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UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino


CAPITOLO NONO

III

La prima cosa che pensò Miriam, dopo essersi riavuta dalla sorpresa di ritrovarsi sul televisore della hall il viso stralunato del suo cliente della camera al primo piano, fu "Addio mille dollari!". A tanto infatti era arrivato l’ammontare degli arretrati che Henry Kenz doveva saldare. Era stata un’ingenua: aveva sempre creduto alla sua buona fede e si era fidata ciecamente di lui. Gli sembrava, in sostanza, una brava persona e lei, in anni di attività, raramente si era sbagliata. Quella volta, invece, l’errore l’aveva fatto e anche bello grosso. Effettivamente era una persona un po' schiva, introversa, estremamente seria . Ma lei, invece di dare importanza a queste sensazioni si era fatta fregare dalla sua squisita cortesia, dai suoi modi gentili. Si ricordava, adesso, troppo tardi ormai, che spesse volte l’aveva visto uscire dall’albergo camminando come un automa. Aveva avuto il dubbio che forse ogni tanto fosse drogato, ma non aveva mai dato troppa importanza alla cosa. In fin dei conti non le aveva mai causato problemi e seccature di sorta (a parte il fatto che non le aveva ancora dato un dollaro!).
Solo adesso collegava: le urla che ogni tanto sentiva provenire da dietro la porta di quella camera forse non erano gli effetti di un brutto sogno, ma sintomi di pazzia omicida.
Già, adesso era tutto facile, adesso i suoi comportamenti avevano un senso. Si alzò dal divano e si diresse dietro il bancone del bar. Si versò una tazza di caffè bollente e forte. Poteva comunque considerarsi fortunata. Certe notti in tutto l’albergo c’erano solo lui e lei. Rabbrividì.
Guardò l’orologio. Erano passate da poco le nove. Quella mattina la telefonata ad Olson non sarebbe solo stata un salutino. Aveva qualcosa di interessante da raccontargli. Forse avrebbe ottenuto più attenzioni dal suo "compagno". Sorrise pensando a come lo aveva pensato: compagno!.
Alzò la cornetta e compose il numero. Non lo trovò. Una voce le disse che era sì arrivato in ufficio ma che era di nuovo uscito. L’agente non seppe dirle dove potesse trovarlo.
 

IV
 

Padre Edward mise giù il telefono e avvertì il profondo silenzio che avvolgeva la sacrestia. Guardò il quadro che riproduceva il martirio di San Sebastiano, trafitto da una decina di frecce. Aveva osservato centinaia di volte quella tela, ma quel giorno vi vedeva qualcosa di macabro, di demoniaco.
Un brivido lo assalì improvvisamente, come se qualcuno avesse aperto una finestra in una notte di tempesta. Si guardò intorno per cercare la fessura: da dove proveniva quel soffio gelido? Tutto gli parve normale, come da anni, d’altra parte. Era lui che da qualche tempo non era più tanto normale. Stranamente, l’inizio di quella sua inquietudine era coincisa con il primo omicidio della famigerata setta delle tre croci. In un primo tempo aveva pensato ad una semplice autosuggestione. Ma a poco a poco aveva capito che ciò che sentiva non era una paura irrazionale verso l’ignoto, l’inspiegabile: quello che lui temeva era una presenza, quella presenza che da anni non aveva più avvertito...da dieci anni.
Tanto era il tempo che era trascorso da quando aveva rinunciato a salvare povere creature di Dio possedute da lui, l’angelo rinnegato, la Bestia. Cercò una sedia, la sua sedia preferita, proprio dietro al tabernacolo. Si sentiva protetto nel sapere che al di là del muro c’era il corpo di Cristo, sottoforma di ostia. Si sentì decisamente meglio quando si lasciò cadere sul morbido velluto color porpora della poltrona. Tirò un profondo respiro. Chiuse gli occhi.
Pensò alla casa dove era cresciuto, sprofondata nel verde della Scozia. Sentiva ancora l’odore di muffa, sentiva il calore del sole, concesso raramente da nuvole minacciose, gonfie di pioggia. Gli parve di sentire il belare delle pecore. Gli parve di sentire...un rumore, un colpo secco, come una martellata, amplificato dalle alte volte della cattedrale. Si irrigidì aspettando un secondo colpo che confermasse il precedente. Ma tornò il silenzio.
Sentì invece dei passi lenti, costanti. Normale, si disse, in una chiesa!! Ma non bastò questa considerazione a tranquillizzarlo. Anzi la sua mente fu assalita da una immagine che pensava ormai cancellata da tanto tempo: rivide il volto sfigurato di Matias guardarlo con occhi sbarrati. Rivide la sua mano afferrare una statuetta di porcellana che sua madre aveva lasciato inavvertitamente sul tavolino del salotto. Sentì ancora nitido il colpo secco sul legno. Fu assalito da una profonda angoscia quando rivide per l’ennesima volta le immagini di quello che fu per tante notti il suo incubo ricorrente: Matias, sbavando e gridando frasi irripetibili, dapprima accarezzò con un sorriso i bordi frastagliati della statuetta e quindi con tutta la disperazione che Satana riuscì a trasmettergli, si conficcò quell’arma rudimentale nello stomaco fino a spezzare la spina dorsale e uscire nella schiena irrigidita. Il suo ghigno si trasformò in stupore e poi in sgomento quando Satana, abbandonando il suo corpo ormai inutile, rise della debolezza del ragazzo e dell’impotenza deprecabile di lui, Padre Edward, esorcista di fama mondiale. Quell’insuccesso era stato determinante per spingerlo a chiedere udienza al Santo Padre. Lo pregò di esonerarlo dall’incarico. Ma adesso, nel silenzio della sua sacrestia, si sentiva un vigliacco. Aveva giustificato la sua richiesta adducendo come motivo la sua umiltà nel riconoscere la sua incapacità. Ma sia lui che il Santo Padre conoscevano la vera ragione: paura.
Erano passati dieci anni, e la paura, quella particolare sensazione che aveva provato in quella circostanza, era ritornata , da qualche giorno. Sentì di nuovo un rumore, simile a quello di prima, ma più vicino, quasi dietro al muro che aveva alle spalle.
"Sarà il tenente Olson " si disse, cercando di calmarsi. Stava scivolando nella più nera angoscia. Effettivamente poteva essere veramente il poliziotto. Infatti quando gli aveva telefonato circa una mezz’ora prima, Olson aveva assicurato che sarebbe arrivato praticamente subito. Non sarebbe comunque stato lui a salvarlo se i suoi sospetti erano fondati. Cosa avrebbe potuto fare un distintivo contro la potenza distruttrice del Signore delle Tenebre? Se poi considerava il fatto che il tenente era molto scettico nei confronti di tutte le manifestazioni del male che non fossero omicidi, rapine, aveva di che scoraggiarsi. Nonostante ciò stava aspettando con ansia il suo arrivo, fosse solo per raccontargli ciò che lui aveva visto nel vicolo dietro la chiesa quel giorno in cui Mary Goldsmith aveva cessato di vivere. C’era anche un’altra cosa che forse avrebbe potuto aiutare Olson a trovare uno spiraglio . Quel ricordo gli era affiorato alla mente solo da poche ore, quel giorno che...
Sentì di nuovo il rumore.
Ormai era un fatto naturale provare un tuffo al cuore ogni volta che sentiva quel rumore. Si ricordò improvvisamente che aveva dimenticato di chiudere il tabernacolo. Si alzò di malavoglia da quella poltrona così rassicurante e uscì dalla sacrestia. Si avviò verso l’altare, guardandosi intorno, sperando di vedere tra i banchi della cattedrale la possibile fonte di quei rumori: La vecchia Mabel che sbatteva la sua canna quasi con rabbia per trovare la strada per uscire.
Ma nella penombra della navata centrale non vide Mabel.
Vide solo una figura in fondo alla cattedrale, immobile, statuaria. Si sentì osservato da occhi di ghiaccio.
"Assurdo" si disse quasi ad alta voce. Diede la schiena alla vetrata gotica che raffigurava la resurrezione di Cristo e si avviò verso l’altare. Vide la porticina socchiusa del tabernacolo. Prima di chiuderla istintivamente la aprì quasi per assicurarsi che le ostie fossero al loro posto. Ma con suo grande stupore non vide il calice, ma una massa scura che solo dopo qualche istante realizzò essere la testa mozza e sanguinolenta di un gatto nero. Dovette reggersi al marmo dell’altare per vincere una improvvisa vertigine.
"Oh Dio santissimo!" sussurrò con un filo di voce. Dimenticò il tabernacolo, le ostie e il calice. Corse nella sacrestia e vi si barricò, appoggiandosi alla porta per non cadere, stremato. Il ronzio che gli aveva invaso la mente, lasciò il posto ad un suono più reale e definito.
Passi...Passi pesanti e regolari.
Qualcuno stava venendo nella sua direzione. L’orologio sulla parete di fronte batté le diciotto. Erano passati meno di quaranta minuti dalla telefonata che aveva fatto alla Centrale di Polizia. Quindi doveva essere Olson , per forza. Così gli avrebbe anche mostrato la bella sorpresa che gli avevano riservato. Senz’altro avrebbe creduto a ciò che stava per dirgli.
I passi si fermarono proprio dietro la porta della sacrestia.
Raccolse tutto il coraggio che ancora gli rimaneva e aprì la porta. La persona che gli si parò davanti non era il tenente Olson. L’uomo gli sorrise. Padre Edward doveva ancora riaversi dalla delusione quando si sentì spinto all’indietro. Perse l’equilibrio e cadde sul pavimento di legno. L’uomo tirò fuori dal lungo pastrano un’ascia. In un attimo Padre Edward ebbe la conferma di tutte le sue paure. Vide il demonio in quell’uomo, cercò di vederlo quasi per dare istintivamente una parvenza di martirio per salvare la sua anima ed essere accolto nel regno di Dio. Ma questo barlume di santità ben presto lasciò il posto all’umano terrore, vigliacco e meschino, niente di più che la paura istintiva di perdere la sua amata vita terrena.
Urlò, ma non per scacciare Satana , ma per scacciare quell’uomo che stava per ucciderlo. Quell’urlo gli morì in gola , quando l’ascia gli recise di netto trachea, esofago e vertebre cervicali, mandando la sua testa contro le gambe della poltrona di velluto porpora.
Quando l’uomo, sempre sorridendo, afferrò la massa sanguinante per i capelli scarmigliati, gli occhi erano sbarrati e la bocca spalancata, in un urlo afono e grottesco.
Due minuti dopo la sacrestia era una camera ardente.  

.....................
 

Foster si allontanò dalla cattedrale camminando tranquillamente. Aveva lasciato l’auto qualche isolato più in là. Non aveva impiegato più di mezz’ora per guadagnarsi diecimila dollari. Gli venne quasi da ridere quando pensò che aveva impiegato più tempo a catturare il gatto che ad ammazzare il prete. Non riusciva comunque a capire perchè quei tipi avevano pagato una simile somma per far fare a lui ciò che i loro killers avevano già fatto decine di volte. C’era sotto qualcosa? Eppure non aveva mai lavorato per loro o contro di loro e tutto era filato liscio come l’olio: nessun testimone, nessuna resistenza. C’era un altro fatto che lo lasciava per lo meno perplesso. Perchè tutta la messinscena delle tre croci sul petto del poveraccio, perchè le candele, il disegno? Già, aveva scordato il disegno...Bah, non lo avrebbero senz’altro ammazzato per una simile cazzata.
Aveva sentito qualcosa alla televisione a proposito di una strana setta che stava ammazzando mezza città. Adesso pensandoci bene convenne che tutta la scena era identica a quella che aveva letto in un trafiletto su un quotidiano sportivo. Quindi erano loro "la setta"? Se così era allora lo avevano usato. La cosa non lo rallegrò affatto: lui era un professionista, ammazzava per denaro, non aveva nulla a che fare con quei pazzi fanatici. Si sentì meglio dopo questa presa di posizione: si sentì più sereno, forse meno colpevole! Fece ancora due passi. Continuò a rimuginarci sopra.
E se quelle volpi che lo avevano ingaggiato avevano voluto la messinscena per far credere alla Polizia che fosse opera della setta? "Ingegnoso!" La loro presunta astuzia lo divertì.
Attraversò Church Road e imboccò il vialetto e poi il vicolo che lo avrebbe condotto alla sua sgangherata Pontiac azzurro cielo.
La sua mente però non aveva ancora liquidato l’argomento. Tutto quadrava ma perchè allora spendere diecimila dollari? Avrebbero potuto farsela da soli la scenografia!! Il suo contatto gli aveva detto che "loro" non potevano. Prima quella frase lo aveva divertito, ora lo lasciava perlomeno perplesso.
Foster stava pensando agli occhi del prete quando sentì un rumore sordo, soffocato, e subito una tremenda fitta alla gamba destra. Istintivamente si toccò la parte che gli doleva maledettamente. Vacillò. Si appoggiò al muro del vicolo. Stava ancora cercando di capire cosa gli fosse successo quando un secondo proiettile lo centrò in pieno petto, ponendo fine ai suoi pensieri, fulminandolo.
 

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