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RICORDI D'AFRICA
di: Miranda Baudino Tamagnini



Quell'estate dalla Malaysia dove vivevamo, andammo in Italia e trovai mamma molto invecchiata, doveva aver pure subito un colpetto. Il cane Simba, fedele compagno di tanti anni, era stato abbattuto e immagino quanto la mamma soffrì per essere stata privata della sua compagnia, ma non c'era più nessuno che potesse accudirlo.
Per riprenderci da tanta tristezza, pensammo di andare a trovare Stefano, nostro figlio maggiore, che da due anni lavorava in Somalia.
Da quel paese, nel quale eravamo vissuti tutta una vita, mancavamo da cinque anni.
Già dall'aeroporto fummo circondati da squadre di "iersuk" che chiedevano "bakscish", urlando: "Ti guardato macchina, dare soldi, abbawos!!" Stefano ne prese uno quasi a sberle per allontanarlo dalla macchina. "Daie, ci risiamo!!" mi dissi.
La strada che conduceva in città era fiancheggiata dalle solite catapecchie fatte di stracci, pezzi di cartone e lamiere ma cinque anni prima erano poche. Ora interi villaggi. L'idea della miseria più nera ti prendeva subito allo stomaco. Le strade erano piene di voragini e il disordine delle costruzioni scrostate, delle stente e biancastre casuarine, dei fili volanti della luce e del telefono davano conferma del degrado più totale. I vigili, che avrebbero dovuto smistare il traffico perché i semafori pendevano senza vita, stavano appostati agli angoli delle strade per estorcere soldi con la scusa di qualche infrazione, d'altronde come avrebbero potuto sopravvivere con le loro famiglie con un salario equivalente a quattro o cinque dollari al mese?
Guardavo mio figlio, allegro, perfettamente a suo agio e in gran forma. Ma il pensiero di saperlo in un paese come quello mi dava tanto sconforto.
Andammo alla Baia X ad un campo di tende ben organizzato da un nostro amico italiano e per tre giorni rivivemmo al mare altri tempi felici.
L'isoletta della Tomba del Santone in bassa marea con le grandi pozze di acqua trasparente, circondate da rocce brune che si stagliano sulla spiaggia bianca, i voli di migliaia di gabbiani che coprono il sole, la spuma candida delle ondate che si frangono sugli scogli. Tutto era rimasto intatto e la bellezza della natura faceva ancor più risaltare la miseria e la sporcizia di pochi chilometri indietro.
"La Casa d'Italia", solito ritrovo degli italiani, mi metteva una gran tristezza. Avevo l'impressione di essere circondata da zombi: il tempo e le intemperie avevano scavato, lasciando su di loro un velo polveroso di cose antiche e abbandonate. Anche per noi erano passati cinque anni, ma avevamo vissuto in Italia e in Malesia, fatto viaggi per mezzo mondo, visto posti nuovi, conosciuto gente nuova. Loro sempre li, seduti a quei tavoli, su quelle stesse sedie a ripetersi le stesse cose.
Quando ripartimmo fu un'avventura da comica di Ridolini!
Avevamo incontrato giorni prima il Comandante somalo dell'INTERPOL, nostro vecchio amico. "Venite a cena da me la sera della partenza, casa mia è vicina all'aeroporto, manderò io qualcuno con i bagagli per le formalità doganali e potrete starvene tranquilli fino a qualche minuto prima dell'imbarco."
Accettammo e tutto andò bene fino ad un certo punto. Bellissima villa, compagnia simpatica e ottimi sambusi.
Quando fu l'ora mio marito partì con una macchina, Stefano, mia figlia Chiara e io con un'altra e prendemmo una scorciatoia che, a detta di Stefano, ci avrebbe fatto risparmiare qualche minuto. Invece ci impantanammo in una buca piena d'acqua e....restammo bloccati. Il tempo incalzava e dovemmo ritornare a piedi, di corsa, a casa del nostro amico a cercare un altro mezzo per raggiungere l'aeroporto. Per fortuna c'era ancora un Colonnello somalo della Polizia che ci accompagnò prontamente alla meta. L'aereo era già in moto e i passeggeri a bordo. Ci accorgemmo allora che la grossa borsa con i documenti e tutto il resto era rimasta nella macchina impantanata. Stefano partì subito per il recupero. Il Colonnello intanto ordinò per radio al pilota (di un aereo di linea) di differire la partenza per aspettarci.
Ci lasciammo con mio figlio in gran fretta correndo nella notte sulla pista verso quell'unico aereo tutto illuminato, rombante e senza più la scaletta. La rimisero per noi e ci imbarcammo.
Non ci fu passeggero che non ci guardasse in cagnesco: avevamo bloccato un aereo di linea settimanale per più di un'ora!
Questa è la imprevedibile cortesia che i "cattivi" somali riservavano ai loro amici!
Dopo qualche anno tutto il paese avrebbe preso fuoco e la Capitale sarebbe stata demolita da una feroce guerra di tutti contro tutti.
La Somalia, invasa da truppe delle più svariate nazioni, spedite li per garantire la "pace" fra "fratelli" ma che avrebbero ancora di più esteso e aggravato la guerra, ebbe qualche giorno di grande notorietà, l'onore delle prime pagine dei giornali e dei notiziari più importanti e quanto vi stava succedendo fu seguito in tutto il mondo da gente indifferente di cui forse più della metà non sapeva, fino al giorno prima, neppure in che continente si trovasse. Poi quando i Somali fecero capire chiaramente e con i mezzi più persuasivi che volevano essere lasciati a fare le loro guerre e ad ammazzarsi "in pace" come era sempre stato per tutti fin dagli albori del tempo, fu abbandonata e dimenticata perché non faceva più notizia.
Solo quei pochi italiani della Somalia, ultimi e patetici personaggi sopravvissuti a un lontano sogno di grandezza e di imperi, costretti a fuggire, abbandonando nel paese tutti i loro averi ma anche i loro cuori stanchi; solo loro, magari dalle sedie e i tavoli in un bar o circolo di qualche piccolo paese italiano, avrebbero continuato a condividerne l'immane tragedia nell'illusione di poter prima o poi ritornare.

Somalia, addio!!

Miranda Baudino Tamagnini

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