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Scritti Scelti da Gnomiz

La Scrittura come Dubbio
di Luigi Granetto ( da l'Anello che non tiene)

Laboratorio Continuiamo il nostro viaggio approdando al Laboratorio dove, gente più cresciutella, con qualche glorioso vetusto come Piero Bigongiari crede "... ad una poesia come meraviglia, attesa e commozione, come ascolto e dizione, come domanda e risposta..." è difficile non essere d'accordo anche perchè ci viene in mente il bel faccione di Einstein che ci dice." per me non c'è dubbio che il nostro pensiero proceda, in massima parte, senza far uso dei segnali (parole) e anzi assai spesso incoscentemente. Come può accadere altrimenti che noi ci " meravigliamo" di certe esperienze in modo così spontaneo" E' probabile inoltre che la meraviglia abbia recitato la sua parte quando l'uomo innestò il processo d'apprendimento di se stesso, mettendo in conflitto qualche esperienza abitudinaria con un' idea, non so se poetica, ma sicuramente astratta. Ma con la meraviglia, come con il dubbio, come con la paura, non si deve giocare a scacchi, al massimo si può tentare di ripeterla, se no, un giorno o l'altro, va a finire che ritroveremo questa misteriosa signora, logorata dall'abitudine, sommersa dai fischi, vergognosamente coperto il volto da folti capelli, davanti a un Duchamp qualsiasi , il quale, per rendere ancora più triste la scena, non troverà niente di meglio da dirle che in francese èches-scacchi ha lo stesso suono di échec-fallimento.
Temiamo d'aver sentito aleggiare le litanie di questo fallimento ( guai a chi fa rima con novecento) anche nelle pagine di Laboratorio dedicate alla scrittura. Riportiamo qui di seguito qualche frase sospetta:
"...Trovarsi in un buco, in fondo al buco, in una solitudine quasi totale e scoprire che soltanto la scrittura ci salverà. Essere senza alcun argomento di libro, senza alcuna idea di libro significa, ritrovarsi, davanti a un libro. Un' immensità vuota, un libro eventuale."

"..La scrittura è l’ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere e in piena lucidità."
"...Scrivere è tentare di sapere cosa si scriverebbe se si scrivesse."

Sospettiamo che queste parole nascondano un' ammirazione fuori luogo di quel Genio, un po' malefico, un po' maggiordomo che l'Aladino Mallarmè volle liberare dalla vecchia lampada illuminista, invecchiata prima del tempo: il capriccioso, dispotico, finto-pieno, vuotissimo Linguaggio.
Ma perchè finto-pieno, vuotissimo Linguaggio?
Perchè esso si riempie d'invarianze supposte, proprio dove la varianza dei suoi "presupposti" lo spinge a svuotarsi. L'antica abitudine animale d' abitare una tana sicura, costruita con tecniche trasmettibili ai discendenti, per difendere una qualche invarianza che ci sta a cuore ( individualismo, solidarietà tribale, poteri acquisiti, civiltà etc.) ci fa idolatrare il linguaggio come pratica conservativa della "ripetizione" di queste invarianti. Così noi ci attacchiamo a questa pura follia, a questo finto presupposto impossibile, dato che non si è mai vista una ripetizione che non sia una variazione, costruendoci addosso una prigione che ci impedisce di godere della splendida libertà delle metamorfosi. Rinunciando a volare come farfalle, conservando e armonizzando l'originale natura di bruchi, ci affidiamo al cieco potere di un sistema costruito intorno alle mute finitudini, in un cielo nero, in una notte nera, dove un' impossibile visibilità verrà affidata all'ambiguo potere degli angeli e dei demoni, dei consolatori e dei perturbatori, delle "sistematiche" e della "follia".Se la tana sarà profanata dal nemico, se gli idoli cadranno, se la più perfetta scienza si dissolverà in una risata, dove sfogare la nostra voglia di paura, il nostro vergognoso masochismo sacrificale, se non trasformando l'eterna mutazione, in eterna invarianza, ponendo, in questa inesistente polarità il corpo ambiguo del messaggio, della traduzione? L'angelo-linguaggio ci impedisce di sentire in noi il "concepimento", la "creazione", distogliendoci dall'immediatezza delle metamorfosi, indicandoci sempre il compimento, la finitudine, la morte.Eppure dal momento stesso che pensiamo, non concepiamo qualcosa che sarebbe esistito senza di noi, come pensava molto metafisicamente uno dei più grandi logici del secolo, Frege, ma con il nostro stesso pensiero, con la nostra "rilevante" esistenza, partecipiamo a modificare, a creare l'esistente. Questa nostra partecipazione potrà avere l'aspetto torrentizio del genio o quello stagnante di chi gli oppone una diga protettiva, ma in tutti i casi avrà la sua funzione e non è detto che la "resistenza", in termini generali di "forza", non sia meno utile dell'energia che ci vuole per debellarla. Inoltre, a chi cerca nel prorio stagno riparo dalle tempeste, dalle cascate, dalle innondazioni tumultuose, può capitare, come afferma Blake, di far crescere quei " rettili del pensiero" che lo sbraneranno prima del tempo.
Cari sapiens del Laboratorio abbiamo proprio paura che la scrittura sia l'unica invenzione dell'uomo che, non solo non abbia il potere di "salvarci", ma che partecipi attivamente alla nostra dannazione, come l'Ermes egizio aveva predetto qualche secolo prima di questo indigesto novecento.E allora, che fare? Forse non ci rimane altro che la vita.Vi sembra poco?


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