CAPITOLO 4
I primi passi dell’Unione Indiana: le riforme e la modernizzazione di Nehru
Dopo la separazione dal Pakistan e nonostante il duro colpo della uccisione di Gandhi, il Partito del Congresso riuscì a mantenere la propria coesione grazie anche al nuovo premier J. Nehru, che pur non avendo l’ascendente morale del suo predecessore seppe armonizzare gli interessi innovatori dei ceti burocratici e mercantili di formazione occidentale con quelli della nuova borghesia rurale nata dal declino delle vecchie oligarchie agrarie.
La politica di governo dell’Unione era orientata a due obiettivi, con i loro complessi collegamenti: la lotta per la decolonizzazione e quella per la modernizzazione della società indiana. Nel 1950 l’attuazione di tale programma iniziò sottomettendo le caste aristocratiche legate al passato coloniale con l’annessione dello Junagadh e dello Hyderabad e la soppressione di più di 500 regni e principati - tra cui costò grandi sforzi la lotta con il Kashmir - in cui era diviso il paese e approvando una costituzione repubblicana e federale a regime parlamentare.
Con una serie di leggi di riforma furono poi soppresse le caste, abolita l’intoccabilità, combattuta la poligamia: Per favorire l’integrazione nazionale, nel 1956 gli stati dell’Unione furono ristrutturati su basi etniche e linguistiche e fu imposto l’hindi come lingua ufficiale.
Preoccupazione costante di Nehru e del suo governo fu quella di mantenere unito e compatto il paese, a qualsiasi costo; per questo orientò la sua politica su modelli di grande tolleranza e neutralità per quelle minoranze - religiose, politiche o sociali - reputate non pericolose per la compattezza del paese. Per realizzare questa politica di tolleranza proclamò l’Unione indiana stato aconfessionale, e promosse la formazione di una classe burocratica formata dall’integrazione di nuove leve ed esperti funzionari che avevano già prestato servizio con gli inglesi.
Politicamente il sistema parlamentare avrebbe dovuto garantire un buon livello di democrazia, ma lo strapotere del Partito del Congresso all’interno del Congresso - e di conseguenza nell’Assemblea Costituente - dava massima libertà d’azione al Primo ministro.
Il problema delle pericolose minoranze comuniste venne affrontato da Nehru con il ricorso a due espedienti: l’adozione di una legge di tipo militare (introdotta attraverso il "Defence of India Act" utilizzato l’ultima volta subito dopo la colonizzazione) e una riforma costituzionale di tipo federalista che affidava a Governatori - scelti dal Congresso, quindi da Nehru stesso - l’amministrazione locale, convogliando invece al governo centrale tutte le decisioni di rilievo legislativo, politico, economico o internazionale. Questo agì sui gruppi comunisti isolandoli e vanificando i loro sforzi sovversivi.
Intanto si avviava un processo di industrializzazione accelerata, attraverso un crescente controllo statale del commercio con l’estero delle principali materie prime e una serie di piani quinquennali, che consentirono all’India di impiantare una solida industria siderurgica e di realizzare il primo reattore atomico al mondo. Questo sforzo di modernizzazione generò acute contraddizioni sociali, poiché il paese era ancora caratterizzato da elevati tassi di analfabetismo, da un sistema agricolo arcaico incapace di sostenere il ritmo della crescita demografica e da stridenti sperequazioni economiche..
Infine, il grande divario nello sviluppo tra il centro-nord che era molto avanzato e il sud sottosviluppato - accompagnato dalle tendenze all’autonomismo tamil e bengali - indebolì la coesione del blocco dirigente; l’iniziale freno posto alle forze centrifughe presenti nel paese e nello stesso Partito del Congresso dalle grandi questioni di politica estera (i continui attriti con il Pakistan e la cattiva gestione del conflitto con la Cina nel 1962), alla lunga finì per acutizzare le divergenze in seno al gruppo dirigente indiano. A questo contribuì anche l’eccessivo peso che l’idea centrista e unitaria di Nehru andava acquistando e che finì per indispettire l’iniziativa industriale privata dei nascenti gruppi capitalistici del paese.
Alla sua morte, nell’estate del 1964, Nehru lasciò un paese povero, ma sicuramente non sottosviluppato.
Gli anni di Indira e la divisione del Partito del Congresso
La crisi politica, preannunciata dallo spostamento del governo di New Delhi verso il blocco occidentale, durante gli ultimi anni di Nehru e dal tentativo di avvicinarsi all’URSS da parte del suo successore Shastri , si esplicitò poco dopo l’avvento al potere di Indira Gandhi, la figlia di Nehru.
Nelle elezioni del 1967 il Partito del Congresso fu fortemente ridimensionato e ridotto a partito di maggioranza relativa, fu praticamente sconfitto nelle amministrazioni locali e contestato dai governi regionali si divise in un’ala apertamente conservatrice, attaccata a posizioni di privilegio aristocratiche e confessionali e da un’ala progressista intenzionata a portare avanti il rinnovamento del paese. Indira tentò invano di salvaguardare l’unità politica del Partito, rovesciando i governi di sinistra del Bengala orientale e dell’Uttar Pradesh; nel 1969 il Partito si divise definitivamente in due: il Vecchio Congresso, capeggiato dall’ex vice primo ministro Desai, e il Nuovo Congresso, capeggiato dalla stessa Indira, che fu riconfermata in carica col sostegno delle sinistre. La "svolta a sinistra" divenne più esplicita all’inizio degli anni ‘70, con la soppressione degli ultimi privilegi aristocratici e l’apertura verso l’Unione Sovietica. Contemporaneamente Indira avviava quella "rivoluzione verde", vasta riforma agraria che le guadagnò un aumento di consenso nelle elezioni politiche del 1971 e nelle regionali del 1972, con l’adesione dei settori più dinamici della borghesia industriale.
Tuttavia neanche questi successi riuscirono a sanare le acute contraddizioni sociali che insidiavano il paese. La crisi economica internazionale che investì il mondo nel 1973 peggiorò sensibilmente le condizioni interne del paese che attraversava già un periodo di recessione delle produzioni agricole; a questa realtà il governo di Indira rispose con una politica di controllo demografico estremamente autoritaria. Per tutta risposta si scatenarono contro di lei i movimenti di estrema destra, il rivale di sempre Desai e, trascinate da lui, anche le forze moderate. Indira, senza demordere, accentuò i caratteri autoritari del suo governo proclamando lo stato di emergaenza nel 1975; dopo il successo nelle politiche del 1976 propose un emendamento costituzionale che mirava a instaurare un governo presidenziale.
Questa mossa decretò il definitivo allontanamento dal governo della borghesia agraria e dei ceti popolari più tradizionalisti, tanto che in occasione delle elezioni anticipate nel 1977 il partito del Nuovo congresso subì una secca sconfitta, mentre la coalizione conservatrice e moderata del partito Janata riportava una schiacciante vittoria, e sceglieva come primo ministro Desai.
Riflessioni sulla politica indiana d’oggi
Già nel 1979 Morarji Desai rassegnava le dimissioni, incapace di fare fronte alle spaccature interne al suo partito. Invece di nominare primo ministro Jajivan Ram, il nuovo capo del partito Janata, il Presidente Sanjiv Reddy decise di indire nuove elezioni.
Queste ultime, svoltesi nel 1980, videro l’inatteso ritorno di Indira Gandhi che dovette governare il paese facendo fronte ad una situazione resa difficile dall’impeto secessionista di alcune province: infatti nel Punjab convivevano due diverse etnie, quella sikh e quella indù; Indira preoccupata da un possibile rafforzamento dei partiti sikh - che da anni reclamavano la creazione di un piccolo stato indipendente - decise di dividere la regione del Punjab in tre province. Questo non bastò a fermare l’impeto secessionista che culminò con l’autoproclamazione di Jarnail Bhindranwale che era a capo del più forte partito sikh l’Akali Dal, a governatore del Punjab. Il governo di Indira Gandhi rispose con il solito autoritarismo proclamando la legge marziale e invadendo militarmente i luoghi sacri dei sikh uccidendo Bhindrawale.
La ritorsione dei sikh fu terribile e immediata, dopo soli sei mesi, nel dicembre del 1984, Indira Gandhi veniva assassinata da due sicari.
Toccò al figlio della stessa Indira - Rajiv Gandhi, primo ministro dal 1984 al 1989 - continuare l’opera di ricomposizione dei contrasti religiosi e di rilancio della stagnante economia indiana. Dopo l’assassinio di Rajiv, accorso durante la campagna elettorale del 1991, si assiste ad un affermarsi del partito del Congresso, e per reazione, al rafforzamento del Bharatiya Janata Party, un movimento con spiccate tendenze nazionaliste indù.
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