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UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino


CAPITOLO TERZO

III  

"Abù label not si Karam si tu nibel, altar satù, ni ki tolà krambà tambà"
Le parole rimbombarono per la volta, facendo vibrare i calici di cristallo sull’altare in fondo alla sala.
Un uomo con una tunica nera e un copricapo che ricordava vagamente un elmo vichingo, si avvicinò al caprone, tenuto fermo da altri due individui.
"Ven ka strà al si non kentriscoren al sa kramboo"
gridò in direzione di alcuni individui immobili al centro del salone.
La piccola folla iniziò ad emettere un suono gutturale che andò via via aumentando di volume fino a raggiungere il suo apice, una sorta di boato, quando l’uomo con la tunica nera conficcò il suo coltello nella gola del caprone. L’animale sbarrò gli occhi per qualche istante , fulminato, e poi stramazzò al suolo nel suo stesso sangue fumante.  

IV  

"Che c’è, Kate?"
Steve si stava preoccupando sempre di più vedendola diventare sempre più pallida.
"Niente. È solo che mi sembra di avere delle voci nella testa, grida, parole, canti. Come se la testa non fosse più mia, come se qualcosa o qualcun altro se ne fossero impossessati. Comunque ora sto decisamente meglio."
"Sei sicura di volerci andare?"
"Si, devo assolutamente vederlo e parlargli. Ti chiedo solo più questo piccolo sacrificio. Andiamo alla mostra, chiediamo se c’è, lo salutiamo, scambiano due parole. Tutto qui. Poi ce ne andiamo . Ti dovrò un favore. Ok?"
Kate finalmente aveva ripreso il suo normale colorito. Steve non se la sentì di negarle l’incontro con quel Kenz, anche perché avevano in programma, la sera stessa, un film che il cinema Astor proiettava in lingua originale, "Il cacciatore", che Kate semplicemente detestava. Quindi dare per avere. Non ci volle molto per raggiungere di nuovo Palazzo Pitti. Entrarono. Kate si diresse verso un tipo che aveva tutta l’aria di essere uno degli organizzatori della mostra. Si presentò:
"Salve, sono Kate Highway, critica d’arte. Dove posso trovare Henry Kenz?"
L’uomo, impassibile, la squadrò e ,dopo un certo numero di secondi, rispose molto freddamente:
"Il pittore rientra in giornata negli Stati Uniti per altri impegni di lavoro. Mi dispiace non posso dirle altro. Mi scusi ma ora devo proprio andare."
Detto questo si diresse verso un gruppo di visitatori che lo stavano chiamando. Kate restò immobile, profondamente offesa nell’ orgoglio dal suo comportamento scostante.
"E allora?" chiese Steve.
"Niente da fare. È tornato in America. Me lo ha appena comunicato quello stoccafisso laggiù."
"Dai, lascia perdere. Tanto tra due giorni ce ne torniamo anche noi a casa. Magari lo puoi rivedere in città..."
Dentro di lui comunque sperava che questa possibilità non si presentasse. Non ci fu replica da parte di Kate. Steve si rese conto che non lo stava neppure a sentire in quanto era immobile davanti ad un quadro che rappresentava una stanza con le pareti viola, inondata di luce viola, con al centro una figura di uomo in atteggiamento di preghiera o di supplica. Si intitolava "L’abisso". Kate avvertì di nuovo la sensazione di confusione mentale provata poco prima. Sentiva voci lontane parlare in una lingua strana, mai sentita prima, un incrocio tra il tedesco e un rozzo latino.
Poi finalmente vide...o per lo meno credette di vedere...
Aveva davanti agli occhi una stanza squallida. Vide una lampadina accesa che diffondeva una luce fioca, vide carte, libri e giornali buttati alla rinfusa sul tavolo scheggiato e unto. Vide un cassetto aprirsi, vide uscirne un libro con la copertina nera, poi sentì un urlo agghiacciante elevarsi al di sopra delle voci confuse. La sua visione si stava spegnendo.
"Kate!! Kate, ci sei ?"
Steve la stava scuotendo energicamente, preoccupato.
La visione si confuse e scomparve definitivamente. Gli occhi tornarono sul quadro. Kate a poco a poco riprese completamente il controllo. Si voltò verso Steve:
"Ho visto una stanza..."
"Come... una stanza? Quella del quadro?"
"No, ho avuto una vera e propria visione. Diversa però da quelle che ogni tanto mi capitava di avere, tempo fa..."
"Stai tranquilla, Kate. Sarà come le altre volte. Hai dei flash che poi scompaiono nel giro di qualche minuto. Non è la prima volta. Lo sai che sei un fenomeno!"
Cercò di sdrammatizzare, ma non ci riuscì: al suo sorriso Kate non rispose. Abbassò invece gli occhi e sussurrò in modo quasi impercettibile:
"Steve, ho paura. Da qualche parte sta capitando qualcosa di brutto. Lo sento. Anzi ne sono sicura."
Steve restò senza parole.
Sapeva che Kate non era una mitomane, aveva parecchio self-control tanto da poter escludere l’autosuggestione.
Era matura, calcolatrice e fredda, tutt’altro che sognatrice. Era Kate. E fu per questi motivi che Steve non ebbe dubbi su ciò che le aveva appena detto.
Fu per questi motivi che anche Steve ebbe paura.
Temeva soprattutto per l’incolumità di Kate. Forse era solo il mistero dell’insondabile, dell’inconscio, dell’assurdo che lo portava verso uno stato d’ansia, anzi quasi di terrore. Comunque sentiva Kate allontanarsi da lui per andare verso qualcosa di angosciante. Stava crescendo in lui la certezza, non solo il dubbio.
Era anche per questi motivi che aveva una gran voglia di tornarsene negli Stati Uniti, mettere più chilometri possibili tra loro e quella mostra, quella città. C’era solo una cosa che comunque lo preoccupava lo stesso anche se stavano per partire: per quanto ne sapeva anche quel pittore se ne stava tornando negli Stati Uniti.
Senz’altro non era tutto finito. Forse stava solo per iniziare.
Baciò Kate sulle labbra e la prese per mano. Lei si lasciò accompagnare fuori da Palazzo Pitti, senza dire una parola.

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