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UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino


CAPITOLO PRIMO

III
 

Faceva dannatamente freddo.
In quel maledetto gennaio la colonnina di mercurio era già scesa quattro volte sotto i -10. Era senz’altro l’inverno più rigido degli ultimi vent’anni.
La stampa locale aveva dato ampio spazio all’andamento del clima, soprattutto perchè le temperature polari avevano creato non pochi grattacapi all’amministrazione comunale: condutture dell’acqua che scoppiavano, auto e mezzi pubblici in panne, Polizia e Vigili del Fuoco in serie difficoltà nell’espletamento delle normali mansioni.
Parecchi barboni ci avevano lasciato le penne, quell’inverno: altro serio problema per la Giunta, che aveva dovuto sorbirsi in più di un’occasione le arringhe delle varie associazioni umanitarie e filantropiche che pullulavano in città’.
Ma in quella fredda mattina gli strilloni avevano ben altro da gridare per vendere i loro giornali:
"UN ALTRO SACRIFICIO UMANO ! SONO QUATTRO IN UN MESE. LA POLIZIA È AL PUNTO DI PARTENZA!!!"
Si riconoscevano tra la folla infreddolita : erano gli unici con un vistoso alone di fiato condensato, una sorta di nuvoletta intorno al viso, erano gli unici che dovevano per forza spostare la sciarpa dalla faccia, erano gli unici, a dire il vero, che parlavano. Ad uno di essi, fermo al semaforo tra la 57° Strada e la IV Avenue, si avvicinò un uomo.
Guardò lui, guardò il quotidiano che teneva in mano e semplicemente lo prese senza pagare, senza dire una parola.
Phil, un ragazzone di vent’anni in attesa del bus, osservò la scena sorpreso e soprattutto divertito dalla faccia interrogativa dello strillone. Quest’ultimo accennò una protesta, ma quando riuscì ad organizzarsi l’uomo si era già confuso tra la folla. Lo cercò ancora con lo sguardo per qualche secondo e infine, rassegnato riprese il suo lavoro:
"UN ALTRO SACRIFICIO UMANO. SONO QUATTRO IN UN MESE!! LA POLIZIA È AL PUNTO DI PARTENZA!!!".
 

IV
 

Quella mostra di pittura la stava annoiando all’inverosimile.
Quei quadri sembravano fatti in serie. Non riusciva infatti a cogliere la personalità dell’artista, non riusciva a percepire il messaggio, le paure, le aspirazioni, le ansie, le gioie. Li vedeva come riprodotti in fotografia, le sembravano stampe uguali con qualche lieve differenza nei colori, o meglio, nelle tonalità di colore. Sì, perchè il viola prevalera su tutto, funereo e tetro, così impersonale e profondo. Le venne un brivido istintivo e istintivamente si strinse al braccio di Steve, che la guardò con aria interrogativa:
"Che c’è Kate?"
"Non so, tutti questi colori così smorti, non mi piacciono, mi stò annoiando a morte!"
"Ma scusa...sei tu la critica d’arte, non io, dovrebbe piacerti comunque una mostra nello storico Palazzo Pitti a Firenze, anche se fossero esposti disegni di Minnie e Topolino!"
replicò lui volutamente sarcastico: lo aveva praticamente costretto ad andare a vedere quella mostra orribile e adesso la doveva un po' pagare, per forza.
"Non fare lo stronzo, Steve"
lo apostrofò lei un po' offesa da quella frase tanto cattiva quanto vera.
"È solo che non mi sento molto bene: forse non ho digerito gli spaghetti e quella enorme bistecca .... com’è già che si chiama? Ah già, fiorentina...... Tutto qui"
Lui la guardò negli occhi e capì al volo: Kate non era capace di mentire e nonostante tutto stava cercando di propinargli una balla. Non volle comunque proseguire nella disputa e si avviò verso l’uscita senza aggiungere altro. Appena fuori, avvertirono immediatamente il freddo pungente. Si avvicinarono l’uno all’altra e si strinsero per trovare riparo dal vento gelido che si stava alzando.
"Ehi, ti và una cioccolata calda?"
"OK Steve, vada per la cioccolata"
Entrarono nel bar di fronte, pieno di gente. Si fecero strada in mezzo alla calca, cercarono un posto e lo trovarono, con un pizzico di fortuna proprio in fondo al locale. Ordinarono con qualche difficoltà perchè il giovane cameriere non parlava e tantomeno capiva l’inglese.
Passarono alcuni minuti. Finalmente arrivarono le due cioccolate fumanti. Sorseggiarono in silenzio quel fluido tonificante che stava riscaldando il loro corpo man mano che scendeva.
"Assurda questa mostra. Dovevo proprio innamorarmi di una critica d’arte!"
disse Steve come per rompere il ghiaccio.
"Beh, devo ammettere che non hai tutti i torti. Tutte quelle figure contorte, deformi, ma soprattutto tutto quel viola così cupo e tetro. Infatti, se non l’hai ancora capito odio il viola."
Si fermò un attimo, sorseggiò un po' di cioccolata. Accennò un sorriso senza guardarlo, come se le fosse venuto in mente qualche simpatico ricordo, così, all’improvviso. Infatti riprese:
"Il viola.... Mi fa venire in mente un fatto strano che mi capitò circa sei mesi fa, poco prima di conoscere te. Non te l’ho mai raccontato. Mi viene quasi da ridere se ci penso....Ero seduta su una panchina a Wellington Park quando ad un tratto vidi sopraggiungere per il vialetto un tipo strano, sulla quarantina, nè bello nè brutto: mi colpì soprattutto il suo abbigliamento: era giugno , non faceva molto caldo ma era una gran bella giornata, e nonostante questo il tipo indossava un impermeabile logoro, pantaloni e maglione, tutto rigorosamente viola scuro, vinaccia se preferisci. Fui incuriosita e iniziai a fissarlo con insistenza. Nel frattempo si era avvicinato abbastanza da poter notare che anche lui mi stava osservando. Abbassai istintivamente lo sguardo per non dargli il pretesto di attaccare bottone. Sentii comunque i passi avvicinarsi: incominciai a sentirmi a disagio, inspiegabilmente, e il cuore iniziò a battere più in fretta. Si fermò proprio davanti a me: vidi i suoi piedi con la coda dell’occhio. Mi chiese:"Posso?"indicando la panchina. Non me la sentii di dirgli di no. Lui mi disse:"Scusi sono nuovo di questa città’. Mi può indicare una pensione, un alberghetto non molto caro?" Lo guardai solo per un istante: aveva due occhi profondi, molto infossati. Mi sentii di nuovo a disagio e abbassai di nuovo lo sguardo. Pensai un attimo e poi gli diedi l’indirizzo della pensione di quella Miriam Torrish ,l’amica di mia madre, quella che hai conosciuto Domenica."
Si fermò un attimo per bere un altro po' di cioccolata.
Steve era impaziente. La esortò:
"Dai, vai avanti. Lo sai che sono curioso!"
"Beh, come ti ho detto gli diedi l’indirizzo. Stava per andarsene quando mi prese la mano e me la baciò, si, insomma come dire.... mi fece il baciamano, e un inchino, sì anche un inchino. Pensa!"
Steve la guardò sbacalito ed esclamò:
"Addirittura?"
"Sì, infatti. Ma aspetta... Io sorrisi, anzi a dire il vero mi venne quasi da ridere. Al chè lui mi lascio cadere la mano e mi buttò in faccia due occhi pieni di odio. "Perchè ridi?" mi chiese a denti stretti"Non si usa più da queste parti essere gentili con le donne?". Rimasi naturalmente molto sorpresa dalla sua reazione e cercai in qualche modo di scusarmi, di aggiustarla dicendogli che ormai noi donne non eravamo più abituate. Lo invitai a sedersi di nuovo. Accettò anche se con riluttanza. Gli chiesi allora di dove fosse, quale era il motivo che lo aveva spinto a venire in questa città ecc.... Ci presentammo, ma ci dicemmo solo i nomi propri, come due ragazzini che si trovano per caso a giocare insieme. Parlò comunque in modo molto vago. Era di Atlanta forse ma a dire il vero non ricordo bene, era un tecnico o un perito, insomma ci scambiammo ancora le solite frasi di circostanza: ci vediamo, se passi in centro fatti vivo ecc... Poi ci alzammo tutti e due, si era fatto tardi. Mi guardò di nuovo con quegli occhi profondi e mi diede un bacio sulla guancia, quasi per ringraziarmi del tempo che gli avevo dedicato. Salutò e se ne andò."
"L’hai mai più rivisto?"
"Sì forse un paio di volte in centro, ci siamo scambiati due parole, forse abbiamo ancora preso qualcosa insieme."
"E queste altre due volte .... ti ricordi come era vestito?"
"Al solito, impermeabile, pantaloni e maglione viola. Inconfondibile!"
Kate sorridendo si avvicinò a Steve, ma lui la bloccò: la osservò un attimo, molto serio, fece per chiederle ancora qualcosa, ma i suoi pensieri furono bloccati dalla sua domanda:
"Che ti prende Steve? Sarai mica geloso?"
Scoppiò a ridere. Sorrise anche Steve. Le disse:
"Andiamo?"
Si alzarono, pagarono e uscirono abbracciati nella folla di Firenze.
Quella notte Kate ebbe un terribile incubo: un uomo massacrava a colpi di ascia due uomini e due donne.

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