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(    Estratto dalla rivista ARPA - n. 6    )

Le tre rivoluzioni.

Ovvero quelle che hanno modificato profondamente il mondo della comunicazione: la rivoluzione chirografica (dal greco kheir = mano + graphon = scritto), avvenuta nel quarto millennio a.C.; la rivoluzione gutenberghiana, verso la metà del quindicesimo secolo, con l'avvento della stampa; la rivoluzione elettrica ed elettronica, la più recente, che annovera invenzioni come il telegrafo, la radio, la televisione.

Negli ultimi sei millenni si sono quindi distinti quattro tipi di cultura: la forma più antica è la cultura orale, seguita poi dalla cultura manoscritta, dalla cultura tipografica e infine da quella dei media elettrici ed elettronici.

2 - La cultura manoscritta

Sembra che siano stati i Sumeri a inventare per primi un sistema di scrittura, cuneiforme simbolica: il poema epico più antico giunto fino a noi narra infatti del conflitto tra il regno di Uruk (Iraq meridionale) e quello di Aratta (altopiano iranico), e risale al 3000 a.C. .

La scrittura permise la costituzione di scuole e accademie, e non a caso le più note tra il 3000 e il 2500 furono quelle sumeriche, vere e proprie fucine di sapere.

A Ebla, negli Archivi reali, sono stati rinvenuti manuali di botanica, mineralogia, zoologia e matematica, oltre a svariati dizionari. Ebla era organizzata secondo precisi gradi accademici, per cui si iniziava come scribi (dub-sar), per diventare poi esperti delle tavolette (dubzu-zu), e infine professori (ummi-a).

Il sistema di scrittura sumerico passò attraverso le fasi di pittogramma (simboli stilizzati di un’immagine), ideogramma (simboli che rappresentano un’idea) e fonogramma (i segni rappresentano suoni), finendo cioè per accentuare l’elemento fonetico sull’elemento figurativo.

E agli Egizi si deve l’unione di inchiostro liquido, penna e carta; questo passaggio fu talmente rivoluzionario da rendere la scrittura la base fondamentale delle comunicazioni tra le persone.

Ed ecco che con la scrittura la memoria diviene una regina decaduta, e l’organo di percezione più importante diventa l’occhio, a scapito dell’orecchio.

L’orecchio, tuttavia, continuò a conservare per lungo tempo un certo primato nei processi di comunicazione.

"Tutto ciò che crediamo - scrive S. Ambrogio - lo crediamo o attraverso la vista o attraverso l’udito". Ma aggiunge: "La vista s’inganna spesso, l’udito serve come garanzia".

La lettura stessa si svolgeva, anche in privato, per lo più ad alta voce. Sant’Agostino, nelle Confessioni, racconta del suo stupore per il fatto che S.Ambrogio sapesse leggere silenziosamente. Nell’antichità e nel Medioevo, la gente leggeva con le labbra, pronunciando quello che gli occhi vedevano, e ascoltando le parole pronunciate: udivano così le "voci delle pagine". Legere significava nello stesso tempo audire.

Una tra le conseguenze inintenzionali della scoperta della scrittura è senz’altro la nascita della filosofia, della scienza, della logica e dell’etica. Prima che l’uomo abbia completamente interiorizzato la scrittura, non abbiamo esempi del procedere analitico tipico di Platone o di Aristotele. La scrittura ha liberato la mente, dandole la possibilità di formulare pensieri più astratti.

Grazie alla scrittura, il poeta da vate diventa un artista. Nelle società a cultura orale, il poeta aveva un ruolo fondamentale, quello di produrre enciclopedie in versi. Era prima di tutto un educatore: i poeti della Grecia arcaica non erano celebrati per creatività linguistica; erano più che altro rapsodi (da rhaptein, cucire insieme e oide, canzone, poesia), cioè abili cucitori di parti prefabbricate.

E dovevano narrare di grandi gesta e di magnifici eroi, perché lo sforzo di memorizzazione fosse aiutato da imprese tanto straordinarie da non poter essere dimenticate: l’eroismo e l’insolito sono più memorabili del quotidiano.

Inoltre, proprio per essere ritenute importanti e ricordate, le figure eroiche tendono alla tipizzazione: il saggio Nestore, l’astuto Ulisse, il furioso Achille.

Questo mondo, con l’avvento della scrittura, viene ridimensionato, a favore dell’uomo comune, addirittura dell’anti-eroe, che, invece di affrontare il nemico, scappa (Rabbit run, di John Updike).

(continua...)

Paco SIMONE

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