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Amore

III

La visione di un cartellone pubblicitario strappato, mi riportò indietro nel tempo, nel ricordo di luoghi e vedute distanti negli anni dalla mia mente. Fu particolare il fatto che solo la vista di una promozione a grande tiratura fece risalire il pensiero, arrivando alle passate emozioni, le strade, il traffico, le persone.

Decisi, senza pensarci troppo, che potevo tornare indietro nel tempo, non tramite apparecchiature computerizzate virtuali, ma realmente, materialmente.

Arrivai a la stazione la mattina seguente con una strana emozione addosso, una semplice voglia di rivedere, rivivere gli attimi, scoprire il passato vedendolo dal presente. Poche persone per il treno, mezzo di locomozione ormai obsoleto; tutti si spostavano con i Rit, autoveicoli e autobus viaggianti in terra tramite ruote pneumatiche acciaiose tubolari oppure nell’aria come fossero piccoli aerei da città. Molto più conveniente per tutti, visto il risparmio di tempo e di denaro. Per passare da un tempo ad un altro però pensai fosse adeguato spostarsi in treno, lentamente, osservando la velocità delle cose fuori dagli oblò finestrino. La stazione era terribilmente sporca e lacera più che di rifiuti solidi urbani, di vere e proprie guerriglie architettoniche. Avevano pensato di rendere questi spazi aggiornati ai tempi, variando completamente le strutture interne, rendendole simili a gallerie del vento, amplissime e vuote. La maggior parte della gente non le visitava da tempo, potevano essere considerate dei veri musei della comunicazione. Il mal gusto regnava intorno, tenendo conto che sembrava ci fosse un marasma di persone ad affollarsi per prendere il treno, mentre il tutto era creato tramite effetti sonori, solo per far si che i pochi che si affacciavano all’interno della stessa non si sentissero colpiti dal generale silenzio, mutismo meccanico. Rimasi invece colpito dall’opposto tanto che non mi accorsi del treno che arrivava. Niente vapore o elettricità.

La visione passata del treno che arriva mi balenò in testa ....la gente che si accalca per approfittare dei posti migliori prima ancora che lo stesso si fermi stridendo. La prospettiva da binario a binario, lunga; prospettive grigie e marron tra vagone e vagone con attacchi metallici e neon in lontananza. Le sirene che annunciavano arrivi e partenze, sonoro simile ad un sax greve, stonato. Il movimento virtuale della carrozza, rimanendo però fermi accorgendosi poi che in movimento e il vagone di fronte, illusione ottica, illusione....!

Il viaggio non fu tanto lungo, tanto quanto bastava per osservare l’uscita dalla metropoli, pochi sparuti alberi velocissimi, il dolce su e giù di linee telefoniche abbandonate, in rovina e non più in funzione.

L’entrata periferica del quartiere.

Il cielo grigio faceva sembrare i prati colmi di immondizia, non verdi ma distese dai colori pantone. Stessa immagine della stazione precedente, architettura orribile, niente di umano. Il quartiere era linfa vitale per la metropoli. Era strutturato a cerchio a tre livelli: l’anello esterno era scarto, prato estirpato alla natura, rifiuti nocivi industriali, un bel parco in lontananza, un agglomerato di scorie in primo piano. Fiumi in piena lo tranciavano, liquido che si perdeva in fosse somiglianti a laghi artificiali, vere e proprie piscine radioattive. Non esisteva vita, se non quella dei rifiuti, immobili, scaricati dall’alto di un Rit da trasporto merci che sorvolava la zona due volte al giorno scaricando quintali di materiale inorganico. Il secondo cerchio era composto da sole industrie a doppia faccia, sopra perfette su strutture stupende, sotto enormi motori pulsanti. La cerchia industriale racchiudeva completamente, abbracciava il quartiere, l’essere umano. Cosa poteva essere, circonciso tra ammassi di metallo, materia non più vitale, una parte pensante. Come poteva essere ancora pensante.

Non osai guardare fuori dalla grande porta. Paura di perdere il poco che rimaneva e sovrascrivere un file già creato, tanto, tanto tempo fa.

La stazione, rumorosa nel suo insieme vuoto, l’ultima frontiera. Non oltrepassai la frontiera. Perdere anche il ricordo, cestinarlo come carta usata male, cellule cerebrali morte. Il treno, la sua prospettiva lineare, un po’ curva e parabolica, mi riportò al presente senza ricordo, con memoria vivida, ma non utilizzabile.

Non erano più connettori meccanici, niente neon.

InterMondi: Viaggio nel III Millennio

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© Paolo Carta - © 1998 ARPANet. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
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