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UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino


CAPITOLO UNDECIMO

I
 

Kate parcheggiò in una zona riservata alle auto della Polizia. Un agente intirizzito le si avvicinò e, in mezzo a una nuvola di vapore, le spiegò che lì non poteva stare. Kate si scusò e parcheggiò dalla parte opposta della strada con una inversione a U che lasciò di stucco il piantone.
Si sentiva angosciata. Avrebbe dovuto rispolverare vecchie storie, rivivere circostanze spiacevoli e intimità nascoste. Poteva immaginare come sarebbe stato l’interrogatorio: aveva visto una miriade di film e telefilm ed era certa che la realtà non fosse poi tanto diversa. Ma ormai la decisione era stata presa e si sarebbe tolta il peso una volta per tutte. Sperava comunque di poter, in qualche modo, aiutare la Polizia a catturare quegli "altri" che avevano terrorizzato Henry mesi addietro.
Fu accompagnata nell’ufficio del tenente Olson. Fu sorpresa nel vedere la persona che gli stava davanti. Si era immaginata un tipo interessante alla Kojak o alla tenente Colombo, insomma una persona strana, intelligente, particolare, in una parola "unica".
Aveva invece davanti un uomo tarchiato sulla cinquantina o più, trasandato, non rasato da uno o due giorni, sostanzialmente normale, anonimo e banale. L’unico particolare che le fece cambiare in parte la sua impietosa analisi fu lo sguardo: gli occhi erano penetranti e vispi, nonostante fossero contornati da occhiaie scure e profonde. I capelli erano ormai grigi, pettinati sommariamente.
Si sedette e aspettò l’inizio dell’interrogatorio.
Olson le offrì del caffè, e visto il suo rifiuto si lasciò cadere sulla poltrona. Guardò con attenzione la donna che sedeva davanti a lui. Era esattamente come se l’era immaginata durante la telefonata. Alta, capelli lunghi neri, occhi stupendi, bella in modo quasi esagerato, forse per un filo di trucco di troppo, ma nell’insieme molto interessante e attraente. Doveva essere senz’altro una donna in carriera, moderna e disinvolta, forse un po' fredda e magari cinica, abbastanza spontanea ma non avventata, un genere di donna, insomma, che lo avrebbe senz’altro messo in imbarazzo l’avesse incontrata fuori dal suo ufficio. Fortunatamente l’incontro era avvenuto alla centrale dove lui giocava in casa. Olson fermò i suoi pensieri. Si rese conto che stava esagerando nella sua analisi: non aveva abbastanza elementi per fare anche il suo profilo psicologico e caratteriale, anche se quasi mai si era sbagliato nel giudicare una persona dalla prima impressione.
"Mi dica tutto su questo Henry Kenz"
Kate si sentì subito più tranquilla. Si era aspettata domande più precise che l’avrebbero senz’altro messa un po' a disagio. Si sentì invece libera di fare la sua deposizione in tutta tranquillità.
Parlò del loro incontro, di come andò avanti la relazione, tralasciando volutamente alcuni particolari intimi e personali. Il tenente la lasciò parlare per più di un quarto d’ora, senza mai interromperla. Il poliziotto intervenne solo quando stava raccontando dell’ultima volta che lo vide.
"Non aveva mai notato qualcuno che avevate incontrato insieme che , secondo lei, provocò in lui rabbia, rancore o paura?"
Kate rifletté qualche secondo e poi rispose:
"Non ricordo nessuno in particolare. Però...adesso che ci penso mi viene in mente un fatto strano. La scenata che le ho raccontato seguì ad una mostra che avevo organizzato per conto del proprietario della galleria per la quale lavoro e che visitammo insieme. Notai un certo nervosismo in lui, una sorta di disagio nascosto a fatica. Ecco, forse, lì in mezzo a tutta quella gente che affollava il salone potrebbe aver visto qualcuno che lo spaventò o che gli ricordò un passato che ho scoperto di non conoscere affatto."
"Potrebbe essere. Voi tenete un elenco dei visitatori?"
"No, abbiamo solo l’elenco delle persone a cui abbiamo spedito l’invito"
"Beh, è come cercare il classico ago nel pagliaio, ma comunque...le sarei grato se me lo facesse avere. Farò controllare e chissà che non salti fuori qualcosa di interessante. Allora, mi dica, il caffè proprio non lo vuole?"
"No, grazie tenente, davvero:"
"Io invece lo devo prendere senno do di testa. Mi aspetti solo un minuto, torno subito. Lei intanto pensi a qualsiasi particolare, anche insignificante. Tutto potrebbe essere utile. Ci manca il movente. Ci manca la chiave per capire come decidono chi uccidere, dove e quando. Dobbiamo riuscire ad entrare nella loro testa per poterli fermare. Lei ci può aiutare...almeno credo."
Olson si alzò e fece per uscire. Si fermò ed estrasse una foto dal cassetto della scrivania: la mostrò alla donna:
"Questo ciondolo... glielo aveva regalato lei?"
Kate osservò la figura a colori per alcuni secondi. Poi rispose:
"Si, è un mio regalo. Dove lo avete trovato?"
"Era nella mano...di una vittima. Deve averglielo strappato..."
"Vuol dire che Henry Kenz lo aveva indosso?"
Olson non capì il suo stupore ma fece un cenno con il capo. Era proprio una donna strana. Finalmente uscì.
Lei pensò ancora un attimo, con dolcezza, a quel ciondolo.
Kate si sentiva più rilassata, più leggera. Tutto sommato le piaceva quell’uomo, perchè aveva una gran qualità: sapeva ascoltare. Si guardò intorno. Il suo ufficio era la fotocopia esatta del suo aspetto esteriore: disordinato, quasi caotico. Poi la sua attenzione fu attratta dalla mappa della città che era affissa sulla parete di fronte a lei. C’erano delle puntine da disegno di vari colori con dei cartellini attaccati di fianco ad ognuna di esse. Si alzò per vedere meglio e si accorse che vi erano scritti dei nomi, nomi che aveva sentito al telegiornale, che aveva letto sui quotidiani: tutte le persone che Henry Kenz aveva massacrato. Vide anche il cartellino con il nome di Henry, vicino ad una puntina più grande.
Olson rientrò. Kate si rivolse a lui in modo molto strano:
"Sono disposte in cerchio!"
Passò qualche istante poi ripeté, sussurrando, quasi pensando a voce alta:
"...In cerchio..."
Olson restò sorpreso da quel comportamento, ma non lo diede ad intendere. Commentò:
"Ha ragione, sembra che quei bastardi vogliano imitare Giotto..."
Si fermò un attimo. Non aveva molta voglia di spiegarle l’altra ragione di quell’incontro:
"Dovrei chiederle un favore. Nessuno è venuto a riconoscere il cadavere, nessuno ne ha reclamato la salma. Dovrebbe farlo lei, naturalmente, se se la sente."
Olson sembrava non aver dato molto peso all’osservazione della donna, ma non per questo non ne restò colpito, anzi... soprattutto per il modo con cui aveva pronunciato quelle poche parole. Effettivamente era proprio quello il fatto nuovo che avevano scoperto dopo gli ultimi tre omicidi: se si fosse preso un compasso e tracciato un cerchio, tutti i punti corrispondenti ai luoghi degli omicidi sarebbero stati uniti. Ma il grande dilemma era il perchè di tanta precisione e bizzarria. A che cosa miravano? Che cosa volevano fare?
Kate si alzò come un automa dalla sedia, girò intorno alla scrivania, lentamente, e si fermò di fronte alla mappa della città. Olson restò immobile con la tazza del caffè a mezz’aria. Dopo qualche secondo di immobilità pressoché totale, la ragazza alzò il braccio destro e puntò il dito nel centro del cerchio e pronunciò una frase che Olson non capì affatto:
"È qui la chiave di tutto!"
Detto questo parve svegliarsi da quel suo stato di trance. Guardò il tenente che finalmente portò la tazza alla bocca e bevve un sorso di caffè ormai freddo.
"Mi scusi, ma ogni tanto mi capita. Ho delle specie di visioni..."
Si fermò un attimo, poi riprese sorridendo:
"Non sono pazza, mi creda!"
"Né l’ho detto e né l’ho pensato"
Olson cercò di essere il più convincente possibile, anche se non era certo un comportamento che, nella sua razionalità, potesse approvare. Era anche vero, comunque, che gli eventi delle ultime settimane lo avevano messo a dura prova. Chissà, forse anche una donna dotata di percezioni extrasensoriali poteva aiutarlo in quel caos: "Il centro del cerchio...la chiave di tutto...". Ripensò a quelle parole, cercando di trovare un po' di logica. ma la sua mente era spietata, non voleva trovare un compromesso. Squillò il telefono: dall’obitorio lo avvisavano che il cadavere era stata ricomposto dopo l’autopsia e che si poteva quindi procedere al riconoscimento ufficiale. Olson riattaccò.
"Kate, come le avevo detto prima, avremmo bisogno che lei identificasse il ...suo amico. Solo se se la sente, naturalmente!"
Kate si sentì a disagio nel pensare che avrebbe dovuto rivedere il volto di Henry. Se solo Steve fosse stato lì con lei! Ne aveva veramente bisogno, come mai prima di allora. Steve dov’era finito?
Comunque voleva andare avanti, fino in fondo:
"Sì, va bene. Andiamo pure."
Olson ammirò il suo coraggio. Le aprì la porta dell’ufficio e la fece passare per prima, usando una gentilezza a lui a dir poco inusuale.
Lei gli sorrise ed uscì. Olson si fermò ancora un attimo a contemplare la pianta della città. Si sentì a disagio quando i suoi occhi gli diedero un’ulteriore conferma: il centro del cerchio corrispondeva esattamente al ristorante del suo caro amico Wuang Li.  

..............................
 

L’Istituto di Medicina Legale, dov’era conservato il corpo, era a meno di due isolati dalla Centrale. Olson sfruttò i pochi minuti del tragitto per prepararla al compito ingrato che la stava aspettando.
"Dovrà solo vedere il volto. Ma, mi raccomando, mi dica la verità. Se per caso avesse dei dubbi non ha che da dirlo. E...non si preoccupi. Io sarò lì con lei"
Kate lo ringraziò in cuor suo per quella gentilezza del tutto inaspettata in un agente di Polizia. Si spostò i capelli dal viso con grazia, aiutandosi con un leggero movimento della testa.
"Senta, perchè dovrei identificarlo, dal momento che tutta la città, e non solo, ormai sa chi è quell’uomo là dentro?"
Era un’osservazione più che sensata.
"Vede, la stampa e la televisione hanno già diffuso fotografia, nome e cognome; addosso, quando lo abbiamo catturato, gli abbiamo trovato una patente e un passaporto, ma non basta. Nessuno si è presentato per il riconoscimento ufficiale...Insomma, per farla breve, toccherebbe a lei dire : Sì, questo è Henry Kenz."
Si accese l’ennesima sigaretta. La prima boccata gli irritò la gola al punto che non riuscì a trattenere un violento attacco di tosse. Chissà perchè poi continuava a fumare: non è che avesse proprio il vizio, ma nonostante questo ne sentiva spesso la necessità, specialmente quando era nervoso o si sentiva in difficoltà, quando...si sentiva imbarazzato: strano, quella donna lo attraeva e forse proprio per questo lo faceva sentire a disagio, nonostante il fatto che lui giocasse in casa. Non ci misero molto a raggiungere l’obitorio.
Una lunga scala male illuminata li condusse al seminterrato..
Lasciò premurosamente Kate fuori della porta della "Sala Operatoria": Olson voleva prima parlare con il chirurgo che aveva eseguito l’autopsia:
"Ciao, Freddy, come va?"
Il tenente lo salutò con un cenno della mano. L’altro parve non sentirlo. Stava aprendo il torace di una giovane donna. Il tenente non ebbe il coraggio di guardare, ma non poté non udire con disagio lo scricchiolio delle costole spezzate.
"Ciao, Olson, come ti butta?"
rispose il chirurgo, mentre completava l’operazione. Un piccolo stereo sul mobile in fondo alla stanza diffondeva una musica assordante, forse Rock, forse Heavy Metal. Quei suoni avevano un effetto dissacrante e conferivano all’ambiente un qualcosa di apocalittico: era senz’altro uno dei luoghi più terribili della terra. Olson spense la sigaretta in un posacenere vicino ad un contenitore trasparente in cui stava galleggiando un organo umano, forse un rene.
"Non ti prenderò molto tempo. Dimmi di Henry Kenz. Cosa hai scoperto?"
"Bah, niente di particolare. La ferita al collo gli ha causato la morte. Non si drogava. Sotto le unghie aveva ...vediamo...Ah sì, aveva tracce di colore sintetico, tessuto, cotone per l’esattezza, e qualche frammento di pelle, probabilmente dell’assassino. Tutto qui. Cioè per farla breve non caverai niente da tutto questo. Anzi, ti dirò una cosa. Mi vuoi spiegare perchè mi hanno fatto aprire quest’uomo? Non lo sanno quanto c’è da fare qui?"
"Datti una calmata, Fred, è la legge. Lo ha disposto il giudice. Comunque...Mi puoi far vedere...la salma? Ho qui una donna per il riconoscimento ufficiale."
"O.k., andiamo allora. Facciamo in fretta che ne ho ancora due da aprire!"
"Senti, il taglio alla gola...insomma, l’avete ricucito bene?"
"Ehi, amico, chi è che hai con te, tua madre? Non ti ho mai visto così premuroso. Mi sa che stai invecchiando!"
Fred lo stava guardando stupito e divertito. Si tolse i guanti insanguinati. Finalmente uscirono.
Olson presentò Freddy alla donna che lo aveva accompagnato. Percorsero un lungo corridoio semi buio: i loro passi rimbombavano sulle squallide pareti dell’edificio. Il chirurgo stava raccontando una barzelletta penosa. Kate rimase sconvolta dal suo cinismo. Ma forse era solo lei che stava esagerando. I due camminavano davanti a lei, senza curarsi minimamente di chi li stava seguendo. Le venne la tentazione di andarsene: in fin dei conti perchè lei avrebbe dovuto sottoporsi a quella tortura quando pareva non importasse a nessuno ciò che stava facendo?
Ma proprio nel momento in cui decise di fare dietro-front e mollarli alle loro battute da bettola, i due si fermarono di fronte ad una porta di metallo. Il tipo con il camice verde la aprì. Il clangore che ne derivò fece sobbalzare Kate che, improvvisamente, si fece prendere dal panico: che cosa avrebbe provato nel rivederlo?
Olson la chiamò, facendole un ceno con una mano, sorridendo. Kate era sicura che il poliziotto, nonostante la sua freddezza, capisse cosa stava provando. Addirittura il chirurgo parve farsi serio, forse neanche lui era poi tanto cinico. Ma Freddy le dimostrò subito che si stava sbagliando. Infatti dal loculo fece uscire una barella con un gesto teatrale dicendo:
"Et voilat, ecco il cadavere!!"
Kate non lo sentì neppure, aveva altro a cui pensare. Quando si trovò di fronte il piano d’acciaio con sopra Henry Kenz coperto da un lenzuolo, non provò nessun tipo di emozione. Anzi, si sentì fredda come un ghiacciolo e si stupì di se stessa: là sotto c’era l’uomo che aveva condiviso un pezzo della sua vita e in quel momento l’unica cosa che gli riusciva di pensare era: "Togli il lenzuolo e facciamola finita!!". Tutto sommato era meglio così: una scena isterica non l’avrebbe certo aiutata.
Fred, rimproverato con gli occhi dal tenente, non disse più nulla e si limitò a scoprire il viso del cadavere. Ma il lenzuolo scese troppo: alla base del collo Kate non poté far a meno di notare angosciata, lo squarcio, non completamente suturato. Purtroppo il suo self-control svanì di fronte a quello spettacolo. Non riuscì più a trattenere le lacrime, che inconsciamente aveva tenuto a freno per tutto quel tempo. Olson si avvicinò, le prese il viso tra le mani, e le chiese, quasi sussurrando:
"È lui?"
Improvvisamente smise di piangere. Il suo volto cambiò: divenne duro e i suoi occhi fissarono con freddezza quel viso privo di espressione. Fred e Olson si guardarono in modo interrogativo. Che cosa stava succedendo alla donna? Neppure lei lo sapeva.
Poi accadde qualcosa: si sentì trasportare in una realtà assurda.
Vide gli occhi di Henry spalancarsi all’improvviso. Lei si sentì le gambe mancare, ma non cadde. Lentamente la testa del cadavere si volse nella sua direzione fino a che i suoi occhi gelidi e gelatinosi non la fissarono, penetrandola. Le labbra di mossero, ma ne uscì solo un suono gutturale e incomprensibile che spaventò Kate. Henry riprovò a parlare, ma lo sforzo gli riaprì in parte lo squarcio sul collo: ne uscì un fiotto di sangue scuro e grumoso che sporcò il lenzuolo.
"K...K..ate"
Lei inorridì nel sentire quella voce cavernosa, ma non poté far altro che prendere la mano che Henry stava lentamente tendendo.
"Kate, ...sono tornati e mi hanno fatto uccidere ancora. Ferma quei dannati!"
Chiuse gli occhi esausto, poi, con un incredibile sforzo aggiunse:
"Stai attenta, Kate, ti sono già molto vicini!"
Tossì e un altro fiotto di sangue uscì dalla ferita. Lei continuava ad essere rapita da quello sguardo innaturale. Poi, d’un tratto, ci fu una luce accecante: vide una caverna, uomini incappucciati, sentì recitare parole assurde. Rimbombarono nella sua mente. La scena cambiò: adesso era in una cella. Sentì il rumore di un chiavistello che si stava aprendo: la porta si spalancò e vide un poliziotto nell’ombra. Le parlò: "Poi tocca a te!". Rivide il bagliore e contemporaneamente sentì una fitta tremenda alla gola. Si portò istintivamente le mani al collo. Infine la stanza iniziò a girare vorticosamente. Ci furono ancora flash accecanti. Chiuse gli occhi, disperata ed esausta.
Quando li riaprì Olson la stava schiaffeggiando delicatamente. Tutto, a poco a poco, ridiventò normale. Era seduta su una sedia da chissà quanto tempo. Guardò con orrore la lettiga, ma Henry era immobile, gli occhi chiusi, il braccio lungo il corpo, coperto dal lenzuolo. Era come doveva essere e forse come era sempre stato.
Kate scoppiò di nuovo a piangere, gettandosi tra le braccia di Olson. Fu, finalmente, un pianto liberatore.

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