Numero 0
Luglio 1998

 
VENDETTA
di Stefano "RedLeader" Fortunati

 

Bianco.
Dovunque guardasse, in tutte le direzioni, non c'era altro che bianco.

"Io odio questo posto," pensò, rigirandosi a fatica nel suo seggiolino, cercando di mantenere il controllo delle armi. Come se fosse facile...

Le cinture di sicurezza lo stringevano oltre il limite della sopportazione umana, ma erano necessarie. Nessuno avrebbe affrontato manovre ad alta velocità senza il rassicurante conforto delle cinture (questo perche' nessuno avrebbe voluto vedersi sballottato per tutto l'abitacolo dall'elevato numero di G). E la situazione in cui si trovava le rendeva ancora più necessarie, dal momento che era in pieno combattimento e, per giunta, non era lui a pilotare il velivolo. Brutto lavoro quello del cannoniere, in balia degli istinti del pilota. E se, casomai, il pilota che gli veniva assgnato, si sentiva in dovere di ricordargli di essere anche un provetto pilota di X-Wing, bè, allora in questo caso bisognava aspettarsi di tutto.

Quando si era arruolato nell'Alleanza Ribelle, non aveva mai pensato di trovarsi sbattuto in così breve tempo su un velivolo da combattimento. Era stato spedito su questo pianeta sperduto solo quando Rieekan si era messo in contatto con i diversi centri segreti di addestramento sparsi negli angoli più remoti della galassia, chiedendo con urgenza l'invio di piloti. "Non importa quale sia il loro livello di addestramento." recitava il messaggio. "Abbiamo bisogno di piloti." Questo voleva dire solo una cosa: la situazione era disperata. E così lui era stato fatto imbarcare su un trasporto che, dopo innumerevoli deviazioni fatte per ingannare qualsiasi spia imperiale che ne avesse voluto tracciare la destinazione finale, lo aveva finalmente sbarcato su un pianeta. Un pianeta che, visto dall'orbita, gli era apparso bianco e candido. Si ricordò di aver cercato un aggettivo per descrivere quella vista. Il primo che gli venne in mente fu 'innocente'... se mai si possa attibuire un simile aggettivo ad un pianeta. Nello stesso momento, però, in cui il suo cervello assegnava quell'attributo al pianeta, i suoi ricordi personali avevano preso il sopravvento, dimostrandogli che adesso, dopo quello che era successo, mai e poi mai il colore bianco avrebbe più potuto essere sinonimo di innocenza. Per l'ennesima davanti ai suoi occhi ripassarono le scene di quella orrenda notte in cui la sua vita precedente era stata annientata nel sangue, in cui tutti i suoi legami con un mondo 'innocente' erano stati troncati. Da degli uomini che vestivano di bianco. Il bianco delle armature delle Truppe d'Assalto imperiali. Rivide il buio della notte illuminato a giorno dai lampi delle esplosioni dei detonatori termici e i dardi rossi dei blaster che saettavano nelle strade del villaggio in cui lui abitava. Rivide la sua corsa verso casa, nel tentativo di raggiungere sua moglie e suo figlio, ancora neonato. Rivide, infine, attraverso una finestrella aperta sul muro posteriore della sua casa, il volto della donna che aveva amato più di ogni altra cosa al mondo - Mari, si chiamava - sciogliersi come neve al sole nel calore dell'esplosione di un detonatore lanciato da uno di quei soldati dall'armatura bianca...
I suoi ricordi terminavano in quel momento.
Tutto quello che era successo dopo (l'essersi finto morto per sopravvivere, la sepoltura di ciò che restava dei cadaveri di sua moglie e di suo figlio, i contatti presi con agenti ribelli, il volo verso il centro d'addestramento) non erano ricordi suoi. Erano ricordi di qualcun altro, che aveva preso il suo posto nel momento stesso in cui sua moglie era morta.
Al centro d'addestramento aveva conosciuto molta gente. Molti si erano arruolati per motivi ideologici, altri per denaro, altri ancora come se la lotta fra l'Impero e l'Alleanza fosse una specie di sport. Non mancavano, infine, quelli che si erano arruolati per il suo stesso motivo.
La vendetta.
Una volta sceso sulla superficie, il pianeta 'innocente' aveva dimostrato di nascondere molte insidie. Il gelo, soprattutto, che metteva a dura prova sia gli uomini sia i mezzi. La notte, le grandi porte corazzate della base venivano chiuse, per evitare che l'intera installazione potesse sprofondare in una silenziosa morte per congelamento. I voli di addestramento continuavano ogni giorno, e le inclementi condizioni metereologiche causarono numerosi incidenti, alcuni dei quali mortali. Alla resa dei conti, non si poteva certo affermare che Hoth fosse un pianeta 'innocente'.
"Tutto a posto, signore?" aveva chiesto quella mattina, subito prima di decollare, al suo pilota e comandante. Nome in codice Rogue Leader. In effetti, chiamarlo 'pilota' era un po' riduttivo... Era un vero e proprio eroe: l'uomo che aveva distrutto la Death Star. Non ne erano rimasti molti in giro dei piloti che avevano partecipato alla battaglia di Yavin: solo Luke Skywalker e Rogue 3, cioè Wedge Antilles. L'Impero aveva dimostrato di essere vendicativo...
"Come nuovo, Dack," gli aveva risposto Skywalker, quasi sorridendo. Dack osservo' le cicatrici sul volto dell'uomo ('ragazzo', sarebbe stato meglio, pensò) e si rese conto che se la doveva essere vista davvero brutta, nella caverna di una di quelle immonde creature dei ghiacci che infestavano la zona. "E tu?" aveva domandato, a sua volta, il giovane. "Ora mi sento come se potessi prendere l'Impero tutto da solo" fu la risposta di Dack. "So cosa vuoi dire..." aveva commentato tranquillamente Skywalker, allacciandosi le cinture di sicurezza e preparando lo Speeder per il decollo.
La flotta imperiale era uscita dall'iperspazio troppo presto, allertando così le vedette ribelli e permettendo l'innalzamento dello scudo d' energia al di sopra della base. L'unica alternativa rimasta agli imperiali era tentare un attacco terrestre per distruggere il generatore di potenza dello scudo. Compito degli Speeder della squdriglia Rogue: tenere a bada le truppe terrestri nemiche il tempo necessario per completare l'evacuazione della base Echo.Che si trattasse di una impresa impossibile, se ne rendevano conto tutti...
"A posto, ragazzi. Stringetevi," ordinò Skywalker, parlando all'intera squadriglia. Nei suoi visori di puntamento, Dack osservò le sinistre sagome degli AT-AT ed AT-ST imperiali brillare in una fredda luce fosforescente. "Luke, non ho un vettore d'attacco" disse Dack. Malgrado il freddo, che penetrava all'interno dello Speeder nonostante quella che doveva essere una compartimentazione ermetica, Dack sudava. Solo in quel momento si rendeva conto di quanto fosse così diversa la realtà dall'addestramento. Aveva paura, certo. Sarebbe stato stupido non avere paura. E' la paura che genera il coraggio. Ma sapeva anche che il suo addestramento sarebbe servito a qualcosa, nella battaglia che stava per iniziare contro quei colossi d'acciaio i cui passi avevano fatto tremare le pareti dell'hangar in cui si gli Speeder si trovavano solo pochi minuti prima.
E poi, il suo pilota era pur sempre Luke Skywalker.
"Stai calmo, Dack," gli disse Skywalker, sulla frequenza interna dell'abitacolo. Forse si era accorto della sua tensione? Poi, sulla frequenza di combattimento della squadriglia, lo sentì dire: "Formazione d'attacco Delta."
L'attacco cominciò sotto i peggiori auspici.
La corazzatura dei Walker imperiali non veniva neanche scalfita dai colpi dei blaster. E la mira dei cannonieri imperiali era fin troppo buona. Devono esserci truppe scelte a bordo di quei trasporti corazzati, pensò Dack, mentre si preparava a mettere in pratica gli ordini appena ricevuti da Skywalker. Adesso, infatti, gli Speeder non avrebbero più attaccato a colpi di blaster, ma avrebbero cercato di avvolgere i cavi da traino intorno alle poderose 'zampe' degli AT-AT. Si trattava di certo di una pazzia ma, in quanto tale, avrebbe avuto buone possibilità di riuscita. Dack controllò il dispositivo di lancio e represse a stento una imprecazione. "Luke," grido' nel comlink, "abbiamo un problema al controllo di fuoco. Devo passare all'ausiliare."
In piena corsa d'attacco, mentre gli Imperiali innalzano una vera barriera di fuoco e di esplosioni davanti a Rogue Leader e al suo gregario, la mente di Dack corre su due binari paralleli. Il primo, quello collegato alla vita più pratica, gli permette di manovrare i controllo del cannoncino da cui partirà l'arpione con il cavo di traino. E' una fatica tenerlo allineato, con lo Speeder sballottato da tutte le parti dallo spostamento d'aria delle esplosioni.
Il secondo, invece, lo porta lontano. Molto lontano.
In un tempo passato, quando Dack era un uomo felice. Prima che l'Impero venisse a distruggere la sua vita. Al di la' del mirino del cannone, tutto e' bianco...
"Io odio questo posto..." pensa Dack.
I colpi dei cannoni imperiali e delle truppe ribelli a difesa della base Echo intrecciano le loro traiettorie, in un vortice di rosso. A queste, altre immagini si sovrappongono nella mente di Dack. Altre scene in cui i colori dominanti sono il bianco scintillante delle armature delle Truppe d'Assalto e il rosso dei blaster e delle fiamme che divorano il suo villaggio.
E mentre, intorno a lui, lo Speeder perde la sua consistenza reale, le scene di distruzione cedono, come d'incanto, il posto ad una immagine diversa. Una immagine che arriva dal passato. E' sua moglie, che gli sorride. E gli tende la mano. E' bellissima, pensa Dack...
"Mari. Sei davvero tu?" dice, quasi sussurrando, come se avesse paura che le sue parole possano far svanire il suo perduto amore.
"Si, Dack. Ti stavo aspettando," risponde l'apparizione, con quella voce celestiale che Dack ha sempre amato.
E, felice, Dack sa di essere nato di nuovo...