La cronologia

  1. La guerra dal 1939 al 1942
  2. La guerra dal 1942 al 6 giugno 1944
  3. La guerra il 6 giugno 1944
  4. Il preludio
  5. Il D-Day: la notte
  6. Il D-Day: la mattina
  7. Il D-Day: pomeriggio e sera
  8. La battaglia di Normandia

La guerra dal 1939 al 1942

L’invasione della Polonia, compiuta dalla Germania nazista nel settembre del 1939, diede inizio alla Seconda Guerra Mondiale e per i mesi successivi le forze tedesche dilagarono in Europa in modo inarrestabile.

La guerra lampo condotta da Hitler schiacciò in rapida successione la Polonia, la Danimarca, la Norvegia, l’Olanda e il Belgio.

Nel maggio 1940 l’esercito tedesco strinse le forze alleate anglo-francesi verso la Manica, a Dunkerque, ma un ordine di Hitler arrestò l’avanzata tedesca, dando modo agli inglesi di far attraversare la Manica, con imbarcazioni di ogni tipo, a oltre 335.000 uomini, ma costringendoli ad abbandonare sul suolo francese gran parte del loro armamento.

Nello stesso mese di maggio anche l’Italia fascista di Mussolini dichiarò guerra alla Francia e violò le frontiere meridionali.

Il 22 giugno la Francia capitolò e venne divisa da Hitler in due parti, una direttamente sottoposta al controllo tedesco e una affidata al governo fantoccio del generale Pétain, con capitale a Vichy.

La Gran Bretagna rimase di fatto sola a combattere e i mesi successivi videro l’eroica resistenza dell’aviazione inglese al tentativo tedesco di conquistare il dominio dei cieli della Manica per preparare l’invasione dell’isola britannica, in quella che è passata alla storia come la battaglia d’Inghilterra.

L’entrata in guerra dell’Italia aveva intanto causato l’apertura di nuovi fronti di guerra, in Jugoslavia e in Grecia, mentre gli scontri con gli inglesi divamparono nell’Africa settentrionale. Nonostante l’impreparazione dell’esercito italiano, le forze dell’asse sembravano inarrestabili e nell’aprile del 1941 anche Jugoslavia e Grecia capitolarono.

Nella seconda metà del 1941, quando l’Inghilterra appariva ormai sempre più in difficoltà, si verificarono però due episodi destinati a modificare completamente l’andamento della guerra.

Il 22 giugno 1941 Hitler diede inizio all’operazione Barbarossa, ossia all’invasione della Russia sovietica di Stalin con il quale aveva in passato firmato un patto di non aggressione.

L’espansione verso est era in realtà sempre stato l’obiettivo primario di Hitler, ma questo passo veniva ora compiuto mentre era ancora aperto un fronte occidentale, sia pur contro la stremata Inghilterra. Fu un errore, cui se ne aggiunse un altro clamoroso dopo l’attacco giapponese alla base navale americana di Pear Harbor: Hitler infatti non esitò a dichiarare arrogantemente guerra a sua volta agli Stati Uniti, seguito subito dopo dallo stesso Mussolini.

Gli Stati Uniti fino a quel momento si erano limitati a una politica di sostegno finanziario all’Inghilterra, attraverso la legge Affitti e Prestiti che aveva permesso di appoggiare lo sforzo bellico inglese, ma ora il coinvolgimento diretto della potenza americana, con le sue enormi risorse, capovolgeva le sorti del conflitto.

Si può dire che da quel momento in poi per le forze dell’asse il destino fosse segnato. Gli Stati Uniti aderirono subito al principio sostenuto dall’Inghilterra "la Germania per prima", secondo cui occorreva concentrare tutti gli sforzi contro la Germania, la cui capitolazione avrebbe costretto le altre forze dell’Asse ad arrendersi a loro volta.

Naturalmente occorse tempo per la mobilitazione effettiva della potenza americana e i primi mesi del 1942 continuarono a segnare successi per le forze dell’asse, sia nell’area del Pacifico da parte delle forze giapponesi, sia sul fronte russo con la straordinaria avanzata dell’esercito tedesco che sembrava ripetere ancora una volta i successi della guerra lampo già condotta ad occidente.

Nella seconda metà dell’anno però la situazione andò mutando con il rapido succedersi di una serie di avvenimenti favorevoli agli alleati: la vittoria americana nella battaglia navale presso le isole Midway (3-7 giugno); la vittoriosa controffensiva inglese del maresciallo Montgomery ad El Alamein nell’Africa settentrionale (23 ottobre); lo sbarco delle forze angloamericane nell’Africa francese (7-8 novembre), la prima operazione congiunta su larga scala condotta dagli alleati sotto un unico comando affidato al generale americano Eisenhower; la difesa della città di Stalingrado e la successiva controffensiva sovietica che arrestarono l’avanzata tedesca ad oriente, tra il novembre del 1940 e il gennaio dell’anno successivo.

Il 19 agosto del 1942 gli alleati misero in atto l’operazione Giubileo, un tentativo di sbarco sul suolo francese, presso la città di Dieppe, sulle coste normanne: vi parteciparono 5000 soldati canadesi, 1000 inglesi, 50 rangers americani, e 24 soldati della Francia libera (l’organizzazione creata dal generale De Gaulle in Inghilterra, dopo la firma dell’armistizio francese). L’incursione si concluse in una tragedia: 1000 morti, 2469 feriti e oltre 2000 prigionieri. In ogni caso dal fallimento di Dieppe gli alleati appresero importanti informazioni destinate a dare i loro frutti nella futura invasione.

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La guerra 1942 al 6 giugno 1944

Occorre notare che furono sempre gli americani e non gli inglesi, come si potrebbe pensare, a insistere per l’apertura di un secondo fronte nel nord della Francia, ma questa esitazione inglese non deve sorprendere.

L’Inghilterra infatti, dopo lunghi anni di guerra, stava dando fondo alle sue ultime riserve: nel maggio del 1944 le forze armate britanniche avrebbero raggiunto il loro limite estremo di arruolamento (2.750.000 uomini), mentre gli americani pur avendo avuto allora in campo quasi il doppio di uomini, sarebbero rimasti ancora notevolmente al di sotto del loro limite massimo.

La produzione inglese di munizioni era già in netto calo dalla fine del 42 e poco dopo si era andata riducendo anche quella di cannoni e armi portatili. Nel 1940 la Gran Bretagna produceva da sola il 91 % circa delle munizioni del Commonwealth, acquistava poco meno del 6 % dall’America e copriva il rimanente fabbisogno da altri territori dell’impero.

Nel 1944 la quota di produzione inglese era scesa al 62 %, mentre il 9 % veniva dal Canada e il 29% dagli Stati Uniti.

Logico che i britannici preferissero puntare ad una strategia più prudente, evitando avventure eccessivamente rischiose come senza dubbio appariva quella di una invasione di massa nel nord della Francia.

Furono quindi le loro insistenze a far rivolgere le forze alleate verso obiettivi ritenuti più realistici e meno rischiosi: rientra in questo scenario la decisione di muovere all’attacco del cosiddetto "ventre molle" dell’asse, ossia dell’Italia, con lo sbarco in Sicilia, nel luglio 1943, che causò la caduta del regime fascista e il successivo armistizio firmato dall’Italia nel settembre dello stesso anno.

Il successivo sbarco ad Anzio, nei pressi di Roma (gennaio 1944) non riuscì però a far ottenere i risultati sperati e la guerra in Italia si prospettò lunga e di non facile soluzione.

Con il passare del tempo inoltre il peso americano nell’alleanza cresceva sempre più e le richieste di aiuto da parte di Stalin che sopportava da solo la maggiore pressione tedesca rendevano sempre più urgente l’apertura di un nuovo fronte.

In realtà, pur tra le mille esitazioni inglesi, lo studio del piano d’invasione aveva già avuto inizio nell’aprile del 1943 con la nomina del tenente generale Frederick Morgan a Capo di Stato Maggiore del Comando Supremo Alleato (COSSAC), ma solo nella conferenza alleata tenutasi a Teheran l’inverno successivo gli angloamericani presentarono a Stalin il progetto generale per quello che aveva già assunto il nome di piano Overlord.

Dopo l’approvazione di massima da parte di Stalin, gli americani ebbero naturalmente buon gioco nel bloccare gli ulteriori tentativi di rinvio degli inglesi e finalmente, nel dicembre 1943 venne nominato Comandante Supremo del Corpo di Spedizione Alleato (SHAEF) il generale Eisenhower, lo stesso che aveva guidato lo sbarco alleato nel nordafrica.

Con la nomina di Eisenhower e successivamente del generale inglese Montgomery come comandante in capo delle forze di terra, il piano d’invasione usciva finalmente dal campo teorico per passare alla pianificazione militare vera e propria. Sul finire del gennaio 1944 il piano d’invasione predisposto da Montgomery veniva approvato e si iniziavano i colossali preparativi per la sua realizzazione che fu fissata per i primi giorni del giugno successivo.

Il 15 maggio il generale Montgomery espose il piano definitivo di Overlord agli ufficiali superiori degli eserciti alleati e si decise di fissare lo sbarco per un giorno compreso tra il 5 e il 7 giugno. Eisenhower optò per il 5 giugno in modo da poter effettuare un eventuale rinvio nel caso lo richiedessero le condizioni atmosferiche.

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La guerra il 6 giugno 1944

Il 6 giugno 1944, il D-Day, la II guerra mondiale sta ormai volgendo sempre più a favore degli alleati, sia sul fronte europeo, sia sul fronte orientale.

In Italia la V armata alleata ha appena liberato Roma (4 giugno) e continua la sua marcia a una quarantina di chilometri dalla capitale.

Nei Balcani sono in corso violenti bombardamenti contro obiettivi tedeschi (Belgrado) e romeni (come i giacimenti petroliferi di Ploiesti).

Sul fronte europeo orientale i sovietici, già vittoriosi in Ucraina e in Crimea, stanno respingendo i tedeschi in Moldavia, nell’attesa di attaccare in Finlandia e in Bielorussia.

In India è ormai destinata al fallimento l’offensiva giapponese nel nord: sconfitti a Kohima dagli inglesi, i giapponesi sono costretti ad abbandonare Imphal.

In Cina invece gli uomini del Sol Levante stanno proseguendo l’operazione Ichigo contro la Cina meridionale e avanzano nello Yunan.

In Nuova Guinea infine gli americani, sbarcati sulla costa settentrionale dell’isola in aprile, stanno ripulendo la zona e il 7 giugno, il giorno dopo il D-Day, conquisteranno l’aeroporto strategico dell’isola di Biak, premessa alla successiva offensiva contro le Marianne che sarà lanciata a partire dal 15 giugno.

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Il preludio

Il 1° giugno, alle ore 21 circa, Radio Londra trasmise, tra i tanti messaggi in codice indirizzati ai partigiani francesi, un breve brano di una poesia di Verlaine: Les sanglots longs des violons de l’automne.

L’Ufficio Informazioni della 15a Armata che lo intercettò era al corrente del fatto che esso rappresentava la prima parte di un messaggio che annunciava il prossimo sbarco degli Alleati: secondo le informazioni fornite dall’ammiraglio Canaris, allora capo del servizio segreto tedesco, quel messaggio avrebbe dovuto essere seguito dai successivi tre versi della stessa poesia di Verlaine che avrebbero annunciato lo sbarco nelle quarantotto ore successive.

La scarsa fiducia riposta dai comandanti tedeschi in questo tipo di informazioni e i continui preallarmi, dimostratisi poi infondati, che si erano succeduti nell’ultimo mese, fecero sì che il vantaggio derivato dall’intercettazione del messaggio di Verlaine andasse però sostanzialmente perso.

La mattina del 4 giugno il feldmaresciallo Rommel, comandante del Gruppo di Armate B (ossia delle armate che dovevano fronteggiare l’invasione) partiva in licenza per la Germania, sia per festeggiare il compleanno della moglie, sia per tentare di ottenere un appuntamento con il Fuhrer.

Quasi contemporaneamente, al di là della Manica, il generale Eisenhower decideva di rinviare lo sbarco per le cattive condizioni atmosferiche. In una riunione tenutasi la sera dello stesso giorno, fidando in un preannunciato miglioramento del tempo previsto per i giorni successivi, venne infine fissata la data definitiva del 6 giugno e furono impartiti gli ordini definitivi.

Alle 22.15 del 5 giugno Radio Londra trasmise la seconda parte della poesia di Verlaine: Blessent mon coeur d’une langueur monotone. Secondo le informazioni in possesso dei tedeschi questo significava l’invasione entro le prossime ore: ancora una volta però il possibile vantaggio non venne sfruttato. Benché il messaggio fosse inviato a tutti i comandi, solo la 15a Armata venne messa in stato di allarme. Anzi: molti comandanti tedeschi quella notte non si trovavano ai propri posti perché si stavano trasferendo, o si erano già trasferiti, a Rennes dove era in programma una riunione che non si era ritenuto di dover annullare.

Mentre dalle basi inglesi partivano gli aerei con le prime avanguardie dell’invasione, i tedeschi erano nelle peggiori condizioni per affrontare gli avvenimenti che si preparavano.

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Il D-Day: la notte

I protagonisti della notte furono indubbiamente gli uomini delle truppe aviotrasportate: nelle prime ore del D-Day furono lanciati 8.000 inglesi e oltre 16.000 americani con il compito di prendere possesso e controllare le principali vie di comunicazioni sui due lati dell’area prevista per l’invasione in modo da proteggere i fianchi alle forze che sarebbero sbarcate all’alba.

Poco dopo la mezzanotte iniziò un violento bombardamento aereo contro le batterie costiere tra Le Havre e Cherbourg, e quasi contemporaneamente si lanciarono i primi paracadutisti esploratori.

Tra le 00.20 e le 00.40 si compiva la prima vera e propria azione militare del d-day, sul fianco orientale della zona di sbarco: gli uomini della 6a divisione aviotrasportata inglese, guidati dal maggiore Howard, atterravano con alcuni alianti nei pressi dei ponti sul canale di Caen, impadronendosene con una azione di sorpresa. Negli stessi minuti altri inglesi si impadronivano della batteria costiera di Merville

Pochi minuti prima dell’una iniziava il lancio dei paracadutisti della 6a divisione aviotrasportata inglese, seguiti sul fianco opposto all’1.30 dagli americani della 101a divisione. Furono proprio questo ultimi a incontrare le maggiori difficoltà: in parte per il vento, in parte per l’imprecisione dei piloti americani, i paracadutisti americani finirono sparpagliati in un’area vastissima e solo in minima parte atterrarono nei punti previsti. Nell’area dietro la penisola di Cherburg, prevista per i lanci americani, i tedeschi avevano inoltre provveduto ad allagare artificialmente vaste aree di terreno e questo rese ancora più difficoltosi sia l’atterraggio sia i successivi spostamenti degli uomini della 82a e della 101a che spesso si trovarono a vagare dispersi per tutto il giorno successivo senza potersi ricongiungere.

Alle 2.11 il generale tedesco Marcks del 44° Corpo d’Armata ricevette i primi rapporti sull’atterraggio di paracadutisti a est del fiume Orne e telefonò al generale Max Pemsel, capo di stato maggiore della 7a armata che, alle 2.15 venne messa in stato di allarme, mentre veniva svegliato il comandante dell’armata, colonnello generale Dollmann.

Alle 2.30 iniziavano intanto i lanci della 82a divisione aviotrasportata americana.

Alle 2.35 Pemsel chiamò il capo di stato maggiore di Rommel, generale Hans Speidel, al comando del Gruppo di armate B. Quasi contemporaneamente anche il generale von Salmuth, dal quartier generale della 15a armata, l’unica già in stato di allarme per il messaggio di Verlaine, chiamava il Gruppo di armate B per comunicare che gli erano giunte notizie di scontri.

Ad aumentare la confusione dei comandi tedeschi i primi rapporti riportavano notizie dei lanci di fantocci di gomma, che gli alleati avevano effettivamente paracadutato in alcune zone per sviare l’attenzione dei tedeschi dalle vere aree di lancio.

Alle 3.00 il generale Pemsel era ormai convinto di trovarsi di fronte alla temuta invasione e che l’area di azione principale fosse sulle coste normanne, tra la penisola di Cherburg e l’Orne e telefonò al capo di stato maggiore di Rommel, senza però riuscire a convincerlo della gravità della situazione: per Speidel si trattava semplicemente di una operazione locale e non di una vera e propria offensiva di ampia portata.

Sempre alle 3.00 iniziò un violento attacco di bombardieri medi e pesanti contro le difese tedesche.

Alle 3.20 iniziarono i lanci del materiale pesante e dei rinforzi per i paracadutisti già sul suolo normanno e alle 4.30 circa le forze americane raggiungevano il loro primo importante obiettivo, prendendo possesso della cittadina di Sainte Mére-Eglise, che rappresentava un importantissimo snodo per il fianco occidentale dell’invasione.

Alle 4.45 minuscoli sommergibili che si trovavano da due giorni al largo della costa normanna emersero, innalzando un albero munito di una luce lampeggiante e altri apparecchi di segnalazione ottica, preparandosi all’attesa: il loro compito era delimitare l’area di sbarco per le truppe della prima ondate che sarebbero giunte all’alba.

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Il D-Day: la mattina

Le prime luci dell’alba rivelarono ai tedeschi dislocati nelle postazioni sulle spiagge dello sbarco la più enorme flotta d’invasione di tutti i tempi: 9 corazzate, 23 incrociatori, 104 cacciatorpediniere e 71 corvette non erano che la punta di una flotta che contava 6483 unità e che era costituita da navi di linea, navi mercantili, e mezzi di trasporto.

Alle 5.30 iniziò il cannoneggiamento delle navi inglesi davanti alle spiagge inglesi denominate Sword, Gold e Juno e venti minuti dopo, alle 5.50, il cannoneggiamento delle navi americane davanti alle spiagge denominate Utah e Omaha.

Alle 6.00 di mattina iniziò un nuovo passaggio dei bombardieri medi e pesanti sulle fortificazioni tedesche della costa. Esattamente a quell’ora il capo di stato maggiore del comando supremo tedesco in occidente, generale Blumentritt, comunicò all’Alto Comando delle Forze Armate Tedesche che sembrava essere in corso un’invasione in forze e chiese di poter disporre della riserva corazzata formata dal I Corpo Panzer SS di stanza a Parigi. Hitler però dormiva e il capo delle operazioni , generale Jodl, ritenne di non svegliarlo negando l’autorizzazione. Pochi minuti dopo, alle 6.15 il generale Pemsel, capo di stato maggiore della 7a armata, fece sapere a Speidel, capo di stato maggiore di Rommel, che erano iniziati un pesante cannoneggiamento navale e massicci attacchi aerei.

Le 6.30 erano l’ora H per le spiagge americane Utah e Omaha. I tre gruppi reggimentali della 4a divisione che a quell’ora misero piede a terra sulla più occidentale delle due spiagge americane, Utah, furono particolarmente fortunati: la corrente davanti alla spiaggia aveva fatto deviare i mezzi da sbarco di circa 2 km a sud del punto previsto, portandoli nella zona meno difesa di tutta la costa: 28 dei 32 carri armati anfibi riuscirono a toccare terra e gli uomini sbarcarono sotto un fuoco leggero da parte dei tedeschi. I problemi maggiori per gli uomini di Utah si verificarono durante gli spostamenti all’interno, una volta lasciata la spiaggia. In ogni caso la 4a divisione subì, nel D-Day, non più di 200 perdite; nulla a che vedere con il massacro che si stava svolgendo nella vicina spiaggia di Omaha, dove erano sbarcati gli uomini della 1a divisione. Su questa spiaggia erano concentrate le migliori difese tedesche, oltre tutto protette dalle più valide difese naturali e queste difese erano purtroppo uscite in gran parte indenni dal nutrito bombardamento che aveva preceduto la prima ondata dello sbarco.

Oltre a ciò le onde colarono a picco gran parte dei mezzi corazzati che dovevano sbarcare per proteggere le truppe e gli uomini della fanteria furono costretti a prendere d’assalto la spiaggia senza il loro appoggio: ne scaturì una incredibile confusione che rischiò di paralizzare completamente l’azione su quella che fu ribattezzata Bloody Omaha, la Sanguinosa Omaha: solo sulla spiaggia le perdite americane ammontarono a oltre 2000 uomini. Già alle 6.41 una nave pattuglia trasmetteva alla nave comando un messaggio drammatico: l’intera prima ondata su Omaha è andata distrutta. Alle 7.00 la seconda ondata di truppe da sbarco giunse su Omaha, aumentando ulteriormente il caos.

Pochi minuti dopo, alle 7.10 255 rangers americani al comando del colonnello Rudder diedero l’assalto alla Pointe du Hoc, una ripida scogliera in cima alla quale esistevano batterie costiere ritenute pericolose per le operazioni successive: alla fine del D-Day solo 90 di quei 255 rangers sarebbero stati ancora in grado di usare le armi.

Alle 7.30 iniziarono le operazioni di sbarco sulle due spiagge inglesi di Gold e Sword seguite, alle 7.45 dagli sbarchi della divisione canadese sulla spiaggia di Juno.

Mentre, pur tra notevoli difficoltà, gli sbarchi nei settori inglesi e canadese procedevano, il massacro di Omaha rischiava di mettere a repentaglio l’intera invasione e solo alle 8.00, un’ora e mezzo dopo la prima ondata, le truppe americane iniziarono a scalare le scogliere di Omaha.

Alle 9.30 gli inglesi presero Hermanville, mentre oltre Manica l’addetto stampa di Eisenhower annunciava al mondo per radio lo sbarco alleato.

Alle 10.00 finalmente le truppe americane raggiunsero la sommità delle scogliere di Omaha.

Per quanto incredibile possa sembrare solo 4 ore dopo i primi sbarchi ad Utah e Omaha e ben un’ora dopo l’annuncio radio fatto dagli alleati, finalmente, alle 10.30, Rommel, il comandante delle forze che avrebbero dovuto respingere l’invasione, veniva informato e lasciava la sua abitazione a Herrlingen per ritornare precipitosamente al suo quartier generale a La Roche-Guyon, dove sarebbe giunto solo 12 ore dopo.

Alla stessa ora la 21a divisione panzer ricevette l’ordine di attaccare tra Caen e Bayeux.

Nella tarda mattinata intanto le forze alleate iniziarono a penetrare nell’interno e a liberare le prime città francesi: alle 11.00 gli Americani entrarono a Vierville; alle 11.15 St. Aubin cade nelle mani dei canadesi; alle 12.03 i comando da sbarco inglesi si congiunsero con le truppe aviotrasportate sui ponti dei canali dell’Orne; alle 12.30 la 185a brigata inglese iniziò a muoversi dalla spiaggia Sword verso l’interno; alle 13.00 anche la 4a divisione di fanteria sbarcata a Utah riuscì a stabilire a Pouppeville il primo collegamento con le truppe aviotrasportate giunte sul suolo francese durante la notte.

Soprattutto, alle 13.30 il generale Gerow, che comandava le forze americane a Omaha, comunicò al generale Bradley che le truppe americane non erano più inchiodate sulla spiaggia, ma iniziavano ad avanzare all’interno.

La prima cruciale fase del D-Day poteva ritenersi conclusa: ora gli alleati erano attestati e poteva avere inizio l’opera di penetrazione all’interno.

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Il D-Day: pomeriggio e sera

Il pomeriggio del D-Day si aprì, intorno alle 14.00 con un combattimento sulle alture di Periers che dominavano la spiaggia di Sword, mentre alle 16.00 i carri armati americani iniziarono finalmente a muovere da Omaha verso l’interno.

Solo alle 16.30 i tedeschi riuscirono a organizzare il primo vero e proprio contrattacco , con la 21a divisione panzer che attaccò la testa di sbarco a Sword. In quest’area era collocato il principale obiettivo del D-Day: la città di Caen, che gli alleati contavano di conquistare sulla spinta iniziale della penetrazione. Purtroppo già alle ore 18.00 l’avanzata inglese su Caen poteva essere considerata bloccata. Sarebbe stato necessario oltre un mese per prendere questa città che gli inglesi riuscirono a conquistare solo il 10 luglio successivo.

Durante la serata, a partire dalle ore 21.00, numerosi alianti iniziarono ad atterrare alle spalle di Utah e ad est del fiume Orne, lungo i fianchi dell’arera d’invasione, con i primi rinforzi.

Se si confrontano gli obiettivi fissati per il D-Day dagli alleati con quelli effettivamente raggiunti, appare chiaramente la differenza tra di essi, dovuta soprattutto alla drammatica lentezza della penetrazione americana a Omaha e al blocco degli inglesi davanti a Caen.

In ogni caso, alla mezzanotte del D-Day le truppe alleate erano solidamente attestate sul suolo francese e avevano creato una testa di ponte sufficientemente ampia: già questo costituiva un innegabile successo, anche se la futura campagna di Normandia avrebbe riservato molte difficoltà.

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La battaglia di Normandia

La battaglia di Normandia, per il consolidamento delle posizioni conquistate dagli alleati nel D-Day, non fu né breve né semplice: occupò il corpo di spedizione alleato fino al termine dell’agosto successivo e benché il risulttato finale non fosse mai in discussione o in dubbio, la campagna fu estremamente impegnativa.

Ovviamente i giorni immediatamente successivi al 6 giugno furono destinati al consolidamento della testa di ponte: già il 7 giugno cadeva la città di Bayeux mentre l’8 giugno la 1a armata statunitense e la 2a armata britannica si congiungevano presso Port-en-Bessin.

Occorsero invece ben 6 giorni per la saldatura delle due spiagge americane di Utah e Omaha che avvenne solo il 12 giugno.

I giorni tra il 18 e il 21 giugno videro una spaventosa bufera sulla Manica che distrusse completamente il porto artificiale americano e danneggiò quello inglese proprio mentre gli americani raggiunsero la costa occidentale della penisola di Cherburg (18 giugno).

Mentre continuava il tentativo infruttuoso degli inglesi di conquistare Caen, gli americani riuscirono a raggiungere Cherburg (26-27 giugno).

Finalmente anche Caen cedette agli inglesi che la conquistarono il 10 luglio.

La linea del fronte continuò ad avanzare finché le forze alleate giunsero a chiudere i tedeschi nella sacca di Falaise (21 agosto) ponendo fine di fatto alla campagna: pochi giorni dopo, il 25 agosto, veniva liberata Parigi.

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