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Amore

II

Il sibilo delle cellule fotoelettriche mi svegliò. Luce.

Lo sguardo si perdeva lontano, all’orizzonte della grande distesa. Tutto era illuminato da un pallido ma scintillante sole, quasi come fosse primavera. Restai ad osservare la città ancora crogiolarsi del lungo sonno notturno per poi esplodere in un mare di rumori simili agli ingranaggi del grande orologio che scandiva lo scorrere del tempo, nella mia stanza da letto. Una leggera foschia avvolgeva il tutto rendendolo ancora più soave, quasi piacevole. Era molto presto, l’attimo di transizione dal buio totale alla luce giallognola del giorno.

Il Mom aveva naturalmente e senza disturbarmi attivato l’intera struttura che mi cullava. Era già in atto il processo per il mio riequilibro alla vita normale e terrena. Reale.

L’aria era così fresca che lasciai per qualche istante il portellone aperto, per godermi quello spruzzo di vita ancora per qualche istante. Decise il Mom a richiuderlo e l’odore del caffè già pronto mi riportò, come ogni mattina al pensiero della vecchia famiglia, risveglio, lavoro.

Il Mon si accese e incominciò a dettare le fila per lo svolgimento della giornata, ma avevo imparato a registrare il tutto. Odiavo incontrare qualcuno prima del caffè - sigaretta. Assaporando il miscuglio interno di buon tabacco, forse tedesco e il gradevole sapore del caffè italiano, ripensai al viaggio notturno, al dispendio di energie, la crisi del risveglio. Coscienza.

Il Mon impartiva velocemente gli ordini. Presi due Smart e mi misi all’opera. Il mio compito era quello di selezionare le diverse esigenze del pubblico, sapendo anche che comunque solo una parte della selezione avrebbe avuto buon fine. Erano diversi anni che facevo parte dell’organizzazione, non si stava male, tutto sommato molto meglio di eventuali controlli interni, questionari, domande risposte. Comunicazione.

Mi definivo normale, ma comunicare non era certo il mio forte. Insomma non mi piaceva tanto parlare. Altri facevano domande e catalogavano risposte. Io usufruivo del database per creare poi profili, identità, gusti. Manipolavo.

Il Mon scorreva veloce. L’unico problema era appunto stare dietro ai dati che venivano indirizzati al mio server. Il tempo non era necessario per riuscire fisicamente e fisiologicamente a strutturare tutto in maniera adeguata. Non potevo utilizzare IA, le intelligenze artificiali che avevamo a disposizione, il risultato sarebbe stato troppo complesso, poco riportabile all’essere umano normale. Inferiore.

Il problema più importante erano gli occhi, difatti mentre il Mon sparava dati non potevi sottrarti alla loro visione neanche per un secondo. Questo voleva dire non poter fisicamente chiudere gli occhi con conseguenti problemi alla vista e lacrimazione continua. Ovviamente avevo un apposito visore che permetteva al bulbo oculare di non danneggiarsi troppo anche se quando il Mon si scollegava bisognava rimanere al buio per almeno trenta minuti, rischio di cecità. Avevo ormai fatto diverse operazioni agli occhi e li avevo sostituiti un paio di volte, ma questo significava indebolire il nervo ottico e quello lo si poteva sostituire solo una volta. Avevo a disposizione un nervo artificiale, ma la visione con questo non era ottimale, nonostante lo usassi spesso per le ricerche più veloci e la consultazione di banche protette.

L’ultima volta fu commiato. Avevano deciso di integrarmi nel progetto C.

Costruzione.

La sera arrivava di colpo, non c’era imbrunire, come all’alba di un nuovo giorno. Dalla luce accecante del sole alto, al buio pesto, come se di colpo qualcuno avesse spento tutte le centrali del mondo. Ero affezionato al buio, non mi dava fastidio, ero troppo protetto per poter temere qualcosa. Lontano.

Il Mom mi diede l’accesso. Dovevo aspettare almeno un paio di minuti prima di poter uscire, disfare, non pensare e riportare alla luce le parti nascoste dell’universo. Jack - in, login, ready.... Start!

ComunicareNormaleRicordareFunzionareSorridereCicloRegolaIngranaggioLeggePuliziaOmologato.

Vomitare.

Non mi era mai successo di vomitare al rientro. Pensai si trattasse solo di riflusso di qualche Smart male addizionata, non ci badai, al momento. Eppure un senso di dolore, non fisico, mi accompagnò per qualche giorno, nel mio lavoro che proseguiva velocemente. Capii molto presto che più che essere stato assegnato ad una nuova, per me, categoria, la mia era solo normale routine professionale. Al centro serviva un punto di vista diverso. Punto e basta. Nel momento in cui avrei portato a compimento la mia "missione", sarei tornato normalmente alla categoria inferiore. Catalogare, o meglio, assemblare catalogazioni. Creazione di gusti.

Il Mom scelse per me un film andato, di diverso tempo fa, quando il popolo andava ancora a soddisfare il proprio sguardo. Cinema. Film andato, storia di un gruppo di persone, ragazzi poi adulti, vita di città stelle e strisce di tanto tempo fa, proibizionismo; tutto visto e raccontato da un italiano.

Non ero abituato. L’essere passivo. Osservare lo schermo che comanda senza che tu possa impartire ordini precisi. Comando. Subisci il tutto con sguardo fermo, cercando di carpire ogni raffinatezza dello schermo.

Non era male il film. Il Mom non sbagliava. Mai.

Sbadigliai. Non essendo abituato a rimanere inerme, ad essere fermo. Immobile.

Il suono mi colpì. Una melodia dolce ma malinconica che nello stesso tempo aggrovigliava le mie gambe stringendosi alla gola. Non una parola.

Ricordo.

Un flashback mi portava lontano, nel ricordo sbiadito e pur vivido della mia infanzia. Calore.

Disturbi annebbiavano la mente che trovava ostacoli nell’immergersi in storia passata, vissuta da un ragazzo che girava per i quartieri più malfamati della grande city in cerca di qualche ubriacone da derubare. I miei amici. L’amore. La morte.

Rinvenni.

Era già ora. Il Mom impartiva, bisognava seguirlo.

Mentre smanettavo per la costruzione, ripensai a quanto successo, lo schermo, il ricordo. Ricerca.

Presto il mio compito giunse al termine e come avevo previsto, fui rispedito al mittente, cioè da dove ero partito. Catalogazione, gusti.

La mente era lontana dal lavoro. Non mi era mai successo di assentarmi così di frequente. Assentarmi in senso lato, non si poteva sfuggire agli ordini del Mom, lui impartiva e controllava. Solo a compimento della razione giornaliera di put potevi essere lasciato libero, anche se lui era sempre lì presente, un amico pronto all’uso. Amici.

Dove avevo lasciato i miei amici. Dove erano adesso? La causa del mio dolore era senza ombra di dubbio derivata dal fatto che erano troppe ore che non prendevo Smart, ovvio, ma il mio pensiero non degnava avere rispetto della situazione. Era molto più forte di ogni Smart.... il ricordo, dove è finito quanto avevo vissuto da ragazzo, e le persone, umani, dove sono... e la musica....

Perché n...................

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InterMondi: Viaggio nel III Millennio

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