UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino
V
Olson si fece largo tra i fotografi e gli agenti.
Vide Jack, con gli occhi sbarrati, immerso nella neve rossa. Gli lesse sul viso il terrore.
E per un istante capì la morte.
Gli venne voglia di abbracciarlo, di stringerlo a sé. Gli venne anche il desiderio di spaccare sulla testa al reporter accanto a lui la sua stramaledetta Canon, diventò impellente il bisogno di gridare. Ma non fece niente di tutto ciò. Cercò tra la piccola folla di curiosi, agenti e giornalisti il coroner, intento a scrivere dati su un taccuino.
"Quando l’hanno ammazzato?"
"Penso circa tre o quattro ore fa. Non ne sono sicuro..."
"Grazie"
Si chinò accanto a Jack. Erano anni che faceva quel lavoro, eppure non era riuscito ad abituarsi all’idea della morte. Lo aveva visto due o tre giorni prima, pieno di sarcasmo e voglia di vivere e ora ce l’aveva davanti composto come in una camera ardente: il solito rituale, la stessa mano, lo stesso disegno sbavato dai fiocchi di neve che lo avevano ricoperto. Cercò la sua mano e la afferrò quasi con violenza, come per svegliarlo da quel torpore. Ma Jack naturalmente non si mosse.
Fu allora che sentì qualcosa di metallico che usciva dal suo pugno serrato. Gli aprì delicatamente le dita: "E questo cos’è?" si disse mentre osservava il ciondolo che aveva tolto a Jack. Chiamò il fotografo della Scientifica e gli fece fare un paio di primi piani. Non era niente di particolare, un ciondolo come tanti a forma di cuore. Lo girò e ne lesse la dedica: "Da Kate con affetto" Kate...quante Kate esistevano in quella città’, solo in quella città? Pazzesco. Non un cognome, un luogo...niente.
Olson provò una sorta di gratitudine: Jack gli aveva dato qualcosa per identificare il macellaio che gli aveva spaccato la testa. Ma chi era questa Kate che provava affetto per un simile assassino?
Fino a quel giorno erano stati uccisi individui a lui sconosciuti. Ma adesso era diverso. E questa considerazione non fece altro che sbatterlo con violenza in uno stato di profonda depressione. Si sentì impotente, incapace. Si sentì colpevole della sua morte.
Si rialzò e si allontanò da Wellington Park.
VI
L’uomo con la tunica nera alzò le braccia.
Il silenzio calò nello stanzone freddo e umido. Tra due ali di folla avanzò l’uomo con l’ascia in mano, ancora sporca di sangue coagulato. Il sacerdote prese tra le mani la testa del caprone. L’eccitazione crebbe e si innalzò un canto blasfemo, amplificato in modo ossessivo dalle pareti di roccia.
L’assassino si fermò accanto all’altare e posò con calma l’ascia sul piano di marmo.
"Cinque volte hai ucciso e cinque comandamenti sono stati vanificati. Tu sei il prescelto per preparare la strada a Satana, signore del secondo regno del mondo. Dia lode a Satana!!!"
Detto questo il sacerdote posò la testa mutilata del caprone sull’altare. La folla si abbandonò al delirio. Si levarono urla disumane e gesti osceni furono indirizzati all’altare.
L’uomo, immobile di fronte al sacerdote, ebbe per un istante la sensazione che la sua mente si aprisse e lasciasse filtrare un sole d’estate su un immenso prato verde. Vide una donna e un bambino...Pensò ad un’altra donna: si portò istintivamente la mano alla gola, la le sue dita non toccarono che carne. L’uomo con la tunica sentì che la sua mente stava scappando verso la verità. Lo fissò intensamente:
"Tu sei mio, ricorda!!"
L’uomo si sentì gelare il sangue. Prese la testa del caprone e rivolgendosi alla folla in attesa gridò:
"Satana si è sacrificato per noi!"
Il rito degenerò in orgia.
© Claudio Pellegrino - © 1998 ARPANet. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
La violazione del copyright e/o la copia illecita del materiale riprodotto in queste pagine, la diffusione non autorizzata dello stesso in qualunque forma contravviene alle normative vigenti sui diritti d'autore e sul copyright.
Per inserire i tuoi testi nel sito ARPANet, clicca qui!