Numero 1
Agosto 1998

 
PIOGGIA
di Stefano "RedLeader" Fortunati

 

La prima cosa che notò, appena sveglio, fu l'odore di pioggia nell'aria.

Si alzò e si diresse verso la finestra. Da quello che poteva immaginare, vedendo riflettersi nelle pozzanghere la luce delle due lune del pianeta, doveva aver piovuto tutto il giorno.

Sorrise.

La pioggia gli piaceva. La pioggia, l'acqua, era sinonimo di vita. Già poteva sentire le piccole creature che vivevano nel sottosuolo farsi strada verso la superficie, spinta da un richiamo atavico verso quel prezioso elemento. Milioni di creature erano in movimento, la maggior parte non più grandi di una capocchia di spillo, e lui poteva sentirle una ad una. Il loro livello psichico era notevolmente più basso anche a quello degli animali inferiori che popolavano il pianeta, ma era pur sempre un segno di vita. E la vita era la cosa che gli mancava di più.

Decise di uscire all'aperto.

Percorse un breve corridoio e si trovò subito sulla grande piazza, che nei secoli passati era servita come luogo di raduno. Vi si erano tenute feste a cui avevano partecipato centinaia di migliaia di esseri, provenienti da tutte le parti della galassia; per i poeti era stata sinonimo di gioia, di vita, di libertà. Lui stesso si ricordava dei giorni in cui prendeva posto nel palco delle autorità, gioendo nel vedere la popolazione in festa. Il suo popolo.

Ma ormai tutto questo apparteneva al passato. un passato che non sarebbe mai più potuto tornare.

Posò lo sguardo sulle rovine che adesso circondavano la piazza.

Dove un tempo sorgevano palazzi sontuosi, eretti ad imitazione di quelli ancora più magnifici di Coruscant, non c'erano altro che rovine. Il tempo aveva sbriciolato quelle portentose strutture, dissolto nella polvere quell'architettura superba, la cui continua evoluzione verso nuove forme di bellezza, aveva impegnato migliaia di architetti per centinaia di anni. C'erano voluti secoli, ma alla fine la natura aveva di nuovo preso possesso dei luoghi che le erano stati strappati quattromila anni prima.

Di quella città dalla gloria millenaria, adesso non restava che un mucchio di polvere.

 

Si ricordava ancora il giorno in cui l'ultima astronave aveva preso la via delle stelle. Era partita proprio dal centro della piazza, l'ultimo luogo difendibile. Aveva visto i suoi compagni morire nel tentativo di concedere al pilota quei secondi in più che gli avrebbero permesso di raggiungere gli strati superiori dell'atmosfera, dove le ultime retroguardie ancora si attardavano ad effettuare il balzo nell'iperspazio. Lui avrebbe voluto essere con loro, morire combattendo sulla piazza, sacrificando la propria vita nello stesso modo in cui i suoi amici la sacrificavano in quel momento. Si ricordava di aver anche istintivamente portato la mano al fianco, cercando la propria arma, pronto a buttarsi nella mischia... ma poi il suo gesto si era interrotto a metà. Non poteva fare niente. Poteva solo vedere i suoi compagni morire, e i loro spiriti, invisibili all'occhio non allenato da secoli di addestramento alla Forza, innalzarsi nell'aria, verso quello stesso spazio in cui aveva trovato rifugio il resto del suo popolo...

 

I conquistatori non rimasero sul pianeta, ma decisero di portare la distruzione in altri sistemi, desiderosi di ricominciare quella stessa Guerra Santa che, nel nome del Sith, in precedenza aveva già mietuto miliardi di vittime.

 

E così lui era rimasto solo, custode di un pianeta che non sarebbe mai più risorto e non avrebbe mai più potuto vedere la gloria dei giorni passati, quando la luce degli Jedi illuminava la via della Repubblica.

E i secoli passarono...

 

Una volta il suo sonno venne disturbato. Alzatosi, vide delle folgori lampeggiare nel cielo, subito oltre i confini dell'atmosfera. L'oscurità del cielo, quella notte non attenuata dalla luce delle lune, veniva infranta da quei lampi di luce, che si rincorrevano nel cielo. Qualche volta, quando uno di cui raggi si esauriva, alla sua estremità poteva veder nascere delle piccole stelle.

Una battaglia, pensò. Dopo secoli il pianeta era di nuovo testimone di violenze...

Fece librare la propria mente alta nel cielo, più in alto di quanto avesse mai fatto in precedenza... Le sue dita invisibili raggiunsero le piccole e grandi astronavi che si inseguivano e si davano battaglia in orbita. La sua mente sondò i pensieri dei piloti. Non voleva sapere quale fosse il motivo della battaglia, quali fossero le fazioni in lotta... Aveva smesso di interessarsi a tutto questo molto tempo prima. L'unica cosa che agognava era il non voler essere più solo.

Ad un certo punto concentrò la propria attenzione su un grande vascello bianco, di forma vagamente triangolare, da cui provenivano sensazioni che ricordava di aver già sentito. All'interno dell'astronave, però, tutte le menti erano come velate da un immenso drappo nero. Capì che a bordo vi erano persone addestrate al lato più subdolo della Forza. Sconvolto da questa rivelazione, ritrasse subito i propri sensi, nascondendosi ad una eventuale ricerca.

E rimase in attesa.

 

Poco tempo dopo il termine della battaglia, aveva visto scendere nella grande piazza un'astronave di un tipo sconosciuto. Ne osservo' la discesa, vedendo le grandi ali bianche ripiegarsi su se stesse. Ne scesero degli uomini armati, protetti da una corazza bianca, seguiti da altri, drappeggiati in rosso. A quella vista il suo cuore raggelò, riconoscendo i colori del Sith. Osservò allarmato le mosse dei nuovi arrivati, finche' il suo sguardo inorridì nel vedere che quei seguaci di una setta Oscura avevano trovato ciò di cui erano in cerca.

 

Già millenni prima, eserciti interi erano venuti sul pianeta in cerca di quell'oggetto, ma non erano stati in grado di trovarlo. Per cercarlo avevano quasi distrutto l'intero pianeta, ma la potenza degli Jedi era riuscita a offuscare le menti di coloro che avevano il compito di trovarlo. Anche nel corso dell'ultima feroce battaglia combattuta sul pianeta, i Jedi avevano eretto uno scudo mentale per proteggere quell'oggetto. Impossibilitati dalle circostanze a portarlo con sé, avevano tenuto alzata la barriera psichica perfino nel corso della loro fuga nell'iperspazio. Erano sicuri che gli invasori avrebbero lasciato il pianeta presto, e che prima o poi loro avrebbero avuto la possibilità di tornare a recuperare il loro prezioso tesoro.

Come previsto, Gli invasori se ne erano andati. Ma gli Jedi non erano mai più tornati.

 

E adesso non c'era più nessun Jedi a impedire che i seguaci del Sith si impadronissero dell'Holocron nascosto in quello che restava dei sotterranei del Tempio.

 

Di nuovo, come aveva già fatto secoli prima, aveva portato la mano alla cintura, cercando quell'arma che aveva imparato a maneggiare in anni di duro esercizio e che, col tempo, era come diventata una estensione del proprio corpo. E, come l'altra volta, si ricordò troppo tardi che la sua spada laser non esisteva più...

Osservò avvilito i Jedi Oscuri uscire all'aperto portando con sé l'Holocron.

Appena furono saliti a bordo, la navetta decollò, portando i Jedi Oscuri a bordo di quella stessa nave la cui oscurità lo aveva respinto. Servendosi di quella nave - adesso lui lo sapeva, dopo aver sondato la mente di uno dei soldati di scorta - avrebbero raggiunto Coruscant, dove avrebbero consegnato l'Holocron al loro Signore e Padrone: un senatore della Repubblica autoproclamatosi Imperatore.

 

Si chinò a terra, cercando di toccare l'acqua... erano secoli che desiderava di poter di nuovo toccare l'acqua...