IMPARARE DALL'ESPERIENZA Imparare dall'esperienza, ecco un altro compito che si richiede ad una entità che si candidi come intelligente. Ma, banalizzando, una volta registrato il nome del mio fornaio nella memoria magnetica, il mio personal computer è in grado di rispondermi alla richiesta: "dimmi come si chiama il mio fornaio". La macchina ha imparato il nome, se lo ricorda e risponde puntualmente alla richiesta opportunamente codificata. Non è questo tipo di apprendimento che ci interessa, mi verrà risposto da autorevoli interlocutori, eppure, in nuce, il problema, a ben guardare, è riassunto dall'esempio precedente: occorre la registrazione e la memorizzazione della nuova informazione. Ma come è possibile generare una informazione del tutto nuova? Come fa un'informazione ad essere nuova e in che senso lo è? Come possiamo comprendere una informazione nuova? Se qualcuno mi dicesse una parola nuova dovrei chiedergli di illustrarmela poiché la capirei solamente in relazione ad altre parole - che già conosco - ad essa correlate. Solo in questo modo riiuscirei ad apprendere una nuova parola: inserendola in un contesto di relazioni, di significati e di immagini che con essa hanno a che fare: una concomitanza di eventi e di sincronizzazioni. Resta comunque vero che la registrazione dell'informazione è alla base dell'apprendimento della stessa. Un sistema di rappresentazioni formali automodificantesi con l'esperienza potrebbe essere la base per programmi di apprendimento nel settore dell'elaborazione automatica dell'informazione. La costruzione di modelli astratti a partire da rappresentazioni concrete degli oggetti rappresentati, potrebbe essere la base per la realizzazione di un'intelligenza più vicina ai nostri criteri di intelligenza umana. Come facciamo noi ad astrarre dall'esperienza le nostre teorie sul mondo? In che modo procediamo tra l'incertezza ed imprecisione dei nostri canali sensoriali e le perfette realizzazioni intellettuali assolutamente astratte? Uno degli aspetti che ci piacerebbe avesse un computer intelligente consiste nella comprensione del linguaggio parlato, ancor meglio se sapesse rispondere a domande oppure mostrasse una certa comprensione di storie che via via gli raccontiamo. In una certa misura, il linguaggio che utilizziamo ai nostri giorni per interagire con un calcolatore è composto da parole della lingua inglese ed esistono già alcuni programmi in grado di manipolare con una certa efficacia frasi e proposizioni, anche se siamo ancora lontani dal poter utilizzare una lingua naturale come l'inglese per interagire con un calcolatore. Il computer interpreta solo alcune parole, comandi che, digitati attraverso una tastiera, possono essere correttamente riconosciuti ed eseguiti. Il canale di trasmissione consiste appunto in una tastiera, che di per sé potrebbe generare qualsiasi frase in un linguaggio naturale corrente, ma che risulta limitata nella sintassi da una serie di combinazioni, relativamente alle quali il calcolatore è programmato a rispondere nel modo giusto. Ci piacerebbe poter colloquiare con il nostro linguaggio naturale, poter dire: "ciao calcolatore, come stai?" e sentirci magari rispondere: "bene, grazie, a che progetto lavoriamo oggi?". Non è difficile programmare un calcolatore per ottenere una risposta di questo tipo all'inizio, ma il difficile è poter continuare il lavoro su questo tono per tutte le funzionalità che desideriamo; ben presto il calcolatore non ci comprende più, non tiene il passo e comincia a rispondere "comando errato". Certamente una elaborazione di frasi, sintassi, grammatica e semantica è ancora al di fuori delle capacità di un sistema operativo commerciale (per ora almeno), è più sbrigativo definire le operazioni più usuali con brevi parole che identificano direttamente il comando che vogliamo far eseguire al calcolatore piuttosto di sovraccaricare con inutili chiacchiere il colloquio. In linea di principio, però, la cosa non sembra impossibile. Occorre dire anche che colloquiare con un linguaggio più stringato e funzionale a volte presenta certi vantaggi proprio dal punto di vista umano: la verbosità di un linguaggio naturale, infatti, renderebbe lunga e difficoltosa la comunicazione rispetto a ciò che desideriamo far fare all'elaboratore, anche perché inevitabilmente desideriamo eseguire relativamente pochi programmi e non scegliamo un computer per conversare sui nostri ultimi acquisti o su problemi filosofici. Oscar Bettelli © 1997 Oscar Bettelli - © 1998 ARPA Publishing. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
di: Oscar Bettelli
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