti celesti: stelle, galassie,
ammassi di galassie, nebulose... Ma in particolare essi sono prodotti
in situazioni fisiche molto peculiari: esplosioni di supernovae,
emissione da parte di stelle di neutroni, buchi neri o quasar. Dato
che, fortunatamente per noi, l'atmosfera assorbe i raggi X
provenienti dallo spazio, l'astronomia X e' una disciplina
tipicamente spaziale e, di conseguenza, piuttosto giovane. Nel 1949
Friedman pote' rivelare per la prima volta, grazie a un contatore
Geiger fatto volare con un razzo V-2, che il Sole emette raggi X. Nel
1962, con un rivelatore delle dimensioni di una carta di credito a
bordo di un razzo, Riccardo Giacconi osservo' la prima sorgente X
celeste. Per avere la prima missione interamente dedicata
all'astronomia X in orbita intorno alla Terra bisogna aspettare il
1970 e il satellite «Uhuru». Da qui in poi un gran numero di
missioni, sia su satelliti sia su razzi e palloni stratosferici, ha
costruito, passo dopo passo, la storia dell'astronomia X. Con ragione
Xmm e' stato paragonato all'Hubble Space Te lescope, poiche' da esso
ci si aspettano, in astronomia X, progressi paragonabili a quelli
realizzati nel campo dell'astronomia tradizionale grazie al famoso
telescopio orbitante della Nasa. Con Xmm, l'Europa ha la grande
occasione di stabilirsi saldamente in prima linea nel settore delle
grandi missioni spaziali. In questo progetto l'Italia ha un ruolo di
primo piano: oltre a uno dei tre strumenti scientifici - quello che
permettera' di fare fotografie del cielo nei raggi X - e a molte
parti dell'elettronica di bordo, vengono realizzati in Italia anche
gli specchi dei telescopi, sviluppando una tecnologia estremamente
sofisticata, gia' sperimentata con successo per il satellite italiano
Sax. I raggi X, a differenza della luce visibile, non vengono
riflessi dagli specchi tradizionali. E' possibile pero' sfruttare il
fenomeno fisico per cui, se i fotoni X incidono quasi parallelamente
su una superficie sufficientemente liscia, per esempio d'oro, vengono
riflessi e quindi possono essere focalizzati in un punto. A bordo di
Xmm - che significa X-ray Multi Mirror - ci saranno ben tre telescopi
indipendenti. Il loro peso complessivo sara' di quasi una tonnellata
e mezzo, cioe' piu' di un terzo della massa totale dell'intero
satellite. A contendere a Xmm il ruolo guida nell'astronomia X dei
prossimi anni, ci sara', ancora una volta, un satellite americano:
Axaf - Advanced X-ray Astrophysical Facility. La sfida si
preannuncia molto impegnativa, e una verifica si avra' soltanto
quando i due satelliti saranno in orbita. Ma i presupposti perche'
Xmm possa giocare con successo le proprie carte ci sono tutti. Uno
dei segreti dell'astronomia e' quello di raccogliere la maggior
quantita' possibile di luce proveniente dagli oggetti che si vogliono
osservare. I telescopi ottici si distinguono, tra le altre
caratteristiche, per il diametro degli specchi: uno specchio piu'
grande permette di raccogliere piu' fotoni e quindi di osservare
sorgenti piu' deboli. Lo stesso vale per un telescopio per raggi X.
Un altro segreto e' quello di avere a disposizione, per ogni
categoria di sorgenti, i dati di un buon numero di esemplari. I
tempi-scala tipici in astronomia sono di migliaia di anni - se non
milioni. Dato che non e' possibile seguire un oggetto nell'intero
corso della sua vita, bisogna osservarne molti di eta' diversa, per
capire la loro evoluzione. Quello che fara' di Xmm un protagonista
assoluto nei prossimi anni sara' proprio la grande capacita' di
raccogliere i fotoni: l'area efficace dei suoi tre telescopi sara'
sei volte maggiore di quella del suo rivale americano Axaf. Questo
significa che Xmm con i suoi strumenti vedra' alcune decine di
milioni di sorgenti di raggi X, cioe' quasi mille volte di piu' di
quante ne siano state viste finora. Se manterra' le sue promesse, Xmm
sara' davvero una pietra angolare nel panorama dell'astronomia
spaziale, e costituira' anche un segnale forte di un'Europa capace di
realizzare progetti importanti e competitivi. Questo non potra' che
aiutare nel non facile cammino verso una unione che non sia solo
economico-finanziaria, ma anche scientifica e culturale. Carlo Musso
Cnr, Milano Istituto di fisica cosmica
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. IN PROVA A ROMA
Elettro-bastone aiutera' i ciechi
OAUTORE BONZO MARIALUISA
OARGOMENTI tecnologia
ONOMI PARETTI CLAUDIO
OORGANIZZAZIONI ENEA, IRIFOR
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OSUBJECTS technology
CHIEDO timidamente a Claudio Paretti, capo del Dipartimento
Tecnologie per la qualita' della vita dell'Enea: «Mi fa provare?».
Metto alla vita il Walk Assistant (e' grande poco piu' di un
walkman), l'auricolare all'orecchio. Afferro il bastone bianco come
faccio di solito, nella mano destra, con il dito indice disteso lungo
l'impugnatura. Questa presa permette, a chi come me non vedendo usa
il bastone bianco per muoversi, di controllare che l'arco fatto con
la punta dello stesso davanti a se' sia parallelo e a pochi
centimetri da terra. Il polpastrello del dito indice destro e' su un
piccolo incavo. A parte questo il bastone e' tradizionale, il peso e'
lo stesso di quello che uso tutti i giorni. Inizio a muoverlo,
proprio come se stessi utilizzando il mio per le vie che conosco
nella mia citta', Torino. Invece sono a Roma in piazza di Trevi, dove
da sola non sono mai stata. Sulla punta del bastone e' stato posto un
sensore elettromagnetico che capta il segnale emesso da un cavo (un
doppino telefonico nascosto nella pavimentazione) facendo vibrare
l'incavo sotto l'indice. Seguo, prima titubante, il cordone virtuale,
che percepisco come una vibrazione, unico riferimento nel luogo
aperto della piazza. Il Walk Assistant, quando entro nel raggio di
targhette elettroniche poste sul percorso, mi da' delle rapide
informazioni vocali, mi dice quali vie sto incrociando, in che
direzione sto andando. Se mi fermo quando mi annuncia che sono di
fronte ad un'opera d'arte, posso ascoltarne la descrizione. Variando
la mia posizione rispetto alle targhette cambiano le informazioni ed
ho sempre la collocazione esatta degli ostacoli e degli elementi
architettonici. Il Walk Assistant consiste di tre microprocessori,
tre computer in miniatura, che danno livelli diversi di informazione.
Il primo gestisce la bussola elettronica e permette di avere
automaticamente la posizione. Mi basta premere un pulsante per
conoscerla. Il secondo gestisce il sistema vocale e di risposta
automatica. Il terzo e' il supervisore: controlla che tutto funzioni.
Prendo sicurezza e continuo a camminare seguendo le informazioni
tattili-sonore del sistema, senza pero' scordare le tecniche che uso
normalmente. Cio' mi evita di finire contro un'auto parcheggiata sul
tragitto e mi permette di attraversare la via ascoltando il rumore
del traffico. Ho semplicemente un riferimento in piu'. La
caratteristica che rende l'automatismo differente dai percorsi
guidati per ciechi finora sperimentati sta nella doppia informazione
data al non- vedente, che non compromette le tecniche comunemente
usate per la mobilita'. Il disabile visivo percepisce una specie di
corrimano, virtuale si', ma affidabile e sempre presente. In questo
sta la superiorita' dell'apparecchio rispetto alle sperimentazioni di
guida con il satellite, dove c'e' solo una voce che da' dei comandi e
manca una sensazione diretta del percorso. Il cavo, e' certo non si
perde, ne' si stacca mai. Al contrario il satellite, quando per
esempio il non- vedente e' in una strada stretta, puo' diventare
anche lui cieco. Il sistema e' un progetto del Dipartimento
Tecnologie per la qualita' della vita dell'Enea. Sperimentato fin dal
'96 lungo tracciati protetti nel centro Enea della Casaccia (Roma),
e' ora in prova in una vetrina d'eccezione: piazza Fontana di Trevi.
Grazie alla semplicita' e alla sicurezza nell'utilizzo quest'ausilio
tattile-vocale potra' essere usato in ambienti complessi come
aeroporti, stazioni, metropolitane, uffici pubblici, nonche' in
percorsi cittadini favorendo notevolmente l'autonomia dei non
vedenti. Un sistema di microfresatura permette inoltre una
installazione del filo rapida e a basso costo, con un impatto minimo
sull'ambiente. In caso di conferenze o di fiere si puo' utilizzare un
nastro adesivo conduttore, facilmente eliminabile alla fine della
manifestazione. Il prototipo in piazza di Trevi, e' stato finanziato
dal Comune di Roma e realizzato con la consulenza dell'Irifor (ente
di ricerca dell'Unione Italiana Ciechi). Il progetto si inserisce in
un piu' ampio programma dell'amministrazione comunale romana di
abbattimento delle barriere architettoniche, per rendere la citta'
pronta per accogliere tutti i pellegrini e i turisti che arriveranno
per il Giubileo. La collaborazione dell'Unione Ciechi rientra nel
piano di attenzione dell'Enea verso gli utenti a cui sono destinati i
progetti e alle loro associazioni. Marialuisa Bonzo
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. NUOVE TECNOLOGIE
Aerei a idrogeno?
Va avanti un progetto russo-tedesco
OAUTORE FOCHI GIANNI
OARGOMENTI tecnologia, trasporti
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology, transport
SEI maggio 1937: durante l'atterraggio a Lakehurst, negli Stati
Uniti, s'incendia il grande dirigibile tedesco Hindenburg, pieno
d'idrogeno: in 32 secondi diventa un mucchio di rottami fumanti. Il
disastro segna la fine per la navigazione aerea affidata al
galleggiamento. Sessant'anni dopo, l'idrogeno viene riproposto non
perche' e' piu' leggero dell'aria, ma perche' puo' essere usato come
combustibile. Gia' nel 1956 gli Stati Uniti progettarono un
bombardiere B57 a idrogeno: allora, pero', la disponibilita' di
petrolio scoraggio' sviluppi concreti. La situazione oggi e' diversa:
lo spettro della crisi energetica e i timori per un aumento
dell'effetto serra (legato al consumo d'idrocarburi) incombono sulle
prospettive del secolo venturo. L'idrogeno diventa percio'
allettante, perche' puo' derivare da fonti non fossili, e perche'
bruciando non genera biossido di carbonio. Non elimina tuttavia la
formazione di vapor d'acqua, che pure ha un effetto serra; anzi, un
jet a idrogeno ne scaricherebbe di piu' di quelli convenzionali.
Bisogna pero' ricordare che, se vediamo nel cielo le scie degli aerei
a reazione, cio' significa che a quelle quote il vapor d'acqua si
trasforma in cristalli di ghiaccio: neppure le nuvole, del resto,
sono ammassi di vapore (se lo fossero, sarebbero invisibili). Anche
il ghiaccio ha un effetto serra, che pero' diminuisce con l'aumentare
della grandezza delle particelle: quelle formatesi nello scarico d'un
motore a idrogeno dovrebbero essere piu' grosse e quindi poco
importanti. Queste le previsioni della Daimler-Benz, impegnata nel
progetto insieme con ricercatori russi. Ma, considerazioni ecologiche
a parte, voi ci salireste su un aereo che avesse fatto il pieno
d'idrogeno? Bene: sembra che il nuovo combustibile non rappresenti un
problema, quanto a sicurezza, almeno con i mezzi oggi disponibili. A
differenza del cherosene, l'idrogeno, che in volo deve essere
trasportato come liquido per ovvie ragioni di spazio, se fuoriesce
per un incidente, evapora in fretta e, se s'incendia, brucia verso
l'alto, anziche' dar luogo a tappeti di fiamme. Soltanto se si
mescola con l'aria in un ambiente chiuso puo' provocare esplosioni: i
200 mila metri cubi d'idrogeno dell'Hindenburg bruciarono senza
esplodere. Di piu': del calore sviluppato da una fiamma a idrogeno
non viene irraggiata lateralmente che una minima parte; se i serbatoi
fossero sopra la fusoliera, in caso d'incendio questa basterebbe a
isolare le persone al suo interno. L'idrogeno liquido, se usato
nell'aviazione civile, imporrebbe grossi sforzi per la produzione, la
conservazione e la distribuzione. Esso bolle a 253 gradi sotto zero;
sicche' evapora in pochi istanti da recipienti che non siano ben
isolati. Le pareti che lo contengono devono dunque essere assai
spesse, con aumento dell'ingombro. Inoltre il peso specifico
dell'idrogeno liquido e' molto basso: per trasportarne un certo peso
occorre un volume grosso. Quest'inconveniente e' compensato solo in
parte dall'alto contenuto energetico, che a parita' di peso e'
maggiore di quello del cherosene. Tutto sommato, per non diminuire
l'autonomia del velivolo si richiedono serbatoi quattro volte piu'
ingombranti di quelli tradizionali. Il Cryoplane, cosi' si chiamera'
l'aereo, avra' dunque per tutta la sua lunghezza una gobba abbastanza
vistosa. La Daimler-Benz punta a voli dimostrativi nell'anno 2000:
cinque anni dopo dovrebbe entrare in servizio. Per
l'approvvigionamento del combustibile c'e' fin dal 1986 un programma
di ricerca euro-canadese. L'obiettivo e' sfruttare, allo stadio di
progetto pilota, cento megawatt d'energia idroelettrica (cioe' pulita
e rinnovabile) prodotta nel Quebec, immagazzinandola sotto forma
d'idrogeno ottenuto per elettrolisi dell'acqua. Quest'ultimo puo'
essere convenientemente conservato e trasportato in due modi: o come
idrogeno liquido o come prodotto temporaneo d'una reazione chimica.
Con catalizzatori opportuni si puo' sommare idrogeno al toluene
(abbondante idrocarburo della serie aromatica), ottenendo un nuovo
idrocarburo, che poi, con altri catalizzatori, puo' restituire
l'idrogeno nel posto e al momento in cui serve. Se si fara' la prima
delle due scelte, occorreranno navi adatte: si pensa a scafi che
ospitino ciascuno cinque serbatoi da tremila metri cubi, isolati
termicamente in modo che le perdite per evaporazione siano
trascurabili fino a cinquanta giorni di stivatura. L'istituto
federale tedesco per i materiali ha dichiarato che non avrebbe nulla
in contrario al traffico di navi del genere: dal punto di vista della
sicurezza, non ci sarebbero rischi maggiori che nel trasporto dei gas
liquidi ora largamente impiegati (propano e gas naturale). La World
Energy Network, sostenuta dal Giappone, progetta navi idrogeniere
gigantesche, in grado di trasportare duecentomila metri cubi.
Tornando all'impiego dell'idrogeno liquido nella propulsione, e'
interessante sapere che il centro europeo di ricerche di Ispra lavora
a un battello da provare sulle acque del Lago Maggiore, mentre sulle
strade circolano due autobus prototipo (uno tedesco e uno belga). La
francese Air Liquide ha gia' in funzione condutture per trasportare
idrogeno liquido a grande distanza in Francia, Belgio e Stati Uniti.
Gianni Fochi Scuola Normale di Pisa
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
D'Amato Marina: «Bambini e Tv», Il Saggiatore
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI comunicazioni
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS communication
La «tv dei ragazzi», lungi dall'essere una tv innocente, e' un
laboratorio di perversioni dell'intelligenza che, per certi versi,
anticipa ed estremizza fenomeni socio-culturali della tv per gli
adulti: basti pensare che la mondializzazione di stereotipi narrativi
introdotta dalle te lenovelas si puo' gia' vedere nei fumetti
giapponesi; inoltre, oggi tanto si discute della novita' dei «canali
tematici»: ma la «tv dei ragazzi» non era gia' un «canale tematico»
trent'anni fa? Marina D'Amato, sociologa, docente all'Universita' di
Roma ed esperta di problemi dell'infanzia, analizza in questo saggio
di facile lettura come la televisione, nel bene e nel male,
condizioni i bambini nel formarsi di una loro visione del mondo.
Piero Bianucci
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Autori vari: «Dai neuroni al cervello», Zanichelli; Julien Robert M.:
«Droghe e farmaci psicoattivi», Zanichelli
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS medicine and physiology
Una sintesi delle neuroscienze aggiornata, a livello universitario,
ma anche accessibile a un qualsiasi lettore colto, mancava nella
nostra pur vasta produzione editoriale: quest'opera di un farmacologo
dell'Universita' di Basilea (John Nicholls) e di due fisiologi
dell'Universita' del Colorado (Robert Martin e Bruce Wallace) colma
la lacuna. Da segnalare per rigore e completezza anche il trattato di
Julien che prende in esame tutte le molecole che hanno un'azione
sull'attivita' cerebrale.
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Gazzaniga Michael S.: «La mente della natura», Garzanti
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI biologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS biology
Direttore del Centro di neurobiologia dell'Universita' di California
a Davis, Michael S. Gazzaniga analizza in questo saggio comze la
complessa interazione tra cervello e ambiente porti ai comportamenti
sessuali, sociali e culturali che osserviamo intorno a noi.
L'approccio, che muove dalla specializzazione degli emisferi
cerebrali studiata da Roger Sperry (emisfero destro = facolta'
spaziali e artistiche; emisfero sinistro = facolta' analitiche e
linguistiche) e' essenzialmente di tipo organicista.
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Molinari Ida: «Dalla Terra ai buchi neri», Edizioni San Paolo
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy
IN questo libro Ida Molinari ci presenta una panoramica su tutta
l'astronomia contemporanea ma, per fortuna del lettore, non nella
forma sistematica dei trattati. Mettendo a frutto decenni di lavoro
giornalistico come divulgatrice scientifica per «Famiglia cristiana»,
Ida Molinari delinea il quadro delle attuali conoscenze dal sistema
solare fino alle fontiere dell'universo attraverso i suoi incontri
con fisici e astrofisici. Questo libro e' infatti anche una galleria
di personaggi come George Coyne, direttore della Specola Vaticana,
Bruno Coppi, pioniere della fusione nucleare, Fred Whipple, il piu'
illustre studioso di comete, Brian Marsden, l'astronomo che cura a
Cambridge (Boston) l'«anagrafe» del cielo, Tullio Regge, fisico
teorico esperto di relativita', George Smoot, astrofisico che con un
satellite ha studiato la radiazione fossile del Big Bang.
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
MISSIONE MIR-SHUTTLE
Astronauta scartata «Sei troppo piccola»
OAUTORE A_LO_CA
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
ONOMI LAWRENCE WENDY, WOLFE DAVE, EHYARTS LEOPOLD
OORGANIZZAZIONI MIR
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
ANCHE se i lavori di riparazione della Mir sono affidati ai
cosmonauti russi, in tempi di emergenza come questi anche gli
americani periodicamente inviati sulla stazione devono tenersi pronti
a vestire tuta e casco per affrontare «passeggiate spaziali». Per
questo Wendy Lawrence, la donna astronauta della Nasa che a settembre
doveva sostituire Mike Foale sulla Mir, restera' a terra: e' troppo
piccola di statura (1 metro e 58 centimetri) per vestire gli
scafandri «Orlan» dei russi. A Houston l'hanno sostituita con il piu'
massiccio Dave Wolfe. Per dare a Dave il tempo di prepararsi, il
lancio di Atlantis e' stato spostato dal 17 al 23 settembre, cosi'
come il ritorno a casa di Michael Foale, che, da maggio sulla Mir,
ormai non ne puo' piu'. Un piccolo problema riguarda l'alimentazione.
Ormai e' troppo tardi per cambiare il menu' di bordo previsto per la
Lawrence, e cosi' Dave Wolfe si portera' in orbita i cibi scelti per
la sua collega, che e' vegetariana e, date le differenze di stazza
fisica, abituata a piccole porzioni. Wolfe reclama il cambio del
menu', che non gradisce affatto, ma il centro che produce cibi per la
Nasa ha le sue rigidita' e i margini sono stretti. Chi si lamenta
meno e' Leopold Ehyarts, ricercatore francese da due anni si allena
per un volo scientifico sulla Mir. Doveva partire con Soloviev e
Vinogradov: adesso da terra fa il tifo per loro. Se la Mir restera'
operativa ancora per un po', Leopold partira' nel febbraio '98 sulla
Soyuz Tm-27, con i russi Moussabajev e Boudarin. L'agenzia spaziale
francese Cnes ha gia' da tempo versato ai russi i 100 milioni di
franchi per la missione «Pegaso». (a. lo ca.)
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IL FUTURO DELLA STAZIONE SPAZIALE RUSSA
Quando cadra' la Mir
Un piano per dirigerla sul Pacifico
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
ONOMI CULBERTSON FRANK, SOLOVIEV ANATOLIJ, VINOGRADOV PAVEL, FOALE MICHAEL
OORGANIZZAZIONI MIR
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
TRA mille difficolta' e allarmi lanciati e rientrati, da qualche
giorno i cosmonauti-meccanici Anatolij Soloviev e Pavel Vinogradov
sono al lavoro per rimettere in sesto la ormai vecchia e malconcia
stazione orbitante russa Mir. Ma intanto si definisce il piano per
dirigere sull'oceano Pacifico l'eventuale rientro nell'atmosfera di
questa massa di 120 tonnellate, in modo da evitare rischi alle
regioni abitate. Riusciranno i due cosmonauti, coadiuvati dal collega
americano Foale, a portare a termine il restauro della Mir? «Le
probabilita' di successo sono alte», dice Frank Culbertson,
l'astronauta della Nasa che segue le missioni Usa-Russia. «D'altra
parte basta far tornare il livello di energia elettrica all'80 per
cento». Il programma di lavoro di Soloviev e Vinogradov e' talmente
intenso che, trascritto sulle pagine di questo giornale, riempirebbe
due di questi inserti. I cosmonauti si sono allenati per quasi due
mesi nelle piscine dove si simulano le passeggiate spaziali, attorno
a due moduli analoghi a quelli di cui e' formata la Mir, compreso lo
«Spektre», danneggiato dall'urto del 25 giugno con la capsula
«Progress». In poche settimane i due cosmonauti hanno dovuto
adeguarsi a un nuovo piano di volo, ben diverso dalla missione
russo-francese «Pegaso», che prevedeva 21 giorni con il francese
Leopold Ehyarts per condurre test su cristalli, proteine, tessuti
biologici e comportamento dei muscoli a gravita' zero. Nelle vasche
del Centro di addestramento «Gagarin» a Cosmograd, presso Mosca, si
sono provate tutte le operazioni che ora vedono i cosmonauti alle
prese con cacciaviti e tenaglie: cavi da sostituire, radiatori,
filtri, serbatoi. I cavi sono fondamentali: sostituiti e collegati ai
generatori elettrici in tilt, passano nel modulo «Spektre», chiuso e
depressurizzato dal 25 giugno scorso. I cosmonauti cercano di
riattivarlo tappando la falla procurata dalla «Progress M- 34» nel
tamponamento. Si pensa che a causare la falla, e quindi l'uscita
dell'aria, sia stato l'urto dei bulloni di un radiatore. Lanciata il
20 febbraio 1986 (tre settimane dopo il disastro dello shuttle
Challenger), la Mir doveva rimanere operativa per un massimo di sei
anni. Non sono solo i sistemi che consentono la vita dell'equipaggio
a dare segni di cedimento. Persino accessori banali sono ridotti
male, come le tendine dei «separe'» degli astronauti, o alcuni
armadietti che contengono gli esperimenti scientifici. I lavori di
manutenzione possono permettere a questa stazione, l'unica che abbia
consentito la presenza continuativa di uomini e donne di varie
nazioni nello spazio, di coprire il tempo necessario a rendere
abitabile la prossima grande stazione spaziale internazionale che la
stessa Russia con Stati Uniti, Giappone, Europa e Canada si appresta
a mettere in orbita. La «Space Station» e' in ritardo: doveva gia'
essere in orbita con i primi moduli a fine '97 ma i problemi
finanziari e tecnici dei russi, che forniscono molte parti importanti
compreso il modulo principale, hanno fatto slittare il tutto a meta'
1998. Il primo equipaggio (Gidzenkho, Krikaliev, e Shepherd) non
l'abitera' prima dell'estate '99, forse in coincidenza con il
trentennale del primo sbarco sulla Luna. E se i lavori di riparazione
fallissero? «Potete star certi che i russi faranno di tutto pur di
mantenere attiva la Mir», dice Culbertson, che dovra' comandare
l'ultimo attracco Mir- Shuttle. «Questa e' per loro un'importante
fonte di guadagno, grazie alle missioni realizzate con partner
internazionali. Anche con una Mir funzionante al 50 per cento si
procedera'. Ma alla Nasa valuteremo sempre con cura il fattore
sicurezza per i nostri astronauti». Quanto allo scenario di un
eventuale abbandono della stazione, Soloviev e Vinogradov
rientrerebbero entro fine anno con la Sojuz, Mike Foale tornerebbe a
casa con lo Shuttle che andra' a riprenderlo il 21 settembre, e la
Mir restera' vuota. Il suo destino non e' diverso da quello di
qualsiasi altro satellite o veicolo spaziale abbandonato in orbita:
ricadra', bruciando, nell'atmosfera. E sara' il piu' pesante e
massiccio complesso spaziale nella storia dell'astronautica a
ricadere. Poiche' l'inclinazione orbitale di 51 gradi sull'equatore
dei veicoli russi (e della Mir) sorvola al 70 per cento terraferma,
con zone popolate come il Nord Europa, gli stati dell'ex Urss,
Argentina e Cile, si dovra' evitare che il colosso di 120 tonnellate
(30 piu' dello Skylab che cadde in pezzi nel 1979) finisca su zone
abitate. Verranno quindi attraccate a prua e a poppa della Mir due
capsule di rifornimento «Progress», che pero' questa volta, anziche'
portare viveri e materiali, accenderebbero i propri razzi di assetto
per far piombare negli strati atmosferici la stazione in un punto
prestabilito sopra l'Oceano Pacifico. In questo modo, pur non
escludendo che alcuni pezzi finiscano sulla terraferma, i rischi
verrebbero ridotti al minimo. Sono eventi che a Mosca sperano di
vedere il piu' tardi possibile ma, al di la' del probabile successo
dei lavori attualmente in corso, il destino della vecchia e gloriosa
Mir sara' pur sempre, prima o poi, l'abbandono. Antonio Lo Campo
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
DIBATTITO IN USA
La scienza cerca il segreto della bellezza
Biologi e fisici: e' simmetria con un pizzico di caos
OAUTORE VERNA MARINA
OARGOMENTI biologia
ONOMI THORNHILL RANDY
OORGANIZZAZIONI UNIVERSITA' DEL NUOVO MESSICO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS biology
E' una sorta di atto di fede che qualunque equazione descriva leggi
fondamentali deve avere in se' anche grande bellezza», diceva Paul
Dirac, il fisico che scopri' l'antimateria. Concetto che il
matematico Poincare' spiegava cosi': «Le entita' matematiche alle
quali attribuiamo bellezza ed eleganza, che sono cioe' capaci di
destare in noi una sorta di emozione estetica, sono quelle i cui
elementi appaiono organizzati con un'armonia tale che la mente puo',
senza sforzo, cogliere il tutto senza trascurare i dettagli. Questa
armonia e' al tempo stesso una soddisfazione dei nostri bisogni
estetici e un aiuto per la mente, che li' trova la sua guida». Questa
consapevolezza estetica non appartiene solo ai matematici e ai
fisici. Anche i biologi sottolineano l'eleganza, quando presentano le
loro teorie, e ad essa si affidano nell'impostare nuovi esperimenti.
Per molti scienziati, l'eleganza formale e' una prova di verita':
dietro ogni proprieta' estetica c'e' una legge di natura. In
particolare, un filo conduttore considerato assai affidabile e' la
simmetria - o il suo contrario, cioe' la rottura di una simmetria. In
biologia, teorizza Randy Thornhill dell'Universita' del Nuovo
Messico, la simmetria e' un marcatore di fitness, cioe' di buona
salute. Non e' un caso che le donne e gli uomini belli, dotati cioe'
di tratti simmetrici, siano i partner piu' ambiti. «La simmetria
perfetta - dice Thornhill - e' la meta ideale dello sviluppo. Ma il
cammino e' accidentato: gli organismi inciampano in malattie,
condizioni fisiche avverse, tossine, mutazioni, incroci tra
consanguinei. Tutti accidenti che portano lo sviluppo fuori dal retto
cammino e producono asimmetrie del corpo e del viso. Noi abbiamo
misurato un centinaio di nostri studenti: dita, piedi, caviglie,
polsi o gomiti perfettamente simmetrici sono una rarita'». Che
l'aspetto estetico sia almeno in parte il riflesso della qualita'
biologica e genetica non e' un'ipotesi nuova. Almeno per il regno
animale. In un mondo pieno di parassiti e altri agenti patogeni che
possono disturbare lo sviluppo, soltanto gli individui con i geni
migliori riescono a sviluppare un corpo perfettamente simmetrico. E
sono questi individui che, nei poco romantici termini evolutivi,
diventano i partner piu' ambiti. Un bel «contenitore» e' come
un'insegna pubblicitaria che dica: ho geni buoni, un sistema
immunitario forte, mangio bene e ovviamente ho un gran vigore
sessuale. Ma il biologo Randy Thornhill, dell'Universita' del Nuovo
Messico, ha scandalizzato la comunita' scientifica dicendo che tutto
cio' vale anche per gli uomini. Non solo: ha pure annunciato che la
simmetria esterna potrebbe essere la prova di un perfetto sviluppo
del cervello, l'indicatore di intelligenza e di particolari abilita'
cognitive. Su questo punto sta ancora raccogliendo le prove - ma non
certo il consenso. Anche perche' ci sono nuove ricerche che smontano
l'idea che la simmetria sia una sorta di «marchio di qualita'». Rufus
Johnstone, zoologo all'Universita' di Cambridge, sostiene ad esempio
che le forme simmetriche potrebbero semplicemente essere quelle piu'
riconoscibili dai neuroni, quelle cui i nostri sistemi visivi
rispondono meglio. La presenza della bellezza - e in particolare
della simmetria - in tutta la realta' fisica e' stata a lungo
studiata anche da Rothenberg, un epistemologo dell'Universita' di
Harvard. Il senso del bello, ci ricorda, deriva dall'antichita'
classica: sono stati i greci a enfatizzare le forme ideali e a
costruire opere d'arte dalle proporzioni simmetriche e perfettamente
equilibrate. Questa tradizione, che ha resistito per due millenni, e'
stata pero' rifiutata nell'arte contemporanea, con un'intuizione che
si e' allargata alla scienza: oggi sappiamo che c'e' un senso e c'e'
un ordine anche nel caos. «Simmetria e asimmetria - dice Rothenberg -
sono l'una speculare all'altra. Anche psicologicamente: l'una induce
equilibrio, l'altra squilibrio; l'una riposo e ordine, l'altra
movimento e il senso di un incipiente disordine. Il processo
creativo, si tratti di un'opera d'arte o di un esperimento
scientifico, ha bisogno di entrambe». Rothenberg ha identificato un
processo cognitivo che ha chiamato «processo gianusiano», da Giano,
il dio bifronte. L'ha testato con prove sperimentali ed empiriche e
l'ha cosi' definito: «Concepire attivamente e simultaneamente una
serie di opposti». Cosi', dice, si spiegherebbe la continua presenza
di simmetrie nelle scoperte scientifiche importanti. Rothenberg
identifica quattro fasi distinte, che in qualche modo si
sovrappongono. La prima e' quella che chiama «motivazione a creare»:
molto forte nella ricerca scientifica, e' l'impulso mirato a produrre
qualcosa di importante, facendosi spesso guidare da sensazioni e
obiettivi estetici. La seconda fase e' la «separazione». Qui si
mettono a fuoco e si identificano tutti gli elementi di cui tener
conto. Lo scienziato abbandona tutte le conoscenze che ha accumulato
fino a quel momento e cerca modalita' nuove con cui affrontare il suo
problema. La terza fase e' quella della «opposizione simultanea»:
coppie o serie di opposti vengono intrecciate in tutti i modi
possibili, preparando il risultato creativo. L'ultima fase e' la
«costruzione della teoria»: l'intuizione iniziale, sistematizzata,
diventa esperimento, scoperta, teoria. Per le vecchie volpi
occidentali, che al liceo hanno studiato Hegel, il gioco della
tesi-antitesi-sintesi non e' una novita'. Ma e' interessante vedere
come, molto tempo e molti studi dopo, alcune intuizioni ritornino - e
si dimostrino belle e vere anche in un altro contesto. Marina Verna
ODATA 27/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Ottaviano Chiara: «Mezzi per comunicare», Paravia
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI comunicazioni
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS communication
I mezzi di comunicazione costituiscono un campo di ricerca
affascinante perche' in essi interagiscono strettamente le tecnologie
piu' avanzate e i fattori sociali. Chiara Ottaviano in questo manuale
agile ma denso si e' messa proprio in questo punto di osservazione
interdisciplinare per cogliere le profonde mutazioni culturali
scandite da strumenti come il telegrafo, il telefono, il fonografo,
il cinema, la radio, la televisione e infine Internet, la rete delle
reti nata dal matrimonio tra computer e telecomunicazioni. Un libro
che ci spiega le origini della societa' dell'informazione nella quale
viviamo, aiutandoci a capirne la rapidissima evoluzione. In
proposito, segnaliamo anche il volume «Le origini della societa'
dell'informazione» di James R. Beniger pubblicato dalla Utet con una
prefazione della stessa Chiara Ottaviano.
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. I PARCHI
Scrigni della natura
Qualche meta per turisti ecologi
OAUTORE E_AC
OARGOMENTI ecologia, turismo, parchi naturali
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology, tourism
I parchi nazionali sono stati ideati e realizzati per la prima volta
nell'America del Nord, e precisamente negli Stati Uniti: Yellowstone
nel 1872, Banff nel 1885, Glacier e Yoho nel 1886. Da allora gli Usa
hanno mantenuto un ruolo guida e complessivamente hanno destinato ai
parchi nazionali e alle aree protette una superficie piu' ampia
rispetto a qualsiasi altro Paese. Il parco piu' vasto che esista al
mondo e' quello della Groenlandia, istituito dalla Danimarca nel
1974, mentre il Parco nazionale Redwood in California protegge il
piu' alto organismo vegetale vivente, la Sequoia sempervirens, che
puo' superare i 110 metri di altezza; il Parco nazionale Yosemite
(California) tutela l'enorme Sequoia dendron giganteum, il cui tronco
ha un diametro superiore a 10 metri; il Parco Nazionale Mammoth Cave
(Kentucky) contiene il piu' lungo complesso di grotte che si conosca:
oltre 400 chilometri; il Parco nazionale Grassland (Saskatchewan)
protegge le ultime vestigia di praterie un tempo sconfinate. In
Italia il primo parco fu istituito nel 1922 (Parco Nazionale del Gran
Paradiso). Attualmente esistono 18 parchi nazionali: oltre al Gran
Paradiso, assai noti sono quello, pressoche' contemporaneo,
d'Abruzzo; il Circeo; i parchi della Calabria, dello Stelvio.
L'ultimo in ordine di tempo e' il Parco nazionale dell'Arcipelago
Toscano. L'estate e' la stagione piu' idonea per scoprire ed
esplorare i parchi, in quanto si presentano nella loro veste piu'
rigogliosa: accostiamoci ad essi con rispetto e curiosita', per poter
cogliere tutte le meraviglie che hanno in serbo per noi; viviamoli
come luoghi «sacri» della natura. Qui il tempo avrebbe dovuto
fermarsi, mentre purtroppo non e' cosi': anche i parchi, in fondo,
sono calati nel resto mondo e spesso le sollecitazioni della
cosiddetta «civilta'» ne varcano i confini. Il traffico, i
bracconieri, gli allevatori e tanti altri fattori li rendono assai
vulnerabili. A dispetto di tutto cio' i parchi costituiscono un
arricchimento, risparmiando risorse preziose che altrimenti
andrebbero perdute. Conservano infatti una incredibile varieta' di
piante e di animali, molti dei quali ancora poco noti alla scienza.
Inoltre fungono da laboratori per la ricerca scientifica e da
«risorsa educativa» consentendo una outdoor recrea tion (ricreazione
all'aperto) da cui si ricavano suggestioni profonde. Gli inglesi, per
esempio, sostengono che forse la finalita' primaria del parco
naturale e' pedagogica, un concetto, questo, sempre piu' condiviso in
vari Paesi. Sicuramente uno dei problemi di cui gli studiosi dei
parchi si stanno maggiormente occupando in questi anni riguarda la
tutela e la gestione con lo scopo - anche se le visioni non sono
sempre concordi - di gestire le risorse naturali all'interno dei
parchi in modo da controllare alcune ricorrenti tendenze al loro
possibile esaurimento, al loro degrado per inquinamento, alla perdita
di utilita' dovuta a congestione nell'uso. Ci si domanda spesso quali
siano le attivita' che in un parco naturale non esauriscono
progressivamente le risorse e non producono inquinamento: per
ottenere una autentica tutela occorre definire le attivita'
compatibili con l'ambiente del parco. E' vero che esiste una legge
del 1991 che si riferisce ai piani di attivita' all'interno dei
parchi e fornisce un quadro delle azioni economiche compatibili con
l'ambiente. Tuttavia la griglia, pensano in molti, e' assai larga, in
quanto lascia al pianificatore il compito di scegliere. Non si tratta
soltanto di stabilire quali attivita' possono essere intraprese, ma
come debbono essere condotte. Sarebbe dunque auspicabile una
educazione ambientale per il parco e attraverso il parco. (e. ac.)
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. CONVENZIONE INTERNAZIONALE
Non esportate semi di piante protette
Multe fino a 18 milioni ai turisti che violano le norme Cites
OAUTORE ACCATI ELENA
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS botany
LE distanze sono state annullate dalla rapidita' e facilita' degli
spostamenti: andare in vacanza ai Caraibi e' quasi comune come stare
sulle spiagge della Riviera ligure. Facciamo pero' attenzione ai
souvenir che portiamo dall'estero: dal 1o giugno l'importazione di
una delle 37 mila specie di piante e di animali in via di estinzione
potra' costare carissimo; sono previste multe fino a 18 milioni di
lire. Lo ha stabilito la Convenzione sul Commercio Internazionale
delle specie selvatiche (Cites). Lasciamo percio' nei loro paesi di
origine orchidee esotiche e bromeliacee particolari, accontentandoci
di ammirarle. La vegetazione che si incontra lungo le strade, nei
giardini o negli orti botanici puo' sicuramente essere motivo di
stupore e di meraviglia e valere un viaggio. Enorme e' la ricchezza
della vegetazione tropicale: piante rampicanti e tappezzanti, arbusti
e alberi da fiore, specie con brattee dai colori fiammeggianti e
dalle foglie modellate con incredibile complessita' costituiscono un
assortimento assai vasto grazie alla grande varieta' di climi e di
terreni presenti, di gran lunga superiore a quanto si possa
immaginare. E' possibile vedere il Ficus religio sa, conosciuto come
«albero di Buddha», con le sue spettacolari radici aeree che spesso
formano disegni contorti e grotte misteriose; i rami degli esemplari
piu' vecchi sono a volte sostenuti da pali per evitare che si
spezzino. Nello Sri Lanka ci sarebbe il Ficus religiosa piu' vecchio
al mondo, essendo stato importato nel 288 avanti Cristo: la sua
esistenza da allora e' sempre stata documentata. Altrettanto
affascinante e' il loto, Nelumbo nucifera, che ha assunto molte
connotazioni simboliche tra cui la fertilita', la prosperita' e il
carattere transitorio dell'esistenza umana ed e' presente nei laghi,
nei fossati, nelle vasche ornamentali e nei grandi vasi oltre che
venire riprodotto nei dipinti murali, nelle incisioni su legno e su
pietra, nei disegni delle ceramiche. Un albero molto decorativo e' la
Plumeria, comunemente chiamata «frangipani» o anche «albero del
tempio»: viene piantata nei cimiteri musulmani e nei giardini dei
monasteri buddhisti. Molti sono gli alberi e gli arbusti con i fiori
profumati come la Saracca indica, apprezzata per le bellissime
infiorescenze gialle, arancio o rosse e per l'ombra che riesce a
creare, la Michelia alba fonte continua di fiori fragranti con cui si
formano corone per le offerte ai templi. Nei giardini thailandesi, ad
esempio, gli arbusti profumati sono potati in forme geometriche e
stanno accanto a maestose palme reali (Roystonea). Molti alberi sono
anche interessanti perche' usati nella medicina orientale; assai
diffuse sono specie come il mango, l'anona, il tamarindo e
l'artrocarpo, che riflettono la filosofia comune in oriente secondo
cui il giardino deve essere esteticamente attraente, ma anche utile.
Inizialmente creati come centri di ricerca scientifica, i grandi orti
botanici tropicali hanno avuto anche un ruolo preminente nella
diffusione in tutto il mondo delle piante ornamentali e, in alcuni
casi, hanno prodotto ibridi divenuti comuni nelle aziende
vivaistiche. Tuttavia questi orti botanici sono stati concepiti per
offrire un piacere estetico: quindi e' sempre molto curato
l'inserimento paesaggistico delle piante che formano scenari
fantasiosi e suggestivi. Nell'isola di Mauritius c'e' il primo orto
botanico sorto ai tropici, risalente al 1735, esso ha contribuito
allo sviluppo della canna da zucchero, mentre all'Orto botanico di
Singapore si deve l'introduzione della gomma in Malaysia, in quello
di Giava prosperano felci arboree, le Cyathee, che ricoprono anche le
nebbiose valli del Cibodas e gli Asplenium nidus. In molti laghi come
a Kebun Raya (Indonesia) sono coltivate le superbe Victoria
amazonica, ninfee dalle foglie cosi' grandi da reggere anche un
bambino. La presenza delle piante epitite sorprende il visitatore ai
tropici: infatti ci sono tronchi coperti a volte di Philodendron o
di spettacolari orchidee come il Grammatophylium gigante che forma
fino a tremila infiorescenze in una sola fioritura. Singapore offre
al visitatore i «mandai gardens» con laghetti, corsi d'acqua e
sentieri lungo i quali si possono ammirare piante ornamentali
provenienti da tutto il mondo e soprattutto vedere riunite tutte
insieme quelle piante presenti di solito nei nostri appartamenti con
alterne fortune dalla Calathea con le sue grandi foglie che alla
sera si dispongono verticalmente, alle Cordiline, che nelle Hawaii
sono chiamate «Piante ti», dai papiri alle dracene, mentre lungo le
strade, quasi dimenticati, formano siepi rigogliose Dieffenbachie e
Croton che nelle nostre case a causa dell'ambiente caldo e asciutto
si spogliano invece a partire dal basso assumendo un aspetto misero e
sofferente nonostante le nostre amorevoli cure. Elena Accati
Universita' di Torino
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. DC-10 TRASFORMATO IN CLINICA
Ospedale volante contro la cecita'
OAUTORE RIOLFO GIANCARLO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI ORBIS INTERNATIONAL
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, NEW YORK, NEW YORK
OSUBJECTS medicine and physiology
UN ospedale volante, con sala operatoria, locali per le visite e un
minireparto di degenza. E' il DC 10 di Orbis International
un'organizzazione umanitaria che lotta contro la cecita' portando le
tecniche piu' avanzate della chirurgia oftalmica nei Paesi del Terzo
mondo. Nel mondo sono circa 50 milioni le persone che hanno perso la
vista per cause facilmente evitabili e il loro numero continua a
crerscere. Eppure due pazienti su tre potrebbero essere curati con
successo, se solo avessero a disposizione ospedali dotati degli
strumenti adatti e di personale con le competenze necessarie: il
novanta per cento dei non vedenti, infatti, vive nelle regioni piu'
povere del pianeta, dove sono piu' diffuse infezioni, malnutrizione e
carenze sanitarie. La cataratta e' al primo posto tra le cause di
cecita', seguita dal tracoma, dal glaucoma e dalla penuria di
vitamina A. L'attivita' di Orbis International, associazione che ha
sede a New York ed e' interamente finanziata da contributi privati,
e' iniziata nel 1982 con la trasformazione in clinica specializzata
di una vecchio DC 8, dono dalla United Airlines. L'aereo, secondo i
promotori dell'iniziativa, era il mezzo piu' idoneo per portare
ovunque nel mondo le piu' moderne terapie e le tecniche operatorie,
al duplice scopo di curare i pazienti e di trasmettere le conoscenze
agli oculisti degli ospedali locali. I fatti hanno confermato la
validita' del progetto. Orbis International ha gia' svolto oltre 250
campagne, che hanno toccato settanta Paesi in Africa, in Asia e
nell'America Latina. L'equipe di 350 specialisti, tutti volontari, ha
ridato la vista a 18 mila persone altrimenti condannate alla cecita',
addestrando contemporaneamente 28 mila operatori sanitari tra medici
e infermieri. Nel luglio del 1993, dopo aver volato per 33 anni, il
DC 8 e' andato in pensione. Lo ha sostituito il DC 10, acquistato
grazie ai contributi volontari e alle donazioni di un imprenditore
americano e due uomini d'affari di Hong Kong. Molto piu' grande del
predecessore, il nuovo aereo e' equipaggiato con tutte le
apparecchiature per la chirurgia e i trattamenti laser, utili per la
cura del glaucoma e dei distacchi di retina. Oltre ad avere piu'
spazio per la sala operatoria, il reparto di degenza e i locali per
le visite, il trireattore dispone di un'area dedicata
all'insegnamento. Vi si trova la biblioteca e un'aula da 52 posti
dotata di mezzi audiovisivi. Un collegamento tv a circuito chiuso
permette di seguire in diretta le fasi degli interventi che si
svolgono nella vicina camera operatoria. Orbis International non ha,
ovviamente, fini di lucro ed e' indipendente da governi, movimenti
politici o religiosi. Queste caratteristiche consentono
all'organizzazione umanitaria di intervenire ovunque. In genere, una
missione dell'ospedale volante dura alcune settimane ed e' preceduta
da una visita di un team di medici, allo scopo di definire il
programma sulla base delle necessita' locali. Giancarlo Riolfo
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL GENE DELL'OBESITA'
Davanti al piatto non si e' tutti uguali
OAUTORE TRIPODINA ANTONIO
OARGOMENTI genetica, alimentazione
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS genetics, nourishment
PERCHE' si ingrassi rimane ancora per molti versi un mistero. E'
convinzione comune che cio' accada perche' si introducono piu'
calorie di quante non se ne consumino. Ed e' vero, ma la cosa non e'
cosi' semplice. Sara' capitato a molti di vedere persone che
ingurgitano enormi quantita' di cibo rimanendo magre, mentre altre
continuano a ingrassare pur mangiando le classiche «due foglie di
insalata». E' la prova che si puo' parlare di «ineguaglianza» degli
individui rispetto al cibo. E anche di «obesita' come mistero»,
perche' e' per lo meno strano pensare che alcune persone
(contraddicendo una legge della termodinamica, secondo cui nulla si
crea e nulla si distrugge) riescano a creare sostanza quasi dal
nulla. Il mistero va tuttavia diradandosi. E per alcuni grandi obesi,
spesso colpevolizzati, e' giunto il momento del riscatto morale: non
e' a causa della loro fragile volonta' e della loro inconfessata
ingordigia se proprio non riescono a dimagrire. E' stato di recente
individuato (Zhang e coll., Nature, 372: 425-432, 1994) quello che e'
ritenuto il «gene dell'obesita'», battezzato «ob». La scoperta e'
avvenuta nei topi, ma vi sono prove concrete che un simile gene
esista anche nell'uomo. Esso e' preposto alla produzione da parte
delle cellule adipose (in quantita' proporzionale al numero e alle
dimensioni delle cellule adipose stesse) di una proteina denominata
«leptina» (dal greco «leptos», che significa «magro»), che ha il
compito specifico di informare un centro nervoso ipotalamico sullo
«stato» della massa adiposa. Sulla base di queste informazioni,
dall'ipotalamo partono comandi atti a controllare l'equilibrio
energetico, influenzando il comportamento alimentare (attraverso il
bilanciamento di fattori che inibiscono l'assunzione di cibo, come il
peptide simile al glucagone o Glp-I, e i fattori che la stimolano,
come il neuropeptide Y o Npy), la termoregolazione e la propensione
verso l'attivita' fisica. Cio' al fine di non allontanarsi molto da
quella che per quel dato individuo e' l'entita' ideale della massa
adiposa. Un «peso ideale» stabilito non dalle tabelle ma dai propri
geni. E' la conferma della «teoria lipostatica», gia' avanzata
qualche decennio fa, che ipotizzava un controllo diretto da parte del
sistema nervoso centrale delle riserve lipidiche dell'organismo.
Questo sofisticato e complesso sistema «omeostatico» puo' tuttavia
qualche volta andare in «tilt» a causa di mutazioni genetiche che si
manifestano a vari livelli. Diversamente da quello che capita nei
topi Ob/Ob, abnormemente grassi, in cui si ha una difettosa sintesi
di leptina, nell'uomo il difetto genetico piu' frequente riguarda la
formazione dei recettori ipotalamici della leptina (Ob-R). Nelle
persone abnormemente obese, infatti, vi e' un alto livello di leptina
circolante, che tuttavia non puo' interagire col proprio recettore e
non puo' esplicare le sue fisiologiche azioni di indurre il senso di
sazieta' e di aumentare il dispendio energetico, per cui continuano
ad essere attivati i meccanismi di accumulo della massa grassa. Cio'
sembra limitare molto l'uso farmacologico di questo ormone per
l'obesita' umana. Oltre a «ob» sono stati individuati altri geni
coinvolti nell'accumulo di grasso. Come il gene che codifica il
«recettore beta-3-adrenergico» (presente nella cellula adiposa bruna,
che regola la termogenesi attraverso la dispersione di energia senza
coinvolgere il muscolo, «termogenesi non da brividi»), di cui sono
state dimostrate mutazioni negli indiani Pima e in una popolazione di
obesi finlandesi. Le «mongolfiere della Quinta Strada» (i grandi
obesi che si incontrano per le strade di New York), cosi' come quelle
che incontriamo per le nostre strade, non andrebbero quindi
colpevolizzate con troppa leggerezza perche' la spiegazione della
loro condizione potrebbe risiedere non nella loro golosita', ma nel
loro Dna. Antonio Tripodina
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Musatti Cesare: «Chi ha paura del lupo cattivo?», Editori Riuniti
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI psicologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS psychology
Fondatore della psicoanalisi italiana, Cesare Musatti (1897- 1989)
ritorna a noi con l'edizione economica di un libro che pubblico' due
anni prima della morte: una divertente serie di episodi, di incontri
e di riflessioni (tra cui quelle sul «caso Moro») tra autobiografia,
humour e analisi scientifica dei meccanismi mentali, consapevoli e
inconsci. Piero Bianucci
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Gould Stephen J.: «Gli alberi non crescono fino in cielo», Mondadori;
Dawkins Richard: «Alla conquista del monte Improbabile», Mondadori
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI biologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS biology
Due libri sull'evoluzione scritti da biologi illustri. Quello di
Stephen Jay Gould presenta tesi originali, ma con un meccanismo
divulgativo poco adatto al lettore italiano, essendo tutto basato
sulla metafora del baseball. Grandi qualita', anche letterarie, ha
invece il saggio di Richard Dawkins, notissimo autore de «Il gene
egoista».
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Diario Agenda Zanichelli 1997/1998
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS didactics
E' un diario ma e' anche una miniera di informazioni: i dati
essenziali su 193 Paesi, l'elenco dei Premi Nobel, le nuove voci del
dizionario e dell'enciclopedia Zanichelli 1998, aggiornamenti
legislativi, unita' di misura, tavole scientifiche. E ogni giorno,
dal settembre '97 al 1o gennaio 1999, un personaggio, un fatto, un
evento culturale.
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Melchionda Nazario: «Le diete fanno ingrassare», Ed. Pendragon,
Bologna
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI alimentazione
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS nourishment
Esiste, floridissima, una industria delle diete: ci campano autori di
manuali che insegnano a dimagrire, alimentaristi e dietologi dagli
atteggiamenti oracolari, multinazionali che producono alimenti a
basso contenuto di grassi, case farmaceutiche che distribuiscono
dolcificanti, «pasti sostitutivi» e i piu' vari prodotti per
dimagrire. Il cittadino, quasi sempre, viene plagiato e spennato. E'
una situazione che, a ben guardare, dovrebbe essere combattuta per
via legale, con l'intervento della magistratura e delle associazioni
per la difesa del consumatore. Nazario Melchionda, docente di
malattie del metabolismo all'Universita' di Bologna, con questo libro
denuncia la «diet industry» e sostiene che soltanto il «controllo
cognitivo» del comportamento puo' risolvere il problema del
sovrappeso: l'obesita' non si combatte imponendo diete, ma con una
informazione chiara e onesta che conduca a una crescita culturale del
paziente.
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Candy Paolo: «Le meraviglie del cielo», Il Castello, Milano
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia, meteorologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy, meteorology
IL cielo e' l'altra meta' del paesaggio, e spesso gli spettacoli che
offre sono ancora piu' affascinanti di quelli che ci presenta la
meta' inferiore: arcobaleni, aloni, nuvole, stelle, eclissi di Luna e
di Sole, fenomeni rari e straordinariamente suggestivi come il
«raggio verde». Paolo Candy ha colmato una lacuna editoriale
scrivendo il primo libro italiano dedicato in modo organico a questi
aspetti del cielo, aspetti che ha anche documentato tramite un vero e
proprio atlante fotografico frutto della sua paziente fatica. Il
testo e' asciutto e rigoroso, un manuale di estrema efficacia, senza
concessioni letterarie se non in qualche «epigrafe» posta a fine
capitolo. Tra i temi affrontati spicca quello del leggendario «raggio
verde», un flash che in condizioni meteorologiche eccezionali si puo'
osservare subito dopo la completa scomparsa del Sole sotto
l'orizzonte. Poiche' ho avuto la fortuna di vedere il raggio verde
dalle isole Canarie, posso comprendere sia l'emozione dell'autore
davanti a questo eccezionale fenomeno sia la straordinaria abilita'
che e' necessaria per riuscire a scattare, in quel fugace istante,
una fotografia che catturi il flash verde. Altri due capitoli di
grande interesse riguardano l'inquinamento luminoso e l'osservazione
delle nubi, con tutto cio' che possono insegnarci sulle condizioni
fisiche dell'atmosfera.
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. UN MAMMIFERO PRIMITIVO
Vita al rallentatore
Al bradipo il record di pigrizia
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
LO avrete visto chissa' quante volte nei documentari televisivi, il
buffissimo bradipo. Gli zoologi lo collocano, insieme con gli
armadilli e i formichieri, al gradino infimo della scala dei
mammiferi, nel primitivo ordine degli Sdentati. Primitivo finche' si
vuole, ma e' fuori dubbio che il bradipo ci sta a pennello nel suo
habitat naturale, l'umida afosa foresta tropicale del Sudamerica.
Sembra che evoluzione e selezione naturale le abbiano studiate tutte
per farlo adattare cosi' bene a quel difficile ambiente, col
risultato che ne e' uscito fuori l'essere piu' stravagante e
paradossale della Terra. Tanto per cominciare, la sua posizione
abituale e' quella rovesciata, con la pancia all'insu', la testa e il
dorso all'ingiu', aggrappato ai rami degli alberi con lunghi
unghioni. Per effetto del ribaltamento, anche gli organi interni
risultano spostati. Il fegato e' ruotato di 145 gradi verso il dorso,
la milza e' migrata da sinistra a destra e il pancreas ha subito la
stessa sorte. Altra stranezza: il colore della pelliccia. Che e'
verde, di un bel verde brillante, caso piu' unico che raro nel mondo
dei mammiferi. Ma il colore e' preso a prestito da alghe
microscopiche che si insediano tra le cellule dei peli e vivono in
simbiosi con il bradipo. E c'e' anche un altro ospite che in quella
pelliccia ci si trova a meraviglia. E' una farfallina che depone
persino le uova tra i folti peli lunghi 5-6 centimetri. Non potrebbe
esservi luogo piu' protetto e tranquillo, perche' il bradipo ha poca
dimestichezza con l'igiene e si guarda bene dal pulirsi regolarmente
la pelliccia, come fanno gli altri mammiferi. Pulirsi la pelliccia
sarebbe uno spreco di energia e tutta la vita del bradipo si svolge
all'insegna del risparmio energetico. Si muove il meno possibile. Una
volta che si e' impossessato di un ramo, ci si avvinghia con gli
unghioni ad uncino e non lo molla piu'. Gli indigeni che gli danno la
caccia (con la sua pelliccia costruiscono comode selle e gustano
molto la sua carne) sanno benissimo che non si riesce a farlo cadere
dall'albero ne' vivo ne' morto. L'unico mezzo per catturarlo e'
segare il ramo a cui e' attaccato. Dalla sua postazione il bradipo si
limita ad allungare una zampa per acchiappare il cibo e portarlo alla
bocca. Lo morde con le labbra ispessite - non ha incisivi - e lo
mastica con i l8 dentini laterali privi di smalto e a crescita
continua (e' uno Sdentato per modo di dire). A volte ruota la testa,
girevole come se fosse montata su cuscinetti a sfere. Solo quando ha
fatto piazza pulita di foglie, fiori, germogli, frutti a portata di
zampa, si decide a spostarsi su un altro ramo o su un'altra pianta.
Il bradipo e' costretto a spostarsi anche quando sente l'odore del
suo peggior nemico, il giaguaro. Allora fa il furbo. Si trasferisce
su rami via via piu' sottili, in grado di sorreggere il suo peso ma
non quello ben piu' considerevole del suo aggressore. La pigrizia
arriva al punto che indugia anche una settimana prima di decidersi a
evacuare l'intestino. Una faccenda che lo costringe a scendere
dall'albero per recarsi in una sorta di toilette comunitaria. A terra
si sposta con fatica, cercando disperatamente un appiglio a cui
agganciarsi con i suoi unghioni lunghi sette o piu' centimetri.
Neanche l'amore riesce a vincere l'indolenza del bradipo. E nemmeno
la maternita'. Maschio e femmina convivono assieme solo durante un
fugace accoppiamento frontale. Poi ciascuno riprende posizione a
testa in giu' sul suo ramo abituale, come se niente fosse accaduto.
Qualcosa e' successo pero'. Perche' dopo meno di sei mesi nasce il
piccolo. E' un affarino peloso lungo una ventina di centimetri. Per
sua fortuna, nasce con gli occhi aperti e con le unghiette gia'
sviluppate. Deve fare tutto da solo. Deve aggrapparsi alla pelliccia
materna e arrampicarsi fino ai due capezzoli pettorali per succhiare
il latte. La madre e' del tutto indifferente. Sembra non si accorga
nemmeno della sua esistenza. Quando si sposta sui rami con il suo
involtino aggrappato al petto, capita che il piccolo si trovi in
difficolta' per un ramo che gli si para davanti. In quel caso il
bradipino, con sbalorditiva tempestivita', si stacca dal corpo
materno, aggira l'ostacolo e poi, svelto come un fulmine, riprende il
posto sulla pelliccia. Non per nulla i brasiliani lo chiamano «Perico
legeiro», cioe' «l'agile Pierino». Tra le cinque specie di bradipo
che popolano le foreste del Sudamerica, le piu' note sono il bradipo
didattilo o Unau (Choloepus didactylus) che ha due dita nelle zampe
anteriori e il bradipo tridattilo o Ai-ai, che ha tre dita in ogni
zampa. A qualunque specie appartengano, i bradipi sono degli
inguaribili dormiglioni. Dormono diciassette ore su ventiquattro,
sempre per consumare meno energia. E, secondo le ricerche di due
studiosi dell'Universita' di Pernambuco, Alberto Filho e Salustiano
Lines, sognano anche abbondantemente. L'Unau sogna piu' di noi.
L'uomo sogna da un'ora e mezzo a due ore per notte, sia pure in
episodi distanziati. L'Unau invece sogna per due ore e mezzo
complessive, in episodi di otto minuti ciascuno. L'hanno constatato i
due ricercatori studiando l'encefalogramma degli animali
addormentati. Se in un primo tempo il ritmo respiratorio e
l'immobilita' assoluta denunciano un sonno tranquillo senza sogni, in
capo a dieci o venti minuti incomincia un sonno agitato, indice di
attivita' onirica. I globi oculari si muovono allora sotto le
palpebre come se l'animale stesse seguendo una scena immaginaria. E'
il movimento rapido dell'occhio (Rapid Eye Movement abbreviato in
Rem) che anche nell'uomo accompagna i sogni. Secondo Francis Crick e
Graeme Michison, il sogno avrebbe un effetto «purgativo». Cioe'
durante il sonno Rem il cervello si libererebbe di tutte le memorie
spurie. Ma, se l'ipotesi dei due studiosi trovasse conferma, perche'
mai i bradipi avrebbero bisogno di purgarsi il cervello piu' degli
uomini? Che cosa avranno mai da dimenticare? Isabella Lattes Coifmann
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. MOSTRA SCIENTIFICA A TORINO
Un tuffo nel futuro a «Experimenta 97»
Conversazioni con i computer, cinema dinamico, piante transgeniche
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI didattica
OORGANIZZAZIONI EXPERIMENTA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS didactics
POTRETE diventare il personaggio protagonista di un fumetto («Regione
stellare», della serie Zona X, editore Sergio Bonelli) che vi
porterete a casa appena stampato (l'immagine del visitatore, ripresa
da tre telecamere, e' rielaborata dal computer e inserita nel
fumetto), oppure partecipare a una spedizione spaziale, esplorare
Marte o abitare una «casa del futuro» in cui gli elettrodomestici e
le tapparelle obbediscono alla vostra voce, rimanere coinvolti dalle
immagini tridimensionali e dai rudi «effetti speciali» del cinema
interattivo (una novita' assoluta per l'Italia) o partecipare,
rivestiti da speciali giubbotti, a una battaglia tra alieni armati di
fucili laser. E ancora: navigare in Internet al chiosco multimediale
(dove e' anche consultabile il cd rom di Tuttoscienze); esplorare il
«cervello» di un computer, guidare un'auto con l'aiuto di un
satellite, vedere la turbopompa a ossigeno liquido che Fiat Avio ha
costruito per il razzo europeo «Ariane 5», seguire la fasi del
riciclaggio di plastica e alluminio, valutare la piu' recenti
conquiste della bioingegneria, rilevare la vostra attivita' cerebrale
in un'installazione ideata dall'artista Mario Canali. Experimenta
'97, aperta fino al 26 ottobre nel parco di Villa Gualino, sulla
collina torinese, continua in questa dodicesima edizione ad
avvicinare migliaia di persone a fenomeni complessi non come
spettatori passivi ma come attori; con una buona dose di
divertimento. Tema di quest'anno e' il rapporto tra scienza e
fantascienza. Se gli scrittori e i registi di questo genere si
avviano al 2000 con l'orgoglio di avere «sognato» in anticipo molte
conquiste dei nostri giorni (i viaggi spaziali, la robotica), gli
scienziati dal canto loro non hanno difficolta' ad ammettere che
alcune intuizioni della fantasia hanno anticipato i risultati dei
laboratori. Experimenta 97 ne e' una prova: qui un radiotelescopio
capta e traduce sul monitor di un computer le radioonde provenienti
da pulsar, quasar e galassie ma anche, se mai ve ne dovessero essere,
le emissioni lanciate nello spazio da possibili esseri intelligenti;
intanto in un'apposita sala viene proiettato un film tridimensionale
in computer grafica intitolato «Krakken: Adventure of Futur Ocean» in
cui sono presentate le creature dei mari cosi' come, secondo il
paleontologo Dixon, potrebbero mutarle i prossimi 5 milioni di anni.
«Experimenta 97» presenta numerosi aspetti della scienza che sono,
almeno per il profano, sulla soglia della fantascienza; e' il caso
della bioingegneria con i suoi animali e vegetali tansgenici o della
crescente possibilita' di sostituire parti malate del corpo, che in
questo modo sempre piu' si avvicina ad una creatura bionica. Ma
dietro questi effetti spettacolari ci sono decenni di ricerche; come
quelle che sta conducendo a Torino il Laboratorio di ingegneria del
sistema neuromuscolare e della riabilitazione motoria (Lisin), che si
occupa di studiare il funzionamento elettrico dei muscoli. Vale la
pena fermarsi alla sua postazione e partecipare direttamente agli
esperimenti perche' questo significa entrare in prima persona nelle
problematiche che potrebbero portare in un tempo relativamente breve
a risultati spettacolari. I muscoli durante la contrazione emettono
segnali elettrici (Emg) analoghi a quelli emessi dal cuore e dal
cervello e misurati rispettivamente mediante i ben noti
elettrocardiogrammi ed elettroencefalogrammi. Se vi farete applicare
due elettrodi sulla pelle questi registreranno l'attivita' elettrica
dei muscoli superficiali; grazie a un circuito di amplificazione il
segnale sara' visualizzato sullo schermo di un oscillografo e sara'
inviato a delle casse musicali o direttamente a un auricolare;
insomma, potrete vedere e udire funzionare i vostri muscoli. Fin qui
siamo all'aspetto divertente. Ma ecco un risvolto piu' sostanziale:
lo stimolatore elettrico neuromuscolare, un dispositivo alimentato da
batterie che fornisce impulsi elettrici a nervi e muscoli incapaci di
«lavorare» in conseguenza di lesioni del midollo spinale che
interrompono il collegamento tra cervello e muscoli. Oggi con una
scarica elettrica e' possibile mettere in funzione alcuni muscoli; in
questo modo persone emiplegiche possono tornare a usare le mani che
la malattia consente loro di chiudere ma non di aprire; con uno
stimolatore elettrico, persone colpite da emiparesi, cioe' con un
lato del corpo paralizzato, possono tornare a camminare relativamente
bene: in questi pazienti il piede del lato colpito pende inerte verso
il basso e verso l'interno; lo stimolatore e' sincronizzato con il
passo per mezzo di un minuscolo interruttore posto sotto il tallone e
nell'istante opportuno invia un impulso elettrico ai muscoli che
flettono il piede verso l'alto e verso l'esterno facendogli assumere
una posizione prossima a quella naturale. Fin qui le conquiste
acquisite; e' fantascienza pensare che un giorno queste ricerche
faranno alzare dalla carrozzina l'attore Christopher Reeve? Vittorio
Ravizza
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ASTROFISICA
Decifrati i lampi gamma
Un successo del satellite italiano «Beppo-Sax»
OAUTORE MAIANI LUCIANO
OARGOMENTI astronomia, fisica
ONOMI COSTA ENRICO, FRONTERA FILIPPO, HEISE JOHN, PIRO LUIGI, OCCHIALINI
GIUSEPPE
OORGANIZZAZIONI CNR
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy, physics
SOSTENEVA Gianni Brera, giornalista sportivo tra i piu' amati dalla
mia generazione, che la nazionale di calcio e' obbligata al
catenaccio in quanto, dopo secoli di malnutrizione, l'Italia non
sarebbe in grado di esprimere attaccanti con le capacita' di
sfondamento necessarie. Mi e' sempre sembrata solo una leggenda
suggestiva, in ogni caso molto piu' innocua di quella che vuole gli
italiani versati nell'effimero ma poco dotati nella ricerca
scientifica, per natura e per capacita' organizzativa. Sono quindi
molto contento di illustrare un «caso di successo» della nostra
ricerca, convinto che un esempio valga ben piu' di dieci falsi
teoremi. Si tratta dei risultati ottenuti nella prima meta' dell'anno
dal satellite italo-olandese «Sax» (Satellite per Astronomia X) in
orbita dal 1996, ribattezzato Beppo-Sax in onore di Giuseppe
Occhialini, un protagonista della fisica di questo secolo. I
risultati del team guidato da Enrico Costa, dell'Istituto di fisica
spaziale del Cnr (con Filippo Frontera di Ferrara, John Heise di
Utrecht, Luigi Piro del Cnr di Frascati e altri quattordici
ricercatori in prevalenza italiani) sono rimbalzati su autorevoli
riviste scientifiche, da «Nature» a «Physics Today» a «Scientific
American», e hanno segnato una vera e propria rivoluzione nel campo
dell'astronomia fatta osservando il cielo nei raggi X. Per capire di
che si tratta dobbiamo fare un passo indietro di 25 anni, quando il
Dipartimento della Difesa degli Usa, preoccupato di possibili test
nucleari sovietici nello spazio, lanciava una serie di satelliti
capaci di rivelare flash di raggi gamma provenienti da orbite
terrestri (i raggi gamma sono radiazione elettromagnetica di
altissima frequenza emessa nelle reazioni nucleari; per confronto,
ricordo che i raggi X sono emessi dagli elettroni piu' interni degli
atomi, la luce visibile dagli elettroni esterni). Quei satelliti
rivelarono, in effetti, segnali gamma di breve durata, da un
millesimo a qualche decina di secondi, che tuttavia non sembravano
provenire dai dintorni della Terra ma dallo spazio esterno al sistema
solare. Nel 1973 gli scienziati concludevano che si trattava di un
fenomeno del tutto nuovo e iniziava un'indagine in grande stile: cosa
produce i flash di raggi gamma (Grb: Gamma Ray Bursts) e dove sono le
loro sorgenti? Lanciato nel 1991, il satellite «Compton» osservava
numerosi Grb, circa mille in un anno, con una distribuzione uniforme
in tutte le direzioni. Per le sorgenti, restavano aperte due
possibilita'. Una localizzazione nei dintorni della Galassia, in un
alone molto esteso, oppure una distribuzione uniforme nel cosmo, con
distanze superiori al miliardo di anni luce. Il dibattito tra le due
scuole di pensiero e' stato lungo e accanito. Nel primo caso la causa
dei Grb poteva essere un sommovimento all'interno di oggetti stellari
invisibili, ad esempio stelle di neutroni. Ma nel secondo caso, data
la distanza molto superiore, si doveva trattare di un'emissione di
energia di dimensioni veramente cosmiche, dell'ordine di energia
emessa dal Sole in miliardi di anni ma concentrata in un lampo della
durata tipica di un secondo. Per decidere, occorreva individuare
fisicamente la sorgente dei Grb, cosa impossibile per la scarsa
direzionalita' degli strumenti a bordo di «Compton», che non
permettevano di orientare efficacemente i telescopi ottici verso il
Grb e di cogliere il colpevole sul fatto, con la pistola fumante,
come dicono gli americani. E' quanto e' stato possibile fare, invece,
con la strumentazione sofisticata di Beppo-Sax e con una
organizzazione perfetta. Il segnale piu' completo si e' avuto l'8
maggio scorso. La camera di bordo segnalava un Grb e registrava i
dati, che venivano trasmessi a terra al passaggio su Malindi; di qui
venivano inviati a Nuova Telespazio (Roma) via Intelsat. Il team, in
allerta 24 ore su 24, decideva di orientare il satellite in modo da
inquadrare la regione del Grb con le camere a raggi X di alta
precisione. Le camere registravano una sorgente X variabile e ne
individuavano la regione di provenienza con la precisione di 3 primi
d'arco. Tutte queste operazioni si sono svolte in sole 8 ore e hanno
permesso a diversi telescopi ottici (a Monte Palomar, alle Canarie,
alle Hawaii) e al radiotelescopio Vla del Nuovo Messico di
individuare una sorgente di luminosita' variabile, che raggiungeva un
massimo dopo due giorni per poi decadere lentamente. E' stato anche
possibile, con il telescopio delle Hawaii, ottenere uno spettro
ottico della sorgente e mostrare che aldila' di ogni dubbio, la
sorgente dista almeno un miliardo di anni luce. Per dirla con
«Physics Today»: «All'improvviso la lunga discussione e' finita. Le
sorgenti dei Grb vivono effettivamente a meta' strada tra noi e le
frontiere del cosmo. Adesso sappiamo che, per un istante, sono gli
oggetti piu' luminosi dell'universo». Che cosa puo' produrre una
catastrofe cosmica di queste dimensioni? L'ipotesi piu' plausibile al
momento e' quella di due stelle di neutroni che cadono una dentro
l'altra e di una stella di neutroni che viene inghiottita, in un sol
colpo, da un buco nero. La strada, comunque, e' aperta per uno studio
di precisione. In un anno, con molti eventi in piu' (a Sax dovrebbe
affiancarsi un nuovo satellite Nasa, Xte, intitolato a un altro
grande scienziato italiano, Bruno Rossi) sara' possibile farsi
un'idea piu' precisa. Due commenti per finire. Costruire Beppo-Sax
non e' stato facile, tra i tagli di bilancio e l'opposizione di
alcuni ambienti accademici. La fortuna ha giocato un ruolo importante
(altri due satelliti, uno americano e uno russo, destinati allo
studio dei raggi X, non sono arrivati in orbita). Alla fine la
lungimiranza del progetto, il livello tecnologico e la solidita'
della scuola italiana hanno permesso di cogliere un successo che
restera' nei manuali di astronomia. Per il futuro sono in costruzione
due grandi rivelatori di onde gravitazionali, perturbazioni dello
spazio-tempo, che dovrebbero prodursi in gran copia nelle catastrofi
cosmiche di cui abbiamo parlato. Si tratta degli interferometri
«Virgo», costruiti a Cascine (Pisa) da una collaborazione tra Infn e
Cnrs francese, e «Ligo», costruito negli Usa dalla National Science
Foundation. A partire dal 2000 questi strumenti potrebbero osservare
diversi eventi l'anno associati ai Grb prodotti entro qualche
centinaio di milioni di anni luce. Le osservazioni di Beppo-Sax non
sono solo il punto di arrivo di 25 anni di ricerca: potrebbero
segnare l'avvio di una esplorazione del cosmo con un metodo
rivoluzionario e con prospettive che solo adesso cominciano a
delinearsi in tutta la loro portata. Luciano Maiani Universita' di
Roma «La Sapienza» Presidente dell'Istituto nazionale di fisica
nucleare
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA
CINQUE ANGOLI D'ITALIA MESSI IN SALVO
OARGOMENTI ecologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology
CALABRIA Tre zone separate dalla Sila all'Aspromomte ISTITUITO nel
1968, il parco si estende su di una superficie di 13.500 ettari nelle
provincie di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria. E' costituito da
tre zone differenti e tra loro separate: la Sila Grande (Cosenza), la
Sila Piccola (Catanzaro) e l'Aspromonte (Reggio Calabria). La Sila e
l'Aspromonte costituiscono un'oasi di estremo interesse per la fauna
selvatica: purtroppo numerose specie rare sono in via di estinzione.
Molto ber rappresentato e' il cinghiale e comuni sono la volpe, la
martora, la lepre e la lontra. Tra gli uccelli troviamo il falco
pellegrino, lo sparviero, la poiana e nella Sila l'aquila reale. Il
territorio del parco ricade nella zona fitoclimatica del faggio;
soltanto qualche fascia marginale esposta a mezzogiorno rientra in
quella del castagno. La vegetazione e' quindi quella tipica del piano
montano appenninico con prevalenza del pino laricio e dell'abete
bianco tra le conifere e del faggio, dell'ontano, dell'acero di
monte, del cerro e della farnia tra le latifoglie. E' facilmente
raggiungibile sia da Cosenza sia da Reggio Calabria.
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CIRCEO Tanti tipi di vegetazione in pochi ettari E' il primo parco
italiano sorto lungo i litorali, nel 1934. Le sue dimensioni sono
limitate, 8300 ettari, tuttavia si tratta di un'area di straordinario
interesse naturale e storico, che merita una visita in ogni stagione
dell'anno. Cinque i suoi ambienti naturali. La Selva e' formata in
gran parte da cerro e punteggiata da piccole aree umide, note come
«piscine». I laghi costieri di Fogliano, dei Monaci, di Caprolace e
di Paola, meta obbligata per gli appassionati di birdwatching,
ospitano i fenicotteri. La duna litoranea, la piu' spettacolare del
Mediterraneo, su cui spicca il ginepro coccolone. Il promontorio del
Circeo, con vegetazione completamente diversa tra i due versanti,
quello caldo (palma nana e ginepro fenicio) e quello freddo (fitta
foresta di lecci). L'isola di Zanone ha una lecceta secolare; nella
fauna e' presente il muflone. Il Parco e' anche ricco di
testimonianze storiche e archeologiche. Nella Grotta dei Guttari fu
trovato nel 1939 un cranio di uomo di Neandertal risalente a 65.000
anni fa. Raggiungibile da Sabaudia e da San Felice Circeo.
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STELVIO Le sue rocce raccontano le storia delle Alpi ISTITUITO nel
1935, si estende per oltre 135.000 ettari nelle province di Brescia,
Trento, Bolzano e Sondrio. I tre quarti della superficie sono al di
sopra dei 2000 metri. Racchiude il massiccio dell'Ortles-Cevedale.
Interessante dal punto di vista geologico per i due tipi di rocce
cristalline di origine metamorfica e calcareo dolomitiche di origine
sedimentaria il cui studio ha permesso di elaborare approfondite
teorie sull'origine delle Alpi. Possiede una notevole ricchezza di
fauna (cervi, caprioli, camosci, stambecchi) e tra la fauna minore
marmotte, ermellini, martore, donnole e tassi e nell'ambito
dell'avifauna la pernice bianca, il falco, lo sparviero, i gufi, le
civette. Affascinante per la vasta superficie di foreste in cui
predominano il larice, l'abete rosso, il pino cembro e, in alcune
valli anche l'abete bianco. Il pino mugo e' particolarmente diffuso
nel complesso roccioso calcareo dolomitico, mentre le latifoglie
hanno scarsa diffusione se si esclude in alcuni punti la betulla.
Notevole la singolare vegetazione presente lungo i corsi d'acqua. E'
raggiungibile da Bormio.
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ABRUZZO Il regno dell'orso, del lupo e del falco pellegrino
CONSIDERATO il patriarca dei parchi italiani, fu voluto da una grande
personalita' della nostra cultura: Benedetto Croce. Si estende su di
una superficie di 40.000 ettari a cui vanno aggiunti 60.000 ettari di
preparco (zona di protezione assai preziosa). Le montagne del parco
sono tra le piu' interessanti dell'Appennino, costituite da rocce
sedimentarie di origine marina depositate negli ultimi 300-400 mila
anni su di un basamento di rocce ancora piu' antiche. Della ricca
fauna sono tipici l'orso e il lupo, il camoscio d'Abruzzo, i cervi e
le lontre. Tra i volatili spiccano i rapaci: l'aquila, la poiana e il
velocissimo falco pellegrino. La vegetazione e' molto ricca e
diversificata comprendente oltre 1200 piante superiori. Dominano le
latifoglie con larghissima prevalenza del faggio; nella faggeta si
riconoscono anche l'acero di monte, il pioppo tremulo. Alla faggeta
si alternano tratti di pineta costituita a media quota dal raro pino
nero e piu' in alto dal mugo. E' raggiungibile da Pescasseroli, il
paese natale di Benedetto Croce.
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GRAN PARADISO Una eccezionale varieta' di ambienti botanici E' il
primo parco nazionale sorto in Italia. Ha una superficie di 200 mila
ettari. Si estende sull'intero massiccio del Gran Paradiso e vanta
una grande varieta' di ambienti in quanto si sviluppa da 800 a oltre
4000 metri. E' interessante anche dal punto di vista geologico: le
fasce piu' significative sono quella gneissica formatasi nell'era
primaria, e quella dei calcescisti. Sono censiti oltre 60 ghiacciai
tra grandi e piccoli. Oltre alla ricchezza della fauna (camosci,
stambecchi, marmotte) e dell'avifauna (gallo forcello, beccafico,
regolo), il clima, il terreno e l'altitudine permettono di
distinguere quanto a vegetazione vari ambienti: i boschi (abete
bianco, risso, pino cembro), la zona di transizione tra i boschi e i
pascoli alpini (con arbusteti); i pascoli rasi alpini con
associazioni vegetali composte da festuche, carici e nardo; i detriti
e i macereti con specie rare come il semprevivo ragnateloso, i
genepi', le sassifraghe; la vegetazione tipica dei terreni calcarei
con campanule, draba, e la Linaria. Raggiungibile da Noasca, Locana,
Ronco, Ceresole, Introd, Cogne.
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
LA FORMULA DI DRAKE
OGENERE box
OARGOMENTI astronomia
ONOMI DRAKE FRANK
OLUOGHI ITALIA
OKIND boxed story
OSUBJECTS astronomy
FRANK Drake, pioniere delle ricerche di vita intelligente
extraterrestre e attuale presidente del Seti Institute, ha elaborato
fin dal 1961 una formula che porta il suo nome per stimare il numero
di civilta' intelligenti con cui potremmo comunicare nella nostra
galassia: N=R* x fp x ne≥ x fl x fi x fc x L N Numero di civilta'
nella galassia di cui possiamo ricevere le emissioni radio. R* Tasso
di formazione delle stelle di tipo solare nella galassia. fp Frazione
di stelle che hanno un sistema planetario. ne≥ Numero di pianeti per
ogni stella sui quali si puo' sviluppare la vita. fl Frazione di
pianeti sui quali la vita appare effettivamente. fi Frazione di
pianeti sui quali emerge l'intelligenza. fc Frazione di civilta' con
una tecnologia sufficiente a manifestare la propria esistenza. L
Durata del periodo durante il quale una civilta' comunica con
l'esterno. Purtroppo rimangono grandi incertezze su ognuno dei
fattori della formula di Drake. Nella loro valutazione sono coinvolte
molte discipline scientifiche, dall'astrofisica alla biologia, fino
alla psicologia. Le stime piu' ottimistiche prevedono milioni di
civilta' solo nella Via Lattea, mentre le piu' prudenti conducono al
valore N=1. Siamo dunque soli nella galassia? Forse. Ma non
dimentichiamo che esistono molti miliardi di galassie nell'universo.
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Un indizio in meno
L'ozono non e' la «firma» della vita
OAUTORE M_C
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Un radiotelescopio simile a quelli usati per stabilire un contatto
con
civilta' extraterrestri
ONOTE Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence)
OSUBJECTS astronomy
SI era sempre pensato che tracce di ozono dimostrassero l'esistenza
di vita extraterrestre. Ora si scopre che se ne trova anche la' dove
la vita di sicuro non esiste, e di colpo la scienza smette di
considerarlo una prova della presenza di attivita' biologica. Come si
puo' sapere se sui pianeti che orbitano intorno a una stella lontana
c'e' vita intelligente? Si puntano i radiotelescopi e si vede se
arrivano segnali di chiara origine artificiale. Proprio a questo
mirano le ricerche Seti (Search for Extra - Terrestrial
Intelligence). Ben altro problema e' individuare la vita se la
civilta' non ha ancora avuto tempo o modo per svilupparsi. Finora si
e' ritenuto che l'identificazione nello spettro di un corpo celeste
della riga dell'ozono (ossigeno le cui molecole sono composte da tre
atomi) alla lunghezza d'onda di 9,8 micrometri fosse un segno
inequivocabile e caratteristico dell'esistenza di vita. E invece no:
senza andare troppo lontano, lo studio di alcuni corpi minori del
sistema solare ha recentemente rimesso in discussione questa
convinzione. E' noto da tempo che nella tenue atmosfera di Ganimede,
satellite di Giove, si trova ossigeno. Infatti le molecole del
ghiaccio che ricopre la superficie vengono dissociate in idrogeno e
ossigeno dall'intenso bombardamento delle particelle cariche e
fortemente energetiche provenienti dal Sole, che spiraleggiano nel
campo magnetico di Giove. Mentre l'idrogeno, di piccola massa e
grande velocita' molecolare, si disperde nello spazio, l'ossigeno
rimane sul satellite, in parte sotto forma di gas nell'atmosfera e in
parte intrappolato nella struttura cristallina del ghiaccio. Ma il
numero del 3 luglio di Nature riporta un'interessante scoperta: un
gruppo di ricercatori dell'Ames Research Center della Nasa suggerisce
che, in base ad alcune osservazioni del Telescopio Spaziale, sui
satelliti dei pianeti giganti del sistema solare e' ragionevole
aspettarsi anche la presenza di ozono. Fra l'ottobre del 1994 e il
dicembre del 1996 «Hubble» e' stato puntato in direzione di Dione,
Rhea e Giapeto, che orbitano intorno a Saturno. Inaspettatamente, le
misure spettroscopiche hanno evidenziato come nella crosta ghiacciata
vi sia ozono, nella misura di una molecola ogni cinquecento di
ossigeno biatomico. Esso si e' formato a causa delle radiazioni
ultraviolette che colpiscono il ghiaccio nel quale l'ossigeno e'
bloccato. L'ipotesi e' ragionevole: infatti entrambi scarseggiano su
Giapeto, che e' piu' distante da Saturno e dunque risente meno del
bombardamento delle particelle intrappolate nella sua magnetosfera,
mentre e' lecito prevedere una notevole abbondanza di ossigeno e
ozono su Teti e Encelado, che sono piu' vicini al pianeta di Rhea e
Dione. E' convinzione diffusa fra gli astrofisici che l'ossigeno sia
il segno inequivocabile della presenza di un'attivita' biologica
analoga a quella terrestre. L'ozono presente nell'atmosfera del
nostro pianeta e' prodotto da reazioni fotochimiche sull'ossigeno, e
dunque rivelarlo nello spettro di un corpo celeste dovrebbe bastare
per affermare che su quel corpo c'e' vita. Ma i ricercatori americani
suggeriscono che l'ossigeno in un'atmosfera planetaria potrebbe
essere stato originato da processi che nulla hanno a che vedere con
l'attivita' biologica. Comete di ghiaccio, per esempio, potrebbero
avere arricchito un pianeta di ossigeno, trasformatosi poi in ozono
per meccanismi simili a quelli avvenuti sui satelliti di Giove e di
Saturno. La loro conclusione e' chiara: «L'identificazione di
atmosfere contenenti ossigeno su pianeti extrasolari per mezzo della
rilevazione di ozono non puo' piu' essere considerata un mezzo sicuro
per scoprire pianeti che ospitano un'attivita' biologica analoga a
quella terrestre». Un criterio in meno a disposizione degli
scienziati.(m. c.)
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. STRANEZZE GEOFISICHE
Sono colline o capezzoli?
OAUTORE BIANCOTTI AUGUSTO
OARGOMENTI geografia e geofisica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS geography and geophisics
CHE questa vecchia Terra abbia la pelle rugosa sta sotto gli occhi di
tutti. Catene montuose, vulcani, fratture profonde solcano e incidono
la litosfera sia sui continenti sia sui fondali oceanici. Sono meno
note altre eruzioni cutanee: gobbe, dossi, rilievi isolati che
spuntano ovunque, quasi fossero foruncoli o verruche. Nel grande Nord
del Canada, sul delta del fiume Mackenzie, crescono centinaia di
collinette emisferiche, elevate di una cinquantina di metri sul
terreno circostante. Gli Eschimesi le chiamano Pingo, nome che e'
rimasto anche nella letteratura scientifica. Nascono al fondo delle
vallate o, in generale, in aree depresse dove si accumula l'acqua di
falda. Le basse temperature la trasformano in ghiaccio; il quale,
aumentando di volume, provoca l'inarcamento a cupola della coltre di
suolo di copertura. Questa, in genere gia' poco spessa, viene stirata
e ancora piu' assottigliata dal movimento. Sovente accade che si
laceri alla sommita', e allora si forma una depressione al fondo
della quale occhieggia il ghiaccio. Attraverso lo «strappo» il freddo
se ne va: il cuore gelato del monticello in parte fonde in un
laghetto. In Siberia, in Alaska, in Groenlandia i vulcanelli di
ghiaccio si contano a legioni. Altre forme da queste derivate
modellano la pianura belga, olandese e tedesca. Erano probabilmente
Pingo dell'era glaciale, quando il versante europeo volto al Mare del
Nord aveva il clima che oggi domina nelle estreme terre boreali.
Compiamo un lungo balzo, verso i tropici piovosi: sulle formazioni di
rocce calcaree una delle forme ricorrenti e' data dal Cockpit, un
insieme di collinette mammellonari radunate a gruppi di quattro
attorno ad una depressione centrale, ove la roccia e' perforata da un
pozzo naturale, un inghiottitoio carsico che drena le acque reflue
dalle alture circostanti. Forse e' proprio l'aspetto di quella
scultura naturale a suggerire il nome, che sta per «arena per il
combattimento dei galli». L'insieme in effetti ricorda da vicino gli
spalti di un piccolo stadio chiusi attorno alla platea centrale. Per
altri piu' prosaicamente c'entra la Cockpit Country della Giamaica,
ricca di tali morfologie. Altrove se ne parla come di «coni carsici».
A Puerto Rico i coni, a quanto pare, piacciono freddi, e diventano
«Pepino hills»: possiamo tradurre con «colline di gelato»
dall'artigiano napoletano, mago dell'ice- cream, che ha fatto fortuna
nel mondo? Ai Filippini, da quei sensuali latino-asiatici che sono,
ricordano parti anatomiche di un certo fascino, al punto da diventare
«Tit hills», colline- capezzolo. I Cockpit, la cui altezza varia da
dieci a cento metri, con un diametro equivalente, nascono dalla
corrosione chimica del calcare da parte di un reticolato di corsi
d'acqua disposti a maglie rettangolari. Tale processo in ambiente
caldo-umido procede con rapidita'. Dapprima incide i fiumi in solchi
profondi dai quali si elevano via via le cupolette regolari; in un
secondo tempo la corrosione trapana la roccia la' dove e' piu' ricca
di fratture, e crea l'inghiottitoio centrale, l'ultimo tocco di quel
curioso paesaggio. Nelle steppe predesertiche dell'Algeria, del
Marocco, del Sud-Ovest degli Stati Uniti troviamo infine le
Inselberg, le montagne-isola, alture solitarie di roccia dura che si
ergono anche loro di qualche decina di metri su un piano di campagna
brullo, uniforme, leggermente inclinato a figurare un versante in
lievissima pendenza. Sono il frutto dell'erosione differenziale in un
ambiente rude, dove precipitazioni brevi e intensissime si alternano
a lunghi periodi secchi. Durante le fasi aride i bruschi sbalzi
termici fra il giorno e la notte favoriscono l'alternarsi di
contrazioni e dilatazioni delle rocce esposte che per lo stress si
fratturano in modo disomogeneo. A causa della loro composizione e
struttura, alcune si sfaldano piu' a fondo, altre di meno. Durante le
piogge battenti la coltre del materiale alterato e' trascinata via
dalle acque che scorrono vorticose in una massa compatta, come una
lama liquida che pialla letteralmente la superficie esposta. I nuclei
di roccia piu' stabile subiscono di meno l'insulto delle
precipitazioni: a poco a poco e' come se emergessero dal mare del
terreno circostante in erosione. Nel tempo assumono l'aspetto di
isole alte sull'intorno circostante. E' nata cosi', ad esempio, la
rossa Ayer Rock, e tanti altri rilievi residuali in arenaria della
regione di Alice Springs nella parte centrale dell'Australia. Molte
di queste forme esotiche esistono anche da noi, a testimoniare altri
periodi geologici, nei quali i climi erano ben diversi dall'oggi,
piu' caldi e secchi, o magari piu' umidi. Possiamo incontrare bei
Cockpit, un po' rimodellati sotto il cielo mediterraneo,
sull'altopiano delle Manie alle spalle di Finale Ligure in Riviera di
Ponente. La campagna ondulata, a meglio osservarla, consta a tratti
di crocchi di alture a cupola disposte a croce attorno al pozzo
carsico centrale, come dire un pezzo di Caraibi alle porte di casa.
Di Inselberg piu' o meno maestose e' costellata tutta la fascia
dell'alta Pianura Padana contigua al bordo alpino. La piu' evidente
e' la Rocca di Cavour, a un passo da Torino, che si erge isolata
sulla pianura pinerolese. Un ricordo d'altri tempi, quando il verde
Piemonte era una landa desolata di roccia e sabbia, esposta al vento
e spazzata a tratti da diluvi torrenziali. Augusto Biancotti
Universita' di Torino
ODATA 20/08/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
NUOVI PROGETTI SETI
E.T. dimmi qualcosa
Caccia ad alieni intelligenti tra mille difficolta'
OAUTORE CAGNOTTI MARCO
OARGOMENTI astronomia
ONOMI DRAKE FRANK, COCCONI GIUSEPPE, MORRISON PHIL
OORGANIZZAZIONI SETI INSTITUTE, NASA
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA
ONOTE Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence)
OSUBJECTS astronomy
TUTTO comincio' nel 1959 con la pubblicazione su «Nature» di un
articolo di Giuseppe Cocconi e Phil Morrison: da allora fantasie
letterarie e speculazioni metafisiche sull'esistenza di esseri alieni
dotati di intelligenza si trasformarono in un'ipotesi di lavoro
scientifica. Nel 1960 Frank Drake punto' il radiotelescopio di Green
Bank verso Tau Ceti ed Epsilon Eridani, due stelle a una decina di
anni-luce, e per alcune settimane le segui' costantemente per
rivelare un segnale che fosse indizio della volonta' di
un'intelligenza aliena di comunicare. Fu il primo tentativo Seti
(Search for Extra-Terrestrial Intelligence). Da allora le ricerche di
segnali intelligenti dal cosmo hanno acquisito dignita' scientifica e
decine di altri studi sono stati intrapresi in molti Paesi. Nel 1992
la Nasa inauguro' il suo programma Seti, diviso in due parti: la
ricerca di segnali provenienti da un migliaio di stelle entro cento
anni-luce dal Sole e di tipo spettrale analogo, gestita dall'Ames
Research Center sfruttando parte del tempo di osservazione di grandi
radiotelescopi, e una survey dell'intera volta celeste, organizzata
dal Jet Propulsion Laboratory servendosi delle antenne da 34 metri
dell'agenzia spaziale. Anni di lavoro e decine di milioni di dollari
di investimenti preliminari per arrivare, nell'ottobre del 1993, alla
cancellazione dell'intero progetto: il Congresso aveva tagliato i
fondi. Ma un gruppo di ricercatori non si e' dato per vinto: dalle
ceneri del programma governativo poteva rinascere un progetto
sponsorizzato da privati e industrie. Si e' fondato cosi' il Seti
Institute, che ora gestisce il programma Phoenix. Pur non possedendo
un radiotelescopio proprio, riceve finanziamenti dalle piu'
importanti aziende high-tech statunitensi (da Hp a Intel a
Microsoft), dalla Planetary Society e, curiosamente, anche dalla
Nasa. Nel 1995 Phoenix ha affittato per sei mesi il radiotelescopio
di Parkes, in Australia, al quale ha applicato il Multichannel
Spectrum Analyzer (Mcsa), ottenuto dalla Nasa, seguendo 200 stelle.
Ma Phoenix non e' solo: anche le universita' dell'Ohio, di Harvard
(progetto Beta) e di Berkeley (Progetto Serendip) hanno programmi
autonomi. Non ha senso mettersi a cercare qualcosa se non si ha
un'idea di quello che si spera di trovare. Segni distintivi
dell'origine artificiale di un segnale, continuo o pulsato, sarebbero
la banda molto stretta della portante radio e la periodicita'
dell'effetto Doppler (variazione di frequenza dovuta al moto relativo
della sorgente e del ricevitore), dovuta alla rotazione su se stesso
del pianeta d'origine. Purtroppo e' come cercare il classico ago nel
pagliaio: bisogna avere la fortuna di osservare la stella giusta nel
momento giusto, a una soglia di sensibilita' adeguata, e con la
giusta polarizzazione. Ma soprattutto bisogna indovinare la frequenza
esatta con la quale il segnale e' stato inviato. Tutto l'intervallo
compreso fra 1 GHz e 3 GHz, in cui il fondo naturale e' minimo, e' di
potenziale interesse. Il suggerimento originario di Cocconi e
Morrison e' tuttora ritenuto valido: la riga a 1,42 GHz
(corrispondente a 21 centimetri di lunghezza d'onda) emessa
dall'idrogeno neutro. Nota come frequenza «magica», per il suo
carattere di universalita', dovrebbe essere la scelta piu' spontanea
anche per una civilta' aliena. Purtroppo il segnale ci arriverebbe
spostato per effetto Doppler, e quindi non basta sintonizzarsi su
1,42 GHz: e' necessario seguire molti canali contemporaneamente, non
piu' larghi di 1 Hz. I problemi tecnologici per realizzare
l'elettronica e il software di elaborazione dei dati sono notevoli,
ma gli ultimi anni hanno visto lo sviluppo di soluzioni innovative:
Drake aveva osservato due stelle su un unico canale: l'Mcsa di
Phoenix segue quasi 30 milioni di canali simultaneamente. Se si
escludono molti falsi allarmi e alcuni eventi sospetti ma non piu'
riosservati, quasi quarant'anni di Seti non hanno portato al
risultato sperato. Che fare, se e quando arrivera' il segnale? Gli
scienziati sono stretti fra due opposte esigenze: da un lato il
bisogno di rigore e cautela per confermarne l'artificialita' ed
evitare errori e disillusioni, e dall'altro l'esigenza della massima
rapidita' e trasparenza nell'informare il grande pubblico, perche' un
segnale alieno sarebbe rivolto a tutta l'umanita' e non solo a coloro
che per primi lo hanno rilevato. Il rischio e' che sull'onda del
sensazionalismo la notizia possa avere conseguenze imprevedibili:
confusione, incredulita', paura, allarmismo. Se invece non
riuscissimo a rivelare nulla, non per questo dovremmo rassegnarci a
un'ineluttabile solitudine cosmica: l'assenza dell'evidenza non e'
l'evidenza dell'assenza. Forse non ci sono civilta' aliene nei
paraggi del Sole. O forse non sono abbastanza evolute. Oppure non
vogliono mostrarsi: Seti puo' scoprire solo chi vuole farsi scoprire
emettendo un ben preciso segnale. Cosa che, se si esclude un
messaggio lanciato dal radiotelescopio di Arecibo nel 1974 verso
l'ammasso globulare M13, noi stessi non abbiamo mai fatto. E comunque
vada ne sara' valsa la pena, se non altro per il progresso
tecnologico che Seti ha indotto in campi che nulla hanno a che fare
con gli extraterrestri: diagnostica medica, sfruttamento del
sottosuolo, radiosorveglianza, rapida analisi di dati. Marco Cagnotti
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ORTI BOTANICI NEL MONDO
I musei delle piante
In costante aumento serre e arboreti
OAUTORE GRANDE CARLO
OARGOMENTI botanica
ONOMI LINNEO CARLO, CONSOLINO FRANCESCA, BANFI ENRICO
OORGANIZZAZIONI ZANICHELLI
OLUOGHI ITALIA
ONOTE «Oryi botanici nel mondo»
OSUBJECTS botany
ARISTOTELE e Teofrasto, Avicenna, Plinio, Ippocrate, Galeno e
Dioscoride: ripercorrere la botanica nei secoli e' un viaggio
affascinante che conduce lontano, in compagnia di medici e filosofi
famosi. Forse deriva anche da questo la magia degli orti botanici,
isole verdi di straordinaria bellezza, dove germogliano i prodigi del
mondo vegetale. Gia' duemila anni fa, in Estremo Oriente, esistevano
giardini dove i monaci Zen coltivavano piante non di stretto
interesse economico, da dedicare alle divinita'. Piante come le
camelie, i crisantemi, la tuja orientale, la crittomeria, poi
arrivate in Occidente e diventate altrettanti simboli della nostra
civilta'. Nell'Europa medievale furono ancora i religiosi, nella
quiete dei monasteri, a prendersi cura delle piante «terapeutiche»,
coltivando tra aiole geometriche le virtu' delle essenze vegetali: i
chiostri vennero adibiti a giardinetti di piante medicinali, detti
«Herbularii». Nel Rinascimento la tradizione monastica medievale fu
rilevata dalle universita': sorsero i primi «Horti medici», detti
anche «Horti simplicium» (i «semplici» erano gli ingredienti di
origine vegetale o animale, che miscelati o da soli costituivano i
preparati da impiegare nella cura delle malattie). Si trattava di
giardini annessi alle universita', frequentati da studenti per
imparare a riconoscere il nome delle piante e le loro capacita'
medicinali. I giardini divennero supporto didattico e di ricerca alla
disciplina botanica, mentre la professione del medico comincio' ad
assumere carattere ufficiale. Il primo «orto dei semplici» italiano
nacque a Pisa, nel 1543, seguito da numerosi altri in tutta Europa,
primi fra tutti quelli di Padova e Firenze, nel 1545. Gli orti
botanici veri e propri, non solo «orti dei semplici», sorsero solo
nel Settecento, con la rivoluzione culturale del grande Carlo Linneo:
il naturalista svedese elevo' la botanica e la zoologia a discipline
autonome, e le piante vennero studiate in se', non piu' solamente in
quanto mezzo di utilita' e produzione. Gli «horti», che grazie alle
scoperte geografiche si arricchirono di piante provenienti da tutto
il mondo, sorsero anche ai tropici e nei territori coloniali. Proprio
gli orti botanici nelle terre piu' lontane sono il tratto piu'
affascinante di un libro appena uscito, intitolato «Orti botanici del
mondo»: con quest'opera in tasca, scritta da Francesca Consolino e
Enrico Banfi (edita da Zanichelli) si puo' fare il giro del pianeta
ammirando un'ottantina di orti botanici, dal Giappone all'Australia,
dall'India al Brasile, dall'Honduras allo Sri Lanka. In Cina ad
esempio, vengono segnalati il «Beijing Botanical Garden di Pechino» e
il «South China Botanical Garden» di Canton. Tra i piatti forti di
quest'ultimo il «giardino dei bambu'», con un centinaio di taxa della
portentosa pianta: il bambu' gigante, ad esempio, cresce anche decine
di centimetri in 24 ore, e la stessa specie ha la peculiarita' di
fiorire molto raramente, a distanza di decine di anni, ma
contemporaneamente in tutti i luoghi del mondo in cui si trova. In
Australia si possono visitare i giardini botanici di Canberra,
Hobart, Melbourne, Sydney. Quest'ultimo, il piu' antico, ebbe origine
quando il capitano Arthur Philip sbarco' sulla costa orientale per
costruire una colonia penale: piantata la bandiera britannica, decise
di ovviare alla mancanza di frutta e verdura fresca, in quel
bellissimo luogo completamente deserto, piantando in un appezzamento
di terra semi provenienti da Inghilterra, Sud Africa e Sud America.
La «farm cove» del capitano fu il primo nucleo dell'orto botanico di
Sydney. Negli Stati Uniti spiccano il «Desert Botanic Garden» di
Phoenix, nel cuore dell'Arizona (le estati caldissime e le
precipitazioni scarse, spingono i vegetali ad autentiche performances
di resistenza) e il Missouri Botanical Garden di St. Louis, che
vanta la serra piu' antica degli Stati Uniti: costruita nel 1882 in
stile vittoriano, ospita splendide fioriture invernali di camelie. Da
non dimenticare il ricchissimo «New York Botanical Garden» del Bronx,
con la monumentale serra «Conservatory», e il «Fairchild Tropical
Garden» di Miami. A molti chilometri di distanza, sulla costa
settentrionale di Oahu, l'isola piu' importante delle Hawaii, sorge
l'arboreto/giardino botanico di Waimea: un'ottima occasione per
verificare quanto sia decisivo l'impatto dell'uomo sulla natura. Il
«Waimea Arboretum» e' un paradiso all'interno del «paradiso perduto»
delle Hawaii, visitato ogni anno 700 da mila persone. Il declino
della bellissima ed esclusiva flora naturale hawaiana inizio' con
l'arrivo dell'uomo e dei mammiferi continentali: molte piante con
l'arrivo dei grossi erbivori si sono trovate spiazzate, senza il
tempo di evolvere meccanismi di difesa, spine o sostanze chimiche
velenose. Diversi settori sono dedicati alla flora di isole come
Guam, le Mascarene e le Fiji. Dal caldo delle isole al fresco della
Scandinavia: nel cuore di Uppsala c'e' ancora il giardino dove Carl
von Linne' inizio' a studiare la sessualita' delle piante, nel 1728.
Anche il «giardino barocco» e' rimasto come nel Settecento, con
cipressi, bossi e tassi interpretati secondo il gusto dell'epoca.
Negli ultimi decenni, ricordano gli autori, c'e' stato un vero boom
degli orti botanici. Nel 1990 se ne contavano circa 1400, oggi il
loro numero e' in costante aumento. Merito della sete di conoscenza
di studiosi e appassionati, ma anche della consapevolezza che le
specie e gli ambienti naturali in pericolo, sono sempre piu'
numerosi. Carlo Grande
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TORINO
Riaperto l'Orto del Valentino
OAUTORE C_GR
OARGOMENTI botanica
ONOMI GIULINI PATRIZIO, BALDAN ZENONI POLITEO GIULIAN
OORGANIZZAZIONI ORTO BOTANICO, GRUPPO GIARDINO STORICO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS botany
RINASCIMENTO degli orti botanici, si potrebbe definire questo momento
di grande fervore degli studi sui templi delle piante. La «Rivista di
Storia dell'agricoltura dell'Accademia dei Georgofili ha appena
dedicato un fascicolo ad una serie di «orti agrari» italiani, tappa
importantissima per la nostra agricoltura tra la fine del Settecento
e la seconda meta' Ottocento. Inoltre l'orto botanico di Padova, che
da poco ha festeggiato i 450 anni, ha appena pubblicato a cura del
Gruppo Giardino Storico diretto da Patrizio Giulini «Il giardino dei
sentimenti» (Guerini e Associati), volume a cura di Giuliana Baldan
Zenoni Politeo. Last but not least, riapre il tempio torinese delle
piante, nel cuore del Valentino; l'Orto botanico di Torino risale al
1729, essendo l'erede diretto dell'Orto Regio creato su iniziativa di
Vittorio Amedeo II accanto all'ala settentrionale del castello del
Valentino. I poco meno di tre ettari, a ridosso della facolta' di
Architettura, sono divisi in due parti: da un lato gli edifici che
ospitano aule e laboratori del dipartimento di Biologia vegetale
dell'universita', dall'altra il boschetto. Proprio il boschetto, una
valletta a forma di anfiteatro circondata da un centinaio di alberi
sistemati negli Anni Trenta dell'Ottocento con piccole radure e
scenari pittoreschi, e' la novita' piu' consistente. Come ricorda la
direttrice del dipartimento di Biologia vegetale Rosanna Caramiello,
e' stato tolto al degrado (i vandali che saltavano la cancellata non
erano piu' pietosi delle bombe cadute durante la guerra), e servira'
tra l'altro per mostrare un lembo di «bosco planiziale» ovvero i
boschi primigenii che prima dello sfruttamento agricolo occupavano la
Pianura Padana occidentale. Nell'area del «boschetto» (dove ogni
pianta ha un cartellino e si possono riconoscere specie piuttosto
rare, dal Diospyros vir giniana alla Cidonia sinensis) e' stato
ricostruito uno stagno, tipico ambiente palustre della Pianura
Padana. Li' vegetano piante sommerse («idrofite»), piante con organi
in parte sommersi («elofite») e piante legate a suoli umidi, come i
canneti (dette «igrofile»). Una vasca, che risale invece alla prima
meta' dell'Ottocento, e offre una collezione di piante acquatiche.
Ogni fine settimana e nei giorni festivi i torinesi potranno dunque
passeggiare tra gli alberi, sotto la guida di giovani laureati che
illustreranno anche il «Giardino» vero e proprio, davanti agli
edifici universitari. Qui, intorno a uno splendido viale ombreggiato
da tre antichi e maestosi esemplari di ginkgo, di tiglio e di
liriodendro, si possono ammirare aiuole «sistematiche», piante
medicinali, «cultivar» di piante da frutto, esemplari di flora alpina
e mediterranea, tre tipi di serre (temperata, tropicale e per piante
succulente), vasche di piante acquatiche autoctone ed esotiche, e
infine un angolo per la biodiversita' in pericolo, dove cioe' saranno
protette specie in via di estinzione. Un richiamo alla fragilita' di
molti esemplari del regno vegetale, come testimoniano i «musei
verdi», gia' abbastanza caduco anche senza l'intervento diretto
dell'uomo. (c. gr.)
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
I Semplici di Pisa
Il Giardino compie quattro secoli
OAUTORE ACCATI ELENA
OARGOMENTI storia della scienza, botanica
ONOMI VESALIO ANDREA, CESALPINO ANDREA, GERBERI FABIO
OORGANIZZAZIONI ORTO BOTANICO DI PISA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PISA (PI)
OSUBJECTS history of science, botany
HA appena compiuto 400 anni l'Orto botanico di Pisa, il «Giardino dei
Semplici», la piu' antica istituzione di questo tipo, sorta in Europa
grazie al mecenatismo dei Medici. La storia dell'Orto pisano si
inquadra nel rinascimento scientifico dell'epoca: Niccolo' Copernico
aveva scosso le concezioni geocentriche dei seguaci della dottrina
tolemaica, Andrea Vesalio aveva apportato innovazioni negli studi
anatomici e il Fuchs, massimo botanico dell'epoca, aveva pubblicato
una sintesi e aggiornamento della «Historia stirpium». Fino ad allora
la storia naturale era stata negletta. L'Orto sorse per soddisfare le
esigenze didattiche e di ricerca dell'Universita': «Gli studiosi
debbono potere vedere le vere e viventi piante per ben imprimere
nella memoria le fattezze... malagevole sarebbe stato l'andarle a
cercare nei luoghi nativi... con pericolo della sanita' e grande
perdita di tempo». L'Universita' allora possedeva tre soli corsi di
laurea: teologia, diritto civile e canonico, filosofia e medicina. Lo
studente aveva la possibilita' di scegliersi il docente essendo
attivi per ogni disciplina almeno due corsi concorrenti e con il
medesimo programma! Nel '500 la medicina e la botanica formavano un
insieme indissolubile: il «De Materia Medica» di Dioscoride era il
testo base. Erborizzazione, ossia raccolta di piante, valutazione
delle specie vegetali, della loro forma e delle eventuali proprieta'
sono i primi passi della scienza botanica che vuole divenire autonoma
depurando la medicina da una grande massa di superstizioni,
orientando le scienze naturali verso le discipline sperimentali. Si
utilizzavano esemplari essiccati dando origine a quello che era
denominato «orto secco», un primo tentativo di classificazione delle
piante anche se molto approssimativa. A poco a poco si incomincia a
considerare specie cui non e' legato alcun significato farmacologico
e nessuno tipo di utilita'. Si pongono in discussione l'autorita' dei
testi classici: il mitico Dioscoride, ad esempio, diventa il Deum
discordiae, di lui si criticano le troppo brevi descrizioni di
piante, frammentarie ed incomplete. La adeguata iconografia
rappresentava un aiuto validissimo e un complemento fondamentale alle
raccolte in quanto le immagini dipinte richiamavano i colori della
pianta fresca che con il processo di conservazione andavano perduti.
A lungo per i botanici la classificazione degli organismi vegetali e'
stata il problema dominante: d'altra parte gia' Teofrasto, discepolo
di Aristotele, aveva tentato una distinzione in alberi, arbusti ed
erbe sapendo, pero', che una pianta puo' essere distinta da un'altra
in base a caratteri intrinseci; Dioscoride, invece, si era basato
sulle caratteristiche medicinali. Si cercava di comprendere la
naturali affinita', ossia la vera, intrinseca natura di una pianta:
in tal modo nasce un nuovo aspetto della botanica, la sistematica
intesa nel senso piu' moderno: studio della diversita' biologica,
ricerca delle affinita', circoscrizione di «unita' sistematiche».
Andrea Cesalpino decisamente fa fare un passo avanti alla botanica;
lo studioso aretino propone caratteri innovativi di classificazione
basati sulle modalita' di fruttificazione, criteri esposti in una sua
celebre opera il «De Plantis» e sostiene che troppo pochi studiosi di
botanica hanno congiunto la botanica con studi di filosofia senza la
quale non e' possibile farvi frutto alcuno perche' soltanto questi
consentono di individuare quella sorta di anima che chiamiamo
vegetativa che serve a dare la vita e a mantenere la specie. Con
stupefacente sintesi - come afferma Fabio Gerberi, attuale docente
presso l'ateneo pisano, nel suo studio sul Giardino dei Semplici -
Cesalpino ha individuato le parti della pianta essenziali alla vita e
al suo perpetuarsi: le radici per trarre il nutrimento che mantiene
in vita; le strutture vegetative epigee (cioe', «le foglie per
coprire il detto punto» e i fiori «uno degli involti intorno ai
frutti teneri»). Cesalpino per primo al mondo ha cercato di creare
una sistematizzazione del regno vegetale aprendo la via a Linneo. In
seguito si fa strada un concetto importante: non basta mai una
piccola differenza per classificare in modo diverso una pianta
perche' luoghi diversi o modalita' differenti di coltivazione possono
essere all'origine della diversita'. A fine Seicento sorge la
biologia fiorale, si descrivono le cellule grazie al microscopio, si
identificano i batteri, la struttura del legno e del seme, mentre a
fine Settecento si adotta la rivoluzionaria classificazione proposta
da Linneo. Accanto a tanto progresso c'e' anche chi non ritiene piu'
la scienza patrimonio esclusivo di pochi ma si preoccupa di mettere
tutti in grado di conoscere da se' le piante delle nostre campagne -
come scrive un botanico, il Sari - fornendo le descrizioni nel
«nostro idioma natio», utilizzando «nomi triviali» o ancora chi,
assai lungimirante all'inizio dell'800 si preoccupa degli effetti
dannosi prodotti da un disboscamento inconsulto scrivendo che le
«ubertose raccolte che danno per qualche tempo i terreni disboscati
sono state un allettamento pernicioso... Quelle venerabili foreste
procuravano molti vantaggi: barriera ai venti, riparo al freddo, ...
con la decomposizione delle foglie formavano il terreno vegetale.
«Con il disboscamento le acque hanno trasportato giu' anche la terra
non piu' trattenuta dalle radici degli alberi, dopo la terra
trasportano sempre parte dei sassi dal che ne segue l'innalzamento
degli alvei dei fiumi donde inondazioni frequenti e copiose e come
conseguenza un male che per lunghissimo tempo non sara' rimediabile».
Sono concetti quanto mai attuali. Elena Accati Universita' di Torino
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. RETI GLOBALI SATELLITARI
La terza era spaziale
L'Alenia al lavoro per Globalstar
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OORGANIZZAZIONI GLOBALSTAR, ALENIA SPAZIO, CENTRO PICCOLI SATELLITI, AEROSPATIALE,
ALCATEL, FRANCE TELECOM, OLIVETTI
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
DA qualche tempo si parla della «terza era spaziale», quella che
consentira' l'accesso allo spazio al vasto pubblico tramite reti
globali di satelliti per la trasmissione dati e telefonate a
terminali portatili e computer. Gli azionisti di questi consorzi, che
includono alcune delle piu' grandi aziende elettroniche del mondo,
stanno investendo 30 miliardi di dollari in questi progetti; quando
questo si realizzera', centinaia di piccoli ma efficientissimi
satelliti commerciali saranno lanciati, rivoluzionando il business
delle telecomunicazioni. Uno dei maggiori progetti per fornire
servizi mobili personali da satellite e' «Globalstar», che vede
l'industria aerospaziale italiana protagonista; la Divisione Spazio
di Alenia Aerospazio e' responsabile per l'assemblaggio,
l'integrazione e i test a Terra dei 56 satelliti della rete
«Globalstar», e delle relative 112 antenne attive. Nell'ambito di
questo programma, Alenia Aerospazio aveva inaugurato lo scorso
gennaio il nuovo Centro Piccoli Satelliti, il primo e piu' avanzato
del mondo per integrare e realizzare satelliti di piccole dimensioni,
che giocano oggi un ruolo sempre maggiore per le reti satellitari.
Questi sistemi sono infatti basati su costellazioni di decine o
centinaia di piccoli satelliti che verranno collocati in orbita nei
prossimi anni, e per questo vi e' la necessita' di produrre grandi
quantita' di satelliti di piccole dimensioni in tempi brevi. La
visita al Centro Piccoli Satelliti di Alenia Aerospazio a Roma per un
gruppo di addetti ai lavori, e' diventata il primo raduno nazionale
di appassionati di astronautica, organizzato in collaborazione con la
Societa' Spaziale Italiana ISS. E' in questo Centro unico al mondo
che si stanno forgiando gli apparati della rete «Globalstar», un
consorzio guidato dall'americana Loral. Il sistema satellitare
prevede 48 satelliti operativi, piu' otto di riserva, in orbita a
circa 1500 chilometri di quota. Il lancio dei primi satelliti, come
conferma Claudio Mastracci, di Alenia Aerospazio e' previsto per fine
novembre o per i primi di dicembre, con i primi quattro satelliti che
partiranno con un razzo vettore americano Delta 2. L'inizio dei
servizi e' invece previsto per i primi del '99 e offrira'
collegamenti di alta qualita' a basso costo per telefonia,
trasmissione dati, trasmissioni facsimile e individuazione della
posizione a Terra. Globalstar permettera' inoltre di fare e ricevere
chiamate su telefoni portatili in ogni parte del mondo, utilizzando
la telefonia cellulare o la rete telefonica pubblica. Sempre sui
sistemi di lancio, i numerosi satelliti verranno trasferiti in
gruppi: «Generalmente saranno gruppi di quattro» - dice ancora
Mastracci - «ma un grappolo di 12 verra' inviato il prossimo anno in
Kazakhstan, per essere lanciati tutti insieme da un vettore russo
Sojuz». Concorrente diretto dell'altro programma «Iridium», il cui
lancio dei primi satelliti (66 per conto della Motorola) e' avvenuto
nei mesi scorsi, «Globalstar» semplifichera' il progetto del
satellite pur necessitando di molte stazioni terrestri per controllo
e comunicazioni. Saranno 140 le stazioni sparse sul globo terrestre
per ottenere una copertura totale e sfruttare la completa capacita'
dei 48 satelliti operativi. Il consorzio Loral, che basa le
previsioni commerciali su 6 milioni di terminali in uso, meta' mobili
e meta' fissi, si avvale di importanti membri europei quali
Aerospatiale, Alcatel, France Telecom, e le nostre Alenia Aerospazio
e Olivetti. Il Centro Piccoli Satelliti di Roma, su un'area
complessiva di 6000 metri quadrati, ospita una «camera pulita» di
4000 metri quadrati continuamente controllata e mantenuta ad un tasso
del 55 per cento di umidita' relativa a una temperatura di 20 gradi
centigradi. All'interno vi sono «isole» e aree di lavoro, dove i
tecnici vestiti da infermieri operano sui vari sistemi da integrare
dei satelliti. C'e' anche un sito con attrezzature di prova per la
verifica di funzionamento dei satelliti e delle antenne simulando le
condizioni operative ambientali; il tutto collegato ad un sistema
informatico che gestisce i dati, raccoglie e analizza i risultati
delle prove. Senza dimenticare una camera a vuoto di metri 30 per 3,5
dove vengono provati gli elementi propulsivi dei satelliti, quelli
cioe' che permetteranno spostamenti orbitali e dell'assetto. I
satelliti sono dei parallelepipedi affiancati da lunghi pannelli
solari che si dispiegheranno una volta raggiunta la quota orbitale.
Globalstar e' ormai sulla rampa di lancio; alternandosi tra Cape
Canaveral e Bajkonur, una schiera di satelliti targati Italia
migliorera' le potenzialita' dei telefonini. Antonio Lo Campo
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. SORDITA'
Induzione magnetica a teatro
OAUTORE GIORCELLI ROSALBA
OARGOMENTI tecnologia
ONOMI MAGNANI MAURO
OORGANIZZAZIONI OVAL WINDOW AUDIO, ASSOCIAZIONE AUDIES
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology
TEATRI accessibili per chi ha difficolta' uditive: si stanno
moltiplicando in Veneto le installazioni di una tecnologia
statunitense dedicata ai sordi, un sistema di amplificazione ad
induzione magnetica che puo' rendere piu' amichevoli le sale
conferenze e le aule scolastiche, l'aeroporto, la chiesa. Dichiarata
innocua per la salute, nata in Europa 40 anni fa, questa tecnologia
negli Anni Ottanta e' stata ripresa e raffinata negli Usa, e qui oggi
largamente impiegata; per citare alcuni nomi, la Gallaudet University
(universita' per sordi), la catena alberghiera Hilton, l'aeroporto
internazionale Logan di Boston. A promuovere in Italia il sistema
«Superloop» prodotto dalla statunitense Oval Window Audio, e'
l'Associazione Audies, fondata nel 1993 a Scorze' (Venezia) per la
diffusione di cultura e tecnologie per le persone sorde,
principalmente per chi e' diventato sordo in eta' adulta. Sono
quattro le installazioni attuali e presto se ne aggiungeranno altre
dieci, in auditorium delle province di Venezia, Padova, Rovigo e
Treviso a cura dei Lions Club locali. L'ing. Mauro Magnani,
presidente di Audies, diventato gravemente sordo a 32 anni, spiega:
«Basta posare un cavo lungo le pareti della sala da attrezzare;
collegandolo al microfono si crea un campo di induzione magnetica di
bassissima intensita' ma sufficiente ad eliminare la distanza tra chi
parla e chi indossa una protesi acustica: il segnale viene
direttamente ricevuto dalla protesi, eliminando il disturbo del
rumore di fondo. Il sistema funziona con protesi retroauricolari
dotate di bobina telefonica magnetica ed impianti cocleari. Chi porta
impianti endoauricolari o non adopera protesi puo' indossare delle
cuffiette. Con un campo debole e di intensita' variabile (presente
solo quando si parla) non ci sono pericoli per la salute. Nei sistemi
bidimensionali occorre rimanere con la testa dritta per una ricezione
uniforme, problema che non si pone per sistemi a campo
tridimensionale progettati per asili, scuole, stazioni, aeroporti.
All'aeroporto Logan di Boston e' installato un sistema 3-D sotto la
pavimentazione di due sale d'attesa e ad uno sportello informazioni.
In teoria, possono giovarsene le persone con una perdita uditiva fino
a 80 decibel, anche se ogni sordita' e' un caso a se'. Rosalba
Giorcelli
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. LA GEOMETRIA FRATTALE
Per misurare la forma delle nuvole
Il termine fu coniato nel 1975 da Mandelbrot
OAUTORE DRAGONI MICHELE
OARGOMENTI geografia e geofisica
ONOMI MANDELBROT BENOIT
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS geography and geophisics
LINEE rette, triangoli, quadrati e circonferenze sono alcuni elementi
della geometria euclidea, inventata dai Greci per descrivere il mondo
due millenni e mezzo fa. Su queste forme semplici abbiamo organizzato
l'ambiente urbano e rurale e la maggior parte degli oggetti della
tecnologia di cui ci serviamo quotidianamente. Se pero' osserviamo il
paesaggio naturale, notiamo che le forme geometriche predominanti
sono assai piu' complesse e difficilmente descrivibili con gli
elementi della geometria euclidea. La forma delle montagne, il
percorso dei fiumi, l'intrico delle foreste, il profilo delle coste,
la topografia dei fondali marini, la forma delle nuvole, la struttura
delle forme biologiche animali e vegetali sono alcuni esempi.
L'organizzazione di queste strutture e' spesso cosi' complessa che
non e' possibile descriverla specificando con equazioni la posizione
di ogni loro punto, cosi' come si fa nella geometria euclidea. La
geometria frattale fornisce gli strumenti per descrivere queste forme
complicate. Essa consente di definire l'insieme di punti che
costituisce una data struttura tramite le operazioni che permettono
di costruirla. E' un po' come descrivere il sistema solare citando la
legge di gravitazione e definendo le condizioni iniziali: il resto
viene di conseguenza. Il termine frattale fu coniato nel 1975 da
Benoit Mandelbrot, il quale lo derivo' dal latino fra ctus, che
significa «rotto», «spezzato». Lo studio della morfologia terrestre
ha avuto una funzione determinante nello sviluppo della nuova
geometria. La definizione rigorosa dei frattali richiede
considerazioni espresse nel linguaggio simbolico della matematica e
precisamente della teoria degli spazi metrici. Semplificando,
possiamo dire che i frattali sono forme che si ottengono come
risultato di una successione infinita di trasformazioni di una data
forma di partenza. Limitandoci a due dimensioni, pensiamo a tutte le
immagini che si possono disegnare con una penna su un foglio di
carta: sono, naturalmente, infinite. Immaginando il foglio come un
insieme di punti, ciascuno individuato da due coordinate, e'
possibile definire operazioni che trasformino un disegno in un altro.
Anche le possibili trasformazioni sono in numero infinito.
Consideriamo in particolare quelle trasformazioni che
rimpiccioliscono le immagini disegnate: i matematici le chiamano
contrazioni. Esse hanno la caratteristica di lasciare immobile un
punto del foglio, al quale l'intera immagine si avvicina
restringendosi. Supponiamo di applicare ripetutamente a una stessa
immagine un'operazione di contrazione. Nel limite di una successione
infinita di contrazioni, ogni punto dell'immagine tendera' allora al
punto fisso. Oltre a rimpicciolire, una contrazione puo' anche
spostare la figura iniziale sul foglio. Poiche' il rimpicciolimento e
lo spostamento possono avvenire in misure e con modalita' diverse, il
numero delle contrazioni possibili e' infinito. Se consideriamo non
una sola, ma piu' contrazioni diverse, ciascuna applicata un numero
infinito di volte alla figura di partenza, si produce una
moltiplicazione all'infinito di tale figura, con dimensioni sempre
piu' piccole. La figura limite che si ottiene e' un frattale. Forme
complesse, che per essere descritte con la geometria tradizionale
richiederebbero centinaia di migliaia di numeri, possono essere
specificate indicando le operazioni necessarie per costruire la
figura limite. Queste possono richiedere solo qualche decina di
numeri. I frattali cosi' ottenuti si avvicinano alle strutture reali,
ma - per il modo in cui sono costruiti - le loro parti sono identiche
le une alle altre. Cio' in generale non e' vero per le strutture
reali, che nel corso della loro storia sono influenzate da tanti
fattori e risultano assai piu' irregolari. Per ottenere frattali piu'
vicini alle strutture reali bisogna introdurre il caso. Cio' avviene
perturbando in modo casuale ogni successiva trasformazione della
forma iniziale. Si ottengono cosi' i frattali aleatori. La geometria
frattale sta dando un contributo all'interpretazione di forme e
processi complessi che si presentano nello studio della Terra, come
in altri campi. Non solo la superficie della Terra, ma anche la
complessa topografia del suo interno, che si sta svelando grazie alle
tecniche di tomografia sismica, possono essere riprodotte tramite la
geometria frattale. Essa consente di determinare importanti
caratteristiche di un sistema anche quando, come avviene in molti
casi, il meccanismo fisico che lo governa non e' ancora del tutto
chiarito. Michele Dragoni Universita' di Bari
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. CRISTALLOGRAFIA
Ioduro di mercurio ambiguo tuttofare
OAUTORE DALL'AGLIO GIANNI
OARGOMENTI fisica
OORGANIZZAZIONI MICROTEX
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics
NON sempre e' chiaro ai profani che cosa faccia esattamente chi
studia la crescita dei cristalli. Alcuni forse pensano al sale da
cucina e si chiedono come si possa spendere soldi pubblici per
attivita' simili a giochi da ragazzini. La realta' pero' e' alquanto
diversa. Per esempio, pochi conoscono lo ioduro di mercurio: e' un
composto artificiale, che non esiste in natura, di formula HgI2, che
suscita l'interesse di parecchi cristallografi perche' sembra
destinato ad acquistare una grande importanza pratica in un futuro
non troppo lontano; e' infatti un sensibilissimo rivelatore di
radiazioni X e gamma a temperatura ambiente, con numerose possibili
applicazioni in vari campi scientifici, medici, industriali e
ambientali. E' facile capire il perche': un rivelatore ad HgI2
permetterebbe ai medici di usare una minore quantita' di radiazioni
sui pazienti per le loro radiografie, permetterebbe misure piu'
accurate della radioattivita', anche minima, presente nell'aria o
nell'acqua, o nella vegetazione, o comunque nell'ambiente. Lo ioduro
di mercurio allo stato solido puo' presentarsi sotto diversi aspetti.
Ha un diagramma di stato complicato: esiste il cosiddetto alfa-HgI2,
che cristallograficamente appartiene alla classe tetragonale, di
colore solitamente rosso (ed e' quello con le proprieta' piu'
interessanti), e il beta-HgI2, che cristallizza nella classe rombica,
di colore giallo. L'alfa-HgI2 migliore e' quello cresciuto da vapore
ma anche la crescita da soluzione puo' dare risultati interessanti.
Pero', nonostante anni di studio condotti in diversi centri di
ricerca nel mondo (ad esempio presso il Politecnico di Zurigo e
all'Universita' di San Paolo del Brasile), i meccanismi di crescita
di tali cristalli non sono ancora ben controllabili. I problemi da
risolvere riguardano soprattutto l'omogeneita' strutturale, la
purezza, la velocita' di crescita, la forma dei cristalli, il grado
di perfezione interna, la dipendenza della struttura reticolare dalla
gravita'. Non sono questioni di poco conto perche' se si vuole che lo
ioduro di mercurio dia il meglio di se' occorre che i cristalli siano
di ottima qualita': senza difetti strutturali, senza impurezze,
praticamente perfetti, insomma. Bisogna quindi farli crescere bene,
questi cristalli, ma e' un lavoro difficile, per ora. Di certo si e'
visto che la crescita da vapore e' la tecnica che produce i cristalli
migliori. Pero' c'e' un altro inconveniente: il vapore di HgI2 che va
a depositarsi sul germe cristallino per farlo crescere e' riscaldato
tra i 100 ed i 130 gradi C, ma a quelle temperature il cristallo di
HgI2 non e' rigido, anzi e' piuttosto plastico e puo' piegarsi sotto
il proprio peso; ne consegue che quando viene raffreddato fino a
raggiungere la temperatura ambiente, quella cioe' in cui dovrebbe
essere arzillo e operativo, si e' ormai deformato ed ha ridotto di
molto le sue mirabolanti proprieta'. Sarebbe percio' bello farlo
crescere nello spazio, dove non c'e' la gravita' che lo appesantisce
e lo deforma. Per approfondire la conoscenza di questo interessante
ma ambiguo cristallo, che pare essere uno dei migliori candidati al
titolo di «materiale-che-rende-bene- farlo-crescere-nello-spazio» sia
in termini scientifici sia in termini economici, l'agenzia spaziale
italiana Asi ha finanziato un progetto triennale dei Dipartimenti di
scienze della terra e di fisica dell'Universita' di Genova destinato
alla costruzione di un «Diffrasore». Si tratta di un elegante
apparecchio da laboratorio che puo' misurare lo spostamento che un
raggio di luce coerente (laser) subisce attraversando un fluido
(soluzione o vapore) all'interno del quale stia crescendo un
cristallo. Fornira' misure locali del gradiente di concentrazione del
fluido nelle immediate vicinanze del cristallo in crescita. «Locale»
significa che la misura e' fatta in un volume molto piccolo, di poco
superiore alla lunghezza d'onda della luce usata. I primi esperimenti
di crescita di HgI2 da soluzione condotti presso l'Universita' di
Genova, in collaborazione con i ricercatori svizzeri e soprattutto
con i brasiliani, risalgono a cinque anni fa, e furono eseguiti su un
prototipo del Diffrasore «fatto in casa» che ora appare geniale ma
obsoleto. Il nuovo apparecchio, che e' stato disegnato e costruito,
in accordo coi cristallografi genovesi, presso il laboratorio della
Microtex ad Almese, la' dove la pianura torinese diventa Val di Susa,
promette di essere un eccellente punto di incontro tra meccanica,
ottica e scienza dei materiali. Gianni Dall'Aglio Universita' di
Genova
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ADDESTRATI ALLO SMINAMENTO
I delfini-genieri dell'US Navy
Impiegati dalla Marina anche leoni marini e orche
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI zoologia
OORGANIZZAZIONI RID RIVISTA ITALIANA DIFESA, US NAVY
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, CALIFORNIA, CORONADO
OSUBJECTS zoology
QUALCHE anno fa era diventato popolare un beluga bianco, cetaceo
caratteristico delle fredde acque dell'Artico, comparso invece a
varie riprese sulle coste del tiepido Mar Nero; legittimo il sospetto
che si trattasse di un animale fuggito da una delle basi della marina
militare ex sovietica situate nei pressi di Sebastopoli. Si sa da
tempo che i militari di alcuni Paesi utilizzano i mammiferi marini,
ma le notizie, o meglio le ipotesi (talvolta fantasiose) in proposito
sono scarse e frammentarie perche' tutta la materia e' top secret.
Per questo e' molto interessante un articolo pubblicato recentemente
da «Rid - Rivista Italiana Difesa», sempre molto informata e precisa,
sull'impiego dei mammiferi marini da parte della marina militare
americana. Come si sa delfini, beluga, orche sono dotati di un sonar
naturale, collocato nella testa nel cosiddetto «melone», che consente
loro di localizzare gli oggetti sott'acqua, al buio, addirittura
sotto la sabbia, di stabilirne la distanza, di definirne la forma.
Cio', unito alla sviluppata intelligenza, alla docilita' e alla
facilita' di apprendimento, ne fa dei potenziali «soldati»
straordinariamente affidabili. La Us Navy comincio' a pensare di
sfruttare queste capacita' fin dal '59 ma fu durante la guerra del
Vietnam, quando numerose unita' furono affondate nei porti da
attacchi di subacquei vietcong, che si comincio' a impiegare i
delfini per pattugliare le acque intorno alle navi. Alla fine degli
Anni 70 gli studi sui mammiferi marini furono organizzati intorno al
Marine Mammals System e le esperienze acquisite tornarono utili nella
Guera del Golfo, dove delfini furono utilizzati per individuare mine
e per contrastare eventuali incursori iracheni. Attualmente, secondo
i redattori di «Rid», la Us Navy conta su sei gruppi di mammiferi
marini addestrati per operazioni diverse. Il principale centro di
addestramento e' a Coronado, in California, un altro a Charleston, in
Sud Carolina. I mammiferi impiegati sono Tursiopi (Tursiops
truncatus, specie molto diffusa anche in Mediterraneo), delfini dal
naso a bottiglia tipici del Pacifico, oltre alle otarie, ma si stanno
addestrando anche altri cetacei, tra cui le orche. Vi sono poi
quattro gruppi operativi. Il team Mk-4Mod0 impiega delfini addestrati
a cercare e a neutralizzare mine subacquee ancorate sul fondale. Gli
animali, trasportati sul luogo da bonificare su veloci motovedette
dotate di una speciale cuccetta bagnata che tiene costantemente umida
l'epidermide dei cetacei, si immergono tenendo in bocca una carica
esplosiva; una volta individuato l'ordigno attaccano la carica al
cavo e risalgono in superficie; contemporaneamente risale un segnale
galleggiante che informa gli uomini della motovedetta che la carica
e' stata agganciata; una volta che i delfini sono tornati al sicuro
sulla motovedetta la carica viene fatta esplodere. Il team Mk- 5Mod1
utilizza invece quattro otarie, o leoni marini; questi iniziarono a
operare nel '76 per il recupero delle testate dei razzi Asroc che si
sperimentavano nei poligoni di Charleston e di Santa Rosa; oggi
collaborano al recupero di mine da esercitazione e di altri oggetti
usati in questi poligoni sperimentali della Marina. Gli otto delfini
del gruppo Mk- 7Mod1 sono invece addestrati a scovare le mine da
fondo, ordigni che con vari sistemi vengono fatti affondare nella
sabbia o nella melma, in modo da non essere individuabili dai sonar e
invisibili sia ai sommozzatori che ai robot di ricerca muniti di
telecamere. I delfini, abituati a cercare sotto la sabbia le loro
prede, riescono invece molto bene nel compito. Sono invece gli
assaltatori subacquei nemici l'obiettivo dei sei delfini del gruppo
Mk-6Mod1, addestrati a localizzare e a segnalare alle unita' di
appoggio la presenza di incursori intorno a obiettivi di particolare
rilevanza. Questo tipo di impiego fa sorgere il quesito: i mammiferi
marini sono «comandati» anche a uccidere? Gli Stati Uniti hanno
sempre assicurato di no, ma secondo alcune ipotesi gli animali
potrebbero essere anche addestrati a togliere il respiratore agli
assaltatori, a far esplodere cariche nelle loro vicinanze,
addirittura a pungerli con siringhe piene di veleni potenti e a
rapido effetto. Una cosa, invece, e' quasi certa: cetacei e foche non
sono impiegati per missioni suicide, sia pure per una ragione molto
poco idealistica: addestrare questi animali costa moltissimo e non
sarebbe conveniente sacrificarli per un'unica missione. Vittorio
Ravizza
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. AIDS
Il virus respinto dalle chemochine
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
CI sono novita' interessanti a proposito dell'Hiv, il virus
dell'Aids: novita' che riguardano il sottile gioco di incastri del
virus nelle nostre cellule, e che schiudono importanti prospettive di
profilassi e di terapia. Si sa che l'aggancio delle particelle di Hiv
ai nostri linfociti avviene attraverso l'affinita' d'una molecola
dell'involucro del virus, la glicoproteina gp120, con la molecola CD4
della membrana dei linfociti. L'involucro virale, interagendo con
CD4, modifica la sua conformazione, il che gli permette un contatto
intimo con la membrana dei linfociti. Cosi' Hiv puo' penetrare nei
linfociti e dare inizio all'infezione. Dunque CD4 e' il «recettore»,
il ricevente che apre la porta ed accoglie il virus. Pero' si e'
sempre pensato che per l'ingresso del virus dovesse esserci qualcosa
di piu' oltre a questo aggancio, ossia che esistessero altri
recettori. Ricerche recenti lo hanno confermato. L'inizio fu casuale.
Si vide che tre chemochine, indicate con le sigle Rantes, M18-1 alfa
e M18-1 beta, proteggevano i linfociti dall'attacco del virus Hiv (le
chemochine sono piccole molecole proteiche partecipanti ai fenomeni
infiammatori). Era un effetto protettivo indiretto: le chemochine
occupavano determinati recettori dei linfociti, che pertanto non
potevano piu' essere agganciati dal virus. Infatti neutralizzando le
chemochine con anticorpi la protezione scompariva. In altre parole il
virus, per realizzare l'infezione, utilizza non soltanto il recettore
CD4 ma anche dei co-recettori, quelli che, vedi combinazione, sono
propri delle chemochine, identificati appunto per questa fortuita
circostanza. Si chiari' poi che due sono i recettori delle chemochine
utilizzati come co-recettori da Hiv. Durante i primi anni
dell'infezione senza sintomi il virus utilizza il co-recettore CC-R5
(vedi Dragic T. e altri, Nature 1996); quando ha inizio la fase
sintomatica dell'Aids il virus utilizza il co-recettore CXC-R4,
esclusivamente o anche insieme con il CC-R5 (vedi Feng Y. e altri,
Science 1996). Le chemochine, ripetiamo, bloccano l'ingresso di Hiv
in quanto occupano recettori che il virus dovrebbe utilizzare come
co-recettori. Orbene, le eventualita' terapeutiche legate a questa
constatazione sono evidenti. E' presumibile la possibilita' di
preparare chemochine somministrabili all'uomo, oppure, con
procedimenti di ingegneria genetica, di fare produrre le chemochine
dai pazienti stessi. Tutto questo, ben inteso, richiede per
un'eventuale utilizzazione clinica ricerche che stabiliscano
l'effetto antivirale delle chemochine non solo in vitro ma anche in
vivo. Cosi' si potrebbe sapere quale chemochina, o associazione di
chemochine, si dovrebbe utilizzare, e in quale momento
dell'infezione, in associazione o meno con la chemioterapia
antivirale. Come e' noto esistono soggetti dotati di resistenza
naturale all'infezione da Hiv. Orbene, altra scoperta recente, la
resistenza e' conseguente alla assenza del co- recettore CC-R5,
accertata nell'1 per 100 delle popolazioni caucasiche ma non in
Africa e in Asia (vedi Samson M. e altri, Nature 1996). Cio' conferma
l'importanza delle chemochine e dei loro recettori nella patogenesi
dell'infezione da Hiv. I vaccini anti-Aids del futuro dovranno tenere
conto di queste nuove conoscenze. In conclusione questo campo di
investigazione, per il momento appena all'inizio, potrebbe essere
veramente rivoluzionario per la lotta contro l'Aids. Ulrico di
Aichelburg
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. GENETICA
L'intelligenza e' ereditaria?
Le analisi su 240 coppie di gemelli svedesi
OAUTORE GIACOBINI EZIO
OARGOMENTI genetica
ONOMI GALTON FRANCIS
OORGANIZZAZIONI SCIENCE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS genetics
DA oltre un secolo, cioe' dai tempi dello scienziato inglese Sir
Francis Galton, i neuroscienziati si sono posti la domanda di quanto
le nostre facolta' cognitive dipendano da fattori ereditari e di
quanto si sviluppino a causa dell'ambiente (genitori, scuola,
esperienze e ambiente in genere). Come potremmo misurare il
contributo dei geni alle nostre abilita' cognitive? Semplice. Basta
che cloniamo un individuo in modo da averne una copia perfetta
garantendo cosi' che sia geneticamente identico al fratello. Sento
elevarsi cori di proteste da parte di tutti i cosiddetti movimenti
per la vita per la violazione dei diritti naturali. Ci dimentichiamo
pero' che la natura e' la prima a condurre tali esperimenti ogni
giorno creando gemelli identici (monozigoti) e non identici
(eterozigoti). Utilizzando questo materiale umano di veri cloni, un
team composto da scienziati svedesi ed inglesi ha analizzato le
facolta' cognitive di 240 coppie di gemelli svedesi ottuagenari del
medesimo sesso. Tali gemelli fanno parte del registro svedese che
comprende il 96% di tutti i gemelli svedesi e che costituisce un
patrimonio di enorme valore per studi di genetica medica. Le coppie
scelte per lo studio erano costituite da soggetti in ottime
condizioni intellettuali e di salute in genere. I risultati
pubblicati nella rivista «Science» di giugno sono sconcertanti anche
se non del tutto inattesi. Essi indicano che il fattore piu'
importante per lo sviluppo delle nostre abilita' intellettuali non e'
l'ambiente in cui viviamo (istruzione compresa) ma la presenza di
fattori genetici che fanno strettamente parte dell'ereditarieta'.
Secondo i risultati i geni che ereditiamo dai nostri genitori
determinerebbero per oltre il 60% il livello delle nostre facolta'
intellettuali. La potente influenza dei geni si estende dalle
abilita' cognitive generali (cio' che definiamo intelligenza) a
quelle piu' specifiche e caratteristiche della nostra personalita'
come abilita' verbali, riconoscimento spaziale, velocita'
nell'apprendere e nel ricordare i fatti appresi e a concepire il
mondo attorno a noi. I fattori genetici considerati in questo studio
sarebbero particolarmente determinanti per lo sviluppo ed il
mantenimento di tutte quelle caratteristiche che si associano
direttamente alla funzione intellettuale di ogni giorno e che vanno
dalla memoria detta di lavoro (ricordarsi delle cose apprese poco
prima) fino alle abilita' di tipo spaziale (riconoscere i luoghi).
Cio' indicherebbe una profonda penetrazione dell'influenza genetica
sui tratti personali dell'individuo. Poiche' lo studio e' stato
eseguito su una popolazione anziana (ottantenni) i risultati
suggeriscono che il contributo genetico alla nostra formazione
intellettuale non diminuisca coll'eta' ma che si mantenga fino alla
fine della vita. Cosa sappiamo di questi geni? Negli animali di
laboratorio dal topolino alla drosofila (una mosca della frutta) sono
gia' state individuate famiglie di geni legati al comportamento ed
alle funzioni intellettuali. Si sospetta che alcuni di questi abbiano
una funzione analoga nell'uomo. Grazie a nuove tecniche di genetica
come quella utilizzata nello studio dei gemelli svedesi definita Qtl
(Quantitative trait loci) sara' possibile in futuro identificare i
geni responsabili non solo per l'ereditarieta' di differenze
cognitive ma anche studiarne la mancanza o il difetto presente in
individui in particolar modo cognitivamente disabili (ritardati
mentali). Usando tecniche di clonazione (se non saranno bandite
definitivamente per legge) sara' possibile riprodurre in laboratorio
animali portatori di difetti umani e studiare possibili metodi di
correzione e terapia oggi impensabili. La vera struttura genetica
dell'intelletto umano e' ancora lungi dall'esser chiarita. Studi del
tipo di quello dei gemelli svedesi indicano la via da seguire per
scoprire la causa di difetti di sviluppo intellettuale ignorata
finora ed aiutare i disabili. Il peso dell'ereditarieta' sulle nostre
caratteristiche individuali non diminuisce affatto l'importanza di
altri fattori determinanti lo sviluppo intellettuale quali l'ambiente
in cui viviamo e lavoriamo, le nostre esperienze personali
dall'infanzia in poi ed il livello di istruzione acquisito. Ezio
Giacobini
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VIATA. IN BREVE
Sclerodermia: in Italia mille casi all'anno
OGENERE breve
OAUTORE BODINI ERNESTO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)
OKIND short article
OSUBJECTS medicine and physiology
Nell'arcipelago delle malattie poco divulgate compare anche la
Sclerosi Sistemica Progressiva, piu' comunemente nota come
Sclerodermia. Letteralmente significa «pelle dura», ispessita, che
tende ad aderire ai piani profondi e che non permette di far
sollevare la pelle tra le dita, come quando, ad esempio, diamo un
pizzicotto. La pelle delle mani di questi malati tende a formare una
guaina dura che puo' portare all'anchilosi in flessione delle dita.
La malattia puo' colpire inoltre gli organi interni come il cuore e i
vasi arteriosi, l'esofago, il sistema gastroenterico e soprattutto i
polmoni che, come la cute, tendono ad indurirsi. Puo' manifestarsi a
qualunque eta', con picchi di incidenza intorno ai 30 e ai 50 anni e
con una netta predilezione del sesso femminile: le donne, infatti,
rappresentano l'80-90 per cento della popolazione sclerodermica.
Anche se presente in tutte le aree geografiche la sclerodermia e' una
malattia poco frequente ma non rara: ogni anno si verificano 10-15
casi per milione di abitanti, ma studi recenti indicano che
l'incidenza della malattia e' maggiore di quanto sinora sostenuto e
che tende ad aumentare. Si ritiene che tale tendenza all'aumento sia
dovuta alla disponibilita' di mezzi diagnostici piu' sofisticati, in
grado di individuare precocemente soprattuto i pazienti con fenomeno
di Raynaud, quelli che potrebbero sviluppare la sclerodermia. Se si
calcola che in Italia ogni anno si verificano circa 1000 casi, si
puo' stabilire che le persone colpite da sclerodermia superano le 30
mila unita'. Nonostante meritevoli iniziative (a Milano, in piazza S.
Ambrogio 25, tel. 02/805.78.42, e' molto attivo il Gruppo Italiano
per la Lotta alla Sclerodermia), nel nostro Paese la malattia e'
tuttavia poco conosciuta; purtroppo non e' diagnosticata (o
diagnostica in ritardo) seppur in presenza di conclamate
manifestazioni cliniche. A questo riguardo, e' molto importante il
coinvolgimento del medico di base. Sul tema, a Milano dal 3 al 5
ottobre, un congresso internazionale. Ernesto Bodini
ODATA 13/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
BIODIVERSITA' A RISCHIO SULLE ALPI
In Val Pellice le ultime sei vacche Savoiarde
Scomparse dappertutto antiche razze bovine, equine, caprine
OAUTORE GIULIANO WALTER
OARGOMENTI zoologia
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE PRO SPECIE RARA, CIPRA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, VAL PELLICE (TO)
OSUBJECTS zoology
L'arco alpino costituisce una straordinaria concentrazione di
biodiversita'. Basti pensare alla vegetazione e alla flora con,
insieme, specie autoctone e specie artiche o nordeuropee che si sono
rifugiate sulle Alpi nel corso delle glaciazioni. Pensiamo al grande
numero di specie endemiche che hanno selezionato, in ambiti
territoriali generalmente ristretti, un patrimonio genetico unico.
Pensiamo al fatto che in un'area, come ad esempio le Alpi Marittime,
relativamente modesta in termini di superficie, troviamo uno spettro
vegetazionale che va dalle specie glaciali a quelle mediterranee. Per
dare qualche cifra, ricordiamo le oltre 3500 specie presenti e il
fatto che il 31 per cento sono endemiche. Ma questa biodiversita' e'
a rischio. Perche' le Alpi sono un ecosistema fragilissimo e molto
sensibile. La perdita di biodiversita' puo' avvenire a livello di
ecosistema, con l'estinzione di specie che vivono in un determinato
ambiente, oppure all'interno di una singola specie, con la riduzione
della base genetica. In campo faunistico, emblematico e' il caso
dell'orso bruno del Trentino, ridotto a una popolazione ai limiti o
forse gia' oltre i limiti dell'estinzione. In campo vegetale il
riferimento va a quelle specie forestali che la pratica
selvicolturale ha ridotto geneticamente uguali. La biodiversita' e' a
rischio non solo per le specie naturalmente presenti nell'ambiente
alpino, ma anche per talune piante coltivate e per alcuni animali
domestici. Non dobbiamo infatti dimenticare che su questa base
naturale di biodiversita' si e' innestato il lavoro di selezione
svolto dall'uomo. Alle risorse genetiche agricole e' dedicata una
recente ricerca svolta dalla Fondazione Pro Specie Rara di San Gallo
(Svizzera) su incarico della Cipra, la Commissione Internazionale per
la Protezione delle Regioni Alpine. Lo studio ha evidenziato la
scomparsa definitiva di due razze bovine, 14 ovine, 5 caprine. Altre
sono a rischio. Tra le razze bovine lo studio segnala i casi della
Burlina, della Grigia di Val d'Adige, della Pusteria, della Tarina.
La razza Burlina, detta anche Binda, Boccarda, Pezzata degli
altipiani, risulta essere presente in poco piu' di 200 capi in Veneto
(Treviso, Vicenza, Altopiano di Asiago). La Grigia di Val d'Adige,
presente anche con i sinonimi di Ultinger ed Etsctaler deriva dalla
Grigia alpina ed e' diffusa in Val d'Ultimo e Val d'Adige con poco
piu' di 20 esemplari ed e' dunque in situazione molto critica. Poco
piu' rosea la situazione della Pusteria, diffusa in tutte le aree
laterali della valle da cui prende il nome (altre denominazioni
locali sono Pezzata Rossa Norica, Pustertar Schecken, Pustertalen
Sprinzen, Moeltaler Rind), ma che stenta a raggiungere i 60
esemplari. La situazione piu' critica se la aggiudica tuttavia la
razza Tarina o Savoiarda che nel nostro Paese sopravvive in soli 6
capi in Val Pellice. Se dai bovini passiamo agli equini, la razza in
maggior sofferenza e' sicuramente il cavallo Samolaco che sopravvive
in meno di un centinaio di esemplari nella zona di Chiavenna in
provincia di Sondrio. In difficolta' nella penisola (circa 100 capi)
ma diffuso anche in Austria e Slovenia il cavallo di razza Norica.
Tra gli ovini il maggior rischio lo corrono la pecora Brianzola (20
esemplari), la Steinschaf (40), la Bellunese, la Ciuta, la Garessina,
la Tacola, la Villoesser (meno di 100 capi), la Carsolina (150), la
Sampeirina (200), la razza Brogne (600 pecore), la Alpagota e la
Frabosana (un migliaio di esemplari), la Pecora di Cortena (2000
capi), la Brentegana (3000 pecore). Quasi estinte, in purezza, le
razze Savoiarda, la Val Badia, la Livo, la Carnica. Per i caprini le
situazioni di maggior difficolta' di conservazione sono denunciate da
razze come la Lafrisa Valtellinese, la Locale 4 Corna, la
Roccaverano, la Sempione, la Tibetana, la Valdostana, la Vallesana,
l'Istriana, la Grigio Alpina, la Bomina e la Bionda dell'Adamello.
Quanto alle varieta' vegetali allevate sull'arco alpino lo studio
della «Pro Specie Rara» evidenzia alcuni casi che richiedono
particolare attenzione: le more di gelso, le noci del Piemonte,
alcune varieta' di vite, di ortaggi, di fagioli, di patate, nonche'
di cereali, in particolare segale, orzo, grano autunnale e mais. In
abbandono coltivazioni come lino, canapa e molte specie di piante
medicinali. Oggi, davanti al processo di cosmopolitismo delle specie
coltivate che porta alla standardizzazione del patrimonio genetico,
dobbiamo preoccuparci anche della salvaguardia del germoplasma delle
specie coltivate e delle razze allevate e dunque della biodiversita'
in campo agricolo. Fortunatamente qualche iniziativa concreta e' gia'
stata messa a punto anche su stimolo dell'Unione Europea che ha
previsto, nei suoi programmi di intervento, specifici sostegni a
questo settore. Non solo, ma molti parchi e aree protette hanno
predisposto raccolte viventi di germoplasma, con la coltivazione di
varieta' tipiche ma in via di abbandono e con l'allevamento di razze
bovine, equine, ovine, caprine che corrono il rischio di estinzione.
In campo naturale infine diventa strategico salvaguardare, piu' che
le singole specie, soprattutto gli habitat in cui vivono. Quindi non
puo' che essere salutato con favore il progetto europeo Corine nel
quale si inseriscono le iniziative di Bioitaly, con il censimento di
biotopi che andranno a costituire la Rete Natura 2000. Walter
Giuliano
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
STORIA DEL CALENDARIO
I giorni del «libro delle calende»
L'attuale gregoriano e' in vigore dal 1582
OAUTORE BARONI SANDRO
OARGOMENTI storia della scienza, calendario
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS history of science, calendar
IN molti testi di storia dell'astronomia si afferma che Newton nacque
nell'anno della morte di Galileo Galilei. Il nostro grande Galileo
mori' l'8 gennaio 1642, secondo il calendario gregoriano entrato in
vigore nel 1582 in Italia. In Inghilterra a quella data era ancora in
vigore il calendario giuliano, quindi si dice che Newton nacque il 25
dicembre 1642, ovviamente secondo quest'ultimo calendario.
Apparentemente e' giusta l'affermazione di tanti testi di storia
dell'astronomia, ma e' necessario essere piu' esatti. Per la
precisione bisognerebbe dire che Galileo mori' l'8 gennaio 1642 nuovo
stile, mentre Newton nacque il 25 dicembre 1642 vecchio stile. Nuovo
stile si riferisce al calendario gregoriano, mentre vecchio stile si
riferisce al vecchio calendario giuliano, i due stili sono sfasati di
alcuni giorni. Possiamo definire un calendario (dal latino
«calendarium», libro delle calende e cioe' delle scadenze del primo
giorno dei mesi) la ripartizione sistematica del tempo, per usi
civili e religiosi, in giorni, mesi e anni, stabilita in base a
fenomeni di natura astronomica. Per non fare la storia del calendario
parleremo solo dei due che ci interessano per puntualizzare la data
di nascita di Newton. L'imperatore romano Giulio Cesare, nell'anno 46
a.C., decise di rimediare ai gravi difetti dell'allora vigente
calendario su consiglio dell'astronomo di Alessandria d'Egitto,
Sosigene. Quest'ultimo riteneva che l'anno durasse esattamente 365,25
giorni. Siccome il calendario doveva avere un numero intero di
giorni, si decreto' di contare sempre, dopo tre anni di 365 giorni,
uno di 366; cosi' la piccola omissione di 1/4 di giorno, fatta per
tre anni, combinata col rimanente resto del quarto, faceva un giorno
intero e l'armonia col corso del Sole sembrava in questo modo
conservata per sempre. Il giorno in piu' fu stabilito nel doppio 24
febbraio (!). Il 24 febbraio era detto dai romani «Sexto Calendas
(Martii)». Quindi raddoppiando il 24 ne usciva il bis-sexto: da qui
il nostro bisestile. Cosi' come stanno le cose sembra che questo
calendario giuliano, appunto da Giulio Cesare, sia il nostro attuale
calendario, ma non e' cosi'. L'anno non e' composto di 365,25 giorni
giusti, ma di 365,24219 (anno tropico). Nella differenza tra questi
due numeri sta la riforma del calendario, e vediamo perche': 365,25-
365,24219=0,00781. Ogni anno il giuliano avanzava 0,00781 giorni che
portava a un giorno ogni 128 anni. Puo' sembrare una piccola cosa, ma
bisogna considerare che un piccolo errore introdotto nel 46 a.C. era
diventato un grosso errore alla fine del secolo XVI. Per questioni
religiose, connesse alla data della Pasqua, che doveva avvenire la
prima domenica dopo il plenilunio di primavera, il Papa Gregorio XII
fece la riforma del calendario, onde fosse sempre, o quasi, fisso
l'equinozio di primavera al 21 marzo. A quei tempi l'errore del
calendario giuliano era divenuto insostenibile in quanto l'errore
astronomico dell'equinozio di primavera ammontava a ben 10 giorni:
dal Concilio di Nicea del 325, che stabiliva la data della Pasqua, al
1582 (anno della riforma) ci sono 1257 anni che moltiplicati per
0,00781 (errore annuo) portano a un errore di giorni 9,8 circa. Fu
quindi stabilito che al 4 ottobre 1582, giovedi', succedesse venerdi'
15 ottobre 1582, e le cose andarono a posto. Ma resta ancora da
verificare qual era la differenza tra i due calendari, quello
giuliano e quello riformato, gregoriano. Semplice. Il calendario
giuliano introduceva il bisestile in tutti gli anni divisibili per 4,
anni secolari compresi, mentre quello gregoriano introduce il
bisestile in tutti gli anni divisibili per 4 ma diversifica i
secolari, che sono bisestili solo se divisibili per 400. Per esempio,
il 1900 non fu bisestile, lo sara' il 2000, sara' normale il 2100 e
cosi' via. Abbiamo ancora in sospeso la data della nascita di Newton.
In Italia la riforma gregoriana entro' in vigore subito mentre in
Inghilterra solamente nel settembre 1752. Quindi la data italiana
della morte di Galilei e' l'8 gennaio 1642, nuovo stile, mentre la
nascita di Newton era una data inglese, ossia ancora vecchio stile,
ed era il Natale del 1642. Secondo il calendario gregoriano, che e'
poi l'attuale calendario, Newton e' nato il 5 gennaio 1643. Data
quindi, con la correzione di 10 giorni, omogenea con la data di morte
di Galilei. Certo l'Inghilterra preferi' essere in disaccordo con il
Sole piuttosto che d'accordo con il Papa. Sandro Baroni Planetario di
Milano
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
FISICA
Energia cinetica del pallone
OAUTORE MOGNONI PIERO
OARGOMENTI fisica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics
UN calcio al pallone: gesto professionale o di puro divertimento
effettuato quotidianamente da milioni di persone in tutto il mondo.
Ma giocatori, tecnici ed appassionati del gioco del calcio conoscono
assai poco i fenomeni fisici che sono alla base del loro sport
preferito. Recentemente, in Penn sylvania, una equipe di fisici e
biomeccanici, dopo approfondite ricerche, ha scoperto che, quando si
calcia, tra piede e pallone avvengono fenomeni complessi che possono
contribuire a spiegare i differenti effetti impressi alla sfera di
cuoio. I ricercatori sapevano che ogni volta che un segmento corporeo
di massa relativamente grande colpisce una palla di massa
relativamente piccola (segmento dell'arto superiore piu' racchetta e
pallina nel caso del tennis), la velocita' iniziale dell'oggetto e'
necessariamente piu' grande della velocita' del segmento all'istante
dell'urto. Quando invece si lancia un oggetto (la palla nel caso del
baseball o la sfera nel caso del lancio del peso), la velocita'
iniziale dell'oggetto e' esattamente uguale alla velocita'
dell'estremita' del segmento corporeo nell'istante di rilancio.
Misurando invece la velocita' della punta del piede, immediatamente
prima e immediatamente dopo un calcio sferrato con la maggior forza
possibile su un pallone fermo sul terreno, si e' visto che andava
scartata l'ipotesi di un urto puramente elastico. Utilizzando una
costosa telecamera adatta allo studio dei «crash» automobilistici e
capace di registrare quattromila immagini al secondo, si e' osservato
che l'impatto tra piede e pallone non durava frazioni di millesimi di
secondo (ms), come quando la testa della mazza si avventa sulla
pallina del golf, ma un tempo incredibilmente piu' lungo, si fa per
dire, di 17 millesimi di secondo. Nei primi 3 ms il pallone e'
immobile mentre la punta del piede «penetra» per circa 3 centimetri.
Si verifica quindi un puro urto elastico con trasformazione di
energia cinetica in energia elastica, simile a quella che accumula
una molla quando viene compressa. La durata di questa fase e' tipica
per l'urto di due corpi con una distensibilita' relativamente
elevata. Nei seguenti 4 ms il pallone perde il contatto con il
terreno e percorre uno spazio di circa tre centimetri mentre la
penetrazione totale raggiunge il suo massimo che e' di 7 centimetri,
circa il 30% del diametro. Alla fine di questo periodo la velocita'
del piede passa dai 76 km/h iniziali a circa 47 km/h ed e'
esattamente uguale alla velocita' acquisita dal pallone. In tutto
questo periodo l'accumulo di energia elastica continua ma,
contemporaneamente, la contrazione muscolare fornisce energia
cinetica al centro di massa del pallone con un meccanismo identico a
quello che si verifica durante il lancio di un oggetto. Nei 10 ms
finali il pallone riassume gradatamente la forma originaria e
l'energia elastica accumulata viene restituita con ulteriore aumento
dell'energia cinetica e, quindi, della velocita' della sfera. Al
termine del contatto il pallone ha percorso circa 25 centimetri e la
sua velocita' e' di circa 90 km/h, essendo superiore di circa il 30%
rispetto alla velocita' del piede immediatamente prima del contatto e
di circa l'80% rispetto alla velocita' del piede alla fine del
contatto. Le forze in gioco nel momento di massima deformazione del
pallone sono dell'ordine di 1100 newton ovvero un centinaio di kg,
mentre la velocita' massima del pallone, calciato da giocatori
professionisti e misurabile con un'apparecchiatura radar, e'
superiore ai 100 km/h. Si spiega cosi' come le pallonate siano tanto
dolorose e come un cambiamento anche minimo della direzione d'urto
possa causare traiettorie imprevedibili, per la disperazione di
portieri e difese. E della folla dei tifosi. Piero Mognoni Istituto
di Tecnologie Biomediche Avanzate del Cnr - Milano
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SUL GOLFO DI POZZUOLI
La Citta' della Scienza
A Napoli in un'antica fabbrica
OAUTORE FERRANTE ANNALINA
OARGOMENTI tecnologia
ONOMI SILVESTRINI VITTORIO
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE IDIS
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, NAPOLI (NA)
OSUBJECTS technology
NAPOLI, citta' laboratorio del terzo millennio, ha realizzato un
sogno che si affaccia sul golfo di Pozzuoli. Un'antica fabbrica di
fertilizzanti che copre un'area di sessantacinquemila metri quadrati
tra Bagnoli e Caroglio, un vero e proprio esemplare di archeologia
industriale che ospita edifici industriali della meta' dell'800 di
alto valore artistico e storico, e' stata trasformata nella prima
Citta' della Scienza italiana. Si deve alla Fondazione Idis, che da
anni organizza incontri e mostre scientifiche con l'inconfondibile
sigla di «Futuro Remoto», l'impegno e il lavoro concreto di creare un
vero e proprio Science Center, un grande complesso interamente
dedicato alla cultura scientifica e tecnologica che non solo
rappresenta un primo esempio di rilancio culturale, turistico ed
economico dell'area di Bagnoli, ma lancia il nostro Paese al passo
con quanto gia' accade in altri Paesi europei. La filosofia e' la
stessa che da sempre caratterizza l'attivita' della Fondazione Idis:
oltrepassare le barriere che ancora separano i campi - scientifico e
umanistico - della conoscenza umana; rendere consapevoli che lo
sviluppo del sapere scientifico, della scienza e della tecnologia
insieme, concorre al benessere dell'umanita'; che questo patrimonio
culturale e' un patrimonio collettivo e che la partecipazione sociale
a questo bene comune e' necessaria alla sua evoluzione. In questa
area sono attualmente operativi 5500 metri quadrati coperti e 7500
metri quadrati all'aperto. Entrando, si percepisce immediatamente la
differenza con il museo scientifico tradizionale: non piu'
esposizione e catalogazione, ma «Museo Vivo della Scienza», percorsi
interattivi dove, in un'alchimia di curiosita', sorpresa e
divertimento, il visitatore, protagonista e sperimentatore al tempo
stesso, e' sollecitato a un primo contatto con le tematiche e i
fenomeni scientifici. Una serie di aree permanenti permettono di
effettuare un percorso conoscitivo su alcuni dei principi basilari di
svariate discipline scientifiche e di realizzare, con alcuni semplici
esperimenti, la conoscenza di un fenomeno, come nella Palestra della
Scienza. Oppure di fare quattro passi nell'Universo tra plastici,
modelli e strumentazioni, nella sezione dedicata all'Astronomia. Una
visita alla parte dedicata ai vulcani e' quasi d'obbligo, visto il
contesto in cui ci troviamo, e da' l'opportunita' di approfondire le
fenomenologie vulcaniche, la loro pericolosita' e il loro effetto
sull'ambiente mentre l'area dedicata al corpo umano fa riflettere su
alcuni aspetti della medicina proponendo un itinerario in cui la
conoscenza biologica si intreccia con i significati culturali e
sociali di concetti come «salute», «benessere», «malattia». Questi
alcuni esempi, ma il «Museo vivo della Scienza» non esaurisce qui le
sue sorprese: il visitatore puo' continuare il suo viaggio attraverso
il Museo Virtuale, la Mediateca, luogo privilegiato di consultazione,
sperimentazione e intrattenimento e il Laboratorio per l'educazione
della Scienza, uno spazio dedicato alla sperimentazione e
all'educazione permanente. Non poteva mancare naturalmente l'Officina
dei Piccoli, un'area dedicata esclusivamente ai bambini in eta'
prescolare ed elementare, come nella tradizione dei piu' grandi
science centers internazionali, per esaltare, attraverso il gioco, le
capacita' esplorative e conoscitive dei bambini e dare loro
l'opportunita' di entrare a pieno titolo nel mondo della scienza.
«Questa iniziativa - ci racconta il prof. Vittorio Silvestrini,
fisico dell'Universita' di Napoli, cordiale e appassionato ospite
oltre che deus ex machina della Fondazione Idis - non vuole
riproporre un concetto statico e monumentale della scienza ma, al
contrario, qualcosa di vivo e di coinvolgente. Non luoghi di semplice
«divulgazione», ma laboratori aperti dove la scienza si confronti con
il sociale e metta continuamente in discussione con la gente i propri
risultati e le proprie scelte». «Il sapere scientifico» - continua il
Prof. Silvestrini - «non puo' essere strumento di profitto per pochi,
ma, diventando patrimonio collettivo, si deve tradurre in benessere
per tutti. Questo progetto e' strettamente legato al territorio in
cui opera e il nostro obiettivo e' quello di partecipare con esso
alla crescita culturale, economica e produttiva del Mezzogiorno».
Infatti, per rafforzare il rapporto tra scienza e qualita' della
vita, la Fondazione Idis ha deciso di intervenire in modo efficace
nella promozione dello sviluppo locale e una parte del complesso
della Citta' della Scienza e' dedicato alla nascita e alla crescita
di piccole imprese che operano nel campo della cultura e dei servizi,
fornendo infrastrutture e servizi. Il futuro, dunque, e' appena agli
esordi: man mano che la citta' della Scienza crescera', si
arricchira' di cinema, sale per concerti e congressi, mostre e
iniziative di ogni genere. E ogni volta sara', come promesso,
sorpresa, emozione e curiosita': la gente passa, guarda, tocca,
partecipando cosi' alla storia delle idee e all'evoluzione del sapere
scientifico. Annalina Ferrante
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. LIFTING ALLE CORDE VOCALI
Chirurgia per una bella voce
Il paziente puo' scegliere il timbro preferito
OAUTORE BASSI PIA
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI PERFUMO GIULIANO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
QUANTE persone vorrebbero avere una voce piu' autorevole oppure piu'
melodiosa? Una voce flebile o sgradevole ora non e' piu' un dramma in
quanto e' possibile correggerla con il lifting alle corde vocali. «La
fonochirurgia e' un vero e proprio intervento restaurativo della voce
che viene in aiuto soprattutto ai pazienti che hanno avuto paralisi,
tumori, traumi, cisti, polipi di grandi dimensioni, cicatrici da
precedenti interventi e che hanno compromesso le corde vocali» spiega
Giuliano Perfumo, primario otorinolaringoiatra dell'Ospedale
Regionale di Aosta. «Si fanno gia' interventi di chirurgia estetica
alle corde vocali per avere una bella voce come si fanno per le altre
parti del corpo per migliorarne l'estetica». L'intervento, in
anestesia totale, e' stato concepito per far tendere nuovamente le
corde vocali patologicamente allentate e quindi riaccordare la voce.
Nella corda vocale compromessa viene iniettata in profondita', nel
centro del muscolo vocale, una sospensione di polvere di teflon in
glicerina che fa irrigidire la corda allentata senza compromettere le
strutture vibranti. Solitamente sono necessarie due, tre iniezioni e
la misura della quantita' del prodotto da immettere si ha facendo
pronunciare la lettera «e» mentre l'intervento e' in corso. Il
paziente sceglie la voce che desidera avere qualche giorno prima
dell'intervento definitivo, in quanto il chirurgo puo' fare
un'infiltrazione orientativa di prova con materiale facilmente
riassorbibile (gelatina). E' comunque compito del logopedista
decidere la fattibilita' dell'intervento in quanto, spesso, alcune
voci flebili o rauche sono frutto di una cattiva impostazione di
pronuncia magari fin dall'infanzia e quindi il difetto puo' essere
risolto con una semplice riabilitazione. In un recente congresso di
otorinolaringologia oltre di microchirurgia vocale, sono state
illustrate le nuove tecniche di rieducazione dell'orecchio per i
sofferenti di vertigine parossistica posizionale benigna, una
comunissima malattia della quale spesse volte - dice il prof. Perfumo
- viene assegnata la responsabilita' alla artrosi cervicale. La
vertigine invece e' provocata dalle stimolazioni di impercettibili
frammenti staccatisi dagli otoliti, «le pietruzze dell'orecchio».
Questo contatto inusuale con le pareti sensibili del labirinto
dell'orecchio, organo dell'equilibrio, da' al cervello delle
ministimolazioni che lo spiazzano sugli ordini che deve inviare al
corpo di come mantenere la posizione eretta. Da qui i capogiri dai
quali si guarisce con le nuove terapie riabilitative e non con i
farmaci.Pia Bassi
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. MEGLIO LA DIETA MEDITERRANEA?
Attenti agli oli vegetali tropicali
In arrivo in Italia anche burro di «dika», «Karite'» e «illipe»
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI alimentazione
ONOMI DJALMA VITALI EMANUELE
OORGANIZZAZIONI CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS nourishment
OGGI si tende a demonizzare il consumo di grassi alimentari di
origine animale a favore di quelli di origine vegetale. Infatti un
esagerato consumo di grassi di origine animale e' correlato con un
aumento del rischio di malattie cardiovascolari (infarto, ictus), per
la presenza di acidi grassi a lunga catena ad attivita' aterogena.
Non bisogna pero' credere che i grassi di origine vegetale facciano
sempre bene. Bisogna fare una distinzione, perche' i pericolosi acidi
grassi a lunga catena ad attivita' aterogena, sono presenti anche nel
mondo vegetale (esempio: acido palmitico, presente nell'olio di cocco
e di palma) e sono utilizzati nella preparazione di margarine e di
prodotti alimentari a lunga conservazione (hanno il pregio di
irrancidire difficilmente). Purtroppo l'attuale normativa non prevede
di indicare in etichetta il tipo di grasso vegetale impiegato. Di
conseguenza, la semplice dizione «contiene grassi di origine
vegetale» puo' trarre in inganno il consumatore. In realta', i piu'
insidiosi grassi esistenti in natura sono di provenienza tropicale:
l'olio di palma, di cocco, di palmisti (estratto dal nocciolo del
frutto di una palma), contengono elevate percentuali di acidi grassi
saturi aterogeni (acido laurico, miristico, palmitico,
rispettivamente di 12-14-16 atomi di carbonio). Sono invece privi di
effetto ipercolesterolemizzante e aterogeno gli acidi grassi saturi a
breve o media catena carboniosa (da C 4 a C 10), nonche' l'acido
stearico (C 18), estremamente diffuso sia nel mondo vegetale che
animale. Secondo Emanuele Djalma Vitali (Universita' La Sapienza -
Roma), l'Italia ha importato nel 1995: 443.500 quintali di olio di
cocco, 180.000 quintali di olio di palmisti, 2.072.256 quintali di
olio di palma. Le importazioni complessive sono piu' alte perche'
comprendono anche gli usi extradomestici di tali grassi. Nel 1995
abbiamo anche importato 6408 quintali di olio di babasso. Oltre ai
suddetti 4 oli tropicali, stanno arrivando altri oli provenienti dai
Paesi Apc (Africa, Caraibi, Area del Pacifico) legati da accordi di
cooperazione con l'Unione Europea. Di conseguenza potranno essere
impiegati il burro di «dika», estratto dai semi di Irvingia
gabonensis (albero africano), con aroma di cacao, il burro di Karite'
(o burro di shea-galam) ricavato dai semi di un altro albero
africano, il burro di «illipe» (o di bassia e di mahwa). Sono
prodotti che, ovviamente, non hanno niente da spartire con il
classico burro ottenuto dalla crema di latte vaccino.
All'International Consensus Conference tenutasi a Roma (Consiglio
Nazionale delle Ricerche), 17 opinion leader europei nel settore
della salute pubblica hanno concordato che la dieta mediterranea, con
l'olio d'oliva quale principale fonte di grassi, gioca un ruolo
chiave nella prevenzione dei fattori di rischio cardiovascolare.
Inoltre, ci sono evidenze che suggeriscono un possibile ruolo
preventivo della dieta mediterranea rispetto a diverse forme
tumorali, ed in particolare a quella della mammella, anche se sono
necessarie ulteriori ricerche. In ogni caso, pero', non bisogna
esagerare nell'apporto di grassi totali (condimenti, piu' quelli
normalmente presenti nei cibi), e non superare il 30% delle calorie
complessive della dieta giornaliera. Renzo Pellati
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. VACANZE
Attenti al troppo sport
OAUTORE TRIPODINA ANTONIO
OARGOMENTI sport
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS sport
SECONDO l'etimologia le vacanze (dal latino «vacuum») dovrebbero
essere un periodo di vuoto, di riposo quasi assoluto, destinato al
recupero fisico e psichico, dopo un anno di lavoro. Questo dovrebbero
essere, in teoria. In realta', molto spesso, le vacanze rappresentano
l'«isola» temporale in cui durante tutto l'anno lavorativo
l'immaginario di molti trasferisce le tante cose che non e' stato
possibile fare per la mancanza di tempo libero. Avviene cosi' che
quel periodo viene riempito di tante, troppe «buone intenzioni»,
alcune delle quali potenzialmente pericolose. Una di queste per molti
che durante tutto l'anno conducono vita sedentaria, passando
dall'automobile all'ascensore e da questo alla scrivania (e
viceversa), e' quella di fare finalmente un bel po' di attivita'
fisica. Intenzione certamente buona, perche' e' scientificamente
provato che una vita «seduta» e' uno dei fattori piu' dannosi per la
salute, determinando una precoce involuzione da «disuso» di organi e
apparati, e favorendo l'insorgenza di numerose malattie metaboliche.
Tuttavia attenzione, perche' l'attivita' fisica e' un'arma a doppio
taglio, se non praticata in modo corretto. Ed e' potenzialmente
pericoloso tuffarsi di colpo, dopo un lungo periodo di sedentarieta'
quasi assoluta, in attivita' sportive impegnative senza un attento
controllo medico: eventi cardiologici maggiori (leggi infarto) sono
dietro l'angolo. Nella maggior parte dei casi il meccanismo che
innesca questi eventi e' la fissurazione di una placca
aterosclerotica preesistente che, scoprendo lo strato
sotto-endoteliale di una coronaria, provoca la formazione di un
trombo, che, pur avendo finalita' riparativa della lesione, finira'
per occludere completamente la coronaria, determinando l'infarto. La
causa della rottura della placca e' solitamente lo «stress» sulla
parete della coronaria provocato dall'improvviso aumento della
pressione arteriosa che si determina in chi effettua sforzi acuti
senza allenamento. La formazione del trombo e' a sua volta facilitata
dall'alterazione dell'equilibrio fra fattori pro-trombotici
(facilitanti l'aggregazione piastrinica) e fattori anti-trombotici
(inibenti l'aggregazione piastrinica). La sedentarieta' rende le
piastrine iper-attive, maggiormente propense all'aggregazione. Quindi
attenzione, da parte di chi ha superato i fatidici «anta» e
soprattutto da parte di chi oltre alla sedentarieta' aggiunge altri
fattori di rischio per l'aterosclerosi (fumo, ipertensione,
dislipidemia, diabete), alle tiratissime partite di tennis e di
calcetto, alle arrampicate in «mountain-bike», alle cavalcate sulle
onde appesi al boma di un «windsurf». Antonio Tripodina
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PINGUINI AUSTRALI
I «reali» della Georgia del Sud
Per cercare cibo percorrono fino a 900 miglia
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI OLSSON OLOF
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, GEORGIA
OSUBJECTS zoology
PER conoscere da vicino i pinguini reali (Aptenodytes patagonica),
Olof Olsson e la sua equipe hanno trascorso quattro estati australi
consecutive nella Georgia del Sud, un'isola sperduta nell'Atlantico,
mille miglia a Est dell'estrema punta meridionale del Sudamerica.
Alti dai 75 ai 95 centimetri, pesanti dai 10 ai 20 chili, questi
pinguini, secondi per grandezza solo ai pinguini imperatore, sono
forse la specie meno conosciuta fra le 18 della famiglia. Per
chiarire molti punti oscuri del loro comportamento era quindi
necessario questo studio a lungo termine, dal quale sono emerse le
caratteristiche che contraddistinguono la specie e la differenziano
dalle altre. Mentre i pinguini imperatore vanno a riprodursi sulle
distese ghiacciate dell'estremo Sud, i reali preferiscono le isole
subantartiche dove le acque sono libere dai ghiacci tutto l'anno.
Covano un solo uovo per 54 giorni e quando ne sguscia fuori il
pulcino, pensa a nutrirlo uno dei genitori, somministrandogli una
pappetta, una sorta di omogeneizzato, formata dai minuscoli
pesci-lanterna che madre e padre hanno ingoiato e predigerito. Per i
giovani pinguini, riconoscibili facilmente dal folto piumino scuro,
mangiare molto e accumulare grasso e' d'importanza fondamentale.
Perche', mentre i piccoli delle altre specie diventano autonomi e
vanno in mare sul finire della stessa stagione in cui sono venuti al
mondo, quelli dei pinguini reali trascorrono nella colonia in cui
sono nati tutto il primo inverno della loro vita e vanno in mare solo
nell'estate successiva. Stretti l'uno all'altro per scaldarsi e
proteggersi a vicenda, debbono affrontare spaventose bufere di vento
e temperature proibitive. E' chiaro che riescono a sopravvivere
soltanto se posseggono una buona riserva di grasso. Ma naturalmente
ci sono anche quelli che non ce la fanno a superare l'inverno. Se il
loro piccolo muore, i genitori, che arrivano in Georgia in ottobre,
non si perdono d'animo. A tempo di record si fidanzano, si
corteggiano, si accoppiano, in modo che ai primi di dicembre sono in
grado di deporre un uovo supplementare. E prima di accoppiarsi devono
mutare il piumaggio. Anche in questo i pinguini reali si
differenziano dai loro colleghi, i quali invece fanno la muta dopo
l'accoppiamento. I piccoli che sopravvivono all'inverno hanno bisogno
di essere supernutriti per un paio di mesi, in modo da rifabbricarsi
lo strato adiposo, prima di subire la muta e di affrontare il mare
come individui indipendenti. I genitori hanno percio' il loro daffare
per procurare tanto cibo a figli cosi' esigenti. Non si sapeva finora
dove andassero ad approvvigionarsi. Olsson e la sua equipe, usando
l'elettronica, i computer e la tecnica del satellite, hanno scoperto
che i pinguini reali vanno molto lontano a cercare cibo per se' e per
i figli. In un solo viaggio, che dura due o tre settimane, possono
percorrere anche 900 miglia. Raggiungono a nuoto un'area 240 miglia a
Nord della Georgia australe, una zona dove le fredde acque
dell'Antartico si mescolano con acque piu' calde provenienti dal
Nord, provocando una forte circolazione verticale delle sostanze
nutritive. Di conseguenza in questa zona si trova grande abbondanza
di cibo. Usando speciali dispositivi, gli studiosi sono anche
riusciti a stabilire la profondita' raggiunta dai pinguini reali
nelle loro immersioni. In quelle diurne gli uccelli raggiungono dai
l80 ai 270 metri di profondita', talvolta toccano i 300 metri, una
quota veramente sorprendente per tuffatori delle loro dimensioni. Di
notte le immersioni sono assai meno profonde, forse perche' le prede
tendono ad avvicinarsi alla superficie. Quando scendono in
profondita' i pinguini si trattengono sott'acqua dai cinque ai sette
minuti, ma tra un'immersione e l'altra emergono per un minuto circa.
In quell'anno di assidue cure che dedicano ai piccoli, i genitori
debbono trovare il tempo di corteggiarsi, di accoppiarsi e di mettere
al mondo un altro piccolo. E anche loro debbono subire una muta e
rimpolparsi ben bene prima di accoppiarsi nuovamente. I pinguini
reali decisamente non conoscono la fedelta' coniugale. Olsson ha
constatato che nell'ottanta per cento dei casi le coppie si separano
dopo la stagione riproduttiva. Se uno dei partner arriva nell'isola
un poco in ritardo, il divorzio e' inevitabile. Il pinguino non ha la
pazienza di aspettare che il partner della stagione precedente si
ripresenti. O per lo meno le femmine aspettano tutt'al piu' un paio
di giorni, i maschi quattro. Dopo di che, buonanotte suonatori. Si
accoppiano con il primo individuo dell'altro sesso che giunge dal
mare. Ma bisogna dire che il ritardo non e' l'unico motivo dei
divorzi. Se un pinguino, maschio o femmina che sia, e' rimasto
insoddisfatto del suo primo partner, magari troppo giovane e
inesperto, non fa tanti complimenti e nella stagione seguente si
cerca un partner che risponda meglio ai suoi gusti. Il partner
rifiutato spesso non si rassegna. Quasi sempre se la prende con il
rivale e i due se le suonano a colpi di pinne. La loro e' piu' che
altro una dimostrazione di forza. Vogliono mostrare alla femmina chi
di loro e' il piu' valido. E se sono passati solo pochi giorni
dall'arrivo della coppia originaria, puo' anche darsi che questa si
riformi. Una volta che si sono accoppiati, i partner rimangono
assieme per una o due settimane fino a che la femmina non depone
l'uovo. Dopodiche' lei se ne va in mare a rifocillarsi e a
rimpolparsi di grasso. Dopo lo stress del parto ha ormai esaurito
tutte le sue riserve adipose. Tre settimane dopo, eccola di ritorno.
Per fortuna, perche' il povero maschio, che si e' sobbarcato le
fatiche del primo turno di incubazione, e' ridotto pelle e ossa, pesa
un terzo di quanto pesava durante il corteggiamento. E quindi va di
corsa in mare a riempire lo stomaco. Il soggiorno terrestre del
pinguino reale e' dunque tutto un affannoso succedersi di mute, di
corteggiamenti, di accoppiamenti, di cove, ma la maggior parte della
sua vita si svolge in mare aperto, dove l'occhio dell'uomo
difficilmente lo puo' seguire. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. SCALZATA BETELGEUSE
R Doradus, la piu' grande stella in cielo
Una gigante rossa, invisibile alle nostre latitudini
OAUTORE CAGNOTTI MARCO
OARGOMENTI astronomia
ONOMI MICHELSON ALBERT
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy
MOLTI pensano che un telescopio serva solo a ingrandire cio' che si
vede, e che le stelle vi appaiano piu' grandi. Non e' cosi': se e'
vero che l'ingrandimento e' essenziale per ammirare i corpi del
nostro sistema solare, le stelle sono puntiformi e tali rimangono
anche al telescopio. Pero' se ne vedono molte di piu', tanto piu'
numerose quanto maggiore e' il diametro dell'obiettivo. L'aspetto
puntiforme delle stelle e' dovuto al loro minuscolo diametro
apparente: se il Sole fosse osservato da Alpha Centauri, a circa 4
anni-luce, sottenderebbe un angolo pari a un centesimo di secondo
d'arco, corrispondente a quello di una monetina da 50 lire vista da
500 chilometri di distanza. Il potere risolutivo dei grandi telescopi
e' prossimo a questo limite, ma anche con questi strumenti non c'e'
speranza di riuscire a vedere un dischetto stellare: la turbolenza
dell'atmosfera fa tremolare la luce e brillare le stelle, con grande
soddisfazione per poeti e innamorati e delusione per gli astronomi.
Eppure una misura precisa del diametro stellare sarebbe di grande
importanza per verificare i modelli che descrivono l'evoluzione degli
astri. Il primo a ottenere la misura di un diametro stellare fu
Albert Michelson nei primi Anni 20. Egli raccolse in due fasci la
luce proveniente da una stella unendoli poi in un unico punto.
Analizzando con un complicato procedimento matematico le figure di
interferenza formatesi, riusci' a risalire alle dimensioni della
sorgente. Dopo molte decine di misure, il titolo di «piu' grande
stella del cielo» fu attribuito ad Orionis, la brillante Betelgeuse,
una gigante rossa che spicca nel cielo invernale con un diametro
apparente pari a 0,044 secondi d'arco. Dopo piu' di 70 anni
Betelgeuse e' stata scalzata dal podio e il suo posto e' stato preso
da R Doradus, una stella di luminosita' variabile e invisibile dalle
nostre latitudini, il cui diametro apparente risulta essere pari a
0,057 secondi d'arco. Le prime misure risalgono al 1993, presso il
New Technology Telescope dell'Eso, in Cile. Davanti all'obiettivo di
3,5 metri dello strumento e' stata posta una maschera con sette fori
di 25 centimetri di diametro ognuno. I fasci di luce sono poi stati
riuniti nel fuoco del telescopio e fatti interferire fra loro.
Confrontando le macchie ottenute con quelle ricavate da una stella di
confronto, Gamma Reticuli, si e' potuto determinare il diametro
apparente di R Doradus. Le osservazioni sono state compiute
nell'infrarosso, sia per la maggiore luminosita' della stella a
queste lunghezze d'onda che per la migliore stima delle dimensioni
fotosferiche che in questo modo e' possibile ricavare. L'effetto
della turbolenza atmosferica e' stato evitato eseguendo molte
centinaia di esposizioni, ognuna della durata di un decimo di
secondo. Ma una serie di misure non basta per arrivare a un risultato
definitivo, cosi' nel 1995 sia l'Ntt che il telescopio
anglo-australiano di Siding Spring hanno ripetuto le osservazioni,
ottenendo risultati compatibili con quelli precedenti. R Doradus
dista 200 anni-luce dal Sole. Avendone misurato il diametro
apparente, e' possibile risalire alle sue dimensioni reali. La stella
non e' effettivamente grande come Betelgeuse, che e' piu' distante da
noi, ma con un raggio pari a 260 milioni di chilometri e' una gigante
rossa di tutto rispetto: se fosse posta al centro del sistema solare,
la sua superficie si troverebbe ben oltre l'orbita di Marte. Avendo
pero' la stessa massa del Sole, e' molto meno densa. L'attribuzione a
R Doradus del titolo di «stella piu' grande dei cielo» non era
avvenuta prima perche' i piu' importanti interferometri si trovavano
nell'emisfero boreale, da cui la gigante rossa e' invisibile.
L'applicazione di un'ottima camera infrarossa a uno dei migliori
telescopi dell'emisfero australe, unita a uno dei cieli piu' limpidi
e calmi del mondo, ha permesso di raggiungere questo risultato. Ma la
storia di R Doradus non finisce qui. Infatti sarebbe molto importante
riuscire a osservare anche eventuali strutture superficiali, di cui
pare vi sia traccia nelle osservazioni raccolte a Siding Spring. E
questo sara' uno dei compiti del Very Large Telescope, che l'Eso sta
costruendo in Cile. Con i suoi quattro telescopi di 8.2 metri di
diametro ognuno, sara' l'ideale per compiere questo tipo di ricerche,
facendo interferire la luce proveniente da ogni strumento. Marco
Cagnotti
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. METEO E MACCHIE SOLARI
Previsioni piu' precise
L'influenza del vento solare sul clima
OAUTORE MINETTI GIORGIO
OARGOMENTI meteorologia, fisica, astronomia
ONOMI CORBYN PIERS
OORGANIZZAZIONI SOUTH BANK UNIVERSITY
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D.T. I numeri del Sole
OSUBJECTS meteorology, physics, astronomy
NEL campo delle previsioni meteorologiche, anche se ancora mancano
conferme definitive, forse si sta affermando una nuova teoria che fa
riferimento al vento solare. Il merito spetta al fisico e matematico
britannico Piers Corbyn (docente alla South Bank University di
Londra) che basa le sue previsioni giorno per giorno, con anticipo
anche di mesi, sull'influenza climatologica delle particelle cariche
(elettroni e protoni) emesse dal Sole, che interagiscono con il campo
magnetico terrestre. Il Sole, una tra i miliardi di stelle che
formano la nostra galassia, la Via Lattea, e' un'immensa fornace
atomica. Le temperature nel suo interno superano i 15 milioni di
gradi, per scendere all'esterno a 6000 oC. Ogni secondo il Sole per
vivere brucia 4,5 milioni di tonnellate di idrogeno, che trasforma in
energia. Sulla sua superficie, la fotosfera, compaiono le «macchie
solari», regioni «piu' fredde», a 4500 oC. La vita media delle
macchie varia da pochi giorni a qualche decina; le macchie,
comparendo a gruppi alle latitudini piu' elevate, diventano sempre
piu' piccole e rade verso l'equatore, fino a scomparire. Il loro
ciclo magnetico completo ha una durata di circa 22 anni. Infatti le
macchie hanno un ciclico aumento e calo con un periodo medio di 11
anni, seguito da un periodo analogo ma con polarita' magnetica
invertita. Tra i fenomeni che accompagnano l'attivita' solare abbiamo
anche le protuberanze: enormi getti di materia brillante, composta
per lo piu' da idrogeno lanciato verso lo spazio anche a un milione
di chilometri di altezza. Si puo' assistere anche a improvvisi
brillamenti sulla superficie solare, in particolare nelle zone di
forte attivita'. Questi flash si chiamano flares o facole o eruzioni
cromosferiche che si formano per opposta polarita' tra macchie
solari. La loro luminosita' e' superiore a quella del Sole ma dura
pochi minuti, con temperature di circa 10 milioni di gradi. Le
eruzioni cromosferiche emettono radiazioni che oltre ad essere
luminose sono costituite da raggi X e radioonde. Si viene a creare
una corrente di ioni ed elettroni. Questi ioni raggiungono un tale
potenziale di energia cinetica da sfuggire all'attrazione solare
raggiungendo la Terra in un tempo compreso tra i 30 minuti e le 27
ore. Questa energia, costituita da radiazioni elettromagnetiche, crea
disturbi nelle trasmissioni e agli strumenti di bordo di navi ed
aerei e viene chiamata vento solare. Il vento solare esercita la sua
forza tra l'altro sulle comete, che vediamo con la coda composta
principalmente di polvere rivolta in senso opposto alla direzione del
Sole. Fortunatamente l'impatto energetico del vento solare non
raggiunge la Terra: le sue folate vengono deviate dallo scudo
protettivo delle Fasce di Van Allen, generate dal campo magnetico
terrestre, costituito da un insieme di invisibili linee di forze che
descrivono una curva da un polo magnetico all'altro del nostro
pianeta. Negli spazi piu' lontani queste linee vengono deformate
dalla forza del vento solare assumendo una forma di goccia allungata.
La Terra si muove dunque entro una cavita' magnetica allungata e
scavata nel vento solare. Puo' accadere che oltre i margini delle
zone di Van Allen, le linee di forza del vento solare riescano a
penetrare attraverso lo stretto corridoio polare nella ionosfera,
dando luogo alle aurore boreali. Questi fenomeni sono dovuti a
correnti di elettroni che muovendosi lungo traiettorie elicoidali,
subiscono collisioni ad alta energia con la ionosfera, per cui
vengono ionizzati atomi e dissociate molecole. Le radiazioni
elettromagnetiche che ne scaturiscono danno luogo a quegli
spettacolari fenomeni luminescenti di grandi proporzioni che sopra le
regioni artiche vanno sotto il nome di aurore boreali. A questo punto
e' indubbio che, anche se la scienza non si e' espressa
definitivamente circa la modificazione momentanea di particolari
regimi climatici, le aurore boreali sono la dimostrazione
dell'influsso che esercitano le emissioni solari sul magnetismo
terrestre. Le indagini statistiche avviate all'inizio del secolo
hanno fatto notare anomalie meteorologiche in concomitanza con la
massima attivita' solare, quindi in presenza di macchie solari. Si e'
riscontrato che lo spessore degli anelli di accrescimento delle
piante subisce un incremento durante il periodo di massima attivita'
solare, mentre gli stessi anelli risultano piu' stretti negli anni di
scarse precipitazioni. Negli Stati Uniti i climatologi hanno
osservato una successione di periodi di siccita' ogni 22 anni circa
che corrispondono al ciclo magnetico delle macchie solari. Infine la
grande energia solare che riesce a giungere sulla Terra attraverso i
corridoi polari, serve a smuovere le grandi masse d'aria. Si provoca
cosi' uno scambio tra quelle piu' fredde dei poli e quelle piu' calde
dell'equatore favorendo lo sviluppo dei venti, delle alte e basse
pressioni, dei fronti caldi e freddi e delle perturbazioni. A questo
punto nel futuro i meteorologi dovranno tener conto anche dello stato
del Sole prima di avviare analisi sui fenomeni atmosferici che
avvengono sulla Terra. Il supporto di un archivio storico di analoghe
situazioni dell'effetto Sole sul tempo oltre ad una quotidiana
informazione sulla sua attivita', sara' utile nel formulare
previsioni a lunga scadenza. E' certo comunque che Corbyn, che a
Londra gestisce l'agenzia meteorologica Weather Action, ha realizzato
bollettini meteo a breve e a lunga scadenza che si sono rivelati piu'
precisi di quelli dei maggiori esperti meteorologi britannici.
Giorgio Minetti
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Volare in Europa e' sicuro
Statisticamente meno incidenti che in Usa
OAUTORE BOFFETTA GIAN CARLO
OARGOMENTI trasporti, aerei, statistiche, incidenti, sicurezza
OLUOGHI ESTERO, EUROPA
OSUBJECTS transport, airplane, statistical data, accident, security
VENGONO periodicamente pubblicati da parte delle varie autorita' che
si occupano del trasporto aereo, dalle industrie produttrici dei
velivoli e dalle compagnie che li utilizzano, moltissimi dati
relativi all'utilizzo degli aerei, ai nuovi che vengono messi in
servizio, ed anche agli incidenti che, purtroppo, pur diminuendo
continuano ad avvenire. Scorrendo questa enorme massa di numeri si
scoprono cose interessanti. Per esempio che volare in Europa oggi e'
piu' sicuro che in Usa. Questa affermazione sarebbe apparsa
incredibile 25 o 30 anni fa, quando le assicurazioni a parita' di
premio pagato garantivano coperture maggiori se il volo si svolgeva
in America. Con la sola eccezione del 1993, negli ultimi sette anni
il numero degli incidenti mortali e' sempre stato inferiore in
Europa, anche se le dichiarazioni inglesi in proposito, un rapporto
di oltre uno a due, devono essere un po' ridimensionate. E' vero
infatti che l'Europa e' responsabile del 4 per cento di tutti gli
incidenti mentre gli Usa lo sono dell'8,5%, ma in Europa si svolge il
30 per cento del traffico aereo mondiale contro il 40% degli Usa. Il
rapporto del doppio si trova invece se si utilizzano altre cifre,
come ad esempio gli incidenti mortali rapportati al traffico, cioe'
al numero di passeggeri trasportati moltiplicato per i chilometri
volati. In Europa vi sono stati negli ultimi sette anni 3,9 incidenti
ogni mille miliardi di passeggeri per km mentre negli Usa ben 7,8. Le
cause possono essere parecchie, dalla deregulation al gran numero di
piccoli aerei utilizzati in America sulle tratte regionali. Questi
aerei hanno finora avuto un numero di incidenti superiore a quello
dei grandi reattori, ora pero' le norme e gli strumenti relativi alla
sicurezza sono stati resi obbligatori per tutti e la situazione
dovrebbe migliorare. Oggi il numero di catastrofi e' di circa 23
all'anno e, anche se in continua diminuzione come percentuale dei
voli, il loro numero assoluto cresce a causa del forte aumento del
traffico aereo e, se non si riuscira' a migliorare di molto la
situazione, nel 2010 avremo quasi una sciagura aerea ogni settimana
con un forte impatto sull'opinione pubblica. Molte azioni sono in
corso per ridurle. Si auspica ad esempio la creazione di un'unica
autorita' europea che chiarisca le cause degli incidenti in luogo
delle varie commissioni di indagine che possono subire
condizionamenti. Molti studi sono in corso in Usa sui rapporti del
pilota con la macchina e piu' in generale con tutto l'ambiente che lo
circonda, sulle informazioni che riceve e fornisce, sui rapporti con
il resto dell'equipaggio. Poiche' la maggioranza - il 75 per cento
almeno - delle indagini sulle sciagure aeree si conclude con
l'imputazione ad un errore umano, un errore cioe' del pilota, e'
necessario un cambiamento radicale nell'approccio al problema.
Anziche' chiudere l'indagine quando si scopre l'errore umano,
considerare questo il punto di partenza della vera indagine che si
apre solo adesso: perche' il pilota ha commesso l'errore, chi o che
cosa lo ha indotto alla manovra sbagliata? Per meglio comprendere i
problemi dovuti all'aumento dell'automazione dei comandi di volo sono
stati compiuti studi di comparazione tra un Boeing 737, aereo dotato
di una cabina di pilotaggio classica, ed un Airbus 320, il piu'
avanzato tecnologicamente, e si e' scoperto che quest'ultimo, pur
alleggerendo il carico di lavoro, puo' creare nuovi tipi di problemi
al pilota. Ad esempio gli fornisce un numero di dati elevatissimo, ma
non lo informa su cosa e' piu' importante e urgente guardare quando
sorge improvviso un problema. Ed anche l'autorita' di decisione che
e' stata delegata alla sofisticata tecnologia puo' creare conflitti
con la decisione che l'uomo deve prendere. Altre cause sono state
individuate in situazioni di stress dovute ad esempio a conflitti
sindacali, o a fusioni di aviolinee con aerei di tipo diversi, con
sistemi diversi di training e di manutenzione. Un esempio di come
possa incidere una diversa cultura sui rapporti tra il pilota ed il
controllo aeroportuale e' fornito dalle indagini sulla sciagura del
volo Avianca (Colombia) precipitato presso New York nel gennaio 1990
dopo che i 4 motori si erano spenti, finito il combustibile. Quando
il pilota si rese conto del problema chiese con calma alla torre una
priorita' all'atterraggio per uscire dal circuito di attesa dove era
in volo da tempo a causa del traffico. Nessuno nella torre comprese
il gravissimo rischio perche', anche quando aveva gia' due motori
spenti, il pilota continuo' a pronunciare la parola «priority»
anziche' «emergency», dichiarazione che avrebbe permesso ancora, come
si e' scoperto dopo, un atterraggio di emergenza salvando molte vite.
Le deposizioni di altri comandanti durante l'indagine hanno messo in
luce come fosse da loro considerata molto seria, con un sottinteso
quasi di tragicita', una richiesta di far spostare altri aerei per
avere una precedenza all'atterraggio mentre per gli addetti alla
torre era un fatto appena fuori dal normale. Gian Carlo Boffetta
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
A3XX
In progetto un nuovo stabilimento
OAUTORE V_RAV
OARGOMENTI trasporti, aerei, progetto
OORGANIZZAZIONI A3XX, AIRBUS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS transport, airplane, plan
AIRBUS punta ad offrire alle compagnie la possibilita' di scegliere
tra varie motorizzazioni, secondo una prassi che si e' affermata in
questi ultimi anni presso tutti i costruttori di aerei civili; per il
momento, tuttavia, esiste un solo motore adatto all'A3XX ed e' il
nuovissimo «900» della famiglia dei Trent costruito dalla britannica
Rolls-Royce; sono pero' in corso contatti con i costruttori americani
Pratt and Whitney e General Electric i quali potrebbero scegliere di
adattare loro motori gia' esistenti oppure decidere di procedere a
tappe forzate con la costruzione in comune di un motore tutto nuovo
denominato GP7200. L'altra questione su cui si deve ancora decidere
riguarda il luogo in cui il mega-aereo sara' assemblato. Attualmente
gli Airbus sono assemblati a Tolosa (A-300, A-310, A-320, A-330,
A-340) e ad Amburgo (A-319 e A-321) ma per l'A3XX questi due siti non
sono adatti. A mano a mano che gli aerei sono diventati sempre piu'
grandi la loro costruzione assomiglia sempre meno a quella di un'auto
(che si muove lungo la catena di montaggio incontrando via via i suoi
componenti) e sempre di piu' a quella di una nave (che viene
impostata sul suo scalo e non si muove piu' fino a quando non e'
stata completata). I componenti degli Airbus vengono prodotti in
numerosi stabilimenti in Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna,
Belgio, e anche Italia per alcuni modelli, e fatti confluire a Tolosa
o ad Amburgo via terra o mediante quattro enormi aerei cargo
costruiti appositamente da Airbus, gli A-300-600T. Ma i componenti
dell'A3XX saranno troppo grandi e sara' necessario farli viaggiare
via mare; occorre quindi trovare per il nuovo stabilimento un sito
che sia contemporaneamente su un aeroporto e sul mare.(v. rav.)
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PROGETTO TUTTO EUROPEO
Maxiaereo per il 2000
Potra' portare da 550 a 700 passeggeri
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI trasporti, aerei, progetto
OORGANIZZAZIONI A3XX, DEUTSCHE AEROSPACE, AIRBUS, AEROSPATIALE, BRITISH
AEROSPACE,
ALENIA, DASA, BOEING
OLUOGHI ESTERO, EUROPA
OTABELLE D. Il progetto dell'A3XX
OSUBJECTS transport, airplane, plan
ERA la fine di maggio dell'89 quando al Salone aeronautico di
Parigi-Le Bourget, nello stand della Deutsche Aerospace, partner
tedesca di Airbus, comparve l'anonimo modellino di uno strano aereo;
strano perche' aveva due file sovrapposte di finestrini, cioe' due
piani. Quel modellino era poco piu' di una provocazione, un sasso in
piccionaia per saggiare gli umori delle compagnie aeree, possibili
acquirenti di un ipotetico futuro nuovo veicolo passeggeri piu'
capiente di qualsiasi velivolo mai costruito. A distanza di otto anni
il maxi aereo del 2000 sta prendendo forma negli studi tecnici dei
quattro partner storici del consorzio aeronautico europeo (appunto
Deutsche Aerospace, Aerospatiale, British Aerospace e la spagnola
Dasa) e dei numerosi nuovi soci e collaboratori, tra cui l'italiana
Alenia, invitati a partecipare alla colossale avventura industriale.
L'entrata in servizio del «condominio dei cieli» e' prevista nella
seconda meta' del 2003. Per ora il progetto ha una denominazione
provvisoria: A3XX. Perche' un maxi-aereo? L'idea di base su cui si
sta lavorando e' quella di un velivolo capace di portare, nel modello
base, 550 passeggeri ripartiti in tre classi (e quindi almeno 700 in
classe unica) ma in grado di arrivare a 1000 con successivi
allungamenti. Ma c'e' proprio bisogno di un velivolo cosi' grande?
Assolutamente si', sostiene Airbus, per una serie di motivi, il
principale dei quali e' il crescente intasamento dei cieli e delle
piste che consiglia di utilizzare aerei piu' capienti piuttosto che
moltiplicare i voli per affrontare l'aumento costante dei passeggeri.
Ma una macchina cosi' grande non rischia di creare una quantita' di
problemi nuovi negli aeroporti? Le attuali attrezzature, dalle piste
agli hangar, dalle sale d'imbarco fino alle scalette di rampa, sono
adattabili al bestione che tra meno di sei anni irrompera' nei grandi
scali di tutto il mondo? «La formula che abbiamo scelto - dice ancora
Airbus - appunto quella di un velivolo a due piani piu' la stiva
riservata alle merci, consente di contenere le dimensioni della nuova
macchina, che risultera' non molto piu' ingombrante dei piu' grandi
aerei attuali; alcune attrezzature dovranno essere adattate ma in
generale l'A3XX sara' perfettamente compatibile con gli attuali
grandi scali internazionali». In effetti quello che emerge dai
disegni diffusi da Airbus e' un velivolo compatto, un po' tozzo, con
una velatura (ali e piani di coda) molto estesa, necessaria per
sollevare un peso enorme, 540 tonnellate al decollo, e destinato ad
aumentare ancora per le versioni allungate e a lungo raggio
operativo. Subito dopo la provocazione di Airbus sulla strada del
maxi- aereo si era messa anche l'americana Boeing; la quale, pero',
in un secondo momento vi aveva rinunciato giudicandola troppo
rischiosa sotto l'aspetto finanziario e preferendo lavorare sul
progetto di due versioni maggiorate del suo popolare B-747; qualche
mese fa, tuttavia, con grande sorpresa degli addetti ai lavori, ha
rinunciato anche a queste. Il consorzio europeo resta quindi solo ad
affrontare un'impresa eccezionale per le prospettive economiche ma
anche per le incognite. Tecnici e uomini di marketing di Airbus
lavorano attualmente intorno a un progetto base, quello dell'A3XX-
100: sara' lungo 70,8 metri, con un'apertura alare di 79 metri,
altezza alla sommita' della deriva 24,3 metri (pari a quella di un
palazzo di otto piani) e portera' 550 passeggeri tra prima classe,
business ed economica. Il raggio operativo, l'altra caratteristica
piu' innovativa accanto alle dimensioni, sara' eccezionalmente ampio,
14.168 chilometri. Da questa cellula saranno derivate numerose altre
versioni: l'A3XX-100R ''extended range'' avra' un raggio operativo
maggiorato a oltre 16 mila chilometri grazie a una serie di modifiche
e irrobustimenti che ne accrescesceranno il peso massimo al decollo
per imbarcare piu' carburante. Da questa versione super in seguito
sara' derivato l'A3XX-200, allungato a 77,4 metri, capace di 650
passeggeri su tre classi. Altre varianti ipotizzate: un A3XX- 100 per
il breve raggio (le compagnie giapponesi lo sollecitano per usarlo
sulle affollate linee interne come gia' fanno con i Boeing 747
jumbo), una versione a capacita' ridotta a 480 posti, un modello
«combi» (passeggeri e merci) e un altro tutto merci. L'obiettivo
dichiarato e' quello di creare non semplicemente un nuovo aereo ma
una famiglia di aerei identici nelle caratteristiche generali ma
capace di evolversi nei venti o piu' anni dopo l'entrata in servizio
secondo le indicazioni degli utilizzatori e la trasformazione del
mercato. Fin dal primo momento alla progettazione dell'A3XX hanno
partecipato compagnie aeree (19, tra cui tutte le maggiori europee ma
non Alitalia) e aeroporti (30, tra i quali quello di Fiumicino, e con
una netta prevalenza di quelli della regione Asia-Pacifico che
saranno i principali approdi del gigante dei cieli). Su suggerimento
delle compagnie e' stata posta molta attenzione agli aspetti
funzionali e gestionali, come la flessibilita' degli interni (e'
possibile allestire in versione passeggeri ambedue o uno solo dei due
piani superiori, cosi' come utilizzare tutte e tre le sezioni per
trasportare merci in container) o la rapidita' delle operazioni di
sbarco-imbarco (uscite diverse per i passeggeri dei due ponti e
percorsi interni separati per i diversi corridoi per evitare
ingorghi); il risultato e' un tempo di sosta contenuto, appena 70-90
minuti per 550 passeggeri, pari a quello di un B-747. I
rappresentanti degli aeroporti, invece, sono stati molto attenti alle
dimensioni e alle compatibilita'; cosi' hanno posto limiti precisi
alla crescita dell'A3XX (che dovra' restare entro un quadrato di 80
metri per 80), alla ripartizione del peso sulle ruote del carrello
per renderlo compatibile con le attuali piste, e anche alla
manovrabilita' sulle bretelle di raccordo e sui piazzali; secondo i
costruttori il gigante avra' un raggio di sterzata di 53,8 metri,
piu' largo del Boeing B-747 ma piu' stretto del B-777, il piu' grande
dei nuovi bireattori a lungo raggio. Vittorio Ravizza
ODATA 06/08/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. AL BRITISH MUSEUM DI LONDRA
Una Tac per analizzare le mummie
Il sistema permette la perfetta ricostruzione del corpo imbalsamato
OAUTORE BETTI LEDA
OARGOMENTI paleontologia, tecnologia
OORGANIZZAZIONI BRITISH MUSEUM
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, LONDRA
OSUBJECTS paleontology, technology
PER la civilta' egizia la mummificazione non era tanto una tecnica,
quanto un modo di vivere l'atto di separazione del defunto dalla
societa' e dai propri cari in modo emblematico. Conservare un corpo
significava tramandarne l'identita e l'importanza ai posteri,
trascendere, con quell'atto solenne, le leggi legate al trascorrere
ineluttabile del tempo. La scienza contemporanea ha scoperto di
recente che, oltre a fermare gli anni, e' possibile mandare indietro
le lancette dell'orologio: dall'analisi di una mummia e' ora
possibile risalire all'immagine del viso della persona imbalsamata.
La nuova metodologia, messa a punto nel Dipartimento di antichita'
egizie del British Museum di Londra, utilizza uno strumento della
diagnostica medica, la tomografia assiale computerizzata, a cui
affianca un'analisi a computer dei dati ottenuti. La mummia viene
introdotta nella macchina per la Tac, per un esame dell'area cranica.
Il movimento rotatorio, a 360 gradi, dello strumento, fa si' che la
massa di tessuti venga irradiata da diversi punti di questa
circonferenza, permettendo di ottenere una panoramica del cranio
attraverso le differenti sezioni. Un computer passa in rassegna
queste «fette», ne analizza i dati, e traduce le misurazioni della
struttura ossea in un'immagine tridimensionale (3D), della testa
della mummia. Il modello grafico puo' venire sostituito da un modello
meccanico: il computer viene collegato ad una bara metallica che,
ruotando su se stessa, plasma miracolosamente il capo di un manichino
da una certa quantita' di materiale tipo polistirene. Le sue
sembianze corrispondono, con scarso margine d'errore, a quelle che la
persona deve aver posseduto all'epoca del decesso. La tecnica apre
prospettive enormi nel campo dell'indagine sui reperti umani
dell'antico Egitto. «Fino ad oggi voler osservare l'interno di una
mummia significava demolirla - dice la responsabile del team di
ricerca, Joyce Filer - perche' le bende in cui veniva avvolto il
corpo sono generalmente impregnate di una resina che rende solida, e
quindi impenetrabile, l'intera struttura. Con lo scanning, invece,
riusciamo a sapere quello che c'e' sotto le bende, lasciando intatta
la mummia». Si ottengono cosi' informazioni determinanti circa l'eta'
del defunto e la sua eziologia, la presenza di monili e gioielli, il
sesso. La casistica e' significativa, un caso per tutti quello di
una mummia, proveniente dagli scavi di Pretoria, portata alla luce
insieme al ritratto di un giovane uomo, nonostante all'interno ci
fosse un corpo femminile. «Cio' che non riusciamo a ricavare sono i
dati sul colore degli occhi e dei capelli, perche' per questi ci
vuole uno studio del corredo genetico, ed il Dna si puo' ottenere
solo da un prelievo di tessuto osseo». La visualizzazione dei volti a
computer ha il suo antesignano nella tecnica ricostruttiva classica,
basata sull'esame di crani scoperti, e isolati dal resto della
mummia. Dopo aver fatto un calco del cranio, lo si utilizza a mo' di
struttura portante sulla quale inserire il resto dei tessuti, fino ad
ottenere il viso cercato. Per ricavare dati quali quello dello
spessore dei muscoli facciali, ci si rifa' a misurazioni statistiche
attuali che fungono da metro di paragone, dopodiche' si ricostruisce
il viso, muscolo per muscolo, con l'aiuto di cavicchi di legno. Anche
se piu' rudimentale, la metodica tradizionale sopravvive a quella
nuova, sia nei laboratori di archeologia, che in medicina legale, un
po' per via dei costi contenuti, e un po' grazie all'atavica passione
per l'empirismo degli anglosassoni, ma soprattutto perche' sfrutta un
principio non analogo, bensi' complementare a quello che regge la
metodica digitale. Va d'altro canto sottolineato come l'impiego della
tomografia computerizzata in archeologia rappresenti anche il veicolo
ottimale per interventi in campo medico. «E' fondamentale che si
comprenda la natura umanitaria dei nostri sforzi - puntualizza la
Filer - e che ci si renda conto che stiamo mettendo a punto una
metodologia che sara' di grande aiuto in medicina». All'«University
College Hospital» di Londra, dove viene condotta una parte delle
ricerche, si lavora anche per l'implementazione di questa tecnica a
sostegno di interventi ricostruttivi, ad esempio in traumatologia.
«Lo scanning puo' essere adoperato per analizzare, e quindi
ricostruire, ogni regione del corpo umano. A tutto cio' si aggiungono
i benefici legati alla riduzione della quantita' di radiazioni a cui
viene esposto il paziente, un fattore di rischio da non sottovalutare
in radiologia». La mummificazione, che gia' comincia a perdere
importanza durante l'ultima parte della dominazione romana, scompare
definitivamente con la fine della civilta' egizia; con la
cristianita' nasce la convinzione che conservare i defunti sia contro
natura, e quindi contrario all'idea divina. I faraoni invece volevano
essere conservati per sconfiggere l'idea della morte, ed avvicinarsi
al divino. Leda Betti
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
GOLETTA VERDE
Il mare? Pulito a meta'
E scende l'indice di gradimento dei turisti
OGENERE copertina
OAUTORE PERELLI MATTEO
OARGOMENTI ecologia, mare, votazione, ambiente, inquinamento, controlli,
turismo
OORGANIZZAZIONI GOLETTA VERDE, LEGAMBIENTE, UE UNIONE EUROPEA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OTABELLE T. Le bandiere blu. Le migliori spiagge in Italia
OKIND features
OSUBJECTS ecology, sea, voting, environmental, pollution, control, tourism
LA Legambiente ha recentemente pubblicato il rapporto
sull'inquinamento delle principali localita' balneari italiane per il
1997. I risultati? Confortanti: «Meta' del ''mare delle vacanze'' e'
pulito. Solo in un punto su dieci i livelli di inquinamento superano
sensibilmente i limiti di legge. Piu' basso, invece, l'indice di
gradimento dei turisti, che hanno bocciato localita' come: Rimini,
Rapallo, Ostia, Gabicce Mare puntando il dito contro la
cementificazione dei litorali, il traffico, il rumore, la scarsa
manutenzione di spiagge e centri abitati». Dei circa quattrocento
campioni prelevati dalle due imbarcazioni-laboratorio partite il 26
giugno scorso da Santa Margherita Ligure, «...piu' di duecento hanno
fatto registrare inquinamento fecale (causato dagli scarichi fognari)
entro i limiti di legge». In poco piu' di 30 punti i livelli di
contaminazione superavano di almeno cinque volte il consentito.
Quindi i Bagni Nettuno a Sestri Levante, la spiaggia grande a
Positano, la spiaggia La Botte ad Andrano (Puglia), la spiaggia a
Nord della foce del Marano a Riccione, la spiaggia dei sassi a Porto
Rotondo, la spiaggia di Cefalu' hanno indossato la non ambita «maglia
nera» tra le localita' balneari. Buona invece la situazione nelle
piu' rinomate Portofino, Isola d'Elba, Capri, Tropea, Alghero per non
parlare della mitica Cala Luna nel golfo di Orosei in Sardegna». Il
record negativo di mare inquinato spetta nuovamente alla Campania
(niente bagni nel 21,4% delle sue coste), seguita dal Lazio (17,1%) e
dalla Sicilia (7,5%). A livello provinciale le situazioni peggiori si
registrano a Caserta (43,4% del litorale non idoneo alla
balneazione), Caltanissetta (38,3%), Napoli (27,2%), Roma (5,3%),
Palermo (15,5%) ecc. Il quadro e' abbastanza incoraggiante ma occorre
tenere conto che l'operazione di Legambiente quest'anno non ha
effettuato prelievi alla foce dei fiumi, nelle grandi citta', nei
punti vietati alla balneazione dal ministero della Sanita'. Il mare
passato al setaccio dalla Goletta Verde e' stato solo quello dove gli
italiani fanno effettivamente il bagno, se no ne avremmo viste
certamente delle belle! Ma dove sono le istituzioni pubbliche?
Francesco Ferrante, direttore generale della Legambiente, spiega:
«Bisogna verificare la bonta' degli interventi presi per migliorare
lo stato di salute delle coste, indicare per tempo ai cittadini quali
sono le spiagge pulite e quali le sporche, per dare a tutti un
elemento in piu' nella scelta del posto dove trascorrere la
villeggiatura. Ed e' ovvio che questa valenza viene meno, se il
ministero della Sanita' come ha fatto lo scorso anno, e peggio ancora
quest'anno, rende pubblici i suoi risultati a stagione balneare
iniziata. Anzi quando e se il ministero presentera' finalmente il suo
rapporto rischia addirittura di creare confusione». Lasciando perdere
le polemiche tra «Goletta Verde» e ministero, consideriamo i dati del
rapporto di Legambiente. Si tratta di analisi batteriologiche ed in
particolare di parametri indicativi dell'inquinamento microbiologico
delle acque come: Coliformi totali, Coliformi fecali e Streptococchi
fecali. Appartengono a queste categorie molte delle principali specie
batteriche considerate patogene per l'uomo e che potrebbero essere
causa di infezioni in seguito alla balneazione. Per quanto concerne i
coliformi fecali, che derivano in maggior parte dagli scarichi
fognari, appartengono a questa categoria generi individuabili nella
famiglia delle Enterobacteriaceae come: Escherichia, Salmo nella,
Shigella, Yersinia ecc. Per esempio il genere Salmonella e'
responsabile di infezioni come tifo e paratifo che sono
rispettivamente provocate da S.typhi e S.enteritidis e procurano
febbri enteriche differenziate in febbre tifoide e paratifoide. Il
genere Escherichia a cui appartiene la specie E.coli, normale nel
tratto intestinale degli animali e dell'uomo, non e' patogeno,
eccetto che per quei pochi ceppi che possono causare enteriti. La sua
presenza nelle acque e' sempre indice di contaminazione fecale. Ci
sono poi altri microrganismi appartenenti ad altre famiglie come il
genere Vibrio (responsabile del colera, V.cholerae che provoca
appunto una affezione diarroica acuta accompagnata da vomito e crampi
addominali), il genere Pseudomonas con la specie P.aeruginosa che si
trova in condizioni normali in circa il 10% dei campioni di feci
umane rappresentando una fonte di epidemie e di contaminazione
cutanea. Infine agli Streptococchi fecali appartengono a specie come
S.faecalis un enterococco che normalmente abita nel tratto
intestinale dell'uomo e di vari animali a sangue caldo, e' causa
frequente di infezioni urinarie e di endocarditi subacute.
Ricordiamoci comunque che in acqua marina oltre ai batteri possiamo
trovare altri microorganismi tra i quali Virus (per esempio il virus
dell'epatite A) e funghi responsabili di numerose altre patologie.
Per non parlare degli inquinanti chimici provocati da scarichi
civili, industriali e agricoli come idrocarburi, fertilizzanti,
pesticidi, tensioattivi, metalli pesanti. Occorre quindi essere
prudenti ed evitare di fare il bagno vicino a grossi centri, anche se
non c'e' il divieto di balneazione, e lavarsi dopo il bagno con acqua
e sapone in modo da asportare eventuali microrganismi e sostanze
chimiche per evitare irritazioni e infezioni della pelle come
foruncoli, impetigine, dermatiti varie, verruche. In presenza di
ferite, disinfettarsi soprattutto se ci si rende conto di aver fatto
il bagno in acqua poco raccomandabile. Gli esperti dicono che non e'
facile associare con sicurezza le infezioni provocate dalle specie
microbiche sopraindicate con il fatto di aver fatto il bagno in un
mare inquinato, certo e' che evitando le aree ad alto rischio si
diminuisce la probabilita' di incorrere in sgradevoli inconvenienti
estivi. Matteo Perelli ricercatore, Acquario di Genova
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN CHE STATO LE COSTE
Per ogni chilometro 175 edifici
OGENERE box
OARGOMENTI ecologia, mare
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND boxed story
OSUBJECTS ecology, sea
Il 58% del litorale italiano e' affetto da edificazione intensiva e
in media, per ciascun chilometro di costa ci sono ben 175 edifici. E'
uno dei dati emersi dal monitoraggio effettuato dal WWF fin dal 1995.
Soltanto il 29% della costa nazionale risulta integralmente libera da
edificazione ma questo dato risente dell'alta percentuale (73%) di
aree incontaminate presenti in Sardegna. Infatti, analizzando i
risultati, si evince una forte frammentarieta' delle aree da
preservare: esistono solo 6 ambiti costieri omogenei prevalentemente
liberi maggiori di 20 km di cui uno in Veneto, il Delta del Po, uno
in Campania e quattro in Sardegna, mentre sono 33 quelli di ampiezza
compresa tra i 10 e i 20 chilometri. Queste aree non soltanto sono
integralmente libere da insediamenti, ma sono tratti in cui
l'eventuale presenza di infrastrutture e di edificato sparso e'
abbastanza limitata per permettere operazioni di recupero del
territorio. Al termine del monitoraggio, il WWF ha censito 362 aree
costiere libere, di cui 98 nella sola Sardegna. Dopo l'indagine, il
WWF ha analizzato le prime 47 aree costiere delle 365 ancora libere
da edificazioni che vanno assolutamente tutelate. Ora l'associazione
propone a Comuni, Regioni e al Governo di predisporre strumenti
specifici di intervento, primo fra tutti il vincolo di
inedificabilita'.
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Oceani messi a nudo
Dai satelliti una mappa dei fondali mondiali
OAUTORE TIBALDI ALESSANDRO
OARGOMENTI geografia e geofisica
ONOMI SANDWELL DAVID, SMITH WALTER, GORE AL
OORGANIZZAZIONI ISTITUZIONE AMERICANA SCRIPPS PER L?OCEANOGRAFIA, ENTE
AMERICANO PER
L'OCEANO E L'ATMOSFERA
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, DC, WASHINGTON
OTABELLE C. I mari e gli oceani della Terra
OSUBJECTS geography and geophisics
IMMAGINIAMO di essere in viaggio nel cosmo e, rivolgendo lo sguardo
alla Terra, di accorgerci che tutti i mari sono svuotati con i
fondali quindi perfettamente visibili. Fantascienza? No, e' un po'
quello che e' successo a Washington, quando David Sandwel
dell'Istituzione Americana Scripps per l'Oceanografia e Walter Smith,
dell'Ente Americano per l'Oceano e l'Atmosfera, hanno presentato alla
comunita' scientifica internazionale la piu' dettagliata mappa
esistente dei fondali marini di tutto il mondo, ripresi dallo spazio
da un satellite artificiale. Numerosi eminenti geologi e geofisici
intervistati hanno dichiarato che questa nuova mappa rappresenta la
piu' grande scoperta dopo i dati degli Anni 40-50 sulla tettonica
delle placche, cioe' dopo l'individuazione dell'attivita' sismica e
vulcanica sottomarina connessa ai movimenti tra le varie placche che
scompongono la parte piu' superficiale della Terra. La nuova mappa
presenta infatti informazioni sulla topografia dei fondali marini -
conosciuta tecnicamente come batimetria - venti volte piu'
dettagliate di quelle ottenute finora con i classici metodi di
rilevamento con l'ecoscandaglio dalle navi. I rilevamenti dalle navi
sono stati infatti effettuati in modo dettagliato solo in zone
estremamente limitate. La batimetria della nuova mappa rivela
centinaia di strutture geologiche prima sconosciute, tra le quali
importanti faglie, cioe' zone di rottura della crosta terrestre lungo
le quali si hanno movimenti, di cui probabilmente molte attive
responsabili dei terremoti oceanici. Inoltre, rivela un numero doppio
di vulcani sottomarini rispetto alle conoscenze precedenti, nuovi
abissi oceanici e nuove zone di fondali bassi. Su quest'ultimo tema
bisogna riferire una storia curiosa. Nell'ultimo decennio, un gruppo
di pescatori di una zona della Nuova Zelanda si andava arricchendo
con partite di pesca incredibilmente abbondanti in un tratto di mare
ritenuto profondo dalle mappe batimetriche, e quindi poco adatto alla
concentrazione di banchi di pesci. Si arrivo' al punto di discutere
nei congressi scientifici questa anomala concentrazione di pesce in
una zona di mare profondo. Adesso invece, l'«occhio spaziale» da'
ragione ai pescatori neozelandesi. La nuova mappa rivela infatti una
catena di vulcani sottomarini, la cui presenza, fino ad ora
inimmaginata, permette il sostentamento di una ricca fauna ittica.
Questi nuovi dati sono quindi utili per ubicare le zone di fondale
marino piu' promettenti per la pesca, con ovvie ricadute economiche.
Ma non solo! Saranno utilizzati per la navigazione, per la ricerca di
idrocarburi e di minerali, per valutazioni sulla circolazione
profonda delle masse d'acqua oceaniche e sul clima, per la
vulcanologia, per il rischio sismico, e, in generale, per la
comprensione dell'evoluzione geologica presente e futura del nostro
pianeta. Infine, questi dati sono utili ai militari, per i cui scopi
era stato originariamente lanciato il satellite, la navigazione dei
sommergibili e il calcolo delle traiettorie dei missili. Il satellite
«Geosat» venne lanciato dagli americani nel 1985 con a bordo uno
strumento radar in grado di rilevare l'altezza delle onde marine con
una elevatissima precisione: il margine di errore e' infatti di pochi
centimetri. La superficie del mare presenta, oltre alle onde e alle
anomalie dovute alle correnti e al vento, delle zone fisse di altezza
diversa che riflettono il campo gravitazionale terrestre locale. In
pratica, dove ci sono depressioni nei fondali, queste si riflettono
in superficie con una diminuzione del livello del mare, mentre dove
il fondale e' rilevato, la superficie marina presenta degli
inarcamenti. Per esempio, un vulcano sottomarino che si eleva di
duemila metri dal fondale circostante, si riflette con un
innalzamento di due metri della superficie del mare. Questo si spiega
con il fatto che la superficie del mare tende a disporsi sempre
perpendicolarmente alle traiettorie di massima attrazione della
gravita'. In altre parole, le masse rocciose piu' spesse,
corrispondenti quindi ai rilievi dei fondali oceanici, attirano
maggiormente l'acqua marina dalle zone limitrofe; i bacini oceanici
invece hanno uno spessore di rocce piu' ridotto che tratterra' di
meno la massa d'acqua creando in superficie delle depressioni nel
livello del mare. Siccome le traiettorie dei missili sono sensibili
alle variazioni del campo gravitazionale terrestre, i militari
intendevano studiare le anomalie della superficie marina per
localizzare le relative anomalie gravimetriche e correggere cosi' i
calcoli di guida dei missili. Questi dati rimasero a lungo segreti,
fino a quando il Gruppo di Lavoro per l'Ambiente degli Usa, fondato
nel 1985 da Al Gore - che sarebbe poi diventato il famoso senatore -
inizio' a fare pressioni per declassificarli. Il segreto militare e'
stato finalmente tolto nel luglio 1995 anche perche', bisogna dirlo,
contemporaneamente iniziavano ad essere disponibili i dati simili
raccolti dal satellite artificiale europeo ERS-1. Attualmente decine
di scienziati di tutto il mondo stanno lavorando per integrare i dati
dei due satelliti, ottenendo cosi' mappe sempre piu' dettagliate di
tutti i fondali marini. Questi dati permetteranno di migliorare le
conoscenze sui fondali oceanici tanto quanto il telescopio orbitante
Hubble ha incrementato lo studio del cosmo. E la ricaduta che ci si
aspetta non sara' solo per la comunita' scientifica ma anche per
l'economia civile.Alessandro Tibaldi Universita' di Milano
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. OSSERVATO DALLA SONDA NEAR
L'oscura Mathilde
Un asteroide piu' nero del carbone
OAUTORE DE MARTINO MARIO
OARGOMENTI astronomia
ONOMI BARKS CARL
OORGANIZZAZIONI NEAR, NASA, DISCOVERY
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy
IL grande successo e le impressionanti immagini del suolo marziano
inviate a terra dal robot Sojourner hanno offuscato un altro grande
appuntamento spaziale verificatosi una settimana prima: il fly-by da
parte della sonda Near (Near- Earth Asteroid Rendez-vous)
dell'asteroide 253 Mathilde. Si tratta del terzo e piu' grande
asteroide osservato da vicino da una sonda spaziale, ma, a differenza
di 951 Gaspra e 243 Ida immortalati dalle telecamere della sonda
Galileo in viaggio verso Giove e costituiti da rocce silicacee,
Mathilde e' formato prevalentemente da composti del carbonio e ha
quindi un colore estremamente oscuro: riflette tra il 3 ed il 4%
della luce del Sole, due volte meno del carbone. L'importanza dello
studio di asteroidi di questo tipo risiede nel fatto che
presumibilmente sono oggetti che nei 4,5 miliardi di anni di vita del
Sistema Solare non hanno subito processi che possano aver alterato in
maniera significativa la loro composizione originaria, e
rappresentano quindi un campione della materia di cui era costituita
la nebulosa circumsolare da cui si e' formato il nostro sistema
planetario. La fascia degli asteroidi e' formata da decine di
migliaia di piccoli pianeti di composizione diversa (le dimensioni di
quelli sinora scoperti vanno dai 950 km di Cerere sino a pochi
chilometri), e' localizzata tra le orbite di Marte e Giove ed ha una
larghezza che supera i 150 milioni di chilometri. E' ormai certo che
gli asteroidi sono corpi che a causa delle perturbazioni
gravitazionali indotte dal vicino Giove non hanno potuto aggregarsi
per formare il decimo pianeta e la varieta' composizionale di questi
oggetti ed i meccanismi che governano la loro evoluzione si sono
rivelati negli ultimi decenni un potente strumento per studiare le
fasi evolutive che hanno portato alla formazione del Sistema Solare
come oggi lo conosciamo. L'obiettivo principale della sonda Near,
lanciata nel febbraio 1996, e prima delle missioni a basso costo (150
milioni di dollari) del programma Discovery della Nasa, e' 433 Eros,
un asteroide di una ventina di chilometri di diametro che appartiene
ad una numerosa famiglia di oggetti che non fanno parte della fascia
principale, ma da cui quasi certamente provengono, le cui orbite si
avvicinano e talvolta intersecano quelle della Terra, rappresentando
quindi un potenziale pericolo per il nostro pianeta. L'appuntamento
con Eros e' previsto per il gennaio 1999 quando Near, raggiunto
l'obiettivo, si immettera' in orbita ad esso ad una distanza di poche
decine di chilometri per effettuarne uno studio estremamente
dettagliato. Ed e' proprio la necessita' di tenere bassi i costi
della missione che ha portato Near nelle vicinanze di Mathilde.
Infatti per risparmiare, il lancio fu effettuato con un vettore
relativamente poco potente confidando nella spinta gravitazionale
(gratuita) che verra' data alla sonda, per aumentarne l'inclinazione
dell'orbita, nel gennaio del prossimo anno durante un suo passaggio
ravvicinato con la Terra. Le immagini di Mathilde trasmesse da Near e
riprese da una distanza di circa 1200 chilometri, ci hanno lasciati
stupefatti. Quando, insieme ai colleghi del gruppo di Planetologia
dell'Osservatorio di Torino, le abbiamo viste apparire sugli schermi
del computer, la prima domanda che ci siamo posti e' stata quella di
come un oggetto delle dimensioni di poco superiori ai 50 km possa
aver resistito senza andare in frantumi ad impatti che hanno scavato
crateri di dimensioni paragonabili o addirittura superiori al suo
raggio e profondi alcuni chilometri. Il piu' grande di questi ha un
diametro di circa 30 km e si stima che sia profondo 10 - al suo
interno potrebbe starci comodamente una citta' come Torino, compresa
la sua cintura. Si pensa che sia stato causato dalla collisione con
un oggetto delle dimensioni di circa 3 km che viaggiava ad una
velocita' intorno ai 5 km/sec. (18.000 km/ora). Ma la maggiore
sorpresa, e forse anche una spiegazione alle dimensioni dei crateri,
e' venuta qualche giorno dopo quando la sonda ha inviato a terra i
primi dati che hanno permesso di determinare la massa di Mathilde. La
misura e' stata effettuata indirettamente grazie al rallentamento (1
millimetro al secondo) subito dalla sonda durante il passaggio
ravvicinato e causato dal debole campo gravitazionale dell'asteroide.
Da questa minuscola decelerazione e' stato calcolato che la massa di
Mathilde e' di circa 100.000 miliardi di tonnellate, un milionesimo
della Luna. Assumendo un diametro medio di 52 km (un valore
preliminare determinato grazie alle immagini inviateci da Near),
Mathilde ha una densita' di 1,3 grammi al centimetro cubo - di poco
superiore a quella dell'acqua. Ma le meteoriti di composizione
analoga a quella di Mathilde e che con ogni probabilita' provengono
dalla fascia degli asteroidi, hanno una densita' di 2,6 grammi al
centimetro cubo. Sebbene la densita' potra' aumentare una volta che
si terra' conto della forma irregolare dell'asteroide, e' improbabile
che il valore finale possa alla fine avvicinarsi a quello suddetto.
La spiegazione piu' plausibile e' che Mathilde sia formata da un
conglomerato di detriti poco compattati («ruble pile»). Se cosi'
fosse, sarebbe anche giustificata la presenza degli enormi crateri.
Infatti, come dimostrato anche in laboratorio, l'energia dell'impatto
su oggetti di questo tipo viene in buona parte dissipata dalla
struttura non omogenea del bersaglio, evitando cosi' la sua
distruzione catastrofica. Le analisi teoriche ed i modelli numerici
dimostrano che asteroidi di questo tipo possono esistere e la loro
origine potrebbe essere dovuta alla riaccumulazione gravitazionale
sul frammento di maggiori dimensioni rimasto dopo la distruzione
catastrofica del corpo originario a causa di un impatto verificatosi
in epoche remote. Per la verita' il primo ad intuire che almeno
alcuni asteroidi potevano essere formati da accumuli di frammenti
tenuti assieme dalla reciproca attrazione gravitazionale fu Carl
Barks, il piu' creativo e originale degli illustratori della Walt
Disney. Barks infatti negli Anni 50 disegno' un fumetto in cui si
vede Paperino che lanciatosi da un'astronave su un asteroide
sprofonda in questo ammasso di frammenti e riappare dalla parte
opposta dove viene salvato dal provvidenziale intervento di zio
Paperone che lo raccoglie con una retina per farfalle. A partire
dagli Anni 70 questa ipotesi ha raccolto molti consensi e adesso,
grazie a Near, sembra anche che vi sia un riscontro osservativo
diretto. Mario De Martino Osservatorio Astronomico di Torino
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. AUSTRALIA
E' morto Eugene Shoemaker
OGENERE dati biografici
OAUTORE M_D_M
OARGOMENTI astronomia, morte
OPERSONE SHOEMAKER EUGENE
ONOMI SAGAN CARL,
SHOEMAKER EUGENE
OORGANIZZAZIONI NASA
OLUOGHI ITALIA
OKIND biografic data
OSUBJECTS astronomy, death
NEGLI ultimi otto mesi il mondo della scienza planetaria e' stato
funestato dalla perdita di tre eminenti scienziati. Lo scorso
dicembre ci ha lasciati Carl Sagan, uno dei piu' entusiasti
propugnatori dell'esplorazione spaziale del Sistema Solare e
appassionato divulgatore; un mese fa ha perso la vita, per la caduta
di un albero sulla sua auto nel corso di una tempesta di vento,
Jurgen Rahe, uno dei maggiori esperti di comete e responsabile delle
missioni spaziali planetarie della Nasa. Infine il 18 luglio e' morto
in un incidente stradale Eugene Shoemaker, famoso nel mondo anche fra
i non addetti ai lavori per la scoperta nel 1993, insieme alla moglie
Carolyn ed al collega Levy, della cometa che 16 mesi dopo si
schianto' su Giove. L'incidente si e' verificato in una remota
regione dell'Australia centrale dove Shoemaker, si trovava per
studiare alcuni dei crateri da impatto scoperti in quel continente e
causati dalla caduta di piccoli asteroidi. Eugene, i cui interessi
furono inizialmente rivolti verso la geologia, sin dai primi Anni 60
divenne molto conosciuto anche nell'ambiente astronomico per i suoi
studi pionieristici sulla meccanica degli impatti ad ipervelocita' e
sulla natura e origine dei crateri lunari. Con la moglie ha scoperto
piu' di 800 asteroidi oltre a numerose comete. Nel 1994 la Nasa, su
sollecitazione del Congresso degli Stati Uniti, lo incarico' di
costituire un comitato di scienziati per studiare le tecniche
migliori per identificare e catalogare in un periodo di tempo non
superiore ai 10 anni tutti gli oggetti di dimensioni superiori al
chilometro (presumibilmente circa 2000) che incrociano o si
avvicinano all'orbita della Terra, costituendo quindi un potenziale
grave pericolo per il nostro pianeta. Il lavoro si concluse nel
giugno 1995 ed i suoi risultati costituiscono adesso la base per ogni
tipo di ricerca in questo campo. Sin dalla sua prima giovinezza
Eugene era fermamente convinto che un qualche giorno degli astronauti
avrebbero passeggiato sulla Luna e sin da allora tutta la sua vita
professionale fu rivolta a diventare uno di essi. Purtroppo gli
stringenti regolamenti medici non gli permisero di essere selezionato
per il programma Apollo e proprio lo scorso anno affermo' che «il non
poter essere sbarcato sulla Luna e non aver potuto prelevare campioni
del suolo e' stata la piu' grande delusione della mia vita, ma se
cosi' fosse stato, probabilmente non sarei andato all'Osservatorio di
Monte Palomar per riprendere oltre 25.000 lastre fotografiche del
cielo notturno e non avrei avuto l'emozione di scoprire centinaia di
piccoli pianeti».(m. d. m.)
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. RICERCA E MISSIONI SCIENTIFICHE
Agenzia Spaziale Italiana 6500 miliardi in 5 anni
OAUTORE MUSSO CARLO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, ricerca scientifica, programma
OORGANIZZAZIONI ASI AGENZIA SPAZIALE ITALIANA, CIPE
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, research
UNA delle richieste emerse con piu' chiarezza dall'incontro nazionale
su «La ricerca scientifica in Asi: 1998 - 2002», tenutosi venerdi' 11
luglio nell'aula convegni del Cnr, e' stata quella di una piu'
efficace informazione del pubblico circa gli sviluppi della ricerca
spaziale in Italia. Questo breve resoconto vuole essere una prima
risposta a questa esigenza. L'occasione era particolarmente
significativa, in quanto si e' trattato della prima volta in cui la
comunita' scientifica, le maggiori industrie coinvolte in attivita'
spaziali e l'Agenzia hanno avuto modo di confrontarsi in un incontro
di ampio respiro. Il presidente di Asi, prof. De Julio, ha aperto i
lavori presentando i criteri base del Piano spaziale nazionale (Psn)
che dovra' coprire il quinquennio 1998-2002. Tra le note positive, il
presidente ha ricordato le delibere del Comitato interministeriale
per la programmazione economica (Cipe) che fissano, seppur in maniera
indicativa, la disponibilita' finanziaria di Asi per i cinque anni di
durata del Psn in 6500 miliardi. Secondo il presidente, questo e' un
chiaro segno della volonta' politica del governo di sostenere il
programma spaziale, in particolare quello scientifico che, non a
caso, occupa il primo posto nelle suddette delibere del Cipe. Asi ha
risposto a questo orientamento con alcuni provvedimenti di notevole
importanza. Il «Regolamento di organizzazione e funzionamento»,
recentemente approvato, ha permesso di istituire l'Area per la
ricerca scientifica, che deve coordinare e attuare, secondo quanto
definito nel Psn (processo top-down), il programma che nasce e viene
sviluppato dalla comunita' scientifica (processo bottom-up). I primi
risultati di questa strategia sono emersi negli interventi dei
coordinatori dei gruppi di lavoro, formati, sul modello di quanto
avviene all'Agenzia spaziale europea, per valutare le oltre 500
proposte arrivate in risposta ai quattro bandi emersi da Asi a
partire dallo scorso marzo. A tale proposito il prof. Bignami,
direttore dell'Area per la ricerca scientifica, ha presentato il
nuovo programma Asi di selezione e studi per piccole missioni
scientifiche, con attenzione sia al carico utile sia al progetto
deiveicoli, che dovrebbe dare impulso nei prossimi anni ad
un'attivita' nazionale che preveda il lancio di un satellite
scientifico ogni due, tre anni. La discussione generale ha permesso
di entrare con maggior dettaglio nei problemi della ricerca,
evidenziando tra l'altro la necessita' di un maggiore impegno Asi
nella formazione di giovani specialisti nel campo delle scienze
spaziali. Muovendosi in questa direzione, Bignami, ha annunciato un
piano di borse di studio finanziate dall'Agenzia, che partira' il
prossimo anno. L'idea e' quella di favorire, tra l'altro, la nascita
di «scienziati industriali» - come li ha definiti il direttore
generale di Asi, ing. Scerch - cioe' di figure professionali capaci
di associare alle conoscenze scientifiche fondamentali quelle
competenze tecnologiche e di gestione necessarie alla realizzazione
di un progetto spaziale. Accanto a questi fatti positivi non bisogna
dimenticare la difficile situazione cui la nuova dirigenza di Asi
deve far fronte. Il prof. Setti, presidente del Comitato Scientifico,
ha sottolineato come, nell'immediato futuro, sara' necessario
ridurre, se non addirittura cancellare, alcuni programmi, e
ridisegnare dal principio la formulazione dei bandi per le proposte
di esperimenti, che negli anni passati sono stati spesso generici,
rendendo molto laborioso il processo di selezione, con gravi riflessi
sulla tempestivita' di erogazione dei finanziamenti. Il bilancio
complessivo di questa riunione e' da considerarsi in ogni caso
positivo, tanto che una decisione che ha trovato tutti d'accordo e'
stata quella di programmare per il prossimo autunno una serie di
incontri tematici, che vanno nella direzione di una sempre maggiore
interazione tra Agenzia e mondo scientifico e industriale, per il
bene di tutta l'attivita' spaziale italiana. Carlo Musso Ist. Fisica
Cosmica Milano
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. FOTOGRAFIA DIGITALE
Una guerra mondiale a colpi di pixel
I colossi del settore impegnati nella corsa tecnologica. Il tramonto
della pellicola
OAUTORE ARPAIA ANGELO
OARGOMENTI ottica e fotografia, tecnologia
OORGANIZZAZIONI DIGITAL PHOTO, DIGITAL VIDEO, SONY, KODAK, CANON, MINOLTA,
AGFA,
POLARODI, FUJI, NIKON, OLYMPUS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS optics and photography, technology
ENTRARE oggi da profano nell'universo delle tecnologie digitali e' un
viaggio affascinante e ricco di sorprese. Per non perdere una fetta
di mercato futuro le piu' importanti holding del settore fotografico
continuano a presentare sul mercato significative soluzioni
tecnologiche d'avanguardia fatte a suon di pixel per migliorare
qualita' e prestazioni. Sul mercato si fronteggiano aziende come
Sony, Canon, Nikon, Olympus, Kodak, Fuji, Agfa, Minolta, Polaroid e
molte altre aziende rappresentative per quanto riguarda il Digital
Photo e Digital Video. Mentre nel campo professionale si sono gia'
raggiunti standard apprezzabili, nel segmento amatoriale, per
proporre un prodotto qualita'-prezzo abbordabile sotto il milione, si
arranca ancora: si sa da sempre che sono i numeri a far calare i
prezzi, chiaro esempio il settore della telefonia cellulare. Tra i
colossi mondiali dell'«Entertainment Multimediale» e dell'elettronica
di consumo, Sony, ad esempio, la fa da protagonista. E' recente
l'uscita, nel Digital Video, di un nuovo modello Handycam Vision
(Dcr-Trv7) dotato di un sensore da 810 mila pixel che offre un mini
monitor Lcd a colori da 4 pollici, uno zoom ottico 10 x con raddoppio
digitale e lo stabilizzatore d'immagine (steady shot). Nel comparto
Digital Photo invece e' stata presentata di recente la DSC-FI, una
macchina fotografica digitale con 4MB di memoria e 24 bits di
campionamento colore, risoluzione 640 x 480 per 350 mila pixel,
capacita' immagini in modo fine 30, standard 58 e 108 in economy.
Sony fa ancora un passo in avanti con la tecnologia Stamina, il nuovo
sistema di alimentazione destinato a rivoluzionare il mondo dei
camcorder, e non solo. Il colosso americano Kodak porta oggi sul
mercato una macchina fotografica digitale da 1,2 milioni di pixel. E'
il modello DC/120 che traduce una memoria interna di 2 MB con
memorizzazione in standard di 20 immagini, incrementabili con schede
Compactflash. Dotato di un obiettivo zoom AF 38/114 mm, si dimostra
strumento ideale nelle presentazioni di prodotti e nel desktop
publishing. L'apparecchio viene fornito con il soft ware Digital
Science Picture Transfer per l'invio delle immagini al computer.
Altra fotocamera digitale amatoriale di linea slim la presenta Nikon:
e' la Coolpix 100. Compatta, agevole, non richiede scansione, ha il
mirino di tipo ottico, l'otturatore elettronico, funzione macro,
esposizione AE programmata e flash automatico, immagazzina 21
immagini a bassa compressione e 42 in normal con riproduzione a 24
bit colore. Viene immediatamente collegata al drive per PC card del
computer e non necessita di software di conversione perche' le
immagini vengono registrate dalla flash memory della Coolpix
nell'universale standard Jpeg. Per Canon la fotografia digitale si
chiama PowerShot 600; e' un apparecchio di buone prestazioni che
acquisisce immagini tramite un sensore Ccd da 1/3 di pollice a 570
mila pixel, qualita' a 24 bit colore o 8 bit monocromatiche ad alta
risoluzione. Con l'Hard Disk Card HC-170M, in compressione normal, si
possono immagazzinare 1500 immagini. Piu' professionali, nel binomio
Canon-Kodak, le prestazionali fotocamere Eos-DcsI e Eos-Dcs3 che
possono essere utilizzate per documentare avvenimenti sportivi con
collegamento immediato al computer, dove spesso il fattore tempo e'
decisamente importante. Agfa e' presente sul mercato del digitale con
la Photo 307, un apparecchio realizzato per applicazioni amatoriali e
professionali: offre due regolazioni di risoluzione 640 x 480 e 320 x
240 pixel, inoltre immagazzina 36 immagini in alta e 72 in
risoluzione standard. Sempre piu' si parla di nuove frontiere
tecnologiche, sia nel mondo degli affari chiamato «Digital Office»,
sia nella vita privata: e' un lento, inesorabile, passaggio dall'era
analogica a quella digitale con prodotti multimediali sempre piu'
sofisticati. Questo ed altro e' in arrivo per festeggiare
l'anniversario speciale del Terzo Millennio. Angelo Arpaia
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL RICCIO EUROPEO
Un buffo gomitolo di spine
I suoi nemici piu' pericolosi: le auto
OAUTORE GROMIS DI TRANA CATERINA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
IL riccio e' stato per molto tempo considerato dalla tradizione
popolare un animale dall'ingegno corto, finche' l'etologia ha fatto
giustizia del miraggio della «bestia imbecille», insegnandoci a
comprendere il linguaggio di ogni animale non piu' sempre
paragonandolo a quello umano, ma riferito alle varie situazioni che
hanno richiesto i piu' diversi adettamenti evolutivi. Il riccio
europeo (Erinaceus europaeus), distribuito con diverse sottospecie
in tutta l'Europa, in Asia centrale e in Asia minore, assente in
America e in Australia, introdotto con successo in Nuova Zelanda,
appartiene all'ordine degli Insettivori, e se lo si pensa con un
comune rivestimento di peli al posto degli aculei, si ha l'immagine
dei mammiferi primitivi del periodo Giurassico, con dentatura poco
specializzata, arti generici e un muso appuntito simile a quello
delle talpe e dei toporagni. Dice un famoso aforisma di Archiloco:
«La volpe ne sa tan te, una il riccio, importante». Infatti il
rivestimento di spine che lo rende inconfondibile e' stata la sua
sola trovata evolutiva e la particolare muscolatura che gli consente
di avvolgersi a palla la sua unica, validissima arma di difesa e di
offesa. Gli aculei, usati nell'antichita' per rendere ruvidi i panni,
non sono altro che peli modificati, che emergono da un bulbo sul
quale e' inserito un muscolo volontario che permette all'animale di
drizzarli anche indipendentemente. La muscolatura dorsale, molto
specializzata, e' formata da un muscolo caudo-dorsale che fa erigere
tutti gli aculei, circondato da un muscolo ovale che, contraendosi,
agisce come un legaccio attorno ad un sacco, trasformando il riccio
in un gomitolo di spine inespugnabile in cui l'aria circola senza
difficolta'; cosi', se deve rimanere a lungo appallottolato, puo'
respirare liberamente. Nonostante questa robustissima corazza,
qualche esperto predatore riesce ad avere la meglio sul riccio. I
barbagianni e i gufi reali vincono le sue difese a colpi di rostro e
con i robusti artigli (se ne ha la prova dalle borre di questi rapaci
notturni, a volte formate esclusivamente da aculei); le volpi, alcuni
mustelidi, i cani piu' esperti sembra imparino a spingere la palla
spinosa nell'acqua, costringendo l'animaletto ad aprirsi per
respirare. Ma non sono tanto i predatori naturali gli attuali nemici
del riccio, quanto le automobili, recenti esseri oscuri dai quali il
suo semplice cervello da insettivoro non sa difendersi: sulle strade,
davanti ai fari accesi il riccio non sa fuggire, ma solo
appallottolarsi, e questo non gli serve a niente. Gli aculei e i
muscoli che li comandano gli servono anche come arma contro i
serpenti, con i quali ingaggia furiose battaglie quasi sempre
vittoriose. Le vipere, se non riescono a morderlo sul muso al primo
tentativo, che allora e' di solito per lui letale, si sfiniscono
attaccando la palla di spine contro la quale esauriscono gran parte
del loro veleno, fino all'attacco finale ad aculei eretti che le
uccide, rendendo il vincitore oltremodo simpatico agli esseri umani.
La capacita' di appallottolarsi e' utile anche durante i capitomboli
di questo cacciatore notturno dall'odorato fine e dalla vista debole:
durante le sue passeggiate non bada a nulla e a nessuno, e scavalca
con decisione gli ostacoli, pronto a raggomitolarsi per non farsi
male se cade. Se ci si imbatte in un riccio durante la notte e' molto
facile avvicinarlo: e' cosi' concentrato ad annusare il terreno,
incurante di far rumore pestando foglie e rami, che si ferma solo
quando e' molto vicino. Allora si blocca per un istante, si
appallottola per un po', e quando di sente sicuro riparte per la sua
strada alla ricerca di qualsiasi piccolo animale che gli arrivi a
tiro. Non e' molto esigente: oltre agli insetti (comprese le velenose
cantaridi, le api e le vespe), cattura chiocciole, lumache,
lombrichi, ranocchie, lucertole e topi. E' ghiotto di uova, e
saccheggia i nidi degli uccelli che le depongono sul terreno. Ama la
frutta e il latte, da cui l'infondata vecchia credenza che riuscisse
a succhiarlo direttamente dalle mammelle delle vacche al pascolo. Il
riccio, che vive un po' dappertutto nelle campagne, nei boschi e nei
giardini, fino al limite dei boschi di conifere, troppo umidi e privi
delle morbide foglie di latifoglie necessarie per il rivestimento dei
suoi rifugi, e' l'unico tra gli insettivori nostrani che va in
letargo durante l'inverno. Prepara una tana rivestita di foglie che
schiaccia contro le pareti girando a lungo in tondo e su se stesso,
per renderla impermeabile, e passa li' arrotolato i mesi piu' freddi,
con il metabolismo ridotto al minimo e una temperatura corporea molto
vicina a quella esterna. Il letargo puo' essere piu' o meno lungo a
seconda delle zone; a volte viene interrotto e il rifugio cambiato.
Al risveglio dopo l'inverno, in marzo-aprile, inizia il periodo degli
amori. I ricci sono animali solitari, anche se i loro territori
spesso si sovrappongono, e solo quando sono innamorati nella loro
vita si apre una breve parentesi di socialita'. L'amore e' un affare
serio e pericoloso e il maschio deve essere sicuro della sua bella
prima di farsi avanti. Cosi' la corteggia con un lungo rituale di
schermaglie amorose, un carosello di saltelli, piccole danze, sbuffi
e borbottii che precede l'accoppiamento, durante il quale la femmina
consenziente e sottomessa si corica sul terreno con gli aculei
ripiegati e le zampe posteriori distese all'indietro, per agevolare
la difficile operazione. I piccoli, da 2 a 7, per non ferire la madre
durante il parto, nascono con la pelle sottile, rigonfia d'acqua, che
dopo due giorni si disidrata scoprendo gli aculei, morbidi,
biancastri e radi, che induriscono e aumentano di numero rapidamente.
L'aspetto del riccio durante l'autunno, quando e' grasso e florido
per aver accumulato il grasso che smaltira' nell'inverno, gli ha
forse valso il nome popolare di «Porcospino», e le sue carni, gia'
usate un tempo come rimedio contro la calvizie (forse perche' gli
aculei hanno l'aspetto di capelli fortissimi), fino a pochi anni fa
erano abbastanza apprezzate nei paesi mediterranei. Infine e' solo
una leggenda la divertente storia che lo dice capace di accumulare
provviste nel suo rifugio infilzando sugli aculei acini d'uva e
addirittura mele, come olive sugli stuzzicadenti, abitudine che, se
fosse vera, lo renderebbe piu' che simpatico: addirittura
irresistibile. Caterina Gromis di Trana
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ZOONOSI EMERGENTI
Attenzione agli amici animali
Nuove patologie: allarme dell'Oms
OAUTORE BURI MARCO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, zoologia
OORGANIZZAZIONI OMS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, zoology
L'Oms, Organizzazione mondiale della sanita', ha pubblicato dati
sulla diffusione di alcune zoonosi emergenti che ci devono allarmare:
zoonosi, cioe' malattie trasmesse dagli animali all'uomo, ed
emergenti perche' causate da microrganismi nuovi, oppure gia'
conosciuti ma che appaiono in luoghi o specie animali dove la
malattia non era stata ancora osservata. Questa diffusione puo'
essere dovuta a modificazione dello stato immunologico di individui o
popolazioni, a meccanismi molecolari di natura genetica degli agenti
patogeni ma anche a fattori ambientali e sociali. Le zoonosi di nuova
origine si possono distinguere in tre categorie: la prima comprende
malattie legate a variazioni nei modi di allevamento, produzione ed
abitudini alimentari. Un esempio sono le infezioni da Salmonella
enteritidis ed Escherichia coli, scoperte anche in quest'ultimo
periodo in mense di scuole ed ospizi. La seconda coinvolge patologie
associate al cambiamento di parametri e condizioni ambientali che
influenzano direttamente gli agenti e i serbatoi trasmettitori verso
l'uomo. Cosi', variazioni nelle risorse idriche di alcune zone hanno
portato Leishmaniosi cutanea nel Nord Africa ed alcuni focolai di
Rabbia umana in Brasile e Peru' a seguito di contatti con pipistrelli
infetti. La terza categoria riguarda agenti patogeni che riacquistano
nuove caratteristiche di virulenza attraverso fenomeni di
adattamento, mutazione e ricombinazione genetica. Gli studiosi
dell'Oms concordano nell'accusare vecchi agenti eziologici che si
adattano a nuovi ospiti e territori piuttosto che attribuirne la
responsabilita' a nuovi virus o batteri. Molto importanti sono la
prontezza e la tecnica di ricerca epidemiologica effettuate da medici
e veterinari per identificare i fattori a rischio prevenendo cosi' i
focolai di malattia. Salmonella enteritidis e' tra le piu' grandi
minacce per la produzione avicola e di conseguenza per la salute
umana. E' diffusa soprattutto in Europa ed e' responsabile dell'80%
dei casi di Salmonellosi umana e del 50% di altre tossinfezioni
alimentari. L'Universita' di Friburgo ha evidenziato come l'infezione
nell'uomo sia associata ad ingestione di uova crude o impropriamente
cucinate. Sono colpiti di piu' i bambini dai 3 ai 9 anni ed ogni anno
ne vengono registrati 1000 nuovi casi. La Salmonella enteritidis fu
osservata la prima volta nei polli nel 1988 e si e' velocemente
diffusa negli allevamenti. Dopo l'unificazione delle due Germanie nel
1991, la diffusione del batterio e' aumentata in modo incontrollato
per il commercio di animali infetti. Risultati promettenti si stanno
ottenendo con vaccinazioni a tappeto sia nei polli che in altri
animali insieme alla profilassi diretta con nuove norme igieniche e
di disinfezione. La Leptospirosi ha come serbatoi numerosissimi
animali. Le leptospire, agenti causali, sono state isolate nei
roditori ma ne sono importanti vettori cani, bovini, suini, ovini,
caprini, equini ma anche volpi, foche e canguri. In Francia, nel
1993, i casi di Leptospirosi umana sono aumentati in forte
percentuale anche nelle aree metropolitane. La maggior parte dei casi
(40%) si e' verificata nei mesi di luglio, agosto, settembre, mentre
il contagio e' aumentato per contatto diretto con animali infetti
(49%) o con acque superficiali contaminate (47%). Tra gli animali
trasmettitori c'e' il cane (33%), roditori (28%), bovini (11%),
cavalli (2,5%). Nelle aree agricole il contagio e' invece diminuito
per la meccanizzazione, ma rimane ancora un grosso pericolo per le
nazioni piu' povere. Secondo l'Oms la vaccinazione animale
rappresenta un'efficace misura preventiva per le popolazioni a
rischio. La Tubercolosi e' ancora la principale causa di mortalita'
umana in tutti i Paesi in via di sviluppo. L'agente causale
principale e' Micobacterio tubercolosis, ma sono in aumento M. bovis,
diffuso in molte specie animali in Africa con epidemiologia non
ancora perfettamente conosciuta. Dei 56 Paesi africani, 44 denunciano
casi di Tubercolosi bovina e solo 30 adottano limitate misure
profilattiche, tenendo presente che il 90% dei bovini africani non
viene mai controllato. Studi recenti hanno evidenziato che il 45% dei
pazienti umani tubercolotici, in Africa, sono anche Hiv positivi. Nel
1993 si sono verificati 8 casi di rabbia umana, tutti mortali e tutti
nelle ex Repubbliche sovietiche. In Europa oltre 100.000 persone
all'anno richiedono la vaccinazione a seguito di contatto a rischio
con animali sospetti. Nel mondo sono vaccinati 6,5 milioni di persone
di cui 5 milioni in Cina, 500.000 in India e 200.000 in Africa.
L'unita' veterinaria dell'Oms ha divulgato una campagna di
vaccinazione orale delle volpi con esche, iniziata nel 1995 con
interessamento di tutti i Paesi dell'Europa Centrale su un'area di
300.000 Kmq. Seguira' lo stesso tipo di vaccinazione per cani randagi
e selvatici. Le autorita' sanitarie mondiali hanno anche segnalato un
aumento di malattie trasmesse da artropodi (pulci, zanzare, zecche),
non solo in aree tropicali ma anche nel bacino del Mediterraneo. I
Paesi piu' a rischio sono Turchia, 8700 casi in un anno, Marocco, 839
casi, seguono Algeria, Siria ed Egitto. La Leishmaniosi viscerale
(Kala-Azar), zoonosi di cui il cane e' serbatoio, puo' interessare
con diversa intensita' tutti i Paesi mediterranei; endemica in
Tunisia, Marocco e altri Paesi nordafricani, ma anche in altri 60
Paesi di tutti i Continenti. Negli ultimi 5 anni ha causato 40.000
morti con episodi di epidemie in Sudan a seguito di cause ambientali
e sociali. Ogni anno sono stimati 600.000 nuovi casi ma con
previsioni future molto piu' gravi. La difficolta' di avere cifre
precise e' dovuta alle forme sub-cliniche, casi non diagnosticati e
non denunciati, ma soprattutto dal fatto che e' soggetta a notifica
solo in una trentina di nazioni. Nella malattia di Lyme la zecca
Ixodes ricinus sembra essere il principale ed unico vettore in
Europa. Colpisce in Grecia, Spagna, Francia, Italia e Turchia;
habitat potenzialmente pericolosi sono boscaglie, savane, zone
fittamente erbose. In Usa la malattia e' diventata denunciabile in 49
Stati dell'Unione. Marco Buri
ODATA 30/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. MOSTRA A BAGNOLI
Energia, ambiente e problema rifiuti
OAUTORE FERRANTE ANNALINA
OARGOMENTI energia, mostre
ONOMI DEL BUFALO SUSANNA
OORGANIZZAZIONI ENEA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, NAPOLI (NA)
OSUBJECTS energy, exhibition
CHE cosa fare concretamente per un uso razionale dell'energia e
contribuire alla salvaguardia del mondo in cui viviamo? La risposta a
questa domanda e' nei 24 pannelli, alcuni dei quali interattivi,
della Mostra «Energia per l'Ambiente», realizzata dall'Enea
all'interno della Citta' della Scienza, primo centro italiano
interamente dedicato allo sviluppo della cultura scientifica e
tecnologica, di proprieta' della Fondazione Idis, sorta nell'area del
complesso industriale di Bagnoli, a Napoli. «Ogni attivita' dell'uomo
- spiega Susanna Del Bufalo, del Dipartimento Energia dell'Enea e
curatrice della mostra - consuma energia e questa energia troppo
spesso viene spesa male o puo' essere prodotta in modo offensivo per
l'ambiente. L'obiettivo e' quello di indurre ad un cambiamento nei
consumi energetici e di stimolare una maggiore attenzione agli
effetti inquinanti di un uso indiscriminato delle fonti energetiche».
Se consideriamo il consumo mondiale di energia, continua la Del
Bufalo, vediamo che «cresce continuamente in corrispondenza del
miglioramento del livello di vita e tutti i prodotti e i servizi che
usiamo hanno bisogno di energia per essere fabbricati e per
funzionare». Solo per fare un esempio Usa e Canada che insieme hanno
poco meno del 6% della popolazione mondiale, utilizzano circa il 28%
dell'energia consumata nel mondo. Inoltre il 90% dell'energia
consumata nel mondo proviene da fonti non rinnovabili come gas e
petrolio che bruciando emettono anidride carbonica, il gas che e' il
maggior responsabile dell'effetto serra. Solo nel 1990 sono stati
consumati 8,8 miliardi di tep (unita' di misura che indica il calore
sviluppato bruciando una tonnellata di petrolio) e si stima che nel
2000 il consumo sara' di 10 miliardi di tep l'anno. In particolare
l'Italia, nel 1994, ha consumato energia equivalente a ben 166
milioni di tonnellate di petrolio, quasi tre tonnellate per ogni
italiano. L'industria ne ha utilizzato il 31%, i trasporti un altro
33% e il restante 36% e' stato impiegato nei consumi civili, cioe'
riscaldamento degli edifici, elettrodomestici, computer e via
dicendo. Un altro elemento che produce effetti nefasti per l'ambiente
e' la produzione di rifiuti, in continuo e costante aumento: in
Europa circa un chilo a testa al giorno. In Italia ben 17,3 milioni
di tonnellate di rifiuti domestici l'anno. Se a tutto questo
aggiungiamo che la popolazione mondiale, tra il 1950 e il 1990, e'
praticamente raddoppiata e che per il 2025 si prevedono 8,5 miliardi
di abitanti sul nostro pianeta, si puo' comprendere come questi
fattori rappresentino una miscela esplosiva per l'ambiente e la
qualita' della vita provocando, tra i molti effetti nocivi,
inquinamento delle acque, delle citta', e un peggioramento dei gia'
gravi fenomeni delle piogge acide, del buco dell'ozono e dell'effetto
serra. Oltre ad affrontare complessi temi di carattere generale
«Energia per l'ambiente», attraverso un percorso multimediale
semplice e divertente, consente non solo di approfondire le
conoscenze sull'energia, ma fornisce una serie di indicazioni
pratiche su come adottare sistemi di vita che rispettino la natura.
Soluzioni, quindi, per una gestione corretta dell'impianto di
riscaldamento, dell'illuminazione e dell'uso degli elettrodomestici
oltre a quelle relative ad un utilizzo intelligente dei trasporti e
dei rifiuti. La mostra rimarra' aperta fino alla fine dell'anno.
Annalina Ferrante
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
INSUFFICIENTE RACCOLTA DIFFERENZIATA
Nella spazzatura ogni anno 10 mila tonnellate di pile
Al consumo normale si sono aggiunte anche le batterie esauste di 4
milioni di telefonini
OAUTORE PAVAN DAVIDE
OARGOMENTI ecologia, rifiuti, riciclaggio
OORGANIZZAZIONI TELECOM ITALIA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology, waste, laundering
ODIATI al cinema e a teatro, banditi dagli aerei, i telefonini sono
ora accusati anche di arricchire ogni anno di oltre 4 milioni di
pezzi il quantitativo di pile scariche da smaltire. Tanti sono
infatti i cellulari - secondo Telecom Italia mobile (Tim) -
attualmente in Italia, ed ognuno di essi e' dotato di una batteria
con durata media di un anno. Le pile dei telefonini (e non solo),
vengono raccolte dalle aziende municipalizzate di igiene urbana
insieme con le altre pile in specifici contenitori: ma la raccolta
differenziata non ha avuto finora particolare successo, nonostante la
legge le consideri «rifiuti urbani pericolosi» e imponga ai Comuni il
loro recupero. A fronte di un quantitativo annuo di circa 400 milioni
di pezzi venduti (pari a 15.000 tonnellate, dati Federambiente), la
raccolta si effettua solo in alcune regioni e non supera il 30%,
attestandosi in media su valori ben inferiori. Fortunatamente
l'innovazione tecnologica che ha interessato negli ultimi anni le
pile di maggior diffusione ha ridotto i rischi ambientali legati al
contenuto in metalli pesanti (mercurio e cadmio principalmente). E'
possibile distinguere le pile sul mercato in due tipi: quelle per uso
di massa (90% del totale) e quelle per uso specialistico (10%). Negli
impieghi di massa (registratori, telefonini, ecc.) trovano
applicazione le cosiddette «pile comuni» (zinco/carbone, manganese
alcaline), mentre negli impieghi specialistici si usano pile
miniaturizzate (zinco/ossido di mercurio, zinco/aria, zinco/ossido di
argento, alcaline, litio). Indipendentemente dal tipo di consumo,
tutte le pile, ad eccezione di quelle al litio, utilizzano lo zinco
come elettrodo negativo. Questo impiego e' dovuto a caratteristiche
quali la leggerezza, l'elevata elettropositivita' e il basso peso
equivalente; ma per impedire fenomeni di corrosione fino a poco tempo
fa si usava aggiungere un'amalgamazione superficiale con mercurio,
mentre per aumentare la resistenza meccanica dello zinco venivano
utilizzate piccole quantita' di cadmio. Oggi il quadro si presenta
significativamente mutato sotto la spinta di due fattori:
l'evoluzione del mercato e il problema ambientale. Da un lato la
varieta' delle applicazioni ha favorito la penetrazione di sistemi
piu' evoluti a scapito delle tradizionali pile zinco/carbone.
Dall'altro le preoccupazioni ambientali hanno stimolato la ricerca di
soluzioni tecniche che riducessero il contenuto in cadmio e mercurio.
Una direttiva della Comunita' europea entrata in vigore nel 1993 ha
stabilito il divieto di mettere in commercio pile alcaline contenenti
piu' dello 0,025% in peso di mercurio. Tale obiettivo e' stato in
realta' raggiunto dai produttori fin dal 1990, modificando la
struttura metallurgica dello zinco ed ottenendo un modello totalmente
privo di mercurio (mercury free). Si pensi che solo 10 anni fa le
pile alcaline per uso di massa contenevano mediamente l'1% di
mercurio. Lo sviluppo tecnologico ha portato anche alla messa a punto
di un modello zinco/cloruro che rappresenta oggi l'evoluzione piu'
moderna della pila zinco/carbone. Tale modello adotta un elettrolita
acquoso a base di cloruro di zinco che opera ad un livello di
acidita' inferiore, migliorando le prestazioni e consentendo
l'eliminazione totale di cadmio e mercurio. Nel settore degli
impieghi specialistici la rivoluzione tecnologica e' rappresentata
dalle pile al litio. Per le sue caratteristiche (bassissimo peso
equivalente, elevata elettropositivita', non tossicita') il litio ha
attratto da oltre vent'anni l'attenzione degli elettrochimici, ma i
risultati pratici hanno tardato poiche' non si trovava un sistema per
aggirare la sua caratteristica di instabilita' all'acqua che ne
impediva l'impiego con i normali elettroliti acquosi. Oggi sono in
commercio diversi tipi di pile al litio che stanno gradualmente
soppiantando le pile zinco/aria e zinco/ossido di argento. Un
problema a parte e' infine rappresentato dalle pile zinco/ossido di
mercurio, in cui il mercurio e' un elemento attivo contenuto in
quantita' elevata (circa il 30%). La sostituzione di queste pile e'
ostacolata dalla vita residua delle apparecchiature progettate in
origine per tale alimentazione. In questo caso il rimedio provvisorio
e' il trattamento delle pile scariche in centri specializzati per il
recupero del mercurio e l'inertizzazione delle scorie in conglomerato
cementizio. Davide Pavan
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
INTERESSA 36 STATI INSULARI
La pesca ai tropici: programma della Fao
Dai Caraibi alla Polinesia, come aumentare la produttivita'
OAUTORE STEINMAN FRANCESCA
OARGOMENTI ecologia, mare, zoologia
OORGANIZZAZIONI FAO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology, sea, zoology
TRENTASEI Stati insulari potranno ottimizzare le risorse della pesca
e svilupparne il settore, migliorando al tempo stesso la sicurezza
alimentare delle popolazioni grazie ad un programma della Fao che
fornira' l'assistenza tecnica e reperira' i fondi necessari. Si
partira' dalla gestione delle risorse per passare alle capacita' di
trasformazione ed arrivare alle reti di distribuzione ed ai mercati,
occupandosi anche della preparazione dei quadri istituzionali. Un
futuro piu' vicino alla terraferma per i 28 milioni e mezzo di
abitanti che popolano queste isole, regni incontaminati per vacanze
di sogno per molti, ma non per gli isolani che sono spesso soli a
combattere contro gli elementi ed una natura piu' o meno avara in
risorse agricole. Separate dai continenti dall'Oceano Pacifico o dal
Mar della Cina, dall'Oceano Atlantico o dal Mar dei Caraibi,
dall'Oceano Indiano o dal Mar Mediterraneo e situate tra i 20 gradi a
Nord e a Sud dell'Equatore, queste isole hanno tuttavia qualcosa in
comune: le diversita' geografiche ed economiche che le distinguno
trovano nel mare che le circonda un comune denominatore unico: la
pesca. Che si tratti degli atolli delle Maldive o delle Isole
Marshall - piccoli lembi di terre basse densamente popolate, dal
suolo avaro di risorse agricole - o delle piu' grandi come Papua
Nuova Guinea o Cuba - ricche di altipiani, di terre da coltivare e
bassa densita' demografica - qui le risorse della pesca oltre che a
dare cibo e lavoro possono essere sfruttate meglio e diventare
un'importante fonte di reddito. «Dal punto di vista economico, queste
isole sono svantaggiate», dice David Doulman, l'esperto della Fao
alla guida del Programma speciale per lo sviluppo dei piccoli Stati
insulari. «Secondo le Nazioni Unite, dieci isole su 47 sono tra i
Paesi meno avanzati ed il fatto che il loro consumo individuale di
pesce sia uno dei piu' alti al mondo, una media di 50 kg a testa
l'anno non e' che causa di forza maggiore». I consumi possono anche
raggiungere i 133 kg a testa, dicono alla Fao, ma generalmente si
aggirano tra i 9 kg dei Paesi di via di sviluppo ed i 27 di quelli
piu' avanzati. Quel che conta, pero', e' che il pesce e' la fonte
maggiore di proteine animali nella dieta degli isolani, tanto da
coprire il 95 per cento del fabbisogno totale. Gli isolani sanno bene
quanto sia importante proteggere le acque che li circondano. La
salvaguardia delle coste, cui gli elementi naturali non danno tregua,
e' sinonimo di sicurezza alimentare per le popolazioni e di
solvibilita' per i governi. Quanto al futuro, il direttore delle
risorse della pesca alla Fao, Serge Garcia, e' ottimista. «Per queste
isole e' importante sfruttare le poche opportunita' di sviluppo
industriale di cui possono avvantaggiarsi ed il settore della pesca
e' quello che promette maggiori possibilita' di successo. Certo, per
confermarsi nel ruolo di ''locomotiva nazionale dell'economia'', il
settore dovra' sviluppare altri comparti essenziali e rafforzare
tutte quelle infrastrutture che unite agli investimenti ed agli
incentivi economici consentiranno di ottimizzare tutte le risorse.
«Vi sono tutte le possibilita' di migliorare i proventi derivati
dalla pesca», aggiunge Garcia, precisando che attualmente si aggirano
su una media del 50 per cento del prodotto interno. Licenze di pesca,
turismo, esportazione di prodotti ittici possono rendere di piu' e
meglio. Il programma quinquennale proposto dalla Fao si concentra su
sei settori, a partire dall'addestramento delle maestranze che
dovranno far rispettare le regole. In primo luogo quelle che
riguardano le direttive universali del Codice di condotta per la
pesca responsabile, approvato alla Conferenza della Fao nel 1995. Una
volta salvaguardati i vari aspetti della protezione e della gestione
delle risorse ittiche, si potra' passare ai livelli successivi,
spostando le attivita' di pesca verso il mare aperto nelle zone
economiche esclusive e quindi alleviare il carico di pesca lungo le
coste; proteggere l'ambiente e migliorare lo sfruttamento delle
specie; migliore le tecniche di conservazione, la distribuzione e le
reti di vendita, spesso colpevoli di dividere irrimediabilmente le
piccole comunita' di pescatori dai mercati dei piu' grandi centri
urbani. Il programma non tralascia il problema della sicurezza dei
pescatori e delle imbarcazioni. Il costo in vite umane e' troppo alto
e spesso rischia di crescere quando anche i soccorritori soccombono
nel tentativo di portare aiuto. L'introduzione di regole e norme
servirebbe a salvare molte vite ed a ridurre spese di denaro pubblico
che potrebbe essere investito nel settore industriale della pesca -
inclusa l'acquacoltura - per renderlo piu' competitivo e piu'
preparato alle richieste dei mercati internazionali. Forse, quando i
progetti prenderanno il via, ciascun pescatore delle 36 isole potra'
cominciare a guardare al futuro della proprio isola come al futuro
del suo regno. Francesca Steinman
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
CAMPAGNA MONDIALE DEL WWF
Terra: allarme rosso
Ambiente, andiamo sempre peggio
OAUTORE GIULIANO WALTER
OARGOMENTI ecologia, inquinamento, statistiche
OORGANIZZAZIONI WWF
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology, pollution, statistical data
IL Wwf Internazionale ha lanciato la campagna mondiale «Wwf 2000 -
The Living Planet». Ancora una proposta, da parte del mondo
ambientalista, nel momento in cui la World Conservation Union di
Washington pubblica la lista rossa degli animali in pericolo di
estinzione in cui figurano ben 911 specie. A correre i pericoli
maggiori sono i mammiferi di cui e' minacciato ormai il 25%, contro
il 18% del 1994. La ricerca ha messo in luce che 169 specie sono
fortemente minacciate (4%) 315 minacciate (7%) e 612 vulnerabili
(14%). Per gli uccelli la Lista indica nell'11% le specie a rischio,
mentre i dati per rettili, pesci, invertebrati, sono incerti. La
stessa fonte sta per pubblicare la Lista rossa delle piante a rischio
di estinzione da cui emerge che sono 33.730 le specie vegetali
superiori a rischio, pari al 13% di quelle conosciute. Intanto
dall'Universita' di California rimbalza in tutto il mondo la ricerca
pubblicata su «Nature» da Camille Parmesan che avrebbe individuato la
prima specie che sta scomparendo da alcuni dei suoi habitat
caratteristici a causa dell'effetto serra. Si tratta della farfalla
di Edith (Euphydryas Editha) la cui popolazione, particolarmente
sensibile alle variazioni climatiche, e' scomparsa per tre quarti
dalle latitudini piu' basse dove si e' registrato un aumento della
temperatura. Il riscaldamento del pianeta annuncia i suoi effetti
nefasti anche nella vicina Svizzera. La Scuola Politecnica di Zurigo
che tiene sotto costante osservazione l'Eiger, teme il distacco di
grandi masse glaciali dai due grandiosi ghiacciai dell'Eiger e
dell'Allalin. Gli stessi ricercatori fanno previsioni catastrofiche
nel caso in cui, senza inversioni di tendenza, la temperatura sulle
Alpi aumenti dai 2 a 4 gradi entro i primi quindici anni del nuovo
millennio. Che il futuro non sia roseo a causa della cattiva gestione
dell'ambiente planetario e' ormai cosa nota. Cio' nonostante le
misure da attuare per arrestare questa corsa folle verso conseguenze
drammatiche per la vita, sembrano essere ignorate. Piu' di una
strategia messa a punto per il riequilibrio tra sviluppo e
sostenibilita', lascia labile traccia negli atti concreti e va a
rimpinguare una letteratura che rischia di diventare una biblioteca
della stoltezza dell'umanita'. Nonostante queste premesse poco
incoraggianti il Wwf ci riprova e rilancia il concetto di
sostenibilita', vale a dire la necessita' ormai inderogabile di
calibrare i comportamenti e i consumi umani alla capacita' di carico
del pianeta. Per calcolare questo delicato rapporto tra uomo e
ambiente sono stati messi a punto nuovi parametri, l'impronta
ecologica e il Ribes (sigla inglese che in italiano sta per nuovo
indice di benessere economico). L'impronta ecologica misura la
superficie di ecosistemi produttivi (terre coltivabili, foreste,
mare) necessaria a soddisfare i consumi della societa' e ad
assorbirne i rifiuti. Il concetto, messo a punto da Mathis
Wackernagel e William E. Rees dell'Universita' della Columbia
Britannica, e' il contrario di quello della capacita' di carico,
cioe' la massima popolazione di una specie che puo' essere sopportata
da un habitat. Qui viene calcolata invece la quantita' di territorio
per persona. Su dimensione planetaria oggi consumiamo il 30% in piu'
del territorio disponibile. Una situazione che puo' esistere solo in
presenza di uno squilibrio territoriale tra Nord e Sud del Mondo. Di
questo 130% calcolato con l'impronta ecologica il 100% viene infatti
sfruttato dalla parte ricca del pianeta, circa un quinto della
popolazione, a scapito dell'80% della popolazione della Terra che
deve accontentarsi del rimanente 30% di risorse territoriali. Cosa
accadra' quando un indiano che oggi e' costretto ad accontentarsi di
0,40 ettari pretendera' la sua giusta quota? O quando 200 milioni di
cinesi cercheranno di allinearsi agli standard americani? Domande
inquietanti che dimostrano come il nostro modello di sviluppo non
possa continuare a reggersi sul sottosviluppo di una parte del
pianeta. Per ridurre l'impronta ecologica sono necessari interventi
su diversi fattori a cominciare dai consumi energetici ai trasporti
su cui ogni cittadino puo' intervenire con scelte coerenti e
opportune. Basti segnalare, ad esempio, che i prodotti agricoli fuori
stagione comportano per la coltivazione in ambiente protetto, consumi
energetici e di fertilizzanti da 10 a 20 volte maggiori di una
coltura tradizionale. Nel nuovo scenario che si prepara per il secolo
alle porte occorrera' rivedere profondamente i modelli che oggi
segnano l'inarrestabile consumo delle risorse del pianeta e l'aumento
della popolazione mondiale. Anche il Pil, il Prodotto interno lordo,
parametro di riferimento principale per l'economia mostra segnali di
inefficienza e inadeguatezza. Non solo non e' piu' una misura del
benessere, ma non da' alcuna informazione sulla sostenibilita'
dell'economia, vale a dire sulla sua incidenza nel lungo periodo
sulle risorse naturali non rinnovabili che pure la alimentano. Per
questo ancora il Wwf, insieme alla Fondazione Mattei dell'Eni,
propone un nuovo indice del benessere economico, il Ribes, che tiene
conto dei fattori ambientali e sociali. E che diverge rispetto al
Pil, che continua a crescere pur in assenza di un aumento del
benessere degli italiani. Cade dunque il luogo comune che vorrebbe
associare il benessere ai maggiori consumi. La sfida per il nuovo
millennio diventa quella di produrre e consumare in maniera diversa,
rallentando i ritmi, diminuendo l'uso delle risorse naturali, per
scoprire che meno e' meglio. E che la qualita' della vita non passa
necessariamente attraverso la maggior circolazione di denaro. Il Wwf
avverte che questa non e' una possibilita', una scelta di vita, ma
una necessita'. A supportare queste indicazioni viene la ricerca
dell'Istituto Wuppertal sull'Europa sostenibile che impiegando
l'analogo parametro dello «spazio ambientale» vale a dire del
quantitativo di risorse naturali che puo' essere usato in modo
sostenibile senza recare danni irreversibili agli ecosistemi e senza
compromettere il diritto a fruirne delle generazioni future, ha
raggiunto analoghe conclusioni. Applicato all'Italia, il programma di
sostenibilita', elaborato da Enea e Amici della terra segnala la
necessita' di ridurre entro il 2010 di circa 118 milioni di
tonnellate/anno le emissioni di anidride carbonica (diminuendo del
26% l'uso dei combustibili fossili e aumentando del 190% quello delle
fonti rinnovabili); diminuire di 10 volte il consumo di cemento e
alluminio e di 6 volte quello della ghisa; ridurre del 25% il consumo
dell'acqua e drasticamente quello del cloro. Walter Giuliano
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZA DELLA VITA. LA FORESTA DELLA COSTA RICA
Il tesoro del Rio Sierpe
Rare biodiversita' nel parco del Corcovado
OAUTORE SCAGLIOLA DAVIDE
OARGOMENTI ecologia, mare
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, COSTA RICA
OSUBJECTS ecology, sea
NEL cuore della penisola di Osa, sulle rive del quieto Golfo Dulce
sul Pacifico, estremo lembo di Costa Rica, si fatica non poco a
proteggere un'area considerata unica per la sua biodiversita'. Il
Parco Nazionale del Corcovado e i suoi immediati dintorni (l'isola
del Cano per esempio o la zona del Rio Sierpe), sono stati
classificati infatti tra le regioni piu' importanti dal punto di
vista naturalistico dell'intero pianeta. Ma l'intera area e'
minacciata dal taglio selvaggio della foresta pluviale, dalla
costruzione di impianti per la lavorazione industriale del legname,
dalla febbre dell'oro (anni fa i fiumi Tigre e Claro erano diventati
un piccolo Yukon), dalla difficile accessibilita' e dalla mancanza di
fondi per studiare e classificare piante, insetti e i molti animali
in via di estinzione quali l'ocelot, il puma, il giaguaro, il tapiro
o il mitico uccello quetzal. L'intera regione (oltre 40 mila ettari
di parco protetto, istituiti nel 1975 dall'allora presidente Oduber)
sta diventando una nuova Amazzonia, con interessi economici da
difendere e battaglie ambientaliste difficili da vincere. E in tutta
la Costa Rica vive ben il 4 per cento della biodiversita' del mondo:
505 mila specie di esseri viventi, 13 mila piante, 75 mila organismi
acquatici, mille e 500 vertebrati e 300 mila insetti su un territorio
grande come il Piemonte e la Lombardia messi insieme. E' stato
ripetuto migliaia di volte (anche nell'ultimo vertice mondiale sullo
stato del mondo presieduto da Clinton), il patrimonio genetico
dell'intera natura si trova all'interno della foresta pluviale. Anche
se ricopre solo il 6 per cento della superficie emersa, la Rain
Forest contiene almeno il 50 per cento di tutte le specie viventi
della Terra. Dei 2 milioni di animali e piante classificati si
suppone che la foresta pluviale, che si sviluppa nella fascia
equatoriale terrestre in presenza di precipitazioni superiori ai 2
metri di pioggia annuali, possa nascondere almeno 30 milioni di
specie non ancora classificate. Continuare a tagliare alberi o a
catturare animali tropicali indiscriminatamente e' come bruciare ogni
volta la biblioteca di Alessandria d'Egitto. Piu' di mille specie
arboree si dice abbiano anche proprieta' anticancerogene (sulle
ventimila censite dall'Oms come erbe officinali), mentre un prodotto
su quattro, comperato in farmacia, deriva da composti che provengono
da zone di foresta equatoriale. Ma in realta' solo l'1 per cento
delle piante esistenti sono state studiate sotto l'aspetto curativo.
E'un lavoro lungo e costoso. Per non contare l'incalcolabile apporto
di ossigeno prodotto da migliaia di ettari verdi che potrebbero
cadere gia' domani bruciati o tagliati solo per far posto a una
autostrada o a un'industria bananifera. Ma nonostante tutto, sono
pochissimi quelli che cercano soluzioni e compromessi per evitarne la
distruzione. Una piccola associazione guidata da un italiano, Giulio
Ranalli, battezzata Arborea, insieme ad altre cooperative di
volontari locali, sta cercando invece di fare qualcosa di utile nella
zona del Golfo Dulce in Centro America. Da qualche anno infatti,
Arborea, che ha come base il Mapache Lodge di Sierpe, coopera con i
ranger del parco del Corcovado, le associazioni internazionali e i
volontari provenienti da tutto il mondo, per acquistare ettari di
foresta da proteggere e studiare. Tutti insieme combattono con
multinazionali ingorde e conflitti d'interessi molto piu' grandi di
loro, aiutati solo da sovvenzioni private, contributi saltuari e
lavoro volontario. Spesso e' una vera e propria guerra con morti,
feriti (ricordate Chico Mendes in Brasile?), stazioni distrutte e
mesi di lavoro perduti. Ma gli scopi di Arborea sono solo quelli di
preservare porzioni di bosco primario, acquistando e ricostituendo
l'equilibrio primordiale su aree coltivate o destinate a progetti
industriali. Il censimento di piante e animali, la riforestazione, la
costituzione di nursery di semi preziosi per l'equilibrio naturale
troppo spesso compromesso o la piantumazione di alberi che servono a
nutrire animali, sono alcuni obiettivi che non intaccano in modo
serio l'economia locale ne' riducono sul lastrico compagnie
multimiliardarie. Danno solo fastidio a poche realta' industriali che
non investono un centesimo in impianti a scarso impatto ambientale o
in progetti di riorganizzazione del lavoro rurale compatibili con la
salvaguardia della natura. Cosi' troppo spesso i risultati sono
difficili da ottenere e gli aiuti scarseggiano. Chiunque fosse
interessato a collaborare quindi sara' ben accetto. I programmi di
lavoro volontario sia all'interno del Parco del Corcovado (compiti di
mantenimento ambientale, classificazione e apprendimento con i
ranger), sia negli immediati dintorni in cooperazione con Arborea e
le altre associazioni locali, prevedono periodi settimanali o mensili
durante i quali lavorare e conoscere a fondo la foresta pluviale,
divertendosi e facendo vacanze diverse dal solito. Per contribuire
alla crescita del patrimonio verde della fondazione si versano 30
dollari al giorno per il vitto e l'alloggio durante il periodo di
volontariato. Una donazione di 100 dollari al Parco del Corcovado e'
invece dovuta in caso di lavoro a stretto contatto con i ranger (in
qual caso il vitto e l'alloggio, previsti nelle stazioni del parco,
sono a costo zero). Si impara ad osservare e aiutare la natura, e non
e' necessario avere precedenti esperienze. Si puo' anche diventare
membri dell'associazione Arborea con una donazione di 15 dollari e
adottare ettari di foresta da preservare. Per informazioni: sito
internet http://www.greenarow.com/travel/arbor.htm. E-mail:
mapachegreearrow.com. In Italia per prenotazioni e informazioni si
puo' contattare il Tucano Viaggi, 011/5617061. L'Istituto nazionale
per la biodiversita' ha anche un sito internet pieno di informazioni
sulla natura della Costa Rica. L'indirizzo e' http://www.inbio.ac.cr.
Davide Scagliola
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZA DELLA VITA. ULTRAVIOLETTI
Meglio stare all'ombra
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
A causa della riduzione dell'ozono stratosferico, il famoso «buco»,
si considerano con sempre maggiore preoccupazione gli effetti nocivi
derivanti dall'esposizione ai raggi ultravioletti (UV). Si puo'
essere esposti a sorgenti di UV naturali o artificiali; ma per la
maggior parte di noi la sorgente principale e' il sole. I problemi
per la salute sono studiati da appositi centri di ricerca. Tre sono i
bersagli essenziali degli UV. Il primo e' la cute: le lesioni cutanee
principali sono i tumori, comprendenti i ben noti melanomi, tumori
maligni derivanti dalle cellule melanocitiche, e altri tipi non
melanocitari. Ogni anno oltre 2 milioni di tumori della pelle vengono
registrati nel mondo; l'incidenza dei melanomi e' in continuo
aumento, strettamente correlata con la frequenza dell'esposizione al
sole la quale provoca un aumento dei melanociti. Vi e' ragione di
pensare che il rischio del melanoma sia legato ad esposizioni
intermittenti agli UV, specialmente nell'eta' infantile. Una
conseguenza dell'eccessiva esposizione ai raggi solari e' anche il
precoce invecchiamento cutaneo. Altro bersaglio degli UV e' l'occhio.
A parte le cheratiti (lesioni della cornea) e le congiuntiviti,
generalmente reversibili e facilmente evitabili portando occhiali
scuri, bisogna citare lo pterigio (invasione della cornea da parte
della congiuntiva), i tumori della congiuntiva, e soprattutto la
cataratta, ossia l'opacita' del cristallino. Si calcola che un quinto
dei casi di cataratta (16 milioni di persone nel mondo sono cieche
per la cataratta) sia dovuto all'esposizione agli UV. L'intensita'
dell'esposizione dipende da molti fattori quali il riflesso delle
radiazioni dal suolo e dall'acqua e il grado di luminosita' del
cielo; la localizzazione delle lesioni dipende a sua volta dalla
lunghezza d'onda delle radiazioni incidenti. Proteggendosi
dall'esposizione eccessiva agli UV si potrebbe evitare o ritardare
addirittura il 20 per cento degli interventi di cataratta. Terzo
bersaglio, infine, il sistema immunitario. Sappiamo che questo
sistema e' vulnerabile da fattori ambientali fra i quali gli UV.
Alcuni studi dimostrano che l'esposizione agli UV provoca una
depressione dell'immunita' negli animali da laboratorio, con un
aumento di sensibilita' a certe infezioni, anche generalizzate. Alla
base di questo effetto immunosoppressivo vi e' un'azione degli UV
sull'attivita' e sulla distribuzione delle cellule responsabili della
risposta immune, azione che avverrebbe anche nell'uomo. E' dunque
ragionevole pensare che l'esposizione agli UV possa accrescere
nell'uomo il rischio di infezioni e ridurre l'efficacia dei vaccini.
Altre ricerche sono tuttavia necessarie per confermare queste
ipotesi. Per proteggere dagli UV, a parte le consuete precauzioni
riguardanti l'intensita' e la durata dell'esposizione al sole, sono
raccomandabili i filtri solari ad ampio spettro, uno dei metodi piu'
utilizzati. Non tutti i filtri, pero', assorbono efficacemente gli UV
di maggiore lunghezza d'onda, e si e' visto che alcuni contengono
sostanze mutagene sotto l'azione dei raggi solari. Occorre dunque
utilizzare filtri che offrano un elevato fattore di protezione, e
ricordarsi che essi sono destinati a proteggere dal sole e non a
favorire l'abbronzatura. Da qualche anno agisce un progetto
internazionale, In tersun, avente lo scopo di prevenire i danni da
esposizione agli UV, e per conseguenza di ridurre le spese per la
salute, punto importante dato che l'intensita' delle radiazioni UV
sulla superficie terrestre aumentera' nel corso dei prossimi decenni.
Sono in atto due grandi ricerche epidemiologiche, una circa
l'influenza dell'esposizione agli UV sull'efficacia dei vaccini
anti-morbillo e anti- rosolia nei bambini, l'altra sull'efficacia del
vaccino anti- epatite B nei viaggiatori che dalla zona temperata
vanno verso la zona tropicale. Ulrico di Aichelburg
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IL MONDO DELLE CONCHIGLIE
Ostriche e tridacne
Le collezionavano gia' greci ed egizi
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia, mare
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology, sea
E' tempo di bagni. I bambini si divertono a raccogliere conchiglie
sulla spiaggia. Ed e' giunto il momento di parlare di queste
meravigliose architetture naturali. La materia prima fondamentale e'
sempre la stessa: il carbonato di calcio disciolto nell'acqua del
mare. Nel segreto del suo laboratorio chimico, il mollusco marino lo
elabora e poi lo secerne dalle ghiandole epidermiche del mantello (la
duplicatura cutanea dorsale) sotto forma cristallina. Sono
minutissimi cristalli di aragonite e di calcite ordinatamente
disposti a formare gli strati di quell'edificio stupendo che si
chiama conchiglia. La luce, con i suoi giochi di rifrazione crea
l'incanto della madreperla che la tappezza internamente. L'estro
degli architetti non ha limiti, ma nell'ambito di ciascuna specie
viene rispetttato lo schema del medesimo progetto che si trasmette
per via genetica, con lievi varianti individuali. Si e' arrivati
all'attuale strabiliante varieta' di forme attraverso centinaia di
milioni di anni di evoluzione. E oggi nei mari del globo pullula una
miriade di molluschi dalla conchiglia formata da un sol pezzo
(gasteropodi) e da due pezzi (bivalvi). Nei suoi primi stadi il
mollusco marino e' una piccolissima larva ciliata che nuota nel mare,
facile preda di innumerevoli predoni. Perche' la specie sopravviva,
l'adulto deve produrre un numero di uova spropositato. L'ostrica ne
fabbrica mezzo miliardo. Poi, durante lo sviluppo, compare l'abbozzo
della conchiglia. Puo' ridursi man mano fino a scomparire del tutto,
come avviene nei polpi o rimanere allo stato di rudimento - basti
pensare all'osso di seppia - oppure acquistare le piu' varie
strutture. L'hobby di collezionare conchiglie non e' una novita' dei
nostri giorni. La praticavano gli Assiri, i Fenici, gli Egiziani, i
Greci, i Romani. Le conchiglie di alcune specie di Cypraea furono
usate in passato come moneta di scambio in Africa e in Asia.
Servivano per comprare non solo mercanzie ma anche le mogli. Per
averne una giovane e bella bisognava sborsare fino a sessantamila
cipree. Se ci si accontentava di una piu' stagionata e bruttina, ne
bastavano ventimila. Le conchiglie di alcuni gasteropodi dei generi
Cassis e Strombus sono impiegate da tempo nella lavorazione dei
cammei, vanto dell'artigianato campano. Quelle dei Tritonium erano
usate un tempo come trombe di guerra. Mentre le gigantesche Tridacne,
larghe sino a un metro e mezzo e pesanti sino a tre quintali, sono
utilizzate ancora oggi come vasche ornamentali nei giardini o come
acquasantiere nelle chiese. Varie conchiglie di minor pregio servono
polverizzate come materiale calcareo per la fabbricazione della
porcellana. Senza parlare poi di tutta la schiera dei molluschi
commestibili, dalle ostriche ai mitili (le comuni cozze), dalle
lumache alle telline, dalle vongole ai cuori eduli. Fatta eccezione
di questi ultimi, l'interesse dell'uomo per i molluschi portatori di
conchiglia si ferma generalmente a quest'ultima. E' raro che la sua
curiosita' si spinga anche all'essere che da vivo era racchiuso in
quel nicchio calcareo. Eppure si tratta di organismi tutt'altro che
banali. Tanto per cominciare, nella maggior parte dei gasteropodi
all'asimmetria della conchiglia, ritorta a destra o come si dice
«destrorsa», ovvero ritorta a sinistra (sinistrorsa) corrisponde una
asimmetria degli organi interni. Caso piu' unico che raro, il sacco
dei visceri ha subito una torsione di l80 gradi, col risultato che il
tubo digerente e' ripiegato ad U e l'ano viene a trovarsi subito
dietro la testa. Ma forse ancor piu' bizzarra e' l'anatomia dei
bivalvi, chiamati non senza ragione «acefali». Manca infatti la testa
in questi singolari molluschi. Cio' non toglie che la loro vita
vegetativa e di relazione si svolga normalmente. E' il bordo del
mantello che ha sostituito la parte cefalica assente, assumendone le
funzioni. Ecco quindi tanti occhi, presenti se non in tutti per lo
meno in molti bivalvi. Ecco le cellule sensoriali e i tentacoli che
in gran numero si protendono nell'acqua partendo dal bordo del
mantello. Elegante soluzione evolutiva di un problema apparentemente
insolubile. Forse perche' si trovano comunemente conchiglie vuote
gettate sulla spiaggia dai marosi o perche' il nome di mollusco evoca
alla nostra mente l'immagine di un essere torpido e indolente, si
pensa sempre che non ci possa essere nulla di dinamico nella vita di
questi abitanti del mare. Effettivamente molti di loro hanno
abitudini sedentarie. Sono le specie, come le ostriche, fissate alle
rocce subacquee dai filamenti collosi del «bisso» che induriscono a
contatto con l'acqua. Ma non mancano i temperamenti vivaci. Basta
vedere le indiavolate esibizioni dei pettini che, sbattendo
violentemente le due valve della conchiglia, saltano come matti di
qua e di la'. O la fuga di uno strombo impaurito che dalla spiaggia
cerca di raggiungere il mare a tempo di record. Punta il piede a
terra come l'asta di un saltatore in alto e spicca un balzo dopo
l'altro finche' non si mette al sicuro nell'acqua. E non meno
sorprendente e' il lancio di arpioni micidiali da parte dei coni. Ne
esistono circa quattrocento specie dalla bella conchiglia variamente
disegnata e colorata. E tra di loro c'e' l'araba fenice della
famiglia, il famoso Conus gloria maris che raggiunge sul mercato
quotazioni favolose. Proprio fra i coni si trovano i tiratori scelti,
capaci di scagliare con matematica precisione a parecchi centimetri
di distanza arpioni velenosi che fulminano all'istante la preda e
possono provocare la morte di un uomo. Posseggono tutti un
sofisticato apparato offensivo, una sorta di faretra corredata da una
ventina di minuscole frecce e una proboscide estensibile che funziona
da cerbottana. Ma bisogna dire che solo un numero limitato di specie
riempie le frecce di un veleno micidiale come quello del serpente a
sonagli. Con tutto cio', i piccoli coni velenosi causano forse piu'
incidenti mortali dei grossi squali «mangiatori di uomini». Ma
questo, per nostra fortuna, succede solo nei mari tropicali. Da noi
vive una sola specie, il Cono mediterraneo, un'innocua bestiolina che
si accontenta di prede minuscole. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. DOPO 260 ANNI DALLA FORMULAZIONE
Dimostrato da Wiles il teorema di Fermat
Due anni per controllare i calcoli all'Universita' di Gottinga
OAUTORE PIRETTI FEDERICO
OARGOMENTI matematica, storia della scienza
ONOMI DE FERMAT ANDRE', WILES ANDREW
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS mathematics, history of science
SI racconta che, all'inizio del secolo, un ricco industriale tedesco,
Paul Wolfskehl, innamorato di una donna bellissima che lo aveva
respinto, avesse deciso di suicidarsi. Ma qualche giorno prima di
attuare il suo folle gesto, aveva inziato a leggere un libro di
matematica che parlava del grande teorema proposto, senza
dimostrazione, da Fermat nel Seicento e che nessun matematico era
ancora riuscito a dimostrare. Wolfskehl resto' catturato dal teorema
e pensando di aver trovato la via per dimostrarlo si butto' a
capofitto nello studio della teoria dei numeri, dimenticando la sua
bella e i suoi tragici propositi. Anche se non riusci' nella sua
impresa matematica, grato a Fermat e al teorema che gli aveva salvato
la vita, decise di istituire un premio destinato a chi fosse riuscito
a trovare la dimostrazione. Un premio consistente, pari a circa tre
miliardi di lire attuali. Secondo un'altra versione, meno romantica,
Wolfskhel, scapolo impenitente, all'eta' di 47 anni venne obbligato
dalla sua famiglia a sposare una donna che lo rese infelice e che
arrivo' ad odiare. Per vendicarsi di lei, decise di cambiare
testamento, lasciando le sue fortune all'uomo che fosse riuscito a
dimostrare il teorema di Fermat, doveroso omaggio alla teoria dei
numeri, unica sua consolazione nell'inferno domestico. Il premio
venne annunciato nel 1908 e solo in quell'anno vennero presentate ben
621 dimostrazioni, tutte sbagliate. Alcuni giorni fa, dopo
novant'anni, finalmente il premio e' stato ufficialmente consegnato
ad Andrew Wiles, il matematico inglese che nel 1995 e' riuscito nella
storica impresa della quale i lettori di TuttoScienze hanno gia'
avuto ampi ragguagli su queste pagine. L'Accademia delle Scienze di
Gottinga, responsabile del premio e del controllo delle
dimostrazioni, aveva chiesto due anni di tempo per verificare il
risultato raggiunto da Wiles e solo oggi ha sciolto ogni riserva
decretando la validita' della sua diostrazione. La svalutazione ha
ridotto il premio a trentamila marchi, ma «e' molto piu' importante
di un premio Nobel» - ha sottolineato Heinz Wagner, il presidente
dell'Accademia durante la cerimonia di premiazione - perche' i Nobel
vengono assegnati ogni anno, mentre per il Premio Wolfskehl si e'
dovuto attendere novant'anni». E finalmente Fermat puo' riposare in
pace. Quello che e' stato il tormento dei matematici per 260 anni,
dal momento in cui venne annunciato nel 1637, noto come l'ultimo
teorema di Fermat, finalmente e' risolto, anche se sono in molti a
dubitare che Fermat avesse realmente trovato la dimostrazione che
diceva di non poter scrivere sul margine troppo ristretto del libro
che stava leggendo, l'Ari thmetica di Diofanto, dove aveva annotato
soltanto l'enunciato. Un teorema molto semplice che chiunque puo'
capire. Lo ricordiamo brevemente e senza usare formule matematiche
(chi fosse interessato all'argomento legga il bel libro di Andre'
Weil Teoria dei numeri, pubblicato da Einaudi). Un numero quadrato,
come ad esempio 25, puo' essere spezzato nella somma di due quadrati,
9 piu' 16, nel nostro caso. Quello che Fermat affermo' e' che questa
divisione non e' possibile con i cubi o con qualsiasi altro numero di
potenza superiore al due, in nessun caso. Ad esempio, 27, il cubo di
3, non puo' essere diviso nella somma di due cubi o 625, la quarta
potenza di 5, non puo' essere diviso nella somma di due numeri che
siano entrambi quarte potenze. Wiles, che oggi ha 44 anni, si trovo'
di fronte a questo teorema quando aveva soltanto dieci anni, leggendo
un libro preso in prestito alla biblioteca: «Sembrava cosi' semplice
- ricorda - tuttavia i grandi matematici del passato non erano
riusciti a risolverlo. Era un problema che io, un ragazzo di 10 anni,
potevo perfettamente capire. Mi resi conto in quel momento che non lo
avrei piu' abbandonato. Dovevo risolverlo. E all'inizio lo affrontai
pensando che Fermat, ai suoi tempi, non doveva certo conoscere piu'
matemtica di quella che conoscevo io». Dopo molti tentativi solo nel
1986, quand'era gia' docente alla Princeton University, Wile capi' di
essere sulla strada giusta. Decise allora di abbandonare ogni lavoro
che non fosse collegato all'Ultimo Teorema. Per sette anni visse come
un recluso, senza far parola ad alcuno della sua ricerca. «Il teorema
di Fermat - ricorda ancora Wiles - era l'unico mio pensiero. Il primo
quando mi svegliavo al mattino, quello che avevo in mente per tutta
la giornata e l'ultimo al momento di andare a dormire». Unica
distrazione i rari momenti dedicati alla moglie e ai tre figli. «Ogni
volta che ricorda la sua avventura, quella che definisce l'ossessione
della sua vita - dice Simon Singh, autore di un libro di successo,
Fermat's Last Theorem, pubblicato di recente, ma non ancora tradotto
in italiano - la sua voce si affievolisce, diventa esitante, tradendo
l'emozione che ancora prova a parlare del problema». Alla fine,
convinto di aver trovato la soluzione, nel 1993, decise di renderla
pubblica. Televisioni e giornali lo presentarono come «il piu' grande
matematico del secolo», il genio che aveva vinto la grande sfida. Ma
la sua odissea matematica non era ancora finita. Quando pensava ormai
di potersi concedere un meritato riposo e di godersi il suo momento
di gloria, due mesi dopo l'annuncio, venne scoperto un errore nella
sua dimostrazione. «Un errore cosi' astratto che non posso
descriverlo in modo semplice. Anche se dovessi spiegarlo a un
matematico - dice Wiles - dovrei chiedergli di avere pazienza di
studiare per due o tre mesi la parte della mia dimostrazione in cui
compare l'errore». Possiamo immaginare lo stato d'animo di Wiles,
costretto ad ammettere pubblicamente l'errore. Superata la crisi e il
desiderio di abbandonare tutto, sempre convinto della correttezza dei
suoi ragionamenti, riprese il suo manoscritto, riusci' a correggere
l'errore e ripresento', dopo due anni, la sua dimostrazione che ora,
con il Premio Wolfskehl, riceve una conferma definitiva. Questa
dimostrazione pero' e' un capolavoro di matematica moderna e questo
porta naturalmente ad escludere che sia quella a cui poteva aver
pensato Fermat. Sono molti i matematici che intendono continuare la
ricerca per scoprire la prova che Fermat aveva in mente: la storia
dell'Ultimo Teorema non e' ancora finita. Federico Peiretti
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ANTARTIDE
Un tesoro di polvere cosmica
OAUTORE FURESI MARIO
OARGOMENTI astronomia, geografia e geofisica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy, geography and geophisics
NEL suo viaggio attraverso il cosmo, la Terra raccoglie considerevoli
quantita' di polvere cosmica dispersa nello spazio. Un fenomeno di
cui ovviamente non si accorge nessuno, salvo gli addetti ai lavori.
E' un materiale, questo, di notevole interesse astrofisico. In Italia
due nuclei di ricercatori sono all'avanguardia negli studi sulla
polvere cosmica: uno opera presso l'Osservatorio di Capodimonte, a
Napoli, e l'altro nell'Istituto Universitario Navale della stessa
citta'. Il primo nucleo, avendo constatato l'impossibilita' di
reperimento sulla Terra, ha progettato l'invio di una sonda per farne
raccolta nello spazio. La difficolta' di cogliere la polvere cosmica
caduta sulla Terra, e' dovuta alla contemporanea presenza
nell'atmosfera e sul suolo terrestri di un sempre maggior numero di
particelle inquinanti disseminate dall'uomo e aventi le stesse
microscopiche dimensioni dei granelli della polvere, il diametro dei
quali misura al massimo 200 millesimi di millimetro e il peso non
supera i dieci miliardesimi di grammo. Ma ogni difficolta' appare
ormai superata, grazie a due scienziati giapponesi, Yoshiyuki Fujii,
dell'Istituto Nazionale Ricerche sul Polo, e Yuji Tazawa
dell'Universita' di Kyoto. I due studiosi si erano convinti che
depositi di purissima polvere cosmica dovevano certamente trovarsi a
una profondita' corrispondente allo strato che era stato in
superficie almeno un secolo prima, cioe' quando sicuramente
l'atmosfera e il suolo dell'Antartide non erano stati ancora
inquinati dall'uomo. In realta' quando scavando giunsero alla
profondita' di una cinquantina di metri, trovarono uno strato
continuo di polvere cosmica risalente a piu' di un secolo prima.
Dalle dimensioni dello strato scoperto i due scienziati sono potuti
risalire al totale di polvere cosmica che annualmente cade sul nostro
pianeta e che assomma a circa trentamila tonnellate. Molti altri dati
si otterranno dai campioni ancora in analisi nei laboratori
dell'Universita' di Kyoto. Mario Furesi
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
«Guida geografica», Tecniche Nuove Multimedia
OGENERE rubrica
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI geografia e geofisica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS geography and geophisics, book
Problema: come rendere originale e completa la solita ricerca di
geografia? Risposta: con un atlante multimediale. In un cd-rom
vengono riversate tutte le informazioni geo-politiche in modo da
consentire di andare a curiosare in ciascuna delle 200 e piu' Nazioni
in cui e' suddiviso il nostro pianeta. Oltre alle informazioni di
carattere propriamente geografico, per ciascuno Stato sono
disponibili notizie sulla politica, l'economia, la cultura e le
tradizioni popolari, facilmente paragonabili con analoghi dati su
altri Paesi. Peculiarita' non trascurabile per l'uso scolastico e' la
possibilita' di esportare testi, cartine e immagini, per una ricerca
di alto livello tecnico. Andrea Vico
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Zingarelli Nicola: «Zingarelli in Cd-rom», Zanichelli
OGENERE rubrica
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI didattica, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS didactics, book
In collaborazione con Opera Multimedia, la Zanichelli ha preparato
una preziosa versione su cd-rom del suo dizionario Zingarelli (98
mila lire solo il cd-rom, 118 mila lire con il vocabolario). Si
tratta della versione del 1997 dove le 134 mila voci sono state
arricchite da 500 nuovi termini. Vi sono inoltre, 3.500 voci
straniere con relativa fonetica, 117 inserti di nomenclatura ed e'
possibile compiere ricerche incrociate (con le chiavi «and», «or»,
«vicino a», «seguito da») o limitarsi a campi specifici (lemma,
etimologia, autore citato...). Una volta lanciato, il cd-rom si
comporta come un qualsiasi altro programma e puo', dunque, esser
ridotto a icona per rapide e ripetute incursioni oppure rimanere
aperto accanto a un'altra finestra di lavoro.
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
«Allacciate le cinture - Esploriamo il sistema solare», Microsoft
OGENERE rubrica
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI astronomia, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy, book
In un batter d'occhio il magico scuolabus di miss Frizzle si
trasforma in una navicella spaziale e tutta la classe decolla per
un'emozionante avventura intorno a Venere e Giove, Saturno e Marte.
La parola d'ordine e' «osservare e sperimentare», dunque ogni
schermata del cd-rom invita a un esplorazione col mouse per scoprire
le caratteristiche fisiche e gli affascinanti retroscena di satelliti
e pianeti, mentre le notizie che via via si raccoglieranno torneranno
utili al momento del test. Vale a dire una serie di giochi per
aiutare a sedimentare la conoscenza. Adatto per bimbi da 6 a 10 anni.
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
«I boschi italiani», Giunti Multimedia
OGENERE rubrica
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI ecologia, libri
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS ecology, book
LA nostra penisola e' talmente ricca di diversi tipi di alberi, che
parlare genericamente di bosco non ha molto significato: c'e' la
lecceta, il bosco di collina, il querceto, il bosco misto, il bosco
di conifere montane, la pineta mediterranea, il castagneto, la
faggeta. Chi meglio di un elfo, magica creatura dei boschi, puo'
conoscere i segreti del popolo di legno? Dopo la presentazione
generale dei singoli habitat si passa ai dettagli: una serie di icone
(che si attivano esplorando l'immagine che fa da sfondo) permettono
di ottenere notizie sulle diverse specie di alberi, sugli arbusti del
sottobosco, sui fiori e i funghi tipici nonche' sugli animali che lo
popolano. All'elfo di turno il compito di raccontare curiosita' e
leggende. Questo e', in sintesi, il contenuto de «I boschi italiani»,
della Giunti Multimedia (69 mila lire). Splendida l'iconografia e di
ottimo livello il commento (anche se qualche volta potrebbe essere un
po' meno aulico e piu' accattivante per i ragazzi). Utilissimo il
quadro di raccordo che visualizza in una sola schermata quali sono i
«paragrafi» che si sono gia' visti all'interno di un «capitolo» e i
vari percorsi che e' possibile fare. L'indice e' molto preciso ed
elenca tutto cio' che viene citato all'interno del cd-rom, ma e'
purtroppo senza commento sonoro. Ne' l'indice serve per saltare
immediatamente nell'habitat relativo. Inoltre non compaiono mai
pagine di testo scritto e di conseguenza non e' possibile stampare
dati.
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. POLEMICHE ASTRONOMICHE
Per 51 Pegasi falso allarme?
OAUTORE CAGNOTTI MARCO
OARGOMENTI astronomia, fisica
ONOMI GRAY DAVID
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy, physics
ORMAI sembrava fatta. Anni di discussioni, di valutazioni statistiche
e di modelli teorici, per arrivare finalmente, due anni fa, alla
grande notizia: non solo intorno al Sole esistono pianeti. La prova
sta nell'oscillazione delle righe spettrali di una stella, 51 Pegasi,
provocata dall'effetto Doppler: l'astro e il suo pianeta ruotano
intorno al baricentro comune, e il periodico avvicinamento e
allontanamento da noi modifica la lunghezza d'onda della luce che
riceviamo. La scoperta, frutto del lavoro di Mayor e Queloz
dell'Universita' di Ginevra, fu confermata successivamente da Marcy e
Butler, del Lick Observatory, che riempirono ulteriormente il
carniere dei cacciatori di pianeti extrasolari. Attualmente le
scoperte sarebbero otto: 51 Pegasi, 47 Ursae Maioris, 70 Virginis, 55
Cancri, Lalande 21185, Tau Bootis, Upsilon Andromedae e 16 Cygni.
Senza contare numerosi altri casi sospetti e in attesa di conferma.
Tutte stelle abbastanza simili al Sole e con pianeti di tipo
gioviano, ossia di grande massa e con spesse atmosfere gassose.
Sembrava fatta, dicevamo, e la comunita' astronomica esultava. Non
restava che perseverare nelle ricerche, migliorare la conoscenza dei
sistemi planetari gia' noti e sottoporre a indagine serrata anche i
casi incerti. E invece no. Sul numero del 27 febbraio di Nature e'
comparsa una lettera, firmata da David Gray, astrofisico della
University of Western Ontario specializzatosi nello studio degli
spettri stellari, che rimette in discussione la prima scoperta. Il
canadese sostiene che 51 Pegasi e' stata un falso allarme, e che
Mayor e Queloz sono stati precipitosi nel dichiarare che le loro
osservazioni provano l'esistenza di un suo pianeta. L'ipotesi di Gray
e' che i dati raccolti possano essere spiegati con una vibrazione
degli strati superficiali della stella, una pulsazione non radiale,
una sorta di «onda» che si propagherebbe sulla superficie dell'astro.
A sostegno della sua idea egli avrebbe riscontrato deboli e
periodiche modificazioni della forma delle righe spettrali che, a suo
avviso, potrebbero essere provocate solo da una modificazione
intrinseca della stella. Addio pianeta, dunque. Ma gli scopritori del
pianeta di 51 Pegasi non si sono lasciati intimidire, e dalla loro
parte si e' schierata gran parte della comunita' astronomica. La
polemica, com'era prevedibile, si e' subito fatta accesa. I difensori
dell'ipotesi planetaria non hanno preso alla leggera le critiche di
Gray. Essi riconoscono che le sue osservazioni sono state fatte ad
alta risoluzione, ma se, come egli dice, le variazioni della forma
delle righe spettrali e' da imputarsi a vibrazioni superficiali della
stella, non si capisce per quale ragione 51 Pegasi sia una stella la
cui luminosita' e' molto stabile: le variazioni non superano infatti
lo 0,04%. Inoltre simili oscillazioni, pur non essendo impossibili da
un punto di vista teorico, non sono mai state riscontrate in
nessun'altra stella di tipo solare. E Gray non suggerisce alcun
meccanismo fisico che possa giustificarle. Timothy Brown, del
National Center for Atmospheric Research di Boulder (Colorado),
sostiene che le pulsazioni non radiali di Gray «sarebbero molto piu'
strane e piu' interessanti dell'ipotesi planetaria». E Marcy gli fa
eco: «Questo tipo di oscillazioni sarebbe molto piu' straordinario e
incomprensibile di qualsiasi pianeta». Finora nessuno ha messo in
dubbio le scoperte successive a quella del pianeta di 51 Pegasi, ma
e' certo che i dubbi sollevati da David Gray gettano ombre anche
sugli altri pianeti extrasolari, e in particolare quelli di 55
Cancri, Tau Bootis e Upsilon Andromedae che, come il compagno di 51
Pegasi, orbitano intorno alla propria stella in pochi giorni e a
distanze inferiori a un terzo di quella di Mercurio dal Sole. La
partita rimane aperta, ma probabilmente non per molto: 51 Pegasi e i
sistemi planetari simili saranno certamente gli oggetti celesti piu'
osservati dei prossimi mesi, e non passera' molto prima che nuove
misure spettrali ad alta risoluzione chiudano definitivamente la
questione. Marco Cagnotti
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
STORIA DEI BAROMETRI
Un capello segnatempo
OAUTORE MINETTI GIORGIO
OARGOMENTI storia della scienza, meteorologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS history of science, meteorology
QUANDO si parla di barometri, molti pensano a quei souvenir o oggetti
ornamentali con minuscoli personaggi che escono alternativamente da
piccole casette in legno o plastica a seconda se siamo in presenza di
tempo sereno o piovoso; oppure vengono in mente quelle statuine in
gesso o cartoline variopinte che variano la colorazione in funzione
dell'evolversi delle condizioni atmosferiche del momento. In
commercio si trovano ancora altri strumenti, abbinati talvolta a
termometri, che, appesi alle pareti delle nostre abitazioni,
informano sull'evoluzione del tempo meteorologico con un piccolo
quadrante dove vengono riportate voci come: tempesta, pioggia,
variabile, bello, secco. In pratica questi oggetti raggiungono tutti
lo scopo di segnalare le variazioni delle condizioni meteorologiche
locali, basandosi su determinate proprieta' dell'atmosfera, dell'aria
in cui viviamo e cioe' umidita' e pressione atmosferica. I primi
(casette in legno, statuine, cartoline, ecc.) non sono barometri come
impropriamente vengono chiamati, ma agiscono da igroscopi, cioe'
grossolani misuratori del maggiore o minore tasso d'umidita'
dell'aria. Essi basano il loro funzionamento sulle proprieta' di
alcune sostanze, cosiddette igroscopiche, che assorbono il vapore
acqueo subendone di conseguenza variazioni di lunghezza, torsione,
curvatura ed anche di colore. Tra queste ricordiamo le membrane
organiche, le corde di violino, le lamine di corno, il cosidetto osso
di balena, alcune fibre sintetiche ed i capelli umani, mentre nel
mondo vegetale troviamo i cardi di montagna. Nelle casette in legno
abbiamo delle fibre sintetiche che subiscono una torsione positiva o
negativa con il variare dell'umidita'. Questa torsione trasmessa ad
una tavoletta che sorregge due pupazzi, determina la loro uscita
alternata dalla piccola costruzione a seconda se si e' in presenza di
aria umida o asciutta. Le statuine o le cartoline invece hanno un
rivestimento a base di cloruro di cobalto, sostanza che ha la
proprieta' di assumere diversa colorazione a causa dell'assorbimento
del vapore acqueo. Quando vi e' umidita' o vapore acqueo il cloruro
di cobalto diventa rosa pallido mentre quando l'atmosfera e' asciutta
il suo colore e' azzurro. Poiche' le repentine variazioni di umidita'
sono collegate alle mutevoli condizioni atmosferiche, questi
igroscopi possono essere usati utilmente come indicatori del
cambiamento del tempo. Un cenno merita l'igroscopio a capelli, basato
anch'esso sulla proprieta' dei capelli sgrassati di allungarsi quando
l'umidita' aumenta e di accorciarsi in caso contrario. Quando questo
movimento viene opportunamente applicato e riportato con un indice su
una scala graduata, avremo un igrometro che registra le variazioni
diurne dell'umidita' in percentuale rispetto ed un metro cubo d'aria.
Igrografo sara' poi lo strumento che registra e memorizza questi
dati. venendo poi a parlare della seconda categoria di segnatempo,
siamo in presenza di reali barometri cioe' apparecchi misuratori
delle variazioni della pressione atmosferica terrestre. Com'e' noto
in termini generici, l'aumento o la diminuzione della pressione
atmosferica e la rapidita' nel suo evolversi, sono indice di
miglioramento o peggioramento delle condizioni atmosferiche. Questa
compressione sviluppata dal peso dell'atmosfera puo' essere trasmessa
ad una colonna di mercurio rinchiuso in un bulbo di vetro o sul
lamierino di una capsula aneroide cioe' dov'e' praticato il vuoto.
Nel primo caso avremo un barometro di precisione a mercurio usato in
particolare per la taratura degli strumenti ma molto ingombrante; nel
secondo caso avremo un barometro aneroide, maneggevole e pratico. Con
il barometro a mercurio i valori di pressione verranno letti
direttamente sulla colonnina di vetro ed indicati in mm (millimetri)
mentre con i barometri aneroidi gli stessi valori saranno riportati
da un indice ruotante su una scala graduata in mm (millimetri) o mb
(millibar). L'indice ruotante e' collegato alle deformazioni
metalliche del lamierino della capsula aneroide. Senza scendere nei
particolari i barometri aneroidi, oltre a trovarsi nelle nostre
abitazioni, vengono utilizzati, considerata la loro praticita',
professionalmente o per diporto, funzionando anche come altimetri,
con l'unica avvertenza della necessaria periodica taratura con quelli
di precisione a mercurio. Se poi vogliamo che i valori barometrici
giornalieri vengano memorizzati, si usano i barografi, costituiti da
una pila di capsule aneroidi per amplificarne l'azione di cambiamento
di pressione. Questi strumenti sono forniti di un braccio scrivente
che trasmette i dati su una carta graduata, fissata ad un tamburo
ruotante ad orologeria. Oggi poi, con le piu' sofisticate centraline
automatiche, questi dati giungono in tempo reale agli operatori
attraverso diverse vie: modem, cavo telefonico, radio, satelliti ed
internet. Sia nel caso degli igrometri che dei barometri i dati
numerici rilevati hanno solo un valore statistico, di raffronto o
previsionistico per studiosi o operatori meteorologici. A questo
punto viene naturale domandarsi quale validita' hanno questi
segnatempo che appendiamo nelle nostre case ed ai quali ci rivolgiamo
quasi piu' fiduciosi delle previsioni meteorologiche di stampa o
d'informazione radiotelevisiva. Si puo' dire che qualsiasi modello di
quelli illustrati risponde alle modeste nostre richieste, purche' si
tenga conto del loro comportamento nel segnalare le variazioni
temporali di determinati fenomeni. In pratica un rapido aumento della
pressione o una rapida diminuzione dell'umidita' segnalano una
tendenza ad un miglioramento del tempo come viceversa una rapida
diminuzione della pressione ed un rapido aumento dell'umidita'
segnalano una tendenza al peggioramento. Se poi igrometri e barometri
vengono impiegati e controllati in parallelo si potranno avere
informazioni piu' attendibili. Pertanto i misuratori d'umidita'
(capannina, statuina, cartolina, igrometro, ecc.) segnalano di norma
fenomeni piu' immediati (esempio piogge o temporali improvvisi legati
a rapide condensazioni o contrasti termici locali). I misuratori di
pressione atmosferica (barometro a mercurio o aneroide) segnalano
invece situazioni a largo raggio che potrebbero localmente non
verificarsi (esempio precipitazioni sulla catena alpina collegate a
perturbazioni o sistemi frontali in movimento marginalmente al
territorio o area interessata). Con tutto cio' puo' capitare o sara'
capitato a molti possessori di questi rivelatori meteorologici di
essersi trovati in situazioni con condizioni di bello o cattivo
tempo, senza che il fenomeno si fosse verificato. Cio' non deve
trarre a meraviglia in quanto le variazioni orizzontali della
pressione atmosferica interessano intere aree che vanno da 10 a 100
chilometri. Cio' che avviene a cento chilometri di distanza non e'
detto che possa succedere dove ci sono i nostri segnatempo. Caso
tipico quello delle regioni alpine dove la climatologia e'
condizionata molto dall'ostacolo montano e dal serbatoio di vapore
acqueo del mare. Per esempio aria fredda a bassa quota proveniente da
Levante viene umidificata attraverso l'Adriatico. Successivamente,
trovandosi di fronte alla catena alpina, la stessa aria e' costretta
a sollevarsi e di conseguenza il nostro barometro segnalera' un
incremento della pressione. Il processo di condensazione che ne
seguira' determinera' pero' annuvolamenti e precipitazioni. Giorgio
Minetti
ODATA 23/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PIU' BRAVI GLI ISRAELIANI
La guerra alla siccita'
Le nuove tecniche dei «maghi della pioggia»
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI meteorologia, tecnologia, geografia e geofisica
OORGANIZZAZIONI CENTRO NAZIONALE DI CLIMATOLOGIA DELL'AERONAUTICA MILITARE,
TECNAGRO
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE C. La siccita' in Africa
OSUBJECTS meteorology, technology, geography and geophisics
ORMAI non rimangono quasi piu' dubbi: le condizioni meteorologiche
nel bacino del Mediterraneo stanno mutando per effetto di un ciclo
caldo iniziato nel corso degli Anni 80 e destinato a prolungarsi
ancora per 20 o 30 anni. Il fenomeno e' definito Oscillazione
Mediterranea ed e' probabilmente collegato all'effetto serra a
livello planetario: gli anticicloni, in particolare quello delle
Azzorre, restano sempre piu' a lungo al disopra del nostro piccolo
mare chiuso provocando una crescente siccita'. Il Congresso
internazionale sulla desertificazione, svoltosi a Firenze nel '91, ha
mostrato la tendenza all'aumento delle temperature e alla diminuzione
della piovosita' sulla nostra penisola, dove l'aridita' potrebbe
colpire in maniera piu' accentuata Puglia, Basilicata, Sicilia,
Sardegna e in misura minore la Maremma toscana e parte del medio-alto
versante adriatico. D'altra parte il cosiddetto «indice
standardizzato di anomalia» (S.A.I.), elaborato dal Centro nazionale
di climatologia dell'Aeronautica Militare, indica negli ultimi 15
anni temperature costantemente superiori alla media dei 120 anni
precedenti, e via via crescenti, insieme a una maggiore frequenza di
annate siccitose a partire dal 1967, con uno spostamento delle piogge
dall'autunno-inverno ai mesi di maggio e giugno. Questo '97, con gran
parte dell'inverno e della primavera sotto un sole nordafricano che,
specie nell'Italia del Nord, ha provocato gravi danni
all'agricoltura, e con un'estate iniziata sotto i temporali, sembra
fatto apposta per confermare queste previsioni. Se le cose stanno
davvero cosi' sono destinate a riprendere forza i tentativi di
dominare le nubi, portare la pioggia con mezzi artificiali. Ma a che
punto e' arrivata la tecnologia in questo campo? I tentativi di
«comandare» alle nuvole sono antichi se e' vero che, come racconta
Pausania, gli Ittiti avevano l'abitudine di scagliare frecce verso il
cielo, e se in tutte le organizzazioni umane primitive vi sono riti e
personaggi (stregoni, sacerdoti) ai quali e' affidato il compito di
richiamare la pioggia. In tempi meno remoti si sono escogitati gli
stratagemmi piu' disparati, per far piovere, dalle cannonate ai razzi
esplosivi, dalle vibrazioni ai fumi e ai vapori inviati verso il
cielo implacabilmente sereno; ma sempre senza risultati. Negli ultimi
decenni si sono capite finalmente due cose: la prima e' che se non ci
sono nubi, cioe' se non vi e' vapore acqueo nell'atmosfera, e'
illusorio sperare nella pioggia; e la seconda, che talvolta anche in
presenza di nubi la pioggia puo' non formarsi perche' nell'atmosfera
il vapore acqueo non trova nulla intorno a cui condensarsi per
formare le goccioline destinate a cadere a terra. La scoperta della
funzione decisiva di questi «nuclei di condensazione» e' stata dunque
un momento di svolta e da quel punto i moderni maghi della pioggia
hanno cominciato a lavorare su piu' solide basi scientifiche. I
nuclei di condensazione possono avere un'origine naturale (polvere
che si alza da terra, particelle prodotte da incendi, sale che il
vento solleva dal mare) o essere elementi prodotti dall'uomo (fumi
industriali o prodotti chimici liberati nell'atmosfera). Tutti gli
esperimenti di questi ultimi anni per aumentare le precipitazioni
sono consistiti nell'inviare nuclei di condensazione in nuvole
potenzialmente cariche di pioggia ma destinate, in assenza di un
intervento umano, a dissolversi o ad allontanarsi senza lasciar
cadere l'acqua di cui erano cariche. In Israele, in Marocco, Libia,
Egitto, Grecia, Spagna, Siria, Cina, Cuba, in numerosi stati Usa e
anche in Italia si sono usati aerei, razzi, palloni, bruciatori a
terra per spargere nelle nuvole di passaggio nuclei di condensazione
costituiti da varie sostanze, dal «ghiaccio secco» al piu' recente
ioduro d'argento. I risultati piu' concreti sono senza dubbio quelli
raggiunti in Israele dove si e' ottenuto un incremento di
precipitazioni compreso tra il 15 e il 24% e dove l'attivita' di
stimolazione della pioggia e' diventata un vero e proprio servizio
pubblico affidato ad un'apposita societa' statale. Il vantaggio
sostanziale di cui oggi si puo' usufruire rispetto ai pionieri di
30-40 anni fa e' dato principalmente dalle informazioni che si
possono ottenere dai satelliti meteo e dai radar meteorologici circa
la presenza, la consistenza, velocita' di spostamento e direzione
delle nuvole da inseminare, tutti elementi che consentono di operare
su dati certi e non alla cieca. Per la «semina» si utilizzano aerei
dotati di bruciatori posti sotto le ali nei quali viene bruciato
ioduro d'argento. L'aereo deve volare sopravento e alla base delle
nuvole in modo che il fumo caldo contenente miliardi di nuclei di
condensazione sotto forma di microscopici cristalli salga e si
diffonda nelle nuvole stesse. L'azione degli aerei puo' essere
integrata da bruciatori a terra collocati dopo un accurato studio
della situazione orografica e delle correnti aeree prevalenti.
Tecnologie e metodi simili a quelli messi a punto da Israele a
partire da una trentina di anni fa vengono utilizzati in Italia dalla
Tecnagro, un'associazione senza fini di lucro, che dall'84 ha avviato
un «Progetto pioggia» dapprima in Puglia poi anche in Basilicata,
Sicilia e Sardegna. Sorprendentemente le maggiori difficolta' in
questo campo non stanno tanto nella messa a punto e nell'impiego
delle metodologie operative quanto nel controllo dei risultati; e se
i risultati non sono chiari, evidenti e incontrovertibili, se non
emerge un indiscutibile rapporto causa-effetto tra inseminazione e
pioggia caduta, ecco che si insinuano i dubbi, la paura di buttare
denaro per nulla. Anche l'Organizzazione Meteorologica Mondiale e'
molto cauta definendo i risultati finora resi noti in varie regioni
del mondo come «controversi», salvo quello di Israele, riconosciuto
come superiore a ogni dubbio. In effetti misurare la pioggia caduta
per effetto dell'inseminazione separandola da quella caduta per cause
naturali, distinguere gli effetti provocati da quelli casuali e'
quanto mai difficile. Gli statistici hanno ragione a sostenere di non
aver raggiunto certezze matematiche. Ed e' quindi fatale che gli
esperimenti, che per essere significativi dovrebbero durare a lungo,
spesso vengano interrotti a meta' perche' i finanziatori hanno
improvvisi ripensamenti. Per superare queste difficolta' la Tecnagro
utilizza un metodo messo a punto da un pioniere della pioggia
«provocata», il generale Abele Nania: usa le migliaia di immagini
radar registrate ogni 5 minuti durante le missioni di «semina» in un
raggio di 150 chilometri e archiviate fin dall'inizio degli
esperimenti; questi dati sono integrati con quelli dei pluviometri a
terra. Secondo la Tecnagro durante le 116 missioni compiute tra il
'92 e il '94 in Puglia si e' visto che dopo la semina la quantita' di
acqua contenuta nelle nubi aumenta notevolmente e che la pioggia cade
sottovento rispetto al punto della semina. Questi, e altri risultati
ottenuti in varie parti del mondo, stanno portando alla conclusione
che la lotta alla siccita' per mezzo dell'inseminazione delle nubi e'
possibile; se ne sono convinti i 25 Paesi che a novembre del '96
hanno partecipato ad un convegno a Bari per iniziativa dell'Unione
Europea, dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale e della Comunita'
delle universita' del Mediterraneo. Ne e' scaturito un «Progetto di
stimolazione della pioggia per i Paesi del Mediterraneo e del Medio
Oriente» (Medrep) il cui coordinamento e' stato affidato alla
Tecnagro. Vittorio Ravizza
ODATA 16/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SVOLTA STORICA ALLA NASA
Il nostro futuro nello spazio
Con lo sbarco su Marte inizia una nuova era
OAUTORE CANUTO VITTORIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, astronomia, tecnologia
OORGANIZZAZIONI NASA
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Anatomia del Rover (caratteristiche tecniche del robot
«Sojourner»).
Luogo dell'atterraggio della sonda «Pathfinder». Come arrivano le
«cartoline»
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, astronomy, technology
DUNQUE gli abitanti della Terra hanno invaso Marte. Data storica: e'
avvenuto il 4 luglio 1997, festa dell'indipendenza americana. In una
delle giornate piu' memorabili, la Nasa, ambasciatrice di tutta
l'umanita', ha fatto atterrare sul pianeta rosso un piccolo robot. A
Pasadena in California, dove si era riunito il gruppo direttivo della
Nasa, durante tre giorni di festeggiamenti, con centinaia di
visitatori di tutte le eta', l'America ha dimostrato ancora una volta
di essere una nazione di esploratori. Che cosa significa questa
missione? Significa che e' iniziata una nuova era, due, anzi: in
certo senso, il Rinascimento e l'Illuminismo, contemporaneamente. Non
piu' missioni ciclopiche come l'Apollo, in cui si misero tutto le
uova in un solo paniere, imprese costose, rischiose e quindi rare.
Quell'era e' finita. E' iniziata un'era illuminata, realista e
lungimirante. E' iniziata l'era delle missioni piu' piccole, piu'
veloci e meno costose: questa e' la nuova linea della Nasa. Invece di
attendere finche' si abbia una nave con «tutto a bordo», cosa che
richiede anni di preparazione, il nuovo illuminismo prevede un
viaggio a Marte ogni 26 mesi, una costruzione lenta e metodica di un
grande edificio, mattone per mattone, nulla di prefabbricato da
trasportarsi di peso. Poi, forse fra 20-30 anni, arrivera' l'uomo,
mentre nel frattempo avremo acquisito una conoscenza
particolareggiata di quello che potra' diventare un nuovo habitat. Il
lander con robot, ribattezzato «Carl Sagan» in onore del grande
planetologo scomparso, e' il primo mattone. Perche' Marte? Se
osserviamo il nostro sistema solare, la scelta e' quasi d'obbligo.
Alla nostra sinistra (planetariamente parlando), c'e' Venere con una
temperatura infernale di 500oC. Fonde il piombo. Non sono necessari
altri commenti. Alla destra, c'e' Marte, 1,5 volte piu' lontano dal
Sole di noi, con un giorno di 24 ore e 37 minuti, con un anno di 687
giorni nostri e dove ci sono stagioni poiche' il suo asse di
rotazione e' inclinato di 25o. Un pianeta quindi non cosi' dissimile,
un pianeta direi quasi italiano, se mi permettete un po' di
sciovinismo, non solo perche' porta il nome datogli dai Romani ma
perche' Schiaparelli porto' all'attenzione mondiale con la «scoperta»
dei famosi canali che fecero pensare ad una civilta' ormai scomparsa.
Nasceva la domanda: c'e' vita su un altro pianeta? Marte non ha
potuto trattenere un granche' di atmosfera a causa della sua bassa
gravita' (3/8 di quella terrestre) e quindi soffre di grandi
escursioni termiche: la temperatura media e' di -55oC, con variazioni
da - 120oC a piu'25oC. In queste condizioni, non e' chiaramente un
posto vivibile, come non lo e' la Luna. Ma mentre quest'ultima e'
biologicamente morta, Marte non lo e'. C'e' speranza perche' ci sono
i mattoni per costruire. Contiene infatti abbondanti quantita' di CO2
(anidride carbonica) che, opportunamente trasformata, potrebbe
generare un «effetto serra» e riscaldare il pianeta in modo costante
come succede qui sulla Terra. In una prospettiva piu' generale,
possiamo dire di avere imparato da Venere quello che non dobbiamo
fare (eccessivo incremento dei gas ad effetto serra) e da Marte
quello che potremmo fare, generare cioe' un giudizioso ed equilibrato
effetto serra, terraformando un pianeta vicino. Il sottosuolo
marziano puo' contenere acqua, quindi idrogeno e ossigeno, elementi
indispensabili e alla base di qualsiasi operazione biologica e
meccanica. Tutti abbiamo sentito parlare del famoso meteorite
ALH84001 trovato fra i ghiacci dell'Antartide e nei cui interstizi e'
stata trovata aria che ha esattamente la stessa composizione chimica
dell'atmosfera che la missione Viking osservo' su Marte nel 1976.
Questo meteorite e' ora sotto studio poiche' potrebbe contenere
indicazioni preziose di vita allo stato batterico su Marte. La
missione del 4 luglio e l'annuncio del meteorite ALH84001 hanno dato
inizio al Rinascimento delle esplorazioni spaziali. Qual e' il costo?
L'ultima missione «Viking» del 1976 costo' 3,5 miliardi di dollari.
Il «Mars Observer», che spari' nello spazio all'improvviso, costo' un
miliardo di dollari. Per dare una prospettiva globale, il budget
annuale della Nasa e' di 13 miliardi di dollari, quello della citta'
di New York di 30 miliardi. La Nasa spende meno dell'uno per cento
del bilancio annuale del governo Usa. Quanto e' costata la missione
Pathfinder? Non piu' miliardi, ma milioni: infatti, il budget annuale
di questa missione e' di 150 milioni di dollari, il costo del film
Indiana Jones e di tanti altri film che si girano qui vicino ad
Hollywood. Imprese spaziali al prezzo di film di azione! Il quadro
generale e' quindi quanto mai positivo. C'e' pero' un problema serio:
il trasporto, che oggi corrisponde al 61 per cento del costo.
Maggiore e' il peso da trasportare, piu' potente deve essere il
vettore di lancio e quindi maggiore e' il costo. Quindi occorrono
nuove idee. La produzione di propellente su Marte porterebbe a una
riduzione del 40 per cento. Si potrebbero quindi usare i piccoli
Delta-3 invece dei mastodontici Titan o Proton. La propulsione
attuale (chimica) ci porta a Marte in sette mesi. Troppo. L'assenza
di gravita' tende a decalcificare le ossa, rimpicciolire il cuore,
atrofizzare la muscolatura, senza contare che all'arrivo ci attende
una gravita' che e' solo un terzo di quella terrestre. E se invece di
sette mesi potessimo arrivare in 90 giorni? Cosi' propongono i
fautori dell'uso di altre forme di energia di propulsione, per
esempio nucleare. Tutti sappiamo che questo e' un nervo scoperto
della psiche pubblica ma anche se questo scoglio venisse superato, la
tecnologia necessaria non sara' pronta prima del decimo viaggio a
Marte. Sara' anche indispensabile imparare a vivere dei «frutti della
terra», in questo caso di Marte. Gli esperimenti programmati ci
diranno se sara' possibile convertire l'atmosfera di Marte ricca di
CO2 onde produrre propellente. Si potrebbero generare 40 tonnellate
di ossigeno liquido per fornire di propellente un veicolo di ritorno,
permettendo allo stesso tempo a un equipaggio di sei persone di
disporre di un rifornimento di aria per una permanenza dai 18 ai 20
mesi. Vorrei terminare questa panoramica con una considerazione di
carattere generale. Io credo fermamente che l'esplorazione spaziale
sia scritta nel nostro codice genetico. La vita nacque negli oceani,
dove rimase fino a 600 milioni di anni fa, quando si irradio' sulla
Terra, dove si trovo' a dover affrontare un mostro mai visto: la
gravita'. La vita supero' questo ostacolo e oggi camminiamo eretti,
diretti dal computer piu' potente del mondo, il cervello umano, sede
di un numero di interruttori elettro-chimici pari al numero di stelle
della Via Lattea. Fra i tredici e i diecimila anni fa avvennero tre
fatti importantissimi: ci visito' il meteorite ALH84001, regalandoci
un esempio della vita forse batterica su Marte, termino' l'ultima
glaciazione e scoppio' una supernova, che contribui' psicologicamente
alla trasformazione da societa' nomadiche a quella agricola. Si
inventarono i numeri. In questi 10 mila anni abbiamo compiuto
meraviglie. E' ora che si restituisca la visita al nostro vicino
Marte, ora che abbiamo fuso due epoche d'oro, il rinascimento e
l'illuminismo. Vittorio Canuto Nasa, Goddard Institute New York
ODATA 16/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PARLA IL «PILOTA» DELLA SONDA
«Una donna violera' il pianeta rosso»
OGENERE intervista
OAUTORE PICCOLO ROBERTO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, astronomia, tecnologia
OPERSONE DIARRA CHECK
ONOMI REVELLINI TOMMASO,
DIARRA CHECK
OORGANIZZAZIONI NASA
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, FRANCIA, MEGEVE
OKIND interview
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, astronomy, technology
SARA' una donna il primo essere umano a camminare su Marte, intorno
al 2010. Parola di Check Diarra, caponavigatore della missione sul
pianeta rosso, in questi giorni sulle Alpi francesi, a Megeve, per la
prima conferenza dopo lo sbarco della sonda Pathfinder. Guarda il
cielo e dice: «Da qui mi sento piu' vicino ai miei figli»,
riferendosi alle sonde Ulisse, Magellano, Galileo e Pathfinder che
guida o ha guidato da Pasadena nell'esplorazione del Sole, di Venere,
Giove e Marte. Le attenzioni maggiori sono pero' tutte per
«Sojourner», il robot che come un segugio sta annusando la superficie
marziana. «E' una macchina formidabile, lavora bene e si muove con
sicurezza tra le asperita' del terreno. Un miracolo di tecnologia: in
soli 10 chili tre telecamere, un computer, le batterie, i pannelli
solari, cinque laser di navigazione, uno spettrometro, la radio e 11
motorini collegati alle sei ruote, compresi i quattro dedicati ai
cambi di direzione. Il tutto governato da una potenza di soli 6
watt!». Qual e' il significato di questa missione? «Le ricerche hanno
carattere chimico-geologico: sono indirizzate a conoscere la
composizione e la consistenza del suolo marziano con lo scopo di
fornire elementi utili all'atterraggio e al movimento, in futuro,
delle astronavi e dei veicoli con equipaggio umano. Questa prima
indagine che sara' perfezionata, a partire da novembre da Global
Surveyor, la sonda che orbitera' attorno al pianeta costruendo, con
sofisticati rilievi fotografici una cartografia generale, una
topografica e una mineralogica dell'intera superficie marziana. I
passi successivi spetteranno ad altre sei sonde, alcune fornite di
robot che scaveranno e perforeranno il suolo alla ricerca di acqua e
di forme di vita elementari». L'acqua, fa capire Diarra, e' la chiave
di volta di tutta l'esplorazione marziana. «Abbiamo la certezza, dopo
i rilievi di Sojourner, che essa era presente un tempo in grandi
quantita' su gran parte dell'emisfero nord di Marte. Il robot sta in
effetti percorrendo il letto di una gigantesca e violenta
tracimazione oceanica di probabile origine vulcanica. Le rocce
presentano evidenti segni di una erosione unidirezionale». L'acqua
sara' dunque strategica per dare avvio alla costruzione di
un'atmosfera che permetta una graduale abitabilita' del pianeta?
«Certamente. Non abbiamo ancora la prova che la vita sia stata
presente o lo sia tuttora su Marte. Siamo sicuri pero' che essa vi
sara' in futuro attraverso l'intervento dell'uomo». Un pianeta
colonizzabile? «Direi proprio di si', tenendo conto che la sua
distanza dalla Terra, almeno in linea teorica, e' alla portata
dell'uomo». Vuol dire che vi sono ostacoli pratici ancora
insormontabili all'invio di una missione umana verso Marte?
«Essenzialmente due: la lunghezza del viaggio (intorno agli otto
mesi), che in assenza di gravita' provoca una grave decalcificazione
ossea; e la forte dose di radiazioni cui sarebbe sottoposto
l'equipaggio in mancanza di robuste difese. E' il peso di queste
difese, oggi, la vera sfida da vincere». E l'attuale missione?
«Vittoria piena! Atterraggio da manuale grazie agli airbag progettati
dall'italiano Tommaso Revellini, robot perfettamente funzionante,
analisi compiute, immagini perfette». Un po' di paura in qualche
momento della missione? «All'atterraggio: in quel momento non puoi
fare altro che pregare che tutti i calcoli siano esatti». La chiave
del successo? «Una equipe affiatatissima di tecnici e scienziati la
cui eta' media e' di trent'anni». Traccie di marziani? «Solo una
curiosa conformazione rocciosa che ha fatto pensare, per un attimo,
ad un tavolo con sedie abbandonato dopo un veloce pic nic!...».
Roberto Piccolo
ODATA 16/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ALLARME ONU
Cercano l'oro, il mercurio li uccide
Migliaia di minatori avvelenati nel Terzo Mondo
OAUTORE SANSA TITO
OARGOMENTI tecnologia, medicina e fisiologia
ONOMI VEIGA MARCELLO, ALTINO JOSE'
OORGANIZZAZIONI ONU, UNIDO
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, AUSTRIA, VIENNA
OSUBJECTS technology, medicine and physiology
DA quando, una ventina di anni fa, in diversi Paesi del Terzo Mondo
e' esplosa la febbre dell'oro, alcune zone fino allora incontaminate
in Africa, in Asia e nell'America Latina sono state inquinate
rapidamente dal mercurio. E' successo che improvvisati e sprovveduti
cercatori nelle zone piu' povere e impenetrabili dei tre continenti
hanno adottato, per estrarre l'oro dalla ganga, il metodo della
amalgamazione con il velenosissimo mercurio, per il motivo che e' il
piu' economico e semplice dei sistemi. Cosi' viene prodotto circa un
quarto dell'oro mondiale. Milioni di persone che si sono dedicate a
questa tecnica antica e insieme nuova rischiano di ammalarsi di
mercurialismo, una malattia che puo' portare alla pazzia e alla
morte. Essendo il loro lavoro semiclandestino, fuori di ogni
controllo, nessuno sa quanta gente e' in pericolo. Si sa soltanto che
coloro che ricavano l'oro con metodi artigianali (differenti da
quelli industriali adottati dai grandi produttori in Sud Africa,
Stati Uniti, Australia, Russia, Canada) sono circa un milione in Sud
America, altrettanti in Asia, tre quarti di milione in Africa. Tutta
povera gente che impasta l'amalgama mortifera con le mani nude
(perche' i guanti di gomma «sono scomodi») provocando gia' a
temperatura normale la vaporizzazione dei gas di mercurio che si
disperdono nell'atmosfera e anche dopo molto tempo ricadono sulla
terra sotto forma di pioggia, inquinando terreni e acque. Scienziati
di una ventina di Paesi riuniti a Vienna per una conferenza della
Unido (l'organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo
industriale) calcolano che negli ultimi vent'anni, da quando e'
cominciato il gold rush, soltanto nell'Amazzonia brasiliana il mezzo
milione di cercatori locali abbia messo nella natura cinque milioni
di chili di mercurio. In pericolo, secondo gli esperti, sono non
soltanto quelli con «la mano in pasta», ma almeno cinque o sei volte
tante persone, quelle che bevono l'acqua inquinata e mangiano gli
animali e i pesci intossicati. Dice Marcello Veiga, della universita'
della Colombia britannica di Vancouver, che l'inquinamento da
mercurio, «uno dei meno conosciuti ma piu' seri problemi
dell'ambiente», dovuto all'ignoranza e all'estrema poverta' dei
cercatori d'oro («la loro non e' stata una scelta di piacere, e'
stata dettata dalla disperazione»), viene sottovalutato. I minatori
(in parte donne analfabete) non credono al rischio, in quanto
l'argentovivo, l'unico metallo liquido allo stato naturale, affascina
da sempre le anime semplici, che lo considerano fonte di magia e
dotato di poteri soprannaturali. Tanti che perfino un loro
sindacalista, il brasiliano Jose' Altino, furente con i medici e gli
scienziati ammonitori, ne ingoio' un paio di cucchiai per dimostrare
quanto fosse innocuo. Si ignora quale fine abbia fatto. Ma anche
coloro che conoscono il pericolo poco se ne curano. L'importante e'
fare soldi, rapidamente e con poca fatica, per nutrire le famiglie,
in genere assai numerose. Dei posteri, ai quali lasciano un ambiente
inquinato, se ne infischiano. Lo stesso si puo' dire (con poche
eccezioni) dei governi, ai quali fa comodo che alcuni milioni di
persone siano uscite dalla miseria nera e che il gold rush abbia
frenato l'inurbamento. Poco importa ai governi - hanno denunciato gli
scienziati convenuti a Vienna - se oltre alla deforestazione, alla
distruzione del suolo, all'inquinamento delle acque,
all'avvelenamento di pesci e persone, lo sfruttamento dell'oro ha
portato tutta una serie di fenomeni negativi, come diffusione di
droga, delinquenza, prostituzione, malattie infettive, perfino
conflitti armati. Come frenare la diffusione del mercurialismo,
chiamato anche «malattia di Minamata» (dal nome di una baia a Sud di
Tokyo dove nel 1962 vi fu un avvelenamento collettivo di milioni di
persone), a mano a mano che la domanda di oro sui mercati mondiali va
aumentando, tanto che attualmente supera del 44 per cento la
produzione totale annuale di tutte le miniere del globo? La soluzione
ideale - ha detto il relatore dell'Unido e organizzatore del
convegno, ingegner Beinhoff - sarebbe l'adozione di sistemi
industriali di estrazione, che comportano pochi rischi. Ma nel caso
dei Paesi del Terzo Mondo cio' e' per il momento impossibile, perche'
le falde aurifere sono in posti di difficile accesso, e perche'
occorrerebbero investimenti colossali, in contrasto con gli interessi
di diverse categorie. Che fare dunque per salvare milioni di vite
umane, e non soltanto nelle zone di produzione ma anche altrove,
anche a migliaia di chilometri di distanza, dove piogge tossiche
possono venire scaricate da nubi «al mercurio» o pesci
«all'argentovivo» possono venire inscatolati da produttori poco
scrupolosi? L'Unido vede un solo mezzo: ridurre la emissione di
mercurio. Con tutta una serie di misure, e giuridico-amministrative e
pratiche, concertate da organismi internazionali. Occorre controllare
e possibilmente bloccare il traffico illegale di mercurio; poi
legalizzare l'attivita' dei garimpeiros brasiliani e dei «lavatori
d'oro» asiatici e africani mediante la creazione di appositi «centri
di estrazione» (una sorta di cooperative gia' sperimentate con
successo in Venezuela). Infine - ed e' una specie di uovo di Colombo
portato qui a Vienna nel Palazzo delle Nazioni Unite - se proprio
mercurio deve essere, bisogna far conoscere e diffondere uno speciale
alambicco che permette di catturare i mortiferi vapori. Per questo e
per altri progetti (si incomincera' dalla Tanzania) la Banca mondiale
ha destinato 17 milioni di dollari, circa 29 miliardi di lire. Ma e'
soltanto un inizio. Tito Sansa
ODATA 16/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ENERGIA ALTERNATIVA
Centrale solare a concentratori ottici
Accordo Usa-Israele per testare un nuovo sistema
OAUTORE KRACHMALNICOFF PATRIZIA
OARGOMENTI energia, tecnologia
OORGANIZZAZIONI ISTITUTO WEIZMANN, MCDONNELL DOUGLAS
OLUOGHI ESTERO, ASIA, ISRAELE
OTABELLE D. Schema di una centrale solare a ciclo combinato con gas
OSUBJECTS energy, technology
LA nostra civilta' e' basata sul petrolio. Pochi, pero', si
preoccupano del fatto che il petrolio non e' inesauribile. Le scorte,
allo stato attuale, vengono valutate sufficienti per poco piu' di
cinquant'anni. Le stime naturalmente sono variabili e dipendono anche
da quanto si e' disposti a spendere per l'estrazione, ma
l'esaurimento dei giacimenti petroliferi e' vicino in termini di
decenni e non di secoli. Come «Tuttoscienze» ha scritto la settimana
scorsa, secondo studi recentissimi una potenziale fonte energetica di
grande portata potrebbe essere costituita dagli idrati di metano. La
loro consistenza, secondo le prime valutazioni, e' enorme, superiore
a quella di tutte le scorte degli altri combustibili fossili, carbone
incluso. In questo caso il pianeta disporrebbe di una quantita' di
gas naturale cosi' grande da mutare per secoli lo scenario
energetico. Rimangono pero' alcune difficolta' tecniche nei
procedimenti per l'estrazione, e i costi sarebbe comunque molto alti.
La competizione tra le fonti energetiche rimane quindi aperta sul
piano economico. Tra le fonti alternative, l'energia solare rimane in
prima linea. Le celle fotovoltaiche, che trasformano direttamente la
luce solare in elettricita', hanno incominciato a diffondersi con le
navicelle spaziali, per poi giungere, con il calare dei costi, alle
attuali centrali commerciali, con lunghe schiere di celle, la cui
corrente continua viene trasformata in alternata e immessa nella
rete. Ma anche la produzione di elettricita' ottenuta concentrando i
raggi solari su una caldaia, che a sua volta produce vapore per far
girare una turbina e generare elettricita', ha raggiunto una
sufficiente maturita' tecnologica, tanto che nel marzo di quest'anno
Stati Uniti e Israele hanno firmato un accordo per studiare la
fattibilita' commerciale di un impianto in grado di produrre fino a
decine di megawatt di potenza elettrica. Le industrie interessate
sono la americana McDonnell Douglas e le israeliane Ormat e Rotem; il
supporto tecnico e' dell'Istituto Weizmann - tramite la sua
emanazione commerciale Yeda Research and Development Co.L.td. Lo
stanziamento iniziale e' di 5,3 milioni di dollari. La caratteristica
dell'impianto e' la disposizione al suolo di una serie di eliostati
che fanno convergere i raggi solari su un unico riflettore issato su
una torre centrale. Il fascio cosi' ottenuto viene inviato su una
matrice di concentratori ottici che moltiplicano i raggi solari da
cinque a diecimila volte. Il calore ottenuto serve a far funzionare i
turbogeneratori di elettricita'. Tre gli aspetti innovativi rispetto
ai precedenti tentativi di sfruttamento dell'energia solare. Primo:
tutto l'impianto e' al suolo, a parte la torre che supporta il
riflettore centrale; secondariamente l'uso di un nuovo e
avanzatissimo design dei concentratori in cui e' specialista
l'Istituto Weizmann; in terzo luogo quello che viene chiamato
familiarmente «porcospino», cioe' una serie di coni di ceramica
disposti in speciale formazione geometrica che massimizza lo
sfruttamento della luce solare. Per portare tutto cio' allo
sfruttamento industriale, nel 1994, il presidente Clinton e l'allora
primo ministro israeliano Rabin siglarono un accordo di lavoro comune
per studiare nuove fonti energetiche volte al XXI secolo mediante la
creazione di un ente che potesse sfruttare le conoscenze tecnologiche
e scientifiche dei due Paesi supportati dalle grandi industrie. Il
primo risultato e' l'impianto in via di costruzione presso l'Istituto
Weizmann di una turbina a energia solare da 2300 kilowatt. Andando
allo sviluppo pratico, la McDonnell Douglas sara' responsabile dei
sistemi ingegneristici, dei sistemi di controllo, delle torri, sulla
base di esperienze condotte fin dagli Anni 80. La Ormat si occupera'
dei sistemi di conversione della potenza. La Rotem dei sistemi di
concentrazione dell'energia solare con innovativi sistemi ottici per
ottenere l'aria dall'alta pressione e temperatura. L'Istituto
Weizmann, tramite il suo braccio commerciale «Yeda», si occupera' del
trasferimento di questa tecnologia solare dalla fase sperimentale a
quella industriale. Patrizia Krachmalnicoff
ODATA 16/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. TECNOLOGIA & ALIMENTAZIONE
Cibi piu' sani con le radiazioni ionizzanti
Un metodo raccomandato dall'Oms potrebbe salvare molte vite umane
OAUTORE BURI MARCO
OARGOMENTI tecnologia, alimentazione
OORGANIZZAZIONI OMS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology, nourishment
IONIZZAZIONE: con questo termine ci si riferisce al trattamento
igienizzante tramite radiazioni per gli alimenti destinati all'uomo.
L'Oms, Organizzazione Mondiale della Sanita', recentemente ha
presentato una pubblicazione con 500 studi scientifici a favore di
questo trattamento che potrebbe far aumentare la disponibilita' di
cibi sicuri e quindi migliorare la salute pubblica nel mondo. Le
prime sperimentazioni risalgono all'inizio del secolo, le prime
applicazioni sono degli Anni 50-60 (sul cibo degli astronauti nelle
missioni Apollo). L'irradiazione consiste nell'esporre i cibi per un
periodo determinato sotto l'azione di raggi gamma, raggi X di o
elettroni, che distruggono la maggior parte degli agenti patogeni. Le
radiazioni ionizzanti sono emesse da un acceleratore di elettroni,
colpiscono le molecole del prodotto esposto creando «ioni» con carica
elettrica. Questo fa si' che con determinati parametri ambientali e
regolando la quantita' di radiazione, si possano eliminare i
microrganismi dannosi. E' particolarmente indicata per alimenti
solidi come le carni (pollame, pesce), cibi freschi o essiccati.
L'obiettivo delle ricerche e' di verificare se gli alimenti a seguito
della ionizzazione presentino scorie dette radiolitiche con effetti
tossici sul consumatore. Ma quarant'anni di studi in questo campo non
hanno trovato differenze di scorie radiolitiche tra i cibi trattati
in questo modo e con tecniche tradizionali. Come pure pericolo di
radioattivita' addizionale, di causare cambiamenti microbiologici,
ne' quello di creare mutanti batterici o virali. I valori
nutrizionali non differiscono mentre il rischio di perdita di alcune
vitamine puo' essere ridotto irradiando a basse temperature o in
assenza di ossigeno. L'Oms dichiara che fino al 70 per cento delle
malattie enteriche, che causano il 25% dei morti nei Paesi in via di
sviluppo, e' causato dal cibo come veicolo dell'agente infettivo.
Anche negli Usa si verificano dai 24 agli 81 milioni di infezioni
alimentari con 10.000 morti (2 milioni di casi sono dovuti alla
Salmonella). Nel 1993 un ceppo estremamente virulento di Escherichia
Coli attraverso hamburger non perfettamente cotti ha causato la morte
di 4 bambini ed il ricovero di altri 200. L'associazione americana di
gastroenterologia ha proposto alla Food and Drug Administration l'uso
delle radiazioni per controllare l'igienicita' delle carni bovine.
Attualmente in Usa le ionizzazioni si eseguono per il controllo delle
spezie nella carne di maiale, del pollame, del grano e granaglie. Nel
mondo 40 Stati hanno approvato l'uso delle radiazioni per molteplici
tipi di alimenti. In Italia gli unici alimenti trattati in questo
modo sono patate, cipolle e aglio. La regolamentazione e' stata
fissata da un decreto del 1973. Non vi e' nessun impianto industriale
nel nostro Paese mentre ce ne sono 50 nel mondo di cui 20 in Europa e
stanno velocemente aumentando per gli ottimi risultati ottenuti. I
prodotti trattati che troviamo nei supermercati americani, ma anche
cinesi e cubani, sono etichettati appositamente e considerati oltre
che piu' sicuri igienicamente anche di maggior valore nutritivo.
Legislazione italiana permettendo, dovremo abituarci anche noi a
funghi, bistecca, pasta irradiati: sapore garantito, maggior
sicurezza. Marco Buri
ODATA 16/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. GLI ALBATRI DELLE ISOLE MARION
Grandi veleggiatori oceanici
Un parco naturale tra Antartide e Sud Africa
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI DU FRESNE MARION
OLUOGHI ESTERO, AFRICA, SUDAFRICA
OSUBJECTS zoology
TRA le seicento persone intervistate nella citta' di Johannesburg in
Sud Africa, soltanto cinque sapevano dell'esistenza di uno stupendo
parco naturale nelle isole Marion, che sorgono in mezzo all'oceano,
tra l'Antartide e il Capo di Buona Speranza. Le scopri' nel
diciottesimo secolo il francese Marion du Fresne, convinto di aver
raggiunto il leggendario settimo continente. Era un vero paradiso
terrestre per le foche, i leoni di mare e gli uccelli marini. E lo e'
tuttora, perche' il clima rigidissimo e incostante, con bufere
improvvise d'inaudita violenza rendono proibitivo qualunque
insediamento umano. Dobbiamo a una coraggiosa spedizione scientifica
sudafricana dati di estremo interesse sulla vita e il comportamento
degli uccelli marini che vi nidificano, in particolare sui grandi
albatri. Tre specie di Diomedeidi - e' la famiglia a cui gli albatri
appartengono - vengono a riprodursi nelle desolate lande delle isole
Marion. Sono l'albatro fuligginoso del Sud (Phoebetria palpebrata),
l'albatro dal cappuccio bianco (Diomedea caudata) e l'albatro dalla
testa grigia (Diomedea chrysostoma). Ed ecco quanto gli studiosi
hanno potuto osservare. Fra gli spasimanti che le si fanno attorno,
e' la femmina che sceglie il compagno. E' una scelta oculata perche'
tra gli albatri non esiste il divorzio. La coppia rimane unita vita
natural durante. E, per capirsi meglio, le nozze sono precedute da un
lungo periodo di fidanzamento che puo' durare anche sei mesi, durante
i quali i due volano appaiati sulle onde spumeggianti dell'oceano.
Volano ad ali spiegate, scivolando leggeri nell'aria, veleggiatori
superbi. Di tanto in tanto si tuffano e col becco adunco catturano
pesci, calamari e altri animali marini. Mentre la femmina prolunga la
sua vacanza sui flutti, rimpinzandosi di cibo e tesaurizzando riserve
per la fabbricazione dell'unico grosso uovo che andra' a deporre, il
maschio torna con incredibile fedelta' al luogo dove ha nidificato
nella precedente stagione riproduttiva. E' sempre un luogo assai
ventilato, dove le impetuose correnti d'aria favoriscono il decollo
di questi uccelli che in fatto d'apertura d'ali superano persino il
grande condor delle Ande, raggiungendo nelle specie maggiori -
l'albatro reale e l'albatro urlatore - tre metri e mezzo di
larghezza. Una superficie enorme che non riuscirebbe a librarsi nello
spazio senza il sostegno del vento. I nidi, costruiti dai maschi,
sono terrapieni di forma cilindrica fatti di terriccio e frammenti
vegetali. Una volta fabbricata la culla per l'uovo, o riattata quella
della nidificazione precedente, il maschio attende la femmina. Lei
giunge dal mare quando si sente pronta al connubio. Ma le nozze sono
precedute da un rituale di corteggiamento che l'etologo
Eibl-Eibesfeldt ebbe occasione di osservare nell'albatro delle
Galapagos. Una serie di danze sofisticate, di rotazioni del capo, di
beccate e di strofinamenti reciproci. Uno scambio di segnali visivi
che equivalgono a un dialogo di questo tipo: «Cerco moglie e tu?».
«Anch'io cerco marito». «Ti va di metterci assieme?». «Perche' no?».
«Affare fatto». E i due si accoppiano. Dopo la fecondazione marito e
moglie si separano per andare a nutrirsi in mare. Fatto il pieno, la
prima che ritorna a terra e' la femmina. E' giunto per lei il momento
di deporre il grosso fardello che la appesantisce. L'uovo pesa circa
500 grammi e richiede un periodo d'incubazione lunghissimo, il piu'
lungo che si conosca nel mondo degli uccelli: circa ottanta giorni.
In questo periodo i genitori si sobbarcano a una stressante corvee.
Si danno il cambio alla cova una volta alla settimana. Mentre l'uno
cova, l'altro vola in mare a rifocillarsi. Nel momento in cui l'uno
arriva dall'oceano e l'altro sta per spiccare il volo, breve
intermezzo di carezze per rinforzare il legame di coppia. Si lisciano
reciprocamente le penne e lanciano acute grida, quasi per infondersi
coraggio l'un l'altro: «Ci vuol pazienza, abbiamo un figlio da
allevare». Ma il peggio deve ancora venire. Quando finalmente, dopo
alcuni giorni di vani tentativi, il piccolo riesce a rompere il
guscio (lo aiuta lo speciale dentino che gli e' spuntato alla
sommita' del becco ancora molle), e' incapace di nutrirsi e dipende
in tutto e per tutto dai genitori. E ce ne vuole perche' diventi
autosufficiente! Devono passare nove lunghi mesi. Nessun pulcino
necessita di cure parentali cosi' lunghe. Questo e' il motivo per cui
di solito gli albatri si riproducono ogni due anni. Solo nel caso che
l'uovo venga distrutto o che il piccolo soccomba prematuramente,
allora la coppia fa uno strappo alla regola e si riproduce l'anno
successivo. Il piccolo comunque, se vivo e vegeto, va sfamato. Ed
ecco che i genitori si sobbarcano a viaggi di centinaia o addirittura
migliaia di chilometri per procurargli il cibo. Ogni pasto consiste
in circa due litri di una sostanziosa zuppa a base di pesci e
calamari, parzialmente digerita dall'adulto e rigurgitata nel becco
del piccolo. Ma, data la lunghezza del volo di approvvigionamento, il
pasto arriva solo ogni tre o piu' giorni. A sei settimane il
giovanissimo albatro sembra un grazioso piumino da cipria. Ma la sua
vita e' soltanto una lunga attesa tra due pasti. Ben presto pero'
impara a difendersi. In caso di attacco, lancia contro l'aggressore
una speciale secrezione gastrica oleosa. E non appena il figlio
impara a autodifendersi, i genitori lo possono lasciare piu' a lungo
senza baby-sitter. Ma non possono ancora abbandonarlo
definitivamente. Bisogna che prima impari a volare e a pescare da
solo. Ed e' un processo lentissimo. Solo quando compie i nove mesi,
il giovane albatro si cimenta nelle prime timide esperienze di
volo.Cosi' un bel giorno, preso il coraggio a quattro mani, l'uccello
spalanca le ali e si accorge che miracolosamente l'aria lo sostiene.
Cosi' prova per la prima volta l'ebbrezza del volo. Sono
incredibilmente confidenti i piccoli albatri delle isole Marion. Ma
c'e' poco da meravigliarsene. In un paese disabitato come quello, gli
uomini non li conoscono ancora. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 16/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Centrali eoliche in Romagna e Toscana
OGENERE breve
OARGOMENTI energia
OORGANIZZAZIONI RIVA CALZONI
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS energy
A San Benedetto Val di Sambro, e' in fase di avanzata costruzione la
centrale eolica di Monte Galletto - della potenza di 3,5 megawatt -
costituita da dieci aerogeneratori Riva Calzoni. Analogo impianto e'
in costruzione in Toscana nel Comune di Montemignaio (Arezzo): cinque
generatori per una potenza di 1,75 megawatt. Il potenziale eolico
dell''Emilia Romagna e' stato stimato in 100 megawatt, pari a una
produzione elettrica di circa 200 mila megawattora l'anno. Dal punto
di vista energetico la produzione potrebbe soddisfare la necessita'
di centomila utenze famigliari, con un risparmio di 44 mila
tonnellate annue di olio combustibile. Economicamente vorrebbe anche
dire un investimento di 200 miliardi, 1660 posti di lavoro in fase di
realizzazione, e 1190 posti di lavoro/anno in fase di esercizio. La
Riva Calzoni, azienda leader in Italia nella produzione di turbine
eoliche, ha in avanzata costruzione altri tre impianti nel Sud: a
Foiano (Salerno), Orsara (Foggia) e Vaglio (Potenza) che entreranno
in funzione entro il '98. La potenza prevista in tutto e' di 23
megawatt; l'investimento di 61 miliardi.
ODATA 16/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Pesci tropicali nel Mediterraneo
OGENERE breve
OARGOMENTI ecologia
ONOMI RONCHI EDO
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS ecology
Pesci tropicali e subtropicali provenienti dalla regione del Marocco
e sud-sahariana sono sempre piu' frequenti nel Mediterraneo.
L'allarme e' di Legambiente e segue quello lanciato dal ministro
Ronchi sul rischio di tropicalizzazione dell'Italia. Le specie
ittiche «alloctone migranti» rinvenute nel Mediterraneo sono oltre
cento e tali da esercitare una pressione notevole sulle specie
autoctone. E' un segnale, secondo Legambiente, della rapida
modificazione delle condizioni generali del Mediterraneo, dovuta
all'aumento di temperatura indotto dal cambiamento climatico e da
altri fattori come l'inquinamento e l'eccessivo sfruttamento delle
risorse ittiche.
ODATA 16/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
TECNOLOGIE IN TV
In studio uno zoo virtuale
Tra artigianato e computer grafica
OAUTORE SCAGLIOLA DAVIDE
OARGOMENTI tecnologia
ONOMI CELLI GIORGIO. TORTA ENZO
OORGANIZZAZIONI RAI, TV 6
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS technology
UNA mandria di gnu polverosi attraversa il tavolo dell'impassibile
etologo che sta presentando un documentario sugli orsi polari. Tre
orche si tuffano dallo schermo laterale dello studio direttamente
sulla scrivania trasformata in un lampo in un oceano spumeggiante
sotto gli occhi indifferenti del professor Celli. Una tartaruga
gigantesca esce dal cromachi' alle spalle del conduttore e come un
dinosauro di Spielberg minaccia di mangiargli la testa. Giorgio
Celli, impassibile, continua tranquillo a parlare di felini e
predatori. E' la nuova frontiera della televisione virtuale. Sono gli
scherzi surreali che il regista Ezio Torta ha inventato per il
popolare etologo bolognese, con il fine di movimentare un po' le cose
nello studio di «Nel Regno degli Animali», fortunata trasmissione di
Raitre giunta ormai al sesto anno di vita sotto la guida di Celli.
Non si puo' insegnare nulla senza affascinare. Parafrasando
Baudelaire «solo chi ci diverte e' autorizzato a parlare di se' e
delle cose di cui si occupa». Di questo sono arciconvinti Celli &
Torta. E cosi' in un mondo sospeso tra sogno e dimensione reale, la
televisione virtuale rende giustizia allo spettacolo tv: attira
l'attenzione, sottolinea, affascina e non ultimo restituisce liberta'
e indipendenza agli animali che compaiono sul piccolo schermo. Una
scimmia ragno si nutre indisturbata su un tavolino, un coccodrillo
passa dall'acqua irreale dello studio alle mangrovie del cromachi'
posto dietro il conduttore, con una naturalezza impressionante. Ezio
Torta e Giorgio Celli, insieme allo staff del Centro di Produzione
Rai di Torino e al suo creativo direttore Maurizio Ardito, hanno
messo a punto un nuovo habitat per la divulgazione scientifica
televisiva. Non c'e' interazione tra i vari mondi - conduttore,
ospiti, alter ego, animali virtuali e filmati - ma solo coesistenza.
Con ingegnosi quanto artigianali sistemi di montaggio e
postproduzione e' stato possibile trasportare pezzi di foresta,
deserto e oceano abitanti compresi, direttamente nello studio Tv 6 di
Via Verdi a Torino. Giorgio Celli, etologo, professore universitario
e divulgatore televisivo, durante il prossimo ciclo di trasmissioni
dedicate al regno animale che comincera' a fine settembre in prima
serata su Raitre, spiega che l'esser circondato da animali virtuali
che fanno il loro comodo in studio mentre parla e spiega, non e' solo
un trucco televisivo per fascinare e stupire, ma una magia sciamanica
che permettera' agli animali di sfuggire al controllo dell'uomo che
ormai tenta di relegarli sempre piu' negli zoo, nei parchi, nelle
riserve o nei documentari televisivi. «Da noi invece - continua Celli
- saranno liberi di scorrazzare, seppur virtualmente, in giro per lo
studio, salendo su tavoli e mobilio, tuffandosi fuori da un oblo' di
legno o facendo le boccacce al conduttore. Si riprenderanno in
qualche modo il loro ruolo di protagonisti nel gran teatro della
natura, mescolando, come nei sogni, reale e virtuale, cercando di
attirare l'attenzione per farsi conoscere meglio. Per impedire al
mondo reale di diventare prima o poi del tutto virtuale e che gli
animali si trasformino definitivamente in fantasmi». «Tutto cio' e'
possibile - spiega Ezio Torta, regista e inventore di questo mondo
onirico - coniugando tecniche artigianali di teatro, sceneggiatura e
montaggio, con elaborazioni e applicazioni di tecnologie avanzate di
computer grafica gia' esistenti. In realta' nello studio circolare di
legno dove lavora Celli, sul momento non succede un bel niente,
finche' non interveniamo con gli inserti nei tre cromachi' (gli
sfondi colorati dove vengono proiettati i video di fianco o dietro il
conduttore) e con le invenzioni filmate montate in postproduzione. Un
lavoro che non comporta aggiunta di spesa o elevate perdite di tempo
in lavorazione, ma che ottiene grandi impatti visuali. «Per
intenderci e' la medesima tecnica degli spot pubblicitari (ricordate
la Firenze surreale o la Milano fiorita proposti dalla Barilla?) con
meno problemi di interazione e movimento, applicata alla divulgazione
scientifica. Le centinaia di milioni spesi per quel tipo di
produzioni (compresi i dinosauri di Spielberg) sono necessari solo
per situazioni di movimento di camera rispetto al soggetto scelto per
essere inserito in un ambiente che non esiste in precedenza. Noi ci
limitiamo a inserire spezzoni filmati reali individuati con cura
dalle dozzine di documentari che compriamo dalle grandi case di
distribuzione internazionali, che riprendano per qualche momento
almeno situazioni spettacolari con un'inquadratura fissa. Poi li
montiamo, scontornandoli prima con il computer (un Onyx), all'interno
del parlato registrato in precedenza in studio. I movimenti degli
schermi, della pedana girevole e delle quinte doubleface sono invece
tutto frutto di cordini, binari e bravi macchinisti. Come a teatro o
nella televisione di vent'anni fa». Oltre alla consolidata formula
degli anni precedenti e agli straordinari arricchimenti visuali, «Nel
Regno degli Animali» (ricordiamo che va in onda tutta l'estate in
replica con «il meglio di» ogni sabato sera su Raitre alle 20 e 40 e
ogni domenica mattina alle 11), proporra' dal 30 settembre nuove
rubriche battezzate l'Etologia della vita quotidiana, La galleria
della scienza, Oceani in Casa, Animali in apnea e E come Ecologia.
Con degli ospiti in piu'. Davide Scagliola
ODATA 16/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. BIOTECNOLOGIE
Da una lumachina un potente antidolorifico
Riprodotte in laboratorio le molecole delle sue tossine
immobilizzanti
OAUTORE PONZETTO ANTONIO
OARGOMENTI biologia, tecnologia
OORGANIZZAZIONI COGNETIX, NEUREX
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS biology, technology
SULLA barriera corallina, nei mari tropicali, dove pesci variopinti e
sgargianti guizzano a centinaia, vive la lumaca di mare, un mollusco
ricoperto da una conchiglia graziosa a forma di cono (il nome
scientifico della specie e' infatti Conus). Come riesce la lumachina
- che non puo' ne' guizzare veloce, ne' balzare sulla preda - a
nutrirsi dei mobilissimi pesci? Come una sirena essa li attira,
allungando una delicatissima proboscide che ai pesci appare come una
gustosa leccornia. Appena il goloso ha abboccato, la lumaca gli
inietta un cocktail potentissimo composto da tossine immobilizzanti e
sostanze antidolorifiche, che all'istante lo rendono incapace di
muoversi, percepire dolore, agire. Buon appetito lumaca: ora puoi
mangiare. Ma come ha fatto una «sciocca» lumaca a produrre farmaci
piu' potenti ed efficaci di quelli inventati dall'intelligenza umana
e dalla grande industria farmaceutica? Ha sfruttato al meglio la
grande potenzialita' del laboratorio di biotecnologia di cui la
natura l'ha dotata, e milioni di anni di prove, durante i quali ha
sviluppato la capacita' di produrre tossine efficacissime. Queste
sono proteine, simili per composizione a quelle prodotte da altre
specie - come i ragni ed i serpenti - ma molto, molto piu' piccole, e
percio' facili da costruire, rapide nel diffondersi nel corpo in cui
sono iniettate, e attive in concentrazioni piccolissime. Non sono
forse queste le doti ideali per un farmaco? Il biotecnologo va a
scuola dalla lumaca di mare, e cerca di imparare da lei la soluzione
di due gravi problemi: il controllo della contrazione muscolare e del
dolore. Il chirurgo che deve togliere un tratto di intestino
ammalato, chiede il controllo assoluto e preciso della contrazione
muscolare all'anestesista, il quale si trova in un bell'inghippo, fra
miscele di farmaci potenti, ma potenzialmente tossici, come i
derivati del curaro. Il medico che deve controllare la crisi
epilettica improvvisa (grave per la contrazione dei muscoli che
controllano la lingua e l'apertura delle vie aeree) sarebbe ben
felice di un farmaco ad azione immediata, proprio come quello
inventato dalla lumaca. Ci sta arrivando anche l'uomo: la Cognetix di
Salt Lake City, una minuscola ditta di biotecnologie, sta
sperimentando l'impiego nell'epilessia di una molecola copiata da uno
dei componenti delle tossime di Conus. Il dolore, lo sappiamo tutti,
e' una gran brutta bestia, e le armi a nostra disposizione non sono
mai sufficienti, soprattutto quando il dolore e' dovuto a un cancro.
I farmaci antidolorifici piu' potenti oggi utilizzati sono i derivati
dell'oppio, che tuttavia hanno degli svantaggi. In primo luogo
perdono di efficacia, poco per volta, e si deve incrementare la dose;
e poi tolgono anche facolta' mentali. Non cosi' la tossina della
lumaca di mare, che in un anno di impiego in 400 pazienti con dolore
intrattabile da cancro e ormai insensibili alla morfina, ha ancora
effetto alle stesse dosi iniziali. Per di piu' questa copia di una
tossina della lumaca, riprodotta in laboratorio dalla Neurex di San
Diego, non ha alterato nessuna delle facolta' intellettive dei
pazienti trattati, nello studio in corso alla Stanford University, in
California. Antonio Ponzetto
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
DAL LABORATORIO AL CD-ROM
OAUTORE VICO ANDREA
OARGOMENTI elettronica, didattica, informatica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS electronics, didactics, computer science
IL 12 per cento delle famiglie italiane ha ormai in casa un computer
e un quarto di questi e' dotato di lettore per cd-rom. Entrambe le
cifre sono destinate a esplodere: nei prossimi tre anni le industrie
elettroniche pensano di vendere, in Europa, tra i 60 e gli 80 milioni
di calcolatori multimediali. Ecco perche' per i bambini nati negli
Anni 90 il computer fa parte dell'esperienza quotidiana: sono la
prima generazione per la quale il computer, piu' che videogioco,
sara' soprattutto uno strumento educativo e di autoformazione. Questo
grazie ai cd-rom, quei dischetti argentati da 12 centimetri di
diametro in cui la tecnologia e' riuscita a stivare intere
enciclopedie. Quasi una lampada magica del sapere (ma ci vuole un
raggio laser, non una strofinatina, per innescare la magia).
Immancabili, gia' si sono levati i moniti delle solite Cassandre:
«Non bastava la tv, ci voleva pure il cd-rom. I ragazzini non
sapranno piu' leggere, ne' ragionare con la loro testa». Per la
cronaca Platone, nel VI secolo a.C., faceva dire a un personaggio dei
suoi dialoghi che la scrittura e' disdicevole perche' finge di creare
al di fuori della mente cio' che puo' esistere solo al suo interno.
Pure la stampa a caratteri mobili, nel 1453, venne attaccata nello
stesso modo: «L'abbondanza di libri rende gli uomini meno studiosi,
azzera la memoria e debilita la mente». Se una ricerca scolastica
tradizionale si fa aprendo un libro e riassumendo le informazioni,
con un ipertesto la ricerca dei dati e' assai meno scontata. Proprio
perche' non c'e' un iter preordinato, non esiste una sequenza
stabilita dall'autore, sono i ragazzi stessi che devono spremersi le
meningi per capire dove andare a cercare le informazioni. Dunque
compiere ragionamenti e sillogismi, utilizzando le parole chiave piu'
efficaci per ottenere dati. E' banale, ma utile, ricordare che la
tecnologia e' neutra. Certo che se un genitore abbandona il figlio
dinanzi al computer, le conseguenze per il ragazzo possono essere
anche piu' gravi di quelle che puo' causare la tv. Ma se il computer
viene utilizzato con un adulto (mamma, papa', insegnante), il bambino
impara a costruire quello spirito critico che e' necessario avere
dinanzi a qualsiasi fonte di sapere. Quelli che vi presentiamo non
sono videogiochi o cd-rom giocattolo (che pure esistono, come gadget
in talune riviste), bensi' prodotti dai contenuti rigorosi e seri. Il
che non vuol dire seriosi. Uno dei vantaggi del sapere multimediale
e' proprio la possibilita' di fare scuola, di imparare, di studiare,
di condurre ricerche approfondite, senza rinunciare a un ingrediente
fondamentale dell'apprendimento: il gioco. Elemento fondamentale
nella crescita di un bimbo (e che aiuterebbe anche molti adulti a
vivere con piu' serenita'). Infine qualche dritta per capire se un
cd-rom e' fatto come si deve. Innanzitutto non compratelo mai a
scatola chiusa, e' vostro diritto «sfogliarlo» come si fa per un
libro. Che significa rivolgersi a librerie o software- house dotate
di un pc multimediale a disposizione del pubblico. Sono degli
indicatori di qualita' il numero dei filmati o delle animazioni, la
velocita' di navigazione, il numero dei link presenti in ogni
videata, l'agilita' dei motori di ricerca. Inoltre e' importante
trovare subito un'interfaccia gradevole e intuitiva, con la costante
disponibilita' di un Help efficace. Andrea Vico
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
NATURA
Un viaggio sul fondo del mare
OARGOMENTI elettronica, didattica, informatica
OORGANIZZAZIONI MICROSOFT
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS electronics, didactics, computer science
ECCO un titolo adatto per le vacanze estive: «Esploriamo l'Oceano»
della Microsoft (99 mila lire), espressamente studiato per i bambini
tra i 6 e i 10 anni. La maestra miss Frizzle accompagna i suoi alunni
a scoprire il mare: l'esplorazione puo' cominciare dalla spiaggia, ma
basta un click per trasformare lo scuolabus in un sottomarino e
affrontare cosi' i fondali piu' misteriosi, esplorare la barriera
corallina, avvicinare pesci d'ogni forma, scoprire i fanoni delle
balenottere, o come si forma il corallo. Questo cd e' praticamente un
documentario a cartoni animati, con immagini di buona fattura e una
simpatica colonna sonora (specie per quanto riguarda i versi degli
animali; a proposito: sapete che rumore fa il tursiope?) ed e'
l'utente stesso che stabilisce l'itinerario per la sua esplorazione.
Migliorabili i siparietti di stacco tra un ambiente e l'altro, a
volte un po' troppo lenti e ripetitivi. Azzeccatissimo il
«Curiosario», uno speciale apparecchio dove una cozza con gli
occhiali da sole vi raccontera' aneddoti e curiosita' sulle diverse
specie marine. Sul versante geografico segnaliamo il «Grande Atlante
del Mondo», e «Il mio meraviglioso giro del mondo», (entrambi della
Rizzoli New Media, 99 mila lire). Si puo' esplorare la Terra a caso,
girovagando sul mappamondo, oppure visualizzare i planisferi fisico e
politico e ingrandire le porzioni di carta geografica che ci
interessano. O, ancora, selezionare un Paese o una specifica
localita' tramite 5 differenti motori di ricerca. «Il mio primo
meraviglioso giro del mondo», e' adatto per bimbi dai 5 agli 8 anni.
Si tratta di un'affascinante introduzione interattiva al mondo della
geografia, assai coinvolgente e con una grafica divertentissima,
tramite ben 25 tour guidati, con oltre 200 animazioni. Si possono
mandare cartoline agli amici e raccogliere le esperienze che piu' ci
hanno colpito in un album, un personale diario di viaggio.(a. vi.)
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
INVENZIONI
Smontiamo il forno a microonde
OAUTORE A_VI
OARGOMENTI elettronica, didattica, tecnologia
OORGANIZZAZIONI DE AGOSTINI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS electronics, didactics, technology
PER capire come funziona il forno a microonde ci sono due sistemi:
smontarne, oppure spigolare tra le innumerevoli schede tecniche
raccolte nel cd-rom edito dalla De Agostini (99 mila lire), un
viaggio attraverso le tecnologie che, dalla scoperta del fuoco in
avanti, hanno contribuito a rendere piu' comoda la nostra vita. La
grafica e' di alta qualita' (ottimi, soprattutto, gli spaccati che ci
fanno vedere gli oggetti dal di dentro) e la consultazione agile e
versatile, con due legende a disposizione del navigatore che aiutano
a scoprire i segreti del funzionamento e i principi scientifici
dell'oggetto prescelto, nonche' sua la storia. Nello stesso filone si
colloca anche «Funziona cosi'» (un cd- rom prodotto dalla Dorling
Kindersley e distribuito dalla Rizzoli New Media, prezzo 99 mila
lire). Ve lo immaginate un mammut che si mette a spiegare il
funzionamento del laser, si fa imbrigliare e imbottire di elio per
sperimentare in prima persona il funzionamento della mongolfiera, o,
inforcati un paio di vezzosi occhiali, con le sue zampone digita
sulla tastiera di un computer? Ebbene, «Funziona cosi'», una ben
riuscita trasposizione nel campo multimediale del libro «Come
funzionano le cose» di David Macaulay, e' uno dei piu' originali e
divertenti cd-rom di divulgazione scientifica oggi disponibili. In
esso sono molto curati i particolari, efficaci le animazioni che
spiegano il funzionamento degli oggetti, intuitiva la consultazione.
E' anche possibile stampare testi e disegni, cio' che agli studenti
potrebbe risultare utile, ad esempio, per rendere piu' originale una
ricerca scolastica. Ma c'e' un difetto: l'anglofilia. Bell e' l'unico
inventore del telefono, di Meucci non c'e' traccia. Enrico Fermi e'
totalmente ignorato, cosi' come Leonardo da Vinci, che in fatto di
macchine ne sapeva qualcosa. (a. vi.)
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ENCICLOPEDIE
Navigando tra le parole scientifiche
OAUTORE A_VI
OARGOMENTI elettronica, didattica, informatica
OORGANIZZAZIONI DE AGOSTINI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS electronics, didactics, computer science
TRA le opere di tipo enciclopedico, «Omnia '97», della De Agostini
(199 mila lire) e' uno dei cd-rom piu' riusciti. Ricco di 52 mila
voci, 40 mila lemmi, quasi seimila immagini, trecento cartine
geografiche e una cronologia di circa 1800 eventi storici. Quattro
sono le sezioni principali, «Uomo e cultura», «Scienza e tecnica»,
«Ambiente e natura», «Arte e comunicazione», a cui fanno da contorno
tre atlanti, un dizionario, una mediateca, un gioco a quiz culturali
e un laboratorio multimediale per rimescolare le conoscenze acquisite
e costruirsi una sorta di libro personale. Grafica efficace (anche se
qualche comando non e' proprio immediato), sempre di ottimo livello
le immagini. I motori di ricerca sono agili ed e' possibile compiere
indagini incrociate su due o piu' parole chiave. Meno accattivante
dal punto di vista grafico (ma sui contenuti si puo' star
tranquilli), l'«Enciclopedia Zanichelli 1997» (realizzata da Opera
Multimedia, 198 mila lire, volume piu' cd-rom) e' la trasposizione su
disco ottico dell'omonimo e apprezzato dizionario enclopedico.
Contiene oltre 96 mila voci, arricchite da 10 mila tra immagini,
schemi, fotografie, animazioni e commenti sonori. Le modalita' di
consultazione sono tradizionali, il che la rende un prodotto ideale
per chi si avvicina al multimediale per la prima volta. La struttura
e' essenzialmente quella di Windows e cio' permette di tenere aperto
il programma mentre si stanno compiendo altri lavori. L'unica pecca
e' la difficolta' a compiere ricerche traversali o per tema. Per le
discipline scientifiche, l'opera senz'altro piu' completa e' «Il
mondo delle scienze», offerta dalla Utet a 350 mila lire, compreso il
volume. Un vero viaggio multimediale dall'ultrapiccolo
all'ultragrande. Come e' tradizione della casa editrice torinese, e'
un'opera assai curata dal punto di vista grafico e rigorosa dal punto
di vista scientifico. Piu' di 8 mila voci affrontate con vari livelli
di approfondimento e accompagnate da commento sonoro, 1000 tra
fotografie e disegni, 144 animazioni e 73 video per affrontare la
scienza a 360o. Inoltre, grazie all'apporto di scienziati di rilievo
il cd-rom contiene anche 100 testi descrittivi, quasi a formare un
libro a se' all'interno dell'opera. Numerosi i link tra gli
argomenti, a volte un po' troppo tranquilla la scenografia (per non
dire piatta). (a. vi.)
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IL PROGETTO TECHE
Da Ungaretti alla Carra'
Nasce un archivio multimediale della Rai
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI elettronica, didattica
OORGANIZZAZIONI RAI
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS electronics, didactics
IL cd-rom salvera' anche le fuggevoli immagini della televisione che,
nella cultura e nello svago, nella storia e nel costume, hanno fatto
l'Italia di oggi. Da Eduardo De Filippo al poeta Rafael Alberti, da
Toto' a Mina, da Raffaella Carra' alle Kessler. E' il Progetto Teche:
la Rai trasferira' su cd-rom e schedera' in un archivio digitale i
programmi piu' significativi realizzati in mezzo secolo di radio e
televisione. La sfida e' anche tecnologica. Un'ora di spettacolo
televisivo in forma digitale occupa 120 gigabyte di memoria. Cioe' un
centinaio di hard disk del tipo oggi comunemente installato sui
personal computer multimediali. Invece su un cd-rom ci sta poco piu'
di mezzo gigabyte. I Dvd ormai in arrivo hanno una capacita' 10-20
volte maggiore, ma siamo ancora lontani da 120 gigabyte. La soluzione
sta in raffinatissime tecniche per comprimere il segnale televisivo,
techiche nelle quali il Centro Ricerche Rai di Torino e'
all'avanguardia. Si arriva cosi' a stipare un'ora di Tv in 20
gigabyte. Ma se si pensa che negli archivi Rai si conservano
centinaia di migliaia di ore di programmi, e' chiaro che il Progetto
Teche e' un'impresa ciclopica. Il primo cd-rom e' in via di
realizzazione e riguarda «L'approdo» radiofonico. Una versione
preliminare e incompleta del cd e' stata gia' presentata al Salone
del Libro di Torino. Tutta la letteratura italiana contemporanea che
conta e' passata attraverso «L'approdo», rubrica benemerita che ebbe
tre vite: come trasmissione radiofonica, come trasmissione televisiva
e come rivista su carta. Il cd contiene le schede bio-bibliografiche
di 53 scrittori, dalle quali si puo' accedere ai 22 testi di copioni
radiofonici riportati; di molti e' possibile ascoltare la voce, di
tutti sono disponibili fotografie, di alcuni anche pagine
manoscritte. Cosi' poeti come Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba, Diego
Valeri, Alfonso Gatto, Enrico Pea, Carlo Betocchi entrano nell'era
multimediale, e con loro scrittori e saggisti come Riccardo
Bacchelli, Anna Banti, Andre' Maurois, Albert Camus, Gianna Manzini e
Roberto Longhi. La Direzione Audiovideoteche della Rai sta mettendo
on line il suo lavoro, via via che procede: lo potete trovare
all'indirizzo Internet http://www.rai.il/teche Tutti i filoni
televisivi sono gia' rappresentati in questa prima fase del lavoro di
archiviazione: «Aimez-vous l'Italie?» e' un programma di architettura
del paesaggio, «L'albero azzurro» una trasmissione per i bambini,
«Chi viene adesso?» un'antologia di varieta' televisivi, «Da Abbe a
Valeria» una antologia delle soubrettes televisive (Abbe Lane,
Kessler, Lola Falana, Carra', fino alla Parietti e alla Marini),
«Quei figuri di tanti anni fa» e' un atto unico del grande Eduardo De
Filippo. Piero Bianucci
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
«TUTTOSCIENZE» IN EDICOLA
Scoperte, la cronaca e' storia
In cd-rom le annate 1992-96 (cinquemila articoli)
OARGOMENTI elettronica, didattica, scienza, editoria
ONOMI BIANUCCI PIERO
OORGANIZZAZIONI TUTTOSCIENZE, LA STAMPA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS electronics, didactics, science, publishing
TUTTOSCIENZE e' stato un pioniere nel mondo dei cd-rom: fu il primo
giornale a trasformarsi in questi dischetti argentati che sono in
grado di contenere l'equivalente di un migliaio di libri. In questi
giorni e' in edicola un cd-rom che raccoglie gli ultimi cinque anni
di «Tuttoscienze», dal 1992 al 1996: quasi cinquemila articoli,
disponibili come testo a se' ma anche visualizzabili sulla pagina,
con relative illustrazioni; il tutto stampabile e fornito di un
sistema di ricerca che permette di «navigare» attraverso questa
enorme quantita' di informazioni di scienza e tecnologia cercando il
tema che interessa tramite parole-chiave. Il cd-rom di «Tuttoscienze»
e' accompagnato dal libro «Piccolo, grande, vivo» di Piero Bianucci,
da 16 anni responsabile di «Tuttoscienze» e autore di una ventina di
altri libri di divulgazione e di narrativa. Anche questo e' un
percorso attraverso le tappe piu' importanti della ricerca
scientifica di questi anni, dai quark alle galassie, passando per la
geofisica, la biologia e l'ecologia. Cd-rom e libro sono in edicola a
29.900 lire. Se per caso il vostro edicolante ne fosse sfornito,
potete farglielo richiedere al distributore. Oppure chiamare il
nostro numero verde: 167.80.2005, al prezzo di un solo scatto
telefonico. Gli anni '92-'96 hanno visto progressi scientifici di
grande importanza. Basti ricordare le straordinarie immagini che ci
sta inviando il telescopio spaziale, la scoperta del quark Top, la
lettura del patrimonio genetico umano, la bioingegneria, i nuovi
materiali creati in laboratorio. Su questi e su molti altri temi il
cd-rom contiene le informazioni piu' aggiornate. Anche il libro
«Piccolo, grande, vivo» (ora alla seconda edizione e tradotto in
spagnolo) e' fresco di giornata: accenna gia' alla possibile scoperta
di particelle oltre i quark annunciata ad Amburgo un paio di mesi fa
da un gruppo di fisici che comprende anche alcuni ricercatori
italiani.
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ENERGIA
Il futuro andra' a gas
Ci salveranno gli idrati di metano
OAUTORE PAPULI GINO
OARGOMENTI energia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS energy
FINALMENTE la caccia a nuove fonti di energia per il ventunesimo
secolo arriva a intravvedere prospettive promettenti. Questa ricerca
riguarda il settore dei combustibili fossili e prende il via da
avvenimenti di qualche tempo fa, legati allo sfruttamento di una
grande sacca di metano della Siberia, il cui contenuto era stato
stimato in 9 miliardi di metri cubi. L'estrazione del gas ebbe inizio
nel 1969 e si protrasse sino al 1987, quando il quantitativo di gas
aveva raggiunto i 14 miliardi di metri cubi. Fu poi accertato che la
imprevista maggiore resa del giacimento era dovuta alla esistenza -
sopra la sacca gassosa - di un consistente strato di idrati di metano
i quali, per effetto della depressurizzazione dovuta all'apertura dei
pozzi, avevano liberato il gas che contenevano, tenendolo
prigioniero. Gli idrati di metano sono, infatti, materiali solidi
cristallini, simili a neve o ghiaccio poroso, costituiti da molecole
di metano racchiuse in una gabbia reticolare formata da molecole
d'acqua unite attraverso legami a idrogeno. Gli idrati di metano sono
stabili in condizioni di alta pressione (piu' di 20 bar) e di bassa
temperatura (meno di 15 oC); condizioni che si riscontrano con molta
frequenza, specialmente nei fondali oceanici prossimi a Norvegia,
Canada, Stati Uniti, Centro America e Giappone, oltre che nel suolo
perennemente gelato (il «permafrost») delle regioni artiche. Secondo
i dati fornitici da «Infogas», l'energia che puo' essere ricavata
dagli idrati e' enorme: la quantita' di carbonio che questi
contengono - complessivamente stimata in circa diecimila miliardi di
tonnellate - e' oltre il doppio di quella presente in tutti i
giacimenti di petrolio, carbone e gas naturale messi assieme. Al
tasso di consumo odierno, il gas che se ne ricaverebbe potrebbe
soddisfare il fabbisogno mondiale per qualcosa come settemila anni.
Ed e' interessante notare che questo dato tendenziale trova riscontro
in una elaborazione sistemistica di Cesare Marchetti dello IIASA
(International Institute for Applied Systems Analysis) che concerne i
vari tipi di combustibili. Anche se l'industria petrolifera non ha
motivi impellenti di passare subito allo sfruttamento degli idrati di
metano, gli studi legati alle prospettive di utilizzo sono in pieno
svolgimento, in particolare da parte di Norvegia e Giappone. Si
ricerca, anzitutto, una tecnologia di basso costo per decomporre la
sostanza solida in metano ed acqua, agendo - come e' intuibile - sui
due parametri fisici che li rendono stabili: pressione e temperatura.
Il procedimento di depressurizzazione consiste nel perforare dei
pozzi che con il deflusso del gas abbassino la pressione a cui si
trova lo strato solido profondo (come si verifico' in Siberia). Con
il procedimento termico, invece, si inietta nei giacimenti acqua
calda o vapore per innalzare la temperatura al di sopra dei 15 oC: vi
e', dunque, l'impiego inevitabile di energia termica il cui costo
puo' essere giustificato quando rientri, ad esempio, nel bilancio di
un sistema di cogenerazione. Al momento attuale questi sistemi non
sono ancora competitivi rispetto ai costi di estrazione convenzionale
del gas, ma e' previsto che lo diventino in un prossimo futuro. Piu'
vicina sembra la soluzione del problema che riguarda il trasporto del
combustibile via mare: attualmente, come e' noto, questo trasporto
avviene dopo la liquefazione del metano e il suo caricamento in
speciali e costose navi con serbatoi criogenici mantenuti a circa
-160 oC. Appare piu' agevole, quindi, trasformare il gas in idrati
(un metro cubo di idrati puo' contenere sino a 180 metri cubi di
metano) e trasferire questi a mezzo di navi dotate di semplici
serbatoi coibentati e pressurizzati per carichi solidi, effettuando,
all'arrivo, la riconversione di gas e acqua mediante riscaldamento
con acqua di mare a temperatura naturale. Ma mentre vi sono ancora
divergenze circa le tecnologie di utilizzazione tutti sono d'accordo
sul fatto che al «metano solido» sia riservato un ruolo strategico
nel futuro dell'umanita'. Gino Papuli
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. EUROPA-USA
La lezione del robottino su Marte
OAUTORE MALERBA FRANCO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OORGANIZZAZIONI NASA, SOJOURNER
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
GLI americani hanno celebrato il loro Independence Day con il ritorno
alla grande esplorazione spaziale in un clima di euforia. Wall Street
si rassicura perche' la disoccupazione, scesa dopo vent'anni sotto il
5%, non si combina con una crescita troppo alta, potenzialmente
inflativa. Gli americani ritrovano il gusto del rischio, delle
imprese difficili, perche' e' tornata la fiducia di poterci riuscire.
Nella telefonata di congratulazioni al capo della Nasa Dan Goldin,
appena qualche minuto dopo che la sonda Pathfinder aveva inviato i
primi segnali da Marte, Al Gore ha accennato a un altro programma
spaziale strategico americano chiamato in codice X.33, il nuovo
Shuttle per gli anni 2010, che ridurra' da 10 a 1 il costo dei lanci
in orbita. Anch'esso e' un programma di frontiera tecnologica e
quindi ad alto rischio, eppure e' cofinanziato da capitali
dell'industria e dal governo americano; se avra' successo togliera'
di mezzo la competizione internazionale (europea specialmente) nel
mercato dei lanciatori commerciali. Ci son voluti solo quattro anni
per immaginare e realizzare questa missione «Mars Pathfinder», che
anche per questo costa relativamente poco. Sono i primi effetti della
politica Nasa «faster, cheaper, better», piu' in fretta, a minor
prezzo e meglio, che tende a responsabilizzare l'industria per
ridurre i costi delle missioni utilizzando al massimo le tecnologie
commerciali. Molte cose ci rivela dunque il robottino Sojourner.
L'America non ha piu' paura della «globalizzazione». L'industria ha
riacquistato competitivita' attraverso fusioni e consolidamenti che
hanno come riferimento il mercato mondiale. Si sono persi posti di
lavoro nelle ristrutturazioni ma se ne sono creati altrettanti di
nuovi in professionalita' avanzate. L'amministrazione Clinton sembra
oggi piu' preoccupata della forza globale dell'industria americana
sui mercati internazionali che dei rischi di posizioni dominanti sul
mercato domestico: le proteste europee di fronte alla fusione
Boeing-McDonnell trovano orecchie da mercante nelle autorita'
antitrust americane: e' una manovra di recupero del mercato di Airbus
sui mercati internazionali! Il robottino che si muove su Marte ci
dovrebbe colpire non solo perche' ci da' l'emozione della ricerca
della vita extraterrestre, ma anche perche' ci avverte che e' suonata
la campana di un altro giro di pista in una gara in cui gli americani
sono in testa mentre noi siamo ancora in sur place. Ci cullavamo
nell'idea che gli Usa avessero buttato via un sacco di soldi col
programma Apollo dello sbarco sulla Luna solo per portare indietro
qualche pietra e prendersi gioco dei sovietici, ed ecco che ora ci
riprovano; a chi vorranno dare una lezione ora? Pensavamo che le
guerre stellari fossero politica voodoo escogitata da Reagan e dai
suoi pazzi consiglieri per far paura al Cremlino, ma scopriamo che
quel programma ha aperto agli americani - e per ora solo a loro - il
mercato dei servizi di posizionamento e di navigazione via satellite
(il Gps) che sta rivoluzionando i trasporti quanto le scoperte di
Marconi con la telegrafia senza fili. L'Europa arranca sulla strada
del futuro. La Commissione Europea ha lavorato molto sul tema della
competitivita' delle nostre industrie e ha identificato
nell'informatizzazione, nelle biotecnologie e nello sviluppo
rispettoso dell'ambiente le opportunita' di crescita, di occupazione
e di nuova ricchezza: ma proprio qui stiamo accumulando ritardi nella
ricerca, nel quadro normativo, negli investimenti. Le nuove
tecnologie sono «leggere» ma richiedono investimenti «pesanti» in
ricerca e sviluppo, sono facilmente delocalizzabili dove le
condizioni per l'investimento sono piu' favorevoli, dove la risorsa
lavoro e' piu' preparata e mobile. Ma soprattutto la nostra cultura
e' refrattaria al cambiamento. Tutto abbiamo fatto per rendere rigida
la societa', dalla politica dell'educazione e della ricerca a quella
del lavoro e della casa: ci siamo tolti la possibilita' di premiare
il rischio, abbiamo sterilizzato la liberta' di inventare il futuro.
Franco Malerba Astronauta Deputato al Parlamento Europeo
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
METEOROLOGIA
Ma puo' El Nino dal Pacifico influire sulla nostra estate?
OAUTORE MONETTI GIORGIO
OARGOMENTI meteorologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS meteorology
I climatologi annunciano un'estate molto calda, con conseguenti
situazioni meteorologiche come alluvioni, allagamenti e anche
siccita' con temperature molto elevate. Come causa indiretta di tutto
questo si e' parlato di «El Nino», fenomeno ricorrente che si
manifesta lungo le coste Pacifiche del Sud America. Di che si tratta?
«El Nino» e' un riscaldamento anomalo delle acque oceaniche che
provoca modifiche strutturali al flusso regolare e quasi costante
delle correnti fredde di Humboldt o del Peru'. Circa la genesi di
questo riscaldamento, studi approfonditi di scienziati americani e
inglesi fanno ritenere che l'innesco saltuario sia favorito
dall'attivita' vulcanica sottomarina. I pescatori peruviani, che per
primi intorno al XVII secolo scoprirono questa corrente, la
chiamarano «El Nino», denominazione che deriva da Bambino, intendendo
il Bambino Gesu' poiche' questo fenomeno irregolare ha inizio intorno
a Natale. E' una corrente che si origina nell'Oceano Pacifico fra la
Papuasia Nuova Guinea e la Micronesia e scorre fino alle coste del
Peru', attraversando tutto l'Oceano. La sua frequenza e' ad
intervalli di 3-8 anni, specie quando il mare a Nord della Nuova
Guinea raggiunge temperature superiori a 30o. In termini generali, e'
noto che le correnti marine o oceaniche sono flussi o movimenti di
masse d'acqua che si spostano orizzontalmente con moto regolare e
quasi costante. Questi trasferimenti sono principalmente dovuti alla
diversa densita' delle acque, alla salsedine, alla loro differente
temperatura, alla spinta dovuta all'attrito delle correnti
atmosferiche sulle acque e all'effetto dinamico della rotazione
terrestre. Le correnti marine equatoriali, relativamente piu' calde e
salate, risalgono verso le latitudini piu' fredde come la Corrente
del Golfo mentre quelle antartiche piu' fredde e pressoche' dolci,
scendono dalle latitudini piu' alte verso l'equatore come la corrente
del Peru'. In realta' la pesca delle acciughe al largo delle coste
del Peru' dipende molto dalla risalita verso le coste delle acque
fredde e profonde, apportatrici in superficie del plancton, elemento
base nutritivo. Quando cio' non succede si hanno indubbie
ripercussioni sulle abitudini alimentari dei pesci, compromettendo in
parte l'industria ittica nel Peru'. Per avere una conferma del
fenomeno e' sufficiente raffrontare le statistiche di questo secolo
dove lo scarso regime di pescosita' peruviano coincide con la
presenza del «Nino» nell'Oceano Pacifico e le estati piu' calde
verificatesi sulla Terra negli anni 1909 - 1983 - 1987 - 1988 - 1990.
Ora, per spegnere insensati allarmismi, cio' che potra' accadere
nelle zone del Pacifico interessera' marginalmente le nostre regioni
sia per distanze geografiche che per conformazione geomorfologica. E'
indubbio pero' che «El Nino», come ha dimostrato nel passato,
partecipa in parte attivamente al processo di riscaldamento globale
del nostro pianeta con mutamenti delle caratteristiche fisiche e
dinamiche delle masse d'aria e variazioni dei venti, delle piogge e
della siccita'. L'atmosfera terrestre e' un sistema interattivo. Le
masse d'aria e le condizioni atmosferiche di una zona non possono
essere considerate come entita' a se' stanti, poiche' modificandone
una parte viene modificato il tutto. Le oscillazioni climatiche
possono essere causate dagli eventi atmosferici di altre regioni, e
viceversa. Potremo quindi attenderci anche noi sul nostro continente
temperature elevate ma non tali da provocare come nel passato
siccita' in Australia e riduzione della circolazione monsonica nel
Sud-Est asiatico. Giorgio Minetti
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. SUL FONDO DEL MEDITERRANEO
In mare a pesca di neutrini
Progetto per catturare sfuggenti particelle cosmiche
OAUTORE PRESTINENZA LUIGI
OARGOMENTI fisica
ONOMI MIGNECO EMILIO
OORGANIZZAZIONI NESTOR
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics
UN telescopio in fondo al mare, per catturare neutrini ad alta
energia. E' un progetto che ha gia' trovato al largo delle coste
greche, nella «fossa di Matapan», dove il Mediterraneo tocca
quattromila metri di profondita', un principio di realizzazione: ma
promette sviluppi anche piu' importanti, a livello internazionale,
indicati in un convegno di fisici che si e' tenuto di recente a
Taormina e che ha trovato tutti i ricercatori d'accordo nel valutare
positivamente non solamente l'idea (avanzata dai russi Markov e
Zheleznykh nel 1960) ma anche le possibilita' interdisciplinari di un
rivelatore che sfrutti una «vasca» naturale di un chilometro cubo di
volume, evidentemente realizzabile soltanto in mare. La collocazione
nel Mediterraneo pare ottimale, perche' si tratta di un mare di acque
limpide, dotato di profondita' adeguate anche attorno alle coste
italiane (si pensa a un'altra «fossa» nel Tirreno, a Nord
dell'isoletta di Ustica o a una terza a Sud di Pachino, punta
meridionale della Sicilia). Favorevoli anche le caratteristiche
meteorologiche e delle correnti marine nonche' la vicinanza a siti
costieri tecnologicamente sviluppati, cominciando dal laboratorio
nucleare dell'Infn a Catania, di cui e' vicepresidente nazionale
Emilio Migneco, organizzatore del convegno taorminese. Dunque, mentre
i greci vanno avanti col loro progetto «Nestor», ispirato al mitico
re di Pilo, eroe dei poemi omerici, si pensa anche piu' in grande. E
si calcola che ci vorranno circa 200 miliardi per un rivelatore
gigante, utile non soltanto per studiare quelle elusive particelle
che sono i neutrini (privi come e' noto di una massa rilevabile) ma
anche per risalire attraverso la «cattura» di quelli ad alta energia
sino a galassie primitive, se non addirittura ai primi ammassi
irregolari e disomogenei di materia che seguirono di poco il Big
Bang. Ecco cosi' coinvolti gli astrofisici; ma lo sono anche i
geofisici, perche' il grande rivelatore (occorre immaginare un ampio
cilindro con 15 o 16 «stringhe» montanti per centinaia di metri)
catturera', con la «fronte» verso il basso, neutrini che avranno
attraversato l'interno della Terra. Le esperienze gia' tentate
appaiono incoraggianti circa le soluzioni tecniche che possono
portare al rivelatore di un chilometro cubo: oltre a quella di
Matapan, quanto hanno gia' fatto i russi nel Lago Baikal, gli
americani sui ghiacciai antartici («Amanda»), i francesi col progetto
«Antares». Riunendo le forze ed evitando le difficili condizioni
ambientali di impianti nell'Antartide o in Siberia, si puo' puntare a
migliorare di molto i risultati preliminari fin qui ottenuti, ad
esempio nel Baikal. I «telescopi» per neutrini che si realizzeranno
al largo delle coste mediterranee comprenderanno molti «piani» e un
complesso di fotocatodi (con superficie sensibile alla luce, tale da
rendere sotto forma di segnali luminosi l'impatto dei neutrini),
recanti in cima una «stella», una grossa sfera di titanio che fa da
moltiplicatore di luce. «Nestor» sara' alto circa 300 metri: ogni
«stella» verra' collegata a un computer da cavi di fibre ottiche, che
nell'insieme sommeranno 30 chilometri di lunghezza. Il rivelatore da
impiantare a Ustica o a Pachino sarebbe circa quattro volte piu'
grande, sommando 1300 metri d'altezza; e i dati sarebbero riversati
direttamente in un centro di Catania. Il workshop di Taormina,
confermando il grande interesse scientifico del progetto, ha
raccomandato l'istituzione di un Comitato di consultazione con la
partecipazione dei Paesi interessati per orientare l'attivita' dei
gruppi operanti e curare l'analisi delle tecnologie sottomarine per
la costruzione, sistemazione e manutenzione dell'osservatorio
permanente; per integrare progetti interdisciplinari in quello
globale; per avviare lo studio e la caratterizzazione dei siti
candidati all'installazione e promuovere l'accordo fra i vari Paesi
per la realizzazione, che richiedera' vari anni. Luigi Prestinenza
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. LA SCIMMIA LANGUR DELLO YUNNAN
Cibo, solo licheni
Vita dura in ambienti estremi
OAUTORE BOZZI MARIA LUISA
OARGOMENTI zoologia
ONOMI KIRKPATRICK CRAIG
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
HA il naso camuso di un pugile e le labbra rosse e tumide di
Francesca Dellera la scimmia langur, ultimo tesoro della
biodiversita' cinese. A renderla speciale sta il fatto che si nutre
esclusivamente di licheni, come fosse una renna, e che vive in
«greggi» di centinaia di individui, come fosse una pecora. Lo
scienziato che ha scoperto queste sue atipiche abitudini, Craig
Kirkpatrick dell'Universita' di California, a Davis, sta cercando di
salvarla dall'estinzione, impedendo la distruzione del suo ambiente
dal crescente sviluppo dell'economia cinese. La scimmia dal naso
camuso e le labbra rosse ha dorso nero e torace bianco, braccia e
coda molto lunghe di chi spende la vita sugli alberi e si chiama
Rhinopithecus bieti. Abita nella provincia cinese dello Yunnan in
foreste di conifere di remote montagne alte piu' di 5000 metri,
appartenenti alla catena himalayana al confine con il Tibet. Un
ambiente isolato, freddo e ostile per il gruppo di scienziati
(l'ecologo americano piu' tre colleghi cinesi) che ha speso qui 16
mesi in condizioni estreme per scoprire le abitudini finora
sconosciute di questo singolare primate. I languridi (molto diffusi
in Asia: in India sono le scimmie sacre di numerosi templi) sono
animali tipicamente arboricoli con una serie di adattamenti a una
dieta a base di foglie che mangiano in gran quantita': denti affilati
per tritare i tessuti fibrosi e stomaco complicato di ruminante con
annesso kit di batteri per digerire la cellulosa, una versione
«alternativa» dell'amido che solo certi organismi unicellulari sono
in grado di attaccare. Sebbene dotata di queste caratteristiche
anatomiche tipiche di ogni bravo langur, la nostra ignora le foglie
per un cibo piu' tenero, piu' digeribile, che cresce abbondante sui
rami degli abeti, si trova tutto l'anno, e' facile da raccogliere e
senza fastidi di competizione con altri animali: lichene del genere
Bryoria, dal basso contenuto proteico, alta concentrazione di
zuccheri, scarse fibre e pochi tannini, privo di stricnina e derivati
fenolici presenti in certi vegetali, tossici anche in minima
concentrazione. Il lichene non e' certo una dieta usuale per un
mammifero, tant'e' che solo le renne per quel che ne sappiamo
ricorrono a questa fonte di cibo, ma la Cina e' avvezza agli animali
eccentrici, dal momento che poco lontano da qui abita l'unico esempio
di orso vegetariano, il panda, dedito alla canna di bambu', verdura
ugualmente poco appetita da altri animali. Ma il lichene e' un cibo
povero, che garantisce la sopravvivenza soltanto se ingerito in
grande quantita', equivalente per la nostra scimmia a 840 grammi al
giorno. L'effetto collaterale di tale dieta e' che la velocita' di
crescita di un lichene e' incredibilmente lenta: 15 anni, secondo i
calcoli di Kirkpatrick, il che costringe le scimmie a spostarsi di
continuo su un territorio molto vasto. La struttura sociale tipica
dei languridi e' la famiglia poligamica, formata da un maschio, le
sue numerose femmine e i loro figli. La scimmia dal naso camuso dello
Yunnan in un certo senso ha allargato il concetto, perche' piu'
famiglie (per l'esattezza da 15 a 18) vivono insieme per un totale di
circa 175 animali. Immaginateli tutti insieme sui rami degli abeti a
far man bassa di licheni e avrete un'idea che non si tratta proprio
di una situazione usuale. La truppa rimane compatta anche negli
spostamenti e durante le ore del riposo notturno. Sebbene i primati
tendano a vivere in grandi gruppi, perche' queste particolari scimmie
stiano insieme in cosi' gran numero non e' ben chiaro; pero' il
gregge e' una misura antipredatoria come ben sanno le pecore (in
mezzo a tanti individui la probabilita' di essere catturati
diminuisce), in secondo luogo la distribuzione del lichene in vasti
appezzamenti promuove la formazione di grandi gruppi piuttosto che di
piccole unita' familiari. Fatto sta che per mantenere saldi i legami
all'interno del gruppo le scimmie dedicano il 10% del tempo a
spulciarsi l'una con l'altra senza barriere fra le famiglie.
Evidentemente il vantaggio di stare insieme supera di gran lunga i
costi, che Kirkpatrick da bravo ecologo ha calcolato al centesimo,
con la precisione di un cambusiere. Una dose quotidiana di 840 grammi
per individuo corrisponde a un totale di 160 chili di lichene per
tutta la truppa, che implica uno spostamento di 1 chilometro e mezzo
su una superficie di 0,8 ettari al giorno. In un anno fa 3 chilometri
quadri, da ricavare, tenuto conto dei tempi di rigenerazione del
lichene, in un territorio di 25 chilometri quadrati che costituisce
piu' o meno la proprieta' privata di ogni gruppo. Ed ecco che si
arriva al punto cruciale della storia: come avrete gia' capito la
scimmia dal naso camuso dello Yunnan non e' un animale comune. Si' e
no ne rimangono circa 2000, un numero che non fa ancora scattare un
campanello d'allarme se rimane tale, ma che indica che la popolazione
e' a rischio, perche' e' profondamente legata a un ambiente fragile.
Per vivere ha bisogno di grandi estensioni, di quelle precise foreste
di conifere dove cresce il lichene Bryoria. Ma il recente sviluppo
economico della Cina, che tanta ammirazione suscita in Occidente,
comporta una massiccia distruzione dell'ambiente. Nelle zone piu'
remote le foreste sono una risorsa che garantisce quel qualcosa di
piu' di un piatto di riso a cui legittimamente oggi ogni cinese
aspira; pero' a farne le spese sono le specie rimaste «intrappolate»
durante la loro evoluzione nelle valli delle montagne himalayane e
percio' uniche di questi posti. Anche la foresta dello Yunnan della
nostra scimmia, nonostante faccia parte di una riserva, e' entrata in
un piano di abbattimenti per sostenere l'industria del legname. Il
piano e' poi stato congelato per intervento di alte personalita'
dello Stato, fra cui il ministro della Scienza e tecnologia di
Pechino. Kirkpatrick guarda fiducioso a questo intervento come a un
segnale di cambiamento di rotta nella tutela dell'ambiente in Cina.
Se fosse vero, avremmo una ragione in piu' di ammirazione. Maria
Luisa Bozzi
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. VITA DI SEPPIE
Per gli amori luci e colori
OAUTORE FABRIS FRANCA
OARGOMENTI etologia, zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ethology, zoology
MIMETIZZATE fra la sabbia e i sassolini, le seppie (Sepia fillousci,
un tempo chiamata Seppia offici nalis) passano la loro giornata nel
substrato morbido, per divenire attive verso le ore notturne. Allora
vanno a caccia di crostacei, uova e pesciolini. Animali predatori,
hanno sempre un occhio vigile che le avverte se si avvicina una
vittima. In questo caso il dorso e le braccia sono percorse da
un'onda di colore e il loro corpo si presenta a fasce longitudinali a
macchie nere. La seppia poi scivola sulla sabbia, spinta dall'acqua
espulsa dall'imbuto e si avvicina alla preda. Giunta alla distanza
giusta, le braccia prensili scattano con una rapidita' e un'abilita'
straordinaria e la afferrano con le estremita'. Fa quindi scomparire
nelle tasche i due tentacoli piu' lunghi, mentre le altre otto
braccia immobilizzano la vittima che viene portata alla bocca e
triturata dalle rubuste mascelle cornee a forma di becco di
pappagallo rovesciato. Se qualcuno la molesta o se viene attaccata si
difende emettendo una nuvola di inchiostro, prodotto da una ghiandola
impari dell'intestino terminale ed espulso attraverso l'imbuto.
Secondo studi recenti sembra che il nero di seppia non abbia solo
funzione mimetica, ma che riesca anche ad annullare l'olfatto dei
predatori. Per spostarsi usa le pinne laterali, che ondeggiano
scintillando di colori e talvolta si aiuta con le braccia inferiori
utilizzate a mo' di remi. Procede all'indietro utilizzando l'acqua
espulsa violentemente dall'imbuto. L'epidermide, sottile e
trasparente, e' ricca di ghiandole. Vi e', inoltre, un derma
pluristratificato gelatinoso nel quale si trovano i cromatofori. E'
appunto dalle contrazioni e dilatazioni di questi che si sviluppa
tutto un gioco di disegni e colori, mentre gli iridociti degli strati
epidermici piu' profondi, rifrangendo i raggi luminosi, danno luogo
al caratteristico colore madreperlaceo. Le linee assumono un disegno
diverso a seconda che l'animale nuoti attivamente su un fondo scuro o
chiaro o con macchie nere se viene disturbato. Nel periodo della
riproduzione la seppia assume una serie di vistose linee zebrate
marrone e viola sul dorso, mentre la parte ventrale e' macchiata di
blu-verde. Le colorazioni fanno da richiamo ai maschi. Nel periodo
degli amori le seppie femmina salgono a frotte dalla profondita'
verso la superficie. La luce emanata dai loro corpi fa da richiamo ai
maschi che accorrono rincorrendo la femmina e attaccandosi ai
tentacoli. Quando avviene l'accoppiamento i due corpi si trovano
l'uno di fronte all'altro. Le braccia si intrecciano come due mani
con le dita incrociate. Quindi le spermatofore vengono trasferite
nella borsa copulatrice femminile. La coppia rimane unita a lungo, a
volte fino alla morte della femmina, poiche' le uova vengono deposte
dopo varie ore. Ogni uovo esce dall'imbuto e, giunto sulla punta dei
tentacoli, viene fissato su un'erba, un corallo o su una pianta
acquatica. A volte si tratta di piu' di 500 uova mature dalla forma
di grappolo, tanto da essere chiamate «uva di mare». Gli occhi sono
muniti di iride, di un cristallino e hanno un certo potere di
accomodamento. Sorprendente e' la capacita' di percepire la direzione
del piano di polarizzazione della luce il cui meccanismo non e'
ancora stato spiegato. Si sa pero' che l'intensita' dalla luce e'
percepita nella seppia comune da ben 70 milioni di cellule visive
(nell'uomo ve ne sono 50 milioni). Gli occhi sono in grado di
riconoscere il giallo e il blu. Le seppie un tempo venivano usate in
campo medico (di qui il termine officinalis) poiche' si riteneva che
le loro carni fossero afrodisiache e le uova servissero a curare asma
e infezioni oculari. Il nero di seppia era usato nell'industria dei
colori. Franca Fabris
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. MONITORAGGIO ALIMENTARE
Frutta, verdura e fitofarmaci
Campioni irregolari nel 2,1 per cento dei casi
OAUTORE BASSI PIA
OARGOMENTI alimentazione, ecologia, inquinamento
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS nourishment, ecology, pollution
OGNI anno il ministero della Sanita' informa l'opinione pubblica sui
residui degli antiparassitari nei prodotti ortofrutticoli. La
conferenza stampa tenutasi a Milano, con l'apporto di Agrofarma
(Federchimica), ha reso noti i risultati del monitoraggio del primo
semestre 1996 effettuato su tutto il territorio nazionale. I campioni
di prodotti agricoli e ortofrutticoli (italiani e di importazione)
prelevati nei punti di commercio, negozi, supermercati, cooperative
di produttori, aziende alimentari, sono stati 7194, il 65 per cento
in piu' di quanto previsto dalla legge del 1992. Il numero di
campioni privi di residuo e' pari al 64,5 per cento, il numero di
prodotti con residuo entro il limite legale e' pari al 33,4% e i
campioni irregolari il 2,1%. Il numero dei campioni irregolari e'
rimasto invariato rispetto al 1995 mentre si e' dimezzato rispetto al
1993 e 1994. Le irregolarita' si sono riscontrate in percentuali
maggiori negli ortaggi rispetto alla frutta. Le riportiamo in
dettaglio, in ordine decrescente. Nella frutta al primo posto le
ciliegie con 7,5% dei prelievi risultati irregolari, seguite da
pompelmi 6,6, fragole 3, kiwi 2,5, albicocche 1,9, prugne 1,8, uva
1,8. Analogamente per gli ortaggi il sedano 15,5%, sedano- rapa 9,3,
bietola da costa 8,6, bietola da foglia 8,1, lattuga 4,7, spinacio
3,7. Il monitoraggio tiene presente anche la provenienza dei prodotti
che sono stati classificati in prodotti nazionali, Paesi U.E., Paesi
terzi. Le sostanze attive ricercate nella frutta sono state 283 e
negli ortaggi 286. La ricerca e' mirata soprattutto su quelle
maggiormente contaminanti. Alcuni esempi: nei pompelmi e' stato
trovato il metalaxil, fungicida; nelle fragole, uve, kiwi e mele il
carbendazim, fungicida; nelle mele il fitoregolatore difenilammina;
nei kiwi, pompelmi, fragole e arance l'insetticida metidation;
nell'uva, ciliegie e albicocche l'insetticida acefate. Negli ortaggi
sedano, lattuga, spinaci, zucchino, bietole, sedano-rapa e' stato
trovato il fungicida clorotalonil. Un altro fungicida ditiocarbammati
nel sedano e nella lattuga, l'insetticida clorpinfos-etile nel
sedano, il fungicida vinciozolin nel pomodoro, sedano, lattuga e
sedano-rapa, il fungicida procimidone nel sedano. Il sedano e'
l'ortaggio che subisce piu' trattamenti in campo essendo molto
appetito da insetti, molluschi e parassiti. In ogni caso e' bene
sapere che il limite di sicurezza tossicologica e' molto piu' alto
rispetto alle soglie imposte dalla legge, il cui superamento non e'
dunque mai pericoloso per la salute. Il trattamento chimico e'
indispensabile sia per garantire l'abbondanza del raccolto, sia per
preservare dal naturale degrado le derrate alimentari che dal luogo e
dal momento della raccolta devono raggiungere i piu' remoti luoghi di
consumo, passando attraverso lunghe e diverse fasi di stoccaggio,
distribuzione e vendita. L'agricoltura industriale non puo' fare a
meno dell'uso dei fitofarmaci, con le nuove tecniche agronomiche ne
razionalizza l'uso traendone il massimo profitto. Agrofarma prevede
che nel 2000 il mercato dei fitosanitari sara' costituito per il 90
per cento da prodotti chimici e solo per il 10 per cento di agenti di
natura biologica o integrata. La Commissione europea, con la
direttiva 91/414 sull'immissione in commercio dei prodotti
fitosanitari (omologazione europea) ha previsto la revisione di circa
800 principi attivi e 8000 prodotti commerciali che dovra' essere
effettuata nei vari Paesi. In Italia, al pari di Germania, Francia e
Gran Bretagna, dovrebbe essere istituita un'agenzia che, entro il
2003, porti a termine la revisione dei circa 800 principi attivi (e
8000 prodotti commerciali) attualmente in uso in Europa, per
valutarne la tossicita', con i nuovi mezzi d'indagine. Consigli per
ridurre i residui da alcuni tipi di frutta e verdura? Lavaggi con
acqua corrente fredda o tiepida, anche con l'aggiunta di sale o
bicarbonato, l'eliminazione abbondante della buccia e delle foglie
piu' esterne, pulizia con un panno di cotone. Frutta e verdura,
soprattutto consumata fresca, sana e ben conservata, sono cosi'
fondamentali nell'alimentazione per il loro contenuto vitaminico e di
sali minerali, che la presenza di minime percentuali di fitofarmaci
non deve indurci a non farne consumo.Pia Bassi
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Trapianto del cervello?
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI KAROLINKSA INSTITUTE
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS research
E' possibile il trapianto del cervello? Benche' da tempo al
Karolinska Institute di Stoccolma si stia lavorando al trapianto di
neuroni, se si interpreta la domanda alla lettera la risposta e' no.
Ma incomincia ad essere pensabile qualcosa di ancora piu'
sconvolgente: il trapianto di una testa, con il suo cervello, e
quindi con la sua personalita', su di un altro corpo che invece, per
cause traumatiche, sia giunto alla morte cerebrale. E' quanto e'
emerso da un servizio che e' andato in onda recentemente a
«Leonardo», il tg scientifico di Raitre. Girolamo Mangano ha
intervistato a Cleveland (Ohio) il chirurgo Robert White, che dopo
aver iniziato la sperimentazione fin dagli Anni 60 sul babbuino sta
ora studiando la fattibilita' del «total body transfer». Naturalmente
la difficolta' per ora insuperabile e' quella di collegare il midollo
spinale, per cui il trapiantato rimarrebbe paralizzato. White, che e'
membro della Pontificia Accademia delle Scienze, minimizza, invece,
gli aspetti bioetici connessi al «total body transfer»: «La sola
differenza rispetto ai trapianti gia' oggi comuni e' di tipo
psicologico e dipende dal fatto che non vediamo dall'esterno un rene,
un cuore o un fegato innestati, mentre in questo caso testa e corpo
uniti dal chirurgo sono realta' esterne».
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
A Milano una mostra sui gorilla
OGENERE breve
OARGOMENTI zoologia, mostre
OORGANIZZAZIONI BRITISH COUNCIL
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)
OKIND short article
OSUBJECTS zoology, exhibition
Al British Council di Milano, in via Manzoni 38, e' in corso la
mostra del fotografo inglese Tony Stringer, sui gorilla di montagna
del Ruanda. La popolazione dei gorilla, nelle foreste che coprono la
catena vulcanica di Virunga al confine con il Congo, e' di appena 400
esemplari, quindi al limite della sopravvivenza della specie. La
guerra civile nella regione, non ancora terminata, non ha solo
provocato centinaia di migliaia di vittime e profughi, ma ha anche
messo a soqquadro l'ambiente naturale. La mostra restera' aperta fino
al 29 luglio. Riprendera' poi dal 27 agosto al 15 settembre.
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Laurea in scienza dei materiali
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
Dopo Torino e Padova, Milano ha istituito un corso di laurea in
scienza dei materiali della durata di 5 anni. Per informazioni:
02-706.36.444.
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Giornalisti scientifici dieci borse di studio
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OORGANIZZAZIONI REGIONE TOSCANA
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
La Regione Toscana ha bandito un concorso per dieci borse di studio
(dieci milioni ciascuna), per giovani laureati in discipline tecniche
e umanistiche, nell'ambito del progetto «Tasti», Telematics Agency
for Scientific and Technological Information. Lo scopo e' «formare
giornalisti scientifici su WWW, ovvero divulgatori di innovazione
tecnologica e scientifica finalizzata al sostegno dell'attivita'
produttiva delle piccole e medie industrie in Toscana». Per altre
informazioni, Paolo Manzelli, Universita' di Firenze: 055-33.25.49.
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Un'estate a guardare le stelle
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy
Dall'1 al 3 agosto, stage astronomico all'Osservatorio Serafino Zani
di Lumezzane (Brescia), 830 metri d'altezza. Sono in programma
lezioni e proiezioni di astronomia, astronomia al computer,
osservazioni al telescopio «di cielo profondo» (ammassi, nebulose,
galassie), esperienze di astrofotografia e astronomia digitale.
Relatori e conduttori Matteo Damiani, Sergio Foglia, Wladimiro
Marinello e Giampaolo Pizzetti dell'Unione Astrofili Bresciani.
Iscrizione 30 mila lire. Numero massimo partecipanti dieci.
Informazioni: 030-871.861. Martedi' 22 luglio invece, ultima delle
serate a tema: «L'evoluzione delle stelle»; relatore Claudio
Bontempi. Ingresso libero.
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Cercare lavoro su Internet
OGENERE breve
OARGOMENTI comunicazioni
OORGANIZZAZIONI INTERNET
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS communication
Per inserire il proprio curriculum nelle rete telematica Progetto
Lavoro, ci si puo' collegare al sito «Progetto lavoro on web»:
http://www.lavoro.com. Le aziende, per accedere al servizio, e
disporre degli skill professionali anonimi preselezionati, devono
richiedere la pass word. Per altre informazioni ci si puo' rivolgere
al numero 02- 777.01.81.
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. LA MALARIA NEL MONDO
Il rischio numero uno
Ancora oggi da 300 a 500 milioni di casi
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
LA malaria e' l'infezione numero uno del mondo: ogni anno da 300 a
500 milioni di nuovi casi, e da 1,5 a 3 milioni di morti (soltanto la
tubercolosi uccide di piu'). Il 90 per cento dei casi si manifesta in
Africa al Sud del Sahara, i rimanenti in India, Brasile, Sri Lanka,
Vietnam, Colombia, Isole Salomone...; il problema riguarda 90 Paesi
con un totale di 2,4 miliardi di persone, il 40 per cento della
popolazione mondiale. Come si vede l'Europa e' attualmente indenne,
ma casi sporadici possono aversi in seguito ai viaggi sempre piu'
frequenti. Cosa piu' unica che rara, la malaria e' il rischio numero
uno nonostante che da oltre un secolo se ne conosca la causa, e che
esattamente cento anni fa l'inglese Ronald Ross abbia descritto il
particolare ciclo di evoluzione dei parassiti malarici nelle zanzare
(grandissimi contributi diedero in quell'epoca anche gli italiani
Marchiafava, Celli, Grassi, Golgi). L'infezione e' causata da
protozoi del genere Plasmo dium, composto da vari sottogeneri e da
numerose specie, circa cento. Le specie di plasmodi specifiche per
l'uomo sono quattro, distinguibili per la loro morfologia ma anche
per l'area di ripartizione, la prevalenza, la patogenicita' e le
particolarita' del ciclo: Pl. falciparum (responsabile del maggior
numero di casi e il piu' pericoloso), Pl. vivax, Pl. ovale e Pl.
malariae. I plasmodi hanno due ospiti, l'uomo nel quale si effettua
una riproduzione asessuata, e un vettore, le zanzare del genere
Anopheles (circa 60 specie possono essere vettrici), nelle quali si
effettua una riproduzione sessuata. Il ciclo dei plasmodi nell'uomo
comporta due fasi: la prima, di qualche settimana, nelle cellule
epatiche, clinicamente muta, la successiva nei globuli rossi del
sangue con i tipici sintomi (attacchi febbrili, anemia, ingrossamento
della milza). Una decina di anni or sono l'Organizzazione mondiale
della sanita' lancio' con ottimismo un programma di sradicamento
della malaria: oggi ammette lo smacco, riconosce anzi che la lotta
diventa sempre piu' difficile (non si dimentichi peraltro che la
lotta antimalarica, considerabile uno smacco su scala mondiale, ha
sradicata l'infezione in Europa, America del Nord, Australia). La
ricerca fondamentale ha progredito ma la terapia e la vaccinazione
continuano ad essere sotto esame. La complessita' dei problemi appare
sempre piu' evidente. Oltre alla tradizionale e famosa chinina
abbiamo numerosi farmaci sintetici antimalarici: clorochina,
amodiachina, pamachina, mepacrina, pirimetamina, ecc. Il grave
problema attuale e' la resistenza dei plasmodi ai medicamenti,
apparsa intorno al 1960 e che in numerose regioni continua ad
aumentare (per di piu' le zanzare diventano refrattarie agli
insetticidi). Sarebbe assolutamente necessario disporre di nuovi
antimalarici, piu' efficaci e di prezzo abbordabile, ma l'industria
farmaceutica e' poco interessata poiche' le piu' colpite sono
popolazioni povere. La somministrazione di farmaci a scopo preventivo
(chemioprofilassi) a coloro che si recano in zone malariche e'
un'arma efficace ma non affidabile al cento per cento, onde un
consiglio al viaggiatore: se compare febbre fare un esame del sangue
perche', nonostante la chemioprofilassi, non si puo' escludere a
priori che si tratti di malaria. Altro grande obiettivo di ricerca e'
la vaccinazione, di cui si parla da decenni ma, oggi piu' che mai,
con molta prudenza. Un vaccino deve contenere gli antigeni
suscitatori delle reazioni immunitarie, e gli antigeni dei plasmodi
sono piu' di cento, diversi secondo il loro ciclo biologico nel
fegato, nel sangue, nella zanzara. Per di piu' la popolazione dei
plasmodi ha un pool genetico variabile, ossia in ogni suo stadio
viene espressa una differente parte del genoma. Tre tipi di vaccini
sono allo studio: quelli «antisporozoari» che dovrebbero prevenire
l'infezione, quelli «altruisti» che mirano a ridurre la trasmissione,
infine quelli aventi l'obiettivo di attenuare le manifestazioni gravi
e complicate della malattia. Questi ultimi potrebbero abbassare la
morbilita' e la mortalita' nei bambini in Africa. Numerosi candidati
vaccini sono attualmente allo studio. Si parla con interesse del
vaccino proposto dal colombiano Manuel Patarroyo, costituito da una
proteina sintetica, SPf66. Infine si sperimentano i vaccini Dna,
fondati sull'inserimento nei plasmidi (molecole di Dna circolari a
doppio filamento) di frammenti di Dna che codificano proteine
vaccinanti: iniettati nell'uomo, questi frammenti si integrano nel
genoma permettendo una sintesi permanente delle proteine vaccinanti,
pertanto una vaccinazione definitiva. Ma sia il costo sia le
difficolta' logistiche tipiche delle zone malariche costituiscono un
grave ostacolo al diffondersi della vaccinazione. Ulrico di
Aichelburg
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE NEL MONDO. MEDICINA
Nuove cure per battere l'epatite C
OAUTORE VERME GIORGIO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
TRECENTO milioni di persone nel mondo hanno una infezione cronica
dovuta al virus dell'epatite (Hbv) e ottanta-novanta milioni hanno
una epatite cronica da virus C (Hcv). Il farmaco per queste
infezioni, che nel tempo possono produrre cirrosi e tumori, e'
tuttora l'interferone (in sigla, Ifn). Ma soltanto una percentuale
variabile dal 15 al 33 per cento dei pazienti risponde bene al
farmaco. Per questo motivo si stanno attivamente ricercando sostanze
capaci di inibire la replicazione virale per un tempo
sufficientemente lungo da consentire la morte programmata degli
epatociti contenenti il virus e la riproduzione di nuovi epatociti
liberi da infezione. Tra queste sostanze sembrano promettenti alcune,
chiamate analoghi di-nucleosidi (per i quali d'ora in poi useremo la
sigla Na), ottenute modificando o la base o lo zucchero della
molecola dei nucleosidi fisiologici. La comparsa dell'Aids ha
sollecitato l'industria farmaceutica a produrre un grande numero di
queste sostanze che, una volta sintetizzate, sono state provate su
virus epatitici in modelli in vitro, animali e in qualche caso
sull'uomo. Poiche' l'uso clinico di NA e' spesso ostacolato dalla
tossicita' di queste molecole, recentemente sono state condotte
ricerche per ridurre gli effetti tossici extraepatici cercando di
concentrarle elettivamente nel fegato. Ricercatori dell'Universita'
di Bologna hanno ottenuta una concentrazione epatica («targeting») di
NA accoppiandoli a macromolecole con un galattoside terminale. Questa
strategia sembra particolarmente appropriata nel trattamento
dell'epatite virale umana in quanto nell'epatite virale il virus si
moltiplica proprio negli epatociti; gli epatociti, grazie a un
recettore di superficie, specificamente assumono e trasportano nei
lisosomi macromolecole che terminano con un galattoside; a tali
macromolecole possono essere coniugate le sostanze idonee a inibire
replicazione virale (per esempio NA); una volta dentro gli epatociti
gli NA sono staccati dalle macromolecole galattosilate ad opera degli
enzimi dei lisosomi. Deriva da questo fatto la possibilita' di
concentrare nella sede di moltiplicazione virale (la cellula epatica)
gli NA. Poiche' la distribuzione di sostanze negli altri tessuti
avviene uniformemente, la strategia della concentrazione elettiva sul
bersaglio consentira' di utilizzare dosi inferiori e quindi di avere
minor tossicita' sugli altri organi e tessuti. Gli esperimenti fatti
negli ultimi anni su modelli animali hanno provato l'efficacia
antireplicativa di questi farmaci senza apprezzabili effetti tossici
collaterali. L'esperienza condotta al dipartimento di
Gastroenterologia dell'Ospedale Molinette di Torino con un coniugato
di Ara-Amp con albumina umana galattosina somministrato a pazienti
con epatite cronica d Hbv per 28 giorni consecutivi ha dimostrato che
anche sull'uomo con dosi 3-4 volte minori di quelle della Ara-Amp
libera si ottiene lo stesso grado di inibizione del Dna virale senza
la comparsa delle manifestazioni neurotossiche che di solito
compaiono con questo farmaco dopo tre settimane. Questi studi clinici
e altri in corso in Francia con lo stesso coniugato dimostrano che la
coniugazione con carrier galattosil-terminali non inibisce
l'attivita' antivirale di NA sul fegato e abolisce o riduce gli
effetti tossici extraepatici. La concentrazione nell'organo bersaglio
e' dunque possibile per ottenere concentrazioni piu' alte e quindi
piu' efficaci di questi farmaci nel fegato e per utilizzare quelli i
cui effetti collaterali extraepatici siano troppo rilevanti. Questa
tecnica probabilmente contribuira' nel prossimo futuro a migliorare
le possibilita' terapeutiche di nuovi farmaci per le epatiti virali
croniche, malattie che per la diffusione mondiale, decorso protratto
e possibili effetti a lungo termine rappresentano uno dei piu' gravi
problemi attuali per la salute dell'umanita'. Giorgio Verme
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. CARDIOCHIRURGIA
Bypass senza il bisturi
Nuova procedura mini-invasiva
OAUTORE LUBRANO TOMMASO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
SEMPRE piu' spesso si sente parlare di nuove tecniche chirurgiche
poco invasive ma efficaci quanto quelle tradizionali e con il grande
vantaggio di essere meglio tollerate dal paziente. Per quanto
riguarda le malattie cardiovascolari, mentre la moderna ricerca
farmacologica e la sperimentazione clinica sono rivolte verso
molecole piu' efficaci nel prevenire e curare l'aterosclerosi, il
concetto di bassa invasivita' in chirurgia, oggi puo' essere
applicato anche agli interventi cardiaci. E' il caso della Midcab
(Minimally Invasive Direct Coronary Artery Bypass Surgery), che
tradotto significa: bypass coronarico mediante procedura chirurgica
mini-invasiva. Questa metodica prevede l'accesso al cuore tramite una
incisione di 8-10 centimetri praticata al 4o o al 5o spazio
intercostale dell'emitorace anteriore sinistro. Per il bypass viene
utilizzata l'arteria mammaria interna di sinistra che risulta essere
il vaso piu' importante per la rivascolarizzazione del miocardio
infartuato. La peculiarita' della Midcab, oltre che nella
minimizzazione dell'accesso toracico (non e' necessaria la
sternotomia con conseguente riduzione del dolore nel post-
operatorio), sta nella possibilita' di intervenire anche a cuore
battente. La scelta di operare a cuore fermo diviene quindi
opzionale. Cio' significa che puo' essere evitata al paziente la
circolazione extracorporea con il seguito di possibili complicazioni,
prime tra tutte quelle cerebrali. La tecnica di cui si parla, in
realta' non e' nuova, poiche' e' stata ideata originariamente dal
russo Kolessov gia' nel 1964. E' stata quindi ripresa e si e'
sviluppata solo recentemente in Argentina per merito di Federico
Benetti. La Midcab e' stata introdotta in Italia dal 1994 da Antonio
Maria Calafiore, direttore della Divisione di Cardiochirurgia
dell'Ospedale San Camillo di Chieti, che vanta la maggiore casistica
mondiale con oltre 450 interventi eseguiti e con una percentuale di
successo terapeutico molto elevata (i pazienti vivi e asintomatici
per angor rappresentano il 97% degli operati). Per quanto riguarda le
indicazioni possono essere avviati all'intervento di Midcab tutti
quei pazienti colpiti da malattia aterosclerotica della coronaria
discendente anteriore nei quali l'angioplastica non e' utilizzabile o
non ha dato i risultati attesi. Con questa metodica la degenza
post-operatoria media e' di 24 ore in terapia intensiva, seguita da
altre 24 ore di degenza in reparto, contro i 5-6 giorni richiesti
dall'intervento classico di bypass. Anche i tempi di recupero sono
decisamente inferiori: 10-14 giorni a fronte delle 6-8 settimane
necessarie dopo la chirurgia tradizionale. Va detto inoltre che al
New York University Medical Center i cardiochirurghi stanno gia'
applicando metodiche mini-invasive per le sostituzioni valvolari e
per effettuare nel paziente piu' di un bypass coronarico. Tommaso G.
Lubrano
ODATA 09/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. IPERTENSIONE INTRAOCULARE
Chirurgia laser e nuovi farmaci contro il glaucoma
In Italia sono colpite dalla malattia 350 mila persone. Sei milioni
nel mondo
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
PER mantenere una buona salute, i liquidi presenti nel nostro
organismo (l'acqua costituisce il 60 per cento del corpo umano)
devono circolare ad una data pressione. Ne sanno qualcosa gli
ipertesi che devono misurare frequentemente la pressione arteriosa
per ridurre le temibili complicazione delle malattie cardiovascolari.
Meno conosciuta invece l'opportunita' della misurazione della
pressione endoculare (tonometria), come prevenzione del glaucoma, una
patologia cronica ed evolutiva che, se non viene adeguatamente
trattata, puo' portare alla cecita'. Il glaucoma infatti e' provocato
dall'aumento eccessivo della pressione dei liquidi all'interno
dell'occhio: piu' la pressione sale, piu' il nervo ottico e la retina
soffrono. Ne deriva una riduzione della visione periferica prima, e
di quella centrale poi. Gli studi attuali suggeriscono che una
pressione al di sotto dei 20 millimetri di mercurio garantisce il
mantenimento dell'integrita' del campo visivo. L'ipertensione
intraoculare insorge quando si verifica un ostacolo al normale
scarico dell'umor acqueo contenuto nell'occhio. Di solito cio'
avviene attraverso la rete trabecolare, vale a dire attraverso i
fasci di tessuto connettivo (di consistenza spugnosa) posti fra
l'iride e la cornea. Con l'invecchiamento, l'angolo irido corneale si
altera, provocando un ostacolo al deflusso. La parola «glaucoma»
deriva dal greco e significa azzurro, perche', in alcuni casi, la
pupilla dell'occhio malato puo' assumere un colore azzurrognolo
(glaukos). Ci sono varie forme di glaucoma. In quello acuto (ad
angolo chiuso) l'aumento della pressione endoculare si verifica nel
giro di poche ore, per cui si ha un dolore improvviso, con la
comparsa di aloni attorno alle fonti luminose per edema della cornea,
accompagnato a volte da nausea e vomito. Il glaucoma cronico e' meno
doloroso, pero' piu' insidioso: infatti, data la non gravita' dei
disturbi avvertiti, il paziente decide di recarsi dall'oculista a
malattia avanzata, quando la vista e' gia' compromessa. Il glaucoma
puo' essere anche congenito o manifestarsi in seguito a determinate
condizioni: diabete, malattie vascolari, traumi, interventi
chirurgici. A livello mondiale il glaucoma colpisce piu' di 6 milioni
di persone, per la maggior parte anziane. In Italia, circa 350.000
persone sono colpite da questa malattia responsabile del 7 per cento
dei casi di cecita' e del 21 per cento dei casi di perdita
progressiva della vista. Oggi, grazie allo sviluppo di nuove
tecnologie come la chirurgia laser e di nuovi farmaci, e' possibile
trattare con maggior efficacia questa patologia che, per la sua
crescente incidenza, e' stata definita «malattia sociale». Al recente
congresso della Societa' Europea di Oftalmologia e' stata presentata
una nuova molecola (dorzolamide) che agisce inibendo l'attivita'
dell'anidrasi carbonica, un enzima che riduce il riassorbimento di
importanti elettroliti (sodio in particolare). In altre parole,
riduce l'afflusso dell'umor acqueo. La Commissione europea ha deciso
di finanziare un «mega trial» (coordinato dalla clinica oculistica
dell'Universita' di Milano) per verificare in maniera controllata se
la nuova molecola puo' anche prevenire la malattia glaucomatosa in
soggetti a rischio (saranno seguiti 1000 pazienti per almeno tre
anni). Attualmente non esistono studi simili finanziati dalla Cee che
valutino l'azione di un singolo farmaco. Renzo Pellati
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
MITI MODERNI
L'epopea della civilta' marziana
OAUTORE PRESTINENZA LUIGI
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, astronomia, libri
ONOMI SHEEHAN WILLIAM, MAGGINI MENTORE, RUGGIERI GUIDO, DE MOTTONI GLAUCO
OORGANIZZAZIONI UNIVERSITY OF ARIZONA PRESS
OLUOGHI ITALIA
ONOTE Missione Mars Pathfinder
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, astronomy, book
MARTE, questo mondo a noi vicino cosi' strettamente legato alla
leggenda e alla fantasia, questo «fratello minore» della Terra di cui
stanno forse per cadere gli ultimi enigmi con l'arrivo delle sonde
Pathfinder e Mars Global Surveyor, non s'e' visto dedicare un saggio
completo e soddisfacente, nella nostra copiosa letteratura
divulgativa, dopo «Il pianeta Marte» di Mentore Maggini, stampato da
Hoepli nel 1939. Un capolavoro della divulgazione, che usci' pero' in
un momento sfortunato, alla vigilia della seconda guerra mondiale. Il
libro di Maggini era gia' introvabile nell'immediato dopoguerra, ne'
Hoepli volle ristamparlo: avrebbe successo anche oggi, come un
«classico» della letteratura astronomica. Dopo, di Marte si e'
parlato in tutte le salse, ma libri dedicati a questo mondo
problematico e affascinante dalle nostre parti non ne ricordo piu' di
due: una traduzione di Arthur E. Smith (Muzzio '92) e, molto prima,
l'eccellente libro di Guido Ruggieri «La scoperta del pianeta Marte»,
che usci' da Mondadori nel '71, in una collana economica. Ruggieri se
ne ando' anche lui prematuramente, senza aver dedicato al pianeta il
libro compiuto; e se ne ando' senza averlo scritto anche Glauco De
Mottoni, lo studioso di Genova che lavorava in tandem col famoso
osservatorio planetario del Pic du Midi e che la Nasa aveva fra i
propri consulenti: le sue carte «fotovisuali» erano state adottate
dall'Unione astronomica internazionale. Ora un nuovo saggio «globale»
sul «pianeta rosso» (esplorazione e realta' d'oggi) da mettere
accanto a quello di Maggini ci viene da un divulgatore molto bene
informato e felicemente incisivo: l'americano William Sheehan. Per il
momento, soltanto in inglese, per i tipi dell'University of Arizona
Press di Tucson. E' uscito nel '96 ed e' gia' stato tradotto in
portoghese: dovrebbe far gola anche da noi per efficacia e
compiutezza. Sheehan non e' un topo di biblioteca: e' un osservatore
che ha fatto le sue prove al telescopio e ha avuto in mano un grande
telescopio di fine Ottocento, il 91 centimetri di Lick, tuttora il
secondo rifrattore del mondo, per controllare le sue esperienze. Di
piu': ne ha tratto un altro libro, «Planets and perception», che
mette a fuoco gli errori e le illusioni di chi cerca di «vedere
troppo», al di la' delle possibilita' dello strumento che adopera,
come accadde al nostro grande Schiaparelli, comunque vero pioniere di
una completa cartografia marziana. Su questi presupposti, rafforzati
da una puntigliosa documentazione e da una ricca bibliografia,
Sheehan ha costruito un ottimo testo, agile e istruttivo. Si inizia
con le osservazioni di Fontana e di Huy gens; poi ecco le prime carte
ottocentesche del pianeta, immaginato ancora con «terre» e «mari»,
fra cui si allungavano i sottili equivoci tracciati dei «canali»,
gia' segnalati da padre Secchi e di cui Schiaparelli e poi Lowell
fecero la chiave d'interpretazione di una civilta' moribonda, capace
di mobilitarsi per trasportare l'acqua delle nevi polari sino
all'equatore: l'astronomo di Brera con prudenza, a titolo d'ipotesi,
in tutto esplicitamente Percival Lowell. Di qui il «romanzo» dei
marziani, le «guerre dei mondi» e tutto quel che ne e' seguito: sino
agli sfuggenti «Ufo» che non si contentano di sfrecciare, ma
atterrano, rapiscono terrestri e li riportano a casa: una leggenda su
cui tirarono il sipario l'inglese Maunder, il nostro Cerulli e quello
straordinario osservatore che fu il franco-greco Eugene Antoniadi,
ben prima che i «Mariner» e i «Viking» ci mostrassero crateri,
altipiani, vulcani, solchi sinuosi come di grandi fiumi in secca, del
vero Marte, quello delle carte Nasa. Con i suoi ultimi enigmi celati,
forse, nel sottosuolo; con le testimonianze di una fiammella di vita
che brucio', e probabilmente si estinse, molto tempo fa. Luigi
Prestinenza
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
I PROGETTI
Quando tocchera' all'uomo?
OAUTORE RIOLFO GIANCARLO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
ONOMI TRAFTON WILBUR
OORGANIZZAZIONI NASA
OLUOGHI ITALIA
ONOTE Missione Mars Pathfinder, Mars Global Surveyor
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
CRONACHE marziane. Il titolo del romanzo di Ray Bradbury e' stato
preso in prestito dalla Nasa per il sito Internet dedicato alle due
missioni in viaggio verso il Pianeta Rosso. All'indirizzo
www.jpl.nasa.gov/mars si possono leggere le notizie aggiornate sulle
sonde Mars Path finder (che arrivera' il 4 luglio) e Mars Global
Surveyor (che entrera' in orbita intorno a Marte a settembre). Via
via che queste sonde si avvicinano alla meta, cresce l'attenzione dei
media. Del resto Marte era gia' finito in prima pagina lo scorso
agosto, quando l'amministratore della Nasa, Daniel Goldwin, annuncio'
la scoperta di tracce di batteri fossili su un meteorite marziano.
Una notizia sensazionale, ma basata su indizi che lasciano spazio al
dubbio. L'agenzia spaziale americana ha peccato, forse, di eccessivo
entusiasmo, e dietro al suo comportamento qualcuno ha visto il
tentativo di spingere sull'opinione pubblica per ottenere nuovi
finanziamenti. Una cosa e' certa: l'esplorazione di Marte potrebbe
essere al primo posto fra i compiti della Nasa nei primi anni del
terzo millennio. Sono gia' annunciate due nuove missioni robotizzate,
che partiranno nella primavera del 2001: «Mars Surveyor Lander» e
«Mars Surveyor Orbiter». Il loro scopo sara' raccogliere tutte le
informazioni necessarie per decidere se mandare l'uomo. Per questa
ragione il programma e' condotto in collaborazione dalle due
divisioni della Nasa che si occupano dell'esplorazione dei corpi
celesti e del volo umano. Ed e' la prima volta che cio' avviene dai
tempi delle missioni lunari Apollo. Per quanto riguarda le attivita'
con astronauti, il progetto piu' ambizioso e' oggi la stazione
spaziale internazionale. «Nei primi anni Duemila - dice Wilbur
Trafton, responsabile della divisione Volo spaziale della Nasa -
questo laboratorio orbitale sara' finalmente una realta'. E il passo
successivo potrebbe proprio essere lo sbarco su Marte». Esistono
diversi studi per mandare uomini sul Pianeta Rosso. Il piu'
accreditato prevede l'impiego di un'astronave priva del propellente
per il ritorno, che verrebbe ricavato dall'atmosfera marziana grazie
a un laboratorio automatico inviato in precedenza. Uno degli
esperimenti a bordo del «Surveyor Lander» riguardera' proprio la
produzione di metano e ossigeno. Inoltre la sonda sbarchera' un
veicolo robotizzato molto piu' progredito di quello che vedremo in
azione nei prossimi giorni, capace di muoversi nel raggio di decine
di chilometri dal punto di atterraggio. Il «Lander» avra' a bordo
anche strumenti per analizzare il suolo marziano e le radiazioni
presenti nell'ambiente. Ad accompagnare questa missione sara' il
«Surveyor Orbiter». Lanciata separatamente, questa sonda verra'
catturata nell'orbita di Marte per studiare le radiazioni e disegnare
la mappa geologica del pianeta. Potra' anche servire come ponte radio
per comunicare con il Lander e con gli altri veicoli automatici che
saranno mandati in futuro. Giancarlo Riolfo
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
MISSIONE PATHFINDER
Su Marte invasione terrestre
Venerdi' la Nasa paracadutera' un robot
OAUTORE DI MARTINO MARIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OORGANIZZAZIONI NASA
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Le fasi della missione Mars Pathfinder sul pianeta Marte
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
L'assalto a Marte e' iniziato. Fra due giorni, se tutto andra'
secondo i piani, la sonda «Mars Pathfinder» tocchera' il suolo
marziano. Sono trascorsi 21 anni da quando le due navicelle «Viking»
si posarono sulla superficie di Marte inviandoci le immagini di un
pianeta senza vita con una superficie desertica color ruggine,
spazzata periodicamente da violente tempeste di polvere. Furono
effettuate anche analisi di campioni del suolo, prelevati da un
braccio meccanico, che non rivelarono alcuna attivita' biologica
presente o passata. Come dice il nome («pathfinder» significa
esploratore), questa missione aprira' la strada a una flotta di sonde
che con cadenza biennale verranno inviate verso il pianeta rosso per
effettuare un suo approfondito studio, preliminare all'esplorazione
umana che dovrebbe iniziare nei primi decenni del prossimo secolo.
Una delle tappe principali di questo programma sara' quella di
riportare a terra, non prima del 2005, campioni del suolo marziano.
Dopo quasi sette mesi di viaggio e oltre 160 milioni di chilometri,
qualche giorno fa i controllori del Jet Propulsion Laboratory di
Pasadena (California) hanno inviato a Pathfinder i comandi necessari
per eseguire una complessa serie di manovre che si spera portino a un
atterraggio dolce che non comprometta il funzionamento degli
strumenti di bordo. L'arrivo sul suolo marziano e' previsto intorno
alle 20 (ora italiana) di venerdi' 4 luglio. A differenza delle
Viking, che entrarono in orbita attorno al pianeta prima di liberare
i due «lander», Pathfinder si dirigera' subito verso l'atmosfera di
Marte e raggiungera' i suoi strati piu' rarefatti, ad un'altezza
intorno ai 130 chilometri, con una velocita' di circa 26.000
chilometri orari. La navicella e' protetta da uno scudo termico che
servira' anche a rallentare la sua velocita', che passera' a 1400
km/ora in meno di tre minuti. Un sensore di bordo valutera' la
decelerazione, che raggiungera' un valore massimo di 20 g, e a 9
chilometri dal suolo fara' aprire un paracadute che nella tenue
atmosfera marziana (la sua densita' e' inferiore all'1 per cento di
quella terrestre) rallentera' Pathfinder sino a poco piu' di 200
chilometri all'ora. A un'altezza di 6 chilometri, 20 secondi dopo
l'apertura del paracadute e dopo l'abbandono dello scudo termico, dal
modulo principale si sgancera' la sonda vera e propria, che attaccata
a una «briglia» lunga 20 metri penzolera' sotto il paracadute e la
parte inferiore del modulo di ingresso. Il radar altimetro del lander
iniziera' a «sentire» il terreno a un'altezza di 1,5 chilometri e a
circa 300 metri tre speciali «air bag» del diametro di 5 metri
inizieranno a gonfiarsi; 4 secondi piu' tardi, a 50 metri dalla
superficie, verranno accesi tre razzi che rallenteranno ulteriormente
la discesa sino a fermare il lander a 15 metri dal suolo. A questo
punto la briglia verra' tagliata e i razzi, continuando a funzionare,
allontaneranno cio' che resta del modulo di ingresso e il paracadute.
Il lander, avvolto dal suo grosso involucro protettivo, cadra' al
suolo, rimbalzando sino a fermarsi. Nell'ora successiva gli air bag
verranno sgonfiati e parzialmente retratti verso il lander,
dopodiche' i tre petali metallici, entro cui e' racchiusa la sonda,
inizieranno a aprirsi. Questa operazione permettera' a Pathfinder di
porsi «in piedi» qualunque sia la posizione in cui venisse a trovarsi
dopo i rimbalzi sul terreno. A questo punto un «microrover»,
denominato «Sojourner», agganciato ad uno dei petali, verra' esposto
per la prima volta all'ambiente marziano. Dopo che le telecamere del
lander avranno esplorato il terreno circostante e trasmesso le
immagini a terra, i controllori della missione invieranno dei comandi
al rover che immediatamente iniziera' il suo lavoro. Sojourner e' un
concentrato dei piu' recenti sviluppi nel campo delle
microtecnologie. Ha una massa di 11,5 chilogrammi (su Marte quindi
pesa poco meno di 4,5 kg) ed e' dotato di 6 ruote indipendenti del
diametro di 13 centimetri, che gli permettono di superare ostacoli di
uguale altezza. Le dimensioni sono di 48x63 centimetri e il suo dorso
superiore e' ricoperto da cellule solari che insieme a nove batterie
forniscono l'energia necessaria al movimento ed al funzionamento
degli strumenti di bordo. Il rover, che puo' raggiungere una
velocita' massima di 24 metri all'ora, e' dotato di due telecamere
(una anteriore e l'altra posteriore), un laser per la determinazione
della distanza degli ostacoli, ed uno spettrometro a raggi X, che
analizzera' la composizione del suolo marziano. La durata nominale
della missione di Sojourner e' di una settimana, ma e' probabile che
possa essere prolungata. Naturalmente anche il lander, oltre a
raccogliere i dati inviati da Sojourner per poi trasmetterli alle
stazioni di terra, e' dotato di telecamere e di una serie di
strumenti che, dopo aver analizzato l'atmosfera marziana durante la
discesa, serviranno come stazione meteorologica. L'atterraggio, a
causa delle incertezze dovute alla navigazione interplanetaria e
all'ingresso nell'atmosfera, avverra' entro una ellisse di 100x200
chilometri attorno al punto designato. La regione scelta e'
denominata Ares Vallis e si trova nell'emisfero Nord di Marte a circa
20o di latitudine. Si tratta di una pianura alluvionale dove sino ad
uno o due miliardi di anni fa confluivano le acque degli altipiani
circostanti. Si pensa quindi che in quest'area siano presenti rocce
di diversa origine trasportate dai fiumi marziani e, se anche non
sara' possibile stabilire l'esatta origine dei vari campioni, la loro
analisi potra' fornire preziose informazioni sulla mineralogia di
Marte. I dati raccolti dalla missione Mars Pathfinder saranno
preziosissimi per l'esplorazione futura del pianeta rosso: c'e' solo
da sperare che la sfortuna che ha segnato il fallimento delle
precedenti missioni, le sovietiche «Phobos» 1 e 2 e l'americana «Mars
Surveyor», non si accanisca anche su «Pathfinder». M. Di Martino
Osservatorio di Torino
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. MUSICA & TECNOLOGIA
E' Rubinstein? No e' Midi
Interpretazioni pianistiche dentro il computer
OAUTORE OSELLA LEONARDO
OARGOMENTI musica, tecnologia
ONOMI GOBBI LORENZO
OORGANIZZAZIONI GOETHE INSTITUT, COMPOSITORI ASSOCIATI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
ONOTE «Pianoforte Midi» (Musical Instruments Digital Interface)
OSUBJECTS music, technology
LA tecnologia al servizio della musica non e' una novita', ma i
rapporti fra i due mondi si intensificano giorno per giorno. Una
delle sorprese piu' recenti e' il «Pianoforte Midi», che permette di
accumulare una quantita' enorme di dati riguardo ad una esecuzione
musicale, di ripeterla quante volte si vuole in modo assolutamente
identico all'originale, persino di farla eseguire dal pianoforte
preparato da solo (come si faceva con la pianola di antica memoria),
ma soprattutto di parametrarla e studiarla scientificamente. Il
Goethe Institut di Torino e' stato sede di una dimostrazione «ad
hoc», promossa dai Compositori Associati allo scopo di sondare il
terreno in vista della creazione di un archivio informatizzato delle
interpretazioni pianistiche. Di che si tratta? Occorre dire prima di
tutto che Midi e' un acronimo ottenuto dalle iniziali delle parole
Musical Instruments Digital Interface. Con la «midizzazione» e'
possibile trasmettere velocemente da uno strumento detto «master» una
serie di messaggi a un altro strumento detto «slave», che li
interpreta. Spiega Leonzio Gobbi, coordinatore artistico dei
Compositori Associati e ideatore dell'archivio informatico: «Nel caso
del pianoforte si applicano, sotto i tasti e i pedali, dei
convertitori analogico-digitali (sensori a solenoide e a fibre
ottiche) in grado di tradurre in codici numerici, attraverso
variazioni di tensioni elettriche, la pressione fisica che
l'interprete esercita sullo strumento mentre esegue il brano». Questi
codici vengono rappresentati attraverso software installati sul
computer che riceve i dati dal pianoforte. «I vantaggi a scopo
scientifico - prosegue Gobbi - sono chiari: possiamo visualizzare in
maniera estremamente precisa la posizione delle note, la loro durata,
la pressione esercitata sopra ogni singolo tasto (la dinamica), e
l'uso dei pedali in una esecuzione». Volendo, come si e' detto, si
puo' far suonare il pianoforte da solo: ricorrono a questo «trucco»
certi grandi alberghi, per trasmettere un sottofondo musicale nella
hall risparmiando il compenso da dare allo strumentista. Una
precisazione a questo punto si impone, a scanso di equivoci. Non si
tratta di pianoforti elettronici, ma di normali pianoforti acustici a
corde percosse da martelletti: «Sono stati midizzati - afferma Gobbi
- strumenti di varie grandi case produttrici come la Yamaha, la
Bosendorfer, la Steinway and Sons». E' evidente la differenza
qualitativa di un simile sistema rispetto a una pur accuratissima
registrazione audio. Ma non e' tutto poiche', per una documentazione
ancora piu' efficace dell'esecuzione, si ricorre a riprese video che
mostrano su schermo il pianista durante l'esecuzione. Si collega in
un «unicum» sistematico l'esito sonoro, la parametrazione elettronica
e la visione; si potra' cosi' comprendere come e' stato raggiunto un
determinato effetto: tipo di tocco, posizione del polso e del
braccio, diteggiatura, incrocio di mani e cosi' via. Il materiale
raccolto, invitando anche illustri pianisti ad appositi Master di
interpretazione su Pianoforte Midi, costituirebbe l'archivio
informatico, cioe' un patrimonio didattico assai prezioso a
disposizione degli studiosi. Alcuni cenni, brevi ma assai eloquenti,
sul funzionamento di questo pianoforte (per la cronaca, e' uno Yamaha
Disklavier) sono confluiti in un video prodotto dalla Juma di Torino.
Infine, una curiosita'. Proprio quest'anno cade il centenario
dell'invenzione, da parte dell'americano Votey, del pianoforte
pneumatico, la vecchia pianola a nastri perforati. In questo caso i
tasti venivano azionati da una corrente d'aria sospinta da un mantice
a pedali come nell'armonium. Questo strumento, successivamente
perfezionato da Emil Welte, permise di effettuare registrazioni su
nastro di brani eseguiti da grandi pianisti, ma anche dai compositori
stessi (tra gli altri Strauss, Debussy, Mahler, Grieg). Il «nipotino»
Midi si pone sulla stessa strada della «nonna pianola», ma con ben
altri requisiti tecnologici. Si potranno ora conservare le
testimonianze piu' attendibili dell'arte dei massimi interpreti,
anche se rimarra' sempre il rammarico di non aver potuto immortalare
«midizzandole» le inarrivabili esecuzioni di un Rubinstein, di un
Horowitz o di quel sublime originale che fu Glenn Gould. Leonardo
Osella
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Bassoli Romeo: «Portiamo anche i bambini», Feltrinelli
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI didattica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS didactics
IL viaggio e' sempre stato una esperienza di iniziazione. Lo e' a
tutte le eta', ma una volta, ai tempi dell'Alfieri o del D'Azeglio,
la si faceva piu' o meno all'eta' in cui ci si laurea, e il viaggio
era, in certo senso, una laurea. Il discorso vale anche oggi, con un
ulteriore abbassamento dell'eta' di soglia. Si puo' viaggiare con
divertimento e insieme facendo un'esperienza culturale anche a 5-10
anni, accompagnati dai genitori. Ma bisogna sapersi organizzare in
modo che il viaggio non diventi una tortura ne' per i viaggiatori
adulti ne' per quelli minorenni. Bassoli in questo libro ci da' i
consigli giusti. Tra le mete suggerite, molte sono scientifiche: la
Grande Galerie de l'Evolution a Parigi, l'Acquario di Genova, l'Orto
Botanico di Palermo, il Museo della Scienza e della Tecnica di
Milano, la Citta' della Scienza di Napoli, i parchi naturali. Di
tutti sono forniti telefono, orari, dati di servizio.
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Cossard Guido e Ferreri Walter: «Comete», Musumeci
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy
La cometa Hale-Bopp ha risvegliato l'interesse popolare per questi
corpi celesti che, secondo gli studi piu' recenti, sarebbero i
fossili della nebulosa dalla quale, quasi 5 miliardi di anni, ebbero
origine il Sole e i pianeti. Con questo libro sottile ma ricco di
bellissime foto e di informazioni, Guido Cossard e Walter Ferreri ci
offrono una panoramica sulle comete storiche, sulle comete piu'
vistose e recenti, sulle tecniche di scoperta e di osservazione e sui
rapporti tra comete e meteore.
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Papuli Gino: «L'ingegno e il congegno», Edizioni del Grifo
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS technology
Ogni epoca lascia la sua eredita'. L'epoca dell'industrializzazione
ci sta lasciando macchine e stabilimenti che spesso, oltre al valore
di documento tecnologico e architettonico, hanno il significato di
una testimonianza storica e sociale. L'era industriale non e' certo
chiusa, come potrebbe far pensare l'abuso dell'aggettivo
post-industriale. Ma siamo entrati in un tempo nel quale e' il
software ad assumere un ruolo prevalente rispetto all'hardware:
siamo, si dice, nell'era della dematerializzazione. E' un motivo di
piu' per studiare e proteggere quelle macchine e quei luoghi che sono
diventati archeologia industriale. Papuli, docente di queste cose
all'Universita' di Lecce, ci da' un libro prezioso: documenti sulle
industrie estrattive, di trasformazione, manifatturiere, energetiche;
e indicazioni per la tutela, il recupero e la fruizione di questi
beni culturali altamente emblematici del nostro tempo.
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
«Quark 2000», ed. Le Scienze
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI storia della scienza
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS history of science
E' il catalogo della mostra «Quark 2000» realizzata a Roma nella
scorsa primavera dall'Infn, ma e' anche un libro che riassume un
secolo di fisica fondamentale, dalla scoperta delle prime particelle
atomiche ai quark, dalla relativita' alla meccanica dei quanti, alle
prospettive di ricerca del prossimo secolo. Tra gli autori, Tullio
Regge, Nicola Cabibbo, Carlo Bernardini, Giorgio Bellettini.
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Grassini Gian Paolo e Russo Edoardo: «Gli Ufo», Armenia
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS research
Gli Ufo hanno 50 anni: ufficialmente il primo avvistamento avvenne il
24 giugno 1947 nello Stato di Washington. Gli autori ripercorrono
mezzo secolo di osservazioni, discutendo criticamente il fenomeno.
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Autori vari: «L'immaginazione della natura», Bollati Boringhieri,
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS research
Tredici scienziati presentano gli ultimi sviluppi della loro
disciplina nel passaggio dal riduzionismo allo studio della
complessita'. Tra gli autori Sacks, Edelman, Penrose, Barrow.
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Autori vari: «Dizionario di antropologia», Zanichelli
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI antropologia e etnologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS anthropology and ethnology
Coordinato da Ugo Fabietti e Francesco Remotti, questo «Dizionario di
antropologia» merita uno spazio nella biblioteca di ogni persona
colta. Voci agili, non troppo ampie ma con una solida informazione di
base. Piero Bianucci
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENE FISICHE. IL «TRUCCO» DI MERCATORE
La sfera pianificata
L'arduo problema dei cartografi
OAUTORE ODIFREDDI PIERGIORGIO
OARGOMENTI geografia e geofisica
ONOMI KREMER GERHARD «MERCATORE»
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS geography and geophisics
PIANIFICARE la sfera, ridurre cioe' la sua superficie ad un piano, e'
come voler quadrare il cerchio. Ma mentre ridurre un cerchio a un
quadrato e' un problema che puo' anche sembrare astratto, pianificare
la sfera e' molto concreto: si pensi alle carte geografiche. Oltre ad
essere utile, la soluzione del problema e' anche difficile: poiche'
richiede una vera e propria divinazione matematica, il nome di
cartomanzia sarebbe piu' indicato in questo caso che in quello della
divinazione ciarlatanesca con le carte da gioco. A prima vista, il
problema sembra non sussistere: volendo riportare delle figure
disegnate su una sfera trasparente, basta inserire una lampadina
circolare nel centro della sfera, arrotolare a cilindro un foglio
attorno all'equatore della sfera, accendere la lampadina, e riportare
con una matita le proiezioni sul foglio. La cosa e' pero'
insoddisfacente, anzitutto perche' due calotte sferiche vengono
escluse dalla carta: per proiettare tutta la sfera ci vorrebbe un
cilindro infinito. Inoltre, piu' ci si avvicina ai bordi del foglio,
piu' le figure della sfera si deformano: in particolare, gli angoli
sulla carta non sono uguali a quelli sulla sfera. I marinai
richiedono alle loro carte due condizioni, di cui solo la prima e'
soddisfatta dalle proiezioni cilindriche: le direzioni verso il Nord
devono essere tutte rappresentate da linee verticali; inoltre, le
direzioni fornite dalla bussola devono essere rappresentate
correttamente rispetto alla direzione Nord (ad esempio, se un fiume
scorre in direzione Nord-Est, sulla carta esso deve risultate a 45o).
Una soluzione al problema venne trovata nel 1569 dal fiammingo
Gerhard Kremer, detto Mercatore (perche' il suo cognome significa
«mercante»), ed essa si trova su tutti gli atlanti. La sua idea fu la
seguente: poche' i meridiani sono alla distanza massima all'equatore
e minima ai poli, ma sulla carta devono venir rappresentati da due
linee equidistanti, la scala lungo i paralleli deve progressivamente
crescere verso i poli; poiche' tutti i paralleli sono rappresentati
sulla carta da segmenti della stessa lunghezza, la scala lungo un
parallelo e' determinata dal rapporto fra la sua lunghezza e quella
dell'equatore; e affinche' gli angoli vengano preservati, le scale
lungo i meridiani devono crescere della stessa quantita' di cui
crescono quelle lungo i paralleli. Cio' rende unica la
rappresentazione di una carta adatta ai marinai, e a Mercatore non
rimase che disegnarla. Poiche' l'appetito vien mangiando, ci si puo'
chiedere se, invece di preservare gli angoli, una carta possa
preservare le distanze: in altre parole, se esista una carta della
sfera, o anche solo di una sua porzione, a scala non variabile (come
in quella di Mercatore), ma fissa (come nelle mappe delle citta').
Che la risposta sia negativa si puo' intuire da una esperienza
familiare: se cerchiamo di stendere sul tavolo una porzione di sfera,
ad esempio un pezzo di buccia d'arancia, finiamo per romperla.
Dimostrare matematicamente la cosa non e' molto piu' complicato: lo
fece per la prima volta nel 1775 il Bach dei matematici, Leonard
Euler. L'osservazione cruciale e' che su una sfera la distanza fra
due meridiani passanti per due punti sull'equatore decresce andando
verso i poli, e tracciare le direzioni dei meridiani richiede
soltanto l'uso del compasso, cioe' misure di distanze. Il che e' una
buona notizia, perche' significa che non e' necessario uscire dalla
Terra e fotografarla dallo spazio per accorgersi che e' una sfera. La
stessa cosa dovrebbe pero' succedere anche in una carta in scala: ma
sul piano i meridiani passanti per due punti sono rette parallele, e
quindi sempre alla stessa distanza. Il che e' una cattiva notizia,
perche' significa che tutte le carte a scala fissa, come quelle
stradali o geografiche, sono sbagliate: ma, poiche' per territori
piccoli le distorsioni sono minime, solo i latifondisti avranno dei
problemi, come e' giusto che abbiano. Piergiorgio Odifreddi
Universita' di Torino
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. AERONAUTICA
L'idea del convertiplano ha radici italiane Gabrielli ci aveva
pensato
OAUTORE BOFFETTA GIANCARLO
OARGOMENTI trasporti, tecnologia
ONOMI GABRIELLI GIUSEPPE
OORGANIZZAZIONI FIAT AVIO, FARFADET
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS transport, technology
IL nuovo rivoluzionario velivolo che puo' decollare verticalmente
come un elicottero e proseguire il volo come un aereo, il
convertiplano illustrato su «Tuttoscienze» il 14 maggio scorso, non
e' nato solo dalla genialita' di progettisti americani: in Europa,
negli stessi anni o addirittura prima, avevano volato prototipi
analoghi. Il primo in assoluto e' stato probabilmente il Farfadet
francese della Sud-Ouest che aveva la sagoma di un normale aereo
monomotore con in piu' un'elica tripala sulla cabina e che si e'
alzato in voto nel maggio 1953, seguito l'anno successivo dal
McDonnell XV1, molto simili nell'architettura. La differenza
fondamentale tra Europa e Usa, cio' che in realta' ha permesso agli
americani di arrivare per primi al lancio di una produzione di serie,
sta nei 5 miliardi di dollari investiti in questa ricerca grazie ai
fondi governativi. Anche noi italiani siamo stati con i primi a
studiare e sperimentare velivoli a decollo verticale. Giuseppe
Gabrielli era particolarmente attirato da questi studi perche'
prevedeva, in un futuro sia pur lontano, l'avvenire del trasporto
aereo basato su aeroplani in grado di alzarsi verticalmente. Avevo
accompagnato Gabrielli in una visita a Farnborough alla fine degli
Anni 50 e ricordo bene quando, dopo aver assistito al decollo
verticale di uno strano aereo - lo Short Sc1 - si rivolse a noi,
giovani ingegneri, dicendo: «Ricordate questo decollo: oggi avete
assistito a un volo importante come quello dei fratelli Wright; un
giorno gli aeroplani decolleranno cosi' dall'interno delle citta'».
Gli studi di Gabrielli si erano poi concretati nello sviluppo del
Fiat G 95 e del Focke Wulf-Fiat VAK 191. Presso il museo Gabrielli
della Fiat Aviazione di Torino sono conservati molti documenti con
gli studi teorici effettuati su questi progetti fra i quali e' molto
interessante quello illustrato a Hot Spring (Usa) nel 1966 al
Congresso Internazionale di tecnologia aeronautica. Ma e' soprattutto
il G222, velivolo da trasporto bimotore, l'aereo che aveva aperto la
porta a una speranza di realizzare il primo velivolo italiano a
decollo verticale. Tra i «convertibili» aerei che utilizzano gli
stessi motori per la sostentazione in decollo e la propulsione in
volo e i «combinati» dove la forza sostentatrice e quella propulsiva
sono affidate a motori diversi, per il G222 era stato scelto
quest'ultimo tipo. L'idea originale di Gabrielli era quella di
costruire un aereo che potesse esser assemblato in modo diverso a
seconda delle necessita' dell'utilizzatore: convenzionale come quello
oggi in servizio, oppure a decollo corto, e infine il G222 a decollo
verticale che avrebbe portato in ciascuna delle due gondole motore
altri tre motori piu' piccoli dedicati al sostentamento durante il
decollo e l'atterraggio. Purtroppo i mezzi dei bilanci governativi,
della Ricerca e della Difesa, erano ben lontani da quelli americani e
non era pensabile che una azienda privata, fosse pur grande come la
Fiat, potesse da sola intraprendere un progetto del genere. Cosi' ci
si fermo' ad uno studio teorico. Giancarlo Boffetta
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
LETTERA APERTA
Gli enigmi del ministero
OGENERE lettera
OAUTORE LOLLI GABRIELE
OARGOMENTI ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA
OKIND letter
OSUBJECTS research
In questi giorni sono impegnato, come molti miei colleghi, a
compilare moduli e a scervellarmi per scoprire come fare le
dichiarazioni per... non l'Ici, ma il finanziamento del ministero
alla Ricerca. Il primo impatto e' deprimente, perche' le disposizioni
sono cosi' complicate e vaghe che si dispera di riuscire a capirle, e
sembra che sia fatto apposta, cioe' che il nostro ministero volesse
proprio trasmettere questo chiaro messaggio: «Il ministero ti
finanzia se, e solo se, tu credi che non ti finanziera'». Se uno
interiorizza questo messaggio si trova in difficolta', perche' se
spera (o crede) che il ministero lo finanzi allora crede anche che
non lo fara'; d'altra parte se pensa che non lo fara', allora deve
credere che lo fara'. La via d'uscita e' che «credere di credere» non
equivalga a «credere». Ci si puo' vendicare di questa sofferenza
imposta. Le ricerche devono avere una presentazione sulla cui base il
ministero decide se finanziarle; i criteri non sono chiari, si puo'
parlare di bonta' o scarso valore della ricerca, di ragionevolezza o
di scarsa credibilita'; per semplificare, distinguiamo i due casi con
la verita' o falsita' della dichiarazione di presentazione (che sono
tutte belle e allettanti). L'ipotesi ufficiale e' che il ministero
finanzia se e solo se la dichiarazione e' vera. Ora io ho deciso che
mandero' una richiesta con la seguente descrizione della ricerca:
«Questa ricerca non sara' finanziata dal ministero». Ora sara' il
ministero a essere in difficolta', perche' se me la finanzia, la
dichiarazione e' falsa e quindi non dovrebbe finanziarmela; ma se non
me la finanzia, allora la dichiarazione e' vera, e dovrebbe
finanziarmela. In realta' secondo alcuni il principio ispiratore e'
che «il ministero finanzia se e solo se qualcun altro finanzia», con
la benevola interpretazione politica del cofinanziamento; tuttavia
alla lettera questo criterio nasconde una contraddizione che
permettera' al ministero di non finanziare nulla; infatti, se nessun
altro finanzia, allora il ministero non finanzia; ma se qualcun altro
finanzia, il ministero non finanzia per non vanificare il fatto che
deve essere un altro a finanziare. A quanti sono alle prese con le
domande, non resta che esercitarsi con un allenamento logico
preventivo sui libri di Raymond Smullyan (Qual e' il nome di questo
libro?, Zanichelli, o Fare il verso al pappagallo, Bompiani).
Gabriele Lolli Universita' di Torino
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. ALLARME ANFIBI
Il massacro delle rane
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
UNA triste realta' di cui dobbiamo prendere atto: rane, rospi,
salamandre e tanti altri anfibi stanno scomparendo dalla scena del
mondo a ritmo allarmante. Quali le cause? Sono molte. Innanzitutto la
scomparsa dell'habitat per il graduale prosciugamento degli ambienti
umidi, la presenza sempre piu' massiccia dei veleni chimici (concimi,
pesticidi, insetticidi e simili) diffusi nelle campagne, l'aumento
del traffico stradale, l'inquinamento della falda freatica, secondo
alcuni studiosi anche le piogge acide e l'aumento delle radiazioni
ultraviolette dovuto al buco dell'ozono. E perfino il prelevamento
non trascurabile di animali vivi per le scuole e per la ricerca
scientifica. E poi, last but not least, la golosita' umana, in nome
della quale viene sacrificato ogni anno un numero incalcolabile di
rane. Sono molto apprezzate dai buongustai le robuste cosce degli
arti posteriori, quelle che consentono alle rane di compiere balzi
prodigiosi. Quando saltano sembrano quei giocattoli meccanici che
scattano non appena si carica la molla. Ebbene quelle cosce hanno una
carne bianca particolarmente appetitosa. Il consumo delle cosce di
rana e' in vertiginoso aumento in Belgio, Olanda, Francia, Germania e
anche da noi, in Italia. Si prelevano dalla natura tonnellate e
tonnellate di rane! Ma come si fa a raccoglierne un contingente cosi'
imponente? Ebbene, e' piu' facile di quanto non si creda. In natura
questi animali trascorrono la stagione piu' rigida affondati nel
fondo fangoso degli stagni o nascosti in anfrattuosita' della sponda
in uno stato di torpore molto simile al letargo dei mammiferi
ibernanti. Poco prima che l'inverno abbia termine, le rane si
risvegliano e si mettono in cammino per raggiungere le localita' di
deposizione. Attraversano le strade rimanendo spesso schiacciate
dalle vetture in transito. Finalmente eccole giunte a destinazione.
Si radunano a migliaia, stipate in poco spazio: qualche decina di
metri quadri. I maschi piu' piccoli delle femmine si riconoscono,
oltre che per le dimensioni, anche per le callosita' delle dita
anteriori, le cosiddette «callosita' nuziali». Servono per
abbracciare piu' forte la femmina, quando le salgono in groppa.
Nonostante le apparenze, la fecondazione e' solo esterna. Ossia il
maschio non introduce lo sperma entro il corpo femminile. Con il suo
vigoroso abbraccio si accontenta di stimolare la compagna a deporre
il suo carico di uova. E ogni femmina depone dalle duemila alle
quattromila uova che il maschio irrora prontamente di sperma. Questi
assembramenti durano da una a due settimane. Ora, data la fedelta'
delle rane ai luoghi dei loro rendez-vous amorosi - anno dopo anno
sono sempre gli stessi - i raccoglitori li individuano facilmente e
non debbono far altro che aspettare il momento propizio, la fine
dell'inverno per la rana temporaria o la primavera per la rana
esculenta, le due specie piu' apprezzate dai buongustai. Raccoglierle
poi e' facilissimo. Perche' l'abbraccio del maschio e' talmente
focoso che i due rimangono legati a filo doppio. Non e' facile
distaccare i partner l'uno dall'altro. Ben lo sanno i predatori
naturali, le civette, i colubri, le puzzole, le lontre, gli aironi,
le cicogne, che colgono la magnifica occasione per fare man bassa tra
le coppie in amore. E i raccoglitori umani ne hanno sempre
approfittato per cogliere due piccioni con una fava. Ma in passato le
cose erano diverse. Il prelievo dei predatori non solo non incideva
sulla consistenza delle popolazioni, ma serviva da valido freno alla
proliferazione eccessiva delle rane. Gli equilibri naturali erano
rispettati. Le cose pero' sono cambiate da quando si ricorre al
congelamento. Questa nuova tecnica consente di disporre di carne
fresca tutto l'anno e incentiva l'ecatombe delle rane. I due amanti
passano tragicamente dall'amore alla morte quando una impietosa
cesoia taglia loro le zampe posteriori, l'unica parte del corpo
considerata degna del palato umano. E' facile immaginare come si
presenta lo stagno dopo la barbara esecuzione in massa.
Un'ammucchiata di corpi mutilati in preda agli spasmi dell'agonia.
Davanti alla domanda crescente del mercato, i prelievi locali si sono
rivelati insufficienti e si e' dovuto ricorrere all'importazione.
Cosi, da un po' di tempo a questa parte, ogni anno dall'India e dal
Bangladesh vengono importati in Europa centoquaranta milioni di rane,
che ci arrivano sotto forma di cosce congelate. Ci si potrebbe
chiedere come mai, per tutelare la sopravvivenza delle rane in
natura, non si sia pensato di allevarle artificialmente, come gia' si
sta facendo con altre specie animali commestibili. Certo, sarebbe
piu' saggio. Ma nel mondo degli uomini la saggezza conta meno
dell'utile economico. L'inconveniente e' che il ciclo vitale della
rana e' assai lungo e carico di rischi. Generalmente maschi e femmine
diventano sessualmente maturi soltanto a tre o quattro anni e bisogna
aspettare che arrivino ai quattro o cinque anni di eta' prima che
raggiungano una dimensione commerciabile. E' quindi molto piu'
semplice e sbrigativo far man bassa in natura. La rarefazione degli
anfibi puo' avere notevoli ripercussioni sulla stabilita' degli
ecosistemi. Bisogna tener presente che gli anfibi sono esseri «sui
generis»: non hanno penne o peli che li proteggano e le uova non sono
racchiuse entro solidi gusci. La loro pelle e' estremamente
permeabile, assorbe percio' facilmente le sostanze che inquinano
l'acqua. Quando si trovano allo stadio larvale (quello di girini) gli
anfibi rimuovono grandi quantita' di alghe dagli stagni e dai
ruscelli. Quando diventano adulti, sempre affamati, divorano
moltissimi insetti e altri invertebrati. Questo doppio ruolo
ecologico fa di loro degli eccellenti bioindicatori. La loro
situazione cioe' riflette perfettamente lo stato di salute generale
dell'ambiente. Ecco perche' il loro declino e' un segnale molto
preoccupante. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. BIOTECNOLOGIA
Anche il Dna in microchip
OAUTORE ROBINO CARLO
OARGOMENTI biologia, tecnologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS biology, technology
FATE un esperimento. Prendete un ragazzino appassionato di
informatica e un genetista e domandate loro che cosa contiene un
microchip. Il primo, con tono tra il professionale e l'annoiato,
salmodiera': «Circuiti miniaturizzati incisi su materiale
semiconduttore». Quanto al secondo, e' probabile che vi lanci uno
sguardo esaltato e poi risponda: «Centinaia di migliaia di molecole
Dna!». Non si tratta di delirio scientifico, ma di una nuova
biotecnologia. Il Dna chip, per l'appunto: una sottile tessera di
silicio di appena 1-2 centimetri quadrati sulla quale e' possibile
legare un numero enorme di brevi frammenti di Dna (oligonucleotidi)
nella disposizione preferita. Per fare cio' si ricorre ad una
tecnica, la fotolitografia, comunemente utilizzata per fabbricare i
microprocessori. In microelettronica, la fotolitografia sfrutta la
luce per orientare nello spazio la formazione simultanea di una
grande quantita' di circuiti elettrici; nei Dna chip serve, invece, a
dirigere la sintesi degli oligonucleotidi, in modo che ciascuno di
essi abbia la sequenza desiderata di basi - le quattro unita'
chimiche che costituiscono «l'alfabeto» del Dna: adenina, timina,
citosina e guanina - e sia collocato in un punto ben determinato e
noto del supporto di silicio. Avere a disposizione migliaia di
oligonucleotidi fissati ad un unico substrato consente di eseguire in
contemporanea migliaia di reazioni di «ibridizzazione». Con questo
termine si intende, in genetica, la capacita' di due filamenti di Dna
e/o di Rna tra loro «complementari» di appaiarsi a formare una doppia
elica; di comportarsi, in pratica, come le meta' di una microscopica
cerniera lampo, che si uniscono solo se i rispettivi dentini
s'incastrano alla perfezione. Nel Dna e nell'Rna, anziche' file di
dentini, troviamo sequenze di basi: a ciascuna adenina di un
filamento deve corrispondere, nell'altro, una timina (uracile
nell'Rna) e viceversa; ad una citosina, una guanina e viceversa. La
capacita' di frammenti anche brevi di Dna di riconoscere, tra molte
sequenze, solo quelle complementari e di legarle in modo stabile e'
la chiave delle moderne tecniche di biologia molecolare: lo sforzo
degli scienziati per localizzare («mappare») e comprendere nelle loro
funzioni gli oltre 80.000 geni contenuti nel patrimonio ereditario
umano passa quotidianamente attraverso laboriose e ripetute reazioni
di ibridizzazione. Nonostante le difficolta', moltissimi geni sono
stati isolati, per intero e in frammenti incompleti, e le loro
sequenze, almeno in parte, precisate. L'uso dei Dna chip permettera'
in futuro di sveltire il mappaggio e l'analisi di sequenza, mentre
gia' oggi consente di rinvenire con facilita' minime mutazioni
patologiche (anche quelle puntiformi, dove e' modificata una singola
base) in geni di sequenza nota. Un esempio? Mutazioni nel gene pr del
virus Hiv determinano la comparsa di ceppi virali resistenti a certi
farmaci anti- Aids, come gli inibitori della proteasi. Grazie ai Dna
chip, e' possibile riconoscere la presenza dei virus mutanti in
pazienti sieropositivi e, di conseguenza, personalizzare la terapia.
Allo scopo, la sequenza normale («wild- type») del gene pr e' stata
analizzata a tavolino e scomposta in migliaia di oligonucleotidi, che
si e' poi provveduto a sintetizzare su un unico Dna chip. Di ogni
oligonucleotide il chip contiene, accanto alla forma wild-type, anche
tutte le possibili varianti che si discostano dalla sequenza normale
per una sola base. Il gene virale pr isolato dal sangue del paziente
viene replicato in milioni di copie, marcate con una sostanza
fluorescente (rossa, ad esempio). Le copie fluorescenti, una volta
ibridate con il Dna chip, si legano solo agli oligonucleotidi a loro
complementari, emettendo un segnale colorato. La disposizione
(«pattern») con cui i segnali di ibridizzazione si accendono sul chip
rispecchia in modo specifico la sequenza di basi del gene pr presente
nel paziente. Il pattern ottenuto puo' essere paragonato con quello
prodotto, sullo stesso Dna chip, da copie del gene pr wild-type che
siano state marcate con una fluorescenza di colore diverso (verde,
poniamo). Il risultato finale del confronto comparira', in pochi
minuti, sullo schermo di un computer, sotto forma di gradevole
scacchiera variopinta, in cui le eventuali mutazioni spiccano come
macchie rosse sul sottofondo uniforme (verdepiu'rosso). Se si pensa
che i tradizionali metodi di sequenza, oltre che lenti, appaiono di
un desolante bianco e nero, non resta che salutare con piacere
l'avvento dei Dna chip: anche in genetica, l'occhio vuole la sua
parte. Carlo Robino
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCEINZE DELLA VITA. SECONDO I GEORGOFILI
Toscani sanguigni e mordaci Pare che tutto il merito sia della
bistecca alla fiorentina
OAUTORE GRANDE CARLO
OARGOMENTI alimentazione
OORGANIZZAZIONI ACCADEMIA DEI GEORGOFILI
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS nourishment
MA perche' il carattere dei toscani e' cosi' spesso sanguigno,
mordace, predisposto al buon umore? La risposta, sorprendente, giunge
da una gloriosa istituzione scientifica italiana, l'Accademia dei
Georgofili: una parte del merito, oltre che al vino rosso, sarebbe da
attribuire ad alcune sostanze contenute nella famosa bistecca alla
fiorentina. Recentemente, presso la sede fiorentina dei Georgofili,
si e' tenuto un convegno sulla razza Chianina, nobilissima schiatta
di bovini che da oltre duemila anni pascola sulle colline della
Toscana e dell'Umbria: nell'antichita' i candidi buoi chianini
venivano impiegati per trainare i carri degli imperatori romani,
quando sfilavano per il trionfo. Oggi i vitelloni di questa razza
forniscono la carne per la bistecca alla fiorentina, alimento che
stando ai risultati di una ricerca quinquennale svolta nell'ambito
del progetto «Raisa» del Cnr, avrebbe qualita' straordinariamente
salutari per l'alimentazione umana: e' molto magra, ha un'elevata
proporzione di fosfolipidi e acidi grassi polinsaturi, ma
soprattutto, ha spiegato il prof. Francesco Antonini, ha forte
capacita' antiossidante nel sangue, molto simile, come quantita' e
durata, a quella del vino rosso. Tutto cio' produce un effetto non
solo nutritivo, ma anche terapeutico, che ne incoraggia il consumo
contro tutte le forme di ossidazione che si verificano di solito
durante la digestione e nel metabolismo associato. Le virtu' del vino
rosso sono dovute alla presenza di polifenoli e flavonoidi contenuti
ed estratti dalla buccia dell'uva durante la fermentazione, mentre
l'effetto antiossidante della carne, che non era fino ad oggi
conosciuto, non si sa ancora a quali elementi vada attribuito.
Probabilmente e' da attribuire a un dipeptide, la L- carnosina, di
cui e' molto ricco il muscolo striato dei bovini adulti. Quel che e'
certo, hanno spiegato al convegno, e' che il patrimonio genetico
della razza chianina e' molto particolare, perche' gli animali
presentano un metabolismo indirizzato verso la sintesi delle proteine
piuttosto che verso la deposizione di grasso. Proprio per questa loro
naturale capacita', gli stimolatori di crescita applicati a questa
particolare razza di bovini sono inefficaci: cio' garantisce quindi
la qualita' della loro carne, l'assenza di residui di tali prodotti,
cosi' spesso impiegati nella zootecnia. La razza chianina, inoltre,
ha un altro vantaggio: viene allevata con un sistema «estensivo»,
all'aperto, tanto piu' in ambienti eccezionali come le zone collinari
e montane. La Regione Toscana, per tutelare e valorizzare la
chianina, ha presentato un programma di ricerca quadriennale.
Un'altra dimostrazione di quanto sia importante difendere le razze
nostrane, frutto di una selezione genetica naturale, andata avanti
nel corso dei secoli. «La lunga tradizione alimentare toscana -
spiegano i Georgofili - non e' attribuibile solo al caso; anche
l'allegria, spesso eccessiva, che e' considerata caratteristica dei
nostri ristoranti, potrebbe trovare in questi cibi una ragione
d'essere rispetto ad altri paesi dove si preferiscono pietanze e
bevande di altro genere». Carlo Grande
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. COMPUTER E HANDICAP
I programmi per i disabili
Lenta l'evoluzione: se ne discute su Internet
OAUTORE REVIGLIO FEDERICO
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science
TRA sviluppi dell'informatica e multimedialita', sembra che il
computer diventi sempre piu' facile e piacevole da usare. Ma per
qualcuno e' vero il contrario. Sono i disabili, le persone con
difficolta' di movimento o con qualche privazione sensoriale. Per
molti di loro, l'arrivo del computer era stato meraviglioso: bastava
utilizzare il programma adatto, e un cieco poteva leggere, perche' la
macchina trasformava le parole scritte in suoni; chi non poteva
utilizzare le mani o le braccia, poteva scrivere, perche' la macchina
trasformava i suoni in parole scritte; chi non era in grado di
sfogliare un giornale, poteva chiedere al computer di farlo per lui,
ritrovando un certo articolo e magari leggendolo con una voce
sintetica, o traducendolo su una barra Braille, e cosi' via (come e'
possibile, fin dal 1988, proprio per «La Stampa», che e' l'unico
quotidiano italiano ad avere una edizione per disabili diffusa
gratuitamente via Televideo in collaborazione con la Rai). Per molti
disabili, l'arrivo in casa di un computer era stato il piu' bel
regalo immaginabile, di quelli che davvero cambiano la vita. Tutto
finito o quasi, proprio grazie ai progressi della macchina nella
piacevolezza per le persone che non hanno problemi. Per dare un
comando oggi non bisogna piu' scrivere una parola, come succedeva
qualche anno fa: basta un clic del mouse su un disegnino da qualche
parte dello schermo. E' ottimo e riposante, a patto di poter vedere
dov'e' il disegnino, e di poter spostare il mouse fino a
intercettarlo: ma se non si hanno queste capacita'? E cosa dire di
chi, privo dell'udito, cerca sul computer un articolo di enciclopedia
e trova - prodigio multimediale - che l'editore ha trattato il tema
non con un testo, ma con un film commentato solo da una voce fuori
campo? O di chi, non vedendo, fa cercare dal computer il testo di un
articolo perche' gli venga letto in suoni, e scopre che la macchina
si blocca impotente perche' a meta' del testo trova una bella foto,
cioe' un'informazione non fatta di parole? Il guaio e' che i
programmi tradizionali per disabili sono strumenti si' molto
sofisticati, ma in grado di funzionare bene solo se applicati a
informazioni in forma elementare: lettere dell'alfabeto e numeri,
espressi elettronicamente nel modo piu' semplice. Se si comincia con
disegni, foto, filmati, animazioni, suoni e quant'altro, molti
programmi si inchiodano, non capiscono letteralmente piu' quel che
stanno «vedendo». Certo, anche i programmi per disabili cercano di
migliorare, e di affrontare informazioni piu' complesse: per esempio,
si inventano programmi in grado di «guardare» uno schermo
identificandone le diverse zone; si chiamano «screen reader», e
ottengono gia' ottimi risultati, pur se imperfetti. E' comunque
un'evoluzione molto difficile, lenta, e in qualche caso probabilmente
impossibile. Intanto, se ne discute (ovviamente, su Internet). Gli
indirizzi utili sono ormai centinaia, oltre a molti newsgroup.
Limitiamoci a un paio in Italia, che dispongono di ottime liste per
visitare altri siti. Anzitutto, le ormai storiche pagine del Cnr di
Firenze. http://area.fi.cnr.it/hcap/first.htm; e' poi anche assai
buona la pagina per disabili di McLink
(www.mclink.it/mclinck/handicap/index.htm). Da questi due trampolini,
si puo' arrivare dappertutto. E le istruzioni (dettagliatissime) per
progettare un servizio informatico che non respinga i disabili? C'e'
tutto a http://trace.wisc.edu/HTMLgide/. Se state realizzando un sito
web, andate subito a vedere. Federico Reviglio
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZA DELLA VITA. NUOVI FARMACI
Il mistero emicrania
Ne soffre il 15% dell'umanita'
OAUTORE PINESSI LORENZO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, chimica, farmaceutica
OORGANIZZAZIONI INTERNATIONAL HEADACHE SOCIETY
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, chemistry
NUMEROSI studi epidemiologici hanno dimostrato che il quindici per
cento della popolazione mondiale soffre di emicrania. L'emicrania e',
spesso, una malattia curata in modo inadeguato o addirittura non
diagnosticata. Solo un terzo dei pazienti si rivolge al medico per
una terapia corretta, gli altri provano a curarsi da se' o si
limitano ai consigli del farmacista. I costi sociali della malattia,
sia di tipo diretto (la cura) sia indiretto (assenze dal lavoro),
sono enormi. Si e' recentemente svolto ad Amsterdam l'ottavo
congresso della International Headache Society. Specialisti e
ricercatori di tutto il mondo hanno cercato di fare il punto sulle
piu' recenti acquisizioni sulla malattia emicranica e sulle sue
prospettive terapeutiche. I neurogenetisti hanno presentato le nuove
ricerche sulle basi molecolari dell'emicrania. Numerose evidenze in
questo settore indicano come l'emicrania debba essere classificata
tra le canalopatie, tra quelle malattie neurologiche, cioe', che sono
causate dalla mutazione di geni che codificano per canali ionici di
membrana. Il primo gene ad essere stato clonato in una rara forma di
emicrania (emicrania emiplegica familiare - Fhm) e' quello che
codifica per la subunita' alfa1A del canale del calcio. Alterazioni
dello stesso gene sono risultate, successivamente, responsabili di
altre malattie neurologiche come una forma di atassia episodica
(Ea-type 2) ed una forma di atassia degenerativa (Sca 6).
Nell'animale da laboratorio, alterazioni dello stesso canale ionico
sono responsabili della comparsa di crisi epilettiche. Piu'
recentemente e' stato localizzato sul cromosoma 1 un secondo gene
correlato ad un'altra forma ereditaria di emicrania. Le ricerche di
neurofisiologia clinica, condotte con sofisticate metodiche come i
potenziali evocati evento-correlati e il brain mapping, hanno
rivelato nei soggetti emicranici una alterazione dell'eccitabilita'
della corteccia cerebrale, alterazione che puo' essere corretta dai
farmaci betabloccanti, spesso utilizzati nella profilassi della
malattia. Varie relazioni si sono occupate dei nuovi farmaci in grado
di bloccare l'attacco emicranico. La terapia dell'emicrania era, anni
fa, basata sull'utilizzo dei farmaci antinfiammatori non steroidei
(Fans) e dei derivati degli ergot alkaloids (ergotamina e
diidroergotamina). Farmaci, questi, discretamente efficaci
nell'attacco emicranico, ma gravati dalla presenza di numerosi
effetti collaterali e da diverse controindicazioni. Alla fine degli
Anni 80 venne commercializzata una nuova molecola, il sumatriptan,
caratterizzata da un effetto selettivo sui recettori per la
serotonina, in particolare i recettori 5-ht1. Soprattutto per
somministrazione sottocutanea il farmaco e' risultato particolarmente
utile sia nell'emicrania che nella cefalea a grappolo, altra forma
particolarmente grave di cefalea. Il sumatriptan e', rapidamente,
divenuto il farmaco di prima scelta nella terapia delle forme gravi
di emicrania. Anche questo prodotto, tuttavia, ha evidenziato effetti
collaterali (in particolare di tipo cardiovascolare) ed ha dimostrato
una breve durata di azione. Per superare questi limiti i laboratori
di ricerca hanno sviluppato, a partire dal sumatrip tan, una nuova
generazione di farmaci antiemicranici. Tra questi, il Rizatriptan, il
Naratriptan, lo Zolmitriptan e l'Elitriptan stanno per fare il loro
ingresso anche sul mercato italiano. Diversi studi negli animali da
esperimento e numerose sperimentazioni cliniche internazionali hanno
dimostrato l'efficacia di queste nuove molecole, i triptani, che
causano un minor numero di effetti collaterali e hanno una piu'
rapida e prolungata azione antiemicranica. L'efficacia e' in rapporto
ad una azione selettiva sui recettori serotoninergici localizzati
sulle arterie craniche, ed alla loro capacita' di attraversare la
barriera emato-encefalica inibendo, cosi', l'attivazione dei
meccanismi cerebrali del controllo del dolore (specificatamente il
sistema trigemino-vascolare). Lorenzo Pinessi Direttore del Centro
Cefalee Universita' di Torino
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZA DELLA VITA. ANALGESICI
Continua la guerra al dolore
OAUTORE DI AICHELBURG ULRICO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, chimica, farmaceutica
OORGANIZZAZIONI OMS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, chemistry
IL dolore non e' una sensazione come le altre, la sua intensita' non
e' valutabile con metodi obiettivi, percio' studiarlo e' sempre stato
difficile. Tuttavia negli ultimi tempi le conoscenze della
neurobiologia del dolore si sono approfondite, e come conseguenza si
hanno idee piu' chiare sulla utilizzazione dei mezzi antalgici. L'Oms
(Organizzazione mondiale della sanita') ha proposto di collocare gli
antalgici in tre piani, una gerarchia in relazione al livello di
efficacia e dei rapporti vantaggi-inconvenienti. Al primo piano
troviamo i non morfinici, detti a torto analgesici minori,
rappresentati dall'aspirina e dai Fans (farmaci antinfiammatori non
steroidei, ossia non cortisonici); al secondo le associazioni dei
precedenti con morfinici deboli quale la codeina; al terzo la
morfina. Detto in maniera molto semplificata, l'aspirina ed i Fans
agiscono inibendo l'enzima ciclo-ossigenasi, da cui una diminuzione
della sintesi delle prostaglandine le quali hanno un ruolo importante
nella comparsa del dolore; la morfina (e gli oppiacei in genere)
inibisce la liberazione della sostanza P, un neuropeptide che funge
da messaggio dolorifico. Non trascurabili sono poi i farmaci
co-analgesici come gli antidepressivi, gli anti-epilettici, i
miorilassanti, gli ansiolitici, i cortisonici, gli antispastici,
sovente utili, talora essenziali contro il dolore. A proposito della
morfina, l'effetto indesiderabile piu' preoccupante potrebbe
ritenersi la farmaco-dipendenza, rischio potenziale tuttavia minimo:
vedi per esempio la ricerca degli americani Porter e Jick su 12 mila
pazienti, dei quali quattro soltanto ebbero dipendenza. Va aggiunto
che, in confronto all'aspirina o alla morfina, pressoche' centenarie,
la farmacopea dispone di molte altre recenti sostanze (ogni anno
vengono studiate migliaia di nuove molecole analgesiche) le quali
pero' non hanno sinora portato a evoluzioni radicali della lotta
contro il dolore. Invece si sono profondamente modificati i metodi
neurochirurgici a indicazione antalgica. Qui ci sono veramente
novita'. Per esempio la neurostimolazione mediante l'applicazione
sulla cute di elettrodi che generano corrente, utilizzabile anche per
parecchie ore al giorno in certi tipi di dolore, ha il fine di
rafforzare il funzionamento delle fibre inibitrici dei nervi
periferici, e di bloccare gli stimoli dolorifici. Gli elettrodi
possono essere impiantati anche internamente in corrispondenza di
tratti del midollo spinale in rapporto con le zone sedi del dolore, o
di aree del cervello quale il talamo. La stessa morfina puo' essere
introdotta in corrispondenza del midollo spinale, in dosi assai
inferiori a quelle necessarie per le consuete vie di
somministrazione. Veri e propri interventi di neurochirurgia
riguardano i nervi cranici (nevralgie del trigemino e altri dolori
facciali di varia origine), oppure il midollo spinale, il mesencefalo
ecc. La «drezotomia» microchirurgica (DREZ per Dorsal Root Entry
Zone) consiste nella distribuzione selettiva di piccole fibre nervose
conduttrici del dolore, agendo sulla zona d'entrata delle radici
dorsali del midollo. Il grande numero e la grande varieta' dei mezzi
neurochirurgici contro il dolore danno oggi una migliore possibilita'
di trattamenti adeguati e di risultati soddisfacenti. Quanto ai
farmaci e' sperabile un progresso poiche' le piste da seguire sono
numerose e riguardano concetti nuovi implicanti interazioni con i
sistemi di controllo del dolore, sempre meglio noti. La messa a punto
d'un nuovo analgesico e' pero' lunga poiche' non basta dimostrare
sperimentalmente che una molecola ha proprieta' antalgiche. La
strategia terapeutica del dolore e' estremamente complessa, la
differenza fra dolori acuti e cronici e' fondamentale, particolarita'
diverse riguardano il bambino, l'anziano, la donna, l'operato, il
grande ustionato, il malato di Aids, il malato di tumore, i dolori
neurologici (emicrania, zoster, parkinsoniani, algoneurodistrofie
dopo traumi anche banali, arti fantasma). Ulrico di Aichelburg
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZA DELLA VITA. QUANTO E COSA CONSUMA
Il cervello e' un muscolo?
Il rebus delle energie cerebrali
OAUTORE GIACOBINI EZIO
OARGOMENTI biologia
OORGANIZZAZIONI ISTITUTO WEIZMAN
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS biology
FINO a una decina di anni fa i neuroscienziati erano convinti non
solo che il cervello fosse assolutamente dipendente da un continuo
consumo di ossigeno e glucosio ma anche che il consumo aumentasse
notevolmente con la funzione. Si credeva, allora, che appena una
parte del cervello fosse entrata in azione (ad esempio facendo un
calcolo) si sarebbe automaticamente verificato un aumento del consumo
di energia e di ossigeno rispetto ai livelli di riposo. Il volume
totale di ossigeno consumato dal cervello non e' trascurabile se
messo in rapporto al peso dell'organo. Pur pesando un ventesimo del
corpo, il cervello rappresenta quasi un quinto del consumo totale a
riposo dell'intero organismo. Pari a quello della muscolatura. E'
pure noto che il cervello e' molto sensibile a una diminuzione di
ossigeno (ipossia) e che l'occlusione temporanea dell'apporto di
sangue ossigenato (ischemia) produce in pochi secondi la perdita
della coscienza e danni irreparabili dopo pochi minuti (si pensi alle
embolie cerebrali). Il combustibile preferito dal cervello e' il
glucosio. La sua mancanza causa rapidamente sintomi come confusione
mentale, convulsioni e coma. Ad un congresso in Svezia nel 1985 i
neuroscienziati americani Raichle e Fox comunicavano che secondo i
loro calcoli usando la tecnica Pet si notava solo un aumento minimo
del consumo di ossigeno nelle aree sensoriali cerebrali di soggetti
umani stimolati. Aumentava la circolazione cerebrale locale (del 50%)
ma il consumo di ossigeno era praticamente stabile (solo il 5% in
piu'). Cio' significava non solo che la funzione cerebrale (pensare,
calcolare, vedere) puo' svolgersi con un consumo bassissimo di
energia, ma anche che tale energia non deriva necessariamente dal
metabolismo del glucosio ma dall'acido lattico (un prodotto di
degradazione del glucosio), che non ha bisogno di ossigeno per
produrre energia. Dopo un periodo di dubbi sull'umiliante
degradazione del cervello a muscolo non solo come produzione ma anche
come consumo (di lattato), questa ipotesi fini' per consolidarsi. In
aprile si e' avuta una nuova scossa che ha fatto oscillare il pendolo
nella direzione opposta. Due scienziati dell'Istituto Weizman di
Rehovot in Israele, Grinvald e Malonek, erano riusciti a dimostrare
un aumento del 100% del consumo di ossigeno della corteccia cerebrale
visiva di un gatto la cui retina era stata stimolata da un'immagine.
L'effetto, osservabile gia' 2 decimi di secondo dopo la stimolazione,
si manteneva per diversi secondi. Era una prova definitiva che il
cervello consuma piu' ossigeno lavorando che a riposo? Per la prima
volta si era potuto osservare in modo diretto il passaggio
dell'ossigeno legato all'emoglobina dal sangue al tessuto nervoso
durante l'attivita' nervosa, cioe' nell'atto di vedere un oggetto.
Per quanto riguarda il consumo di lattato (anziche' del piu' nobile
glucosio), il neuroscienziato svizzero Magistretti ha proposto che la
provenienza di questo combustibile cerebrale non sia di origine
neuronale ma gliale, cioe' da cellule satelliti dei neuroni. Questa
ipotesi porterebbe alla conclusione un po' sconcertante che
l'immagine che osserviamo con la Pet non sia il risultato di una
attivita' chimica delle cellule nervose ma delle numerose cellule
(non nervose) che le contornano. Pur restando il valore per la
ricerca e l'utilita' per la clinica dei metodi di visualizzazione
cerebrale, c'e' da capire che cosa significhino esattamente le
immagini prodotte da queste tecniche dal punto di vista della
funzione del cervello. Ezio Giacobini
ODATA 02/07/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZA DELLA VITA. TELEMEDICINA E TERZO MONDO
Pronto soccorso via computer
La telematica al servizio delle zone piu' remote
OAUTORE ROTA ORNELLA
OARGOMENTI informatica, medicina e fisiologia, comunicazioni
ONOMI LAOUYANE AHMED
OORGANIZZAZIONI ONU, OMS
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS computer science, medicine and physiology, communication
UN computer puo' salvare la vita: questa, la ragione della
telemedicina nei Paesi del Terzo e Quarto Mondo. Nelle zone rurali
immense e sperdute, il computer infatti rende per la prima volta
possibile qualcosa che finora non era neppure pensabile: chiamare un
medico quando ce n'e' bisogno. Ideale, un centro comunitario di
telemedicina: fisso, per costituire punto di riferimento di parecchi
villaggi, oppure mobile, in grado di dispensare cure anche nei posti
piu' lontani. Via computer, il sanitario, pur distante centinaia o
migliaia di chilometri, ricevera' dati, formulera' diagnosi e
terapia, dirigera' le operazioni degli infermieri locali, impartira'
nozioni indispensabili soprattutto nei casi di pronto soccorso. E
l'impatto sui costumi sara' altrettanto importante di quello sulla
salute. Per gli ospedali dei centri urbani del terzo e quarto mondo,
la possibilita' di consultare, via computer, specialisti magari molto
lontani, di avvalersi di tecniche sofisticate spesso non ancora in
dotazione, migliorera' il livello professionale non soltanto dei
medici ma in generale degli addetti alla sanita'. Per usare al meglio
le opportunita' offerte dalla tecnologia di oggi, i vari Paesi, a
cominciare dai piu' industrializzati, dovrebbero pero' decidersi a
mettere i risultati delle rispettive ricerche a disposizione del
«villaggio globale»: un presupposto che, all'apparenza lapalissiano,
nei fatti rimane un'utopia. Su questa esigenza ha insistito il primo
Simposio mondiale di telemedicina ai Paesi in via di sviluppo, che si
e' svolto in luglio, a Lisbona, organizzato dall'Union Internationale
des Telecommunications (Uit, organismo dell'Onu specializzato nel
settore). Altro problema, individuare le tecnologie piu' appropriate,
diverse a seconda delle aree (con i relativi costi). A tali ricerche
si dedicano, da tempo, esperti dei ministeri della Sanita' e delle
Telecomunicazioni di oltre quaranta Paesi. Organizzate dall'Uit di
concerto con i governi interessati, alcune missioni hanno di recente
compiuto sopralluoghi in Butan, Camerun, Mozambico, Uganda,
Uzbekistan, Tanzania, Thailandia, Ucraina, Vietnam. Alla riunione
plenaria degli specialisti, che si svolgera' in settembre a Ginevra,
guardano con grande attenzione l'Organizzazione Mondiale della
Sanita' e l'Unione Europea. Di fianco alle difficolta' scientifiche,
tecnologiche, economiche e politiche, un altro ostacolo e' costituito
«dalla mentalita' di Paesi nei quali», dice Ahmed Laouyane, direttore
dell'ufficio di sviluppo delle telecomunicazioni all'Uit, «la
telemedicina rimane troppo sovente un concetto astratto, tanto fra la
gente quanto fra le autorita' preposte alla salute pubblica».
Situazione peraltro diffusa in tutto il mondo, industrializzato e
non; ovunque, una considerevole fetta di popolazione diffida delle
novita' proprio in quanto tali. Al pari degli altri pregiudizi, anche
questo puo' essere superato con la conoscenza. «Due strategie
supplementari», prosegue Laouyane, «dovrebbero integrarsi. La prima
utilizzando tutti i mezzi di comunicazione possibili per informare
governi e cittadini sulle opportunita' offerte dalla telemedicina. La
seconda, realizzando progetti-pilota capaci di dimostrare in concreto
l'efficienza di queste nuove tecnologie». Ornella Rota
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. COLLOQUIO CON THOMAS STARZL
Salvate centinaia di vite umane
OGENERE dossier, intervista
OAUTORE FRONTE MARGHERITA
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OPERSONE STARZL THOMAS
ONOMI STARZL THOMAS
OORGANIZZAZIONI ISTITUTO DEI TRAPIANTI DI PITTSBURGH
OLUOGHI ITALIA
ONOTE TEMA: IL FUTURO DEGLI XENOTRAPIANTI
OKIND dossier, interview
OSUBJECTS medicine and physiology
PIONIERE dei trapianti di fegato e uno dei primi a tentare, nel 1964,
uno xenotrapianto da scimmia a uomo, il chirurgo Thomas Starzl ha
dato un contributo fondamentale allo sviluppo delle tecniche per il
trapianto di organi. Dal 1990 dirige l'istituto dei trapianti di
Pittsburgh che porta il suo nome. Nel 1992 fu a capo del gruppo di
medici, fra cui alcuni italiani, che trapiantarono il fegato di un
babbuino in un uomo. L'operazione riusci', ma la pesante terapia
immunosoppressiva espose il paziente a una serie di infezioni che lo
stroncarono a settanta giorni dall'intervento. Per i meriti
scientifici conseguiti nella sua lunga carriera, e per aver salvato
attraverso i trapianti di fegato centinaia di vite, a Thomas Starzl
e' stato conferito lo scorso 27 maggio a Milano, il premio Chirone
dell'Accademia Nazionale di Medicina. Professor Starzl, nel 1967 lei
porto' a termine con successo il primo trapianto di fegato. Negli
anni precedenti aveva tentato altre volte, ma le operazioni erano
fallite. Cosa era cambiato in quel periodo? «Quando iniziammo,
nessuno pensava che avremmo mai avuto successo. Ci ritenevano dei
pazzi, ed effettivamente non c'era nessun ragionevole motivo per
prevedere il cambiamento che si e' verificato grazie allo sviluppo
delle tecniche di trapianto. I primi tentativi fallirono, ma ci
rendemmo subito conto che le cose da migliorare erano sostanzialmente
tre. Per prima cosa dovevamo mettere a punto un'efficace terapia
immunosoppressiva, perche' non eravamo in grado di controllare la
reazione di rigetto. Lavorammo molto su questo punto e sviluppammo un
farmaco in grado di bloccare la reazione del sistema immunitario.
Infine in quel periodo portammo a termine degli studi che ci
permisero di verificare fino a che punto la compatibilita' fra
donatore e ricevente fosse importante. Non potevamo fare di piu'». E
fu sufficiente? «Si', nel 1966 iniziammo a trattare i primi pazienti
con i nuovi farmaci, e ottenemmo il primo successo all'inizio di
luglio del 1967. Gli anni precedenti erano stati fondamentali, e le
lezioni che avevamo appreso furono applicate in tutti i tipi di
trapianti. Barnard che sei mesi dopo avrebbe tentato il primo
trapianto di cuore, venne in visita da noi a imparare la tecnica di
immunosoppressione, e fornimmo il farmaco a molti altri». E' come se
aveste dato il via. «Esattamente. Quando rompemmo la barriera, che
era anche psicologica, con il primo trapianto di fegato nel 1967, i
trapianti di altri organi seguirono uno dopo l'altro. Cuore, polmomi,
pancreas. Diversi chirurghi, con vicende alterne e utilizzando le
tecniche sviluppate nel nostro laboratorio, tentarono gli interventi.
E ogni lezione appresa da un gruppo trasformava e migliorava le
procedure degli altri». Le prime esperienze sull'uomo sono state
determinanti per lo sviluppo della tecnica? «Portammo a termine ogni
operazione con il massimo rispetto verso il paziente. Fin dai primi
tentativi. Prima di allora era stato tentato solo il trapianto di
rene, che tecnicamente era il piu' semplice. Ci rendevamo conto della
difficolta' dell'intervento, avevo compiuto l'operazione centinaia di
volte su animali prima di tentare sull'uomo nel 1963. Mi ero
esercitato su quell'intervento per piu' di cinque anni. Sapevo che
era difficile». In quel periodo lei tento' anche il primo trapianto
da scimmia a uomo. Perche', viste le difficolta', scelse uno
xenotrapianto? «Il motivo e' che non c'erano donatori. Non avevamo
scelta. In quegli anni era molto difficile ottenere gli organi da
trapiantare perche', anche se c'era il permesso del prelievo,
riuscivamo ad avere al massimo due o tre donatori all'anno. Inoltre
c'erano pochissimi centri per la dialisi. Immagini una stanza con sei
letti e decine di migliaia di pazienti che aspettano. Il solo modo
per uscire da questa situazione era trovare un donatore». Pensa che
la mancanza di organi oggi possa essere sopperita solo col ricorso
allo xenotrapianto? «Si', se funzionasse. Il problema non e' diverso
da come si presentava nel 1963. Inoltre la situazione degli
xenotrapianti oggi e' vista esattamente come i trapianti da uomo a
uomo erano considerati all'inizio degli Anni Sessanta, quando eravamo
davvero in pochi a crederci. Per far fronte alla carenza di organi ci
sono solo due possibilita': sviluppare dispositivi artificiali o
ricorrere ad animali. La prima ipotesi pero' e' molto difficile da
realizzare, vista la complessita' di certi organi come il fegato. Gli
xenotrapianti devono poter fornire un organo in maniera definitiva, e
non solo in attesa di un donatore umano. A cosa serve trapiantare un
organo solo per dieci giorni?» Lo xenotrapianto funzionera'? «Ci sono
ancora molti aspetti da studiare. Lo sviluppo di animali transgenici
e le tecniche che consentono di indurre la tolleranza verso il
trapianto attraverso il chimerismo possono determinare una svolta da
un momento all'altro. Io sono estremamente fiducioso. Riusciremo a
eliminare le due fasi della reazione di rigetto e a ottenere
l'indipendenza dai farmaci immunosoppressori». Ma ci sono altri
problemi, come la trasmissione dall'animale all'uomo di virus e altre
infezioni. «No. Queste voci derivano dai gruppi degli animalisti, che
combattono per la difesa dei diritti degli animali con argomenti che
fanno presa sull'opinione pubblica. La maggioranza delle persone non
sta ne' con i medici ne' con gli animalisti, ma e' nel mezzo, e
ascolta le voci che fanno piu' rumore. Chi si batte per la difesa
degli animali usa questo tipo di argomenti per rafforzare le sue
posizioni. In realta' le moderne analisi e le tecniche di biologia
molecolare consentono di controllare se l'organo e' portatore di
agenti infettivi. Non dico che il rischio sia da escludere, ma e'
estremamente ridotto». Quanto tempo ci vorra' perche' lo
xenotrapianto entri nella pratica chirurgica? «Non si puo' dire.
Nonostante i passi avanti che sono stati compiuti il problema del
rigetto non e' ancora risolto. Le scoperte nella scienza possono
arrivare all'improvviso e cambiare tutto. Nel 1963 capito' proprio
cosi'; e quando ci rendemmo conto della necessita' di una terapia
immunosoppressiva fu come ricomporre un puzzle. Ma la cosa
preoccupante della scienza nel 1997 e' la mole di informazioni
disponibili. Nel 1962 bastava chiudersi in biblioteca per tre giorni
e venire a conoscenza di tutto cio' che il mondo sapeva sui
trapianti. Oggi non c'e' nessuno che abbia una visione cosi' ampia
del suo campo di studi. Inoltre la maggioranza dei ricercatori, per
pubblicare il maggior numero di lavori possibile, si concentra su un
particolare del problema che sta analizzando, e perde la visione
globale. Penso che chi sceglie di andare in una direzione diversa non
lo fa per ambizione personale, ma per motivazioni piu' profonde».
Margherita Fronte
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. TRA UN ANNO?
In arrivo il fegato artificiale
OGENERE dossier
OAUTORE COHEN ESTER
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI CANINO VITTORIO
OLUOGHI ITALIA
ONOTE TEMA: IL FUTURO DEGLI XENOTRAPIANTI
OKIND dossier
OSUBJECTS medicine and physiology
ALLA cronica carenza di organi per il trapianto la ricerca tenta da
qualche anno di rispondere con organi artificiali, veri e propri
gioielli tecnologici che permettono ai malati di vivere il tempo
necessario a trovare un donatore. Per il rene e il cuore, organi «di
passaggio» esistono gia'. Per il fegato le cose sono piu' complicate
perche' questo svolge molte sofisticate funzioni, dall'eliminazione
delle tossine alla produzione di sostanze indispensabili alla vita,
come zuccheri, grassi, proteine e ormoni. Finora sono stati
realizzati due tipi di fegato artificiale, entrambi - e' bene
sottolinearlo - ancora sperimentali. Il primo, studiato soprattutto
per curare i pazienti che non riescono a smaltire le sostanze
tossiche, e' una sorta di dialisi che si effettua facendo passare il
sangue attraverso filtri di carbonio attivo. Il secondo e' invece
detto «fegato bioartificiale» in quanto e' composto da una parte
viva, una colonia di qualche miliardo di cellule epatiche che lavora
di concerto con una parte sintetica, la membrana di emodialisi.
Questo insieme, bioartificiale appunto, e' in grado di svolgere,
almeno per un periodo di transizione, le funzioni di un fegato
normale. Per costruire uno di questi «organi» bisogna innanzitutto
isolare gli epatociti, ovvero cellule epatiche, estraendoli da alcuni
tipi di tumori del fegato oppure da animali come il maiale. In questo
caso pero' gli epatociti vengono prima modificati geneticamente per
renderli compatibili con il sistema immunitario dell'uomo. Si fa
agire poi un enzima, la collagenasi, che corrode e allontana il
tessuto di sostegno che normalmente si trova intorno agli epatociti.
Resi in questo modo «puri», gli epatociti vengono quindi messi in
coltura su un apposito substrato, pronti a lavorare con la membrana,
che e' fatta di cellulosa o di materiale poliacrilico e possiede una
caratteristica fondamentale: e' semipermeabile. Da un lato, cioe',
permette l'ingresso e lo scambio di sostanze utili al funzionamento
del fegato, dall'altro impedisce che entrino in circolo gli anticorpi
che l'organismo produce e che sono causa del sempre temuto rigetto.
Il fegato bioartificiale, insomma, riesce a eludere la sorveglianza
dell'organismo che serve proprio perche' opera in uno stato di
«isolamento immunitario». Un tipo di fegato artificiale interno,
peritoneale, e' stato finora impiantato solo negli animali mentre i
diversi modelli esterni sono gia' in fase di sperimentazione anche
sull'uomo. Sono soltanto sette in tutto il mondo i centri autorizzati
dall'Organizzazione mondiale della sanita' a praticare la
sperimentazione del fegato artificiale. Da oltre due anni un'equipe
di chirurghi torinesi e francesi, coordinati da Vittorio Canino,
porta avanti le ricerche in questo campo. E piu' o meno tra un anno
un fegato artificiale sara' disponibile, terzo in Europa e unico in
Italia, all'ospedale Molinette di Torino. Ester Cohen
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. DAI LABORATORI DI CAMBRIDGE IL FUTURO DEGLI
XENOTRAPIANTI
«Fra quanto tempo dottor White?»
Il maiale fornira' la maggior parte degli organi da trapiantare
OGENERE dossier
OAUTORE M_FR
OARGOMENTI medicina e fisiologia
ONOMI WHITE DAVID, STARLZ THOMAS
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE G. Trapianto di fegato (condizioni del paziente al 3o mese e al 12o
mese
dopo il trapianto); G. Sopravvivenza dei pazienti trapiantati di
cuore e
fegato dal 1991 al 1996; G. Trapianto di fegato (numero di ingressi
in lista
di attesa e trapianti); C. Donatori utilizzati per milione di
abitanti nelle
regioni nel 1996
ONOTE TEMA: IL FUTURO DEGLI XENOTRAPIANTI
OKIND dossier
OSUBJECTS medicine and physiology
I numeri parlano chiaro. Ogni anno la richiesta di organi supera
l'offerta del 15 per cento, e le liste di attesa per i trapianti
concedono pochissime speranze a chi ha bisogno di un organo nuovo in
tempi brevi. Si potrebbe investire nella ricerca medica finalizzando
gli sforzi, per evitare che si arrivi al punto di aver bisogno di un
trapianto; oppure incentivare e migliorare il sistema della donazione
di organi umani. Ma la strada degli xenotrapianti, oggi, sembra piu'
promettente e soprattutto in breve, visti i finanziamenti stanziati
dalle case farmaceutiche. Le tre grandi religioni dell'Occidente non
si oppongono, purche' l'animale che «dona» l'organo non soffra, e sul
piano etico le uniche lamentele arrivano dai gruppi animalisti, che
pero' hanno poca voce in capitolo perche' solitamente nascondono bene
le loro ragioni (poche, ma non irrilevanti) con atteggiamenti
antiscientifici. «Fra quanto tempo, dottor White?». E' la domanda che
ha dominato un convegno sull'argomento tenutosi recentemente alla
Sissa di Trieste. «Non molto, pochi anni. Forse due», risponde David
White, il medico-ingegnere impegnato nella ricerca sugli
xenotrapianti nei laboratori della Imutran Ltd. di Cambridge.
Ottimista, e non potrebbe non esserlo annunciando i risultati
ottenuti dal suo gruppo e decretando che sara' il maiale, gia'
ampiamente sfruttato dall'uomo per i piu' diversi usi, a donarci
reni, fegato, cuore e tutto cio' di cui dispone, eccetto forse le
setole. Il maiale; perche' ha organi che assomigliano ai nostri per
dimensioni e caratteristiche fisiologiche, perche' e' facile da
allevare, e perche' a Cambridge hanno trovato il modo di renderlo
compatibile con il nostro sistema immunitario, che di accogliere un
organo proveniente da una specie diversa non vuole proprio saperne.
La difficolta' maggiore per gli xenotrapianti consiste infatti nel
superare le due fasi della reazione di rigetto. La prima si verifica
immediatamente; subito dopo il trapianto infatti si attiva il
complemento, un insieme di proteine che fanno parte del sistema
immunitario. Il complemento riconosce l'estraneita' delle strutture
presenti sulla membrana delle cellule del nuovo organo e provoca una
violenta reazione che porta alla morte in pochissimo tempo. Il
problema e' stato parzialmente risolto con lo sviluppo di nuovi
farmaci immunosoppressori in grado di bloccare la reazione ma che
alla lunga rendono l'individuo estremamente vulnerabile all'attacco
di virus e batteri. Secondo David White una possibile soluzione per
scongiurare il rigetto iperacuto risiede nello speciale patrimonio
genetico dei maialini ottenuti nei laboratori della Imutran. Infatti
nel Dna degli animali di Cambridge e' stato introdotto il gene di una
proteina umana chiamata Daf, in grado di bloccare l'azione del
sistema del complemento. Gli esperimenti proseguono, e le prove di
trapianto di cuore e rene effettuate da maiale a scimmia hanno dato
risultati incoraggianti. La reazione di rigetto che si verifica in un
secondo tempo e' dovuta invece all'attivazione delle cellule
sentinella del sistema immunitario, anche loro piuttosto ostili nei
confronti del nuovo organo. Tuttavia anche questa difficolta' sembra
vicina a una soluzione grazie al chimerismo, un fenomeno osservato
per la prima volta da Thomas Starzl nel 1992. Il chirurgo si accorse
che dopo un normale trapianto da uomo a uomo alcune cellule
provenienti dal nuovo organo invadono i tessuti dell'ospite. Questo
fenomeno e' alla base dell'accettazione del trapianto da parte del
sistema immunitario del paziente, e secondo Starzl puo' essere
indotto anche nei confronti di un organo proveniente da un'altra
specie, rendendo possibili gli xenotrapianti.(m. fr.)
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. NEL BENIN
Un frutto bello e tossico
OAUTORE GRANDE CARLO
OARGOMENTI botanica
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Uno spaccato della capsula della Bighia Sapida
OSUBJECTS botany
SULLA spiaggia di Ouidah, nell'antico Dahomey, prima di essere
stipati nelle navi dei negrieri gli schiavi venivano sottoposti a
pratiche magiche e fatti girare tre volte intorno all'albero
dell'oblio, affinche' perdessero la memoria della loro origine. Oggi
il Dahomey si chiama Benin, ma in questo piccolo Paese dell'Africa
Occidentale, con cinque milioni di abitanti, un'altra pianta e'
simbolo infausto per la popolazione: si chiama Blighia sapida, e' un
albero alto fra gli 8 e i 25 metri e ha causato epidemie gravissime,
con decine di morti soprattutto tra i bambini, nei villaggi Wansokou,
nel Nord del Paese. La pericolosita' dell'albero, che appartiene alla
famiglia delle sapindacee ed e' coltivato anche nel Nord del Togo,
nella Nigeria del Sud, in India e in America tropicale, e' stata
scoperta solo di recente, per merito di medici italiani. Per mesi
molti bambini della zona, fra i quattro e gli otto anni, si sono
ammalati senza un motivo apparente. Cadevano in preda a crisi
epilettiche, a violentissimi conati di vomito, a dispnea asmatiforme.
Molti andavano in coma e morivano. I medici italiani, che fanno capo
al torinese Salvatore Saporita, hanno proseguito con maggiore
successo le ricerche effettuate da un'equipe di medici olandesi, che
a lungo hanno cercato le cause dell'epidemia: hanno scoperto che i
bambini erano vittime del veleno contenuto nel frutto della Blighia,
una capsula pendente giallo-rossa, ovale, di 6 centimetri per tre.
Quand'e' matura, la capsula si apre in due valve rotondeggianti, che
contengono semi neri e lucidi. Ogni seme e' circondato da un arillo
carnoso color panna: l'arillo e il seme costituiscono la parte
commestibile del frutto, che puo' essere mangiato fresco, ma
normalmente viene cucinato. I problemi provengono dalla membrana rosa
che unisce l'arillo al seme: quando il frutto non e' maturo contiene
un veleno (ipoglicina peptidea, un aminoacido) in dosi altamente
tossiche (l'uno per cento di tossina quando il frutto e' acerbo,
contro lo 0,0012 per cento di quando e' maturo). Da febbraio a marzo
e nella prima settimana di aprile, inoltre, il frutto puo' essere
mangiato senza pericolo. Gli adulti, comunque, in genere separano con
cura la membrana. I medici italiani, dopo aver scoperto la cause
della «strage di bambini», hanno messo in guardia le famiglie,
invitandole tenere d'occhio i figli nelle loro scorribande
alimentari. Hanno inoltre individuato un trattamento farmacologico
che dura una decina di giorni: sono cosi' riusciti a rimediare
all'avvelenamento, che durante la convalescenza produceva anche, come
conseguenza dello stress provocato dalla tossina, il pericolo di
malaria. Carlo Grande
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. LA PUZZOLA COMUNE
Furba e sanguinaria
Mustelide diffuso in tutta l'Europa
OAUTORE GROMIS DI TRANA CATERINA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
DORMIRE come una puzzola». Questo vecchio detto tedesco si riferisce
probabilmente al fatto che durante il giorno il piccolo carnivoro
predatore riposa nascosto nella sua tana, ricavata da cavita' di
vecchi tronchi, o da fessure nelle rocce, da anfratti tra grosse
radici, da tane abbandonate o buchi in cascinali diroccati, fienili o
granai. Le scorrerie ladresche per cui la bella temeraria e' famosa
sono segrete avventure della notte, quando esce dal suo nascondiglio
per compiere misfatti. Il suo nome, Mustela puto rius, come quelli
che le furono attribuiti in passato (Viverra foetens, Putorius
foetidus, Puto rius infectus), evoca lo sgradevole odore che emana il
secreto delle ghiandole situate in posizione pregenitale, dette
«tasche del profumo». Ha un forte odore muschioso con funzione di
difesa quando viene spruzzato contro il nemico, o di marcatura del
territorio nel periodo degli amori. Da tempo lontanissimo e' allevato
in cattivita' il furetto (Mu stela putorius furo), discendente
semidomestico della puzzola, docile e giocoso; e' utilizzato nel
controllo dei roditori e nella caccia ai conigli selvatici per la sua
abilita' nello stanarli. La puzzola comune, diffusa allo stato
selvatico in tutta l'Italia continentale e non nelle isole, e' snella
ed elegante, come tutti i mustelidi, con corte e robuste zampe adatte
a scavare nel terreno piu' che ad arrampicarsi sugli alberi. La
colonna vertebrale flessuosa le permette di penetrare con notevole
agilita' nei buchi piu' stretti. Nei suoi nascondigli alleva da 3 a 8
puzzolotti, che nascono all'inizio dell'estate e per breve tempo
necessitano del latte e delle amorevoli cure della madre: gia' a 2
mesi vengono addestrati alla caccia (sembra che la puzzola traslochi
i cuccioli non solo in caso di pericolo, ma anche quando scopre una
localita' dove abbonda la selvaggina giovane). In questo periodo
hanno grande importanza i giochi tra fratelli: corse, inseguimenti,
morsi sulla nuca che ricordano le fasi finali della caccia. Cosi' si
irrobustiscono, si preparano alle future attivita' e ritualizzano un
comportamento che serve a inibire il loro forte istinto aggressivo.
Prestissimo si rendono indipendenti. Le puzzole sono adulte a 9 mesi
di eta', quando raggiungono la maturita' sessuale e i maschi si
azzuffano per il possesso di una femmina. Vivono da 8 a 10 anni. Il
mantello, corto e morbido, e' formato da peli di lanuggine (borra),
piu' chiari, e da peli di rivestimento (giarra) di un bruno molto
intenso, piu' scuro nelle zampe, coda e parti inferiori. Il ventre e'
piu' chiaro del petto; il labbro superiore, il mento, il muso, lo
spazio fra gli occhi, le orecchie e la fronte sono fulvi biancastri;
le altre parti del muso, compreso il naso, sono scure. Le orecchie,
tonde, sono grigie biancastre con un ciuffo di peli bruni scuri in
corrispondenza della conca uditiva. La pelliccia e' di bellissima
qualita' anche se meno pregiata di quella di altri mustelidi come la
martora o l'ermellino, per il leggero odore di selvatico che mantiene
anche dopo la concia. La lunghezza complessiva di una puzzola adulta,
e' sui 60 centimentri compresa la coda, i cui peli un tempo venivano
adoperati per la preparazione di ottimi pennelli. I maschi sono
sempre molto piu' grossi delle femmine. Le cacce notturne della
puzzola sono leggendarie carneficine. Agile e silenziosissima, e'
nemica dichiarata delle talpe, dei topi campagnoli e domestici, dei
ratti, persino dei ricci, nonche' di anatre e galline. Per le rane
dimostra una vera predilezione; e' pure abile pescatrice: tende
agguati ai pesci dalle sponde dei ruscelli o degli stagni e si tuffa
acciuffandoli con sorprendente abilita'. In mancanza di meglio si
accontenta di chiocciole e cavallette che cattura in quantita' e
accumula nella sua tana. I residui alimentari, compresi resti di
anfibi e rettili che presentano segni di mutilazioni, possono essere
un indizio della presenza dell'invisibile predatrice, che oggi in
Piemonte e' segnalata di certo nelle risaie, mentre altrove le
osservazioni sono sporadiche. La puzzola e' dotata di straordinario
coraggio e non esita in caso di pericolo ad attaccare animali ben
piu' grossi di lei, opponendo una tenace resistenza e infliggendo
loro anche gravi ferite. Drizza il pelo in atteggiamento di minaccia
per apparire piu' grossa e in preda alla collera si difende con i
denti, le unghie e con il suo sgradevole odore. Dimostra un
incredibile sangue freddo davanti alle vipere, che assale e uccide
divorandone poi qualche pezzo con predilizione per il capo. Non
sembra risentire gran danno dai morsi di questi serpenti dal cui
veleno e' relativamente immune. Ha fama di crudele e sanguinaria, per
l'abitudine di compiere stragi nei pollai e nelle piccionaie, dove,
se riesce ad entrare, porta morte e distruzione. Non soddisfatta
delle prede che bastano a saziarla, che sceglie tra le piu' giovani e
tenere, decapita le altre, portandone via subito solo la testa, con
l'intento di tornare a prendere il resto per farne scorta nei suoi
rifugi. Furba e golosa, e' ghiotta di miele e sembra capire il
momento di saccheggiare i favi, quando sono stracolmi. La puzzola e'
sempre stata considerata dall'uomo con un misto di simpatia e
repulsione: e' relativamente facile da addomesticare e un tempo
veniva usata per tenere a bada topi e serpenti. La sua indole di
spietata cacciatrice pero' si manifesta prima o poi verso gli animali
da cortile. Sono passati secoli di agguati tra uomini e puzzole, con
stragi negli allevamenti da parte dell'una e trappole e tagliole da
parte dell'altro. L'uomo ha la meglio, di solito, dopo la prima
carneficina, perche' le puzzole sono abitudinarie e ritornano sui
loro passi, e perche' entrano senza difficolta' nelle trappole a
cassetta, attirate da un'esca o, meglio ancora, dall'odore di altre
loro simili gia' catturate. Oggi la puzzola ha vita dura per la
riduzione di stagni, fossi, ruscelli e delle piccole zone coperte a
boschetti, ambienti ideali per le sue scorribande, sacrificati alla
civilta'. La sua distribuzione copre tutta l'Europa e fino a non
molti anni fa, quando aveva fama di animale nocivo e veniva
accanitamente perseguitata, era molto comune. Eppure ora i migliori
osservatori non la vedono quasi mai, e anche i cacciatori hanno poco
di vissuto da raccontare su di lei. Non siamo piu' abbastanza attenti
e pazienti, o la furbastra si nasconde cosi' bene che non sappiamo
trovarla? Caterina Gromis di Trana
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. INQUINAMENTO AMBIENTALE
Arbusti e licheni per pulire l'aria
OAUTORE ACCATI ELENA, FERRO LAURA
OARGOMENTI ecologia, botanica
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS ecology, botany
L'inquinamento dell'aria non riguarda solo le citta' ma anche le zone
agricole e forestali in quanto la composizione dell'atmosfera ha
subito un cambiamento nei costituenti minori, come il biossido di
carbonio, il metano, gli ossidi di azoto, il biossido di zolfo,
l'ozono e i clorofluorocarburi. Per avere informazioni sullo stato di
un ecosistema si puo' ricorrere all'impiego di qualche sua componente
sensibile. Largamente utilizzati sono stati e sono i licheni, che
vengono ora affiancati da altre specie vegetali che possono agire
come un filtro degli inquinanti esercitando un'azione purificante. I
meccanismi di deposito delle polveri sulle foglie vengono studiati
con ricerche di laboratorio: cosi' ad esempio si e' compreso come
particelle di dimensioni variabili tra 1 e 50 millimicron possano
essere trattenute facilmente sulle superfici a seguito della presenza
di umidita', dovuta al processo di traspirazione e all'emissione di
sostanze naturali in grado di svolgere un'azione adesivante. La
metodologia tradizionale prevede l'impiego di camere di fumigazione,
una delle quali funge da controllo ed e' ventilata con aria filtrata
e le altre ricevono aria addizionata di inquinanti secondo livelli
diversi. Nelle camere sono allevate specie vegetali sottoposte a
periodici controlli, i danni che si riscontrano consistono in clorosi
(ossia ingiallimenti), necrosi (morte delle cellule), ritardi di
crescita, riduzioni di sviluppo e disturbi nei processi riproduttivi.
In questo modo e' possibile giungere a formulare un quadro della
sensibilita' delle varie specie ai diversi inquinanti. Ad esempio
molto sensibili al biossido di zolfo sono l'avena, il cece,
l'indivia, il lupino, mentre resistenti risultano il berberis, il
mughetto, l'ortensia, il cetriolo e il ligustro. In campo forestale
si e' assistito a un indebolimento di numerose specie sia in zona
montana sia nella regione mediterranea. Il Cnr ha promosso gia' da
alcuni anni un progetto di ricerca a cui partecipano sette Unita'
operative appartenenti a universita' di diverse citta' italiane (tra
cui Torino) per valutare la possibilita' di utilizzare gli arbusti
ornamentali quali indicatori biologici dell'inquinamento atmosferico.
La scelta degli arbusti e' stata fatta sia in base al notevole
impiego nel verde urbano (piazze, viali, strade, crocevia), sia
perche' possiedono una notevole polifunzionalita', contribuiscono non
poco a contenere gli interventi di manutenzione, inoltre valorizzano
gli ambienti colpiti da fenomeni di degrado. Spiree che in giugno
ricurvano i loro steli ricoperti di minuti fiori bianchi, mahonie
dalle foglie cuoiose che d'autunno portano su di se' centinaia di
bacche blu indaco, forsizie che con i loro fiori gialli annunciano
che l'inverno e' ormai lontano, tanti viburni, dall'Opulus (la palla
di neve), al Tinus, al Ritidofillum con foglie dalle nervature
pronunciate, rose a cespuglio, Cotoneaster e pyracantha hanno come
pregio la rapidita' di accrescimento, una certa frugalita' nei
riguardi del terreno, la resistenza alle avversita' climatiche e la
capacita' di esaltare e sottolineare le strutture architettoniche
presenti in ambito urbano. La ricerca, che si protrarra' ancora per
tre anni, consiste nell'effettuare campionamenti di foglie di
differenti arbusti localizzati in siti caratterizzati da livelli
diversi di inquinanti rigorosamente misurati ad esempio una piazza
situata all'incrocio di quattro arterie stradali a forte traffico,
una via con forte transito veicolare, una zona collinare, un parco
pubblico. Le foglie sono sottoposte ad analisi chimiche presso il
Dipartimento di Chimica analitica per valutare la presenza di metalli
pesanti e di polveri, ad analisi della clorofilla, dei carotenoidi,
ad osservazioni al microscopio a scansione attraverso la
disidratazione su paraffina presso il Dipartimento di Biologia
vegetale per valutare la composizione dei tessuti delle foglie e
all'analisi del colore per comprendere eventuali variazioni
cromatiche delle foglie in relazione alla differente presenza di
inquinanti seguendo il metodo della colorimetria tristimolo secondo
una tecnica usata per i tessuti e trasferita al mondo vegetale dal
professor Barni. Nelle ricerche condotte finora si e' verificato un
diverso comportamento delle piante in funzione dei siti e in
particolare la diversa capacita' delle specie a intercettare gli
inquinanti a parita' di sito e di epoca di campionamento. Il
lauroceraso e' una specie assai resistente rispetto alle altre
saggiate. Dall'esame delle sezioni fogliari e' stato possibile notare
l'integrita' dello strato epidermico e cuticolare nelle foglie di
piante presenti in collina (cioe' in zona meno inquinata) mentre
nelle altre zone sono apparse alterazioni marcate consistenti nel
collasso cellulare e nella disgregazione delle membrane delle pareti
cellulari e nel sito piu' inquinato fessurazioni dello strato
cuticolare. Elena Accati Laura Ferro
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. RICERCA D'AVANGUARDIA
Silicon Valley in Inghilterra
La Microsoft apre un centro europeo
OAUTORE GALVANO FABIO
OARGOMENTI informatica, fisica, ricerca scientifica
ONOMI GATES BILL, HAWKING STEPHEN
OORGANIZZAZIONI MICROSOFT
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, LONDRA
OSUBJECTS computer science, physics, research
UNA Silicon Valley all'ombra delle guglie gotiche di Cambridge? E'
un'ipotesi con il sapore della fantascienza; ma tutto, nel mondo dei
computer, ha ormai quel gusto. Certo e' che l'idea della Microsoft di
aprire un centro europeo di ricerca nella celebre cittadina
universitaria inglese - il primo fuori degli Stati Uniti - potrebbe
favorire la nascita di una redditizia industria locale del software;
anche se nessuno dubita che i maggiori vantaggi, cioe' le
applicazioni piu' significative, non potranno andare che a beneficio
della Microsoft stessa. E' un fatto, comunque, che annunciando nei
giorni scorsi un investimento quinquennale di cinquanta milioni di
sterline (quasi 140 miliardi di lire) per creare in collaborazione
con l'universita' quel suo nuovo polo scientifico europeo, la
Microsoft ha anche avviato un programma da 27 miliardi di lire per lo
sviluppo delle aziende specializzate in tecnologia di software nella
regione intorno a Cambridge. E' una iniziativa che potrebbe fare
dell'Inghilterra il Paese-guida, almeno in campo europeo, nel futuro
del computer; anche se il «Guardian» invitava a «non celebrare troppo
per il momento l'iniziativa di Bill Gates a Cambridge», dal momento
che «gli utili andranno alla Microsoft e non all'universita'».
L'Europa, ormai relegata al ruolo di cenerentola del mondo
informatico, non si lascia abbagliare. Perche' e' vero che il centro
di Cambridge - inizialmente venticinque e successivamente quaranta
esperti, la crema dei «cervelloni» europei - attingera' a tutti i
centri di ricerca e alle strutture industriali gia' esistenti
nell'Unione europea, oltre che alle strutture universitarie di
Cambridge e a una serie di gruppi di lavoro sparsi Oltremanica; ma e'
anche vero che i risultati delle nuove ricerche non alimenteranno che
in minima parte - fra dieci o vent'anni - l'industria europea e
finiranno invece per dare nuovo impeto e nuova supremazia commerciale
alla casa madre americana. Insomma, per dirla con il «Guardian», «non
c'e' altruismo» nell'iniziativa della Microsoft, che ha gia' raccolto
per strada il professor Derek McAuley dell'Universita' di Glasgow e
Charles Thacker della Digital; anche se l'investimento appare, sulla
carta, come un voto di fiducia nella vecchia Europa e soprattutto
nell'eccellenza scientifica dell'Universita' di Cambridge. Ma
soprattutto Bill Gates, secondo l'«Independent», voleva catturare un
know-how la cui icona risponde al nome di Roger Needham, professore
di scienza del computer. «Se fosse stato un calciatore, una star
della musica rock o una supermodella - ha scritto il giornale -
nessuno si meraviglierebbe che un'azienda internazionale investisse
50 milioni di sterline in cinque anni per svilupparne il talento». Ma
Needham, 62 anni, non e' da meno. Dal 1956 la sua esistenza e' legata
al computer: a Nathan Myrhrvold, responsabile della Microsoft per la
tecnologia, che lo conobbe a Cambridge quando era allievo di Stephen
Hawking, e' parso la persona giusta per esplorare le nuove frontiere
dell'informatica: «Oggi - ha detto Myrhvold nel corso della
presentazione londinese del programma, cui ha partecipato anche il
ministro dell'Industria Margaret Beckett portando i crismi del
governo Blair - il computer e' piuttosto inflessibile. Per farlo
evolvere come strumento dobbiamo inventare nuove tecnologie». E
Needham e' lo scienziato sognatore che ci vuole per questa sfida: «Le
cose che oggi sono di uso comune, come il mouse, sono state frutto di
una ricerca sviluppata vent'anni fa. Noi ora dobbiamo pensare al
futuro: alle cose che dovranno diventare ordinarie fra dieci o
vent'anni. Dobbiamo pensare a computer che sappiano parlare, vedere,
capire». Sono le nuove frontiere per le quali Bill Gates gia' investe
colossali risorse - due miliardi di dollari l'anno - al centro di
ricerche di Redmond, nello Stato di Wash ington. Quella di Cambridge,
al confronto, non e' che una piccola goccia. Ma almeno e' europea.
Fabio Galvano
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Silicon Graphics a Neuchatel
OARGOMENTI informatica
OLUOGHI ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, NEUCHATEL
OSUBJECTS computer science
A Cortallod, vicino a Neuchatel, in Svizzera, la Silicon Graphics ha
aperto il suo piu' grande stabilimento fuori degli Stati Uniti.
Ospita tre laboratori.
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
I giovani e le scienze
OGENERE breve
OARGOMENTI didattica
OORGANIZZAZIONI FAST
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS didactics
La Fast ha annunciato che Marco Pietri, Giulia Testa e Francesco
Gualdi del liceo «Fanti» di Carpi sono i vincitori italiani del primo
premio «I giovani incontrano le scienze».
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Rinuncia alle cavie
OGENERE breve
OARGOMENTI ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI YAMANOUCHI
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS research
La Yamanouchi americana ha sospeso i suoi programmi di ricerca su un
farmaco per la cura dell'osteoporosi che comportano sperimentazioni
su cavie.
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Centrale solare per le Olimpiadi
OGENERE breve
OARGOMENTI energia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS energy
Se Atene vincera' la gara per l'assegnazione di Giochi olimpici del
2004, una parte del villaggio sara' alimentata da energia solare. La
piu' grande centrale del genere e' in progetto nell'isola di Creta:
partendo da una potenza iniziale di 5 megawatt, raggiungera' i 50
megawatt, cioe' 15 volte la centrale italiana di Serre, quando verra'
completata, nel 2003.
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Mediterraneo passato e futuro
OGENERE breve
OARGOMENTI archeologia
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS archaeology
E' iniziata ieri e si concludera' domenica 29 giugno a Oliena su
Gologone, in Sardegna, la rassegna «Mediterraneo: passato e futuro»,
festival del cinema di archeologia affiancato da incontri, tavole
rotonde ed escursioni. L'iniziativa e' organizzata in collaborazione
con la rivista «Archeologia viva», edita da Giunti. Per altre
informazioni: 055-667.9303; 0784-33.717.
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Scontri cosmici in videocassetta
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia
OORGANIZZAZIONI LE SCIENZE
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy
Con il fascicolo del mensile «Le Scienze» attualmente in edicola
viene diffusa la videocassetta «Comete e asteroidi: rischi di impatto
con la Terra». E' un filmato della durata di 43 minuti realizzato con
l'intervento di tutti i maggior ricercatori del settore a livello
mondiale. Tra gli intervistati c'e' anche Shoemaker, l'astronomo che
scopri' la cometa schiantatasi su Giove nel 1994. Per informazioni e
ordinazioni: 02-2900.1753.
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. DOPODOMANI IL FLY-BY
Vedremo da vicino l'asteroide Mathilde
OGENERE box
OAUTORE P_BIA
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OKIND boxed story
OSUBJECTS astronomy
Se non ci saranno guai dell'ultimo minuto, la sonda spaziale «Near»,
lanciata dalla Nasa il 17 febbraio dell'anno scorso, venerdi' ci
rivelera' l'aspetto di un altro asteroide, chiamato Mathilde. Sara'
il terzo pianetino, dopo Gaspra e Ida, che furono avvicinati dalla
navicella «Galileo» durante il suo volo verso il pianeta Giove, ad
essere fotografato da vicino, mentre da terra sono state ottenute
immagini radar di alcuni altri asteroidi che si avvicinano
particolarmente a noi. Mathilde misura 50 per 50 per 70 chilometri:
e' quindi un asteroide piuttosto grande, piu' di Gaspra e di Ida.
Ricco di carbonio, dovrebbe essere uno degli oggetti piu' primitivi
del sistema solare. «Near» proseguira' poi la sua missione verso
l'asteroide Eros, che appartiene a una delle famiglie di asteroidi la
cui orbita si accosta pericolosamente a quella del nostro pianeta.
Mathilde fu scoperto il 12 novembre 1885 da Jan Palisa, grande
studioso di asteroidi (ne stano' ben 121), all'Osservatorio di
Vienna. Fu battezzato da Lebeuf, che ne calcolo' l'orbita, in omaggio
alla moglie dell'astronomo Moritz Loewy. L'incontro tra «Near» e
Mathilde avverra' a 330 milioni di chilometri dalla Terra, alla
velocita' relativa di una decina di chilometri al secondo.(p. bia.)
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. NASCOSTO SOTTO I GHIACCI
Un oceano su Europa
La Nasa svela il satellite di Giove
OAUTORE DI MARTINO MARIO
OARGOMENTI astronomia
OORGANIZZAZIONI NASA
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS astronomy
QUANDO nel 1610 Galileo Galilei scopri' con il suo telescopio i
quattro maggiori satelliti di Giove non avrebbe mai immaginato che in
un giorno neppure tanto lontano una macchina battezzata con il suo
nome li avrebbe avvicinati fino a poche centinaia di chilometri,
inviandoci immagini assolutamente spettacolari e di enorme interesse
scientifico. La sonda «Galileo» fu lanciata il 18 ottobre 1989 e nel
dicembre 1995, poco prima di immettersi in orbita attorno a Giove,
sgancio' una minisonda, che appesa ad un paracadute penetro' nella
spessa atmosfera del pianeta gigante effettuandone l'analisi
chimico-fisica. La sua vita fu breve: dopo un'ora l'enorme pressione
e l'elevata temperatura incontrate negli strati piu' bassi la
distrussero. Da allora la sonda, oltre a tenere ininterrottamente
sotto controllo Giove, si avvicina periodicamente ai satelliti
galileiani (Io, Europa, Ganimede e Callisto, in ordine di distanza da
Giove), per studiarli da vicino e realizzarne una mappa fotografica
completa e ad alta risoluzione. A differenza di Io, satellite
roccioso delle stesse dimensioni della Luna su cui e' in atto una
intensa attivita' vulcanica, gli altri tre satelliti sono coperti da
una crosta di ghiaccio d'acqua di spessore non ben definito, sotto la
quale, considerando la loro densita' media (circa 3 grammi al
centimetro cubo), deve esserci presente un nocciolo costituito da
rocce e metalli. Le piu' recenti immagini trasmesse dalla sonda
«Galileo» sono quelle di Europa, la piu' piccola delle lune
galileiane (3138 chilometri di diametro), e la loro analisi
preliminare ha fatto subito sorgere il sospetto che sotto la crosta
superficiale ghiacciata, forse spessa soltanto 1-2 chilometri, ci sia
un profondo oceano probabilmente riscaldato da sorgenti di calore di
tipo vulcanico. E dove c'e' acqua e calore e' possibile che ci sia
qualche forma di vita, anche se a livello primordiale. Le immagini
inviate dalla sonda «Galileo», in alcune delle quali sono visibili
particolari delle dimensioni di soli 20 metri, mostrano una
superficie complessa, percorsa da lunghe linee di frattura, in alcune
zone dall'aspetto del tutto simile a quello delle regioni artiche
terrestri. Inoltre la scarsa presenza di crateri da impatto, che
caratterizzano tutti i corpi solidi del Sistema Solare, fa pensare
che Europa sia stata notevolmente «risurfacciata», ossia che
materiale fluido proveniente dal suo interno abbia ricoperto la
superficie preesistente, cancellando le tracce di vecchi impatti. In
particolare sono due le immagini che hanno convinto buona parte degli
addetti ai lavori che un sottile strato di ghiaccio galleggiante su
un oceano di acqua allo stato liquido e' praticamente l'unico modo
per poter spiegare alcune delle caratteristiche superficiali di
Europa. Nella prima sono visibili «iceberg» di dimensioni poco
superiori a 10 chilometri, che assomigliano ai tasselli di un enorme
«puzzle», prodottisi a causa della frammentazione dello strato di
ghiaccio omogeneo preesistente. Sembrano galleggiare su un liquido o
su del ghiaccio piu' fluido e dalla lunghezza delle ombre proiettate
e' stato possibile calcolare che la loro altezza non supera i 200
metri. Nell'altra immagine e' visibile il dettaglio di una delle
tante fratture che, come le maglie di una gigantesca rete, ricoprono
buona parte della superficie di Europa. Con ogni probabilita' si
tratta di fenomeni dovuti all'azione delle forze mareali indotte da
Giove, le quali, deformando leggermente il satellite, provocano
l'insorgere di lunghe fessure sulla sua crosta ghiacciata
superficiale. Una volta formatesi, da queste crepe, come accade
quando rompiamo ad esempio la crosta ghiacciata di una pozzanghera,
fuoriesce lentamente del materiale fluido (acqua o ghiaccio piu'
«caldo» e quindi piu' duttile di quello superficiale), che esposto
alla temperatura esterna di circa 120 gradi centigradi sotto lo zero,
con il tempo si accumula ai bordi della frattura generando due
crinali paralleli che di solito non superano l'altezza di poche
centinaia di metri. Una ulteriore conferma della presenza di acqua al
di sotto di una sottile crosta superficiale proviene proprio da
questa immagine, in cui all'esterno e parallelamente ai due crinali
sono visibili due sottili crepe, che denunciano l'incipiente
sprofondamento della nuova formazione sotto il suo peso. Proprio il
fatto che la crosta superficiale non ce la faccia a sopportare una
struttura cosi' poco massiccia fa appunto pensare che questa non sia
spessa piu' di qualche chilometro. Queste straordinarie immagini e le
possibili implicazioni derivanti dall'eventuale presenza di qualche
forma di vita sotto la superficie ghiacciata di Europa hanno spinto
alcuni planetologi americani a delineare i piani preliminari per due
future missioni spaziali con il compito esclusivo dell'esplorazione
dettagliata di questo satellite gioviano. La prima dovrebbe misurare
lo spessore della crosta ghiacciata, la seconda invece effettuerebbe
l'analisi della sua superficie, in modo particolare nelle aree in cui
sono presenti crateri da impatto, dove con molta probabilita' del
materiale proveniente dall'interno potrebbe essere affiorato a causa
della rottura della crosta ghiacciata. Dopo le tracce di forme di
vita elementare, peraltro ancora molto dubbie, scoperte in un
meteorite proveniente da Marte, adesso le immagini della sonda
Galileo fanno sorgere il sospetto che anche su una delle sedici lune
di Giove potrebbero essere presenti le condizioni per lo sviluppo di
uno dei piu' misteriosi fenomeni del nostro universo. Mario Di
Martino Osservatorio Astronomico di Torino
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN EDICOLA CON IL LIBRO «PICCOLO, GRANDE, VIVO»
Cinque anni di scoperte da scoprire
Un cd-rom con i 5000 articoli di «Tuttoscienze» usciti dal '92 al '96
OARGOMENTI didattica, elettronica
ONOMI BIANUCCI PIERO
OORGANIZZAZIONI LA STAMPA, TUTTOSCIENZE
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS didactics, electronics
CINQUEMILA articoli sulle scoperte piu' suggestive, importanti o
anche semplicemente curiose. Li troverete nel Cd-Rom che raccoglie le
ultime cinque annate di «Tuttoscienze», in edicola da qualche giorno.
E, insieme, troverete il libro di Piero Bianucci «Piccolo, grande,
vivo», un viaggio che parte dalle particelle piu' piccole, i quark, e
raggiunge le frontiere dell'universo, passando per il regno degli
organismi viventi. Il tutto a 29.900 lire. Se per caso il vostro
edicolante ne fosse sfornito, potete farglielo richiedere al
distributore. Oppure chiamare il nostro numero verde: 167.80.2005, al
costo di un solo scatto telefonico. Gli anni 1992-1996 sono stati
importanti in vari campi della ricerca. Satelliti e sonde spaziali
hanno rivelato molti segreti del cosmo: basti pensare alle
straordinarie immagini inviate dal telescopio spaziale «Hubble». La
biologia ha fatto enormi progressi: si e' quasi completata la lettura
del patrimonio genetico umano e la tecnica del Dna ricombinante ha
permesso di creare piante e animali transgenici. In fisica, e' stato
individuato il sesto quark, il Top, forse l'ultima particella
fondamentale. Grandi passi avanti, inoltre, si sono fatti nella
comprensione dei meccanismi ambientali e nelle tecnologie per ridurre
gli inquinamenti. Di tutti questi temi, di molti altri, e anche della
riflessione etica sulla scienza, i cinquemila articoli raccolti nel
Cd-Rom di «Tuttoscienze» danno un resoconto puntuale, con la
collaborazione di un centinaio di illustri scienziati. Il Cd-Rom,
naturalmente, rende facilissima qualsiasi ricerca: basta inserire la
parola-chiave del tema che vi interessa e il computer trovera' in
pochi istanti tutto cio' che su quel tema e' stato scritto in cinque
anni, andando a controllare non soltanto le parole usate nei titoli,
ma anche quelle dei testi, che sono parecchi milioni! Quanto a
«Piccolo, grande, vivo», e' una sintesi delle maggiori conquiste
della scienza raccontate in modo facile e piacevole. Anche qui
l'aggiornamento e' massimo: in questa nuova edizione e' gia'
riportata l'osservazione, fatta ad Amburgo nel marzo scorso, di
fenomeni subnucleari anomali, che potrebbero essere interpretati come
particelle elementari interne ai quark. Piero Bianucci, responsabile
di «Tuttoscienze», e' autore di oltre venti libri di divulgazione
scientifica e di narrativa, alcuni dei quali tradotti in varie
lingue. L'International Astronomical Union gli ha intitolato il
pianetino 4821, in orbita tra Marte e Giove.
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
METEOROLOGIA
Gia' in atto le variazioni del clima
OAUTORE TIBALDI ALESSANDRO
OARGOMENTI meteorologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS meteorology
I modelli di previsione delle variazioni climatiche per i prossimi
decenni sono ormai concordi nel descrivere uno scenario a scala
globale di graduale aumento della temperatura, come si e' gia'
scritto in vari articoli di «TuttoScienze». Questi modelli hanno
pero' un grosso limite: non riescono ancora a prevedere i cambiamenti
climatici locali, che, in base ai primi riscontri, sembrano talvolta
molto piu' grandi di quelli in corso sulla scala di un continente o
di tutta la Terra. Sappiamo che la temperatura media globale al
livello del suolo e' salita di mezzo grado negli ultimi decenni: ma
che cosa sta accadendo in realta' a livello regionale? Gli scienziati
hanno scoperto che l'aumento medio della temperatura sta causando
effetti inaspettati e violenti in alcune regioni. Gli studiosi della
Divisione ricerca sui cicloni dell'Ente meteorologico americano
(Noaa) hanno constatato che l'atmosfera nelle regioni tropicali sta
divenendo sempre piu' instabile a partire dalla fine degli Anni 80.
Ne deriva un continuo aumento della frequenza di cicloni, tornadi e
trombe d'aria: secondo una previsione presentata recentemente da
ricercatori nel Noaa e dell'Universita' del Colorado, sono destinati
a crescere ancora di frequenza e intensita' nel 1997. La previsione
e' basata su numerosissimi dati che tengono conto di diversi fattori
in differenti regioni, tra cui per esempio le precipitazioni
meteoriche registrate nell'Africa equatoriale e tropicale, la
circolazione dei venti, le temperature sulla superficie dell'Oceano
Atlantico, le oscillazioni di importanti correnti oceaniche, quale El
Ni~no. Tutti questi dati e le conseguenti previsioni possono essere
trovati al sito Internet
http://tropical.atmos.colostate.edu/forecasts Un'altra importante
sorpresa sugli effetti locali delle variazioni climatiche globali e'
rappresentata dal continuo anticipo con cui avviene la ripresa
vegetativa primaverile alle alte latitudini (da 45oN a 70oN, che
equivale in Europa alla fascia compresa tra le Alpi e la
Scandinavia). Una possibile spiegazione considera che le piante
rispondono attivamente agli aumenti continui dei livelli di anidride
carbonica dell'atmosfera combinati alle temperature piu' calde. Ma
non solo la ripresa dell'attivita' vegetativa sta cambiando; anche la
crescita totale delle piante a queste latitudini e' aumentata del 10
per cento dal 1981 al 1991. Questo dato e' stato rilevato con i
satelliti artificiali misurando con speciali strumenti, denominati
radiometri, un aumento nell'assorbimento del carbonio da parte delle
piante e un incremento nell'estensione della copertura fogliare nel
mese di agosto, il mese «piu' verde» dell'anno. Gli aumenti sono piu'
sensibili nell'emisfero Nord, cioe' a settentrione di una linea che
passa da Portland a Boston negli Usa e da Bordeaux a Vladivostok in
Eurasia, mentre a Sud di 45o di Lat. Nord in pratica non ci sono
stati cambiamenti della vegetazione. A scala locale i cambiamenti
della vegetazione possono essere importanti anche da un punto di
vista economico: ne puo' beneficiare, per esempio, la pianificazione
territoriale e l'agricoltura. Sia per gli effetti negativi che per
quelli positivi delle variazioni climatiche in atto, rimane
fondamentale il continuo e capillare monitoraggio della situazione.
Questo e' utile per gestire correttamente quanto sta avvenendo,
nonche' per raffinare sempre meglio i modelli di previsione degli
scenari futuri al fine di individuare i mezzi piu' idonei, sia
scientifici sia politici, per limitare lo sviluppo dei cambiamenti
climatici, prima che sfuggano totalmente di mano. Alessandro Tibaldi
Universita' di Milano
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
AGGIORNATA LA TEORIA DI GAIA
Il termostato della Terra
Perche' il nostro e' il pianeta della vita
OAUTORE ZULLINI ALDO
OARGOMENTI chimica, meteorologia
ONOMI SAGAN CARL
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. T. Il ciclo dell'anidride carbonica
OSUBJECTS chemistry, meteorology
ANCHE se non ce ne accorgiamo, il Sole sta diventando sempre piu'
luminoso, tanto che, tra un miliardo di anni, la Terra diventera'
invivibile. Cio' potrebbe sembrare strano, dato che ogni secondo esso
trasforma 4 milioni di tonnellate di materia in energia. Ma il Sole,
invece di raffreddarsi, irraggia sempre di piu' grazie alle reazioni
nucleari che avvengono nel suo interno. Circa 3,5 miliardi di anni
fa, quando ebbe inizio la vita sulla Terra, il Sole irradiava meno
energia di adesso: circa un quarto in meno. Se il Sole dovesse
improvvisamente tornare come allora, il nostro pianeta finirebbe
sepolto sotto una spessa coltre di ghiaccio e neve. Sappiamo invece
che, da quando e' apparsa la vita, la Terra ha goduto di una
sorprendente stabilita' climatica. Anche le glaciazioni, dopotutto,
sono scompensi relativamente modesti e passeggeri. Da quando esiste
la vita, la temperatura media del pianeta si e' sempre mantenuta
(globalmente) tra i 10 e i 20oC. Quando, agli inizi degli Anni 70,
Carl Sagan e altri scienziati si resero conto di questo paradosso
(aumento dell'irraggiamento solare, ma temperatura terrestre
relativamente costante) divenne evidente che solo un maggiore effetto
serra poteva aver compensato, qualche miliardo di anni fa, la
«debolezza» del Sole di allora. L'effetto serra e' dovuto
principalmente all'anidride carbonica dell'atmosfera. Questo gas ha
la proprieta' di ingabbiare il calore dei raggi infrarossi
impedendone la dispersione nello spazio. Se l'atmosfera non
contenesse nemmeno lo 0,03 per cento di anidride carbonica che la
caratterizza, non ci sarebbe effetto serra e tutta la Terra sarebbe
alla temperatura da freezer di 20 gradi sotto zero. Il nostro pianeta
sarebbe una sfera gelata, stabile e morta. Bene: ormai e' dimostrato
che c'e' oggi meno anidride carbonica nell'aria di quanta ce ne fosse
tre o piu' miliardi di anni fa. E' stata la continua diminuzione di
questo gas a compensare gli effetti del maggior irraggiamento solare.
Tutti sanno che oggi, a causa degli incendi e delle altre combustioni
provocate dall'uomo, vi puo' essere il pericolo di un aumento
dell'effetto serra, ma questo e' un altro discorso. Piu' di vent'anni
fa il chimico inglese Lovelock provo' a immaginare che cosa
succederebbe se sulla Terra venisse a cessare ogni forma di vita. In
questo caso l'anidride carbonica emessa dai vulcani non verrebbe piu'
riassorbita dalle piante e neppure dalle microscopiche alghe calcaree
del plancton che abbondano negli oceani. (Queste alghe «sequestrano»
l'anidride carbonica formando carbonato di calcio destinato a
sedimentare nei fondali marini). La scomparsa della vita
provocherebbe quindi un forte effetto serra che innalzerebbe la
temperatura media a circa 100 oC. I mari evaporerebbero creando
enormi uragani anche nell'alta atmosfera, dove i fulmini
spezzerebbero le molecole d'acqua liberando atomi di ossigeno pronti
a combinarsi con l'azoto. Gli ossidi di azoto, cosi' creati, si
mescolerebbero con la pioggia formando acidi. Ne seguirebbe un
diluvio di piogge acide, molto piu' acide di quelle attuali. Cadendo
sulle rocce calcaree, l'acido libera anidride carbonica che andrebbe
ad aggiungersi a quella gia' presente in atmosfera. L'effetto serra,
a questo punto, diverrebbe drammatico e la temperatura salirebbe a
ben 300oC. L'atmosfera raggiungerebbe allora l'equilibrio chimico
risultando composta quasi soltanto di anidride carbonica (circa 99%)
e di argon. Questo, del resto, e' il tipo di atmosfera del pianeta
piu' vicino a noi: Venere. La vita diverrebbe impossibile non solo
per l'alta temperatura, ma anche per l'assenza di ossigeno.
L'esistenza degli esseri viventi, conclude Lovelock, e' dunque
indispensabile per la regolazione del clima. Finora si era sempre
detto che la vita esiste sulla Terra grazie al fatto che vi e' un
clima favorevole. Ma Lovelock aggiunge che e' anche vero che il clima
terrestre e' favorevole alla vita proprio perche' esistono gli esseri
viventi! In quest'ottica la biosfera (cioe' l'insieme di tutti gli
esseri viventi) viene paragonata a un superorganismo capace di
regolare il clima, e la stessa composizione dell'aria, necessari alla
propria esistenza. Lovelock chiamo' questo complesso unitario di
Terra e vita col termine di Gaia, dal nome greco della dea della
Terra. L'ipotesi di Gaia innesco' subito polemiche tra gli scienziati
e oggi gran parte degli ecologi l'accetta solo in parte perche'
sembra che essa possa spiegare solo il 20 per cento del ciclo
dell'anidride carbonica e, quindi, della stabilita' del clima
terrestre. Si sono ipotizzati infatti altri importanti meccanismi, di
tipo non biologico, capaci di garantire l'equilibrio climatico e
atmosferico del nostro pianeta. Una teoria molto suggestiva risolve
il paradosso evidenziato da Carl Sagan basandosi sulle particolarita'
del ciclo geochimico dei carbonati e dei silicati. Secondo questa
teoria, l'anidride carbonica emessa dai vulcani viene prima o poi
incorporata nell'acqua piovana che finisce su rocce contenenti
silicati di calcio. Si formano cosi' ioni carbonato e ioni calcio che
ruscellano a valle finendo per accumularsi nei mari. Quando la loro
concentrazione nell'acqua supera un certo valore critico, si deposita
sul fondale una fanghiglia di carbonato di calcio. Questo, almeno, e'
quanto accadeva prima di un miliardo di anni fa, quando mancavano
microrganismi marini dotati di guscetto calcareo. Oggi questi
microrganismi non fanno che facilitare la deposizione del carbonato
di calcio in fondo al mare. Comunque sia, questo materiale dei
fondali oceanici si inabissa, dopo decine di milioni di anni, sotto
la crosta terrestre con un lento processo chiamato subduzione (che
significa, appunto, condurre sotto). Quindi, a decine di chilometri
di profondita', nelle viscere della Terra, il carbonato di calcio
incontra rocce silicee in condizioni di elevata pressione e
temperatura. Si riformano cosi' rocce di silicato di calcio
unitamente a grandi quantita' di anidride carbonica. Questo gas
ritorna nell'atmosfera fuoriuscendo dalle dorsali oceaniche o dai
vulcani. E cosi' il ciclo si chiude. Cio' che piu' importa e' che il
ciclo dei carbonati-silicati e' autoregolato. Si supponga infatti che
il nostro pianeta subisca un aumento di temperatura (per esempio, per
incremento della radiazione solare): gli oceani, piu' caldi,
fornirebbero maggiori quantita' di vapore all'atmosfera. Il
conseguente aumento di piovosita' convoglierebbe a terra, e nei mari,
maggiori carichi di anidride carbonica. L'atmosfera, impoverita di
questo gas, diverrebbe piu' fredda controbilanciando il riscaldamento
del pianeta. Se pero' il raffreddamento risultasse eccessivo, avremmo
una serie di fenomeni opposti: la diminuita evaporazione dei mari
permetterebbe un aumento dell'anidride carbonica atmosferica, dato
che questo gas continuerebbe a uscire dalle profondita' della Terra.
E questo, alla lunga, ristabilirebbe la temperatura normale del
nostro pianeta. Tutto cio', secondo Pollack, Kasting e altri
scienziati della Nasa, potrebbe spiegare l'80 per cento
dell'equilibrio climatico. Questo, dunque, sarebbe il meccanismo che
ha garantito e che garantira' un clima favorevole alla vita. Almeno
per un miliardo di anni ancora. Poi la Terra diventera' un pianeta
senza acqua e con un'atmosfera infuocata come quella di Venere. Aldo
Zullini Universita' di Milano
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. IN QUESTI GIORNI LE PROVE DI VOLO
Zeppelin torna in cielo
Dirigibili al servizio dei turisti
OAUTORE FILTRI TULLIO
OARGOMENTI trasporti, aerei, storia
ONOMI VON ZEPPELIN WOLFGANG
OORGANIZZAZIONI ZEPPELIN NT
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
OSUBJECTS transport, airplane
IL primo volo del nuovo dirigibile «Zeppelin NT» («NT» come «nuova
tecnologia»), piu' volte annunciato anche dalle pagine di
«Tuttoscienze», avverra' nei prossimi giorni, e comunque entro
giugno. Lo ha comunicato il conte Wolfgang von Zeppelin in una
conferenza stampa al Palazzo Barberini di Roma, dove era stato
invitato dalla Commissione italiana del dirigibile, un ente senza
fini di lucro che molto ha contribuito, in campo nazionale e
internazionale, allo sviluppo del dirigibile. Lo «Zeppelin NT»
proseguira' i voli di collaudo in luglio e a settembre comincera' un
servizio regolare di trasporto passeggeri per scopi turistici. A
questo provvedera' una societa', appositamente costituita; i voli
sono gia' stati prenotati da appassionati di questa macchina volante.
Partendo dalla base di Friedrichshafen, culla dei dirigibili giganti
di tipo rigido del passato, i voli verranno effettuati in regioni che
hanno come punto centrale il Lago di Costanza. Vediamo adesso che
cosa offre lo «Zeppelin NT» dal punto di vista delle prestazioni
aeronautiche. Porta dodici passeggeri alla velocita' massima di 140
chilometri orari; ha una autonomia di diciotto ore in condizioni di
utlizzazione normali e una autonomia di trentasei ore con un carico
ridotto. Ha tre motori, due in posizione centrale ed uno in coda;
hanno una particolarita': sono basculanti, ossia possono assumere
piu' posizioni. Con l'asse dell'elica in posizione orizzontale si
ottiene la spinta e la velocita'; con l'asse verticale si solleva il
dirigibile, quando e' pesante, o lo si fa scendere quando e' leggero.
I motori sono lontani dalla cabina e non disturbano i passeggeri col
rumore e le vibrazioni. Il dirigibile porta i turisti sul posto per
la visita a zone panoramiche o archeologiche: li riprende e continua
il giro. Puo' involarsi e atterrare con un vento che soffia a
cinquanta chilometri all'ora. La moderna avionica e il radar
meteorologico di bordo consentono di individuare perturbazioni
atmosferiche avverse, dando modo di aggirarle. La lunga autonomia del
dirigibile lo permette. Anche questa e' sicurezza. Lo «Zeppelin NT»
e' il primo di una serie di dirigibili semirigidi: uno da 17.000
metri cubi e 50 passeggeri, l'altro di 30.000 metri cubi e 84
passeggeri. La fiducia nel marchio Zeppelin e' tale che cinque
operatori economici hanno acquistato i primi cinque dirigibili della
serie, prima ancora del collaudo. Tullio Filtri
ODATA 25/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Cometa Hale-Bopp su Cd-Rom
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy
Con la rivista «Il Cielo» di giugno viene distribuito un Cd- Rom
contenente le piu' belle immagini della cometa Hale-Bopp e una ricca
selezione di software utile agli astrofili.
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
UN CONFRONTO APERTO
Un problema di massa critica
OGENERE dossier
OAUTORE GALLINO LUCIANO
OARGOMENTI ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI LA STAMPA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OTABELLE T. Gli interventi su La Stampa nel dibattito sulla ricerca
scientifica
ONOTE TEMA: IL DIBATTITO SULLO STATO DELLA RICERCA SCIENTIFICA E
TECNOLOGICA IN ITALIA
OKIND dossier
OSUBJECTS research
L'AMPIO dibattito sullo stato della ricerca scientifica e tecnologica
in Italia svoltosi su questo giornale mostra quanto la questione sia
sentita dal governo, dai vertici del mondo industriale e dai
ricercatori. Nonostante la diversita' delle posizioni, mi pare che
tre punti abbiano attirato la maggior quota di attenzione e di
consensi: la necessita' di una collaborazione piu' stretta tra Stato
e industria, tra ricerca pubblica e ricerca nell'impresa; la
riorganizzazione del sistema di ricerca pubblico; le modalita' di
indirizzo del sistema ricerca nel suo insieme. Questi tre punti, a
ben vedere, sono altrettante articolazioni di un unico problema: come
concentrare risorse umane e finanziarie allo scopo di raggiungere, in
un maggior numero di settori della ricerca scientifica e tecnologica
di quanto oggi non avvenga, la massa critica necessaria per
conseguire risultati teorici e applicativi di rilievo. Se si pensa al
complesso di risorse economiche e intellettuali rappresentato dal
sistema universitario, e' evidente che se si arrivasse a combinare
una maggior quota di esse con analoghe risorse dell'industria, la
massa critica sarebbe in parecchi casi a portata di mano. Ma una
simile accumulazione sinergica difficilmente si attua per decreto, o
mediante incentivi automatici rivolti indistintamente a tutti i
soggetti interessati, come prevede il disegno di legge Bersani. Per
realizzarla occorrono apposite strutture. Ci vogliono anzitutto
luoghi di dialogo e di mediazione, ossia organismi nei quali
rappresentanti del mondo universitario e dell'industria si incontrino
regolarmente per capire che cosa interessa all'uno e all'altra, quali
linee di ricerca incoraggiare, come ripartire i costi e i benefici.
V'e' inoltre bisogno di accrescere il numero di centri di ricerca
specializzati dove ricercatori provenienti dall'universita' e
dall'industria possano per periodi consistenti lavorare a progetti
comuni. Tali centri debbono certamente avere una sede fisica. Ma
nell'eta' delle reti telematiche e del lavoro cooperativo assistito
dal calcolatore non vi dovrebbero essere difficolta' a distribuirli
largamente sul territorio. Al fine di costruire le strutture in
parola, di mediazione e cooperazione permanente tra pubblico e
privato, novita' interessanti potrebbero venire dal disegno di legge
Bassanini 1, ricordato da Prodi. La necessita' di concentrare le
risorse su programmi di ricerca meno numerosi ma piu' corposi appare
ancora piu' tangibile se si parla di riformare il complesso del
sistema pubblico formato dagli atenei, dal Consiglio Nazionale delle
Ricerche e da altri enti. Il ministro Berlinguer ha ricordato nel suo
intervento l'impegno a questo fine del ministero dell'Universita' e
della Ricerca Scientifica e Tecnologica. Bisogna peraltro rendersi
conto che, nella realta' della vita dei corpi universitari, spezzare
il circolo vizioso dei finanziamenti a pioggia sara' impresa
asperrima. Le componenti principali di esso sono l'irrefrenabile
vocazione di troppi docenti a lavorare da soli, e il desiderio degli
apparati pubblici - nei consigli dei quali siedono molti docenti - di
non scontentare nessuno. Il risultato e' arcinoto. Si chiedono 50
milioni per fare una ricerca che comunque e' sottodimensionata; se ne
ricevono 5 a testa perche' i fondi disponibili piu' di tanto non
permettono, e invece di far la ricerca si compra qualche libro e si
va a un paio di convegni. La nuova regolamentazione degli interventi
di cofinanziamento al 60 e al 40% dei programmi di ricerca intra e
inter-universitari varato di recente dal Murst appare effettivamente
intesa a spezzare tale circolo vizioso. Resta da vedere come si
riuscira' a concentrare su pochi programmi aventi la dovuta massa
critica la modesta cifra di 150 miliardi contesa da una cinquantina
di sedi universitarie, ovvero da un migliaio o giu' di li' di
dipartimenti. Gli interventi di natura regolativa e strutturale sono
indispensabili per rafforzare la collaborazione universita'/industria
e accelerare la riforma del sistema di ricerca pubblico. Rimane
comunque aperto un problema che e' politico prima che legislativo od
organizzativo: stabilire chi e come decide l'ordine di priorita' dei
programmi di ricerca su cui indirizzare le risorse disponibili. Se
solo si guarda al tasso di disoccupazione, vien subito fatto di dire
che bisogna dare priorita' uno alle ricerche che promettono di creare
per il futuro il maggior numero di posti di lavoro. Il guaio e' che
nessuno puo' dire quali saranno le ricadute in termini occupazionali
di un dato programma di ricerca a distanza di due o di dieci anni. In
tutti i casi un contributo efficace per determinare gli ordini di
priorita' bisognerebbe cercarlo nell'elaborazione di grandi visioni
industriali e tecnologiche - giusto quelle che all'Italia mancano da
almeno quarant'anni. Una possente visione tecnologica e' stata quella
delle «autostrade dell'informazione», lanciata in Usa dal
vicepresidente in pectore Al Gore nelle presidenziali del '92, che
fece intravedere di colpo ad attori eterogenei come produttori di
informatica, compagnie telefoniche e case cinematografiche che
avevano davanti un immenso terreno comune in cui fare buoni affari. E
una grande visione tecnologica fu quella dei calcolatori di quinta
generazione, le cosiddette «macchine pensanti», lanciata dal
ministero giapponese del commercio e dell'industria nel 1981 con
traguardo al 1991. Dal punto di vista scientifico il programma, va
notato, fu un gigantesco flop. Ma esso favori' una poderosa
integrazione di sforzi tra imprese, universita' e Stato, che porto'
l'industria informatica giapponese ai primi posti nel mondo. A
proposito di concentrazione di risorse: che ne direbbe il ministro
Berlinguer di concentrare le sue energie, che tutti gli riconoscono
essere fuori del comune, sul Murst, lasciando ad altri il gravissimo
onere rappresentato dal ministero della Pubblica Istruzione? Sappiamo
che vi sono buone ragioni per porre sotto un unico potere di
indirizzo il Murst e il Mpi. Ma osiamo dire che di fronte
all'importanza vitale che presenta il rilancio della ricerca e
l'innovazione scientifica e tecnologica per il futuro prossimo del
Paese, paiono sussistere ragioni ancor piu' stringenti per sostenere
che un ministro il quale concentrasse esclusivamente in tale compito
tutto il suo impegno politico, la sua capacita' di organizzazione e
di stimolo, la sua passione civile, renderebbe un servizio al Paese.
Luciano Gallino
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
PROPOSTA FEDERCHIMICA
Scegliere le priorita'
OGENERE dossier
OAUTORE SQUINZI GIORGIO
OARGOMENTI ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI LA STAMPA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OTABELLE T. I punti discussi
ONOTE TEMA: IL DIBATTITO SULLO STATO DELLA RICERCA SCIENTIFICA E
TECNOLOGICA IN ITALIA
OKIND dossier
OSUBJECTS research
VORREI riprendere alcuni temi del dibattito sulla ricerca svoltosi su
«La Stampa» nelle scorse settimane. Un punto gia' messo in rilievo da
Franco Bernabe' e' il recupero della ricerca al suo ruolo naturale:
la creazione di valore aggiunto e la capacita' di competere, fornendo
strumenti mirati per l'innovazione e la crescita. Se ci limitiamo ad
alcune osservazioni di superficie, e' difficile comprendere come sia
possibile che il nostro Paese, pur investendo cosi' poco in ricerca e
sviluppo, risulti tra i sette Paesi piu' industrializzati del mondo,
davanti ad esempio alla Gran Bretagna, che pure risulta al 3o-4o
posto in termini di intensita' di R&S (ricerca e sviluppo). La
risposta piu' semplice e piu' pericolosa che possiamo darci e' che
siamo leader in settori che non richiedono molta attivita' di ricerca
e, quindi, possiamo in fondo convivere con questa situazione: le
risorse sono scarse; probabilmente diminuirenno in futuro; il mondo
accademico continuera' a riceverne poche per tante attivita' che non
servono a produrre svilupppo per il Paese ma solo titoli e
pubblicazioni per il prestigio di chi li propone; le imprese faranno
quello che possono, ma non sono nella gran parte dei casi in grado di
generare cash flow adeguato all'auspicato salto verso attivita' ad
alto contenuto di tecnologia. In realta', come ha osservato Prodi
dalle pagine di questo giornale, al di la' dell'indubbia forza del
nostro Paese nei settori tipici del made in Italy, che e' stato
fattore trainante per la ricerca applicata, nei prossimi anni le
occasioni piu' significative di occupazione, di lavori qualificati e
redditizi continueranno a venire soprattutto dallo sviluppo delle
tecnologie innovative. Da subito e' necessario che il Paese dedichi
ad esse grande attenzione, sapendo pero' che non si puo' puntare su
tutto. E' necessario fare scelte di priorita'. Una prima richiesta al
governo e' quella di individuare linee strategiche al piu' presto e
di destinare la maggior parte delle scarse risorse pubbliche ai
settori prioritari, trovando anche i modi per sostenere la fase di
sviluppo, che, come dice Gallino, e' la piu' onerosa. Scegliere e'
difficile (e talvolta doloroso), ma e' necessario. Del resto le
imprese, in particolare le grandi multinazionali, hanno dato negli
ultimi anni un esempio in questo senso, riorganizzando la ricerca a
livello mondiale su alcuni centri di eccellenza funzionali al core
business. Riterrei doveroso che un analogo processo di
razionalizzazione iniziasse nella ricerca pubblica italiana, dove
l'attivita' di alcuni enti dovrebbe essere orientata in coerenza con
le linee strategiche scelte. Come nelle imprese, gli obiettivi e le
priorita' della ricerca pubblica non devono essere immutabili. Devono
essere rivisti periodicamente ed eventualmente corretti. Premessa
necessaria e' un meccanismo di verifica dei risultati che permetta di
selezionare i singoli progetti e far avanzare i piu' promettenti. Per
facilitare lo sviluppo dell'innovazione, sarebbe opportuno introdurre
dei meccanismi strutturali che permettano ai ricercatori dei centri
di ricerca pubblica di partecipare, come avviene in tutti i Paesi
avanzati, allo sviluppo di nuove imprese che valorizzino le attivita'
svolte nei laboratori. Piu' esattamente, occorrerebbe mettere a fuoco
azioni rivolte ai tre aspetti, che incidono su questo problema: il
primo prevede la sensibilizzazione dei ricercatori sul piano della
cultura d'impresa; il secondo riguarda l'incentivazione dello scambio
di ricercatori tra pubblico e privato; il terzo deve prefigurare
l'incontro tra ricerca e capitali di rischio, in modo da promuovere
gli investimenti nell'innovazione. Lo Stato deve avere un ruolo di
promotore della cultura scientifica nel Paese. Troppo poco si fa
nelle scuole di ogni ordine e grado ed anche, in generale, per la
divulgazione scientifica, al fine di stimolare la curiosita' dei
nostri giovani per la scienza e la tecnologia. Non esiste una ricerca
forte in un Paese con una struttura industriale debole, ma al
contrario, una forte industria stimola anche una forte ricerca. Da
qui la necessita' di imprimere una accelerazione alla competitivita'
dell'industria nazionale. Le leve a disposizione del governo sono di
carattere economico-finanziario-fiscale: alleggerimento degli oneri
sul costo del lavoro degli addetti e incentivazioni fiscali,
prevalentemente sotto forma di credito di imposta, a sostegno
dell'attivita' di ricerca e sviluppo, come e' gia' stato anticipato
nei recenti documenti di Confindustria. Ed anche incentivi a chi
collabora con le Universita' e i centri di ricerca pubblici.
Riferendomi al settore industriale che rappresento e che conosco
meglio, vorrei ricordare come Federchimica sta dicendo da anni che la
chimica e' fatta per oltre il 50% del suo fatturato da piccole e
medie imprese, che sono sempre piu' impegnate sul fronte
dell'innovazione. Le ricerche di Federchimica ci dicono che la grande
novita' degli ultimi cinque anni e' il crescente numero di imprese
chimiche italiane che stanno, spesso con successo, cercando di
rompere il vincolo dimensionale. Che cercano di diventare imprese
«medie», con la dimensione giusta per cogliere le nuove opportunita'
e per competere nel mercato globale. Quasi sempre lo stimolo viene
dalla necessita' di cogliere a pieno i vantaggi
dell'internazionalizzazione; e proprio dal confronto con i
concorrenti sui mercati esteri si evidenzia la necessita' di innovare
di piu'. Le imprese hanno bisogno di assistenza e soprattutto di
poter contare su un sistema pubblico di ricerca e formazione adeguato
agli orientamenti industriali. In sostanza, nella chimica si puo'
essere piccoli, medi o grandi, ma occorre perseguire due imperativi:
quello della crescita, perche' l'alternativa alla crescita e'
l'arretramento, e quello dell'innovazione, perche' nella chimica non
si cresce senza ricerca. La consapevolezza di queste verita' ha
portato Federchimica a dare alla «innovazione» un'enfasi particolare
e a sviluppare varie iniziative di collaborazione fra mondo
industriale e mondo della ricerca. L'ultima di tali iniziative e' il
«Club delle Tecnologie», realizzato dal nostro Centro per
l'Innovazione e la Ricerca Chimica (Circ) d'intesa con il Cnr, le
Camere di Commercio di Milano e Torino e Assolombarda, al fine di
stimolare Pmi, ricercatori e manager a presentare progetti nelle
tecnologie avanzate alla comunita' industriale e finanziaria del
Paese. E' un piccolo passo verso la direzione della concretezza e del
pragmatismo. Se tutti, istituzioni, imprese, universita',
intraprenderanno questo cammino, sarebbe meno arduo portare il Paese
all'appuntamento con la competitivita' del terzo millennio. Giorgio
Squinzi
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Pochi soldi, niente meritocrazia
Sull'universita', scelte contraddittorie
OGENERE dossier
OAUTORE BERLUCCHI GIOVANNI, MAFFEI LAMBERTO, MELDOLESI JACOPO, RIZZOLATTI
GIACOMO, STRATA PIERGIORGIO
OARGOMENTI ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI LA STAMPA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
ONOTE TEMA: IL DIBATTITO SULLO STATO DELLA RICERCA SCIENTIFICA E
TECNOLOGICA IN ITALIA
OKIND dossier
OSUBJECTS research
SU «La Stampa» del 28 maggio Luciano Gallino ha ricordato l'estrema
arretratezza del nostro sistema ricerca e le disastrose conseguenze
per l'economia. Recentemente, la prestigiosa rivista Science, usando
diversi indici di valutazione, ci ha classificati intorno al 20o
posto al mondo per produttivita' scientifica. La risposta di Romano
Prodi e' giunta puntuale a dare ragione a Gallino, pur facendo
rilevare che l'inversione di tendenza e' gia' cominciata proprio con
il suo governo. A sostegno di questa tesi Prodi cita una serie di
iniziative, gia' sotto forma di disegni di legge, che a suo parere ci
hanno traghettato da una politica del dire a una politica del fare.
Non entriamo nel merito di queste buone intenzioni. Ad alcune ha
replicato il Premio Nobel Dulbecco su «La Stampa» del 31 maggio,
dove, a proposito del disegno di legge Bersani per il trasferimento
di 9000 miliardi per investimenti tecnologici alle imprese, dice: «A
Prodi dico che aiutare le imprese in generale - secondo il disegno di
legge Bersani - e' sbagliato: come ho spiegato, e' la ricerca di base
che fa le scoperte e sono poi queste che rivoluzionano le imprese».
E' invece importante ricordare cio' che Prodi ha gia' fatto in questo
anno. 1) Il Senato ha approvato un disegno di legge sui concorsi
universitari che va contro ogni forma di meritocrazia. 2) Il Cnr, il
principale ente di ricerca non universitario, ha avuto una
decurtazione di 38 miliardi su un bilancio effettivo gia' indecoroso
per un Paese del G7. Renato Dulbecco dichiara di non ricevere piu'
fondi dal Cnr da 18 mesi e a questo punto medita di lasciare
l'Italia. Finora ha potuto lavorare grazie a fondi privati della
Fondazione Telethon raccolti ogni anno con l'aiuto di una maratona
televisiva. 3) Un recente decreto legge (n. 669) poi rientrato in
parte anche per le minacce di dimissioni irrevocabili di presidi e
direttori di dipartimento di Torino, proibiva alle universita' di
spendere piu' del 90 per cento di quanto speso nell'anno precedente,
con conseguenze esiziali proprio per le attivita' non di routine,
come la ricerca avanzata: e cio', come na osservato Nicola
Tranfaglia, in totale contrasto con l'affermazione governativa
secondo la quale la scuola dovrebbe essere una priorita' assoluta. 4)
E' stato messo in moto dal ministero dell'Universita' un nuovo
meccanismo altamente centralizzato per finanziare la ricerca in tutte
le discipline, non solo scientifiche, ma anche umanistiche. Si tratta
di 150 miliardi per una popolazione di cinquantamila docenti. Per
rendersi conto dell'inadeguatezza economica basta pensare che il
Giappone ha stanziato quest'anno 190 miliardi esclusivamente per le
ricerche sul cervello! Per questo finanziamento il governo ha
comunque accettato una annosa richiesta dei ricercatori, cioe' che le
proposte siano valutate da esperti anonimi. Si tratta di una pratica
largamente adottata da molti anni, non solo all'estero ma anche in
Italia da altre amministrazioni pubbliche, come l'Istituto Superiore
di sanita', o private, come Telethon. Data l'inadeguatezza dei
formulari previsti sara' pero' pressoche' impossibile documentare in
poche righe la qualita' del gruppo e l'interesse per la ricerca
proposta. Inoltre per tutto lo scibile umano i valutatori anonimi
verranno scelti dauna sola commissione di cinque esperti nominati dal
ministro. Non c'e' bisogno di avere esperienza diretta per immaginare
quale alta specializzazione sia necessaria per identificare per ogni
progetto valutatori fortemente competenti e affidabili. A piu'
riprese nella campagna elettorale, e anche in una intervista a
«Science», Prodi aveva sostenuto che nessun Paese puo' sopravvivere
con piu' di una generazione di «stupidi», promettendo priorita'
assoluta alla ricerca. Che ci sia urgenza di interventi qualificati
lo dimostra anche il dibattito che si e' svolto sulle pagine de «La
Stampa». Anche tenendo conto di Maastricht e delle ristrettezze
finanziarie, ci si domanda se quanto abbiamo visto finora del
governo, qui riassunto soltanto in modo esemplificativo, non vada
nella direzione contraria. Giovanni Berlucchi Lamberto Maffei Jacopo
Meldolesi Giacomo Rizzolatti Piergiorgio Strata
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Le colpe dell'arretratezza
Politici e industriali, dove eravate?
OGENERE dossier
OAUTORE DE ALFARO VITTORIO
OARGOMENTI ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI LA STAMPA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
ONOTE TEMA: IL DIBATTITO SULLO STATO DELLA RICERCA SCIENTIFICA E
TECNOLOGICA IN ITALIA
OKIND dossier
OSUBJECTS research
CI risiamo. Sembra ancora una volta, a leggere Franco Bernabe',
amministratore delegato dell'Eni, su «La Stampa» del 3 giugno, che
l'arretratezza tecnologica dell'Italia sia dovuta a una spiccata
tendenza del ricercatore italiano all'astrattezza e ad una antica
(verra' dalla Magna Grecia?) tendenza alla speculazione astratta, a
non sporcarsi le mani. E' purtroppo innegabile che in Italia siamo
indietro, quanto a tecnologia; ancora peggio: rispetto alle posizioni
degli Anni Cinquanta, quando ancora ci difendevamo bene in molti
settori allora di punta, siamo stati scavalcati da molti altri Paesi;
e si' che partivamo da una condizione di relativo privilegio. Si puo'
proprio parlare, senza mezzi termini, di arretramento tecnologico,
con conseguenze ben percepibili sulla cultura nazionale. Ma davvero
le persone che conoscono i fatti ritengono che questo arretramento
sia da imputare alla prevalenza della scienza di base? Davvero noi
ricercatori di base saremmo cosi' potenti? Il debole sviluppo
tecnologico e' dovuto al desiderio dei nostri giovani di stare al
calduccio in confortevoli istituti universitari? Non credo che sia
cosi'. Vi sono invece alcune - tante - decisioni prese negli ultimi
40 anni che condizionano il quadro attuale. E non sono state prese da
ricercatori troppo ansiosi di darsi alla geometria algebrica o alla
teoria delle particelle, ma piuttosto da enti industriali e ambienti
politici. Si ritiene veramente che la fine della collaborazione tra
privati e pubblico sulla ricerca avanzata elettronica e nucleare
rappresentata dai laboratori di Ispra sia dovuta alla tendenza
astratta dei ricercatori italiani? E l'affare Ippolito del '63, anche
quello e' stato montato dagli stessi irrimediabili teorici? E il
ridimensionamento della nostra industria chimica anche? E chi ha
rallentato l'introduzione della televisione a colori? Siamo noi che
abbiamo liquidato l'industria elettronica e i calcolatori? Siamo noi
ad aver rigettato sullo Stato ogni progetto a lungo termine
riguardante l'energia nucleare prima, e ad aver poi organizzato un
referendum che proibisce la realizzazione di centrali nucleari?
Magari ci accuseranno anche di aver sabotato l'aereo di Mattei nel
1962. E, visto che io sono poco informato, vorrei anche sapere che
cosa hanno fatto le grandi imprese e i governi per suscitare in
Italia efficienti simbiosi e iniziative la cui assenza e' imputata da
alcuni al carattere della ricerca di base italiana. Potrei sapere
quanto hanno investito i grandi enti tecnologici, nei passati 30 e
piu' anni, per promuovere ricerca non direttamente connessa ai loro
interessi immediati, ma in grado di suscitare, o di aiutare, quella
collaborazione tecnologica a lungo respiro tra industrie e ricerca
che tutti desideriamo? Sono stati fondati istituti di ricerca misti?
Promosse fondazioni scientifiche? Sarei felice che si discutesse con
cifre in mano, che venissero paragonate a quelle di altri Paesi
sviluppati. Ne' si puo' far colpa al sistema della ricerca
fondamentale di essere autoreferente; se l'autoreferenza e' sul
piano mondiale, cosa si vuole? Interpellare gli scienziati di
Andromeda? Evidentemente i grandi impianti della fisica mondiale sono
stati progettati, in Usa o in Giappone o in Italia, sulla base delle
necessita' interne della scienza. Ma gli scienziati hanno spiegato,
alle comunita' nazionali e ai politici, fini e destinazioni degli
investimenti; e i governi nell'approvare hanno tenuto conto della
tecnologia e del lavoro indotti, e hanno scelto tra diversi
investimenti scientifici, naturalmente; ma il giudizio sui fini
scientifici e' sempre dato dalla comunita' scientifica
internazionale. E che altro si deve fare? Non mi risulta che chi ha
deciso di impiantare il Fermilab presso Chicago o il Cern a Ginevra
abbia chiesto il parere alla Edison o alla Oerlikon per referenza
scientifica. La scienza di base e' fatta cosi'. Ne' il problema e' di
scegliere tra le somme spese per la ricerca scientifica di base e
quelle necessarie a suscitare ricerca applicata di alto livello e
collaborazione con le imprese. E' semmai vero il contrario: una buona
ricerca fondamentale, inserita nel contesto internazionale, e' uno
degli elementi necessari per la ricerca applicata: prepara persone di
alto livello da utilizzare in campi diversi e suscita alta
tecnologia. Ma la tecnologia va promossa con paziente lavoro e
investimenti, in collaborazione tra pubblico e privato. Troppo spesso
si e' demandata allo Stato ogni forma di investimento sulla ricerca a
lungo termine, quando si sa benissimo che la ricerca di Stato non
puo' da sola suscitare quell'atmosfera necessaria a compiere la
delicatissima collaborazione tra ricerca, tecnologia e applicazione.
Troppo spesso, se si proponeva uno sforzo per impiantare un
laboratorio di ricerca applicata, la risposta era una sola: vogliamo
commesse dallo Stato e allora ce ne interesseremo. L'idea di
investire e' venuta in mente a pochi. Certo non puo' venire in mente
alla ricerca di base, che non ha fondi per fare investimenti. E
allora sara' meglio smettere di ripetere formulette e tutti insieme,
come comunita' nazionale, pensare seriamente al futuro prendendo
lezione dal passato. Da quello vero, pero'. Vittorio De Alfaro
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
A caccia dei migliori
Come reclutare nuove intelligenze
OGENERE dossier
OAUTORE BERNARDINI CARLO
OARGOMENTI ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI LA STAMPA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
ONOTE TEMA: IL DIBATTITO SULLO STATO DELLA RICERCA SCIENTIFICA E
TECNOLOGICA IN ITALIA
OKIND dossier
OSUBJECTS research
LA ricerca scientifica di base, riguardante cioe' i fondamenti delle
conoscenze indipendentemente da obiettivi specifici di «utilita'
sociale», si e' sviluppata in tutti i Paesi avanzati costituendo una
forte tradizione di impegno intellettuale internazionale. Nei Paesi
dove esistono condizioni materiali per lo sviluppo, e' ormai
ampiamente dimostrato che un robusto sostegno alla ricerca di base e'
la condizione necessaria, sebbene non sufficiente, per avere ricadute
tecnologiche di grande interesse economico e sociale. Compito
dell'universita' e degli enti di ricerca e' quello di creare le
condizioni, appunto, necessarie ad ogni successiva prospettiva di
piu' o meno vasto interesse pubblico: queste condizioni, nel loro
aspetto «necessario», hanno carattere di investimento a lungo termine
e si identificano facilmente nell'esistenza di un «vivaio» sempre
rifornito di giovani di alta qualita' scientifica in un contesto di
ricerca di punta internazionalmente apprezzata. Ma, perche' queste
condizioni siano anche sufficienti, occorre che il terreno a cui gli
effetti della ricerca di base possono espandersi sotto forma di
ricadute sia anch'esso coltivato e ricettivo, pronto a ricevere
know-how e a metterlo a frutto. Questo e' cio' che e' accaduto negli
Stati Uniti o in Giappone, ma anche in Francia, in Germania e nel
Regno Unito, grazie a una tradizione industriale non gretta, cioe'
disposta al rischio creativo e al cambiamento e non interessata al
solo profitto. In tutti questi Paesi i laboratori privati svolgono
attivita' di qualita' non inferiore a quella realizzata con il
supporto pubblico; la mentalita', in quei laboratori, e' piu' vicina
a quella della scienza che non a quella del mercato. Ma non e',
purtroppo, cio' che e' accaduto in Italia: da noi, l'industria e'
ormai arrivata a contendere alla ricerca di base finanziamenti
pubblici gia' ben magri, senza avere - salvo casi marginali anche se
non insignificanti - alcuna certificazione di affidabilita' per
pretenderli, cioe' senza capacita' di spesa per l'innovazione di
prodotto; sembra quasi che i nostri imprenditori pensino che con i
soldi sottratti alla ricerca «accademica» sia possibile «comprare»
capacita' innovative di prodotto, come accade per le assai meno
impegnative innovazioni di processo, per le quali sono
particolarmente versati. Stando agli accenti usati da alcuni
interlocutori del dibattito aperto da questo giornale, sarebbe piu'
coerente arrivare a chiedere la chiusura dell'universita' e degli
enti pubblici prospettando l'egemonia delle attivita' di formazione
culturale da parte delle strutture addette alla produzione di beni.
Ma non sembra il caso di dare fiducia gia' a pretese assai piu'
modeste. La storia recente e' ricca di episodi. Vi sono persino casi,
come quello dell'Eni, in cui l'ente ha dimostrato di non saper
gestire strutture di ricerca che, pure, erano state allestite con il
concorso di persone dedite alla ricerca fondamentale. Rigidita' e
burocrazia basterebbero gia' da sole a denunciare la mancanza di
tradizioni consolidate di ricerca applicata; ma dobbiamo aggiungere
miopia e incapacita' di spendere rischiando qualcosa, per capire come
mai le condizioni create da un'eccellente ricerca di base da noi non
sono sufficienti a creare ricerca applicata e sviluppo. Ora, cio' che
mi sembra urgente e' che il mondo industriale mostri a proprie spese
un minimo di ricettivita'. Chieda pure agevolazioni fiscali, chieda
consulenze a condizioni vantaggiose, ma non peschi nelle casse della
ricerca fondamentale: come si diceva una volta, e' come bruciare
mobili preziosi per scaldarsi. Se la ricettivita' avra' connotati
dignitosi, simili a quelli del mondo della ricerca, anche i migliori
potranno essere tentati dall'avventura: a patto che possano
interagire liberamente con il loro ambiente intellettuale naturale e
che possano sentirsi immersi senza eccessivi svantaggi in una
comunita' internazionale. E' difficile, per un ricercatore, capire
come si possa concepire il futuro di una ricerca applicata in luoghi
governati da avvocati, manager del settore economico, o anche
professori senza altre note curricolari che quella di essere stati
vicepresidenti di squadre di calcio, licenziatori di personale
eccedente, parenti di leader politici e simili. Carlo Bernardini
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Coyne, Giorello, Sindoni: «La favola dell'universo», Piemme
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI astronomia, fisica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS astronomy, physics
IN ogni tempo l'uomo si e' interrogato sull'origine e sul senso
dell'universo. Ha tentato risposte religiose, filosofiche,
scientifiche. O, piu' o meno consapevolmente, ha mescolato queste tre
prospettive. In realta' da sempre le domande sull'universo ne
nascondono un'altra, che riguarda il significato della nostra stessa
esistenza. George V. Coyne, un gesuita che e' anche astronomo di fama
mondiale (dirige la Specola Vaticana e il Dipartimento di astronomia
dell'Universita' dell'Arizona), Giulio Giorello, filosofo della
scienza all'Universita' di Milano, ed Elio Sindoni, fisico nucleare
nella stessa universita', hanno raccolto e coordinato in questo
volume una serie di riflessioni filosofiche, teologiche e
scientifiche sul problema cosmologico. Segnaliamo i contributi di
Emanuele Severino, John D. Barrow, Margherita Hack, Geoffrey
Burbidge, Alberta Rebaglia e del regista Ermanno Olmi.
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Nazzaro Antonio: «Il Vesuvio: storia eruttiva e teorie
vulcanologiche», Liguori
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI geografia e geofisica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS geography and geophisics
Molto si e' discusso sul piano di emergenza preparato dalla
Protezione civile in vista di una eventuale nuova grande eruzione del
Vesuvio: c'e' chi ne sostiene l'efficacia e chi invece trova
criticabile l'eccessivo ottimismo sui tempi di previsione dell'evento
catastrofico e sulla possibilita' di spostare le 700 mila persone
minacciate in altri luoghi. Comunque stiano le cose, una miglior
conoscenza del comportamento di questo vulcano nel passato non puo'
che rendere piu' efficace la difesa della popolazione nel caso di
nuovi parossismi. Antonio Nazzaro, vulcanologo dell'Osservatorio
Vesuviano, in questo volume ci presenta una completissima rassegna
storica di tutti gli eventi documentabili, dall'epoca antecedente
l'esplosione del 79 dopo Cristo alla grande eruzione del 1631 fino ai
fenomeni piu' recenti. Un'opera scientifica, ma anche di avvincente
lettura.
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
«Filosofia della fisica», editore Bruno Mondadori
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI epistemologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS epistemology
Nel nostro secolo la fisica ha offerto innumerevoli spunti alla
riflessione filosofica: basti pensare al peso epistemologico del
«principio di incertezza» di Heisenberg, ai problemi morali sollevati
dalla bomba atomica, ai risvolti filosofici della teoria della
relativita', della meccanica quantistica e della cosmologia. In
questo volume a piu' mani (Bergia, Dalla Chiara, Dorato, Ghirardi,
Giuntini, Pauri e Giovanni Boniolo, che ne e' anche il curatore) i
molti punti di contatto tra fisica e filosofia sono per la prima
volta affrontati e discussi in modo organico e approfondito. Un
invito importante, tra l'altro, all'incontro tra le «due culture».
Nella stessa collana, di Marco Mondadori e Marcello D'Agostino,
segnaliamo «Logica».
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Harris John: «Wonderwoman e Superman», Baldini & Castoldi
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI bioetica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS bioethics
Tecnologia della riproduzione, ingegneria genetica, clonazione: la
scienza ha reso l'uomo padrone del proprio destino biologico.
Sollevando problemi etici fondamentali. Questo libro ne discute con
equilibrio. Segnaliamo anche «Lezioni di bioetica», ed. Ediesse, con
contributi di Berlinguer, Callari, Galli, Lecaldano, Oliverio,
Rodota' e Viano. Piero Bianucci
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE
E intanto Rubbia va in Spagna...
Sperimentera' il suo «amplificatore di energia»
OAUTORE BRESSAN BEATRICE
OARGOMENTI fisica, ricerca scientifica
ONOMI RUBBIA CARLO
OORGANIZZAZIONI CERN
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics, research
IL programma di ricerca dell'«amplificatore d'energia» (AE), il
progetto del Premio Nobel Carlo Rubbia per l'eliminazione dei rifiuti
radioattivi e la produzione di energia sviluppato al Cern dal 1993 ad
oggi, e' giunto ad un passo decisivo. Due mesi fa e' nata Laesa
(Laboratorio del Amplificador de Energia - Sociedad Anonima): una
societa' creata in Spagna allo scopo di reperire i fondi necessari
alla realizzazione del progetto, cui partecipano non solo grossi
gruppi industriali come l'Ansaldo, ma anche organismi come il Centro
di ricerca sviluppo e studi superiori in Sardegna. E il 20 giugno,
venerdi', Rubbia presentera' al Consiglio del Cern le conclusioni
scaturite dalle ricerche preliminari finora svolte. La differenza
fondamentale tra l'amplificatore di energia e un reattore nucleare
come quelli delle attuali centrali atomiche e' rappresentata dal
fatto che la reazione di fissione non e' autosostenuta, ma attivata
da una continua immissione di neutroni. Questi ultimi vengono
prodotti dall'impatto di protoni, accelerati prima da un acceleratore
lineare e successivamente da un ciclotrone, su un bersaglio di piombo
e combustibile nucleare. Cio' significa che se l'acceleratore si
ferma, anche la reazione si ferma, impedendo cosi' incidenti come
quello che e' successo a Cernobil. In questo modo si realizza una
cascata nucleare indotta in un sistema detto «sottocritico». L'idea
chiave per l'incenerimento delle scorie radioattive e' data
all'azione combinata di due fattori: utilizzare come combustibile una
mistura di torio ed elementi transuranici (tutti gli elementi piu'
pesanti dell'uranio, nonche' prodotto indesiderato delle attuali
centrali), piuttosto del convenzionale uranio e, come moderatore,
piombo fuso al posto dell'acqua leggera. Cio' permette infatti
l'utilizzo di neutroni veloci, e non «termici» come per un reattore
tradizionale, i quali rompono piu' facilmente i nuclei dei materiali
radioattivi. In altre parole neutroni che lavorino in uno spettro di
energia molto elevato. La generazione attuale di reattori produce
grossi quantitativi di rifiuti radioattivi che hanno un tempo di vita
media molto lungo, dell'ordine di un milione di anni. Si tratta
essenzialmente di due classi di scorie: i frammenti di fissione (la
cui attivita' iniziale e' dominata dallo stronzio e dal cesio, che
decadono dopo circa 30 anni), meno dannosi perche' rappresentano un
decimillesimo della radiotossicita', e i transuranici, la cui
caratteristica principale e' di mantenere un grado di radio attivita'
assai elevato anche dopo migliaia di anni e quindi di essere molto
piu' pericolosi dal punto di vista ambientale. Il torio non e' di per
se' fissile, ma sotto l'effetto dei neutroni puo' essere trasformato
in uranio 233, che e' un isotopo fissile dell'uranio altamente
energetico. Da quest'ultimo si generano altri neutroni che continuano
questo processo fino all'eliminazione totale di tutto il
combustibile. In sostanza diversi sono i motivi per i quali
l'inceneritore a neutroni veloci dell'AE puo' rappresentare una
valida alternativa sia ai depositi geologici delle scorie radioattive
(oggi nelle piscine di raffreddamento o nelle miniere di salgemma),
sia alle tradizionali centrali nucleari. In primo luogo e' stato
calcolato che, estraendo dai rifiuti nucleari in maniera
elettrochimica gli elementi trans uranici e bruciandoli, si potrebbe
recuperare ben l'8 per cento dell'attuale domanda di energia
spagnola. La separazione congiunta di tutti i transuranici eviterebbe
inoltre la raccolta di grossi quantitativi di plutonio, presenti oggi
in maniera massiccia nelle scorie radioattive e disponibili per scopi
militari. Il prossimo passo sara' la realizzazione del prototipo del
Linac per accelerare protoni fino a 30 megaelettronVolt (MeV) e
quindi iniettarli in un ciclotrone per raggiungere energie
dell'ordine di 400 MeV. Si prevede che l'amplificatore di energia
vero e proprio raggiunga 1 Gi gaelettronVolt (GeV), valore in
corrispondenza del quale la produzione di neutroni e' proporzionale
all'energia del fascio. Si tratterebbe di impianti di piccola taglia,
adiacenti ai reattori convenzionali, evitando cosi' ogni rischio
connesso al trasporto dei rifiuti radioattivi. Basterebbero solo 7
amplificatori di energia da 800 mega watt termici per eliminare in 37
anni le scorie gia' esistenti e quelle che verranno prodotte fino al
2029 dai 9 reattori che oggi forniscono alla Spagna un totale di 7,1
gigawatt elettrici. Senza contare il fatto che il costo capitale di
un singolo impianto sarebbe di gran lunga inferiore a quello di un
deposito geologico. Tutto questo e' realizzabile senza grosse
innovazioni tecnologiche. Per esempio le cavita' superconduttrici
dell'acceleratore, che permetteranno ai protoni di raggiungere valori
di energia relativistici, potrebbero essere realizzate a partire
dalla tecnologia gia' nota e applicata nel Large Elet tron Positron
Collider del Cern di Ginevra. Beatrice A. Bressan
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. STRANEZZE TRA LE ONDE
I pesci con le ali
Alcune specie volano sull'acqua
OAUTORE LATTES COIFMANN ISABELLA
OARGOMENTI zoologia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS zoology
NEL nostro linguaggio vi sono dei modi di dire assolutamente
impropri. Noi diciamo «mi sento come un pesce fuor d'acqua» per
significare «mi sento a disagio». Ma chi l'ha detto che tutti i pesci
si sentano a disagio fuor d'acqua? Prendiamo, ad esempio, gli
Exocoetus obtusirostris, lunghi una ventina di centimetri, dal dorso
azzurro brillante e dai fianchi argentei. Improvvisamente li si vede
guizzare fuor d'acqua e «volare» nell'aria per parecchi metri, prima
di rituffarsi in mare. Mentre «volano» le loro grandi pinne pettorali
allargate sembrano ali. E sono proprio queste finte ali le superfici
portanti che consentono ai pesci di planare nell'aria. Nei loro
«voli» superano facilmente distanze di una cinquantina di metri in
tre secondi, il che equivale a una velocita' di circa 60 chilometri
all'ora. Durante la volata si mantengono di solito a circa un metro
di altezza ma in certi casi, quando il vento li asseconda, possono
salire fino a cinque metri dalla superficie dell'acqua. Se gli
exocetidi si accontentano di planare mantenendo le pinne pettorali
distese ed immobili, ci sono anche dei pesciolini lunghi da sei a
otto centimetri che hanno realizzato il «volo battente», quel volo
caratterizzato dal battito ritmico delle ali - in questo caso delle
pinne - tipico delle farfalle e di molti uccelli. Sono i
gasteropeleci. Dopo una rincorsa di qualche metro, si sollevano dalla
superficie dell'acqua come aliscafi in miniatura, volano per alcuni
metri battendo velocemente le pinne e producono un ronzio chiaramente
udibile, simile a quello che fanno colibri' o calabroni. I
gasteropeleci si possono tenere negli acquari domestici, purche' si
abbia l'accortezza di coprire la vasca con una fine rete metallica, a
scanso di spiacevoli sorprese. I pesciolini infatti, a vasca
scoperta, potrebbero tentare una rocambolesca evasione prendendo il
volo. E niente di piu' facile che finiscano in bocca al gatto di
casa. Non e' detto pero' che uscir dall'acqua significhi
necessariamente volare. Ci sono anche i pesci «podisti» che, a
differenza dei volatori, si concedono soggiorni piu' lunghi fuor
d'acqua. Questi inconsueti viandanti terrestri posseggono dispositivi
di vario tipo che assicurano la persistenza di un certo grado di
umidita' nelle branchie (gli organi respiratori) e sulla pelle
attraverso la quale avviene una parte degli scambi respiratori. Solo
in questo modo riescono a debellare i due maggiori pericoli che li
minacciano: asfissia e disseccamento. Per potersi muovere in
terraferma, alcuni hanno le pinne curiosamente trasformate in
puntelli e, per quanto la loro andatura non sia la piu' ortodossa, si
puo' dire che «camminino» sul terreno asciutto. Cosi' fanno i pesci
d'acqua dolce del genere Clarias, affini ai pesci- gatto. Vivono nei
piccoli corsi d'acqua dell'Africa e dell'Asia meridionale. Hanno uno
dei raggi di ciascuna pinna pettorale particolarmente sviluppato e su
questi due raggi, uno per lato, il pesce si appoggia nelle sue
camminate. Quando si seccano i corsi d'acqua in cui vivono, i Clarias
non si perdono d'animo e filosoficamente si mettono in cammino alla
ricerca di un altro bacino d'acqua. Li si vede allora procedere sul
terreno asciutto puntellandosi sulle due pinne pettorali, come se
camminassero con la stampelle. Naturalmente non potrebbero concedersi
queste passeggiate in terraferma se non possedessero organi
respiratori ausiliari che permettono loro di immagazzinare aria
direttamente dall'atmosfera. Cosi' come li possiede l'anabate
(Anabates testudineus), un pesce lungo una trentina di centimetri,
diffuso in tutta la fascia indomalese. E' un corridore di tutto
rispetto capace di percorrere all'asciutto anche duecentocinquanta
metri in pochi minuti. Si racconta di lui che si arrampichi perfino
sugli alberi come un trenino a cremagliera. Ma nessun ricercatore ha
potuto confermare una simile asserzione scaturita evidentemente da
una fantasia troppo fervida. Ha vita anfibia anche il Lophalticus
kirki, lungo appena nove centimetri, che abita le acque costiere del
Mar Rosso e dell'Africa orientale. Ogni tanto, quando sente i morsi
della fame, esce dall'acqua per farsi uno spuntino a base di alghe. E
pensate un po' dove se le va a prendere. Attende la bassa marea e
quando le rocce rimangono allo scoperto, lui va a grattare
coscenziosamente le alghe che le rivestono. Per evitare il
disseccamento, ogni tanto fa un bel tuffo nell'acqua, poi ritorna
tranquillamente alla sua mensa erbivora. Si attacca alle rocce con le
pinne. La presa e' saldissima, grazie alle pinne ventrali,
stranamente trasformate in una sorta di pinza e alla pinna anale
diventata addirittura un provvidenziale uncino. Un esempio
strabiliante di adattamento evolutivo. Ma i piu' bizzarri tra questi
pesci anfibi sono certamente i perioftalmi che vivono nel paesaggio
apocalittico della foresta a mangrovie, tipico di tante zone
tropicali del Vecchio Mondo. In quelle distese fangose dove fiumi,
mare e fango si confondono in un grigiore stagnante, si vedono frotte
di questi allegri pesciolini variopinti che avanzano in terraferma,
spiando i dintorni con i grossi occhi sporgenti. Sono mobilissimi e
indipendenti l'uno dall'altro come quelli del camaleonte,
efficientissimi per la visione aerea, grazie alla loro capacita' di
accomodamento per la percezione degli oggetti vicini. L'abbandono
temporaneo del proprio ambiente naturale da parte di questi pesci
intraprendenti e' indubbiamente un comportamento fuori norma, in
aperta contraddizione con tutte le buone regole di vita ittiologica.
Si tratta con ogni probabilita' di un adattamento secondario, che
ricorda alla lontana cio' che avvenne nelle remote ere geologiche
allorquando animali marini passarono dalla vita acquatica alla vita
terrestre, modificando gradatamente le strutture del proprio
organismo. I pesci fuor d'acqua debbono affrontare problemi di non
facile soluzione, come la respirazione e la locomozione in ambiente
aereo e li affrontano in molti modi diversi, con la versatilita' che
contraddistingue sempre madre natura. Isabella Lattes Coifmann
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. SPEDIZIONE ZOOLOGICA
Anfibi e rettili «inediti» in Europa
Portati dal Madagascar, sono visibili a Genova
OAUTORE RAVIZZA VITTORIO
OARGOMENTI zoologia
ONOMI JESU RICCARDO, SCHIMMENTI GIOVANNI
OORGANIZZAZIONI ACQUARIO DI GENOVA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, GENOVA (GE)
OSUBJECTS zoology
DALL'Acquario di Genova alle foreste del Madagascar: una spedizione
zoologica ha studiato per due mesi la ricca e particolarissima fauna
della grande isola africana scoprendo specie sconosciute fino ad oggi
e portando in Italia esemplari di anfibi e rettili che i
frequentatori del «parco marino» genovese saranno i primi a vedere in
Europa. Riccardo Jesu e Giovanni Schimmenti sono partiti a fine
gennaio per sfruttare la stagione delle piogge, durante la quale gli
animali sono piu' attivi e visibili. Come si sa, il Madagascar,
staccatosi nell'era paleozoica dal continente africano, ha potuto
preservare una flora e una fauna specifiche, con specie «antichi»
(basta ricordare i lemuri) che altrove sulla Terra si sono ormai
estinte. Un patrimonio oggi e' in grave pericolo a causa della
deforestazione. Obiettivo dei due zoologi dell'Acquario genovese sono
stati gli anfibi e i rettili, oltre ai pesci delle acque interne.
Affrontando condizioni spesso molto difficili, Jesu e Schimmenti
hanno percorso dapprima il massiccio dello Tsaratanana, risalendo per
cento chilometri il fiume Sambirano e raggiungendo la foresta
primaria a 1300-1500 metri di quota; un ambiente in cui e' stato
difficile operare per le continua piogge, per i corsi d'acqua resi
insidiosi dalle rapide e dalla presenza di coccodrilli, ma intatto e
sconosciuto; i due zoologi hanno rinvenuto 13 specie di anfibi di 7
generi diversi e 13 specie di rettili (scinchi, camaleonti, gechi e
serpenti) di 8 generi diversi. Per sottolineare il tasso di novita'
dei risultati della spedizione basta dire che delle 26 specie solo
per 5 e' stata possibile l'attribuzione di una posizione sistematica
certa mentre per le altre occorrera' uno studio approfondito per la
corretta collocazione. Secondo obiettivo e' stata la riserva Tsingy
de Bemaraha, nella parte centro-occidentale dell'isola,
caratterizzata dalla foresta decidua sub-umida. Qui sono state
individuate 6 probabili nuove specie di anfibi di 4 generi diversi, 3
specie di rettili, e due nuove specie di pesci di acqua dolce. Alcuni
esemplari sono stati portati all'Acquario; qui, nei laboratori
sottostanti la parte aperta al pubblico, sara' compiuta una ricerca
sulla riproduzione che coinvolgera' sia studiosi dell'Acquario stesso
sia quelli dell'universita' malgascia di Antananarivo, la capitale
del Madagascar. Terzo territorio studiato, quello della «foresta
spinosa» di Anakao; oggetto della ricerca, gia' avviata negli anni
scorsi, una tartaruga locale, la Pyxis arachnoides arachnoides, mai
studiata nel suo ambiente. Si tratta di una tartaruga terrestre che
puo' raggiungere i 16 centimetri e che e' caratterizzata da un
piastrone munito di due parti mobili, anteriormente e posteriormente,
che consente all'animale di chiudersi interamente nel carapace; e'
questo stratagemma che consente alla Pyxis arachnoides, attiva
soltanto per i pochi mesi durante la stagione delle piogge quando
crescono le foglie di cui si nutre, di trascorrere in sicurezza la
stagione secca con le sue elevate temperature. La Pyxis arachnoides
e' ora esposta nell'Acquario insieme ad altri animali portati dalla
spedizione; tra essi la Brooke sia perarmata, piccolo camaleonte
(massimo 10 centimetri) proveniente dalla foresta sub- umida degli
Tsingy de Bamaraha, che prende il nome dalla cresta di spine che
porta sul dorso e ai lati della testa e che per questo suo aspetto
minaccioso e' oggetto di timori superstiziosi da parte della
popolazione locale. Altra presenza interessante quella dello Steno
phis citrinus, un colorato serpente notturno lungo un metro al
massimo che vive sugli alberi, identificato per la prima volta dai
ricercatori dell'Acquario genovese nel '95, gran divoratore di gechi.
Di insetti si nutre invece il Chalarodon madaga scariensis, piccolo
iguanide (20 centimetri) delle savane della parte occidentale
dell'isola, solitario e irascibile e che, a differenza della maggior
parte degli animali della zona, non teme il caldo ma preferisce le
ore piu' torride della giornata per mettersi in caccia. La spedizione
genovese e' l'inizio di un programma per la tutela della
biodiversita' dell'isola che vedra' coinvolti, insieme con studiosi
italiani, anche rivercatori malgasci e che proseguira' nei prossimi
anni. Vittorio Ravizza
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PER GLI AMANTI DELL'ESOTICO
Ideato un congegno anti-squalo
Difende i bagnanti creando un tenue campo elettrico
OAUTORE MORETTI MARCO
OARGOMENTI tecnologia
ONOMI CHARTER GRAHAM, BURGESS GEORGES
OORGANIZZAZIONI NATAL SHARK BOARD, INTERNATIONAL SHARK FILE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology
CON le vacanze esotiche torna la paura degli squali, gia' alimentata
nel nostro immaginario da celebri film hollywoodiani. Finire sbranati
in mare e' pero' molto improbabile. A fronte di centinaia di milioni
di bagnanti, ogni anno in tutto il mondo si registrano da 70 a 100
attacchi a persone con una punta massima di 15 morti. E anche il
«pericolosissimo» Pacifico, dove vivono alcune delle specie piu'
aggressive - come il grande squalo bianco, il tigrato e l'abbronzato,
che trovandosi di fronte a un uomo lo attaccano per istinto - offre
dati confortanti: dal 1803 in Australia sono stati registrati circa
300 attacchi mortali, solo 8 tra il 1982 e il 1996. Viceversa, ogni
anno vengono pescati 100 milioni di esemplari delle 370 specie di
squali presenti negli oceani per rifornire il mercato ittico.
Dall'Australia alla California la bianca polpa di squalo e' servita
in tutte le salse. E i cinesi li pescano per preparare la loro zuppa
di pinne di pescecane. Il pericolo e' stato ulteriormente ridotto con
l'invenzione del Protective Oceanic Device (Pod): un congegno
portatile che protegge chi lo usa con un campo magnetico capace di
tenere lontani gli squali. Dopo lunghe sperimentazioni, il Pod -
inventato da Graham Charter, dirigente del sudafricano Natal Shark
Board - e' stato presentato lo scorso febbraio. Verificato che i
pescecani reagiscono anche a grande distanza a segnali elettrici a
basso voltaggio, si e' costruito un congegno capace di creare attorno
al nuotatore un campo elettrico del raggio di 7 metri. Lo alimenta
una batteria ricaricabile a 90 volt (dura 75 minuti), collegata via
cavo a una sonda applicata a una delle pinne. La corrente emessa non
e' percepibile dagli esseri umani, ne' sembra essere dannosa: alcuni
sistemi antisqualo a cavi elettrici, sperimentati alcuni anni fa in
Sud Africa, furono abbandonati perche' rischiavano di fulminare i
bagnanti. Non tutti pero' sono convinti dell'efficacia del Pod:
Georges Burgess, direttore dell'International Shark File
dell'University of Florida's Museum of Natural History ha dichiarato
che «e' un buon primo passo, ma non e' il salvavita che stiamo
cercando». In attesa della commercializzazione del Pod o di ancor
piu' sofisticati dissuasori, per evitare i pescecani si possono
seguire alcune regole elementari. Gli squali si nutrono di pesce e
non di carne umana; hanno pero' un olfatto sviluppatissimo: avvertono
l'odore del sangue e di altre secrezioni fino a un chilometro di
distanza e ne sono attratti. Negli oceani Pacifico, Indiano e
Atlantico e' percio' meglio che non si bagni chi ha ferite sul corpo,
ne' le donne mestruate, ed e' bene non urinare in mare. Per evitare
d'incontrarli e' bene sapere che gli squali preferiscono le acque
torbide e ricche di pesce a quelle limpide e di solito non nuotano
dove s'infrangono le onde: il regno del surf. I pesci morti attirano
gli squali: evitate di bagnarvi vicino a porti di pesca, pescherecci
o anche semplici pescatori nel caso puliscano i pesci sulla riva. Le
statistiche dicono che la stragrande maggioranza degli attacchi
avviene fra le 3 del pomeriggio e le 9 di sera, l'ora piu' critica e'
il tramonto, sono invece rarissimi gli incidenti durante il mattino.
Chi volesse altre informazioni, puo' leggere il bel volume di Piero e
Alberto Angela «Squali» (Mondadori, 138 pagine, 48 mila lire),
corredato dalle splendide fotografie di Alberto Luca Recchi. Marco
Moretti
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. E' TORNATO A NAVIGARE
Fogar, l'uomo-macchina
«La mia vita appesa alla tecnologia biomedica»
OAUTORE FOGAR AMBROGIO
OARGOMENTI tecnologia, medicina, vela
ONOMI CABIATI IRENE
OORGANIZZAZIONI ASSOCIAIZONE MIELOLESI
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS technology, medicine, sail
Ambrogio Fogar ha appena concluso il suo giro d'Italia in barca a
vela. Ad ogni tappa ha tenuto una conferenza per rac cogliere fondi
a favore dell'As sociazione mielolesi. A Irene Cabiati ha rilasciato
questa te stimonianza in cui spiega come la sua vita dipenda oggi
dalla tecnologia biomedica. L'INCIDENTE mi ha paralizzato e mi ha
tolto la possibilita' di respirare. Quando l'auto si e' capovolta il
mio cuore si e' fermato. Per fortuna c'era un elicottero
dell'organizzazione della gara che stava passando proprio di li', in
quel momento. Un medico mi ha dato tre scosse elettriche, il cuore e'
ripartito poi mi hanno messo le ginocchia sul torace e con una pompa
a mano mi hanno tenuto in vita manualmente soffiando aria ai polmoni.
Da Mosca sono stato trasportato a Milano in stato di incoscienza. Poi
e' incominciato il mio pellegrinaggio per gli ospedali. Al San
Raffaele di Milano mi hanno messo una specie di gabbia per bloccare
la spina dorsale rotta; poi mi hanno trasferito in Svizzera, dove ci
sono i centri piu' avanzati per para e tetraplegici e infine in
Francia, sulla Manica. Qui mi hanno applicato lo stimolatore del
nervo frenico che sollecita ogni sei secondi il diaframma. Mi hanno
messo due placche sotto pelle con degli elettrodi: le placche vengono
comandate da un computer esterno regolabile. Il computer e'
alimentato da batterie che vanno ricaricate ogni quattro giorni. Al
mio rientro in Italia, a Milano, mi hanno proposto molte macchine per
ausilio alla mia totale infermita': ho provato il computer vocale,
che riconosce la voce e scrive automaticamente - ha 2000 parole in
memoria - ma il mio problema e' che non ho la voce costante perche'
non respiro piu' autonomamente, per cui spesso il computer non
riconosce le parole. Ho rinunciato al computer ma non a scrivere:
detto articoli e libri a mia sorella. Oltre allo stimolatore, ho un
respiratore: di notte ogni tanto mi collego con il tubo che pompa
aria. Lo faccio per dare riposo al diaframma. Divento una specie di
robot perche' sono attaccato a questa macchina. Ho la sensazione di
essere vivo solo perche' c'e' lei, mentre con lo stimolatore
elettronico sono piu' autonomo, posso muovermi posso girare. In piu'
ho un umidificatore, utilissimo perche' spesso l'abbondanza di
secrezioni si alterna a una secchezza dei bronchi e dei polmoni.
Un'altra macchina importante e' il misuratore della quantita' d'aria
che respiro per vedere se l'elasticita' dei polmoni e' sufficiente ad
assorbire l'aria che mi serve. Queste sono le macchine che mi aiutano
a vivere. La cosa principale, comunque, e' lo stimolatore del nervo
frenico: mi rende autonomo, non nella respirazione, ma nei movimenti.
Un altro accessorio importante per la mia vita da tetraplegico e' il
materasso antidecubito costituito da tante piccole camere d'aria che
si gonfiano e si sgonfiano a seconda di come le infermiere mi
spostano sul letto. E' efficacissimo, non ho mai avuto piaghe da
decubito pur essendo da quattro anni e mezzo sul letto. Materasso e
macchine a bordo della barca sono installate in vani autobloccanti.
Un generatore di corrente da' energia allo stimolatore che mi
permette di respirare. Ho anche altri due piccoli generatori di
emergenza. La tecnica e la ricerca nel campo elettronico hanno dato
un aiuto fondamentale a persone come me anche se in Italia soltanto
dieci persone hanno uno stimolatore. Cio' che conta comunque e' che
non mi sono perso d'animo. Continuo a fare progetti, a trasformare i
ricordi da trappole in trampolini da cui partire per nuovi sogni. Uno
di questi e' stato il giro d'Italia a vela, che non vede piu' un
Ambrogio protagonista egocentrico delle sue imprese, ma un
viaggiatore che porta a conoscenza di tanti italiani cosa significa
l'interruzione del midollo spinale. Noi in Italia siamo alcune decine
di migliaia, in carrozzina, ma se ne vedono molto pochi in giro
perche' tanti non hanno voglia di uscire e forse aspettano
passivamente l'ultimo giorno; ma tanti non possono uscire per il
semplice motivo che non hanno denaro sufficiente per un assistente
che li accompagni a fare una visita a un museo o una chiesa. Il
motivo di questo viaggio non e' soltanto propagandare e fare
conoscere il nostro problema. L'obiettivo e' anche raccogliere
contributi per dare una mano e quelli che oltre a essere stati
duramente colpiti dal destino non hanno autonomia economica.
Respiratore e umidificatore li paga l'Usl. L'operazione per mettere
lo stimolatore al nervo frenico costa qualche decina di milioni, in
parte rimborsati. Pero' non tutti possono accettare lo stimolatore
perche' non per tutti il nervo frenico funziona allo stesso modo.
Quindi e' un ostacolo fisico piu' che economico. Cio' che veramente
manca sono le persone che ti devono aiutare in ogni momento della tua
vita. Quindi questo viaggio e' stato completamente diverso dai
precedenti: il vero scopo e' quello di mettere a disposizione un po'
della mia notorieta' a difesa e a vantaggio di coloro che si sentono
tagliati fuori dalla vita. Siamo pur sempre vivi; metteteci alla
prova, possiamo ancora essere utili. Ambrogio Fogar
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. PICCOLI PROGRESSI
Nuove armi contro la malattia di Alzheimer
Si cerca di sciogliere l'amiloide, la causa della demenza
OAUTORE FARIELLO RUGGERO
OARGOMENTI medicina e fisiologia
OORGANIZZAZIONI THOMAS JEFFERSON UNIVERSITY, NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology
GRANDI progressi si sono fatti nell'individuare le alterazioni sia
nella biochimica sia nella struttura del cervello che caratterizzano
la malattia di Alzheimer ma i meccanismi intimi che causano le
alterazioni sfuggono ancora. Una persona su 10 tra gli affetti da
Alzheimer e' colpita da una delle forme ereditarie della malattia. Le
forme familiari e quelle sporadiche sono indistinguibili sul piano
dei sintomi. E' quindi possibile che la comprensione dei meccanismi
causali delle une serva anche per le altre. L'anno scorso sono stati
individuati, su quattro cromosomi diversi, i geni responsabili della
trasmissione dell'Alzheimer. Fattore comune a questi geni e' che
tutti hanno a che fare, direttamente o indirettamente, con una beta
proteina chiamata App, precursore dell'amiloide. Normalmente,
giacche' tutti produciamo App, la proteina si ricicla, ma nella
malattia essa ha una spiccata tendenza a frammentarsi in una catena
di 42 aminoacidi che si depositano in strati compatti tra le cellule
del cervello formandovi dei nuclei attorno ai quali altre scorie
metaboliche e detriti provenienti dai neuroni vengono calamitati.
Questi depositi formano le placche senili, un'alterazione patologica
tipica dei cervelli affetti da Alzheimer. Che la App sia un fattore
importante nella genesi della malattia di Alzheimer e' ammesso da
quasi tutti gli esperti, ma quanto la App influisca sulla demenza non
si sa. In altre parole, molti scienziati non sono convinti che anche
qualora si rimuovesse tutta la proteina amiloide abnorme dal cervello
malato, questo possa migliorare. Ci potrebbe ora essere una via per
poter rispondere a questa fondamentale domanda e, nel caso di
risposta positiva, si aprirebbe uno spiraglio per un trattamento
efficace dell'Alzheimer. Proteine amiloidi si depositano anche in
altri organi del corpo in molte malattie croniche, tra cui alcune
leucemie. Sperimentando un nuovo farmaco antitumorale della serie
chimica delle antracicline, la iododoxorubicina, questa venne
somministrata a un paziente leucemico con imponenti depositi di
amiloide negli organi periferici. Vi fu un netto miglioramento delle
condizioni associato a una riduzione importante dei depositi di
amiloide. Risultati analoghi si ebbero in altri pazienti con varie
forme di amiloidosi periferica, cioe' non nel cervello. In
esperimenti di laboratorio questo antitumorale non solo previene i
depositi di amiloide ma puo' disaggregarli, cioe' sciogliere
l'amiloide. Altri studiosi in America hanno osservato che il Rosso
Congo, una sostanza usata per colorare l'amiloide nei preparati
istologici, e la crisammina possiedono proprieta' simili. E' ora
apparso un articolo secondo il quale la iododoxorubicina e' stata in
grado di allungare il tempo di sopravvivenza di piccoli roditori
sperimentalmente infettati con un prione, cioe' con un agente che
causa malattie come quella della mucca pazza, anch'essa
caratterizzata da depositi di amiloide nel cervello. Per la cura
dell'Alzheimer sono ora disponibili alcuni farmaci in Giappone, Usa e
Inghilterra. In aprile, un articolo sul New England Journal of Medi
cine suggerisce che la somministrazione di vitamina E e/o di
selegilina, un farmaco usato contro il Parkinson, possano ritardare
il ricovero in case di cura per i pazienti di Alzheimer. Anche se
accolti con grandi fanfare e clamore, i risultati di tutte le terapie
ora disponibili dimostrano benefici davvero minimi e il loro
significato pratico e' discutibile. E' infatti sostenibile anche la
posizione di chi puntualizza come altro non facciano se non
prolungare di qualche tempo le pene dei pazienti e le sofferenze dei
familiari. Nessun trattamento sinora usato o in fase di sviluppo e'
rivolto a contrastare quello che puo' essere un meccanismo importante
nel causare la malattia, ne' incide sostanzialmente sul suo decorso.
La strada da percorrere e' lunga. L'industria farmaceutica e' ora
impegnata a sintetizzare nuove molecole modificando la
iododoxorubicina, si' che sia mantenuta la proprieta' disaggregante
nell'amiloide, ma si perda la capacita' di uccidere le cellule,
tipica di un farmaco antitumorale. La via e' incerta, ma uno
spiraglio si e' aperto. Ruggero G. Fariello Thomas Jefferson
University, Usa
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Benzene, killer metropolitano
OGENERE breve
OARGOMENTI chimica, ecologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS chemistry, ecology
Secondo i risultati della campagna di monitoraggio sul benzene svolta
del Wwf in sei citta' italiane, le metropoli sono piu' velenose di
quanto si pensasse. «Mediamente - dicono i tecnici - i cittadini
hanno respirato nella giornata del campionamento, tanto benzene
quanto ne avrebbero respirato fumando 11 sigarette a Torino, 13
sigarette a Milano, 10 a Roma, 15 a Napoli, 5 a Firenze, e 5 a
Napoli». L'indagine e' stata affettuata con la collaborazione di 400
ragazzi tra gli 8 e i 18 anni, che hanno portato addosso per 24 ore,
dei campionatori passivi. I dati sono stati analizzati dalla societa'
Analysis di Todi e dall'Unita' Operativa di medicina del Lavoro
dell'Usl 31 di Sesto San Giovanni. Il 90 per cento dei campioni
validi variava dai 18,1 ai 24,3 microgrammi al metro cubo, mentre la
soglia sanitaria sarebbe zero, essendo il benzene una sostanza
cancerogena accertata. Enrico Davoli, del Laboratorio di farmacologia
e tossicologia dell'Istituto Mario Negri di Milano, ricorda che «il
benzene e' una delle poche sostanze chimiche catalogate nella classe
1 della International Agency for Research on Cancer, cioe' fra le
sostanze sicuramente cancerogene per l'uomo: in una grande citta'
l'85 per cento del benzene presente nell'aria deriva dai gas di
scarico degli autoveicoli».
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Archeologia a Imola
OGENERE breve
OARGOMENTI archeologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS archaeology
Grotte, acque sorgive, fiumi e laghi come sacrari dell'uomo:
residenze della divinita' non sono solo chiese e templi, e tanti
resti dell'antichita' preromana lo testimoniano. Il bel catalogo
della mostra archeologica «Acque, grotte, e Dei» (fino al 13 luglio
nei Chiostri di San Domenico a Imola), documenta i resti affascinanti
degli antichi culti in Romagna, Marche e Abruzzo, praticati dai
Sabini, dagli Umbri, dai Piceni. Genti che diedero un'impronta
importante al formarsi della cultura italiana, come dimostrano
impressionanti coincidenze: la data della festivita' cristiana nel
santuario di Corfinio, ad esempio (provincia dell'Aquila), coincide
con quella dedicata nell'antichita' a Ercole.
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IN BREVE
Angela e Baroni due asteroidi
OGENERE breve
OARGOMENTI astronomia
ONOMI ANGELA PIERO, BARONI SANDRO
OORGANIZZAZIONI UNIONE ASTRONOMICA INTERNAZIONALE
OLUOGHI ITALIA
OKIND short article
OSUBJECTS astronomy
Piero Angela e l'astrofilo milanese Sandro Baroni hanno ora un
asteroide che porta il loro nome. Lo ha deciso l'Unione Astronomica
Internazionale a riconoscimento della loro attivita' per diffondere
la scienza.
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. RICERCA AMERICANA
Per le donne una seconda vita dopo la fertilita'
Il 1997 e' l'anno della menopausa. Ed e' all'insegna degli estrogeni
OAUTORE PELLATI RENZO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, ricerca scientifica
ONOMI HENDERSON VICTOR, PAGANINI HILL ANNALIA, AMADUCCI LUIGI
OORGANIZZAZIONI FONDAZIONE GIOVANNI LORENZINI
OLUOGHI ITALIA
ONOTE Campagna nazionale sulla salute della donna in menopausa
OSUBJECTS medicine and physiology, research
IL 1997 e' l'anno della «Campagna nazionale sulla salute della donna
in menopausa», promossa dalla Fondazione Giovanni Lorenzini con il
patrocinio delle piu' importanti societa' scientifiche italiane.
L'interesse per la menopausa (in Italia 3.600.000 donne hanno un'eta'
tra 50 e 59 anni) e' piu' che giustificato: oggi la speranza di vita
della donna si e' molto allungata (82 anni), e il periodo che segue
la menopausa dura ormai quanto l'eta' fertile, mentre all'inizio del
secolo la speranza di vita era di appena 44 anni. E' ormai certo che
la riduzione di estrogeni che si verifica in questa particolare eta'
della donna puo' favorire le malattie cardiovascolari (la piu'
frequente causa di morte in eta' post- menopausa) e l'osteoporosi,
una delle cause predominanti di invalidita' e di perdita di
autonomia. Ma nonostante i suoi benefici effetti, la terapia
sostitutiva a base di estrogeni e' seguita in Italia solo dal 3 per
cento delle donne, contro il 30 per cento degli Stati Uniti e il
15-20 per cento di Francia e Germania. Recenti studi pubblicati su
«Archives of Internal Medicine» (ottobre '96) ci dicono che la
terapia ormonale sostitutiva puo' ridurre anche il rischio di
sviluppare la malattia di Alzheimer. L'indagine e' stata condotta su
8877 donne (si tratta dello studio piu' ampio pubblicato su questa
patologia) da Victor W. Henderson e Annalia Paganini- Hill
dell'Universita' of Southern California, Los Angeles. Analizzando la
storia clinica di questi soggetti e facendo un paragone tra i casi di
persone affette da demenza (riscontrata in 248 casi) e i casi
appaiati per anno di nascita e di morte in cui questa condizione non
si era verificata, gli autori calcolano che il trattamento con
estrogeni riduce di un terzo il rischio di sviluppare la malattia di
Alzheimer. Ancor piu' recentemente uno studio svolto in Italia
nell'ambito del Progetto finalizzato «Invecchiamento» del Cnr
(novembre '96) diretto da Luigi Amaducci (della Clinica neurologica
dell'Universita' di Firenze) su un campione di 2816 donne (di eta'
compresa fra i 65 e gli 84 anni) ha confermato che la malattia di
Alzheimer e' stata diagnosticata nello 0,4 per cento delle donne che
avevano fatto uso di estrogeni, contro il 3,2 per cento delle donne
che non erano state sottoposte a terapia sostitutiva
post-menopausale. I meccanismi con cui gli estrogeni possono
esercitare effetti benefici nella malattia di Alzheimer includono sia
effetti sistemici che diretti sul sistema nervoso centrale. A livello
cellulare e' stato dimostrato in sistemi in vitro che gli estrogeni
sono in grado di regolare il metabolismo del precursore di beta
aniloide, la proteina che costituisce le placche caratteristiche
della malattia di Alzheimer. Accanto a questo meccanismo, vi potrebbe
essere da parte degli estrogeni un'azione di tipo neurotrofico. E'
nozione comune che le alterazioni ormonali che caratterizzano il
ciclo si accompagnano a modificazioni dell'umore e che la depressione
e' rara nella seconda meta' della gravidanza, caratterizzata da
livelli costantemente elevati di estrogeni. L'unico punto controverso
e' la possibilita' che si verifichi un aumento del rischio di
carcinoma mammario, per cui la prescrizione va valutata caso per
caso. I dati epidemiologici disponibili sottolineano che l'uso di
estrogeni e' privo di rischi aggiuntivi per trattamenti compresi nei
5 anni. Renzo Pellati
ODATA 18/06/1997 OPAGINA 4 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE DELLA VITA. RICERCA TELETHON
Distrofia muscolare un passo verso la cura
OAUTORE T_S
OARGOMENTI medicina e fisiologia, ricerca scientifica
ONOMI COSSU GIULIO, BUCKINGHAM MARGARET, MAVILIO FULVIO
OORGANIZZAZIONI TELETHON, CELL, NEURON
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, research
RICERCHE finanziate da Telethon stanno producendo importanti
progressi nella comprensione dei meccanismi che controllano la
formazione dell'apparato muscolo-scheletrico, aprendo nuove
prospettive per la cura delle distrofie muscolari. L'ultimo passo
avanti e' stato compiuto nel laboratorio diretto da Giulio Cossu, del
dipartimento di istologia ed embriologia medica dell'Universita' La
Sapienza di Roma: qui, in collaborazione con Margaret Buckingham
dell'Istituto Pasteur di Parigi, e' stato identificato il ruolo di
due geni nella formazione delle cellule muscolari. I risultati sono
usciti su riviste prestigiose come «Cell» e «Neuron». Gli studi di
Cossu e della Buckingham hanno portato a capire come una cellula
embrionale si trasformi in una cellula muscolare (mioblasto). Il
processo e' determinato da segnali inviati alle cellule destinate a
divenire mioblasti da strutture come il tubo neurale (il futuro
midollo spinale) e l'ectoderma (la futura epidermide). Questi segnali
sono costituiti da piccole molecole rilasciate dalle cellule vicine,
capaci di attivare il programma di differenziazione nei precursori
del muscolo. Questi ultimi rispondono «accendendo» due geni, Myf-5 e
Pax-3, che sembrano pilotare la cascata di segnali intracellulari che
portano infine la cellula a formare fibre muscolari contrattili. Si
e' infatti dimostrato su modelli sperimentali che l'assenza di
entrambi i geni determina l'incapacita' di formare i muscoli del
corpo e degli arti. Con Fulvio Mavilio dell'Istituto Telethon di
terapia genica di Milano, i ricercatori di Roma stanno ora cercando
di trasformare questa scoperta in una vera e propria cura della
distrofia muscolare. (t. s.)
ODATA 11/06/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. CON «SPECCHIO» L'ULTIMO PEZZO
Finalmente, il Microwatcher
Qualche consiglio per gli esploratori della natura
OAUTORE T_T_S
OARGOMENTI didattica
OORGANIZZAZIONI SPECCHIO DELLA STAMPA
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS didactics
SABATO i lettori di «Specchio», il supplemento de «La Stampa»,
troveranno il quinto e ultimo pezzo del «Microwatcher», un
originalissimo microscopio portatile che permettera' ai curiosi di
ogni eta' sorprendenti osservazioni naturalistiche. I manuali di
«Giocanatura», anch'essi distribuiti con «Specchio», saranno
altrettante guide molto utili in queste esplorazioni del microcosmo
che si nasconde tra i fili d'erba di qualsiasi prato. Manuali a
parte, una volta montato con cura il microscopio, qualche consiglio
per l'uso puo' essere utile. Il primo consiglio riguarda il rispetto
per l'ambiente. Le osservazioni che si possono fare senza alcun danno
per la natura sono moltissime. Evitate le poche che invece potrebbero
danneggiarla, come, ad esempio, la caccia alle farfalle
(antiparassitari e diserbanti usati in agricoltura hanno gia' fatto
troppe stragi di lepidotteri). Il secondo consiglio riguarda invece
l'uso del Microwatcher. Questo strumento consente ingrandimenti di
100, 200 e 400 volte. Sono tanti. Per la maggior parte delle
osservazioni 100 ingrandimenti bastano e avanzano. Pensate che un
capello a cento ingrandimenti vi apparira' gia' piu' grande di una
matita. Inoltre il microscopio non ingrandisce solo gli oggetti ma
anche i movimenti. Quindi un minimo spostamento dell'oggetto da
osservare diventa enorme e rischia di portare l'oggetto fuori campo.
Questo discorso ne introduce un altro: la delicatezza dei «vetrini»,
nel nostro caso delle protezioni di plastica trasparente nelle quali
devono essere inseriti gli oggetti da osservare. State attenti a non
rigare la plastica. Bisogna inoltre assicurarsi che gli oggetti che
volete osservare possano essere ben illuminati e che le loro
dimensioni siano abbastanza piccole, in modo da non occupare tutto il
campo. Infine, attenzione a non sporcare con granelli di polvere le
parti ottiche del microscopio. Soprattutto i tre obiettivi
intercambiabili sono molto delicati, e le loro lenti sono cosi'
piccole che pulirle e' molto difficile. E ora, buone osservazioni!
(t. t. s.)
ODATA 11/06/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA
Il dottorato di ricerca
Poche le prospettive a breve termine
OAUTORE E_P
OARGOMENTI fisica, didattica, lauree
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OSUBJECTS physics, didactics, degree
IL dottorato di ricerca in Italia esiste da tredici anni e ha colmato
una lacuna che poneva il nostro Paese in una posizione del tutto
anomala rispetto a quasi tutto il resto del mondo permettendo ai
giovani piu' motivati e piu' dedicati di formarsi una preparazione
specifica alla ricerca eliminando (almeno in parte)
quell'improvvisazione autodidattica che, da sempre, ha caratterizzato
i pur ottimi ricercatori italiani. Malgrado i (grossissimi) limiti
della legge che, piu' volte segnalati, non hanno mai ricevuto la
minima attenzione legislativa, il ruolo del dottorato e' stato nel
complesso positivo anche perche', fortunatamente, e' venuto in un
momento in cui si stava profilando un certo assorbimento di giovani
ricercatori da parte di Universita' ed Enti di ricerca pubblici e
privati. Anche se mancano statistiche nazionali, sappiamo che una
buona parte dei dottori di ricerca in fisica sfornati
dall'Universita' di Torino ha avuto, almeno fino ai primi Anni 90,
una relativa facilita' di inserimento nella ricerca. Quello che sta
diventando preoccupante e', invece, non solo la mancanza di
prospettive a breve termine dei giovani che hanno conseguito il
dottorato negli ultimi anni o che lo stanno seguendo o che lo
seguiranno negli anni a venire ma, ancora di piu', la mancanza di una
politica in questa direzione che ha caratterizzato l'azione
governativa finora. Si rischia di spendere cifre considerevoli per
creare dei superspecializzati senza preoccuparsi di quali potranno
essere i loro sbocchi occupazionali e senza curarsi del fatto che
questi giovani, consapevoli di essere la crema dei neolaureati nei
loro rispettivi campi, hanno come unica prospettiva quella di non
averne. In questo senso la tanto conclamata autonomia delle
Universita' rischia solo di essere una beffa. Non vorrei che si
potesse credere che questo e' il solito sfogo inutile. Il punto e'
non solo che qualcosa dovrebbe essere fatto subito ma che, per una
volta, qualcosa potrebbe essere fatto subito a un costo relativamente
modesto e con una altissima ricaduta per il futuro. Urge, per essere
specifici, che vengano attivati subito i tanto celebrati contratti
pluriennali di ricerca che potrebbero traghettare oltre le secche
attuali i migliori fra i nostri giovani ricercatori permettendo il
loro inserimento nel mondo della ricerca. Ma e', a mio parere, del
tutto illusorio sperare che le Universita' possano accollarsi il
costo di una simile operazione sui loro bilanci (come i progetti del
governo attualmente prevedono). Ad evitare che si possa pensare che
si propone di fare solo della beneficenza occorre ricordare che le
previsioni sono che, entro 10 anni, l'Universita' italiana si
svuotera' per il 40% del suo organico (vedi, per esempio, la
relazione del Preside della Facolta' di Scienze dell'Universita' di
Torino alla Conferenza di Ateneo svoltasi a Torino il 28 novembre
1996). Se la nuova normativa per il reclutamento dei professori
verra' finalmente approvata (sperando che la sua farraginosa macchina
riesca poi a decollare), questo, al meglio, permettera' un ricambio
al livello piu' alto. Lascera' invece, del tutto aperto il problema
di quello delle giovani leve che, viceversa, solo, potra' garantire
la funzionalita' dell'Universita' del domani e, di conseguenza, la
competitivita' dell'Italia a livello internazionale. Frustrare i
giovani dottori o dottorandi del presente o dell'immediato futuro e
disperderne le competenze vanificando anni e anni di studio e di
applicazione, non solo e' grave in se' e per se' ma e' grave in
quanto, soprattutto, ci priverebbe di quell'indispensabile ricambio.
E non ci saranno scuse, il Paese che non sara' in grado di garantire
un alto livello alla sua ricerca in tutti i campi sara' condannato
senza pieta' a retrocedere (ulteriormente?) di categoria. Resta solo
da augurarsi che il governo si renda conto dell'urgenza e della
importanza del problema e che provveda immediatamente.(e. p.)
ODATA 11/06/1997 OPAGINA 3 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE A SCUOLA. UNA LAUREA TUTTOFARE
La fisica a Wall Street
Molte e diverse opportunita' di lavoro
OAUTORE PREDAZZI ENRICO
OARGOMENTI fisica, didattica, lauree
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS physics, didactics, degree
LA laurea in fisica (almeno per il momento) sembra ancora dar lavoro,
e cio' dovrebbe tranquillizzare sia gli studenti che oggi seguono il
corso di laurea in fisica sia quei potenziali (futuri) studenti che
avessero in mente di iscriversi. Ricordo ancora l'allarme con cui i
miei genitori accolsero (molti anni fa) la mia decisione di fare
fisica: «Non ti dara' da vivere» dicevano. In retrospettiva posso
tranquillamente dire che c'era una buona dose di esagerazione. Pur
non portando alla ricchezza, fino a qualche anno fa la laurea in
fisica era un ottimo viatico per trovar lavoro. Un sondaggio
nazionale fatto sui laureati fino al 1992 mostra che praticamente
tutti i laureati in fisica trovavano lavoro entro meno di un anno
dalla laurea. Da un certo punto in poi, da quando cioe' e' cominciata
la crisi, e' invalsa la pratica di accomunare in una generale
disfatta occupazionale tutte le lauree. Certo, i tempi per trovare un
lavoro soddisfacente si sono allungati e spesso il lavoro che uno
trova non e' quello che aveva sognato o sperato o per il quale si era
dato una specifica dura formazione universitaria. Ugualmente, bisogna
riconoscere che il tipo di occupazione sta cambiando e che sempre
piu' spesso i giovani, anche quelli superspecializzati (anzi, loro
forse, piu' di tutti) devono rassegnarsi a una lunga trafila di borse
di studio (di dottorato, di specializzazione ecc.), di lavori a tempo
determinato (di formazione o altro) e che sempre piu' viene spostato
il momento in cui la carriera corre su binari stabilizzati. Lo sa
chiunque (come me) abbia figli in questa situazione. In questo,
pero', dobbiamo rassegnarci al fatto che stiamo, ahime', solo
adeguandoci ad un tipo di realta' che e' comune da anni nei Paesi
piu' progrediti (cominciando dagli Stati Uniti) e che la vita sta
diventando molto piu' difficile, soprattutto per i giovani (come
mostrano le statistiche nazionali, vedi La Stampa del 6 marzo 1997,
da cui risulta che in Italia la disoccupazione giovanile supera il
35% contro il 13% del totale dei lavoratori), ma anche per gli
anziani non si scherza e lo vedremo meglio dopo che la revisione del
sistema pensionistico sara' stata completata. Mancando dati recenti,
il corso di laurea in fisica ha deciso di procurarseli con un
sondaggio. Circa 520 lettere sono state spedite a tutti i laureati in
fisica tra il 1993 e il 1996 chiedendo varie informazioni tra cui
appunto se uno avesse un'occupazione stabile oppure a tempo
determinato o, ancora, saltuaria oppure nessuna. Al momento, sono
giunte circa 300 risposte. Il campione di risposte si puo', pertanto,
considerare sufficientemente ampio da meritare di essere analizzato.
Il risultato non solo conferma che non vi e' quasi disoccupazione
(semmai vi e' troppa occupazione a tempo determinato) ma e' assai
interessante per molti motivi: il 40% circa degli interessati
dichiara un'occupazione stabile (quasi tutti sono impiegati
nell'industria o in varie attivita' produttive, quelli assorbiti
dalla ricerca o dalla scuola sono poche unita'). Il 34% dichiara
un'attivita' o a tempo determinato (nella stragrande maggioranza) o
saltuaria e in questo caso la ripartizione e' circa meta'
nell'industria e meta' nella scuola o nella ricerca. Solo l'8%
dichiara nessuna occupazione (ma si tratta, in maggioranza, di
laureati nella sessione di laurea di novembre del 1996 per i quali
una disoccupazione appare fisiologica, tenuto conto anche di altri
impegni come il servizio militare o civile). Per ragioni che verranno
chiarite meglio a parte, non si e' ancora parlato di un ultimo 18% di
risposte che e' costituito da giovani che seguono, a Torino, in
Italia o all'estero, un dottorato di ricerca (in fisica,
prevalentemente), cioe', in un certo senso, dalla crema dei giovani
laureati in fisica. E' forse proprio in questo 18% che si possono
individuare, semmai, elementi di preoccupazione (almeno sotto il
profilo occupazionale). Ma, appunto, questo e' un discorso che
richiede un approfondimento particolare. Anche se, in assoluto, un
solo disoccupato e' gia' da considerarsi una sconfitta, da un punto
di vista di confronto con altre situazioni, possiamo concludere che
l'indagine riportata contiene elementi prevalentemente positivi.
Sarebbe interessante avere dati simili sia sui laureati in fisica di
altre universita' che sugli studenti laureati in altre discipline.
L'impressione, restando ai laureati in fisica di Torino che sono gli
unici sui quali possiamo azzardare dei commenti, e' che stiamo
assistendo ad un'evoluzione degli sbocchi occupazionali tradizionali.
Mentre fino a 15 anni fa lo sbocco di un laureato in fisica era quasi
integralmente nella ricerca o nella scuola, nel corso degli ultimi
anni, l'industria si e' gradualmente resa conto della grande
duttilita' nella preparazione dei giovani laureati in fisica. Sbocchi
nuovi si sono andati configurando negli ultimi anni sia nella fisica
sanitaria, che legati alla gestione di banche dati e all'analisi
tecnica previsionale (da parte di Assicurazioni, Banche e Societa'
Finanziarie), che, ancora, alla creazione e gestione di software.
Nuove prospettive si stanno lentamente aprendo legate a problemi
ambientali, archeologici, in domini di frontiera dello studio di
materiali speciali (fenomeni superficiali, di superconduttivita' alle
alte temperature), mentre aumenta l'importanza del controllo dei
fenomeni di turbolenza (anche per lo studio dei moti di grande masse
atmosferiche, cioe' per previsioni meteorologiche). Come curiosita',
ricordiamo che svariati fra i superesperti assunti negli ultimi anni
da Wall Street per la programmazione finanziaria sono dei PhD in
fisica. Da prendere con grande attenzione sono i commenti contenuti
nelle risposte pervenute. Molti sono coloro che lamentano un taglio
ancora troppo astratto nella preparazione dei giovani fisici da parte
dell'Universita' e suggeriscono un maggior raccordo con il mondo del
lavoro. A conferma che questa e' infatti una delle nostre
preoccupazioni, si puo' concludere segnalando che e' allo studio la
possibilita' di istituire quello che si chiama un Diploma in
Metodologie fisiche (noto anche come laurea breve o, piu'
correttamente, laurea del primo livello) che in tre anni dovrebbe
preparare una figura di fisico piu' direttamente predisposta per
l'inserimento nel lavoro. L'unico problema e' evitare facilonerie e
fare una attenta verifica se abbiamo le forze per fare un passo cosi'
impegnativo dal punto di vista della didattica senza venir meno a
quella serieta' di preparazione e alto livello culturale che sono
sempre stati una caratteristica dei giovani laureati in fisica.
Enrico Predazzi Universita' di Torino
ODATA 11/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. NUOVE ARMI
Il raggio che ferma i missili
Torna in versione ridotta il progetto «guerre stellari»
OAUTORE RIOLFO GIANCARLO
OARGOMENTI armi, tecnologia
OORGANIZZAZIONI AIR FORCE, BOEING 747 400, TRW
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS weapons, technology
A sei anni dalla Guerra del Golfo, il Pentagono, cioe' il ministero
della Difesa americano, non ha certo dimenticato l'incubo dei razzi
«Scud» lanciati da Saddam Hussein contro Israele e contro le basi
dell'esercito Usa e dei loro alleati in Arabia Saudita. C'e' molta
preoccupazione, anzi, per il crescente numero di Paesi in possesso di
missili balistici di teatro. Oggi sono una ventina, con circa
diecimila vettori e un arsenale di testate convenzionali, chimiche,
batteriologiche. E alcuni hanno la tecnologia per costruire bombe
atomiche. Come fronteggiare la minaccia? Abbandonato con la fine
della guerra fredda il progetto di «scudo spaziale», gli Stati Uniti
hanno dato il via allo sviluppo e alla costruzione di un'arma
rivoluzionaria che, sia pure con obiettivi meno ambiziosi, ne ricalca
le orme: un potente cannone laser. Montato su uno speciale Boeing
747, permettera' di distruggere i missili subito dopo il lancio. Il
sistema, chiamato Abl (sigla di airborne laser, cioe' laser volante),
verra' realizzato per conto dell'Air Force da un tem composto da
Boeing, Lockheed Martin e Twr, con un investimento di un miliardo 100
mila dollari, 1700 miliardi di lire. Nella decisione ha pesato non
poco l'esperienza della Guerra del Golfo. Allora, per difendersi
dagli attacchi degli «Scud», vennero impiegate batterie di missili
«Patriot»: presentati come quasi infallibili, ottennero in realta'
risultati modesti. Il «Patriot», d'altronde, e' nato come sistema
antiaereo e colpire missili balistici e' un'altra cosa. Secondo i
programmi, l'Air Force ricevera' sette Boeing 747 Abl. Grazie
all'autonomia intercontinentale, potranno raggiungere in poche ore
l'area di una crisi internazionale, stendendo un ombrello a
protezione dei possibili obiettivi di un attacco. Volando in circolo
a 12 mila metri di quota, questi aerei potranno scoprire il lancio di
missili a centinaia di chilometri di distanza e seguirne la
traiettoria con un sensore a infrarossi realizzato dalla Lockheed
Martin. Il sistema di puntamento, sempre della Lockheed, indirizzera'
con precisione sul bersaglio il raggio del laser ad alta energia,
distruggendo il missile durante l'ascesa, nella fase del volo in cui
e' piu' vulnerabile, mentre si trova ancora sul territorio del Paese
aggressore e - in caso di testate multiple - prima che queste si
separino. La costruzione del laser e' affidata alla Trw di Cleveland,
azienda che studia da anni la possibilita' di impiegare fasci di luce
ad alta energia per la difesa antimissile. Il prototipo risale
addirittura al 1972 e venne sperimentato con successo sei anni piu'
tardi contro un bersaglio in volo. Di recente la Trw ha realizzato
due laser chimici da piu' di un megawatt di potenza: l'Alpha,
costruito per l'Air Force con i finanziamenti stanziati per lo scudo
spaziale, e il Miracl, commissionato dalla Marina. Quest'ultimo e'
stato collaudato in un poligono del Nuovo Messico, riuscendo a
colpire una serie di missili lanciati da terra. E a distruggerli.
Giancarlo Riolfo
ODATA 11/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. RICERCHE IN USA
Verso i computer con schermo 3-D
Immagini in rilievo formate da un laser
OAUTORE VALERIO GIOVANNI
OARGOMENTI elettronica, ricerca scientifica
OORGANIZZAZIONI HUMAN INTERFACE TECHNOLOGY LAB
OLUOGHI ESTERO, AMERICA, USA, WASHINGTON, SEATTLE
ONOTE Virtual Retinal Display
OSUBJECTS electronics, research
DALLE schede perforate ai sistemi operativi, l'evoluzione
dell'informatica sta in una parola sola: interfaccia. Cioe' il
confine tra l'uomo e la macchina. Dalla rivoluzione nata nei
laboratori Xerox alla fine degli Anni 70, le interfacce per i
computer sono grafiche. I comandi si eseguono sulle icone, immagini
che possono rappresentare programmi, file, archivi di documenti.
L'icona piu' famosa e' quella del cestino per i file che non servono
piu'. Ma l'interfaccia-metafora della scrivania bidimensionale e'
ancora diversa da quella del nostro vero ufficio, che ha una
dimensione in piu'. Quando si passera' a uno spazio tridimensionale?
Quando si passera' al 3-D anche sullo schermo del computer? Il
miraggio delle immagini a tre dimensioni ha origini lontane, almeno
quanto il cinema stesso. Gia' nel 1903 i fratelli Lumiere girano il
primo film 3- D, «L'arrivee du train», un remake tridimensionale del
famoso arrivo del treno che aveva sconvolto gli spettatori parigini
qualche anno prima. Piu' inventori che artisti, i Lumiere brevettano
nel 1932 il metodo ad anaglifi per la visione del film «in rilievo».
Due immagini uguali vengono stampate con colori complementari, come
il rosso e il verde. Se osservate con lenti degli stessi colori,
ciascun occhio le vede da un'angolazione diversa e la leggera
parallasse produce l'effetto della profondita'. E' questo l'antenato
degli occhialini rossi e verdi che fanno illudere Hollywood negli
Anni 50, con decine di film 3-D che tentano di contrastare la
popolarita' della neonata televisione. Anche Hitchcock, il mago del
brivido, gira «Delitto perfetto» in tridimensionale. Ma la novita'
dura poco. Come il cinema, anche lo schermo elettronico sfrutta il
metodo dell'anaglifo. Il principio e' sempre lo stesso: far arrivare
l'immagine a ognuno degli occhi con un'angolazione leggermente
diversa. La visione avviene attraverso occhiali colorati, simili a
quelli dei primi film 3-D. Ci sono poi occhiali a cristalli liquidi
che anneriscono alternativamente le lenti. L'annerimento viene
sincronizzato con le immagini trasmesse sul monitor, in modo che a
ogni occhio giunga solo l'immagine giusta. Negli ultimi modelli, gli
occhiali sono sincronizzati con un segnale ottico infrarosso generato
dal computer, senza piu' cavi o fili che limitano i movimenti,
soprattutto nei giochi, dove la voglia di spazi tridimensionali e'
piu' forte. La magia del 3-D puo' essere ricreata anche solo sullo
schermo, con monitor che visualizzano alternativamente l'immagine
destra e quella sinistra, «spazzandole» proprio come fa il cannoncino
elettronico della televisione. Ma la ricerca verso il 3-D sembra
procedere per sottrazioni. Niente occhiali ingombranti e complessi.
Niente schermi costosi e poco fedeli. Meglio puntare direttamente la'
dove l'immagine si forma. Lo Human Interface Technology Lab di
Seattle sta studiando il Virtual Retinal Display, un sistema che
sfrutta un raggio laser per disegnare l'immagine direttamente sulla
retina. Un fascio di luce coerente, simile a quello di un diodo
laser, crea un punto di diffrazione sulla retina. Facendolo scorrere
si forma l'immagine. Il display «da retina» sara' come un normale
paio di occhiali, con una risoluzione pari al numero dei
fotorecettori presenti sulla retina, in quanto il raggio laser
potrebbe essere guidato per attivarli uno per uno. Giovanni Valerio
ODATA 11/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
«Il caso della pecora clonata», Cuen, Napoli
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI genetica
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS genetics
I giornali hanno fatto molto rumore intorno a Dolly, la pecora
clonata, ma non sempre hanno contribuito a chiarire le idee dei
lettori sugli esperimenti di clonazione. Rimedia ora questo puntuale
libretto curato dall'agenzia scientifica «Galileo». Piero Bianucci
ODATA 11/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Autori vari: «Birdwatching», De Agostini
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI didattica, zoologia
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS didactics, zoology
Il «birdwatching», cioe' l'osservazione naturalistica degli uccelli,
e' una attivita' affascinante e istruttiva ma richiede una serie di
nozioni di biologia e di ornitologia, e anche la conoscenza di alcuni
piccoli «trucchi». Questo libro dalle bellissime illustrazioni
risponde a entrambe le esigenze. Vi insegna a praticare il
birdwatching dal balcone di casa e sul campo, dandovi i consigli
giusti per ogni habitat: la citta', la campagna, i boschi, le zone
umide, le coste, le montagne. Opera di alcuni dei maggiori esperti
del settore, il volume e' presentato da Marco Lambertini, direttore
della Lipu, la Lega italiana per la protezione degli uccelli.
ODATA 11/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Martinengo, Pasteris, Romagnolo: «Sesto potere», Apogeo
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI informatica, comunicazioni
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS computer science, communication
Internet, la Grande Rete, offre servizi potenzialmente utili a tutti
i cittadini: chiunque puo' essere interessato a scambiare messaggi
con 40 milioni di altri utenti, a cercare informazioni sui temi piu'
disparati, a fare acquisti, a vedere immagini messe in rete dalla
Nasa piuttosto che dagli agenti delle piu' celebri top model. Ma
senza dubbio ci sono categorie di cittadini che di Internet si
servono in modo piu' professionale: sono i giornalisti, gli addetti
alle relazioni interne ed esterne delle aziende, i formatori. Proprio
pensando a loro hanno lavorato gli autori di questo libro. Un manuale
utilissimo in quanto fornisce una guida sicura per stare a galla nel
mare di informazioni e di opportunita' di comunicazione disponibili
sulla rete. Cercare e trovare notizie, valutarne l'attendibilita',
predisporre pagine di informazione invitanti ed efficaci, muoversi in
Internet come in una grande aula virtuale che offre nuove
possibilita' di apprendimento: queste le cose che gli autori ci
insegnano con chiarezza e intuito del futuro. Dello stesso editore,
«Inglese per Internet», pratico dizionarietto dell'esperanto
telematico, e «HTML» di Roberto Boschin, con Cd-Rom, per imparare a
scrivere ipertesti. Da segnalare, infine, la rivista «Telema» della
Fondazione Ugo Bordoni diretta da Ignazio Contu (via Baldassarre
Castiglione 59, Roma, tel. 06- 548.06.104) e in particolare il numero
attualmente in distribuzione, sul tema «Internet, illusioni e
realta'», con contributi di Gianni Vattimo, Stefano Rodota', Aldo
Carotenuto e Tullio De Mauro.
ODATA 11/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCAFFALE
Falciasecca Gabriele e Vico Andrea: «Dal tam tam al telefonino»,
Editoriale Scienza
OGENERE rubrica
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI storia della scienza
OLUOGHI ITALIA
OKIND column
OSUBJECTS history of science
LA storia delle telecomunicazioni incomincia con i falo' accesi su
una serie di isole attraverso il mar Egeo per annunciare la caduta di
Troia dopo dieci anni di assedio e arriva alle centinaia di satelliti
artificiali che a partire da quest'anno verranno lanciati per
realizzare il telefonino «planetario». In mezzo troviamo il telegrafo
ottico, il telegrafo elettrico, la radio, il telefono con e senza
fili, il fax, la telematica. E' questa la storia, ricca di curiosita'
e di aneddoti, che ci raccontano Andrea Vico e Gabriele Falciasecca
in un libro per ragazzi che potranno leggere con gusto anche nonni e
genitori. In piu', come prevede la collana, la descrizione di ogni
tecnologia e' accompagnata da semplici esperimenti che i giovani
lettori potranno ripetere a casa propria. Queste pagine-laboratorio
sono curate con grande intelligenza pedagogica da Franco Foresta
Martin, gia' autore di un analogo volume dedicato alla radio. Poiche'
si impara piu' facilmente e piacevolmente se, oltre a leggere, si
«fa» manualmente qualcosa, il risultato didattico e' assicurato. E il
divertimento anche.
ODATA 11/06/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. METALLURGIA
Un materiale di buona memoria
La lega nichel-titanio «ricorda» la forma originaria
OAUTORE BERNARDI MARIO
OARGOMENTI fisica
ONOMI BUEHLER WILLIAM
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Come agisce l'effetto «memoria di forma»
OSUBJECTS physics
QUANDO il lavoro non era ancora considerato «un diritto», per
procurarmene uno chiusi in un cassetto i miei sogni di pilota e
d'ingegnere aeronautico. E cosi' per guadagnarmi il pane mi ritrovai
davanti alla bocca di un forno elettrico, dove «sudavo» l'effetto del
calore sulla trasformazione delle leghe. Tra i molti tipi di leghe,
ne emerge oggi un gruppo particolare: sono i «materiali a memoria di
forma». In essi una forma particolare viene richiamata da una
semplice variazione di temperatura. Per esempio un filo diritto puo'
venire modellato a forma di cerchio e quindi venire rapidamente
raddrizzato con il semplice riscaldamento a una determinata
temperatura: se contrastato nel recupero della forma iniziale, esso
e' in grado di vincere una notevole resistenza. Il fenomeno fu
osservato su una lega di rame piu' di cinquant'anni fa
all'Universita' di Harvard e al Mit. Quasi contemporaneamente il
fenomeno fu rilevato in Russia dal metallurgista Kurdymov. Successive
ricerche individuarono diverse leghe, come oro-cadmio, ferro-
platino, indio-cadmio, ferro-nichel, e nichel-alluminio, tutte con
proprieta' di memoria di forma; ma fu solo dopo che William J.
Buehler del Laboratorio delle Armi navali americane, identifico' una
lega nichel-titanio con capacita' di recupero da una grande
deformazione e con una grande forza di ripristino della forma
originale, che il potenziale delle leghe «a memoria di forma» fu
pienamente apprezzato. La lega nichel-titanio scoperta da Buehler
puo' riprendere la forma iniziale, annullando una deformazione fino
all'8 per cento: un dato da confrontarsi con quello dei normali
materiali da costruzione, che in genere non sono in grado di
riprendere una deformazione superiore all'1 per cento. Il meccanismo
della memoria di forma e' legato alla presenza nel materiale di due
fasi stabili in corrispondenza a due differenti temperature. Nella
fase austenitica, ad alta temperatura, il materiale presenta una
struttura interatomica cubica e si comporta come altri tipici
materiali da costruzione presentando grande durezza e forte
resistenza e con una curva sforzo-allungamento di tipo classico.
Quando il materiale viene raffreddato al di sotto della temperatura
di trasformazione esso subisce una variazione di fase in martensite,
presenta una struttura interatomica fortemente geminata e perde
resistenza. Durante il cambiamento di fase non si osserva alcuna
variazione nella forma del filo o della barra; invece la resistenza
del materiale si riduce al 20-25 per cento di quella della fase
austenitica, le geminazioni vengono facilmente eliminate nella
struttura consentendo una deformazione pari a circa l'8 per cento.
Riscaldando il materiale oltre la temperatura di trasformazione esso
ritorna alla fase cubica dell'austenite e alla sua forma originale.
La prima applicazione industriale della lega nichel-titanio risale al
1969 quando fu realizzato un giunto tubolare per collegare tubi in
titanio del caccia americano F14 Tomcat. Il giunto tubolare di
accoppiamento viene lavorato a diametro interno leggermente inferiore
a quello dei due spezzoni da collegare. Raffreddato al disotto della
temperatura critica - normalmente mediante azoto liquido - il
materiale subisce la trasformazione di fase e risulta facilmente
deformabile. A questo punto il giunto viene forzato con un mandrino
allargando il suo diametro interno dell'8 per cento circa e in queste
condizioni viene facilmente infilato sui due tubi da collegare.
Quando il giunto, lasciato riscaldare alla temperatura ambiente,
supera la temperatura critica si verifica l'effetto di memoria, per
cui si restringe bloccando indissolubilmente le estremita' dei due
tubi. L'effetto di memoria delle leghe nichel-titanio non e' limitato
ai movimenti lineari teste' descritti e utilizzati nei giunti negli
anelli di bloccaggio. La proprieta' dei materiali a memoria di forma
si presta ad effettuare lavoro e ad azionare un meccanismo
realizzando veri e propri attuatori. Questi compaiono nella forma di:
1) fili diritti (grande forza, piccolo spostamento); 2) molle ad
elica (piccola forza, grande spostamento); 3) molle a sbalzo (agenti
a flessione); 4) molle a disco, molle a rondelle ondulate (grande
forza, piccolo spostamento). Mentre normalmente il materiale viene
attivato termicamente, in certi casi puo' essere preferibile
attivarlo elettricamente facendolo percorrere da una corrente. Cio'
e' facilitato dalla grande resistivita' della lega nickel-titanio che
e' tale da produrre una sufficiente quantita' di calore. In molti
attuatori elettrici ci si aspetta che il sistema sia utilizzabile per
un funzionamento ripetuto. Cio' si puo' ottenere mediante una molla
ausiliaria di contrasto che viene deformata elasticamente dalla molla
a memoria di forma durante la fase di riscaldamento ma che a sua
volta riposiziona quest'ultima nel successivo raffreddamento. Alcuni
prodotti automobilistici, come i motori e le trasmissioni, sono
soggetti a forti differenze di temperatura dall'avviamento a freddo
del veicolo sino al raggiungimento della temperatura finale di
funzionamento. Nella fattispecie variazioni di viscosita' del fluido
possono provocare problemi nei cambi automatici. In alcuni casi il
controllo della pressione idraulica in funzione della temperatura e'
stato ottenuto in modo efficace ed economico mediante una valvola
controllata da una molla a memoria di forma accoppiata ad una molla
di compenso; essa riduce la pressione di slittamento quando l'olio e'
freddo e l'aumenta quando la trasmissione raggiunge la temperatura di
regime. Un'altra applicazione si ha nella valvola di controllo
dell'evaporazione nei carburatori che e' tenuta chiusa alle basse
temperature, trattenendo il carburante evaporato nel carburatore,
mentre si apre alle normali temperature di funzionamento sfogando
fumi ai fini di una migliore ripresa e per evitare l'ingolfamento. Un
regolatore di apertura della finestra di una serra di tipo
commerciale impiega una lega rame-zinco-alluminio a memoria di forma
per aprire lo sfiato del tetto quando si raggiunge una determinata
temperatura e richiudendolo quando la temperatura si abbassa. Altre
comuni applicazioni sono rappresentate da interruttori di corrente,
dispositivi antincendio, gruppi doccia antiscottature, deflettori di
scarico di una vasta gamma di usi che da' a questa specializzazione
metallurgica un valore degno di un impegno industriale. Mario
Bernardi
ODATA 11/06/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
CAPPELLA DELLA SINDONE
La scienza salvera' l'arte
OAUTORE ANTONETTO ROBERTO
OARGOMENTI tecnologia, arte, restauro, architettura
ONOMI GRITELLA GIANFRANCO
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
OTABELLE D. La Cupola del Guarini. I danni subiti durante l'incendio
OSUBJECTS technology, art, restoration, architecture
SIAMO a due mesi esatti dal rogo che ha quasi distrutto la cappella
della Sindone: era la notte fra l'11 e il 12 aprile. Tale fu il
disastro, e tale e' il capolavoro architettonico colpito, che non e'
ancora possibile delineare quali strade specifiche verranno percorse
fra quante sono oggi disponibili per farlo rinascere. Ma il problema
della seicentesca cappella torinese giustifica un'escursione
nell'affascinante mondo in cui la scienza del restauro architettonico
mette a punto i suoi segreti e la sua «filosofia». E' un aspetto
della ricerca italiana poco noto al grande pubblico, ma fra i piu'
brillanti e avanzati, nel quale e' accaduto che vocazione artistica,
inventiva tecnologica e tradizione artigianale si coniugassero
creando sorprendenti possibilita'. Immaginate un grande guscio in
muratura, all'interno del quale se ne trova un secondo, fatto di
marmo, plasmato in spettacolose forme decorative barocche. Per i tre
quarti dell'altezza dell'edificio il guscio interno e quello esterno
aderiscono l'uno all'altro come fossero un unico grande spessore.
Nella parte piu' elevata invece, cioe' nel cestello che sovrasta il
tamburo superiore, la muratura si riduce ad una serie di contrafforti
che lasciano scoperto lo straordinario traforo creato dal sistema di
archi in pietra sovrapposti. Questa e' la struttura data alla
cappella da Guarino Guarini, abate-architetto la cui febbrile
invenzione artistica e' pervasa da spiriti matematici e da vene
esoteriche perfino vagamente inquietanti. E' l'opera lapidea della
cappella, il sontuoso e funereo apparato in pietra bigia di Frabosa
ideato da Guarini per custodirvi la Sindone, la parte danneggiata
dall'incendio di aprile, sia per l'azione diretta delle fiamme sia
per lo shock termico causato dal contrasto fra il calore del rogo e
l'acqua fredda degli idranti. Quanto siano estesi e profondi i danni,
non e' ancora stato possibile stabilire esattamente, perche' tuttora
ragioni di sicurezza impediscono l'esame ravvicinato. Ci si basa su
quanto e' dato di intravedere, a distanza, attraverso la macchina del
ponteggio che riempie l'interno, e che appare adesso come un sinistro
groviglio. Dal 1994, infatti, la cappella del Guarini era oggetto di
un restauro, giunto a poche settimane dalla conclusione: il ponteggio
era stato smontato soltanto per la meta' del suo sviluppo verticale.
Secondo l'architetto Gianfranco Gritella, uno dei progettisti che per
tre anni, fino all'11 aprile, hanno lavorato nella cappella,
l'arsenale delle conoscenze scientifiche, dei mezzi tecnici e delle
competenze e' oggi tale da consentirne un recupero soddisfacente, sia
sul piano storico sia sul piano «visivo». In casi come questo, i
primi passi si fanno determinando la composizione e le proprieta' dei
materiali da restaurare. Tra gli esami ai quali vengono sottoposti i
campioni occupa un posto di primo piano la microscopia elettronica a
scansione (SEM) che permette di «vedere» la struttura dei reticoli
cristallini profondi raggiunti da microsonde endoscopiche simili a
quelle che si usano in medicina, e di svolgere analisi chimiche su
prelievi effettuati dalle stesse sonde. Un altro esame e' la
«risonanza magnetica», che visualizza nel marmo l'eventuale presenza
nascosta di elementi metallici, per esempio dei tiranti. A sua volta
il microscopio metallografico fornisce informazioni sulla natura
chimico- fisica degli elementi metallici e sulla loro capacita' di
lavoro. Questi dati hanno particolare importanza nel caso della
cappella della Sindone. L'incendio, infatti, ha messo in evidenza una
serie pressoche' infinita di perni, staffe, grappe, zanche, tiranti:
un insieme di cuciture che collegavano il «guscio» interno della
cappella a quello esterno. Molti di questi elementi sono stati
deformati dal rogo, che ne ha compromesso la resistenza o addirittura
li ha estratti dai blocchi. La termografia (che percepisce attraverso
una particolare telecamera o macchina fotografica le differenze di
calore emanate da materiali diversi), le indagini all'infrarosso e ai
raggi X e la porosimetria completano il panorama diagnostico.
Quest'ultima indagine misura la quantita' e le dimensione dei pori
delle pietre e rileva quanto esse sono permeabili agli agenti
esterni, dall'umidita' allo smog. A queste prove di carattere
elettronico e chimico, si aggiungono quelle fisiche e meccaniche
(resistenza alla trazione e alla compressione, limiti di elasticita',
conduttivita' termica e altre). La massa di informazioni cosi'
ottenute e' la base per passare dalla diagnosi all'intervento
riparatore. Uno dei prodigi tecnologici di oggi e' una stazione di
lavoro completamente automatizzata capace di copiare da sola elementi
scultorei a tutto tondo, cioe' altorilievi e statue. La macchina e'
in grado di utilizzare e intercambiare autonomamente decine di
utensili differenti (trapani, frese, mole, percussori, seghe
diamantate). Il percorso degli strumenti e i profili che si andranno
a «scolpire» sono visualizzati in tre dimensioni sul monitor del
computer attraverso specifici programmi Cad-Cam, che permettono di
predefinire tutte le funzioni e i tempi di lavorazione. In pratica:
da un esemplare integro, per esempio una formella di marmo scolpito,
un pennello di luce laser rileva infinite quote di livello
altimetrico, in altre parole ne estrae il ritratto digitale
tridimensionale. I dati vengono elaborati dal computer e trasformati
in una miriade di comandi che il calcolatore trasmette al pantografo,
azionato da un motore in grado di ruotare a 360o in cinque differenti
direzioni. Ognuno degli input corrisponde ad uno spostamento
micrometrico dello strumento da taglio. Risultato: una copia
perfetta. Da questa si ricava una cassaforma, cioe' uno stampo
femmina, in cui vengono colate da un meccanismo intelligente resine
diverse. Rispetto alla formella- madre, le copie «clonate» in questo
modo sembrano gemelle perfette, con i colori e le venature propri del
materiale naturale originario. La nuova frontiera, in fatto di
lavorazione dei materiali lapidei e' Waterjet, macchina che taglia
con una lama d'acqua sparata da un ugello alla velocita' Mach 3: tre
volte la velocita' del suono. Per arrivare a tanto una pompa porta
l'acqua (alla quale viene aggiunta una determinata quantita' di
abrasivo) all'incredibile pressione di 4200 atmosfere. Anche in
questo caso e' il computer che, rilevata mediante scanner la
configurazione da dare al taglio, governa e controlla il getto
supersonico. A questi nuovi mezzi si affiancano tecniche antiche
affinate dal progresso delle macchine, come il tornio da pietra in
uso gia' dalla fine del Settecento per modellare colonne e balaustre.
Lo stesso discorso vale per un geniale procedimento noto da secoli,
il rivestimento di materiali meno nobili con uno strato di marmi
pregiati. Esistono oggi macchinari capaci di sezionare i marmi in
strati cosi' sottili, anche curvilinei, da costituire delle vere e
proprie impiallacciature. Questa tecnica, in cui primeggia in
assoluto il Laboratorio delle Pietre Dure di Firenze, consente di
riutilizzare le parti della pietra nobile sopravvissute ad un
disastro applicandole a rivestimento di un altro materiale con
l'ausilio di speciali ancoraggi nascosti. Il vantaggio e' evidente:
il manufatto nuovo, per esempio una colonna, sara' anche storicamente
omogeneo al resto del monumento. Se il calcolatore e' entrato di
prepotenza nel cantiere del restauro architettonico, la chimica gli
contende il ruolo di protagonista con la sua continua evoluzione.
Polimeri acrilici, alchilalcossisiliani, silicati alcalini,
fluorosilicati sono i nomi tecnici degli aggreganti liquidi che
ricompattano i marmi decoesi e sfaldati e conferiscono loro
caratteristiche meccaniche tali da permetterne il sostentamento. Gli
aggreganti si fanno anche arrivare in profondita', dove possono
essersi formati dei vuoti rilevabili con l'inserimento endoscopico di
fibre ottiche. Si utilizza una rete di tubicini nei quali, con un
sistema di vasi comunicanti, e' fatto passare, a debole pressione, il
liquido consolidante. La pulitura e' un capitolo a se'. Tecniche
sperimentate fin dagli Anni 70 hanno trovato ulteriori
perfezionamenti: tra queste la microsabbiatura di precisione,
l'impiego di acqua nebulizzata e deionizzata, l'applicazione di
impacchi di argilla e polpa di cellulosa o paste chimiche, silicati
di etile e polimeri siliconici, i bagni elettrolitici, le
apparecchiature speciali ad ultrasuoni (e' spontaneo il richiamo a
quelle usate dai dentisti per la detartrasi). Comunque - avverte a
questo punto Gritella - ne' computer ne' congegno ne' altro ritrovato
possono sostituire l'uomo, anche dal punto di vista tecnico, per
esempio nel cogliere il verso giusto di un taglio o nell'intuire i
difetti nascosti nella vena o la sfaldabilita' di una lastra. Per non
parlare della complessa sensibilita' culturale, storica e artistica
che determina, per ogni restauro, la scelta del delicato punto di
equilibrio tra conservazione e rifacimento: ma questo non e' piu'
discorso di scienza e tecnologia. Nel caso della cappella della
Sindone, ci sono le premesse perche' il capolavoro seicentesco possa
ridiventare se stesso, senza essere una «copia di se stesso». Il che
significa riconsegnare al futuro un capolavoro purtroppo non piu'
intatto ma non «falso». Un po' piu' vaghe diventano le previsioni
dell'architetto di fronte alle domande conclusive di rito: quanto
potranno durare i lavori, e quanto costeranno. E non si stenta a
comprenderlo, se soltanto si pensa alla mostruosa macchina
burocratica del nostro Paese. Primo punto: la fase attuale, della
«messa in sicurezza», seguita dalla rimozione dei ponteggi, durera'
probabilmente parecchi mesi. Quanto al cantiere di restauro,
richiedera' certamente piu' di cinque anni, sempreche' la definitiva
ricognizione dei danni non risulti ancor piu' drammatica di quanto
possiamo oggi supporre. E i costi saranno nell'ordine di qualche
decina di miliardi. Roberto Antonetto
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. ENERGIA
Per l'auto
una cella
a idrogeno
OAUTORE BO GIAN CARLO
OARGOMENTI energia
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS energy
SE questo e' il secolo che ha visto la grande diffusione dei mezzi
di trasporto mossi da combustibili inquinanti, quello che sta per
cominciare dovra' sviluppare trasporti poco o per nulla dannosi
all'uomo e all'ambiente. Sono gia' in funzione motori a metano, a
Gpl, ibridi e cosi' via; ci sono auto, aerei e barche solari. Ma i
punti deboli della trazione elettrica sono ancora (forse per poco)
i sistemi di alimentazione e di accumulo dell'energia. Di batterie
ne sono state inventate tante: a nichel-cadmio, a nichel-idruri
metallici, a litio-polimeri, zinco-aria; alcune si avviano gia' al
viale del tramonto, altre sono ancora troppo care.
L'ideale e' produrre energia quando serve, nella quantita' che
serve e tutelando l'ambiente. Un sistema che si prospetta
interessante - insieme con le batterie zinco-aria - e' quello a
celle a combustibile (fuel cells). Il veicolo non preleva corrente
da una batteria ma se la fabbrica sul momento, tramite una centrale
elettrica di bordo che impiega l'idrogeno come carburante. Il
principio e' semplice. Facendo regire il combustibile idrogeno con
il comburente ossigeno si produce energia, con acqua come
sottoprodotto: nulla di piu' pulito e nulla di piu' entusiasmante
se proviamo a immaginare che dagli scappamenti delle automobili
esca pura acqua sorgiva anziche' uno spiffero cancerogeno.
Il problema di immagazzinare idrogeno a oltre 250 gradi sotto zero
(come nel propulsore del Gabbiano dell'Ansaldo o nel Progetto
Necar, New Electric Car, della Mercedes-Benz) e' ora proficuamente
aggirato dalla Toyota, che ha presentato a Francoforte il Fcev
(Fuel Cells Electric Vehicle).
L'idrogeno viene ricavato da metanolo contenuto nel serbatoio di
carburante a bordo del veicolo e la catena cinematica del Fcev
risulta composta delle celle a combustibile, di un "re former" di
metanolo, della batteria di trazione ausiliaria e del serbatoio di
metanolo: il tutto sta sotto il cofano e sotto il pavimento del
veicolo, lasciando intatto l'abitacolo e spazio sufficiente per i
bagagli. Le celle di questo veicolo sono del tipo a elettrolita
polimero, misurano 108X50X24 centimetri e hanno una potenza
nominale di 25 kW: attingono l'ossigeno da un flusso d'aria
compressa e umidificata e l'idrogeno gassoso combustibile dal
reformer del metanolo.
La reazione chimica e' semplice. Sottoposti a riscaldamento in
presenza di un catalizzatore il metanolo CH3OH e l'acqua H2O si
trasformano in idrogeno e anidride carbonica secondo l'equazione
CH3OH piu' H2O = 3H2 piu' CO2.
Il reformer consiste di una sezione bruciatore, di un
vaporizzatore che vaporizza il metanolo liquido e l'acqua, della
sezione di reforming del metanolo dotata di catalizzatore e di
quella di ossidazione del CO, con catalizzatore, che trasforma
l'ossido di carbonio non completamente convertito in CO2. L'acqua
necessaria al processo e' fornita dallo scarico delle celle a
combustibile, rendendo cosi' continuo e autosufficiente il ciclo di
conversione: l'azione di reforming impiega acqua e le celle a
combustibile producono acqua. Il reformer - lungo 60 centimetri con
diametro di 30 - dipende per il suo funzionamento da due sistemi
ausiliari: una pompa dell'aria che fornisce l'aria necessaria al
bruciatore e per ossidare il CO e una valvola che gestisce la
quantita' di idrogeno per alimentare le celle (o lo fa ricircolare)
e che controlla anche il flusso dell'acqua di scarico che viene
successivamente riciclata. L'energia prodotta dalla reazione viene
trasformata in corrente elettrica - con altissimo rendimento - per
alimentare il motore elettrico, anch'esso ad alto rendimento.
Dalla trasformazione elettrochimica dell'idrogeno non derivano
sostanze indesiderate, come anidride carbonica e ossidi di azoto;
si forma soltanto acqua, e il sistema permette di superare in un
colpo solo il problema dell'accumulo di energia in una batteria
pesante e della sua ricarica. Un veicolo la cui propulsione dipenda
esclusivamente da pile a combustibile all'idrogeno e', secondo la
definizione americana, uno Zero Emission Vehicle.
Gian Carlo Bo
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. IRIDIUM E GLOBALSTAR
Ti parlo dal Sahara...
1998, anno del telefonino planetario
OAUTORE RIOLFO GIANCARLO
OARGOMENTI comunicazioni, tecnologia
ONOMI GATES BILL, MCCAW CRAIG
OORGANIZZAZIONI MOTOROLA, BOEING
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS communication, technology
MENO di un anno e potremo infilare in tasca il telefonino
satellitare. L'appuntamento e' per il 24 settembre 1998, giorno in
cui diventera' operativo il sistema "Iridium", progettato dalla
multinazionale americana Motorola, dando l'avvio all'era del
cellulare senza confini.
Grazie a una rete di sessantasei satelliti collocati in orbita
polare a 780 chilometri di quota sulla superficie terrestre,
diventera' possibile chiamare e ricevere telefonate ovunque. Anche
in mezzo all'oceano, in pieno deserto del Sahara, in Antartide o
nella foresta del Borneo.
Mentre scriviamo questo articolo, i satelliti gia' in orbita sono
46. Gli altri seguiranno a ritmo serrato nei prossimi mesi. Intanto
vengono lanciati anche i primi satelliti del progetto "Globalstar",
un sistema concorrente proposto da un consorzio internazionale, al
quale partecipa Alenia Spazio. All'azienda italiana e' affidata la
costruzione dei 56 satelliti. Per produrli in breve tempo e
contenendo i costi, e' stata allestita vicino a Roma una vera e
propria catena di montaggio, dalla quale esce un veicolo spaziale
ogni settimana.
"Iridium" e "Globalstar" pongono una pesante ipoteca su di un
mercato potenziale di decine di milioni di utenti. Non solo chi
vive o viaggia in regioni disabitate e gli uomini d'affari in giro
per il mondo, oggi alle prese con l'incompatibilita' tra le diverse
reti cellulari, ma una moltitudine di persone che risiedono in aree
dove sarebbe troppo costoso realizzare un sistema terrestre. E
anche una buona fetta degli attuali (e futuri) abbonati al servizio
radiomobile.
I sistemi satellitari non intendono soppiantare quelli cellulari,
ma integrarli. I telefonini "Iridium" e "Globalstar" saranno
compatibili con le attuali infrastrutture di comunicazione mobile,
come quella Gsm, che copre tutta l'Europa. Quando sara' possibile,
si collegheranno a queste ultime. Solamente se il segnale della
rete terrestre sara' assente le chiamate verranno inoltrate
attraverso i satelliti.
Un'altra caratteristica che accomuna "Iridium" e "Globalstar" e'
l'impiego di una moltitudine di piccoli satelliti collocati sulle
cosiddette orbite basse. Una concezione totalmente diversa dai
normali satelliti per telecomunicazioni, che girano attorno alla
Terra a una grande distanza: poco meno di trentaseimila chilometri
sopra l'equatore. Qui si trova quell'orbita speciale, gia'
suggerita negli Anni 40 da Arthur Clark e chiamata geostazionaria
perche' il satellite si muove in perfetta sincronia con la
rotazione del pianeta (un giro ogni 23 ore, 56 minuti e 4 secondi),
restando cosi' apparentemente immobile, sospeso al di sopra di un
punto prestabilito.
Collegarsi con satelliti geostazionari richiede, pero', apparati
costosi e ingombranti. Per impiegare apparecchi portatili di
piccola potenza, simili a un normale telefono cellulare, bisogna
ricorrere a orbite piu' vicine, affrontando due difficolta'. La
prima e' la complessita' del sistema: se in orbita geostazionaria
bastano tre veicoli, distanziati di 120 gradi l'uno dall'altro, per
coprire tutto il pianeta, in orbita bassa ne occorrono diverse
decine. In compenso questi satelliti sono molto piccoli e se ne
possono lanciare piu' alla volta con lo stesso vettore.
La seconda difficolta' e' posta dal movimento dei veicoli, che
attraversano la volta celeste in pochi minuti. Per mantenere il
collegamento, le conversazioni verranno trasferite automaticamente
da un satellite all'altro, come il testimone di una staffetta. E'
grosso modo cio' che accade quando telefoniamo dall'automobile in
corsa e le "celle" della rete si passano la comunicazione a mano a
mano che ci spostiamo.
Oltre a "Iridium" e "Globalstar", avremo presto almeno una terza
costellazione: "Teledesic". Si tratta di una rete di comunicazione
multimediale ideata da Bill Gates e da Craig McCaw. Il primo
personaggio non ha bisogno di presentazioni, quanto al secondo, e'
l'uomo che ha creato la telefonia cellulare degli Stati Uniti. A
questi partner si e' aggiunta poi la Boeing, la piu' grande
industria aerospaziale del mondo. Una concentrazione di forze
giustificata dalle dimensioni del progetto, che richiede
investimenti per 9 miliardi di dollari e prevede la messa in orbita
di ben 288 piccoli satelliti. In origine avrebbero dovuto essere
addirittura 840.
La comunicazione multimediale e' la nuova frontiera. Impiegando le
bande di frequenza di 20-30 GHz, i satelliti che entreranno in
funzione a partire dal 2000 potranno trasmettere dati a una
velocita' mille volte superiore alle attuali linee telefoniche.
Accanto alla strada tradizionale dei grandi veicoli in orbita
geostazionaria, scelta da numerosi sistemi (tra questi Eurosky Way
proposto da Alenia Spazio) quella di Teledesic appare assai
complessa. Una complicazione giustificata dall'obiettivo di portare
ovunque i vantaggi delle piu' avanzate tecnologie di comunicazione.
Anche in capo al mondo per collegarsi ai satelliti bastera' un
terminale portatile.
Giancarlo Riolfo
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE. EFFETTO GRAVITOMAGNETICO
La forza predetta da Einstein
Una pulsar conferma le misure su satelliti
OAUTORE BONANNI AMERICO
OARGOMENTI fisica
ONOMI CIUFOLINI IGNAZIO, STELLA LUIGI, VIETRI MARIO
OLUOGHI ITALIA
OSUBJECTS physics
A buon diritto lo si dovrebbe definire un comune vortice. Solo che
ad essere trascinato in un moto circolare non e' un qualsiasi
materiale, come l'aria o l'acqua, ma e' lo spazio-tempo, il tessuto
che permea l'intero universo.
Si tratta di un aspetto poco conosciuto della relativita'
einsteiniana definito "Frame dragging" (letteralmente
"trascinamento della struttura"): un qualsiasi corpo celeste che
ruota su se stesso trascina nel suo moto la geometria stessa del
cosmo, lo spazio-tempo appunto.
Il Frame dragging e' sempre stato uno dei fenomeni piu' sfuggenti
della relativita' generale perche', secondo i calcoli, dovrebbe
avere effetti estremamente deboli e quindi molto difficili da
individuare in corpi di piccola massa e con bassa velocita' di
rotazione, come ad esempio i pianeti.
Nonostante le difficolta', pero', la prima ricerca in questo campo
fu eseguita proprio nei dintorni della Terra. Nel 1996 Ignazio
Ciufolini, dell'Universita' La Sapienza di Roma, ha infatti
pubblicato una misurazione dell'effetto di Frame dragging del
nostro pianeta basata sui dati ricavati da due satelliti, il Lageos
della Nasa e il Lageos II, lanciato grazie a una cooperazione tra
l'agenzia spaziale statunitense e quella italiana. Secondo la
ricerca, i satelliti hanno mostrato alcuni cambiamenti nelle loro
orbite spiegabili solo se si considera la distorsione
spazio-temporale causata dalla rotazione terrestre. Recentemente
Ciufolini ha ripetuto quelle analisi usando dati nuovi e modelli
piu' accurati, ottenendo cosi' una maggiore precisione dei calcoli.
Nelle scorse settimane, poi, altri due ricercatori italiani, Luigi
Stella, dell'Osservatorio atronomico di Roma, e Mario Vietri, della
Terza Universita' di Roma, hanno annunciato un nuovo studio in
questo campo. La loro attenzione si e' rivolta verso quegli
autentici mostri spaziali che sono le stelle di neutroni, cio' che
resta alla fine della vita di certe stelle dopo la violentissima
fase di supernova. Una stella di neutroni dotata di un enorme campo
gravitazionale e di una rotazione velocissima, puo' attrarre
materia dallo spazio circostante, materia che prima di cadere si
depone attorno a questo particolarissimo astro formando un disco.
Usando le osservazioni a raggi X effettuate dal satellite della
Nasa "Rossi Rxte", Stella e Vietri sostengono di aver trovato un
indizio astrofisico del Frame dragging: l'orbita seguita dal disco
di materia attorno alla stella di neutroni non e' esattamente
quella che ci si dovrebbe aspettare.
In entrambi i casi (satelliti che ruotano attorno alla Terra
oppure stelle di neutroni) il punto cruciale e' che le orbite
attorno a un corpo ruotante vengono disturbate. Per visualizzare
meglio, anche se in modo grossolano, questo fenomeno si puo'
pensare a un tavolo su cui si trova una pallina che gira attorno a
un punto preciso. L'orbita della pallina sara' prevedibile usando
determinati calcoli. Ma se viene fatto girare anche il tavolo
stesso, allora si sara' costretti a prendere in considerazione un
nuovo fenomeno, il movimento dell'intera struttura all'interno
della quale si sta muovendo la pallina.
L'esistenza di queste anomalie nello spazio-tempo fu ipotizzata
nel 1918 da due fisici austriaci, Josef Lense e Hans Thirring, come
una naturale conseguenza della relativita'. Secondo i due
scienziati, infatti, non esiste solo una forza di gravita' unica e
immutabile, come risulterebbe dalla teoria di Newton. Quando un
oggetto si muove genera invece un nuovo tipo di forza, definita
"gravitomagnetica", che sarebbe responsabile della distorsione
spazio-temporale. Il termine e' stato scelto per la grande analogia
con i fenomeni elettrici: un corpo elettricamente carico genera da
fermo solo un tipo di forza, quella elettrica. Ma se viene messo in
movimento si sviluppa una forza che non esisteva prima, quella
magnetica.
La conferma di questo particolare aspetto della teoria della
relativita' e' considerata di primaria importanza non solo perche'
andrebbe ad aggiungere una nuova prova alla validita' del modello
einsteiniano, ma anche perche' da essa dipendono risposte
importanti per la fisica moderna.
Cosi' gli studi in questo campo non si fermeranno qui. C'e' gia'
da segnalare un lavoro del Massachusetts Institute of Technology
molto simile a quello degli italiani, ma basato sui buchi neri
anziche' sulle stelle di neutroni. E poi ci sono in programma nuovi
satelliti per ripetere le osservazioni attorno alla Terra. Lo
stesso Ciufolini sta lavorando a un progetto di Lageos III, mentre
la Nasa sta progettanto il lancio entro il 2000 di una sua sonda,
la "Gravity Probe B".
Americo Bonanni
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
ESPLORAZIONE: SECONDA FASE
Ritorno sulla Luna
Il 5 gennaio parte una nuova sonda
OAUTORE LO CAMPO ANTONIO
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
ONOMI OCKELS WUBBO
OLUOGHI ITALIA
OTABELLE D. Una base lunare per il XXI secolo
ONOTE «Lunar Prospector», «EuroMoon 2000»
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
BACK to the moon", ritorno alla Luna: e' uno slogan, ma anche un
obiettivo dei prossimi anni. In dicembre, si sono celebrati i 25
anni da quando si svolse l'ultima impresa Apollo, che porto' Gene
Cernan e Harrison Schmitt a chiudere quel breve capitolo durato
soltanto tre anni, trionfalmente aperto nel luglio 1969 con
l'allunaggio di Neil Armstrong e Buzz Aldrin. Anche se Marte e'
diventato l'obiettivo principale nelle linee guida del piano
spaziale elaborato dalla Casa Bianca, la Luna e' tornata di moda,
soprattutto dopo le scoperte fatte da una sonda minuscola e poco
costosa ma tecnologicamente avanzata, la "Clementine". Questo
navicella spaziale, realizzata per conto del Pentagono e poi
utilizzata dai ricercatori della Nasa, nel 1994 si inseri' in
orbita attorno ai poli della Luna, e i dati raccolti fecero
supporre che vi fosse del ghiaccio sul fondo dei crateri del Polo
Sud, dove i raggi solari non arrivano. Si penso' a ghiaccio e
permafrost derivanti dalla caduta di una cometa. Di recente sono
sorti molti dubbi su quella scoperta, annunciata nel dicembre 1996.
Ma la prospettiva di disporre di acqua sulla Luna continua a
incoraggiare i progetti di basi permanenti sul nostro satellite.
Nei prossimi giorni, il 5 gennaio, ricomincia l'esplorazione della
Luna, che dal 1976, anno in cui fu inviata verso il nostro
satellite l'ultima sonda russa "Lunik", ha visto finora solo due
lanci: quello del veicolo automatico giapponese "Muses- A", che nel
1990 effettuo' misure dell'ambiente lunare e servi' per collaudare
le tecniche di future missioni, e la gia' citata Clementine
americana. Sono nuovamente Stati Uniti e Giappone a rilanciare lo
slogan "torniamo sulla Luna". La prima a partire e' la sonda
americana "Lunar Prospector", dopo vari rinvii (doveva partire
in settembre, e poi a fine novembre), dovuti soprattutto al piccolo
lanciatore LLV-2 della Lockheed-Martin che le dovra' imprimere la
spinta per sfuggire all'attrazione gravitazionale terrestre e
dirigerla verso la Luna. La stessa azienda americana ha realizzato
la "Lunar Prospector", al prezzo stracciato di 59 milioni di
dollari.
Adesso, dopo alcuni inconvenienti tecnici e il fallito lancio di
due microsatelliti per studi oceanografici, il razzo LLV-2 e' sulla
nuova rampa numero 46 di Cape Canaveral, e il 5 gennaio dara'
inizio all'avventura della "Lunar Prospector", che durera' cinque
giorni e che culminera' con l'ingresso in orbita lunare attorno ai
poli, alla quota di 100 chilometri sopra la superficie selenica.
La "Lunar Prospector", un cilindro di 1,4 metri di diametro e 1,2
di altezza, dovra' indagare sull'ambiente lunare, disegnare una
mappa geologica, analizzare il campo magnetico e gravitazionale, e
confermare o smentire definitivamente le rilevazioni di Clementine
sul ghiaccio ai poli. La sonda, che pesa 280 chilogrammi, ha tre
braccia dotate di magnetometri e trasportera' spettrometri gamma e
a neutroni per individuare gli elementi al suolo, un magnetometro
per studiare il campo magnetico e la possibile presenza di un
nucleo centrale, uno spettrometro alfa che cerchera' fughe di gas
radon, e un apparato per ricavare dati sulla struttura generale
della Luna.
La successiva sonda lunare, il cui lancio e' previsto in aprile-
maggio, porta i colori del Sol Levante. "Lunar-A" e' un veicolo
spaziale dell'agenzia nipponica Isas, che si occupa di missioni
scientifiche, e anch'esso parte in ritardo, dato che il lancio era
in origine previsto lo scorso agosto. Come la "Lunar Prospector" ha
forma cilindrica, ma con diametro e altezza di 2 metri. "Lunar-A"
fa parte dell'ambizioso piano interplanetario giapponese, che
prevede per i prossimi cinque anni altri lanci verso la Luna,
Marte, Venere e Mercurio.
Quando il nuovo razzo M-5 (collaudato con successo nel febbraio
'97), con il suo terzo stadio la inserira' sulla giusta traiettoria
verso la Luna, la sonda pesera' 550 chilogrammi. Entrera' in orbita
lunare a 250 chilometri dalla superficie e uno dei suoi compiti
sara' di lanciare tre moduli appuntiti verso il suolo selenico,
dove andranno a conficcarsi con i loro strumenti di rilevazione
(due sensori, un sismometro e un misuratore del flusso di calore
interno). Due moduli verranno sparati nella fascia equatoriale, e
un terzo a latitudine piu' elevata: lunghi un metro e mezzo, con
diametro di 12 centimetri e pesanti 15 chilogrammi, dovranno
inviare nell'arco di un anno dati sismici e sul flusso di calore,
nella speranza di ottenere qualche informazione in piu' rispetto a
quelle fornite dagli strumenti piazzati dagli astronauti delle
missioni Apollo 15 e 16. I dati verranno dapprima trasmessi alla
"Lunar-A" in orbita lunare, che a sua volta li inviera' alle
stazioni di terra dell'Isas.
Anche l'Europa sta progettando una missione lunare, chiamata
"EuroMoon 2000", con una sonda-robot, il cui lancio e' previsto per
il 2001. L'idea, esposta al Congresso della Iaf dell'ottobre 1996 a
Pechino dall'ex astronauta olandese Wubbo Ockels, prevede un
finanziamento di 400 miliardi di lire da parte di aziende, di
privati o di sponsor. Si progetta di fare allunare la sezione di
discesa della sonda (pesante soltanto 5 chilogrammi) sul cratere
"Pace Celeste", che si trova al Polo Sud, poiche' secondo alcuni
indizi presentati da Ockels, in fondo a questo cratere vi sarebbero
tracce di ghiaccio. Ma l'aspetto ancora piu' interessante, e' che
da "EuroMoon 2000" verrebbero sganciati due micro- rover simili al
noto "Sojourner" marziano, che dovranno esplorare autonomamente il
cratere lunare. Wubbo Ockels ha avviato gia' da tempo contatti per
progetti di fattibilita' con alcune tra le piu' importanti aziende
mondiali del settore, come Alenia Aerospazio, la francese Matra, la
russa Lavotchkine, e all'agenzia spaziale tedesca Dasa.
Antonio Lo Campo
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
QUEGLI ARDIMENTI DI APOLLO 14
OGENERE box
OARGOMENTI aeronautica e astronautica, libri
ONOMI LO CAMPO ANTONIO
OORGANIZZAZIONI ROBERTO CHIARAMONTE EDITORE
OLUOGHI ITALIA
ONOTE «Il ritorno sulla Luna»
OKIND boxed story
OSUBJECTS aeronautics and astronautics, book
I possibili scenari della ripresa dell'esplorazione lunare da parte
di astronauti in vista di una colonizzazione stabile sono delineati
nell'ultima parte del volume di Antonio Lo Campo "Il ritorno sulla
Luna", dedicato alla missione Apollo 14 (ed. Roberto Chiaramonte).
Il nostro satellite sarebbe molto adatto ad ospitare strutture di
ricerca come osservatori astronomici e radioastronomici.
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 2 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
SCIENZE FISICHE
Onde gravitazionali
Le catturera' l'interferometro Virgo
OAUTORE CAGNOTTI MARCO
OARGOMENTI fisica, ricerca scientifica
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA, PISA (PI)
ONOTE Progetto «Virgo»
OSUBJECTS physics, research
IL fascino del convento delle Benedettine a Pisa si coniuga bene
con la grande scienza: nell'antico edificio e' stato presentato in
modo ufficiale l'esperimento Virgo, nato dalla collaborazione fra
l'Infn italiano e il Cnrs francese. Alla cerimonia erano presenti
anche il Ministro della Ricerca Scientifica Luigi Berlinguer e il
suo collega d'Oltralpe, Claude Allegre, che hanno ribadito
l'importanza di questo progetto scientifico come esempio del legame
tra Francia e Italia nella ricerca fondamentale. E' stato
sottolineato anche come la competizione fra l'Europa e le altre
aree del mondo si svolga piu' sul piano della "materia grigia" che
su quello delle materie prime. L'incontro e' stato l'occasione per
presentare anche un Cd-rom dedicato alle onde gravitazionali e
all'esperimento italo-francese.
Virgo sara' uno dei piu' grandi interferometri esistenti: e'
progettato per rivelare le onde gravitazionali prodotte da sorgenti
cosmiche, previste dalla relativita' generale ma mai osservate
direttamente. Fasci di un laser di realizzazione francese
percorreranno tre chilometri in due tubi a vuoto perpendicolari,
verranno riflessi da specchi isolati da tutti gli effetti terrestri
da una sospensione frutto della ricerca italiana, e infine riuniti.
Dalle figure di interferenza i ricercatori valuteranno la
variazione della lunghezza fra i bracci determinata dall'arrivo di
un'onda gravitazionale.
Lo strumento sara' operativo nel 2001, ma gia' alla fine dell'anno
prossimo sara' pronto un prototipo con bracci di sei metri.
Contemporaneamente a Virgo, entreranno in funzione i due
interferometri del progetto statunitense Ligo. E probabilmente
l'inizio del terzo millennio portera' una ulteriore conferma alla
teoria della relativita' generale di Einstein.
Marco Cagnotti
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
IL CASO DI BELLA
Cancro, curarsi con la speranza
La sperimentazione clinica non ha bisogno di "saggi"
OAUTORE BIANUCCI PIERO
OARGOMENTI medicina e fisiologia, ricerca scientifica
ONOMI DI BELLA LUIGI
OLUOGHI ITALIA, EUROPA, ITALIA
OSUBJECTS medicine and physiology, research
E' difficile e imbarazzante dire qualsiasi cosa a proposito della
cura anticancro del professor Luigi Di Bella perche' sono in gioco
le speranze di molti ammalati e dei loro familiari. Non si vorrebbe
alimentare queste speranze, perche' la delusione aggiunge dolore a
dolore. Ma non si vorrebbe neppure reciderle, perche' la speranza
aiuta a vivere e ci sono casi in cui la fiducia nella cura ha
effetti benefici, come dimostra l'ampia casistica sull'"effetto
placebo".
Tuttavia la confusione intorno alla vicenda e' ormai tale che
qualche osservazione diventa inevitabile. La contesa che ha come
attori Di Bella padre e figlio, le associazioni dei pazienti, i
pretori, il ministro Bindi e la cattiva informazione giornalistica
sta infatti degenerando in una farsa penosa, che rivela il
provincialismo e la preoccupante arretratezza culturale del nostro
Paese. Nessuno, si direbbe, ha una sia pur vaga idea delle regole
con cui procede la scienza e della rete di comunicazione
internazionale che, in tempo reale, tiene in contatto tutti i
centri di ricerca sparsi nel mondo.
1) Diciamo dunque innanzi tutto che, essendoci molti tipi di
tumori, che attaccano tessuti diversi e in modi diversi, e' ingenuo
credere a una sola miracolistica cura. Ritenere che ci sia
appartiene al pensiero magico, non al pensiero razionale.
2) La ricerca sul cancro si svolge a vari livelli. C'e' un livello
di laboratorio, fondamentale ma senza immediate applicazioni
terapeutiche, che studia i tumori su scala molecolare. E c'e' un
livello clinico, nel quale si interviene sul malato con cure
chimiche, radiologiche, chirurgiche. I protocolli terapeutici
specifici per ogni tipo di tumore sono gli stessi in tutto il
mondo: se si compie un progresso in qualche centro, il suo
trasferimento in tutti gli altri centri e' pressoche' immediato. Le
differenze di efficienza si misurano semmai nella rapidita' ed
esattezza della diagnosi nonche' nelle politiche di prevenzione.
3) Sull'onda della demagogia stiamo arrivando a una
sperimentazione della cura Di Bella e gia' si litiga sulla
composizione della commissione di saggi che dovra' giudicare. Ma le
sperimentazioni cliniche hanno le loro rigide procedure, i loro
controlli in doppio-cieco. Cosi' invece si alimenta nell'opinione
pubblica l'idea che la sperimentazione sia una specie di processo
all'americana, con il suo Perry Mason, o un piu' casereccio giudice
Sante Licheri. In queste circostanze, non stupiamoci se la
sperimentazione verra' cavalcata come una prima ammissione della
validita' della cura e se alimentera' le illusioni. Chi fa il mio
mestiere si imbatte ogni giorno in geni incompresi che avrebbero
scoperto il moto perpetuo. Ma il Cern di Ginevra non ha mai creato
commissioni di saggi per fare chiarezza. E' sufficiente il secondo
principio della termodinamica.
4) Ultima osservazione: sarebbe piu' facile evitare pasticci come
quello in cui la Bindi si sta cacciando se ci fosse sempre stato il
necessario rigore anche verso le tante medicine parallele,
alternative, naturali, omeopatiche e via elencando che trovano
ampie complicita' nella classe medica, nell'industria farmaceutica
e nel cattivo giornalismo solo perche' rendono un sacco di soldi.
Ma il rigore non c'e' stato e non c'e'. E' scomodo incominciare da
Di Bella.
Piero Bianucci
ODATA 31/12/1997 OPAGINA 1 OTIPO TuttoScienze
OTitolo
Parla Aldrin
Il secondo uomo sceso nel Mare della Tranquillita':
"Serve una base permanente; poi, via verso Marte"
OGENERE intervista
OAUTORE A_LO_C
OARGOMENTI aeronautica e astronautica
OPERSONE ALDRIN EDWIN
ONOMI ALDRIN EDWIN
OLUOGHI ITALIA
OKIND interview
OSUBJECTS aeronautics and astronautics
EDWIN Aldrin, l'uomo sceso sulla Luna con Neil Armstrong nella
storica notte del 21 luglio 1969, quando i primi due esseri umani
misero piede sul nostro satellite, e' stato a Torino in occasione
del 48o Congresso Internazionale della Federazione Astronautica
Internazionale (Iaf). "Buzz", come viene chiamato fin da ragazzino,
ha oggi 67 anni. Nel 1971 Aldrin abbandono' il corpo degli
astronauti. Per lui inizio' allora un periodo molto difficile dal
punto di vista esistenziale: fatico' a reinserirsi nella societa',
subendo un duro contraccolpo psicologico. Abbiamo approfittato
della sua fugace apparizione al congresso della Iaf negli spazi
espositivi del Lingotto per fargli qualche domanda.
"Mi sembrava di non poter chiedere piu' nulla alla vita - ricorda
Aldrin a proposito dei suoi anni piu' bui-. Ad un certo punto mi
sono chiesto: e adesso cosa posso fare di meglio, quale sfida posso
ancora raccogliere? Sembrava che il mio ritorno alla vita normale,
dopo la missione lunare e le dimissioni da astronauta, non avesse
piu' senso. Sembrava che la mia vita fosse finita li', solo con una
popolarita' enorme, in quei giorni in cui tutti mi cercavano e mi
volevano, quando non potevo nemmeno fare due passi per strada. Oggi
quei tempi sembrano cosi' lontani...".
Nel frattempo di che cosa si e' occupato?
"Da una decina d'anni il mio lavoro e' un fantastico hobby.
Progetto nuovi razzi per il futuro, in particolare per un ritorno
sulla Luna. D'altra parte prima di lasciare la Nasa avevo lavorato
al progetto dello Shuttle. Tutto questo come consulente di aziende
e societa' aerospaziali americane. Sono direttore della National
Space Society e mi diverto anche a studiare traiettorie per future
astronavi dirette a Marte".
Alla Luna, quindi, continua a pensare ogni giorno...
"E come si fa a dimenticare? La Luna e' sempre tutta qui - dice
sfiorandosi la fronte con l'indice -.Me la sogno pure, e spesso.
Pensavamo che quella nostra passeggiata di due ore e mezzo potesse,
in tempi brevi, aprire le porte ad imprese sempre piu' complesse
sulla Luna e ad un viaggio verso Marte. Adesso, 28 anni dopo, non
vedo come ci si possa ripetere in una impresa del genere entro
tempi brevi".
Quindi il ritorno di uomini sulla Luna secondo lei e' ancora
lontano...
"Volendo si potrebbe partire anche subito, ma vai a spiegarlo a chi
deve finanziare la Nasa e i progetti spaziali. Andare sulla Luna e'
possibile, con le tecnologie attuali, anche senza dover ricorrere a
un programma complesso e costoso come l'Apollo. Pero' oggi tornarci
come abbiamo fatto noi, non avrebbe senso. Bisogna farlo per
costruire delle basi permanenti sulla sua superficie, e magari per
fare della Luna una stazione di passaggio per future missioni umane
su Marte, con il vantaggio non indifferente di sfruttare la
gravita' inferiore a quella terrestre, con grande risparmio di
combustibile, per un'astronave grande e pesante come quella
destinata a portare uomini su Marte".
I suoi vecchi colleghi li vede ancora?
"Ogni tanto. L'ultimo incontro e' del 4 ottobre scorso; ci siamo
radunati tutti a Cape Canaveral, dove si e' celebrato l'inserimento
degli astronauti del programma Apollo nella Hall of Fame creata
dagli ex astronauti del Progetto Mercury. L'unico rammarico e'
stato che gli unici due assenti sono stati proprio i miei due
compagni di missione Neil Armstrong e Mike Collins".
"Oggi e' importante cooperare tutti assieme nello spazio -
aggiunge Aldrin - ed e' un modo per sveltire i tempi, che vanno a
passo di lumaca rispetto a quelli dell'Apollo. La conquista dello
spazio e' ora che riprenda vigore come allora, e non c'e' bisogno
di una guerra fredda per muovere denaro per finanziare progetti
importanti. Comunque, se posso permettermi di fare un po' di
pubblicita', tutte le buone motivazioni per un grande programma di
esplorazione spaziale sono trattate nel mio ultimo libro intitolato
"Encounter with Tiber" sul futuro dell'astronautica, edito dalla
Warner Brooks".(a. lo c.)