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Scritti Scelti da Gnomiz

LA MILANO DELLA LIBERTA' di Giovanni Colombo
(da Invece)

C’è stato un tempo in cui Milano si faceva abbracciare in una definizione. E, di conseguenza, anche per chi faceva politica era più facile rintracciare linee precise lungo le quali procedere con una certa qual baldanza. Ora non è più così. Con Milano ci sta succedendo un po’ quello che succedeva a Sant’Agostino con il tempo, che egli diceva di sapere bene cosa fosse finché non glielo chiedevano ma di non saperlo più quando gli veniva domandato di darne una definizione. Le parole di un tempo sono lise e stralise e quelle nuove sono ancora insufficienti. Anche quelle acute e suggestive usate da Peppino Turani, dicono molto ma non convincono del tutto. Milano città dei talenti? E’ vero che qui si producono idee, software, progetti, stili, consulenze, mode, giornali e si maneggiamo astrazioni e in tanti, alla domanda come ti guadagni da vivere, rispondono come Mickey Rourke in Nove settimane e mezzo "I make money by money" (faccio soldi con i soldi). Ma è altrettanto vero che molti di questi talenti offrono saperi standard e un’anima di plastica, sono perfetti nella loro ovvietà, e che almeno un terzo dei cittadini di money ne vedono sempre meno, e si trovano in condizioni di disagio e di povertà. Andiamo quindi cauti anche coi talenti. Se Milano in questa fase non si lascia dire con parole compiute, ciò non toglie che si debba tentare di capire le ragioni del suo disagio. Perché questo tutti lo sentono. La città si agita, si muove ma ad un certo punto si blocca e diventa triste. Perché mai? La mia risposta è la seguente: Milano è stanca di individualismo sfrenato, atomizzazione, sfrangiamento dei rapporti, sbriciolamento delle relazioni, micronizzazione (terribile parola dell’ultimo rapporto Censis). Desidera relazioni, incontri , abbracci che qui non ci sono più. Milano è innanzitutto libertà, che vuol dire autonomia, efficienza, velocità, tolleranza, metter su bottega in santa pace, insofferenza per ogni forma di burocrazia. Se qualcuno l’adesca con un nome così fascinoso, lei ci sta. Per questo ha votato in massa la Lega: perchè nel ‘93 voleva aver la libertà di urlare basta e Bossi era il megafono giusto. Per questo da tre anni vota in maggioranza Polo: perché le piace il logo, mica le persone, mica Berlusconi, che come politico vale niente, men che meno Albertini e De Corato (tandem modesto, molto modesto e soprattutto triste, tanto tanto triste). Milano sulla libertà scatta, si accende subito. Rischiando così di prendere cantonate, di non distinguere le patacche dai prodotti genuini e affidabili. Mantenendo però la capacità di riprendersi, di cambiare altrettanto repentinamente appena scopra l’inganno. Milano la libertà ce l’ha nel dna e piano piano si sta accorgendo che la libertà non è mai un avvitamento su se stessi, una solitaria, mediocre, opaca ricerca di privato tornaconto ma all’opposto capacità di relazione, di sviluppare le proprie risorse e di metterle a frutto in contesti internazionali, grandi, ariosi. Ciascuno - persona o gruppo o città o nazione che sia - non è se non nella relazione, e la ricchezza duratura, quella che non dipende dalle oscillazioni del Mitbel, è la ricchezza dei rapporti, degli accordi con gli altri e con il diverso da sé. Questa percezione - di una liberté che intrecci vincoli di fraternité - va e viene, è chiara solo ad un’esigua minoranza (minoranza anche nella Chiesa ambrosiana, nonostante le alte parole del Cardinal Martini) e quindi deve essere stimolata da una politica di centrosinistra. In generale la politica non serve per decidere ciò che accade, come invece sentenziava amaramente Musil. In particolare una politica di sinistra non è mai il commercio, non segue solo la domanda, inventa l’offerta, inventa nuovi prodotti, crea nuovi equilibri, nuove scenari, nuovi mondi. Fa diventare possibile l’impossibile.. Sta all’Ulivo dunque produrre una politica così. Ma bisogna partire con le idee giuste. Ed è troppo poco limitarsi ad invocare, come ha fatto nel suo articolo Walter Veltroni, "l’apporto di quella cultura liberale e democratica che oggi segna di sé l’esperienza della nuova sinistra del duemila". Oggi siamo tutti liberali, anche chi è stato fino a pochi anni fa nella chiesa comunista a difendere l’Est, anche chi è stato fino a pochi mesi fa fascista. L’Ulivo quindi non può che essere liberale: ma deve guardarsi bene dall’essere unicamente liberale, e dall’esserlo più del necessario. Deve amare la libertà, ma di un amore alquanto diverso da quello dei liberali ortodossi, che considerano – quelli d’oggi ancor più che quelli del passato – la libertà un bene da assaporare da soli e che preparano così, con le loro stesse mani, la trappola destinata ad inghiottirli: quella in cui la libertà decade a privilegio di pochi e a disaffezione di molti e preclude a forme di dispotismo. In questa fase l’Ulivo deve avere come primo obiettivo quello di contrastare le pulsioni privatistiche e sospingere i cittadini ad associarsi, ad uscire dal loro isolamento e a responsabilizzarsi reciprocamente, puntando a "creare affari comuni che costringano gli uomini ad entrare in contatto gli uni con gli altri" come suggeriva quel gran liberale eterodosso – maestro assai più di democrazia che di liberalismo – che fu Alexis de Tocqueville. Il primo affare comune è l’Ulivo stesso. Ma finora è stato solo una coalizione di partiti. E allora affari comuni sono questi stessi partiti , se non fosse che anch’essi non si vedono più, non si sentono più, non si trovano più e sono utilizzati da apparati sempre più piccoli per perpetuare rendite sempre più ridotte. Sono stato sabato scorso all’assemblea della Cosa 2 e l’unica cosa che mi ha impressionato è che under 40 eravamo in due o tre e che in ore e ore di dibattito non c’è stata una battuta, un’immagine originale, una citazione letteraria, una risata. Tutti segni di paralisi, di ingessamento, di sclerosi. E anche a proposito del tormentone sul recupero della tradizione socialista che fa litigare in casa Pds, nessuno ha spiegato a che serve recuperare qualche ex-dirigente over 60 se poi non si recupera il popolo socialista. Rimetterci insieme - in città, nell’ulivo, nei partiti politici, nella cosa 2 - serve invece proprio a questo: a tornare ad essere un popolo che discute, che fa, che canta e che balla, che cammina unito. Io ci credo.
Giovanni Colombo già consigliere comunale dal 1990 al 1997 per la Rete e per il coordinamento provinciale dei Cristiano-Sociali lavora oggi all' Autorità per l'energia elettrica e il gas


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