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di: Libero Costantino

Questo lavoro vuol prendere in considerazione una situazione particolare che è presente in varie occasioni, ma che nella sua mutevolezza ha uno svolgimento pressochè simile.

Il nuovo di per sè rappresenta sempre un passaggio da una condizione precedente, di norma già consolidata, ad una nuova che, per sua natura, pone l’individuo in una condizione d'instabilità.

É di questa instabilità che vorremmo parlare.

Una prima considerazione va fatta sulla dicotomia puer/senex.

Il senex 1 rappresenta la tradizione, l’istituito, il tempo, il lavoro, l’ordine, i limiti, l’apprendere, la storia, il sopravvivere e il resistere.

Il puer2 rappresenta il nuovo, l’errare improvvido, l’ascendere, il trasgressivo, lo stare fuori del tempo, il ferirsi, l’autodistruggersi. L’immagine del puer è strettamente legata a due concetti importanti: vagabondare e sanguinare. Il vagabondare indica la ricerca aperta verso qualcosa di cui sentiamo la mancanza. Rimanda quindi al desiderio e al doppio. Il sangue indica il prezzo da pagare per chi cerca il nuovo, ferendosi. Il sangue 2 richiama l’immagine di una pelle troppo sottile e quindi all’assenza di difese dalla verità giovanilmente ingenua ed aperta. Ma dal sangue che sgorga sbocciano splendidi fiori, così che quel sangue rappresenta il desiderio, la vita, la riparazione della ferita stessa, la capacità di donare e darsi alla vita.

L’esistenza umana 3 è ferita dal principio alla fine. In essa c’è una continua alternanza tra gli aspetti puer e quelli senex.

Ma di che natura è questa ferita?

La tesi che si vuol esporre è che qualsiasi condizione induca un uomo a superare un limite e creare del nuovo (delirio, amore, sogno) lo conduce in una condizione particolare, che ha a che fare con un’alterazione sensoriale e che si può racchiudere nel concetto di visione. Tutto ciò è in rapporto con gli aspetti transgenerazionali dell’individuo.

Il nuovo è in stretto rapporto con la seduzione.

La seduzione 4 designa uno spazio circolare particolare, quello del Me posto in relazione dell’Altro.
Un primo significato al termine seduzione è portare in disparte. "Sedurre" deriva dal latino
sed composto con ducere, dove il morfema sed sta per "a parte". Viene da pensare al nostro "sviare". Seducere significa dunque "condurre in disparte". L’individuo sedotto è catturato, sottratto ad un preciso ordine di significati, condotto "altrove", afferrato da una forza a cui non può opporre resistenza.

Ci si trova improvvisamente attratti da qualcosa che sta oltre il limite dell’usuale e la forza che ci attrae è particolarmente forte.

Per prima cosa 5 noi amiamo un quadro. Giacchè il colpo di fulmine ha bisogno del segno della sua subitaneità (che mi rende irresponsabile, sottoposto alla fatalità, travolto, rapito )6: e, fra tutte le combinazioni di oggetti, quello che sembra vedersi meglio per la prima volta è il quadro: improvvisamente si apre un sipario: ciò che non era stato ancora mai visto viene scoperto per intero 7, e da quel momento divorato con gli occhi: l’immediato vale per il tutto: io sono iniziato 8: il quadro consacra l’oggetto che io amerò. 9

Ecco che si intravede il primo conflitto. Scorgiamo un qualcosa di luccicante e perturbante che ci attira in maniera decisiva: l’immediato vale per il tutto. Solo che, trovandosi oltre il limite, scatena dei sentimenti contrari che fanno riferimento alla vergogna e al senso di colpa. Il desiderio tradisce una natura diversa da quella che noi supponiamo avere. L’oggetto luccicante (lo specchio) evoca qualcosa che io riesco a stento a capire, e per tale motivo è perturbante.

Quindi la situazione gruppoanalitica 10 fa si che l'aspetto riflessivo dell'icona divenga un aspetto inquietante. La caratteristica del mirroring, del riflettersi nei contenuti, è inquietante, come può esserlo l'icona del gruppo familiare o un gruppo di personaggi sconosciuti. Si può sognare il padre, la madre, i fratelli, la famiglia nella sua interezza, dei gruppi di persone estranee, ma questo gruppo rappresenta la dimensione riflessiva dell'icona che trasforma in mirroring i contenuti, i quali assumono una dimensione ambivalente ed inquietante. Perchè condivisi da tutti hanno un valore familiare, instaurando così una moneta comune. La famiglia 11 è una moneta comune molto forte, tutte le strutture accomunanti hanno una moneta comune, e quindi il riflettersi del gruppo in se stesso come famiglia ma anche come persone mai conosciute. Qui c'è la riflessione dell'inconscio chiamata da Freud perturbante. Il rimosso può apparire improvvisamente sotto forma familiare o perturbante ma anche sconosciuto, misterioso. Questa dimensione inquietante è la prima personazione del rimosso. Il mirroring appare in tutto il suo aspetto perchè come se improvvisamente l'attività riflessiva dell'icona facesse apparire il gruppo come uno specchio, dove tutti si riflettono, ma non è detto che vedano gli stessi personaggi. Può darsi che nello specchio appaia qualcosa che non c'era, come il famoso quadro che sta a Madrid dove nello specchio c'è un personaggio in più che non appartiene al mondo reale. Questo fenomeno di riflessione, di sdoppiamento del gruppo in uno specchio, di procedere sdoppiato, crea un doppio. Ovviamente essendo un doppio i contenuti sono uguali per tutti, perchè il gruppo è il doppio di tutti. Le caratteristiche principali del doppio come apparizione perturbante del rimosso sono due: la sessualità e la malattia. Il doppio è quello più inquietante perchè la sua natura è quella dell'incesto, e quindi il doppio è una famiglia incestuosa, è la famiglia di Tebe. Edipo non fa altro che andare nel doppio quando torna a Tebe. La famiglia di Tebe è il doppio della famiglia di Corinto, la famiglia di Tebe è il contenuto latente della famiglia di Corinto. Edipo va nel suo doppio, Laio è il suo doppio, è questo fantasma omosessuale inglobante, è un orco, è mangiato dal suo doppio. Il doppio è una sessualità incestuosa, orale perchè orco, anale perchè è fatta di sterco come il demonio, fallica perchè seduttiva, perchè possiede, ma nello stesso tempo è malato, abita in un corpo malato, perchè il doppio possiede, è un vampiro senza corpo, è il mistero della malattia che diviene immagine pura.

L’oggetto oltre il limite rimanda a qualcosa di importante: posso entrare in contatto con una parte di me che sta oltre il confine, ma di contro c’è il pericolo che questa parte mi "possegga".

Sedurre 12 significa innanzi tutto insediarsi stabilmente nell’immaginario altrui. Ciò è dimostrato a suo modo dall’uso del verbo "conquistare. [...] L’altro deve essere conquistato.

La lingua (il vocabolario) 13 ha enunciato da un pezzo l’equivalenza tra l’amore e la guerra: in entrambi i casi si tratta di conquistare, rapire, catturare, ecc. Ogniqualvolta un soggetto "cade" innamorato, esso rivive un po’ del tempo arcaico, quando gli uomini dovevano rapire le donne (per garantire l’esogamia).

Per sentirci uniti e vivi dobbiamo compiere una rapina, un delitto. Immediatamente ci troviamo in contatto con i miti più profondi ed antichi dell’uomo. Sono i miti dell’origine e del tradimento della legge primaria, condensata nel peccato originale.

L’uomo 14 arcaico vince la morte vivendo la vita dei suoi antenati trapassati. Come Eliade spiega brillantemente, la vita profana (reale) è sopraffatta dall’assimilazione agli archetipi ancestrali: ciò che noi facciamo ora è soltanto una ripetizione di quel che essi hanno fatto allora. Questo è lo schema dell’eterno ritorno. Per questo la società arcaica non ha una vera e propria storia; e all’interno della società arcaica non esiste alcuna individualità: essa si afferma operando una rottura con gli archetipi ancestrali e creando così la storia 15. L’immortalità, il desiderio di essere padre di se stesso, si ottiene con l’immersione nel serbatoio delle anime degli avi, dal quale nasce e al quale ritorna ogni generazione.

Tradire l’origine produce storia, la mia storia, il mio tragitto. Il peccato originale apre all’uomo la possibilità di entrare nel tempo e nella storia.

La matrice 16 si esplicita nella storia: è infatti nella dimensione adolescenziale del puer-senex che il tempo virtuale aprendosi ad un futuro, implica la messa in crisi dell’eternità del livello transgenerazionale del transpersonale. La ferita come amore è proprio il trauma di una fine dell’eternità, intendendo per eternità la durata di ciò che è, per definizione, immutabile e quindi esente da progettualità: fuori dalla storia. L’amore è necessariamente castrazione, vissuta inevitabilmente nel corpo: in Giulietta e Romeo di Shakespeare è stupendamente messa in scena la catastroficità del progetto d’amore rispetto all’onnipotenza transgenerazionale dei Montecchi e dei Capuleti.

Ecco allora che il luogo della ferita diviene più chiaro. La ferita è nel transgenerazionale. Il nuovo, sia che si chiami amore, sogno o delirio, apre una breccia nel senex, nel trans, rompendo il concetto d'immortalità e dell’eterno ritorno. Io non sono più ciò che è stato mio padre, ma impadronendomi della mia storia apro una nuova strada, diversa da quella del passato. Ciò indica anche la profondità e la qualità della ferita:

Il colpo di fulmine 17 è un’ipnosi: io sono affascinato da un’immagine: prima scosso, elettrizzato, messo in fermento, rivoltato, "galvanizzato", come lo era Mennone da Socrate, modello degli oggetti animati, delle immagini seducenti, o anche convertito da un’apparizione, dato che niente distingue la via dell’innamoramento dalla via di Damasco; e dopo impaniato 18, appiattito, immobilizzato, con il naso schiacciato contro l’immagine (lo specchio).

La profondità della ferita mi fa reagire con vari meccanismi di difesa. Posso negare il tutto e ritornare nell’alveo della tradizione abbandonando ogni velleità individuale. Oppure non torno indietro, ma come Ulisse al cospetto delle sirene, ho bisogno di essere in qualche modo contenuto, protetto. Allora per difendermi dalla visione di tutto ciò m'intorpidisco, m'ipnotizzo, entro in uno stato d'alterazione sensoriale, sono impaniato. Rallento i miei pensieri, tento di bloccare il vortice che inizia a cingermi d’assedio. Restringo il campo della mia coscienza. Nella Bouffèe delirante il campo della coscienza è estremamente ristretto. I nostri sistemi di difesa iniziano ad essere messi irrimediabilmente in crisi. Improvvisamente i nostri punti di riferimento cambiano. Siccome abbiamo poche possibilità di rappresentare dentro di noi il nostro disagio, il nostro essere diversi, ecco allora che proiettiamo all’esterno lo sconvolgimento interno, sia per liberarcene, sia per poterlo osservare nella sua natura 19. Ciò che accade è in stretto rapporto all’immediato che vale per il tutto. è il sistema nella sua interezza ad essere messo in crisi. Per spiegare ciò che accade dobbiamo far riferimento al sovrapersonale, in quanto esso viene investito dalla rappresentazione e messo in crisi svelando i suoi aspetti ambivalenti: contiene costringendo. La logica che ha caratterizzato l’impalcatura spazio/temporale, istituzionale del soggetto crolla e due elementi essenziali del sovrapersonale entrano in crisi: il Linguaggio e la Storia.

Il linguaggio ci trascende.

Come istituzione sociale 20, essa non è per nulla un atto, e sfugge a qualsiasi premeditazione. L’individuo non può, da solo, nè crearla nè modificarla, poichè essa è essenzialmente un contratto collettivo, al quale ci dobbiamo sottomettere globalmente se vogliamo comunicare. Inoltre questo prodotto sociale è autonomo, alla stregua di un gioco dotato di regole proprie, giacchè non se ne può fruire se non in seguito ad un processo di apprendimento [...] La lingua 21 è il tesoro depositato dalla pratica della Parola nei soggetti che appartengono ad una medesima comunità, e, poichè è una somma collettiva di impronte individuali, al livello di ogni individuo isolato essa non può essere che incompleta: la Lingua non esiste perfettamente se non nella "massa parlante"; si può utilizzare una parola solo se la si preleva nella lingua.

Il linguaggio ci comprende e fin quando siamo compresi in lui pensiamo secondo la modalità con la quale si è costituito. La Storia è strettamente legata al Linguaggio. La Storia è il racconto di ciò che avviene nei confini delimitati dal Linguaggio. è esplicativo osservare il rapporto stretto esistente tra linguaggio e storia leggendo un racconto fantastico, dal titolo Flatlandia, scritto nel 1882 da Edwin A. Abbott. Il protagonista del racconto è un rettangolo che vive in un mondo a due dimensioni. L’autore, giocando sulle regole della geometria piana, descrive il modo di vivere dei poligoni a due dimensioni. è un mondo "piatto", dove si possono percepire solo i perimetri esterni dei poligoni e ogni forma non è altro che una linea di varia grandezza più o meno sfumata agli estremi. Con il tempo si è sviluppato tutta una tecnica per capire la natura di un poligono, per differenziare un soggetto a 5, 6 o 50 lati di perimetro. Più lati si possedeva più si era in alto nella scala sociale. Essendo poligoni chiusi non si poteva vedere il "dentro", ma solo l’esterno. Che succede quando una sfera, inviata dal mondo a tre dimensioni, invade il mondo a due dimensioni e appare al nostro povero quadrato? è lo sgomento puro. Tutte le regole del mondo a due dimensioni sono improvvisamente spazzate via ed un nuovo mondo, una nuova dimensione s'impone alla nostra coscienza. Il nostro linguaggio e la nostra storia vengono meno, siamo completamente disorientati; le nostre parole, i nostri concetti non bastano più per "comprendere" la realtà. è la reazione che di norma si ha quando qualcosa di molto forte ci colpisce. Balbettiamo parole disarticolate, la realtà ci appare strana, abbiamo le vertigini e le visioni.

Non esiste 22 un reale in sè: il reale non è che il risultato del lavoro della censura. D’altra parte questo reale viene accettato in cambio della protezione che il censore accorda contro la follia (e l’anormalità in genere). [...] Un’attenuazione controllata della censura genera il sogno; un indebolimento socialmente consentito genera il lapsus; un allentamento incontrollato ed indisciplinato genera la follia e l’anormalità. [...] Il reale non è che il risultato del lavoro della censura sulle pulsioni. Questo lavoro viene "scoperto" da Freud nel corso della sua analisi sull’isteria.

Il filtro della censura viene messo in crisi e subito abbiamo una ricaduta sulla realtà, che appare diversa e sfilacciata.

Nella postfazione al libro c’è un saggio molto interessante, intitolato "Un luogo è un linguaggio" scritto da Giorgio Manganelli. Egli parla del linguaggio in termini repressivi e terroristici.

Il linguaggio ha una fatale vocazione a porsi come definitivo, come "realtà", e quindi la sua cattiva coscienza. Per reggere le proprie membra, esso ricorre a due armi: al terrorismo e all’eufemismo 23. Cioè allo Stato e alla Storia. La società di Flatlandia è terroristica; la sua crudeltà è logica, pacata, fondata su buoni argomenti, infine del tutto naturale. Enuncia i presupposti 24, deduce; esemplifica talora con aneddoti, talora con disegni. Applicato al mondo fantastico e coerente della Flatlandia, il didattico ha un effetto ironico allucinatorio. Il "come se" linguistico agisce al livello della gentile ed argomentativa follia. Quando ci viene spiegato, con disegni, in qual modo i Poligoni giungono a riconoscersi, noi avvertiamo che la tensione ironica è tutt’uno con la compattezza logica dell’argomentazione. "Aver ragione" è la naturale vocazione della follia.

Il linguaggio delimita uno spazio logico dove avvengono delle cose che istituiscono un tragitto, tracciano un solco, una Storia. Ma questa storia è strettamente legata a quel contesto preciso, sta dentro quel solco che ha fondato la Polis. Se il limite viene messo in crisi da qualcosa che apparentemente viene dall’esterno, ma che ci prende "dentro", si ha la netta sensazione di un crollo improvviso. è come se le mura della città venissero meno. La Storia che aveva dato senso a quel tipo d'istituzione improvvisamente va in pezzi.

La storia è il supremo eufemismo, appartiene alla stessa categoria della parola "pudende". Come tale genera eufemismi di infiniti gradi e forme: oratorii, religiosi, filosofici, dottrinari.

La Storia diviene un appesantimento, una sorta di pietrificazione, che c'impedisce di essere diversi. è il transgenerazionale che fa sentire il suo peso, la propria presenza. Se non viene riattualizzato adesso, nel qui ed ora, il transgenerazionale diviene una sacralità muta, malata, che non comunica. Jung affermava che nel nostro tempo "le 25 divinità sono divenute malattie".

Riattualizzare il transgenerazionale non è facile da fare. Le difficoltà sono quelle che abbiamo sin ora descritto. Bisogna costruire un ponte, un passaggio tra il me e l’Altro che vive in me e tramite me.

Nella vita ci sono diverse condizioni che possono indurci a far ciò. La mia idea di fondo è che l’amore, il sogno e la Bouffèe delirante si assomigliano molto. Esse rappresentano un’esperienza limite nella storia di un soggetto. Tutte queste condizioni ci portano al cospetto del nostro doppio e del nostro transgenerazionale. E ci troviamo di fronte a qualcosa di osceno che è intrinseco in tutte e tre le condizioni.

Tutto 26 ciò che è anacronistico è osceno. Come divinità (moderna), la Storia è repressiva; la Storia ci proibisce di essere inattuali. Del passato, noi sopportiamo solo le rovine, i monumenti, il kitsch o il rètro, che è divertente. Il sentimento amoroso è antiquato, ma questo essere fuori moda non può neppure essere recuperato come spettacolo: l’amore cade fuori del tempo interessante; nessun significato storico, polemico, può essergli dato; la sua oscenità sta in questo.

Come l’amore anche la malattia psichica è "oscena" e come tale viene sempre trattata. Anche i sogni lo sono.

Si è parlato 27 della cattiva coscienza del linguaggio: ciascun linguaggio "sa" che altri sistemi linguistici sfidano la sua totalità; come infiniti possibili "come se" si pongono come alternativi; che in qualche modo occupano tutti il medesimo spazio. Dunque, essi sono legati da un conflitto formale, irresolvibile. Donde la lucidità tragica di questa condizione.

è come nell’immagine di Rubin, dove si può vedere o il vaso o i visi, mai entrambi contemporaneamente. Questa condizione viene di norma vissuta come una scissione, un'incapacità a vivere la sua compresenza. Quanto più la nostra struttura caratteriale è rigida, tanto più sentiamo la frattura. Con il passaggio da una dimensione ad un’altra si scopre il lato violento dell’organizzazione istituzionale/sovrapersonale.

Al tema 28 del linguaggio che si finge unico, e dalla propria finzione genera la menzogna della storia, si contrappone il momento antistorico della pluralità dei linguaggi 29. Al problema dello stare dentro un unico universo, si contrappone l’eroico problema del passaggio da uno ad un altro universo.
Il trapasso da un gioco ad altro alternativo e incompatibile col primo, il transito da un sistema ad un altro che per definizione può solo abolire il primo è la situazione di questi capitoli 30: una situazione per definizione impossibile. Se il linguaggio si regge terroristicamente, se i suoi confini sono così aspramente definiti, se è insieme effimero ed eterno, ciò comporta che da linguaggio a linguaggio non vi sia spazio per un percorso dialettico, nè alcuna possibilità di deduzione. Il passaggio dall’uno all’altro potrà avvenire solo con un atto di
violenza. Questa violenza, irruzione di un universo all’interno di un altro universo, questo trapasso incoerente e mortale è la visione.

Ho 31 sempre visto nella "scenata" (domestica) una esperienza pura della violenza, al punto che, dovunque la sente, gli fa sempre paura, come un bambino terrorizzato dai litigi dei genitori.
Se la scenata ha una risonanza così grave, è perchè mette a nudo il cancro del linguaggio. Il linguaggio è impotente a fermare il linguaggio, questo dice la scenata: le risposte si generano senza conclusione possibile, se non quella dell’omicidio; ed è perchè la scenata è tesa tutta verso quest’ultima violenza, che non raggiunge però mai (almeno tra gente "civilizzata"), che è una violenza essenziale, una violenza che gode nell’attuarsi: terribile e ridicola.
(Passando al teatro, la scenata si addomestica: il teatro la
opacizza, imponendole di finire: un arresto del linguaggio è la più grande violenza che si possa fare alla violenza del linguaggio).

Scompare l’eufemismo 32, e il linguaggio acquista coloriture volta a volta cerimoniali, profetiche, bibliche. Troviamo patetismi oratorii, accenti devozionali, appunti da sermone, sacre invettive........

Il linguaggio diviene pesante, retorico, inutile e nello stesso tempo violento, di una violenza "rivelata". è la violenza della ferita, che lacera, che scopre i nostri limiti e da cui ci si difende solo negando. è il terrore espresso dal soggetto in preda al delirio caratteristico della bouffèe delirante. Egli vede il mondo intorno a sè crollare, irrimediabilmente. La propria coscienza fa la spola tra la logica del pensiero delirante e la coscienza precedente. Si adagia nella nuova "visione" e ne rifugge inorridito, il tutto in uno "stato confusionale" molto vicino ad un’alterazione organica dell’apparato psichico.

C’è una differenza sostanziale tra l’innamorato ed il folle, nonostante le tante similitudini:

Talvolta 33 il mondo mi appare irreale (io lo esprimo in un modo diverso), talaltra mi appare de-reale (io lo esprimo con difficoltà).

Non è (si dice) la stessa riduzione di realtà. Nel primo caso, il rifiuto che io oppongo alla realtà si estrinseca attraverso una fantasia: tutto ciò che mi circonda muta di valore rispetto ad una funzione, che è poi l’Immaginario; l’innamorato si separa quindi dal mondo, lo irrealizza perchè, su un altro versante, fantasmatizza le peripezie o le utopie del suo amore; si abbandona all’Immagine e, di conseguenza, tutto ciò che è "reale" lo infastidisce. Anche nel secondo caso vi è una perdita di contatto col reale, ma qui nessuna sostituzione immaginaria viene a compensare la perdita: seduto davanti al manifesto di Coluche, io non "sogno" niente (neanche l’altro); anzi, non sono più nemmeno nell’Immaginario. Tutto è cristallizzato, pietrificato, immutabile, cioè insostituibile: l’Immaginario è (temporaneamente) proscritto. Nel primo caso, sono nevrotizzato, io irrealizzo; nel secondo caso, sono pazzo, io de-realizzo.

Fatta salva questa necessaria distinzione, il dolore profondo che il superamento del limite comporta caratterizza l’essere umano.

Il "soggetto" è per noi 34 (dal cristianesimo in poi?) colui che soffre: laddove c’è dolore, c’è soggetto: die Wunde! Die Wunde! [la ferita!] dice Parsifal, diventando in tal modo "lui stesso"; e più la ferita è aperta, al centro del corpo ("nel cuore"), più il soggetto diventa soggetto: poichè il soggetto è l’intimità ("La ferita [...] è d’una intimità spaventosa"). Tale è la ferita d’amore: una piaga radicale (alle "radici" dell’essere) che non riesce a richiudersi, e da cui il soggetto scola via, componendosi come soggetto proprio di questo fluire.

Eppure la nuova soggettività deve passare in questo spazio angusto e pericoloso della "visione". è un rischio che bisogna correre.

La visione ha a che fare con la "verità". "Ciò 35 che tutti gli altri considerano "obiettivo", è da me considerato fattizio, e ciò che loro considerano follia, inganno, errore, è da me considerato verità. La sensazione di verità va curiosamente a situarsi proprio nelle pieghe più recondite dell’illusione. L’illusione si spoglia dei suoi orpelli e diventa così pura che, come un metallo primordiale, niente può più alterarla: eccola dunque diventata indistruttibile...... Spostamento: non è la verità ad essere vera, è il rapporto con l’illusione che diventa vero. Per essere nel vero, è sufficiente che io mi fissi su una cosa: se un’"illusione" viene riaffermata all’infinito, a dispetto di tutto, quell’illusione diviene verità 36. (Resta da sapere se, in fin dei conti, nell’amore passione vi sia poi un briciolo di verità.... vera). La verità sarebbe ciò che, essendo stato tolto, lascerebbe scoperta solo più la morte (in altre parole: la vita non varrebbe più la pena di essere vissuta).

La vita, la morte. Diveniamo soggetti solo quando scopriamo la nostra finitezza, solo quando possiamo toccare con mano come la Storia è un qualcosa di parziale, di transitorio in un preciso contesto, e che il linguaggio non è unico ma uno tra molti. Alla stessa stregua anche noi non siamo unici, ma una tra le infinite combinazioni possibili. Questa convinzione se ben recepita può darci la possibilità di impadronirci delle nostre parti istituzionali, sovrapersonali, per permetterci di modulare la propria vita verso n dimensioni. Ma il passaggio è sempre impervio.

La sofferenza 37 vera la conosciamo solo in queste occasioni , è una scoperta, una rivelazione: ora sappiamo che è l’unica cosa certa, e pensiamo che essa non possa aver fine, esattamente come fino a poco tempo fa pensavamo che non potesse finire l’amore.

 

 


Note

  1. Hillman, J. Saggi sul puer, Cortina Editore, 1988, pag. 13.

  2. Hillman, J. ibidem, pag. 34.

  3. Hillman, J. ibidem, pag. 36.

  4. Carotenuto, A. Riti e miti della seduzione, Bompiani, 1994, pag. 2.

  5. Barthes, R. Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, 1979, pag. 165.

  6. Umore delirante.

  7. Opera d’arte/complessità.

  8. Convinzione delirante.

  9. Il quadro è dunque sempre visivo? No. Esso può essere anche sonoro, il contorno può essere di natura linguistica: io posso innamorarmi di una frase che mi viene detta: e non solo perchè mi dice qualcosa che accende il mio desiderio, ma altresì a causa del suo aspetto (del suo contorno) sintattico, che s’insedierà dentro di me come un ricordo.

  10. Menarini, R. Il Sogno nella situazione di Gruppo, comunicazione ai soci SIPAG.

  11. Altra caratteristica del puer è "un’esagerata costellazione parentale (l’incapacità della figura divina di vivere in una situazione umana senza divinizzare o demonizzare i genitori reali)". Hillman, ibidem, pag. 12.

  12. Carotenuto, A. Riti e miti ...., pag. 145.

  13. Barthes, R. Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, 1979, pag. 162.

  14. Brown, N. O. La vita contro la morte, Adelphi, 1964, pag. 320.

  15. In questo si inserisce anche l’importanza dell’amore. Esso, con la sua seduzione, conduce fuori dal corso naturale del transgenerazionale, creando storia. Vedi in Carotenuto, Eros e Pathos, pag. 27.

  16. Menarini, R. et Altri, in La psicodinamica dei gruppi, a cura di F. Di Maria e G. Lo Verso, Cortina Editore, 1995, pag. 212.

  17. R. Barthes, Frammenti..., pag. 163.

  18. Impaniare: Spalmato di pania o preso alla pania (sostanza vischiosa ottenuta dai frutti di alcune piante delle Lorantacee e part. del vischio).
    fig. Di persona, ritrovarsi in una situazione apparentemente senza via d'uscita.
    fig. Allettamento o imprigionamento amoroso; inganno, raggiro. -etim- Latino pa(g)ina nel senso di `pergola' passato a significare 'bastoncino invischiato'. Dizionario Devoto-Oli, (c)1990, Casa Editrice Felice Le Monnier S.p.A., Firenze

  19. Altro aspetto della Bouffèe: la sensazione di fine imminente del mondo, collegata all’umore disforico.

  20. Barthes, R. Elementi di semeiotica, Einaudi, 1966, pag. 17.

  21. Ibidem, pag. 19.

  22. Fontana, A. Censura, voce dell’Enciclopedia Einaudi, vol. 2, pag. 888.

  23. Usare buone parole, sostituendole ad altre più crude. Dal greco euphemismós, derivato di euphemízo "dire parole di buon augurio". Evidentemente fa riferimento all’arte oratoria legata alla politica. Ed ancora alla seduzione bi-direzionale tra bambino ed adulto.

  24. Aula di tribunale.

  25. Jung, C. G., CW 13, par. 54, pag. 37.

  26. Barthes, R. Frammenti di un discorso amoroso, pag. 150.

  27. Manganelli, G. Un luogo è un linguaggio, post-fazione di Abbott, E. A. Flatlandia, pag. 161.

  28. Manganelli, G. ibidem, pag. 161.

  29. Babele. Il rito di passaggio è una Torre di Babele.

  30. Bouffeè delirante: incapacità di mediare il passaggio.

  31. Barthes, R. Barthes di Roland Barthes, pg. 180.

  32. Manganelli, G. ibidem, pag. 161.

  33. Barthes, R. Frammenti di un discorso amoroso, pag. 74.

  34. Barthes, R. Frammenti di un discorso amoroso, pag. 162.

  35. Barthes, R. Frammenti di un discorso amoroso, pg. 209.

  36. Questa potrebbe essere la nascita di una credenza o di un mito. Un’idea fondante una comunità, o qualcosa di simile, raccontato continuamente nel transpersonale diviene mito d’origine, mito fondatore.

  37. Carotenuto, A. Eros, pg. 96.

Libero Costantino


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