UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino
V
"I miei omaggi, onorevole cliente!"
"Lascia perdere, amico, oggi non sono in vena di cazzate!"
Wuang Li e Olson si erano salutati.
Il ristorante era praticamente vuoto: c’era soltanto una coppietta in fondo alla sala, intenta a gustare chissà quale specialità cinese. Cercò un posto vicino alla finestra. Wuang Li gli si avvicinò con un sorriso a trentadue denti, continuando a sfottere il tenente per vedere se la sua era solo stata la classica entrata di un americano padrone del mondo o se invece aveva problemi veramente seri. Non fu difficile capire che era senz’altro la seconda la più azzeccata delle ipotesi. Ma Wuang Li era un personaggio positivo, in netta contrapposizione con la negatività di Olson, orso pessimista e scorbutico.
"Senti, oggi sono veramente a pezzi, O.k.? Quindi fammi il piacere di portarmi qualcosa per la mia gastrite e non rompere!!"
"Ho qualcosa di molto adatto alle tue esigenze..."
Si allontanò sorridendo in modo piuttosto equivoco. Olson ebbe una felicissima intuizione:
"Un momento, i vermicelli o serpentelli, non ricordo come li chiami tu, non li voglio, sia ben chiaro!! Voglio solo un po' di verdura bollita!"
Wuang Li fece finta di non sentire ed entrò in cucina senza fermarsi. Olson guardò fuori dalla finestra. Il sole era scomparso e aveva lasciato il posto ad un nevischio quasi impercettibile, ma insistente. Cercò le sigarette nella tasca della giacca e si ritrovò tra le dita il ciondolo di Jack. Era riuscito a farselo lasciare in consegna per quel giorno. Non gli era ben chiaro l’uso che avrebbe potuto farne...Eppure inconsciamente lo sapeva: voleva far vedere il ciondolo al cinese: forse quella sera nel ristorante aveva notato addosso a quel tipo strano un ciondolo come quello. Wuang Li stava uscendo dalla cucina con un piatto fumante. Olson tirò fuori il gioiello e lo sistemò sul tavolo.
"Ecco qua, Olson, la tua verdura bollita."
Mentre posava il piatto gettò lo sguardo sull’oggetto. Gli chiese, ironico:
"Cos’è, un regalo per me?"
"Non l’hai mai visto, Wuang?"
Il cinese negò. Il poliziotto insistette:
"Guardalo bene. Quella sera, qui nel ristorante, quando hai visto quel tipo che sudava...quello che faceva disegni infantili..."
"Si, ricordo, cosa ti ho raccontato. Tu pensi che sia suo e vuoi sapere gliel’ho visto al collo?"
"Esatto!"
"Mi dispiace deluderti, ma non ricordo. Qui di sera è buio, le luci sono soffuse, e poi c’è fumo..."
"Merda! Ci speravo. Sai, quel negro massacrato a Wellington Park? Beh, quando sono arrivato aveva questo ciondolo in mano. Senz’altro appartiene a quello che gli ha fatto la bella sorpresa l’altra notte. E io penso..."
Wuang Li lo guardò con un misto di curiosità e orrore: si girò semplicemente e se ne tornò in cucina. Olson rimase con la sua frase sospesa. Tutte le volte che gli aveva chiesto qualcosa riguardo alle indagini che stava svolgendo, Wuang Li aveva sempre cambiato espressione. Era come se avesse paura. Perché? Guardò con disgusto il piatto con le verdure bollite: due patate, uno zucchino, qualche carota. Si costrinse a mangiare. Stava incominciando la seconda patata quando alzò lo sguardo e vide l’amico in piedi di fronte a lui. Era pallido come un cencio.
"Quel ciondolo può dirti molte cose!"
"Già, grazie dell’idea. Peccato che parli solo tedesco e io il tedesco non lo capisco proprio!!"
"Stupido americano. Sono vent’anni che vivo in questo Paese e non ho ancora capito come facciate ad essere la prima potenza mondiale!!"
Wuang Li spostò la sedia e si accomodò di fronte ad Olson. Stava riprendendo un po' di colore in viso. Forse quella battutaccia lo aveva strappato ai suoi pensieri.
"Stammi a sentire, poliziotto. Adesso finisci il tuo pasto e poi ti alzi e vieni con me."
"Ah si, e dove andiamo?"
"Andiamo da Quo Weng La!" rispose trionfale il cinese.
Salirono una scala buia e sporca. Si fermarono al secondo piano di uno stabile che era tale solo di nome e non certo di fatto. Wuang Li bussò. Sentirono dei rumori e poi una frase incomprensibile, probabilmente cinese. Entrarono. Olson fu assalito da un odore acre e penetrante, ma a dire il vero, non sgradevole. La stanza infatti era invasa da una nebbiolina soffice: Olson non tardò molto a realizzare che dovevano per forza essere finiti in una delle tante fumerie d’oppio, sparse per tutta la città. Passarono nella stanza successiva. Non c’erano mobili ma solo tappeti, drappi rossi alle pareti e statuette panciute un po' dappertutto.
In fondo alla stanza, mollemente adagiato su un cuscino, sedeva un cinese dell’apparente età di sessanta, sessantacinque anni, magro come un chiodo, con una lunga barba bianca sottile che gli arrivava quasi fino in fondo ai piedi.
Wuang Li si inchinò e così fece anche Olson, dopo l’occhiataccia che gli lanciò il suo accompagnatore. Iniziò un lungo dialogo in cinese tra i due. Alla fine Wuang Li si rivolse al poliziotto e gli chiese di dargli il ciondolo. Lo consegnò al vecchio, il quale, appena l’ebbe sistemato nell’incavo della mano sinistra, fece una smorfia di dolore, come se l’oggetto fosse dannatamente caldo. Chiuse gli occhi e iniziò a pronunciare frasi molto lentamente. Olson ascoltava senza naturalmente capire niente. Sopportò per qualche secondo poi prese il braccio dell’amico e gli chiese di tradurre. Il cinese non lo considerò neppure.
Ad un tratto il vecchio smise le sue giaculatorie e si guardò terrorizzato la mano. Con un gesto istintivo gettò via il ciondolo che cadde sul tappeto proprio davanti ai piedi di Olson: fumava vistosamente. Il tenente guardò la mano di Quo Weng La: era ustionata e nell’aria si diffuse un vago odore di carne bruciata. Il vecchio allora si alzò in piedi e gridò qualcosa all’indirizzo di Wuang, il quale sbiancò di colpo. Si voltò, prese l’amico per un braccio e gli disse:
"Prendi il tuo ciondolo e andiamocene!"
Quando furono sul pianerottolo, Olson tempestò di domande il cinese, il quale impiegò ancora qualche istante prima di iniziare a rispondere.
"Il ciondolo appartiene proprio all’assassino e l’assassino e quell’uomo di cui ti ho parlato sono la stessa persona. La sua descrizione è stata molto dettagliata."
"Avanti, dai, questo già lo sapevo. Dimmi qualcosa che non so!!"
Il cinese lo ignorò e continuò a fissare un punto non ben definito sulla parete bisunta davanti a lui:
"Quell’uomo ha ucciso e ucciderà ancora, forse stanotte stessa. C’è una forza malefica in quell’uomo. L’uomo deve essere un demone...Così ha detto il vecchio."
"Un demone?? Lo sai che non credo a queste cazzate!"
"Già, certo, sono stupidaggini, fantasie di un pazzo!!"
Wuang Li era fuori di se. Adesso lo guardava negli occhi:
"...Come è senz’altro pura immaginazione la mano bruciata dal ciondolo! Che mi dici adesso, americano?"
Olson restò senza parole. Aveva ragione, quell’ustione era veramente inspiegabile: lui stesso, d’altra parte, aveva raccolto il ciondolo ed era ancora effettivamente caldo. Lo stesso tappeto si era annerito nel contatto con l’oggetto.
"O.k., scusami, vai avanti"
"Non c’è più molto da aggiungere. Ha sentito la presenza di altre persone, lui li ha definiti demoni. Ha cercato di entrare nella mente di quell’uomo ma in quel momento qualcosa, che lui ha definito il male, lo ha minacciato e per fargli capire la sua forza gli ha ustionato la mano. Tutto qui. Olson comunque io inizio ad avere paura. È tutto così strano, così maledettamente misterioso..."
"Di cosa hai paura? Sai qualcos’ altro che io non so?"
"No, non è questo, davvero. È che forse stiamo cercando di affrontare qualcosa più grande di noi!"
Scesero le scale in silenzio e si ritrovarono tra la folla infreddolita della Ventunesima Strada.
© Claudio Pellegrino - © 1998 ARPANet. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
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