L'INTRODUZIONE

TESTO

Manzoni scrive di aver rinvenuto la sua storia nel manoscritto di un anonimo seicentesco e afferma che intende riproporla in uno stile moderno.
Il manoscritto è una sua invenzione, ma gli consente, in primo luogo, di presentarsi e di spiegare le ragioni che lo hanno spinto a scrivere la vicenda, poi di descrivere sommariamente il mondo attraverso il quale condurrà il lettore e infine di dimostrare che si può, nel romanzo, conciliare la verità storica con l'invenzione.
In un certo modo, risulta sdoppiata la personalità artistica dell'autore, che si distingue fra fantasia creativa (il secentista) - tesa alla ideazione e allo svolgimento della vicenda -, e logica razionalità - che controlla e commenta con rigore i fatti.
Quando il secentista fa qualche strafalcione, il moderno ha tutto l'agio di esercitare la sua ironia, cosicchè l'umorismo manzoniano si può esprimere con eleganza e misura.
Con il proemio dell'anonimo Manzoni dimostra che i fatti raccontati sono storici, se non nei nomi e nei dettagli, nella loro base storica.

 

L'artificio del manoscritto e la tradizione del "Conciliatore"

"In genere si afferma che l'artificio del manoscritto ritrovato discende dall'esempio dello Scott, del Cervantes o anche del Cuoco, e sostanzialmente il rilievo è esatto in quanto individua una tradizione letteraria che riconosce appunto nel Don Chisciotte il suo paradigma più fertile e misterioso.
All'interno di questa linea, però, occorre distinguere qualche punto di riferimento specifico, non tanto delle fonti meccaniche quanto dei materiali d'uso, degli schemi a portata di mano nell'ambiente letterario dello scrittore, che è sempre quello milanese.
Ora chi ragioni così finisce anche col persuadersi, a mano a mano che procede nella sua esplorazione lombarda, che il narratore iniziale del
Fermo e Lucia fa tesoro di una tecnica che il "Conciliatore" adatta ai propri esercizi di stile narrativo o colloquiale dopo che il Cuoco, non per nulla maestro dei romantici come del Manzoni, ne ha saggiato i meccanismi nella fabbrica ideologica del Platone in Italia. Nei riguardi del Cuoco, anzi, si può quasi parlare di una specie di rifrazione o di libero recupero tematico nell'ambito di una supposta autenticità storica, perchè il proposito del Platone di "mostrare" l'autografo "a chiunque abbia desiderio di vederlo", l'accertamento erudito che "il manoscritto sia consentaneo a tutte le tradizioni che la storia ci ha tramandato" per la "consonanza d'infiniti suoi tratti coi tratti degli scrittori più accreditati della Grecia e di Roma", e l'avviso al lettore di prepararsi a "talune cose" che gli sembreranno nel testo "strane e lontane dalla comune opinione" hanno un analogo di fondo nel primo Fermo e Lucia, dove, entro un'orchestrazione più variata e pastosa, si dice che per vincere "l'incredulità" di chi legge "il migliore espediente sarebbe di mostrare il manoscritto" e poi, che "molte cose" apparivano all'editore "tanto strane" da non sembrare "realmente avvenute" almeno finchè "le sue ricerche non lo condussero a risultati talmente somiglianti a ciò che egli aveva veduto nel manoscritto che non gli rimase più dubbio della veracità della storia che vi si contiene". Come si può constatare sono le stesse convenzioni, le stesse sigle di codice narrativo, a parte, ripetiamo, il tono più festoso e sorridente, forse anche più spregiudicato, proprio in direzione della prosa saggistica del "Conciliatore" con i suoi esperimenti bizzarri di pastiche letterario."
(Ezio Raimondi,
Il romanzo senza idillio)

 

Originalità dell'artificio dell'anonimo

"Si capisce allora come l'anonimo non sia un semplice "alter ego" del Manzoni, il "doppione" (Russo) con cui egli gioca scherzosamente. L'ironia manzoniana non è pura comicità, paciosa e bonaria comprensione di tutto e di tutti, ammicco ridanciano; è sempre critica e tagliente, quando vuol essere, come qui, contestazione e rifiuto ideale e psicologico di una mentalità degradata. In questo senso, l'anonimo è il polo negativo dello scrittore, la maschera penosa (ridicolmente penosa) dell'intellettuale, come sarà più avanti Don Ferrante, grandioso emblema della vacuità filosofica del Seicento. Se si può concedere a un critico ferrato come il Getto l'ipotesi che il Manzoni abbia tratto qualche spunto per la prima pagina del romanzo dall'"Historia del Cavalier Perduto" di Pace Pasini (1644), dove compaiono le immagini del "Sole" e dei "Pianeti" e i termini scolastici "sostanza" e "accidenti", proprio come nei Promessi Sposi, v'è da aggiungere, però, che le eventuali citazioni sono del tutto assimilate al sistema ideologico e narrativo, affatto diverso, del capolavoro manzoniano.
Qui l'anonimo è una "voce" (la voce di un narratore, il suo atto di enunciazione) che compare direttamente e spiegatamente nell'Introduzione e poi indirettamente ( una trentina di volte) attraverso le parole del narratore-autore."
(Da "I Promessi Sposi", a cura di Angelo Marchese)


Storia del romanzo