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Scritti Scelti da Gnomiz

LIBERTA': PERCHE' LIMITARSI A MILANO?
STATO ESATTORE O STATO ANALISTA-COORDINATORE?
di Adriano Autino di Tecnologie di Frontiera
(da INVECE)
Mentre sto ancora discutendo con me stesso circa l’opportunita’ di esternare pensieri politici, Granetto e’ gia’ partito a razzo. Allora, bando al cercare di esporre in modo ordinato ed organico: faro’ come viene, e se ogni tanto scrivero’ peggio di come parlo, pazienza. Del resto l’internet e’ cosi’. Anche quando abbiamo iniziato ad intervenire nelle assemblee, 30 anni fa, era cosi’. Almeno l’internet, pur mettendoti fretta, ti da’ modo di riguardare le tue sparate, prima di metterle on-line (ed anche dopo). Certo che e’ interessante il tema “liberta’ e progetto politico” cosi’ come viene proposto da Gnomiz. E sara’ ancora piu’ interessante se si cerchera’ di uscire dalle esortazioni e dai pii desideri per affrontare i problemi veri e rischiare, dando spazio alla fantasia. Quindi non sparatemi A VISTA se vado subito IN PISTA a parlare di contenuti, ed evito di girare educatamente intorno alle questioni.
E poi perche’ limitarsi a Milano? Ad un discorso sulla liberta’ comincerei col non imporre confini.

Giovanni Colombo esorta a rimettersi insieme e tornare a discutere, camminare uniti e “creare affari comuni”. Sottoscrivo, ma non sono disposto ad un “mettersi insieme” fine a se stesso. Non sono in grado di dire cosa passi per la testa, oggi, ai Milanesi, ne’ mi interessa piu’ di tanto. Sono stato milanese per quindici anni e non ho capito granche’ neanche allora. Sarei maggiormente interessato se qualcuno tentasse un’analisi sociale di una regione come la Lombardia, che rappresenta da sola la maggior parte (quantitativamente se non qualitativamente) dell’economia industriale e postindustriale del paese, e quindi puo’ essere letta come probabile avvenire e metafora di un frame sociale nazionale, con buona esemplificazione anche sullo scenario europeo. La Francia, per esempio, comincia ad accorgersi ora che il taylorismo e’ finito e che il lavoro si trovera’ sempre meno nelle fabbriche. Prime domande, da cui non puo’ fare a meno di partire chi inizia un lavoro di analisi e discussione politica: quali e quante classi sociali vi sono nella odierna realta’ postindustriale? Quali sono quelle nuove, quali le maggioritarie? Ha ancora senso associare alla categoria dei lavoratori autonomi le caratteristiche che furono di commercianti e di professionisti tipo notai ed avvocati? Questa categoria non si sara’ piuttosto, negli ultimi 20 anni, sempre piu’ colorata di tecnologia, di ricerca, di tecnici ex-dipendenti, di neo-imprenditori padroni di poco piu’ che se stessi? Non stara’ per caso affrontando una serie di problemi nuovi, che varrebbe la pena di analizzare? E coloro che sono ancora dipendenti oggi, che cosa sperano? Qual’e’ il futuro che desiderano per se’ e per i loro figli? Se devo camminare insieme, voglio prima sapere con chi, e con quali obiettivi.

La funzione dello Stato, (tanto per cominciare da uno degli argomenti) in un regime di liberta’ dovrebbe essere ripensata in modo radicale (non nel senso pannelliano del termine ;-). Non necessariamente occorre pensare lo stato in transizione autoestinguente. Se entra in un’ottica di servizio, c’e’ molto lavoro per uno stato moderno. Bisognerebbe pensare i cittadini come sovrani, e non piu’ come sudditi. In una realta’ sociale che ha visto crescere il numero delle aziende di un fattore 10 nel giro di trent’anni, e contemporanemanete diminuire la dimensione aziendale media di altrettanto, il bene piu’ prezioso per le micro-aziende e’ diventato il mercato, in un contesto di sempre minore visibilita’, nonostante il progredire dei mezzi informativi. Allora uno stato moderno dovrebbe innanzitutto cominciare a porsi maggiormente come COORDINATORE, piu’ che come CONTROLLORE. Lo stato dovrebbe sempre piu’ essere informato sul CHE COSA sanno fare i cittadini e le imprese (a scopo di sviluppo), piuttosto che sul QUANTO fanno (a scopo esattivo). Dovrebbero essere nuove articolazioni statali a fare del Marketing Funzionale, creando una buona indicizzazione delle funzioni ed incrociando offerta e domanda di beni strumentali, prodotti e servizi, nel panorama nazionale ed extranazionale. Lo Stato dovrebbe quindi coltivare delle funzioni analitiche ed, in generale, favorire la nascita ed il rapido sviluppo di una cultura analitica (cioe’ del saper ascoltare e capire cosa fanno gli altri e saperlo riferire ad un modello generale anch’esso in evoluzione), oggi quasi del tutto assente. Questa, si’, sarebbe una spinta formidabile per l’economia e lo sviluppo, una vera rivoluzione, e non l’attuale, ipofantastica, rifrittura di soluzioni assistenziali, quasi che la gente stessa fosse un eterno problema da risolvere. E non l’eterno inventarsi letture ascientifiche della realta’ sociale, mettendo addosso alla gente comportamenti generalizzati e quasi mai rispondenti alla realta’, funzionali sempre e solo a tirar l’acqua al proprio mulino politico-economico.

Cari Ulivisti (che pure ho votato e in mancanza di meglio votero’): io non ne posso piu’ di essere considerato un problema. Io ero una risorsa, che voi non avete saputo utilizzare al meglio, anzi, non sapevate neppure di avere, e che ha dovuto imparare ad arrangiarsi da solo, e come me tanti altri. Nell’arrangiarmi sono cresciuto, e non voglio piu’, mai, essere una risorsa utilizzata per obiettivi altrui, che non mi e’ dato conoscere. Voglio essere una risorsa, insieme ad altre, che si auto-utilizzano per obiettivi realmente condivisi. Ma questo non e’ facile, la condivisione, voglio dire. In questo sta il limite e la pesantezza di una sinistra orfana (come la destra), della defunta filosofia dello sviluppo illimitato in un mondo chiuso: mentre si discute per mettersi d’accordo (o mentre si attende il permesso di un “comitato centrale”) le cose non si fanno piu’, passa il momento magico, chi aveva avuto l’ispirazione la perde, e si ritrova a fare, di mala voglia, una versione spesso caricaturale di quello che prima avrebbe fatto con entusiasmo. I risultati non sono, ovviamente, gli stessi. Noi della sinistra, nelle sue varie correnti, abbiamo dovuto imparare che la democrazia, cosi’ come abbiamo saputo pensarla finora, neppure nelle sue forme piu’ avanzate e dirette, non basta. Per altri versi si potrebbe dire che la crescita dell’economia (come categoria sociale) non dipende affatto dai conti esatti sui Return Of Investements, sui cambi delle monete e sul quadrare dei conti degli stati. Gli strumenti statistici servono solo per fotografare la realta’, non per prevederla od orientarla, e nel contesto del villaggio globale a modello chiuso, il modello rappresentativo puo’ si’ influenzare la realta’, ma in modi ancor piu’ imprevedibili. No, lo sviluppo dell’economia dipende in gran parte da categorie molto piu’ difficili da analizzare e da prevedere, quali l’entusiasmo, l’ottimismo, il vedere o non vedere un orizzonte di sviluppo, e da altri fattori psicologici. Il problema dello sviluppo, in questa luce, diventa un problema squisitamente politico, e non piu’ un problema di risorse, come una classe dirigente priva di fantasia ancoratenta di farci credere.

I sei miliardi di intelligenze che popolano il nostro pianeta sono risorse, una sorgente enorme di lavoro e creativita’, il piu’ grande patrimonio di ricchezza che l’umanita’ abbia mai avuto. Per cortesia, finiamola innanzitutto di trattare questo patrimonio come un problema assistenziale, come se alcuni di noi (le burocrazie) fossero una specie di “tutori” di una vasta platea di minorenni. E finiamola di concepire ancora e sempre la solidarieta’ come mero assistenzialismo, che poi finisce con l’assistere ancora... i mafiosi ed i vari previti della situazione. Proviamo a pensare un programma per suscitare l’entusiasmo della gente, e per liberare la realizzabilita’ delle cose, in modo da poterle fare quando se ne ha la “freschezza” (come dicono in Friuli). E questa concezione di uno Stato Analista-Coordinatore e’ solo il primo di una serie di argomenti che propongo, per fare una strada, prima di camminarci insieme. Alla prossima.


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