Connect!

IL CESPUGLIO
di: Marcella Favale

C’era una volta, in un regno tanto lontano, un Re.
Egli era molto ricco e potente.
Aveva palazzi di giada e giardini di sole.
Aveva ponti di alabastro e strade di pietra.
Aveva colli di zaffiri e valli di fiori.
Aveva un figlio.
Il giovane principe era forte come la montagna in primavera, bello come una foglia umida di rugiada, saggio come un vecchio mago.
Costui era la speranza del regno e del re suo padre, che un giorno gli disse :
"Figlio mio, tutti noi nel regno, i sudditi, tua madre ed io vogliamo la tua felicità, perciò abbiamo deciso che devi prendere moglie.
Non importa chi sceglierai, purchè tu assicuri la discendenza alla famiglia reale e ti decida subito ".
Il principe obbedì prontamente, da figliolo savio e giudizioso che era, e si mise in viaggio per cercarsi una sposa.
Attraversò una valle, cento fanciulle gli furono presentate,
ma nessuna di esse gli parve degna.
Attraversò un monte, mille fanciulle gli furono mostrate, ma nessuna di esse gli parve degna.
Attraversò un bosco,
nessuno pareva vi abitasse.
Stanco del viaggiare il principe si sdraiò a riposare.
Ed ecco che mentre era in quello stato che precede il sonno ristoratore, sentì un fruscio.
Si drizzò immediatamente, pronto ad affrontare un nemico o qualche bestia feroce.
Ma nessuno pareva avvicinarsi a lui, minaccioso.
Tuttavia, aguzzando lo sguardo in una piccola radura tra gli alberi, gli parve di scorgere una figura.
Stropicciandosi gli occhi tentò di aguzzare lo sguardo, il fitto fogliame gli impediva una chiara visuale.
La figura aveva l’aspetto di un essere umano.
Guardando un po’ più d’appresso si accorse che l’essere umano altri non pareva che una fanciulla.
Avvicinandosi quanto gli consentiva la prudenza, onde non intimorire la fragile creatura, il principe si accorse che si trattava di colei che aveva l’aspetto di una leggiadra creatura di incomparabile bellezza.
Ristette per qualche tempo a rimirarla, finchè ogni forma di lei, ogni curva, ogni sospiro gli si impressero nella mente.
Sopraggiungeva la notte, ed il principe, non riuscendo più a distinguere la sua amata, si ritirò nel castello.
Ma quella notte solo sogni di desiderio insoddisfatto tormentarono il principe.
Si figurava l’amata già regina di qualche altro regno, o contadina ritrosa che sarebbe scomparsa tra i fiori, o fata evanescente, non appartenente al regno dei vivi.
Il giorno dopo, tormentato ancora dai sogni notturni, il principe si recò nel medesimo bosco.
Attese invano tutto il giorno l’arrivo della sua amata.
Si figurò che poteva averlo veduto ed essere fuggita per il pudore.
Oppure che si fosse messa in viaggio per qualche lontano paese.
O che, approssimandosi la vita, si fosse rinchiusa in qualche buio monastero.
Si addormentò sfinito verso la fine del giorno.
Ma nell’ora del crepuscolo, una fitta nebbia scese sul bosco.
Risvegliandosi il principe, ed accostandosi all’albero da cui aveva il giorno innanzi osservato colei che sola regnava nel suo cuore, la scorse.
Quale fu la sua emozione!
Trattenne perfino il respiro, nel terrore di spaventarla e di perderla per sempre.
La figura sembrava più dolce ora.
Più flessibile, più graziosa.
Ad un certo punto gli parve di vedere ch’ella gli faceva un cenno con la mano.
Guardò meglio, credendo ad uno scherzo della sua vista malata d’amore.
Ma ecco, di nuovo, la creatura levò un braccio.
In segno di saluto ?
Di accoglienza ?
O semplicemente un invito a non aver timore ?
Il principe era senza fiato.
Si precipitò verso la dolce fanciulla.
Ma quando giunse nella radura ella era già scomparsa.
Si rimproverò la sua foga.
Di certo l’aveva intimorita.
Si gettò a terra, ai piedi di un cespuglio e pianse calde lacrime.
Sopraggiunta la notte rientrò al castello.
Ma quella notte nessun sogno venne a torturare la povera mente del principe.
Non un istante riuscì a chiudere gli occhi e a lasciarsi ristorare dal sonno benevolo.
Non poteva pensare ad altro che alla sua sposa, che un gesto intemperante gli aveva sottratto.
Ma si sarebbe fatto perdonare.
Le avrebbe lasciato un segno del suo lignaggio e fatto capire le sue intenzioni.
Se la figurava già col suo abito nuziale sedere accanto a lui sul trono.
Il giorno dopo si recò alla radura.
Infilò in uno dei rami del cespuglio che vi era nel mezzo un anello tempestato di gemme preziose.
Vi erano perle provenienti dalla luna.
Rubini dal sangue delle figlie di re.
Smeraldi dai laghi di montagna.
Poi il principe si nascose dietro il suo amico albero.
Attese l’intero giorno l’avvicinarsi della sua amata.
Se la figurò su un cocchio dorato, che salutava il popolo.
Quale luminosa sovrana !
Se la figurò sul trono, dispensare giustizia ai derelitti.
Quale incantevole benefattrice !
Se la figurò tra le cortine del letto nuziale.
Quale irresistibile sposa !
Mentre si figurava tutte queste belle cose, sopraggiunse il vento.
Un vento forte e implacabile.
Guardando verso la radura, in ansia per la sposa, la scorse.
In atto di sottrarre le vesti alla tempesta.
I capelli sciolti ondeggianti sul viso.
Sembrava stringesse al petto qualcosa.
Era di certo il suo anello.
Vedendolo aveva certamente compreso.
E accogliendo con gioia il suo avvenire di regina, voleva difendere con tutte le sue forze il prezioso pegno d’amore del futuro sposo.
Il principe si precipitò a soccorrere l’amata, pronto a dare la vita se fosse stato necessario per difenderla dalle crudeli forze della natura.
Ma quando giunse alla radura, il vento si era placato.
E nessuna traccia era rimasta nè dell’anello nè della fanciulla.
Essendo sopraggiunta la notte il principe tornò al castello.
Quella note le braccia delle coltri e del sonno amico accolsero il principe con calore.
Ormai ella l’amava.
Ne era certo.
Aveva accettato il pegno del suo amore.
Di più, aveva lottato, ponendo a rischio la sua stessa vita per difenderlo.
Evidentemente costei lo conosceva.
Aveva visto uno dei suoi ritratti.
Lo aveva scorto durante una battuta di caccia.
E forse lo amava già da anni.
Dalla prima volta.
E lui, sciocco insensibile non lo aveva mai saputo.
Ma ora l’attesa era terminata.
Sarebbe stata sua.
Per sempre.
Il giorno dopo il principe si recò all’amata radura.
Si sedette ai piedi del cespuglio e attese.
Attese un giorno, ma la sua sposa non venne.
Attese un mese, ma la sua sposa non venne.
Attese un anno ma la sua sposa non venne.
Alla fine si convinse, dopo essersi figurato tutte le ipotesi possibili, che solo una cosa poteva aver trattenuto la sua amata dal coronare il sogno di felicità così a lungo accarezzato.
Ella era morta.
Questa convinzione accorò tanto il principe che si uccise per il dolore, ai piedi di quello stesso cespuglio che gli aveva indicato il luogo esatto, calpestato dai leggeri piedini di colei che era perita senza conoscere la magnificenza del destino che le era riservato.
Fu sepolto in quella stessa radura.
E ancora oggi lo salutano affettuosi, da un ramo di un alto albero, ove il vento lo aveva scagliato, l’anello tempestato di perle di luna, di rubini di sangue, di zaffiri d’acqua.
E dolce, col suo movimento aggraziato, lo saluta il cespuglio, ogni volta che il vento ne scuote i rami,
come già fece in passato,
e come aveva sempre fatto,
e come avrebbe sempre fatto.

Marcella Favale


© 1998 Marcella Favale - © 1998 ARPA Publishing. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
La violazione del copyright e/o la copia illecita del materiale riprodotto in queste pagine, la diffusione non autorizzata dello stesso in qualunque forma contravviene alle normative vigenti sui diritti d'autore e sul copyright.