ARPANet

Internet Inter...nos

Detto tra noi...
(    Estratto dalla rivista ARPA - n. 13    )

Libellus vere aureus...

Un'alternativa abbastanza radicale ai sistemi vigenti, che prospetti una perfetta conciliazione tra natura e uomo, per rendere fruibile la convivenza sociale con l'unione dell'ideale razionale ed etico (filosofia) e dell'ideale pratico (politica), può considerarsi utopia.
Non è una conclusione drastica e pessimista: intendo dire che gli studi utopici sono proprio questo, la descrizione ideale della società; non sogno dell'irraggiungibile, sia chiaro, né espressione della sete di perfezione che assilla l'uomo. Il discorso utopistico non si interroga tanto sul "quando" e sul "dove", ma sul "che cosa" e sul "come" l'umanità sia. L'Utopia è, in definitiva, presente e contemporanea, perché in opposizione a qualsiasi contesto politico, sociale, culturale, morale e religioso.
Riflessioni che partono dalla lettura di un breve trattato, dal non breve titolo "Libellus vere aureus nec minus salutaris quam festivus de optimo reipublicae statu deque nova Insula Utopia", e dato alle stampe poco meno di cinquecento anni fa da Sir Thomas More, illuminato umanista inglese. Due libri per descrivere il malessere economico e sociale dell'Inghilterra del primo Rinascimento e illustrare una (utopica - appunto) soluzione trovata dagli sconosciuti abitanti dell'isola meta del suo viaggio.
Tommaso Moro è il primo ad usare il termine "utopia" (dal greco u+tòpos, non luogo, nessun luogo), ma l'Utopia nasce già molto prima, con il mito (Regno di Crono - Età dell'oro, quando la terra dava spontaneamente agli uomini le messi), anche nelle sue implicazioni religiose (Paradiso, Giardino dell'Eden). Progressivamente viene demitizzata, per esempio, nella raffigurazione dei Feaci, che da "traghettatori della morte" divengono alacri abitanti dell'omerica isola di Scheria - l'attuale Corfù.
Con Platone si ha il significativo recupero della mitica Atlantide, nei dialoghi "Timeo" e "Crizia", e la universalizzazione della realtà della Pòlis ("Repubblica") - su Atlantide necessiterei di un intervento a parte, anche perché affascinanti sono le teorie della sua scomparsa e della dispersione del suo popolo, a costituire nuovi ceppi di civiltà documentate.
Navigando (passatemi il termine) tra la produzione greca classica potrei citare Senofonte, il quale, nella "Ciropedia", presentò l'idealizzazione del sovrano; dopodiché, il pensiero ellenistico offrì spunti utopistici sia nel cosmopolitismo stoico sia nell'individualismo epicureo ed anche nelle trattazioni romanzesche - per chi volesse approfondire quest'aspetto, vale la pena di dare un'occhiata a "Sacra Scrittura" di Evémero e a "Sugli Iperborei" di Ecatéo di Abdéra, utopistico esempio di perfetta vita morale e religiosa.
Ma consideriamo anche il concretismo romano, che sfiorava l'Utopia nel taglio etico-politico con cui Tacito contrappose la forza barbarica dei Germani alla crescente corruzione della Roma imperiale.
Anche la fiducia nella venuta di un Messia, che caratterizza sia l'attesa ebraica sia altri contesti religiosi, come il Buddismo, l'Islamismo, l'Induismo, il Parsismo, e che poi viene trasferita nel Cristianesimo (dall'Apocalisse alla Patristica) può essere considerata una sorta di utopia.
A questo punto proseguo l'excursus seguendo una linea cronologica: l'utopismo medievale fu sicuramente collegato con le eresie pauperistiche - e mi riferisco a Millenarismo, Gioachinismo, Comunismo evangelico, fino alla Riforma e oltre; due esempi per tutti: Wycliff e i Lollardi, Münzer e gli Anabattisti.
Con gli sviluppi del mondo moderno, l'utopia conobbe dal Rinascimento all'Illuminismo una splendida fioritura letteraria, stimolata dalla faticosa maturazione della coscienza borghese e dalla nascita degli Stati nazionali, nonché, suppongo, dalla rottura dell'unità della Chiesa romana.
Spesso l'Utopia diventava ipotesi di lavoro (basta sfogliare "New Atlantis", di Bacon, per rendersene conto, o anche "Commonwealth of Oceana", di James Harrington: due testi della metà del Seicento); si configurava anche urbanisticamente nella Salento d'Esperia del "Télémaque" di Fénelon, diventava allegoria negli arcinoti "Gulliver's travels" di Swift e metafora dell'intraprendenza capitalistica nel "Robinson Crusoe".
Nel frattempo, la tematica utopistica in Italia deve aver avuto una diversa vicenda, sopratutto per il divario fra il razionalismo della costruzione rinascimentale e il ripiegamento moralistico indotto dalla Controriforma: mi sovviene, al proposito, la "Città del Sole" di Campanella, e la sua concezione politica di tipo teocratico. Da notare che era anche emersa, accanto alle utopie "di fuga" nel passato, un'Utopia del presente, di carattere fisico-spaziale, che prendeva come modello esemplare la città reale, e si trasformava in statiche visioni urbanistiche: importanti testimonianze al riguardo ci sono state lasciate dal Filarete e dall'Alberti.
Con l'Illuminismo, l'Utopia divenne più positiva, tendente cioé a superare la contraddizione uomo-natura, città-campagna: nel "Contrat Social", Jean Jacques Rousseau mutua il mito del "buon selvaggio" in un messaggio di progresso sociale - messaggio applicato in pieno da Gauguin, che ripudiò Parigi per vivere più felicemente ad Haiti.

"La causa dell'infelicità dei membri della società umana è l'ingiusta distribuzione della proprietà e dei beni": sono parole di un rivoluzionario francese, Francois-Noel Babeuf, anticipatore del socialismo marxista, seguite poi da Filippo Buonarroti, che aveva idee di carattere egualitario-comunista. Le loro critiche alla proprietà privata e alla lotta di classe si collegavano alla Rivoluzione francese e agli sviluppi del socialismo utopistico (Owen e Fourier), mentre un'Utopia pacifista si disvelava nel frattempo in Germania, con Kant e i suoi ideali razionali dell'armonia, nei progetti per una pace perpetua.
Riprese dell'Utopia si hanno anche in Marx, Nietzsche, Freud, nell'urbanistica contemporanea - da Le Corbusier a Wright e oltre - fino a Herbert Marcuse: con lui si può considerare terminata l'Utopia classica, anche se proprio lo stesso Marcuse sostiene che "le cosiddette possibilità utopistiche non sono affatto utopiche" (perifrasi per dire che le possibilità di utopia sono molte, e non sono utopie). Anche nelle angosce esistenziali di Orwell sembra rivivere in qualche modo l'Utopia come forma del possibile, ma di questo parlerò più avanti...

(...continua...)

Paco SIMONE

É POSSIBILE SCORRERE GLI ARTICOLI DEI NUMERI PRECEDENTI O SUCCESSIVI UTILIZZANDO LA SEGUENTE SCROLL BAR.

Indietro - MainPage - Avanti

© 1998 Paco Simone - © 1998 ARPANet. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
La violazione del copyright e/o la copia illecita del materiale riprodotto in queste pagine, la diffusione non autorizzata dello stesso in qualunque forma contravviene alle normative vigenti sui diritti d'autore e sul copyright.
Per inserire i tuoi testi nel sito ARPANet, clicca qui!