Gli imperatori di Ambrogio
In questa sezione si presentano in modo schematico e speriamo
efficace le figure degli imperatori con cui Ambrogio entrò in contatto durante la sua
vita. Più che a una valutazione generale del rapporto impero-Chiesa che si instaura ad
opera di Ambrogio, per cui rimandiamo alla sezione Valutazioni generali sul significato della figura di Ambrogio,
esponiamo semplicemente i fatti storici che vedono Milano indiscusso centro del potere
spirituale e politico negli anni 374-386.

Valentiniano I
Il primo imperatore la cui attività influì profondamente sulla vita
e sulla carriera di Ambrogio, fu Valentiniano I. Egli, dopo la breve ed insignificante
parentesi di Gioviano, acclamato dalle legioni impegnate con Giuliano in una campagna
persiana, e subito morto accidentalmente forse per le esalazioni di un braciere, viene
acclamato dall'esercito nel febbraio del 364 d.C (quando Ambrogio ha dunque 24 anni). E'
un tribuno militare della guardia imperiale di origine pannonica, e la fonte di Ammiano
Marcellino abbonda di aneddoti relativi alla sua crudeltà, poco attendibili, visto il
grande sfavore che i metodi militareschi ed intransigenti del nuovo imperatore avevano
acuito presso gli ambienti senatori romani. Valentiniano si associò al potere, secondo
una prassi ormai da tempo consolidata, il fratello Valente, e a Milano procedette alle
nuove nomine e alla spartizione delle rispettive giurisdizioni. Egli tenne per sé tutto
l'Occidente. Naturalmente i contatti fra Ambrogio e l'imperatore non furono, in questo
momento, diretti, ma sappiamo dalle biografie antiche che proprio nel momento
dell'elezione di Valentiniano a imperatore, Ambrogio lasciò Roma, dopo un più che
ventennale soggiorno nella città eterna, per recarsi a Sirmio, un importante centro
amministrativo del tardo impero, situato nella attuale ex Jugoslavia (Hrvatska Mitrovica),
per esercitarvi l'avvocatura. Il prefetto del pretorio di Sirmio era allora stato nominato
da Valentiano nella persona di Volcacius Rufinus. Il successore di Rufinus, a partire dal
367, fu Sesto Petronio Probo, che arrivò a Sirmio quando Ambrogio e suo fratello Satiro
vi erano già presenti da tre o quattro anni. Probo era un personaggio legato, a Roma,
agli ambienti nobili cristiani da cui provenivano anche i due fratelli Aurelii. Il praefectus
praetorii Italiae, Illyrici et Africae era allora un personaggio assai importante
della burocrazia imperiale, e estendeva il suo raggio di competenza su buona parte
dell'impero d'Occidente. Probo intese favorire la carriera di Ambrogio, anche perché egli
aveva sicuramente destato ammirazione a Sirmio con la sua eloquenza. Inizialmente Ambrogio
avrà fatto parte del consiglio del prefetto del pretorio. Sono anni in cui si consolida
in lui la profonda conoscenza dell'apparato statale imperiale, con la sua ipertrofia, e
con le inevitabili ingiustizie che questo periodo di profonda crisi economico-sociale
metteva sotto gli occhi di tutti quotidianamente. La sua opera di funzionario subalterno
dura dunque fino al 370, quando Probo lo nomina consularis Aemiliae et Liguriae,
ed inizia dunque la presenza di Ambrogio in Milano.


La situazione di Milano all'arrivo di Ambrogio
Il clero milanese in questi anni, per effetto del volere dell'imperatore Costanzo,
è sicuramente ariano. Aussenzio, l'immediato predecessore di Ambrogio, è un vescovo
orientale che non conosce nemmeno il latino, la lingua dei suoi fedeli, e non ha esitato
ad occupare la sede dell'episcopato milanese con le armi e con i soldati, secondo
le parole di Ambrogio stesso. Ora con la politica neutrale in campo religioso di
Valentiniano, che cerca durante il suo regno un compromesso fra le opposte fazioni pagana
e cristiana, è possibile una riscossa dell'ortodossia milanese, così fortemente
pregiudicata dalla prepotenza di Aussenzio. L'imperatore riceve però pressioni da Ilario
di Poitiers perchè egli ordini ad Aussenzio l'abbandono della città. L'imperatore aveva
permesso l'incontro in città di dieci vescovi, i quali avevano ottenuto che Aussenzio
sottoscrivesse un documento ortodosso: ma ciò non era sufficiente per Ilario, che così
viene invitato dall'imperatore a lasciare la città.


La successione di Valentiniano I: i rapporti di
Ambrogio con Graziano, Giustina e Valentiniano II
Durante i primi cinque anni del suo soggiorno a Milano, Ambrogio viene
progressivamente a conoscenza della situazione di profonda divisione fra ariani omei e
cristiani ortodossi, e conosce anche però profondamente le caratteristiche di quel popolo
di cui fra breve sarà vescovo. Ritorneremo su questo nella prossima sezione del nostro lavoro. Seguiamo invece qui la
successione dell'imperatore Valentiniano I, venuto a morte il 17 novembre del 375, su un
campo militare dell'attuale Ungheria (il sito era Brigetio, allora). Egli aveva avuto due
figli da due diverse mogli: Graziano, natogli dalla prima, Severa Marina, nel 359,
diciottenne al tempo della morte del padre; ed invece Valentiniano II dalla seconda,
Giustina, una nobile siciliana. Valentiniano I aveva già nominato in vita suo augusto il
figlio Graziano otto anni prima della sua morte (367), mentre aveva combinato per lui un
matrimonio con l'ultima figlia di Costanzo II, Flavia Massima Costanza, e ciò
evidentemente per garantire solidità alla sua dinastia con la parentela dei successori di
Costantino Magno. Senonché alla sua morte, per devozione verso il casato dell'imperatore,
alcuni generali cristiani, uno franco e l'altro di Pannonia, avevano fatto proclamare
augusto dalle truppe pannoniche anche il quattrenne figlio di Giustina, Valentiniano II.
Così Graziano, a diciotto anni, si ritrovò imperatore con il fratellastro Valentiniano
II come collega augusto. Per ciò che concerne la situazione orientale, Valente, zio di
Graziano e Valentiniano II, continua a regnare: ma proprio in questi anni l'impero
d'Oriente è sconvolto da una devastante invasione di Unni, i quali vanno a cozzare contro
gli insediamenti gotici, che si erano già da tempo fusi con la cultura cristiana, di
matrice ariana, assai predominante nell'impero orientale (Visigoti, ovvero Goti saggi). I
Goti iniziano dunque una penosa emigrazione e chiedono supplici all'imperatore Valente di
concedere loro il passaggio al di qua del Danubio. L'imperatore acconsente stabilendo
alcune condizioni, ma affida le operazioni di controllo a generali incapaci e corrotti, i
quali si attirano l'odio delle popolazioni gotiche, che scatenano presto una spaventosa
ribellione contro i romani. I movimenti non più controllabili delle masse di Goti nella
regione danubiana causano una ripercussione di movimenti degli Alamanni (Alamanni
Lenziesi, abitanti le alte valli renane), i quali rinnovano le pressioni sulle zone
alpine: Graziano deve intervenire, e ottiene una grande vittoria sugli Alamanni. Allora
Graziano decide di intervenire anche in Tracia (dove i Goti avevano compiuto sistematiche
predazioni per tutto il 377), ma Valente, invidioso del nipote per i successi sul Reno,
non ne attende i rinforzi, e decide di affrontare i barbari da solo ad Adrianopoli. Egli
subisce una terribile sconfitta, con ventimila soldati caduti sul campo, e l'esercito
imperiale annientato. Egli stesso è disperso in questa battaglia (agosto 378).

Moneta raffigurante l'imperatore Valente
Nella vita di Ambrogio questo è un momento sicuramente triste e difficoltoso,
perché l'anno 378 vede la morte di suo fratello Satiro. I saccheggi dei Goti, dal
Bosforo, si estendono anche a Occidente, fino all'Illiria e alle coste Adriatiche: ma
Ambrogio non sta con le mani in mano, e decide di usare le ricchezze della chiesa milanese
per riscattare quei cittadini romani che i barbari avevano catturato: non si dimentichi
che egli, anche come vescovo cristiano, è pur sempre stato il consularis
dipendente dalla prefettura dell'Illiria, e che a Sirmio, come abbiamo detto, stava il suo
superiore nella gerarchia amministrativa romana: è infatti del 376 un importante viaggio
a Sirmio, due anni dopo la sua elezione a vescovo. La sua adesione, in questi momenti
terribili, all'azione dell'imperatore Graziano è grande, ed egli anzi lo esorta e spera
che egli potrà essere un nuovo David. Il legame di Ambrogio con Graziano è tanto più
diretto, quanto più è vero che la matrigna Giustina, madre di Valentianiano II, come
detto, è decisamente filo-ariana e tenta di ostacolare l'opera di sotegno dell'ortodossia
milanese di Ambrogio, e ottiene in un primo tempo il sostegno dell'imperatore. Ella si
stabilisce a Milano da Sirmio (resa insicura per la presenza dei Goti) nell'autunno
seguente alla sconfitta di Adrianopoli (378): è proprio in questa occasione che i
rapporti di Ambrogio con l'imperatore divengono diretti, perché Giustina pretende per sé
e i fedeli ariani una chiesa, che l'imperatore non esita a far sequestrare; nasce pertanto
uno scambio con l'imperatore in materia dottrinale che sarà all'origine del trattato su La
fede, in cui Ambrogio risponde ad una richiesta di chiarificazione delle sue
posizioni di fede da parte dell'imperatore. A questa opera seguì la richiesta
dell'imperatore di spiegargli anche le teorie relative allo Spirito Santo, con la stessa
chiarezza e credibilità con cui nell'opera precedente Ambrogio aveva parlato attorno alla
consostanzialità del Padre e del Figlio. Insomma, ad un'iniziale lontananza
dottrinale fra l'imperatore ed il vescovo, segue dopo il trattato su La Fede e
quello su Lo Spirito Santo, un'adesione sostanziale di Graziano all'ortodossia
nicena di Ambrogio. Questo fatto è ben testimoniato dalla lettera scritta di suo pugno
dall'imperatore ventenne da Treviri, dove si era dovuto recare da Milano, al vescovo,
invitandolo a confortarlo con la sua pia presenza a corte. Siamo all'inizio del 380, ed
Ambrogio risponde nei primi mesi primaverili dello stesso anno, scusandosi se i suoi
impegni pastorali per la quaresima non gli hanno permesso di confortare l'imperatore con
la sua presenza. Il 24 aprile Graziano è a Milano, e forse già per le celebrazioni della
Pasqua (12 aprile). Sicuramente si incontra con Ambrogio, e frutto di questo incontro sono
due rescritti (a noi giunti), che legiferano in materia di figli di attori e attrici
cristiani.


Teodosio

L'imperatore Teodosio
Nel periodo in cui egli aveva raggiunto Sirmio, Graziano si era associato come
Augusto un personaggio destinato ad avere la massima importanza per il vescovo Ambrogio:
Teodosio, il futuro imperatore che avrà un intenso ed affettuoso contatto con Ambrogio,
che lo dirigerà, e, come vedremo, forse umilierà. Il vuoto lasciato dallo zio Valente
andava colmato, e la situazione in Oriente rischiava di precipitare per la minacciosa
presenza delle devastazioni gotiche. Teodosio, figlio dell'omonimo valido ed efficiente
generale di Valentiniano I, spagnolo di nascita, fatto decapitare per motivi oscuri da
Graziano all'inizio del suo regno, era rimasto, dopo questo increscioso evento della
condanna imperiale di suo padre, lontano dalla vita militare e di corte. Dopo la sconfitta
di Adrianopoli, Graziano lo aveva richiamato, e affidato alcune importanti missioni di
controllo in Pannonia, che egli aveva ben condotto. Pareva la persona ideale per vestire
la porpora, ed in effetti gli storici moderni riconoscono che la scelta di Graziano fu
intelligente (anche se egli in realtà non aveva alternative, e questa scelta gli costerà
la ribellione del 383: cfr. infra).

Teodosio fu nominato augusto (gennaio 379), ed elesse come sede del suo quartier
generale una delle diocesi che Graziano gli aveva affidato oltre l'Oriente, e cioè
Tessalònica, in Macedonia. Da qui a poco a poco riuscì a sistemare anche la questione
gotica. Va detto che questi due augusti sono i personaggi sui quali si esplica in modo
veramente sorprendente tutto l'influsso e il carisma di Ambrogio. Del progressivo
avvicinamento di Graziano ad Ambrogio si è già detto. Teodosio dal canto suo, nel
febbraio del 380, emana un celebre editto in cui ordina ai popoli a lui sottomessi di
abbracciare la fede che era stata un tempo dell'apostolo Pietro, e li esorta a riconoscere
la massima autorità nelle figure del papa ortodosso Dàmaso e del vescovo di Alessandria
Pietro. L'intento di Teodosio è sicuramente di natura politica, intuendo egli quanto
inammissibile e pericoloso si rivelasse il continuare delle divisioni religiose in oriente
fra ariani ed antiariani. Ovviamente questa è la linea che Ambrogio ha sempre cercato di
perseguire fin dalla sua elezione all'episcopato nel 374: una consonanza di posizioni che
è la premessa di quell'intenso contatto di cui dicevamo. Un simile editto viene reiterato
da Teodosio nel 381, dopo essere guarito da una malattia che lo aveva portato in fin di
vita. Il giorno seguente l'editto è l'atto di sottomissione di un vecchio re goto, che
attesta bene come la rivolta gotica sia del tutto rientrata, e l'assorbimento delle
popolazioni gotiche dentro l'impero ancora una volta avvenuto.


La caduta di Graziano ad opera dell'usurpatore Magno
Massimo: la prima missione a Tréviri
Gli anni 381-383 sono gli anni dei grandi concili, e non possiamo trattarli qui
nella sezione storica del nostro lavoro. Rimandiamo per i grandi concili di Aquileia e di
Costantinopoli, che videro Ambrogio protagonista, alla prossima sezione. Invece l'anno 384 ci interessa da vicino,
perché è l'anno della caduta dell'imperatore Graziano. Vittima a causa di molti suoi
atteggiamenti sia politici sia culturali di una congiura militare nata in Britannia,
Graziano fu ucciso barbaramente e a tradimento da un conte amico di Magno Massimo, il suo
usurpatore, che fu probabilmente spinto alla ribellione contro Graziano dall'invidia del
favore concesso proprio a Teodosio, suo connazionale. Nel 383 Massimo è acclamato dalle
legioni di stanza in Britannia. Va notato che il padre di Teodosio aveva già dovuto
reprimere una congiura in Britannia quattordici anni prima. Probabilmente l'odio contro
Graziano sarà stato rinfocolato dalla scelta di Teodosio come augusto d'Oriente, ma non
è chiaro se giocarono anche pretese autonomistiche delle legioni britanniche. Graziano
tentò di muoversi per affrontare questa usurpazione, ma fu ucciso a tradimento appena
giunto a Lione, dove egli si era affrettato provenendo da Verona. Ambrogio avrà
sicuramente vissuto la morte dell'imperatore a lui così favorevole con grande angustia, e
ha parole molto vive contro i suoi uccisori. È proprio Magno Massimo il personaggio
imperiale con cui Ambrogio farà la sua più difficile esperienza del potere imperiale.
Infatti l'usurpatore teme il dodicenne Valentiniano II, fratellastro di Graziano, come
detto, e presente insieme alla madre Giustina a Milano dal 378. La corte crede bene in
questo momento così difficile e rischioso appoggiarsi sull'autorevolezza del vescovo per
affidargli un'importante e rischiosa missione: quella di prendere contatto direttamente
con l'usurpatore a Tréviri, per sondare i margini della trattativa. La decisione della
corte di affidare ad un vescovo cristiano una missione tanto delicata ed impegnativa sul
piano politico non ha precedenti. A metà viaggio, nell'ottobre 383, Ambrogio incontra a
Magonza una delegazione di Massimo che viaggia verso Milano: egli apprende da Vittore,
figlio di Massimo, che l'usurpatore pretendeva che il giovane imperatore Valentiniano II
si mettesse sotto la sua protezione e si recasse a Tréviri: una proposta evidentemente
molto ambigua e impossibile ad esaudirsi per la corte milanese: per Giustina e
Valentiniano recarsi a Tréviri avrebbe significato rimettersi totalmente alla volontà
dell'usurpatore. L'esito della missione è favorevole per Ambrogio: egli dichiara la
disponibilità alle trattative da parte della corte, ma non ritiene pensabile che una
vedova ed un fanciullo possano affrontare d'inverno un viaggio come quello da Milano a
Tréviri. Ambrogio viene trattenuto a Tréviri fino al ritorno di Vittore. Al suo rientro
da Milano, questi conferma le posizioni di Ambrogio, che viene lasciato partire. Il peggio
è scongiurato, e Ambrogio è accolto con calore sincero dal popolo di Milano al suo
ritorno. Anche la corte, nonostante il palese tentativo di servirsi della sua ortodossia
per trattare con Massimo, gli dimostra in questa occasione riconoscenza. Teodosio dopo
un'iniziale titubanza acconsente a riconoscere Massimo. Almeno ufficialmente la concordia
fra i diversi reggitori dell'Impero è affermata. Questo episodio, della prima missione a
Tréviri, è della massima importanza per valutare l'importanza del ruolo politico e del
prestigio internazionale della figura di Ambrogio in questi anni. La sua romanità e le
sue origini nobiliari sono sicuramente il presupposto che gli consentirono un successo in
un momento delicato come questo. Ma egli, come vescovo cristiano, dimostra anche quale
enorme progresso abbia compiuto quella Chiesa che, perseguitata ancora nemmeno un secolo
prima, poteva ora esprimere in un suo membro la figura di un ambasciatore internazionale
che agisse nel nome dei più alti interessi politici della coesione dell'Impero.


La seconda missione a Treviri e la lotta per la basilica
Portiana del 386
Sarebbe comunque inesatto storicamente affermare che l'esperienza del potere
imperiale fatta da Ambrogio sia stata solo una sequela di successi. Gli eventi che si
susseguono dal 384 in poi sono un'interessante testimonianza di quanto Ambrogio, proprio
dal suo conflitto col potere imperiale, con la corte di Giustina, seppe affermare e
ribadire il ruolo che la Chiesa doveva secondo lui assumere. Abbiamo parlato sopra di
prima missione a Tréviri, perché l'anno seguente Ambrogio fu inviato una seconda volta
presso Massimo nel centro imperiale tedesco (Tréviri è l'odierna Trier). Valentiniano II
lo prega di chiedere all'imperatore le spoglie del suo fratellastro Graziano, ma vuole
anche vedere tramite l'ambasciata di Ambrogio quale sia la situazione oltralpe. I contatti
del vescovo con Massimo questa seconda volta sono molto meno cordiali della precedente.
Massimo rifiuta ad Ambrogio un'udienza privata, del che questi si offende. Durante il
colloquio Ambrogio lo accusa aspramente di avere permesso scorrerie di barbari, e difende
la legittimità del soglio imperiale di Valentiniano II. Massimo a sua volta si
spazientisce e sospende l'udienza. La rottura fra i due è sancita dal comportamento
tenuto dall'imperatore in occasione del processo contro i Priscillanisti, una setta
eretica spagnola condannata per l'uso di pratiche poco chiare e tendenti al magico. Le
trame dei vescovi che si erano rivolti a Massimo per fare accusare Priscillano e i suoi
seguaci non piacevano affatto ad Ambrogio, come pure non gli sfuggivano i motivi di bieco
interesse che spingevano l'imperatore ad accogliere tali richieste. Rifiutandosi di
comunicare coi vescovi accusatori, Massimo ordinò che Ambrogio fosse espulso da Tréviri.
A questo insuccesso del vescovo si associa una circostanza preoccupante, e cioè la morte
nello stesso anno 384 di papa Dàmaso, uno strenuo assertore dell'ortodossia nicena.

Pare allora la volta buona ai nemici milanesi di Ambrogio (Giustina e la corte
filo-ariana di Valentiniano II) per sferrare l'attacco finale ad Ambrogio. La prima
conseguenza della morte di papa Dàmaso fu l'allontanamento di san Gerolamo di Roma. A
Milano la corte imperiale approfitta della situazione per insediare un vescovo ariano, e
si ripropone così la questione della cessione di una basilica alla comunità ariana, che
ora si è data nuovamente un vescovo: inizia la lotta per la basilica Portiana,
bene testimoniata dalle lettere stesse di Ambrogio, e che segna il momento di massima
tensione nei rapporti del vescovo con il potere imperiale. Naturalmente attorno alla
questione della cessione di una basilica si cela in realtà la ben più allarmante
volontà da parte della corte di porre fine alla supremazia scomoda di questo piccolo ed
esile vescovo che è di fatto il signore della città, ed il cui favore presso il popolo
è immenso. L'opposizione culmina nell'editto con cui Valentiniano II proclama la libertà
di culto per gli ariani. Siamo alla fine dell'anno 385: naturalmente Ambrogio si trova di
fronte alla necessità di resistere apertamente ad un rescirtto imperiale, e dunque siamo
qui nel momento in cui il conflitto col potere assume i contorni più tesi e tragici. Il
periodo di tempo che va dal febbraio 386 alla Pasqua dello stesso anno è forse uno dei
più travagliati per Ambrogio. Il vescovo non può ovviamente reagire con la forza alla
forza del potere, il suo solo strumento di resistenza sono le lacrime: e, aggiungiamo noi,
il sostegno indiscusso della maggioranza dei milanesi. L'epistola XXI
è uno dei testi più interessanti per la definizione esatta del pensiero di Ambrogio
circa i rapporti fra Chiesa e potere imperiale. Egli ribadisce con straordinaria chiarezza
ed energia che nelle cose della fede il potere imperiale deve dipendere dalla Chiesa in
modo totale, e nessun imperatore ha il diritto di far valere con la forza il suo punto di
vista in materia di fede. Il vescovo reagisce al sopruso imperiale tenendo intorno a sé
ininterrottamente il popolo, ed anzi intrattenendolo con la forza della sua parola e con
la bellezza dei canti da lui appositamente composti. Ai messi imperiali che con sempre
maggior tracotanza gli chiedono addirittura la basilica nova, che è dentro le mura, Ambrogio
risponde testualmente di non poter consegnare al potere secolare una casa di Dio. Il
momento di massima tensione si ha quando la corte decide di occupare con la forza la basilica
Portiana: Ambrogio non si muove dalla basilica vecchia in cui è stato fino ad ora,
mentre il popolo accorre in massa alla Portiana per vedere cosa succede. Nei giorni
seguenti, soldati circondano sia la basilica vecchia sia la basilica nuova. Ambrogio non
cede mai di un millimetro, né si discosta dalla posizione di fondo, che è quella di
ribadire come il potere imperiale debba cedere di fronte alla gestione dei templi, che
sono case del Signore. Intanto alcune defezioni si iniziano a vedere anche fra i soldati,
alcuni dei quali entrano nella basilica nuova per pregare assieme ai cattolici ed al
vescovo. Altri soldati però non smettono di circondare le basiliche secondo gli ordini di
Valentiniano II: tale situazione di forte tensione dura per tutto il mercoledì santo
dell'anno 386. Improvvisamente il giovedì santo, 2 aprile, il vescovo viene interrotto
dalla folla plaudente per la notizia che l'imperatore ha dato ordine di ritirare i
soldati, e di restituire le multe imposte ad alcune classi di cittadini in vista, che
sostenevano Ambrogio. Naturalmente sarebbe inesatto storicamente affermare che la causa di
tale cedimento sia spiegabile col solo favore popolare dimostrato dai milanesi verso il
loro vescovo. Considerazioni politiche hanno indotto Valentiniano II a desistere: il
timore di un attacco di Massimo, che gli aveva scritto minaccioso lamentando
l'inopportunità dei suoi assedi armati contro vescovi ortodossi, ed un probabile
intervento ammonitore dell'augusto orientale, Teodosio.


La caduta di Magno Massimo e l'affermarsi
dell'imperatore Teodosio

Base dell'obelisco di Teodosio a Istanbul rappresentante l'imperatore e
il suo seguito
Non ci resta ora, in questa sezione, che esporre brevemente le vicende storiche
che pongono fine sia al potere di Valentiniano II sia a quello di Massimo, e che culminano
con l'affermazione dell'egemonia di Teodosio. Con il suo comportamento filoariano il
giovanissimo imperatore, dotato per altro di scarsa personalità perché troppo dipendente
dalla madre, si è attirato la freddezza di Teodosio. Egli decide incautamente di
rivolgersi a Massimo, in occasione di alcune difficoltà sorte in Pannonia per
sommovimenti barbarici. Massimo coglie l'occasione tanto a lungo attesa di intervenire
militarmente in Italia. Introduce a tradimento le sue truppe in Italia approfittando di
una maldestra ambasceria di un personaggio tanto inetto quanto gradito all'imperatrice
Giustina. La sola presenza di Massimo e del suo esercito in Italia causa l'abbandono da
parte di Valentiniano della corte milanese. Egli non può che rivolgersi a Teodosio, al
quale viene offerta la figlia quindicenne di Giustina, in cambio di un intervento militare
contro Massimo. Teodosio in un primo momento non voleva affrontare Massimo, ma la nuova
prospettiva dinastica lo convince. Lo scontro non è difficile né particolarmente
cruento, ed ha luogo in Pannonia, dove Massimo è sconfitto a Poetovio e viene ucciso dai
suoi stessi soldati ad Aquileia il 28 agosto del 386. Frattanto muore anche Giustina
durante gli spostamenti militari necessari in Italia per creare un diversivo al fronte
principale pannonico. Teodosio resta per l'ultima volta nella storia l'unico sovrano di
tutto l'impero. Valentiniano II ha diciassette anni ed è nominato augusto nelle Gallie,
con un potere più nominale che effettivo. Teodosio ha un figlio undicenne, Arcadio, che
lascia in Oriente come signore nominale dei suoi ex possedimenti. Teodosio stabilisce la
sede del suo nuovo potere proprio a Milano, e vi soggiorna ininterrottamente per quasi tre
anni, dall'ottobre 388 alla metà di aprile del 391. E' questo il momento del culmine del
potere e dell'influenza di Ambrogio, che intratterrà con il nuovo Augusto un rapporto
continuo e ricco di proficui scambi, ma caratterizzato sempre dalla sua rinnovata
autorità di vescovo e pastore di fedeli.
