UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino
I
Gli mancavano due anni alla pensione.
Ma nonostante tutto aveva accettato lo stesso questo caso. Beh, in un certo senso gli era stato imposto dal Capo della Polizia in persona. E il capitano aveva aggiunto qualcosa di suo ricorrendo ad una sorta di ricatto:
"Olson non puoi rifiutare!"
gli disse infatti il giovedì’ di due settimane prima. Aveva aggiunto:
"Il sindaco sei mesi fa ti ha premiato per aver risolto brillantemente il caso Spark, facendo un gran baccano per i tuoi meriti di detective, per il tuo acume, per la tua professionalità’. E adesso vuoi dirci di no? Non puoi e lo sai. E poi sempre croci sono, no?"
aveva concluso sarcasticamente il capitano, elargendo anche una ipocrita pacca sulla spalla e un sorriso beffardo e provocatorio.
Effettivamente si era trovato alla ribalta sui giornali, sui media locali e nazionali per aver arrestato quel macellaio di Ted Spark, noto come (che stramaledetta abitudine avevano i giornalisti di bollare tutto e tutti!) l’"assassino delle prostitute". Ne aveva infatti uccise dodici, tutte in modo diverso, ma tutte nella stessa zona. Aveva usato coltelli, pistole, le stesse mani nude, qualsiasi cosa andava bene pur di "far cessare quell’abominevole mercato della carne, punendo in modo categorico e implacabile coloro che lo mettevano in atto". Lo Psichiatra nominato perito dal Tribunale aveva stabilito che si trattava di un tipico caso di fanatismo religioso o alterazione psichica criminale o ...qualcosa del genere, insomma. Ora Olson non ricordava bene i termini esatti usati dal perito, ma di una cosa era certo: sia lo psichiatra del Tribunale sia l’altro assoldato dalla difesa avevano contribuito a far sì che Ted Spark venisse trasformato da carnefice in vittima della società e che evitasse la sedia elettrica. Adesso era ospitato in qualche manicomio criminale a spese dei contribuenti.
Ma era stato relativamente facile scovarlo, o meglio coglierlo sul fatto mentre cercava di fare la tredicesima vittima. Una vecchia aveva assistito suo malgrado all’ultimo omicidio avvenuto proprio sotto la sua finestra: aveva notato un particolare molto importante, perché abbastanza inconsueto anche in quella città. Ted Spark, bontà sua,
aveva una mania: sulla nuca completamente rasata aveva una croce formata da alcuni ciuffi di capelli, risparmiati volutamente dalla macchinetta del barbiere. Olson raccontò questo particolare ad un figaro della VII Avenue che gli doveva un paio di favori: costui fece alcune telefonate ai suoi colleghi della zona e ben presto nel giro di qualche giorno ebbe un nome e un indirizzo. Lo fece pedinare all’insaputa del capitano e proprio mentre, al culmine dell’eccitazione, stava strangolando la tredicesima ragazza fu catturato.
Tutto qui.
Certo era stata una operazione brillante. Ma questa storia della setta era tutt’altra cosa. Qui al contrario dell’altro caso la tecnica era la stessa, ma cambiavano completamente i soggetti. Non aveva neppure idea di dove cominciare.
"Sono un coglione e me lo merito!"
disse a denti stretti mentre percorreva il corridoio che lo avrebbe portato all’uscita della Centrale. Continuò a torturarsi:
"Dovevi mandarli tutti a farsi fottere, ne avevi tutti i diritti: ti manca poco alla pensione. Altro che accettare il ricatto del capitano. Così questa volta mi sputtana sul serio. Chissà da quanto tempo stà aspettando questa occasione.... e io scemo gliel’ho servita su un piatto d’argento!!!".
C’era infatti molta invidia da parte del suo superiore per i meriti che erano toccati tutti a lui. Aveva sofferto le pene dell’inferno quando gli era stato comunicato che le onorificenze per il caso Spark sarebbero toccate tutte al tenente Olson per aver condotto autonomamente e professionalmente le indagini e l’operazione finale. Insomma Freewell aveva interpretato la motivazione del riconoscimento come un premio a quell’insubordinato di Olson per aver fatto di testa sua, come al solito.
In preda a questi pensieri che non facevano altro che peggiorare la sua ulcera duodenale, ormai cronica, si avvicinò al chiosco degli hot-dogs. Ne prese uno con maionese (la senape quella mattina lo avrebbe senz’altro ucciso), pagò e fece per andarsene quando gli si parò davanti Jack, di professione strillone al semaforo tra la 57° Strada e la IV Avenue.
"Ehi, Olson, come ti butta?"
"Come vuoi che vada, Jack? Ne vendi di giornali stamattina, eh? Mi rovinerete con i vostri fottuti giornali!!"
E sorridendo fece per dargli uno schiaffo amichevole.
"Non te la prendere con me, poliziotto. Io faccio solo il mio lavoro! Comunque ci hai azzeccato. Stamattina i giornali vanno a ruba"
Si fermò un attimo, poi riprese sorridendo:
"Già proprio a ruba.... Pensa che dieci minuti fa un tipo mi ha strappato il giornale che avevo in mano e se n’è andato senza pagare. Che vergogna!! A due passi dal Commissariato. Ma che fà la Polizia ?"
Gli fece il verso, ottenendo solo un tiepido sorriso dal titolare del chiosco, intento a rigirare sulla griglia bisunta würstel e salsiccia.
"Fanculo, amico. Lasciami lavorare"
e così dicendo lo salutò amichevolmente.
Era un ragazzo sveglio, Jack, un negro di ventisette anni, alto, robusto ma soprattutto sveglio.
Conosceva praticamente tutti in quella zona, e gli era servito in parecchie occasioni , proprio perché tutto vedeva e tutto sapeva. Jack non è che nutrisse un particolare affetto per il corpo di Polizia della città ma per Olson faceva volentieri una eccezione. Infatti un anno addietro suo fratellino era stato beccato proprio dal tenente mentre spacciava qualche dose di crac per tirare sù qualche dollaro. Avrebbe potuto denunciarlo e farlo sbattere in riformatorio ma Olson capì che forse non lo avrebbe aiutato. Lo lasciò andare e come se non bastasse gli aveva trovato anche un lavoro! E così era nato un tacito accordo tra i due.
Olson a modo suo era affezionato a quel tipo, non era solo un informatore era una specie di amico anche se non era mai riuscito a capire in pieno il significato di quel termine.
"Sei una serva!" gli aveva detto quel giorno che era venuto a raccontargli che il farmacista Potter se la faceva con la moglie di un avvocato. "Un segugio!" lo aveva definito con gratitudine quando gli fornì il nome di un tipo che stava cercando. "Ficcanaso!!" gli aveva gridato in faccia quando gli aveva fatto notare che se continuava a mangiare hot-dogs avrebbe dovuto cambiare il guardaroba perché stava ingrassando a vista d’occhio.
Chissà come lo avrebbe definito il mattino di qualche giorno dopo quando si sarebbe trovato sulla scrivania la fotografia scattata dalla Scientifica che ritraeva la quinta vittima, ordinatamente composta tra quattro candele con tre croci sul petto, immerso nel suo stesso sangue.
II
Sbocconcellando il suo hot-dog ,sempre più unto e sempre piu velenoso, si mischiò alla gente che zigzagava tra i bidoni della spazzatura, barboni, mentecatti di ogni genere, età, sesso, pali della illuminazione pubblica, auto mal parcheggiate e paline segnaletiche. Tutte persone unite verso un’unica meta: il caro, adorato, odiato lavoro. Tutte le mattine la stessa routine, le stesse ansie, gli stessi itinerari, la stessa estenuante lotta con il tempo.
Olson, osservando questo fiume umano, per un istante si sentì privilegiato: non aveva orari, non aveva percorsi predefiniti, numeri di bus o fermate della metropolitana da ricordare. Poteva fare, pensare e vedere ciò che voleva. Fu comunque solo un momento che durò fino a quando non incappò in un’altra edicola.
Allora stramaledisse il suo lavoro, e soprattutto la sua mente che non gli dava niente, nessuna idea, intuizione che fosse.
Fu così che si ritrovò davanti al ristorante cinese di Wuang Li, altro suo importante e fidato informatore. Entrò.
Non era comunque mai riuscito a capire che razza di ristorante fosse quello che alle nove del mattino era già aperto. Comunque non era certo il caso di andare a controllare la licenza quel mattino e soprattutto a lui.
"Oh, caro Olson, cosa ti porta nel mio umile locale a quest’ora del mattino ?"
lo riverì’ Wuang Li con un profondo inchino.
Fosse stato qualcun altro, Olson lo avrebbe immediatamente insultato, interpretando il gesto come una evidente presa in giro, ma a quel cinese di cinquant’anni suonati non poté far altro che rispondere altrettanto gentilmente:
"I tuoi squisiti infusi di erbe medicinali, toccasana miracolosi per la mia ulcera.!"
si chinò a sua volta, facendo sparire nel cestino l’avanzo del suo hot-dog, sperando che il cinese non lo vedesse. Ma non fu così:
"Sono inutili i miei infusi se continui a torturare il tuo stomaco con quella robaccia! Olson, tu sei votato al suicidio!"
lo rimproverò il cinese, come faceva d’altra parte ogni volta che vedeva il suo amico consumare quei cibi.
"Hai ragione, Wuang Li, hai ragione. Ormai se non mi rovino lo stomaco con questi, ci pensa la setta delle tre croci a darmi il colpo di grazia."
"Non farti influenzare dai giornali, amico mio. Setta delle tre croci.... solo perché ci sono sempre tre croci sul petto delle vittime? Non è detto, non è detto! Non è sempre vera la realtà’ che si ha davanti agli occhi, l’apparenza è tale proprio perché c’è una realtà nascosta e assurda per chi ragiona solo con gli occhi e non col cuore e lo spirito."
"Già, la solita saggezza orientale....ma qui mi tagliano le palle se non risolvo questo fottuto caso!"
replicò Olson con malcelata stizza, innervosito dal solito sguardo serafico dell’interlocutore.
"Non usare questo linguaggio per esporre ciò che produce la tua mente. La volgarità nasconde la difficoltà interiore di dare incisività alle proprie parole!"
Olson capì che se avesse ancora continuato per altri trenta secondi in quel tipo di conversazione sarebbe saltato al collo del cinese e lo avrebbe strozzato. Gli fece invece una domanda più diretta:
"Tu che ne pensi, vecchia volpe?"
"Non lo so, sinceramente, non lo so. Tu vuoi sapere se per puro caso qualcuno mi abbia riferito qualcosa riguardo a questa storia? No, purtroppo, mio caro amico, niente e nessuno. Posso però dirti una cosa. Secondo una mia personale ipotesi è una persona sola che va in giro ad ammazzare. Perché non una setta? Vedi, alla base di una setta c’è sempre una religione o una credenza, siano esse in Dio, in Confucio o in Satana, in un profeta o in un uomo ritenuto Dio o demone o semplicemente inviato dall’una o dall’altra entità. Ma in tutti i casi ci vuole un luogo di culto, di adorazione. Per l’uomo è molto più facile credere in una divinità relegata tra quattro mura, su un altare, che non in una che si manifesta sempre ed ovunque. Tra queste quattro mura i proseliti si sentono protetti, si sentono parte integrante della divinità stessa. Ora , nel nostro caso, questi sacrifici umani, come vengono definiti, sono sempre consumati nei posti più diversi, per la strada, nei vicoli ecc. Quindi secondo il mio modesto parere non è una setta, non si tratta di qualche macabro rito, ma solo il frutto di un’unica mente sconvolta che chissà per quale motivo ha deciso di uccidere."
"Mmm....vedo che ti sei informato!"
lo interruppe Olson per riuscire a capire come mai il cinese parlava così liberamente, cosa per lui abbastanza inusuale.
"Sì, è vero, mi sono informato perché anch’io ho cercato di capire che cosa può spingere un uomo a commettere tali e tanti delitti ."
"Hai forse paura, Wuang Li? Pensi che sia qualcuno dei tuoi compagni un po' svitati scoppiati dall’oppio?"
Olson era sincero, non c’era sarcasmo nella sua voce e il cinese lo capì. Ma la risposta non arrivo subito. L’orientale abbassò lo sguardo per un istante. Strano. Un’altra cosa strana non sfuggì a Olson: Wuang Li iniziò ad agitarsi vistosamente, sfregandosi ripetutamente le mani come se si stesse lavando.
"No, non è nessuno dei miei compatrioti, come li chiami tu. In tutta la cultura cinese non si è mai trovata traccia di un rito del genere. Mai. Comunque un po' di paura c’è, per due motivi: primo perché non c’è una logica nella serie di omicidi, quindi chiunque potrebbe essere il prossimo; secondo perché sono stati tutti commessi in questa zona!"
Sembrava sincero anche se Olson sapeva che non aveva ancora detto tutto. Infatti anche lui aveva una sua teoria:
un uomo che suda in una gelida mattina di gennaio o ha un febbrone da cavallo o è in un imbarazzo tremendo. Wuang Li stava sudando come una fontana.
"Dimmi tutto, amico, lo sai che sono una tomba!"
lo incoraggiò , avvicinandosi come per rendere la conversazione più intima. Il cinese alzò lo sguardo, tirò un profondo respiro e infine si liberò del peso:
"Io..quel disegno..insomma, io ho già visto quel disegno!"
"Oh Cristo, Wuang, che cosa stai dicendo?"
"Qualche tempo fa venne un tipo qui nel ristorante, prese un tavolo come tanti. Andai io per le ordinazioni e fu allora che mi accorsi che il cliente stava disegnando su un taccuino quella figura di persona con le braccia aperte, che tu ben conosci. Mi colpì perché era un disegno infantile se rapportato all’età della persona che lo stava facendo. Notai anche che ripassava il disegno, come dire...con violenza, con insistenza. Finalmente si decise a darmi retta e mi ordinò un piatto di lasagne al forno!"
"Lasagne al forno in un ristorante cinese??"
"Sì, infatti. Io gli dissi che appunto era un ristorante cinese e che non facevamo specialità italiane. Allora con calma mi ordinò anatra laccata e qualcos’altro."
"Santo cielo, ma perché non me lo hai detto subito?"
chiese con foga Olson, che vedeva, anche se lontanissimo, uno spiraglio nel buio profondo che gli opprimeva la mente.
"Non lo so, amico mio, non lo so. Forse è perché solo dopo ho collegato le due cose."
"Allora dimmi, è un cliente abituale?"
"No, l’ho visto solo quella volta."
"Descrivimelo."
"Bah, un uomo normale, sulla quarantina, occhi profondi, sembrava malato, aveva un cappotto scuro che non si è tolto neppure per un momento."
"Cosa vuoi dire?"
"Mi spiego meglio. Mi è rimasto impresso questo particolare perché sudava abbondantemente. Il locale era molto affollato e faceva parecchio caldo, ma lui niente, ha continuato a tenersi addosso quell’impermeabile."
"Perché secondo te se lo è tenuto?"
"Come faccio a risponderti, amico? Forse perché era pigro, forse perché si sentiva a disagio , forse perché..."
"Forse perché nascondeva qualcosa?"
"Sì, può darsi....magari sotto l’impermeabile aveva un’ ascia e appena ha finito di mangiare è uscito ed andato ad ammazzare qualcuno!!"
Wuang Li stava cercando di sdrammatizzare ma nessuno dei due sorrise. Olson stava prendendo appunti.
"Ti ricordi che giorno era?"
"Oh no, non pretendere troppo adesso. Qualche giorno fa, te l’ho detto, forse una settimana, dieci giorni..."
"Altri particolari?"
"Del suo viso ricordo solo gli occhi infossati, forse un po' di barba incolta, era scuro di capelli.... nient’altro."
Il cinese concluse la frase in modo perentorio. Non aveva più nulla da dire al tenente: Olson lo capì e non insistette.
"Sai dove puoi trovarmi. Se dovesse venirti in mente ancora qualcosa o se lo dovessi rivedere nei paraggi, telefonami a qualsiasi ora, fossero anche le quattro del mattino, intesi?"
e detto questo si congedò e uscì seguito dal suo sguardo.
© Claudio Pellegrino - © 1998 ARPANet. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
La violazione del copyright e/o la copia illecita del materiale riprodotto in queste pagine, la diffusione non autorizzata dello stesso in qualunque forma contravviene alle normative vigenti sui diritti d'autore e sul copyright.
Per inserire i tuoi testi nel sito ARPANet, clicca qui!