ARPANet

Il guardiano del modello
di: Luciano Gemme


SEZIONE SESTA

XXII

Lo schermo sobbalzava violentemente seguendo i movimenti del grosso fuoristrada. Parole e grafici si confondevano in una sarabanda colorata che rendeva ardua qualsiasi interpretazione. Spesso Antonio era costretto a tenersi alla maniglia della porta con una mano e ad afferrare la console con l'altra. Gli occhi gli dolevano e se li sentiva arrossati, come pieni di sabbia.
Anche la testa gli faceva male. Sembrava piena di filo spinato. Aveva sonno e la difficoltà a concentrarsi, a ridare ordine a quelle linee impazzite di fronte a lui, lo spingeva verso un torpore ovattato.
Non doveva.
Di fianco a lui, Paul se ne stava con lo sguardo fisso sul breve tratto di strada illuminato dai fari della vettura. Gli occhi stretti, nel tentativo di rubare all'oscurità ancora qualche metro. In lui non c'era spazio per pensare a niente altro che la strada, le buche, le carreggiate. Tutto il resto era passato in secondo piano, accantonato.
Non poteva neppure dire che la cosa gli spiacesse. Aveva letto dei rally e delle massacranti corse-safari del secolo scorso. Aveva anche provato a lanciare la vettura a velocità sostenuta su tratti sterrati.
E aveva pensato di aver provato quello che dovevano aver provato i suoi idoli di ragazzo.
Quanto si sbagliava! Quelle volte era andato, si, forte, ma sempre con un ampio margine di sicurezza. Solo adesso comprendeva cosa voleva dire utilizzare tutta la propria mente e tutto il proprio corpo in un'attività. Un'attività che avrebbe potuto portarlo alla rovina al primo errore e che, per questo, non ammetteva sbagli.
Nessuno dei due aveva più aperto bocca da quando erano partiti. Antonio non osava lamentarsi. Non sarebbe stato giusto nei confronti dell'altro. Inoltre vedeva che Kalensky era totalmente immerso nella guida e si comportava come se lui, Antonio, non esistesse.
Devo concentrarmi, sarà la stanchezza o chissa cosa, ma forse comincio a capirci. Ma ho bisogno di tempo. di tempo e di calma. Dopo. Ora vediamo se c'è qualcosa d'altro da controllare.
Una buca più grossa del solito lo scaraventò contro la portiera. La macchina si lamentò con un colpo sordo del maltrattamento subito.
Paul teneva il volante con una mano, mentre con l'altra manovrava il cambio.
Una fitta al gomito fece perdere il filo dei pensieri ad Antonio. La maniglia. Si massaggiò il muscolo dolente, ma un'altra buca lo convinse ad ulizzare entrambe le mani per sostenersi.
Il suo sguardo andò allo schermo, dove era apparsa l'autorizzazione all'accesso alla banca dati di una prestigiosa rivista militare.
Antonio cercò di sorridere. L'hacker stava tornando fuori prepotentemente.
Quanto tempo era passato. Quanto tempo.
Antonio stava guardando fuori dalla finestra. Una lunga, interminabile fila di edifici popolari si stagliava in lontananza, oltre il parco boscoso.
Era una delle stranezze di quella regione. Le differenze sociali erano ancora molto forti e i quartieri residenziali, che si andavano velocemente confomandosi alla moda delle Isole importata dal Nord America, erano vicinissini agli spawn popolari.
Chissà perché Jodari era attratto da quella massa scura, densa di umanità. C'era stato molte volte, avendo passato l'infanzia in una banda che pascolava ai bordi di quell'agglomerato. E dire che, vista da vicino, perdeva quasi tutto quel fascino. Anzi.
Un fascino analogo, il giovane Jodari lo provava per il Nord America che, nonostante la fase di decadenza attraversata e le migliorate condizioni di molti altri paesi, e, a dispetto dell'annullarsi delle distanze per via della nascente Rete, era e rimaneva uno dei posti mitici per la scienza e la ricerca.
Antonio si voltò, in risposta al breve beep emesso dal suo computer da tavolo. Il cursore lampeggiava in attesa di nuovi ordini.
Era entrato! Era riuscito ad entrare nella biblioteca universitaria del CalTech! Al di là del Pacifico!
Era la prima volta che cercava di forzare un accesso così importante e così distante. Lui e due o tre della sua banda erano passati dalle scorribande sulle strade a quelle sulla rete telematica. Ma tutto era limitato a scherzi rivolti ai padri di qualche amico (o amica!) o alla falsificazione degli andamenti scolastici.
Ma questo era tutt'altra cosa! Tutta la biblioteca del CalTech era lì di fronte a lui. Il sogno di sempre, quello di vincere una borsa di studio e trasferirsi in quei paradisi dorati, per un attimo sembrò quasi farsi realtà.
Andarsene di casa. La cosa ridicola era che la sua famiglia era sufficientemente agiata da permetterselo senza problemi. Se non fosse stato per suo zio.
Il nonno di Antonio era stato uno di quelli che avevano approfittato dell'apertura dell'allora Cina Popolare all'economia di mercato, creando dal nulla una fatiscente fabbrichetta. La fabbrichetta era diventata poi più grande e organizzata, poi vennero le succursali e, alla sua morte, il padre di Antonio ereditò una piccola fortuna.
Fortuna che perse quasi completamente, sia per la tipica incapacità di molti "figli di papà", sia per via della crisi che portò, di lì a qualche anno, alla creazione degli stati mandarini.
E sarebbe stato il fallimento completo, se non fosse intervenuto lo zio, il fratello di sua madre, che prese in mano una situazione che pareva disperata.
Riuscì nell'intento. Del piccolo impero era sopravvissuta una sola fabbrichetta, come ai tempi del nonno, ma era solida e ben avviata. Suo padre morì poco dopo, quando Antonio aveva cinque anni, ma ormai aveva impresso sul piccolo Antonio il marchio del fallimento paterno.
Lo zio, pur non facendogli mancare nulla, non lo aveva certo in simpatia, nè lo considerava migliore di quel buono a nulla del padre. La sua idea era che diventasse un buon amministratore nella ditta di famiglia, riscattando così, se poteva, almeno in parte, il padre.
Le sue aspirazioni alla ricerca e allo studio non venivano minimamente prese in considerazione.
Figurarsi, quindi, se da lui fossero venuti quei soldi che gli avrebbero permesso di terminare gli studi negli USA!
Un altro subbalzo riportò Jodari al presente, ma ormai l'onda dei ricordi aveva preso il soppravvento e lui decise di abbandonarcisi.
Alla fine ce l'aveva fatta. Le sue intromissioni nelle varie università gli permisero di diventare autodidatta e, alla fine, di preparare una tesina che inviò in America, con la speranza di ottenere una borsa di studio.
Gli risposero che sarebbero stati lieti di ospitarlo come studente, ma il viaggio sarebbe stato a carico suo.
Era fatta! Non ne aveva mai approfittato, ma per lui non era certamente un problema entrare in qualche agenzia turistica e "farsi offrire" un volo fino alla costa atlantica degli Stati Uniti del Nord e Centro america, nucleo addensante di quella che sarebbe diventata l'Allaeanza del Nord.
Un'altro sobbalzo. Ma quanto manca, ancora? Antonio chiuse gli occhi, mentre di fronte a lui lo schermo non era alto che una massa colorata ondeggiante.

XXIII

Jor osservava la sua compagna cercando, come al solito, di non farsi notare.
Danielle non era bellissima. Piccolina, senza per questo essere troppo minuta, aveva un corpo agile e snello, anche se poco lasciava alla femminilità. Anche il volto, regolare, non era nè bello nè brutto.
I capelli portati corti la faceva passare per la classica ragazzina-maschiaccio.
Ma gli occhi e il sorriso luminoso facevano la differenza. Inoltre, agli occhi di Kaddar, abituato alle donne più remissive e spente della sua gente, appariva piena di fascino. Il fascino delle donne emancipate, libere e, perché no?, anche piuttosto sessualmente disinibite.
In realtà la sua educazione lo reprimeva in maniera molto forte, tanto che nemmeno a se stesso osava ammettere che la Willet gli piaceva. E mascherava il tutto sotto una scorza rude e misogina, non mancando mai di sottolineare come questo fosse "un lavoro da uomini" e che quindi, se una donna lo faceva, era perché, probabilmente, era molto poco "femmina".
Questo lo metteva in pace con se stesso. Almeno di solito.
Ed era per questo motivo che cercava, nelle volte in cui erano vicini, come ora a quel tavolo, di non guardarla direttamente negli occhi, nè di indigiare con lo sguardo sui classici attributi femminili, come le gambe o le forme del seno.
"Dunque, socia, ora che siamo soli, è venuto il momento di chiarirci un po' le idee su questi nuovi casi" Aveva parecchie cose da dire e Danielle si sistemò meglio, dietro il bicchiere e il panino che costituivano il suo pasto serale.
"Primo: perché ci hanno affidato due casi? Di solito non si fa così. L'unica spiegazione è che sono collegati fra loro. Oppure che qualcuno dei nostri capi pensi che lo siano".
La Willet non disse nulla e Kaddar continuò "Quindi proviamo a pensare come possano essere collegati e perché"
"Ma perché, se c'è questa idea, non ci è stata riportata? Di solito non si nascondono informazioni alle squadre investigative!"
"Brava. Ma qui c'è qualcosa di strano. Le avrai sentite le voci dei virus nella Rete e di come vi siano implicati degli hacker della nostra bella città".
"Si, ma...." Danielle aveva piegato un poco la testa, come faceva spesso. Una piccola fitta attraversò il rude poliziotto.
"Pensaci un attimo. Sia il Do Santo che quel Williams erano degli hacker. Si conoscevano. Do Santo è morto in circostanze poco chiare, da come ha brillantemente stabilito l'AE, dopo essere finito in coma in circostanze altrettanto oscure. Williams era a casa del Do Santo, quella sera; lo dicono le analisi delle impronte e del bioplancton. Dopodichè fugge. E due giorni dopo...PUM! viene ucciso da una bella professionista" Kaddar cercò di scrutaure l'espessione della collega mentre pronunciava l'ultima frase, ma lei si limitò ad annuire.
"E questa muore in un incidente poco dopo. Mi sembra che, per iniziare, ce ne sia di roba.."
"Visto che parli di iniziare, eccoti dell'altro: Cosa stava trasmettendo Williams mentre veniva ucciso? I testimoni concordano sul fatto di averlo visto dirigersi sul retro con una consollina in mano. Ma questa è scomparsa. Probabilmente l'ha presa la killer. Cosa c'era dentro? Si è collegato in Rete? perché i nostri superiori ci nascondono questi particolari?"
Jor si era fatto guardingo. Non erano collegati in Rete, essendo questa la loro ora libera serale. Quindi l'AE non poteva sentirli. Comunque era meglio che frasi come quelle non arrivassero in centrale. Si chiese se era prudente continuare. Si, si disse, doveva andare fino in fondo.
"Prima di continuare, senti la mia idea. Le due morti sono troppo strane, come abbiamo già fatto notare entrambi. Le apparecchiature ospedagliere NON si guastano così facilmente, e meno che meno le auto volano giù dalle rampe. Sotto tutto questo c'è qualcosa di grosso e di pericoloso." Parlando si era avvicinato a Danielle. Ora i loro volti distavano pochi centimetri. Jor dovette reprimere l'impulso di baciarla.
Lei parse non avvedersene. L'attimo magico era sfumato. "è,è terribile." Si ritrasse visibilmente. "Però puoi avere ragione. Si, potresti proprio avere ragione"
Donna o meno, Willet era un compagno in gamba, intelligente e sveglio.
"Scusami la domanda, ma, se la cosa è così grossa, perche noi? E perché tenerci all'oscuro?"
"Non lo so. Forse non siamo gli unici. Forse altri stanno indagando a nostra insaputa. E sulla segretezza, beh, visto che la gente non ne deve sapere nulla, se nemmeno noi lo sappiamo non possiamo lasciarcelo sfuggire con i giornalisti o altri".
"Ma perché questa segretezza, non siamo mica più nel folle XX secolo, questa è l'era della Democrazia Totale...."
"Mia benedetta figliola, lasciando perdere la DT, credo si tratti di salute pubblica. Se si spargesse la voce che nel Modello si nasconde un killer..."
Lasciò la frase in sospeso. Istintivamente si guardò in giro, quasi temendo che qualcuno potesse averlo sentito. Il suo sguardo si posò su di un gruppo di orientali, forse di una cargo-isola. Uno di loro, un vero gigante, aveva un tatuaggio che gli copriva metà volto.
Brutta gente. Jor non era xenofobo, non più di chiunque altro. Ma era un poliziotto. E il suo istinto gli stava dicendo di andare a fare una "chiaccherata" con quei tizi. Per questo non si accorse subito della chiamata.
Fu Danielle a rispondere. "è il nostro AE, chiede che venga ristabilito il contatto, ha una comunicazione per noi"
Un poco contrariato, il poliziotto prese gli occhiali d'ordinanza che aveva posato sul tavolo e li indossò.

XXIV

Fuori dal finestrino la strada correva veloce e uguale. Saracinesche abbassate, negozi aperti e scintillanti, passanti, tutto si confondeva indistinto.
Paul Kalensky, dopo il lungo stress della guida stava assaporando quei momenti di calma, lasciando che mente e sguardo vagassero liberi, senza fissarsi su niente in particolare.
Si lasciò sfuggire un lungo sospiro mentre volgeva lo sguardo verso l'interno della vettura. In fondo queste cose non sono cambiate molto, dal secolo scorso. Gli stessi sedili di plastica, le stesse piattaforme per favorire la salita e la discesa, gli appositi sostegni.
Sgargianti pubblicità tridimensionali si ripetevano sempre uguali sopra le loro teste.
Antonio, a pochi decimetri da lui, pareva in un altro mondo. Lo sguardo fisso, piantato nella cartina della linea percorsa dal tram automatico. Paul sapeva che, quando faceva così, era sprofondato nei suoi pensieri.
Pochi minuti prima erano saliti sfruttando il più classico trucco, usato dai ragazzini di tutto il mondo. Avevano atteso un po' di gente ed erano saliti a bordo del tram spalla a spalla con altre due persone, ingannando così il sistema di controllo degli accessi.
Dopo questa mossa, quei due li avevano guardati con aria interrogativa. Poi, secondo le previsioni di Paul, avevano deciso di ignorarli e di farsi gli affari loro.
Questo era avvenuto pochi minuti prima. E qualche minuto prima ancora erano finalmente giunti in città, dopo il massacrante viaggio in aperta campagna.
Vergognandosi come un ladro, Paul aveva parcheggiato la jeep in un vicolo, cercando nel contempo di imprimersi ben bene il luogo nella memoria. Per poterlo ritrovare dopo, quando tutto sarà finito.
Tutto inutile, gli aveva detto una voce sottile e terribile dentro di se. Guardala bene, la tua bella vettura. Non la rivedrai mai più.
Paranoia, più che giustificata, vista la situazione, ma pur sempre paranoia, pensò. Seguì Antonio, che già si stava avviando verso la strada illuminata.
Ma, ora, a Paul pareva fossero passati anni da quei momenti. Tanti quanto ormai lo separavano dalla sua infanzia.
O tanti quanti quelli che lo separavano da quel giorno. al campus universitario.
Lui era uno di quelli che chiamano "studente ricorsivo", uno di quelli decisi a godersi gli anni universitari e, possibilmente, di farseli durare abbastanza a lungo.
Ero lì che passaggiavo per il campus, quando vedo avvicinarsi quel tizio. Piccolo, magro, un volto e un portamento da orientale, cinese, penso. Manca solo il codino.
Si avvicina a me. Evidentemente è una matricola. Ha la tipica aria smarrita di chi non si è ancora abituato al posto. A occhio e croce ha qualche anno più di me, ma come si fa a dire con questi tizi?
"Scusa" mi fa, "Potresti per favore indicarmi dove posso trovare il professor Lafitte?"
Lafitte, il BARONE? Lafitte, il GENIO? Penso. E lui prosegue "Ho un appuntamento con lui fra poco, ma non mi ha specificato dove trovarlo"
Lafitte! Sono due anni che cerco di farmi accettare nel suo gruppo di studio. Il suo corso ti apre la strada alle più interessanti tesi, e ai master più ricchi ed ambiti.
Lafitte! E questa matricola mi piomba qui e mi dice di averci un appuntamento.
"Ma certo, sei capitato dalla persona giusta. Vieni. Ti accompagno al suo ufficio"
Mi cammina a fianco, un passo indietro. La cosa mi fa sentire un po' ridicolo e mi accorgo di aver assunto un passo affettato. Tento di rilassarmi. Inutile.
Alla fine arriviamo di fronte al suo ufficio. Quando la porta si apre, quella porta che fin'ora non ho mai oltrepassato, spinto da uno strano impulso, entro anch'io.
Il professore stringe la mano al cinese, poi mi indica con fare interrogativo. Sento la matricola che risponde "è il mio socio".
Da quel momento cesso di esistere. Almeno per quei due. Il cinese tira fuori dalla ventiquattr'ore un po' di appunti che entrambi iniziano ad esaminare. Mi accomodo su una sedia. Dopo qualche minuto mi trovo a sfogliare una rivista presa da qualche ripiano.
Le cose vanno avanti ancora un po'. Non ho il coraggio di andarmene, ne di avvicinarmi alla scrivania per partecipare alla discussione. Dopo un bel po' il professore si alza, seguito da noi due.
"Va bene, allora signor Jodari e..lei come si chiama, scusi" La domanda rivolta a me mi fa sobbalzare. Rispondo, con un filo di voce "Kalensky, Paul Kalensky"
"Si, allora signor Jodari e signor Kalensky, vi aspetto da giovedì all'aula H-8. Siate puntuali, mi raccomando"
Esco seguito dal "signor Jodari" che adesso mi appare sotto una luce del tutto nuova. Lo guardo negli occhi. Per la prima volta. Lui sorride, quel sorriso un po' tirato che hanno gli orientali "Ora siamo soci, e dovremo aiutarci a vicenda"
Il mezzo pubblico frenò piuttosto sbruscamente. Paul quasi cadde in braccio ad una signora di mezza età che si apprestava per uscire. Mormorò una scusa, ma questa non gli badò, come se la cosa fosse del tutto priva di importanza.
Sono di nuovo nel presente. Fra non molto arriveremo alla casa di quella Archetti. E poi?
Le vie e i negozi continuavano la loro danza, tutti uguali sotto la luce artificiale, fuori dai finestrini.

XXV

In un angolo del campo visivo di Jor apparve il logo della Polizia Urbana. Ora il poliziotto, come la sua collega, era collegato con la centrale. AE parlò, una voce senza corpo che proveniva apparentemente di fronte a loro.
"Mi scuso per avervi interrotti, ma ho una notizia per voi. Abbiamo ragione di ritenere che il Pedro Jorge conoscesse un tale Llamas. Detto Llamas sta dirigendosi proprio verso il locale dove siete voi"
"Stupendo" sibilò Jor. Ovviamente AE non afferrò l'ironia. "Dicci qualcosa di questo tizio".
"Non c'è molto da dire: classificato disadattato classe 3, un paio di condanne per ricettazione, senza dimora fissa. Dopo un tentativo di violenza su una minorenne gli fu innestato un HPP2"
Jor fischiò sommessamente. Un Human Personnality Persuader, l'amico deve essere il classico tizio che è meglio perdere che trovare. "Come fai a dire che sta arrivando proprio qui?" Danielle prendeva la parola per la prima volta.
"Il sistema di rilevamento cittadino ha segnalato che è a bordo di un mezzo pubblico e che ha prenotato la fermata proprio di fronte al locale in cui vi trovate"
Jor e Danielle si guardarono significatamente. Utilizzare i mezzi pubblici per identificare delle persone non era certo una pratica usuale. Occorreva un'autorizzazione speciale, oltre ad uno spiegamento di potenza di calcolo supplementare non indifferente. Sicuramente non era per nulla normale utilizzarlo per cercare un barbone.
La porta si aprì e i due poliziotti non poterono fare a meno di voltarsi di scatto. Il gesto richiamò l'attenzione di mezzo locale, tra cui il gruppo di orientali.
Un tizio che poteva essere benissimo Llamas si fermò di scatto, la mano ancora sulla maniglia manuale, di quelle che fanno tanto "retrò". Sicuramente aveva notato come tutti lo stessero fissando. Notò anche le due divise. Impiegò solo un istante per capire, voltarsi ed iniziare a correre.
Jor, che stava per chiedere ad AE qualche informazione supplementare, impiegò ancora meno tempo. Llamas non aveva fatto che pochi passi che già aveva raggiunto l'esterno.
Il fuggitivo aveva comunque un discreto vantaggio. "Fermati" gridò Kaddar "Fermati, stai commettendo un crimine, ciò potrebbe danneggiare la cittadinanza e procurarmi un danno!"
L'uomo si voltò a metà rallentando, ebbe un'esitazione. Poi riprese a correre con passo malfermo.
Ma questo bastò a Jor. Recuperato lo svantaggio, non ebbe difficoltà a raggiungere l'altro, il cui fisico era in evidente stato di debilitazione. Lo afferrò per il colletto, trascinandolo verso terra. Danielle arrivò subito dopo, la frusta già in mano.
Jor si concesse un'espressione del tipo "se non ci fossi io..."
Nemmeno un minuto dopo, i clienti del locale si voltarono di nuovo.
Questa volta per guardare il terzetto che rifaceva il proprio ingresso, con Kaddar che sosteneva Llamas per il bavero.
"Che volete? Non ho fatto niente. Io.." iniziò a lamentarsi Llamas non appena si furono seduti.
"Non è come pensi. Noi vogliamo solo offrirti da bere e fare quattro chiacchere" L'espressione di Jor, però, non andava d'accordo con le parole pronunciate. "Cosa sai di un tal Pedro do Santo Jorge, hacker, barbone, nonchè ladro e puttaniere?"
"Io...Pedro, so che sta male" balbettò l'uomo, in evidente stato confusionale. L'innesto psico-chimico nel cervello gli stava certamente procurando un forte mal di testa.
"è morto, Llamas" Danielle guardò il prigioniero con occhi tristi "Probabilmente è stato ucciso, e noi siamo qui per trovare chi lo ha ridotto in quello stato. Come vedi non ce l'abbiamo con te. Chiediamo solo il tuo aiuto"
Jor guardò Danielle. Era il loro modo classico di lavorare. A lui e ai suoi baffoni neri il ruolo del bruto, del poliziotto cattivo. A lei il ruolo della dolce, della comprensiva. Di solito funzionava.
Llamas la guardò indeciso. Il forte condizionamento psicologico tornò a farsi sentire. Lei era una rappresentanza della legge, e come tale andava rispettata.
"La Archetti, forse lei può dirvi qualcosa. Io lo conosco appena" disse con un filo di voce.
"Chi è questa Archetti? Dove abita?"
Ma Llamas aveva preso la sua decisione. Abbassò la testa. Non avrebbe parlato. Basta. Qualcosa gli ho detto. Io non so altro.
"Allora, ti decidi?" Jor stava perdendo la pazienza. Llamas non dette segno di mutare il proprio comportamento.
Kaddar afferrò l'uomo per i capelli tirandolo prima all'indietro e poi, violentemente, in avanti, mandandogli il volto a sbattere contro il tavolo. Llamas sentì lo scricchiolio delle cartilagini del suo naso che si rompevano.
Il grosso orientale si era alzato. I pugni già chiusi. Un altro del gruppo, uno piccolino, lo trattenne afferrandolo per un braccio. "Non adesso. Aspetta" gli disse a mezza voce.
Quando Jor gli risollevò la testa, dal naso colava una sottile linea rossa. Gli occhi erano iniettati di sangue e guardavano con odio il poliziotto, attraverso un velo di dolore.
"AE, richiesta. Archetti, sesso femminile. Ricerca. Focus: precedenti o segnalazioni per hackeraggio, età che giustifichi una relazione con un uomo di 35-40 anni." Kaddar aveva lasciato la presa e ora si comportava come se Llamas non esistesse. Tanto l'ho capito. Ormai ti lasceresti massacrare di botte, ma non mi dirai più nulla. Crepa. Quello che serve l'ho saputo.
Qualche secondo dopo, la voce dell'AE risuonò nelle sue orecchie. "Ho ventisei Archetti considerando l'isola in cui vi trovate e le due collegate. Tre hanno avuto segnalazioni per pirateria ai tempi del college. Una di loro ha 27 anni. Quest'ultima è descritta nel Data Base come "occasionale prostituta".
"Ok, dammi nome e indirizzo della tipa. Cominciamo da questa" Jor incrociò lo sguardo della sua collega. So cosa stai per dirmi. Ti stai chiedendo perché la polizia continua a schedare le prostitute come tali, quando ormai è diventata una cosa normalissima. E sai anche la mia risposta.
La Willet appoggiò i pugni al tavolo, mentre si alzava "Vorrei sapere perché si ostinano a far notare il fatto che una tizia è una prostituta, occasionale, per di più"
Jor si alzò a sua volta. "L'hai già chiesto. E lo sai come la penso"
Mentre uscivano dal locale, Danielle gli ripetè tutta la tirata sul fatto che il motivo vero era che gli uomini sono attratti in modo morboso dalle donne "di facili costumi" e che lui era un maschilista, come molti poliziotti.
Lui avrebbe voluto abbracciarla.

XXVI

Paul e Antonio avanzavano cautamente per la stradina debolmente illuminata. Ai due lati, una serie di casette bi o tri famigliari. Minuscoli giardinetti proiettavano ombre multiformi sui muri delle case.
"Niente male. Normale quartiere residenziale. Però niente male" disse Antonio. Paul quasi trasalì al suono della voce dell'amico. Lo guardò per un istante. Vedo che ti stai riprendendo. Bene.
"La gente, qui, ci tiene alle apparenze. Ognuno vuol convincersi e convincere gli altri che conta qualcosa. Lo si vede dalla cura stereotipata e senza cuore dei giardini tutti uguali"
"Tu giudichi un po' troppo facilmente" Kalensky tornò a voltarsi verso l'altro, chiedendosi cosa volesse dire con quella frase.
"Eccola" Paul indicò una casetta a due piani, il giardino tenuto a prato, con solo due piantine di rose ai lati del cancello. Il suo cuore ebbe un sobbalzo. Posteggiata di fronte alla casa c'era la scura e bassa sagoma di un'auto della polizia. In casa le luci erano accese, nonostante la tarda ora.
Ma non ebbe il tempo di valutare la situazione. I due erano immobili, fermi sul marciapiede all'angolo, quando videro un'auto arrivare a tutta velocità.
I motori elettrici facevano pochissimo rumore, ma i grossi fari spazzarono la penombra mentre l'auto puntava con decisione contro la vettura della polizia.
Un'attimo dopo l'impatto. Un sordo rumore di plastica rotta. E subito dopo, acutissima, la sirena dell'auto posteggiata.
Mentre l'auto investitrice ripartiva, due figure scure si precipitarono fuori dall'edificio, le armi già in pugno. Per un attimo, lo sguardo di Antonio e di una di loro, una donna, si incrociarono. Poi lei si mise a correre, seguendo l'altro poliziotto.
L'auto, da cui provenivano grida e schiamazzi, si era intanto fermata, con una maldestra frenata a singhiozzo, una cinquantina di metri più avanti.
Ubriachi. Una maledetta banda di ubriachi. Kaddar, mentre correva verso di loro rimise a posto la pistola. Quella gente ha bisogno di una ripassatina ai denti.
L'auto ripartì facendo stridere le gomme, per poi ripetere la frenata. Jor continuava a correre nella loro direzione. Danielle, che stava perdendo terreno, maledì il compagno per questa ennesima infrazione alle norme di sicurezza. Aspettami, bestione.
L'auto, intanto, ripetè il giochino un'altra volta. Ora Jor stava perdendo la pazienza. Estrasse la pistola, con l'intenzione di sparare alle gomme.
"Hei, Gringo!" Jor si voltò di scatto, giusto in tempo per essere colpito da un sonoro schiaffone. Il colpo era stato tanto violento e talmente improvviso da fargli volar via la pistola dalla mano. Un secondo schiaffo, di sinistro, lo raggiunse, fracassandogli gli occhiali. Kaddar sentì una duplice, fortissima, fitta alle tempie, mentre, per l'impatto la vista gli si annebbiava.
Il terzo colpo fu un pugno dal basso, portato, con una violenza enorme, al plesso solare, tra stomaco e polmoni. Il poliziotto si accasciò fra le braccia del suo aggressore.
Maledizione. Maledizione. Danielle, la pistola impugnata a due mani e le braccia tese di fronte a se, non poteva far fuoco, senza rischiare di colpire il collega.
Gli occupanti dell'auto ne approffittarono, uno di loro, un orientale piccolo e snello, scese velocissimo e afferrò l'arma di Kaddar. Poi i due entrarono in macchina, sempre tenendo la povera Danielle sotto tiro.
Un silenzioso lampo dalla canna dell'arma fece istintivamente gettare a terra la poliziotta, ma il proiettile passò alto. Era stato sparato per spaventare, non per colpire.
L'auto ripartì a razzo.
Mentre la poliziotta correva verso il compagno accasciato sull'asfalto, Antonio si accorse di essere rimasto praticamente immobile per tutta la durata della scena.
E si accorse anche che qualcuno gli stava tirando una manica. "Dai, pezzo di hardware che non sei altro! Muoviamoci!"
Nessuno dei presenti notò una piccola telecamera di servizio mentre brandeggiava per riprendere meglio le varie fasi dell'azione.
Corsero via, facendo rapidamente il giro dell'isolato. La poliziotta non poteva vederli, da dov'era. Attraversarono di corsa il vialetto e imboccarono il portoncino ancora aperto.
"Chi siete?" La minuscola canna di una pistola ad aghi, di quelle che moltissime donne tendono in borsa li fece frenare di colpo. Dietro l'arma, una ragazza dalla vistosa pettinatura e dall'aspetto attraente ma aggressivo. "Adesso fate un bel respiro e mi dite perché diavolo vi siete infilati in casa mia! E già che ci siete mi spiegate cosa voleva quella coppia di coglioni, chi era dentro quella macchina folle, cosa è successo ai poliziotti e un sacco di altre cose".
Paul si appoggiò allo stipite, senza fiato. Gli sembrava di dover vomitare. Antonio sembrava più controllato. "Abbiamo una lunga storia da raccontarle, signorina. Però fra poco qui sarà pieno di colleghi di quelli che poco fa lei ha definito "coppia di coglioni" e, per motivi che poi le spiegeremo , non ci teniamo molto ad incontrarli. Non è che noi si possa andare da qualche parte?"
Paul, per l'ennesima volta, tornò a guardare di sbieco Antonio. Era tornato quello di sempre! Dopo aver ripreso fiato fece per aggiungere qualcosa, ma poi, notando lo sguardo della ragazza, decise che era meglio non rischiare.
Rosy ci pensò sù qualche istante, poi disse. "Ok, seguitemi."
Afferrò una borsa e uscì "Avete qualche preferenza?"
"Se fosse possibile, gradiremmo una info-tana o un qualunque posto dove si possa trovare un buon deck"
A queste parole anche la Archetti si fermò e guardò fisso Antonio. Il suo volto mutò espressione, passando dal furibondo al sorpreso. "Tu devi essere Antonio Jodari. O sbaglio?"
I due si guardarono, sorpresi.
Al di là della sottile striscia di parco che divideva le due isole cittadine, Llamas stava uscendo dal bar. Il dolore al naso rotto si era attenuato in una sorda pulsazione. Un po' di Bio e una buona dose di alcool lo avevano anestetizzato, facendogli ritornare la gioia di vivere.
Il suo umore peggiorò di nuovo quando vide quella grossa auto nera e quei due tizi. Stavano aspettando qualcuno. I tizi si mossero, staccandosi dalla vettura. Stanno cercando me.
Il cuore si mise a battere forte. Guardò in giro, alle possibilità di fuga. Pensò di rientrare nel locale. Poi si accorse che era inutile. I due tizi gli erano già di fianco. Uno dei due lo afferrò con una mano alla base del collo, in una zona ricca di nervi, e, stringendo con decisione, trascinò l'uomo verso l'auto " Visto che hai tanta voglia di parlare, ora faremo un bel discorsetto, noi tre".
La portiera si aprì, dentro Llamas intravide un uomo che impugnava una siringa.
Fece per urlare, ma il suo carceriere strinse con più forza i sensibili nervi alla base del collo e l'urlo gli morì in gola.

InterMondi: Viaggio nel III Millennio

Indietro - Glossario - Avanti    

© Luciano Gemme - © 1998 ARPANet. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
La violazione del copyright e/o la copia illecita del materiale riprodotto in queste pagine, la diffusione non autorizzata dello stesso in qualunque forma contravviene alle normative vigenti sui diritti d'autore e sul copyright.
Per inserire i tuoi testi nel sito ARPANet, clicca qui!