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INCUBO
di: Filippo Giovagnoli

La strada davanti a lui era vuota. Il panorama assai squallido non lo aiutava a tenere salda l' attenzione come avrebbe voluto e dovuto ma tutto era tranquillo e non sembravano esserci pericoli imminenti. Accese la radio, chissà perché spenta per uno come lui appassionato di musica, e cominciò a canticchiare "Kiss" di Prince che in quel momento stava trasmettendo la stazione sulla quale era per caso sintonizzato. Il motore era abbastanza su di giri e per la verità la velocità assai elevata quando decise che forse era meglio rallentare. Avvicinò il suo piede sinistro al pedale centrale, quello del freno, e schiacciò dolcemente, in fondo voleva solo godersi per un po' quel seppur squallido panorama. L' auto continuava però la sua imperterrita marcia lungo la corsia. Il piede affondò allora il colpo nel tentativo di rallentare. Niente. I colpi sul pedale si susseguirono a ritmo frenetico, uno due tre niente. Il cuore cominciò allora la sua rincorsa, tanti giri tanti battiti. Prince continuava a cantare "...I just want your extratime...". La strada cominciò a scendere la velocità ad aumentare, il cuore a protestare, furiosamente. La paura non è amica delle situazioni pericolose, ma chissà perché è solo in certe situazioni che uno a paura. Un cartello poi ci mise del suo, serie di curve pericolose, discesa del 10%. Certe cose te le immagini solo nei film. L' eroe al volante dell' auto sabotata, che riesce a salvarsi dopo una serie infinita di peripezie. Stavolta non c' era motivo per sabotare la macchina, non c' era l' eroe al volante, non ci sarebbero state peripezie ma solo...
Oddio la curva, le mani incrociate tentano di battere le leggi fisiche, le ruote stridono, la prima curva è fatta ora c' è un rettilineo poi la seconda curva. In fondo al rettilineo però oltre la curva c' era anche il precipizio, Cristo Santo. Tentò ancora disperatamente di colpire il freno con tutta la forza che aveva nei piedi, come se bastasse. La radio intanto aveva cambiato canzone, Giorgia "Come saprei, riuscirci io, nessuno saprebbe mai..." che cavolo lo prendevano anche in giro a distanza. Oddio l' ellepì di Giorgia si chiama "Come Thelma & Louise", premonizione di quello che sarà l' epilogo. La curva si avvicina sempre di più le mani disperate tentano di curvare, stavolta il miracolo della prima cura non si ripeterààààààà...
"Aaaaaaaaaaaaaaaaaaah!..."
Balzò improvvisamente seduto sul letto, madido di sudore col cuore a pieni giri. Si guardò attorno la sua camera, la sua ragazza nel letto vicino a lui, il puzzle di Mordillo sulla parete di fronte.
"Ma che è, sei matto! tu e la tua peperonata lo vedi che è troppo pesante la sera." gli disse con una leggera vena critica.
"Sono le due e mezzo, girati dall' altra parte e dormi."
"No, non ci riuscirei esco a far due passi"
"Ecco, si, bravo! Vai così non rompi!".
Si infilò la tuta e le scarpe da ginnastica ed uscì. La nottata tipicamente primaverile non era fredda, ma il venticello lo fece rabbrividire. Decise di fare una corsettina nel sentiero che andava nel bosco. Non c' era nulla di cui temere, forse.
I suoi piedi frusciavano nell' erbetta leggermente umida che imperlava di guazza le scarpe da ginnastica. Piano piano la luce dei lampioni si affievolì e diventò più difficile riuscire a scorgere altro che sagome ed ombre in quella notte fresca e pulita.
Il poco sudore che si stava formando sulle sue spalle e che stava raccogliendosi lungo la spina dorsale si raggelò improvvisamente quando un urlo squarciò il rumoroso silenzio di quel buio.
Durò circa dieci secondi, tremendo, impulsivo, agghiacciante, ma soprattutto reale e vicino, molto vicino. Cominciò ad avere paura, ma una paura che sentiva di aver già provato da non molto, nel momento in cui un cespuglio si mosse dietro di lui. Si senti afferrare le spalle, e in un istante si ritrovò a terra con una luce puntata negli occhi.
"Non puoi scappare, non te lo lascerò fare! Ormai mi hai visto."
"No, non ho visto niente, non ti saprei descrivere! Non ti ho visto il volto."
Il raggio di luce si spostò rapidamente dai suoi occhi ed inquadrò un' orrenda figura di uomo, completamente calvo e sfregiato nelle guance e sopra gli occhi, gli sembro di rivedere il mostro del Frankestein di Kennet Branagh, De Niro insomma.
"Ora, purtroppo per te mi vedi! E non sarebbe neanche difficile descrivermi. Ah! Ah! Ah!..."
La risata risuonò minacciosa nel blu di quella situazione turpe.
Una mano guantata sollevò una luccicante lama di machete che infilata tra le sue costole avrebbe spappolato tutti i suoi organi.
Un altro urlo squarciò il buio.

La sbornia della sera precedente aveva fatto centro. Per tutta la notte incubi lo avevano assalito ma non ricordava nulla. Ora un mal di testa apocalittico stava martoriando le sue tempie. Non aveva voglia di andare al lavoro. Forse era pure stato con una prostituta, o con un transessuale, di certo non era stata una di quelle esperienze indimenticabili. La camera gli girava attorno non si voleva proprio fermare chiuse gli occhi nel tentativo di risorgere da quello stato di morte apparente ma riuscì solo a vomitare. Si sentì comunque meglio. Tento di alzarsi, per fortuna le sue gambe ancora reggevano. Barcollando si avvicino ai fornelli del suo monolocale per prepararsi uno di quei caffè che sveglierebbero anche un morto utilizzando tutto il mezzo barattolo di polvere che aveva. Sentiva in realtà un gran caldo, ed era completamente bagnato dal proprio sudore. Prima di uscire avrebbe dovuto fare una doccia. Certo è che la temperatura, forse nella sua testa, era sembrava particolarmente elevata. Accese la Tv aspettando il caffè e la BMM stava trasmettendo le immagini di un furioso incendio che in quel momento stava sviluppandosi, toh! proprio nella sua città Milwaukee. Anzi a guardar bene, ma ehi! quello era il palazzo in cui abitava. No! non è possibile! Anzi si era possibile! Il caldo l'afa! Aprì la finestra e fu investito da una massa di fumo grigiastro. Un colpo di tosse, poi due, tre, dieci. Non ragionava già più il fumo aveva invaso la sua testa oltre che i polmoni e il suo appartamento. Non ci pensò due volte prese la rincorsa e si lanciò nel vuotoooooo...
Sobbalzò nella sua poltrona ormai lisa dal tempo e dal suo quintale di peso. Aveva ancora in mano una lattina di birra semivuota ed ormai calda. La Tv via cavo stava ancora trasmettendo il basket universitario e proprio in quel momento il telecronista si stava esaltando per un contropiede concluso con una gran schiacciata. Forte era anche il rumore del tagliaerba del vicino che falciava il prato un giorno si ed uno no. Silver lo odiava, il vicino, sempre attivo sempre in forma, mai una lamentela di sua moglie sul suo operato. Più di una volta si era lamentato dello stato di abbandono del giardino di Silver che metteva in cattiva luce anche il suo ma più di una volta Silver se n'era fregato lasciando alla moglie il compito di sbrigarsela. Anche lei però ogni tanto si lamentava per il suo modo di vivere alquanto inoperoso. Del resto non era colpa sua se era stato investito da un'auto. Certo non tutti quelli che vengono investiti possono dire di aver fatto un investimento ma Silver si. Tornava a piedi dal supermercato vicino casa sua in una serata completamente vuota, senza nessuno. Un'auto lo colpì in pieno rompendogli una gamba. Il fatto è che l'auto era guidata da uno degli uomini più ricchi del paese che in incognito passava di lì con a bordo una delle sue amichette. Per farlo tacere gli riversò addosso una valanga di dollari che resero Silver più ricco ma ancora più svogliato.

Col passare del tempo Eloise si era un po' stufata di questa apatia totale del marito e lo aveva più volte apostrofato con epiteti di vario genere. Quel giorno però anche lei sembrava tranquilla. Era in cucina che tagliuzzava le verdure per la cena in una di quelle serate apatiche in cui non succede nulla anche se tu volessi. Che vita vuota! pensò in quel momento Silver che cominciava ad annoiarsi di vivere così noiosamente. Proprio in quell'attimo senti i passi di sua moglie che si avvicinava. Si voltò e la vide immobile con gli occhi sgranati sulla soglia della porta che divideva la sala dalla cucina. In mano aveva un coltello molto lungo, molto luccicante, molto a punta. Non riuscì a proferire parola perché vide nei suoi occhi la volontà assassina dei serial killer.
"Sai chi è Lorena Bobbit?" disse Eloise con una voce in falsetto. Silver era pietrificato non riusciva a muoversi. Lei si avvicinò con calma, molto lentamente. Lui allora tentò di muoversi ma si accorse solo in quel momento che sia le mani che i piedi erano legati con delle cinture di pelle della sua collezione personale. Ma non poteva collezionare francobolli come tutti gli esseri normali della terra? Il vicino aumentò i giri del motore del suo tagliaerba. Gridare non sarebbe servito a niente. La pazza gli si avvicinò pericolosamente. Lo tocco, si proprio lì. Slacciò il bottone tirò giù la cerniera e fece uscire quella cosa di cui tutti gli uomini sono fieri ma di cui forse, in quel momento, Sliver avrebbe voluto fare a meno. Si domandò come mai appena venisse toccato si ergeva in maniera così sfrontata, rimani giù, rimani giù, sembrava dirgli con gli occhi. Eloise lo tenne ben stretto con la mano sinistra mentre con la destra alzò la lama e...
NOOOOOOOO!!!!...
Si svegliò in mezzo ad un lago di sangue. L'espressione è da considerarsi letterale visto che era steso su una piccola isoletta in mezzo ad un lago completamente rosso. Il tipico odore di mattatoio poi, faceva inequivocabilmente intendere la composizione di quell'inquietante liquido. Era proprio sangue. Sulle rive non lontane giocavano bambini completamente nudi, sfregiati nel volto e nel corpo. Cantavano delle nenie spaventose e mangiavano pezzi carne cruda, completamente rossa. Si sentivano urla in sottofondo, corpi ancora vivi che venivano straziati da quei mostri ma chi erano. Erano solo uomini. La sua isoletta era circondata, nessuno poteva entrare. I suoi dieci metri quadrati di terra erano ancora liberi. Imprigionato nella sua libertà.
"Ti prego aiutami, liberami, portami con te...aaahhh..." uno di quei mostri afferrò quell'inerme e lì davanti ai suoi occhi strappò il suo cuore e lo mangiò. Poi appese il cadavere e fece colare il suo sangue nel lago.
Il suo cuore batteva all'impazzata. Non sapeva come era finito lì ma c'era. Aveva dormito a lungo ed aveva fatto una serie di incubi quantomeno verosimili. Quella situazione era grottesca.
AAAAAHHHHHH!!!...
Ma stavolta era tutto vero.

Filippo Giovagnoli


© 1997 Filippo Giovagnoli - © 1998 ARPA Publishing. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
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