BUON NATALE COMMISSARIO ARNOLDI
di: Claudio Chiaramida
- Mi passi un bicchiere pulito? © Claudio Chiaramida - © 1998 ARPANet. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
- Si dice per favore!...- aggiunse stizzita la donna sbattendo rumorosamente a forchetta sul piatto - Ti ha mai detto nessuno che esiste anche questa parola? - Marta, ti prego.- disse con un sospiro l'uomo appoggiando il tovagliolo -
Siamo a Natale ...
- Lo so che siamo a Natale.- rispose la donna prendendo a scuotere la testa mentre la sua voce veniva scossa dalla rabbiosa reazione - Tu sai che è Natale. Tutto il mondo sa che è Natale, ma ... non lei
- Lo sa anche lei Marta.- disse lui con un triste sorriso - Anche lei ci pensa... Ma ora non pensarci più di tanto,- continuò - i figli sono fatti così.
La donna si alzò silenziosamente e si diresse verso il bagno.
Allontanato il piatto con la fetta di panettone non ancora toccata, rimase per qualche istante ad osservarsi indeciso attorno. Infine, dopo un sospiro di rassegnazione, andò a sedersi davanti alla televisione. Non amava il piccolo schermo, ancor meno a Natale. Ma che altro avrebbe potuto fare con quel certificato medico che lo teneva, contro la propria volontà, inchiodato in casa?
Se non altro la voce del televisore aveva il potere di attenuare le lamentele della moglie assillata dal pensiero della figlia da tempo allontanatasi da casa.
Da quando, abbandonando dal detto al fatto l'idea di partecipare al concorso di maestra elementare verso il quale pareva essere intenzionata, li aveva informati con una lettera di quattro righe che, per seguire quello che aveva definito "il richiamo della verità", si era aggregata ad una setta religiosa, pure lui aveva rischiato di diventare come Marta passando lunghe notti insonni a pensare dove essa poteva trovarsi in quel momento, e solo a fatica aveva riconquistato quella tranquillità prerogativa indispensabile per il suo difficile lavoro. Negli ultimi tempi però questa stava lentamente esaurendosi. Il dover restare chiuso tra quelle quattro mura stava deteriorando irrimediabilmente il suo sistema nervoso.
Si sedette sbuffando davanti al televisore.
Trasmettevano uno di quei programmi nei quali tutta la gente, cattivi compresi, fingono di essere buoni elargendo sorrisi, strette di mano, abbracci e soldi, forse in precedenza truffati senza alcun riguardo.
- Volete fare un appello a qualcuno? - diceva il presentatore con la faccia piena di cerone - Volete cercare un famigliare, un amico o un conoscente del quale non sentite da tempo la voce? Ebbene, chiamate il numero in sovrimpressione sullo schermo.
Sorrise. C'era ancora gente che credeva a quelle baggianate. Lo sapeva benissimo che tutto era preparato da tempo, piagnistei e lacrime di felicità comprese.
- Abbiamo in linea la signora ... come ha detto? Cocchiglia? - chissà perché il presentatore fingeva sempre di non comprendere il nome del chiamante - Comiglia ... bene Signora Comiglia, da dove chiama?
- Da Pavia ...- rispose una voce metallica che si sparse per lo studio televisivo - ... Buon Natale.- aggiunse la voce facendo scrosciare ad unisono gli applausi del pubblico presente in sala.
- Buon Natale a lei signora.- rispose il presentatore mettendo in mostra una dentiera da cannibale - Com'è il tempo a Pavia?
- Che domanda del cavolo ! - borbottò guardando fuori dalla finestra. Da Milano, dov'era lo studio televisivo, a Pavia chissà che vortici di alte e basse pressioni avrebbero potuto alternarsi in una giornata che la sera prima durante le previsioni del tempo era stata prevista "nebbiosa al Nord" e con "sole splendente al sud".
- Luca, con chi parlavi? - chiese Marta, che pareva finalmente essersi tranquillizzata, andando a sederglisi vicino.
- Con quello scemo che presenta.- ripose sbuffando - Per certi lavori, vanno sempre a pescare i migliori.
- Anche quella gente deve lavorare.- mormorò la donna.
Rispose con un'incomprensibile borbottio.
- Abbiamo ora da proporre un caso molto doloroso.- continuò imperterrito il
presentatore.
Dal fondo dello scenario sortì un uomo, o meglio, un prete che a piccoli passi si avvicinò al presentatore. Il pubblico, evidentemente, doveva essere composto in buona parte da masochisti e sadici, in quanto, appena il presentatore ebbe pronunciata la parola "doloroso" e la piccola figura comparve alle sue spalle, un coro di applausi inondò lo studio televisivo.
- Buona sera ... - mormorò il prete una volta giunto accanto al microfono.
- Come? - chiese il presentatore continuando ad osservare il pubblico con un sorriso a sessantaquattro denti.
- Ha detto buonasera, deficiente ! - disse Luca mentre il prete arrossendo ripeteva il suo saluto.
- Calmati ...- disse con un sospiro la moglie - Ma perché porti tanto rancore per quella gente?
- Non sono sicuramente l'unico.- le rispose trangugiando un sorso di spumante - E' un vero peccato che non si possa far pervenire quello che veramente si pensa e, per giunta, in diretta. Sarebbe uno spettacolo indimenticabile ...
- Fanno il loro lavoro come lo fai anche tu.
- Lo credi veramente? - chiese girandosi verso di lei con aria canzonatoria
- Pensi veramente che correre dietro ai delinquenti comporti la stessa fatica di dire quattro scemate in televisione?
- Certamente no, ma ...
- Allora ti sarò grato se eviterai questo genere di paragoni! - l'interruppe spazientito - Un Natale che sono riuscito a rendermi libero...
- Non sei libero.- l'interruppe a sua volta la moglie con un sorriso - E' stato il dottore ad obbligarti a rimanere a casa e, si vede ...
- E' la stessa cosa.- borbottò nervosamente.
- Non è la stessa cosa. Da quando sei uscito dall'ospedale sembri un orso in gabbia. A volte preferirei saperti al commissariato anziché vederti qui ad imprecare contro il mondo intero ...
Già, imprecare contro il mondo intero. E che altro poteva fare? Si alzava alle dieci e, dopo il solito caffè al bar da Piero, andava a comperarsi i giornali. A volte ne prendeva talmente tanti che, oltre a non farcela a leggerli tutti, portandoli a casa l'ernia, da poco operata, gli pungeva fastidiosamente. Ma fortunatamente erano poche centinaia di metri.
Poi, durante il resto della sua giornata e fino a sera, si alternava in un'interminabile maratona tra il soggiorno e lo studio dove rimaneva la maggior parte del tempo trincerato a leggersi, parola per parola, quei chili di carta stampata.
Fino a prima del suo ricovero in ospedale si era sempre limitato a leggere unicamente il quotidiano che oramai comperava da anni, concentrando il proprio interesse sulle notizie di Cronaca Cittadina. A quel punto, esaurita la lettura di quelle poche pagine, finiva anche il suo interesse per la lettura. Ora, però, probabilmente per riempire il più possibile tutto il tempo che aveva a disposizione, leggeva tutto, compresi gli inserti pubblicitari.
Ce n'erano alcuni che lo divertivano: come quelli di certa gente che, in un trafiletto da ventimila lire, cercava con quattro righe copiate da qualche manuale di galateo in disuso, di trovarsi l'anima gemella per tutta la vita. Poi c'erano quelli delle "massaggiatrici". Un'idea eccellente per trincerare l'offerta di prestazioni sessuali a pagamento.
Ricordò come, appena questa forma di inserzione aveva cominciato ad andare di moda, alla sezione Buoncostume avevano preso a controllare di persona, logicamente sotto mentite spoglie, il vero significato di quelle parole anteposte da troppe "A". Come avevano previsto, le sorprese non erano mancate. Molte massaggiatrici fasulle colte in prestazioni "troppo private" erano, anche se per un breve periodo, state arrestate con l'accusa di adescamento e prostituzione. Poi la cosa si era talmente generalizzata che la polizia, settore buoncostume compreso, aveva preferito chiudere entrambi gli occhi ignorando l'esistenza di quella pagina tra le altre quaranta del giornale. Ultimamente comperava anche riviste di pesca sportiva. Era infatti intenzionato, da lì ad un paio d'anni, di far richiesta di prepensionamento, ed in seguito di trasferirsi, con Marta, nella sua casetta di Besana Brianza. Con il fratello, già abitante in loco, avrebbe in seguito imperversato per tutti i fiumi della Lombardia a caccia di trofei forse più soddisfacenti di quelli che, fino ad allora, aveva catturato per la polizia.
Anche se fino ad allora non si era mai eccessivamente interessato alla pesca, considerava ugualmente quest'ultimo uno sport attraente. Cosa c'era più bello di star seduti in una barca in mezzo ad un lago lontani dal rumore del traffico caotico della capitale e senza il continuo lancinante urlo delle sirene delle auto della polizia lanciate a pazza velocità? Se poi i pesci avessero abboccato o meno, non avrebbe fatto eccessiva differenza. Per far contenta Marta si sarebbe fermato in qualche pescheria nella via del ritorno...
Il telefono posto sul tavolino suonò debolmente
- Arnoldi ...- rispose dopo aver sollevato il ricevitore.
- Buonasera commissario ...- disse la voce del suo aiuto Fabrizio Cenci - L'ho chiamata per augurarle un Buon Natale.
- Grazie Fabrizio.- rispose Arnoldi - Ti avrei chiamato comunque io questa sera per sapere se c'erano novità.
- Aspetti di guarire.- disse il suo interlocutore - Qui al commissariato nessuno sembra avere molta fretta di rivederla.
- Ne ho piacere ... - rispose ironicamente - Come procedono i casi che il questore ha sparpagliato agli altri colleghi?
- A quanto ho saputo fino ad ora, nessuno pare essere arrivato a capo di qualcosa.
- A proposito, chi ha avuto il caso della Norma?
- Di Francesco ...
- Ne sono felice.- commentò divertito - Trovo che un pederasta che si trovi obbligato a dover frugare nella vita privata di una lesbica sia l'accoppiata vincente della settimana.
- Effettivamente tutti l'hanno pensata come lei,- rispose Cenci - ma lo sa bene che, anche se lei forse è l'unico a non pensarla in questo modo, gli ordini del capo sono senza possibilità d'appello.
- Hai visto Ronzoni?
- Si. Ma quel tipo pare essere diventato di colpo muto. Ha detto a Rimini, che al momento ha in mano il caso, che parlerà, ma solo con lei ...
- Quando pensi di rivederlo? - chiese Arnoldi prendendo carta e matita.
- Domani, al solito posto in galleria.
- Dove logicamente farà un'abbondante colazione a nostre spese.- aggiunse divertito - Quel vecchio sa molte cose che però ci centellina con furbizia. Cerca di rimandare l'appuntamento di due giorni. Logicamente promettigli che gli offrirai la colazione anche dopodomani ...
- Commissario sa bene che quanto faccio non rientra nei miei attuali incarichi e pertanto ...
- Non preoccuparti. Ti rimborserò personalmente la nota spese.- quindi, dopo qualche parola di commiato, riappoggiando il ricevitore, borbottò - Questo tirchio di un genovese per risparmiare il gettone del telefono lascerebbe bruciare un albergo.
- E' un bravo ragazzo.- commentò la moglie alzando nuovamente il volume del televisore - Come mai ha chiamato? Hai ancora due settimane di malattia ...
- Nulla di speciale.- rispose mettendosi comodo sulla poltrona - Voleva augurarmi Buon Natale.
- E' stato gentile. Non trovi?
- Forse chiamava dall'ufficio. - aggiunse infastidito dal volume, eccessivamente alto, del televisore - Sarebbe capace di fare due chilometri di strada a piedi per andarci a telefonare a sbafo.
- Non cambierai mai.- disse la moglie accarezzandogli affettuosamente una mano - Beata la volta che sarai soddisfatto di qualcosa.
- Vorrei tanto esserlo ...- aggiunse prima di piombare in un pesante mutismo.
Durante le ultime due settimane che aveva dovuto trascorrere a casa per convalescenza dopo un'operazione d'ernia inguinale, il suo umore era sceso a livelli preoccupanti. Era diventato scontroso e scorbutico. La moglie, però abituata a quella sua maniera di fare, cercava di non darci eccessivo peso.
- Domani esco.- disse Luca guardando lo schermo del televisore senza però interessarsi a quanto stavano trasmettendo.
- Lo fai ogni giorno per andare a comperarti quella sfilza di giornali - rispose la moglie additandogli la pila di riviste che stavano sul tavolo.
- No. Domani esco e vado a fare due passi fino in galleria ...
- Non puoi Luca.- ribatté visibilmente allarmata - Il dottore ...
- Ti prego Marta,- l'interruppe sbuffando infastidito - non ricominciare con le tue inutili preoccupazioni. Voglio andare fuori a fare due passi. Forse in galleria troverò altre riviste.
- Domani è Santo Stefano. I giornali non escono ed i chioschi, probabilmente, sono tutti chiusi...
- Troverò qualche settimanale in quello della Stazione Centrale.
- Come vuoi ...- disse la donna scuotendo sconsolata il capo - E' inutile cercare di farti desistere. Quando ti ci metti sei più testardo di un mulo.
- Grazie del complimento.
- Perché, ho detto qualcosa di sbagliato?
- Assolutamente, ma lo sai quanto mi lusinghino questi tuoi apprezzamenti ...
- Ora smettila di brontolare orco!
Orco. Quello era il termine con il quale usava chiamarlo affettuosamente Silvana. Il ricordo gli ricoprì nuovamente il cuore di quella mestizia che, da quando Silvana aveva deciso di abbandonarli, non si era più sopito. Erano già trascorsi due anni. Due anni durante i quali, purtroppo sempre con più flebili speranze, si era aggrappato disperatamente all'idea di vedersela ricomparire davanti.
Se l'avesse voluto, questo desiderio avrebbe potuto realizzarlo anche nel giro di poche ore, ma aveva sempre rifiutato di ricorrere a metodi che considerava appropriati solo per i delinquenti.
Sarebbe bastata anche una telefonata ad un collega a Roma, magari lo stesso che tempo prima si era premurato ad informarlo che la figlia stava bene e viveva assieme ad un'amica in un miniappartamento del centro, e Silvana sarebbe stata immediatamente riaccompagnata a Milano ... E poi? Conosceva i suoi doveri di padre ma, allo stesso tempo, ci teneva a rispettare anche i diritti della figlia.
- A proposito, hai portato fuori il cane? - chiese alzandosi faticosamente dalla poltrona.
L'animale rimasto accovacciato fino a quel momento accanto alla sua poltrona, appena intese quelle parole, si alzò e prese a girargli attorno lanciando guaiti di felicità.
- E' ancora presto.- rispose la moglie continuando a guardare la
televisione - Non sono ancora le quattro ...
- A quanto pare Cesco non la pensa così ...
- Cesco.- ripeté Marta lasciandosi sfuggire un sorriso - Non potevi chiamarlo altrimenti questa povera bestia?
- E perché? - rispose accarezzando con tenerezza il pastore tedesco - A quanto pare a lui piace e poi, è molto più difficile che qualcuno, chiamando il proprio cane, chiami pure lui.
Il telefono squillò nuovamente.
- Arnoldi ...- rispose dopo aver sollevato con lentezza esasperante il
ricevitore.
Sperò che non si trattasse nuovamente di qualcuno che chiamava per i soliti auguri di Natale. Nel primo pomeriggio, non sopportando più il continuo trillare dell'apparecchio, gli era venuta la tentazione di staccarne la spina.
- Sono ancora io commissario,- rispose la tenue voce di Cenci.
- Lasciami indovinare. Hai trovato qualche gettone in una cabina e sei in vena di chiacchiere...
- Nulla di tutto questo.- continuò il suo sostituto per nulla divertito - C'è un problema ...
- Non dirmi che oggi sei in questura da solo.- rispose ironicamente - Dove sono andati a finire tutti i miei illustri colleghi?
- Anche se fossero tutti qui lei resterebbe sempre l'unico in grado di fare qualcosa.
- Non capisco ... - rispose osservando la moglie che si apprestava ad uscire con il cane scodinzolante a guinzaglio - Cosa ti serve?
- Dovrebbe venire subito qui.- disse Cenci perseverando nel suo tono preoccupato
- Non posso - rispose con un sospiro - Sono in convalescenza e per giunta oggi è Natale e mia moglie, che al momento è uscita, non mi lascerebbe oltrepassare la porta dell'appartamento nemmeno se bruciasse la casa.
- Lo so commissario.- rispose il suo subalterno - Ma se fossi lei ci verrei ugualmente ...
- E' così grave? - chiese Arnoldi perdendo di colpo tutta la propria ironia.
- Lo è ...- rispose Cenci con insistenza.
- Cos'è successo?
- Preferirei non parlarne al telefono ...
- Ne sei sicuro? - chiese preoccupato - Magari discutendone ...
- Commissario, quando lei sarà qui capirà.- rispose Cenci continuando a lasciar trasparire un marcato nervosismo.
- Va bene.- disse facendosi pensieroso - Manda qualcuno a prelevarmi a casa tra dieci minuti.
- Sapevo che mi avrebbe risposto così.- rispose Cenci lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo - Bagnoli è già per strada ...
L'auto della polizia con Arnoldi a bordo, s'arrestò davanti alla questura. Durante il tragitto, evitando di parlare con il poliziotto alla guida, fatta eccezione per un striminzito "Buon Natale" di dovere, aveva cercato di immaginare cosa potesse essere successo di così grave da obbligare Cenci a domandargli di recarsi d'urgenza in questura. Vagliò tutte le più nefaste possibilità che potevano essere successe in quell'ultima ora: da un attentato al ministro degli interni, in quei giorni in città per presenziare all'inaugurazione della nuova caserma della guardia di finanza, a qualche intrigo scoperto nelle maglie della polizia ...
Cenci lo aspettava al portone d'ingresso. Una leggera nebbia, accentuata dall'incipiente oscurità, aveva preso a coprire Milano rendendo la capitale lombarda più opaca ed opprimente del solito.
- Cos'è successo? - chiese Arnoldi salendo a fatica i pochi gradini
dell'ingresso.
- Venga dentro.- rispose Cenci con un sorriso forzato - Oggi fuori c'è una dannata umidità ...
- Da quando ti interessi così tanto alla mia salute? - chiese porgendogli il cappello - Se veramente ci tenevi tanto potevi evitarmi questa escursione ...
- Venga commissario ...- rispose serio il subalterno quel giorno decisamente poco propenso a sorridere.
Passato l'androne dell'ingresso nel quale incontrarono solo il poliziotto addetto ai controlli che si lasciò sfuggire il previsto "Che piacere rivederla commissario ...", salirono con l'ascensore al secondo piano dove Arnoldi aveva il suo ufficio.
- Allora Fabrizio,- chiese mentre uscivano dall'ascensore - vuoi per favore dirmi cosa Cristo è successo? - quindi controllandosi la posizione della cravatta ad uno specchio, borbottò - Sono scappato da casa, lasciando due righe a mia moglie per qualcosa che ancora non conosco. Questa sera vieni a cena da noi. E' un ordine! Non ho voglia di sorbirmi tutte le sue prediche senza qualcuno che avalli le mie difese ... Allora?
- Silvana ... - rispose visibilmente a disagio Cenci.
- Silvana? - ripeté bloccandosi ed osservandolo incredulo, quindi deglutendo a fatica, chiese - Le è successo qualcosa?
- Non proprio. E' stata fermata ieri sera ed ora è nel nostro ufficio.
Avrebbe voluto chiedere a Cenci la ragione per cui questo era successo ma l'emozione che prese a pervaderlo fu troppo forte ed, accelerando il passo, arrivò alla porta dell'ufficio quasi di corsa.
Quando entrò trovò una donna seduta vicina alla sua scrivania. Una donna che, a quanto gli aveva detto Fabrizio, avrebbe dovuto essere sua figlia, ma che, a parer suo, di quest'ultima aveva poco o nulla. Dov'era la Silvana che ricordava? Dov'erano i suoi lunghi capelli bruni lisci come una cascata d'olio ed il viso dolce carico di quel sorriso che lui amava tanto?
No. Quella donna seduta su quella sedia non poteva essere la "sua" Silvana, ma solo una delle tante ragazze senza fissa dimora che, per una ragione che gli era ancora sconosciuta, aveva voluto spacciarsi per sua figlia ...
Solo dopo qualche minuto gli riuscì di intravedere, sotto il trucco pesante ed i capelli arruffati e neri come la pece, quei lineamenti che ben conosceva.
La donna teneva la testa china e non la mosse nemmeno quando lui e Cenci
entrarono in ufficio.
- Venga Gurri,- disse quest'ultimo al poliziotto che piantonava la donna prendendolo amichevolmente per un braccio - visto che oggi è Natale le offro un caffè.
- Veramente? - chiese l'uomo in uniforme osservandolo meravigliato -
Allora domani nevica ...
- Magari! - rispose mentre uscivano dall'ufficio - Una mano di bianco pulirebbe un po' questa città così sporca di tutto.
Arnoldi e colei che finalmente era riuscito a riconoscere come la figlia, rimasero per qualche minuto silenziosi. Lui, seduto dietro la propria scrivania cercando di riscoprire in lei altri tratti che le confermassero quanto interiormente cercava di rifiutare ma che le evidenze rendevano cinicamente reale, e lei sempre con la testa china a mordersi nervosamente le labbra.
A fatica soppresse il desiderio di stringere la figlia a sé, dando libero sfogo a quanto il suo cuore cercava insistentemente di dettargli, ma il comportamento di Silvana pareva troppo estraneo e freddo.
Dopo essersi nuovamente alzato, le si fermò accanto.
- Sei proprio ... tu? - chiese scuotendo nel contempo il capo negativamente quasi a forzare colei che le stava davanti ad un'uguale risposta. La donna non rispose - Come mai sei conciata così? - chiese nuovamente sottovoce - Ho stentato a riconoscerti ...
Lei, continuando a barricarsi dietro un persistente mutismo, non si scompose nemmeno a questa sua nuova domanda.
Arnoldi da prima cercò di osservarla abbassando la testa più che poteva, ma visto che più si chinava e più la figlia faceva altrettanto, decise di forzare i tempi e, presa una sedia che stava vicino alla parete, andò a sederlesi vicino. - Sono due anni che non ci fai avere tue notizie ... Si, qualche cartolina l'abbiamo ricevuta. Ma non si può dire che ti sia forzata troppo - quindi, forzandosi di caricare le proprie parole di più dolcezza possibile, continuò - Tua madre ed io siamo stati molto in pensiero. Sai, abbiamo pensato sempre a te e dove tu potevi essere ...
- Grazie.- rispose Silvana tradendo nella voce un accento d'emozione.
- Ci manchi molto ...- continuò Arnoldi incapace di trattenere la commozione che percepiva assalirlo sempre più.
- Anche voi.- gli fece eco la voce della figlia; una voce priva di quel timbro che ricordava. Una voce senza vita ...
- Come stai?
- Non c'è male ...
Dopo averla obbligata con dolcezza a sollevare la testa, scoprì il viso giovanile che ben ricordava, terribilmente sgraziato da un esagerato trucco. Le linee degli occhi erano eccessivamente accentuate da un rimmel nero, mentre un rossetto lucidissimo e pesante donava alle sua labbra quella volgare espressione che ricordava d'aver già intravista altre volte sul volto delle donne che venivano portate in questura ad ogni retata della Buoncostume.
Ora però le lacrime che scaturivano dagli occhi della figlia avevano deteriorato tutto quel restauro artificiale rigandole il viso di due linee nere che le scendevano fino al mento.
- Anche con questa roba addosso sei sempre la più bella - mormorò nascondendo i mille perché che avrebbe voluto porle.
- Mi fai venire la tentazione di crederti.- rispose Silvana forzando un indubbio sorriso quindi, cercando di aggiustarsi alla meglio il trucco con un fazzoletto di carta, estratto dalla borsetta in vernice, aggiunse - No. So quanto mi deformi tutto questo ma ...
- Ma? - ripeté, forzandola a quanto non avrebbe mai voluto sentirsi dire ma che oramai pareva pendere dalla bocca della figlia.
- ... devo farlo papà.- aggiunse tornando ad abbassare il capo.
- Ti obbliga qualcuno?
- No. Nessuno ... cioè ... ecco, devo farlo.
- Non vuoi dirmi cos'è successo?
- Mi arresteranno? - chiese cambiando argomento.
- Non preoccuparti.- rispose accarezzandole una spalla - Arrangerò tutto io ...
- Grazie ...- rispose accennando ad alzarsi.
- Dove vuoi andare?- chiese prendendola per un braccio.
- Se non mi arrestano allora posso andarmene.
- E dove?
- É importante? - chiese mentre gli occhi tornavano a diventarle lucidi.
- Stai seduta un momento.- rispose prendendo il telefono. E, parlando al suo invisibile interlocutore, disse - Bagnoli, per favore mi procuri dei panini e del caffè ... a proposito, la De Rossi è di turno oggi? ...
Capisco. Grazie ugualmente.
- Non avevo fame.- disse Silvana un volta che lui ebbe riappoggiato il ricevitore.
- Mangiare qualcosa ti farà bene.- rispose senza scomporsi - Hai voglia di raccontarmi cos'è successo?
- Se dovessi farti una cronaca di questi ultimi due anni, alla fine mi lasceresti riaccompagnare in galera ...
- Lo credi veramente? - chiese osservandola con amore - Negli anni vissuti assieme ho cercato di darti più affetto che potevo, e se non fosse stato per questa mia schifosa professione, te ne avrei dato ancora di più.
- Come sta la mamma? - chiese mentre le guance riprendevano a rigarlesi di
lacrime.
- Sta bene, solo che da quando sei partita è un po' ... cambiata.
- Mi dispiace ...- rispose alzando la testa ed osservando fuori della finestra le prime luci della città che scemavano in una nebbia sempre più densa e cercando, nel contempo, di pulirsi le tracce delle lacrime che continuavano a scorrerle con insistenza sul viso.
- Cos'è successo veramente a Roma? La tua lettera era dannatamente scialba
e concisa.
- Non ho superato nemmeno la prima sessione del concorso ...
- E' per questo hai ...
- Si. - l'interruppe Silvana abbassando nuovamente la testa - Voi avevate riposto così tanta fiducia in me che in quel momento mi sono sentita una traditrice.
- Forse involontariamente tua madre, appoggiando con esagerata determinazione quella tua decisione, ti ha caricata di troppa responsabilità. Ma, io interiormente, se devo essere sincero, speravo che tu ... - tacque un momento, quindi con un sorriso impacciato, continuò -
Insomma speravo che non ce la facessi ...
- Perché? - chiese tirando su rumorosamente con il naso.
- Vedi, - continuò il padre porgendole il proprio fazzoletto - il pensiero che tu andassi a vivere lontana da casa magari dispersa in qualche paesetto mi faceva interiormente soffrire. Per me eri tutto ... e che tu ci creda o meno, posso assicurarti che lo sei ancora.
- Anche dopo avermi rivista in queste condizioni?
- Vedi Silvana,- continuò Arnoldi con la sua solita tranquilla maniera di parlare - in trentacinque anni che sono nella polizia ne ho viste di cotte e di crude. Con questo non posso negare che il ritrovarti in queste condizioni non mi faccia male. Se cercassi di farlo, allora tanto varrebbe affermare che non ti voglio bene. Ma per la ragione che ti accennavo poc'anzi ho fatto un po' il callo per certe cose. A monte di ogni storia come quella che, come immagino sia venuta a trovarti purtroppo anche tu, c'è sempre una ragione che forse tu consideri valida ...
- Immagino che vorresti conoscerla.- disse la figlia alzando finalmente lo sguardo su di lui.
- Non necessariamente ...
- Non necessariamente? - ripeté lasciandosi sfuggire un sorriso d'incredulità - Intendi dire che non ti interessa?
- Non mettermi in bocca parole non dette.- l'interruppe il padre diventando serio - Con il mio "non necessariamente" non intendevo dire di non voler conoscerla ma di essere interessato ad essa solo se tu riterrai opportuno raccontarmela.
- Perché?
- Ti ho detto che c'è sempre una ragione per tutto e con questo intendo anche per quello che ora stai facendo.
- Ti ringrazio ... eri veramente un padre unico - mormorò Silvana accarezzandogli la mano - Non ti meritavi una figlia come me.
- Cosa intendi con "eri"? - chiese con un sorriso commosso - Spero che non abbia fatto domanda di togliermi la patria potestà.
- No. Sei tu che dovresti rinunciare a me ...
- E' impossibile ...
- Perché?
- Perché ... E' una parola che ti è sempre piaciuta questa, vero? - rispose tornando a sederlesi vicino - Ti piace sentirti al sicuro nascondendoti dietro ad essa anziché risponderti da sola. Non so se l'hai capito, ma io e tua madre ti amiamo ancora come quando te ne sei andata. Poco importa cos'è successo nel frattempo. Sono esperienze che purtroppo nella vita succedono. L'importante è imparare da esse affrontando il resto di questa che ci rimane da vivere, con differente determinazione. Si impara molto più dagli errori che dalle cose giuste.
- Non ci si può liberare di certe esperienze - rispose Silvana con rabbia - E' facile discuterne, ma è impossibile dimenticarle ...
- Ci sei dentro ...? - mormorò il vecchio rabbuiandosi.
- Cosa intendi dire?
- ... droga.
- No papà.- rispose lasciandosi sfuggire un sorriso triste - Fortunatamente non ho mai voluto nemmeno provarla. La mia storia si è incamminata in un'atra direzione ...
- Vuoi parlarmene? - chiese appoggiandole dolcemente un braccio sulle
spalle - Solo se vuoi ...
- Ma dopo mi lascerai andare? - chiese con un tono di preghiera.
Arnoldi la guardò un momento. Quindi, chiusi gli occhi, rivide i lunghi viali della periferia milanese con una fila di donne in abiti bizzarri o quasi nude al margine della strada, intente ad adescare i soliti perseveranti clienti. Rivide le lunghe file di copertoni incendiati che servivano loro sia per scaldarsi che da specchietto per "allodoli".
Scuotendo il capo tornò a sedersi dietro alla scrivania. Nel momento che stava per rispondere a quella difficile domanda, qualcuno bussò alla porta.
- Avanti ...- disse dopo aver fatto cenno alla figlia di tacere.
- Sono io.- disse Cenci entrando con un vassoio tra le mani - Hanno portato dal bar questi panini. Bagnoli è uscito un momento ed allora ...
- Grazie Fabrizio.- lo interruppe Arnoldi andandogli incontro - Lascia pure tutto qui sul mio tavolo ...
- Le serve qualcos'altro? - chiese osservando per un momento Silvana che li voltava le spalle.
- No, grazie.- rispose riaccompagnandolo verso la porta - E' tutto sotto controllo.
- Riguardo il fermo di ieri sera, non c'è alcun problema.- continuò sottovoce Cenci fermandosi un momento sulla porta - Ho già sistemato tutto ...
- Ti ringrazio. Sono in debito ...
- Non l'ho detto per questo.- lo interruppe con aria quasi scandalizzata -
Solo che può dirlo a Silvana. L'aiuterà a calmarsi. Quando l'hanno portata
nel suo ufficio era molto agitata.
Arnoldi, dopo un nuovo ringraziamento, tornò a sedersi alla scrivania.
- Mangia qualcosa.- disse spostando il vassoio verso di lei.
Silvana, dopo un leggero tentennamento ed essersi pulita del rossetto con un fazzoletto di carta, prese un panino e, dopo averne controllato il contenuto, l'addento con un piccolo morso.
- Allora? - chiese la donna masticando lentamente.
- Allora cosa? - chiese lui osservandola come si stesse svegliando da un incubo. Un incubo che invece continuava ad esistere seduto davanti a lui sbattendogli rudemente in faccia ciò che considerava oramai come il suo insuccesso di padre.
- Mi lascerai andare?
- E che altro potrei fare? - chiese mentre sentiva esplodersi in cuore un'incontenibile desiderio di prendere Silvana, portarla a casa e chiuderla in una stanza a chiave fino alla fine dei suoi giorni, lontana dai pericoli come quello dal quale si era miseramente lasciata travolgere. Stringendo le labbra ed incapace di trattenere le lacrime cariche di dolore che rendevano a bagnargli gli occhi, aggiunse - Ti lascio andare perché devo. Non posso obbligarti a fare quello che non vuoi; al massimo, come padre, posso chiederti di tornare a casa ...
- Non so se, dopo che ti avrò raccontato quanto mi è successo, me lo chiederai nuovamente.- rispose appoggiando una parte del panino per asciugarsi le lacrime che riprendevano a scenderle sul viso - Lo vuoi veramente sapere?
- Come mai l'hai fatto? - chiese scuotendo la testa - Almeno sapessi dove
ho sbagliato ...
- No papà, tu non hai sbagliato. Sono stata io a non aver voluto ascoltarti. Magari l'avessi fatto ... non mi troverei in questa situazione.
- Posso saperne la ragione?
- Sei veramente sicuro di volere conoscerla? - insistette tergiversando.
- Oramai è troppo tardi per tirarmi indietro.- rispose Arnoldi con voce
rassegnata - Oramai sei qui ...
- Ti dispiace?
- L'averti rivista mi fa felice, ma sarebbe stato motivo di immensa
felicità se non ti avessi ritrovata in queste condizioni.
- Capisco ...
- Ora però cerca di raccontarmi qualcosa di te.
- A Roma, come ti dicevo,- prese a raccontargli rileggendo quella parte della propria vita che aveva da tempo imparato ad odiare - non sono riuscita a superare nemmeno il primo turno della selezione. Quel giorno stavo un male boia. La sera prima ero stata a casa di Lucia e, dopo cena, eravamo rimaste a discutere fino a tardi. Probabilmente qualcosa che avevo mangiato mi si era fermato sullo stomaco e per questa ragione, per tutta la notte, non avevo fatto altro che andare e venire dalla stanza da bagno.
Immagina in che condizioni mi potevo trovare al mattino dopo una notte in bianco ed un mal di testa che mi faceva rintronare il cervello. Fatto sta che la mia relazione sulle conseguenze politiche ed economiche per l'Europa dopo la riunione delle due Germanie si dimostrò un vero sfracello ...
Continuò il proprio racconto senza mai alzare lo sguardo sul padre che invece continuava ad osservarla senza sapere ancora quale sarebbe stata la sua reazione quando essa avrebbe finito di narrargli le disavventure di quegli ultimi anni.
Gli spiegò come, dopo essere stata "sbattuta fuori" dal concorso, in lei fosse subentrato un senso di colpa nei confronti dei genitori e di non aver trovato il coraggio di comunicare loro il suo indecoroso insuccesso. Per un breve periodo era vissuta con i soldi che aveva avuto dal padre alla sua partenza da Milano, ma, una volta esauritili, per pagare il miniappartamento nel quale viveva, aveva dovuto cercarsi un lavoro. Per qualche tempo aveva lavorato in un bar vicino alla fontana di Trevi, e lì aveva conosciuto Serge. Dopo una corta avventura, quest'ultimo era però improvvisamente scomparso. Non ne era stata così innamorata da buttarsi al suo inseguimento, infatti il sentimento che si era instaurato tra di loro, fortunatamente per lei, stava ancora molto lontano dalla parola "amore".
Arrivata a questo punto, Silvana s'interruppe e, dopo aver alzato lo sguardo sul genitore che continuava ad osservarla silenzioso, raccolse la borsetta aperta che stava sul tavolo e, messesela sotto il braccio, accennò ad alzarsi.
- Vuoi andartene? - chiese il padre senza muoversi.
- Sì.- rispose la figlia ferma in piedi davanti a lui - Preferisco risparmiarti il resto. Non meriti tanto dolore.
Lentamente s'incamminò verso la porta dell'ufficio. Una volta raggiuntala, prima di aprirla, si girò verso di lui ancora immobile alla propria poltrona con lo sguardo perso sul ripiano del tavolo vuoto.
- Cerca di dimenticarmi.- disse sottovoce con voce falsata dall'emozione -
E, ti prego, non dire nulla alla mamma ...
- Quanti mesi ha la bambina?
Silvana s'arrestò come fosse stata colpita da una frustata, quindi, con lentezza esasperante, tornò verso di lui e, dopo una lieve indecisione, si risedette.
- Chi te l'ha detto? - chiese visibilmente turbata - Non porto alcun documento sul quale essa risulti.
- Quando hai aperto la borsa per riassestarti il trucco ho scorto un succhiotto rosa.- rispose il padre con un sorriso - Non penso che alla tua età tu abbia ripreso ad usarlo. Tua madre ti ha fatto smettere quel vizio molto tempo fa ...
- Deve essermi rimasto sbadatamente in borsa ieri pomeriggio.- rispose Silvana estraendo il succhiotto dalla borsa e lasciandosi sfuggire un sorriso carico di dolcezza, probabilmente quella poveretta l'ha cercato tutta la notte ...
- Quella poveretta?
- Mi riferivo alla baby-sitter. La bambina, senza questo succhiotto, non si addormenta facilmente.
- E figlia tua e di quel ... come si chiamava?
- Serge ...- rispose Silvana rabbuiandosi nel pronunciare il nome.
- Come sei vissuta quand'eri incinta?
- Da cani.- rispose con rabbia - Non avendo ne soldi ne possibilità di lavorare, ho dovuto chiedere ospitalità ad un'amica per alcuni mesi. Poi, qualche tempo dopo la nascita di Andreina, sono tornata a Milano. Per un po' di tempo ho lavorato in nero in un albergo di Seregno come cameriera ai piani, poi, visto che i soldi per pagare l'affitto dell'appartamento e quanto serviva per la bambina e la baby-sitter non mi bastavano mai, ho accettato il consiglio di un'amica ...
- Da quanto lo fai?
- Tre mesi,- rispose arrossendo vistosamente - ma mi sembra che siano passati trent'anni ...
- Ti capisco.- rispose Arnoldi alzandosi dalla poltrona ed andando a sederlesi vicino - Purtroppo nel mio lavoro ne vedo tutti i giorni di donne che hanno abbracciato questa "professione". Sono poche quelle che lo fanno solo per arricchirsi. La maggior parte ha le sue, anche se noi consideriamo sempre ingiustificabili, ragioni. Madri di famiglia con figli da mantenere e mariti disoccupati che le sfruttano. Ragazze che vogliono il denaro per assicurarsi un avvenire onesto con un soldo in tasca , ed anche donne già ricche che demotivate dalla loro esistenza, cercano di dare a quest'ultima, in questo modo, un'illogica ragione. Ognuna di queste motivazioni, come le altre che, volutamente, non ho menzionato, ha un piedistallo, a suo sostentamento, che solo come ultimo scopo ha la visione di un guadagno facile per una vita felice. Tutte queste poverette, prima o poi, pagano lo scotto della loro scelta in modi estremamente bruttali. Stanno tutte schedate negli archivi della polizia e, ti posso assicurare che solo una irrilevantissima percentuale è riuscita ad uscire dal giro ed a ricominciare una vita normale. Quasi tutte, una volta entrate, ci sono rimaste.
- Lo faccio solo due sere alla settimana.- sortì inconsciamente Silvana interrompendolo - Appena la bambina ...
- Più grande diventerà e di più cose avrà bisogno.- l'interruppe il padre - Sono stato padre, non dimenticarlo, e ... lo sono ancora.
- Brutto mestiere il tuo.- disse la donna con una scrollata di spalle - Ti fa vedere tutto così sminuito. Chiunque al tuo posto mi avrebbe pregata di andarmene e di riscomparire nel nulla.
- Forse qualcuno che non ti ama.- aggiunse accarezzandola con dolcezza - Ma questo è un sentimento che smette di esistere solo quando una persona muore e, grazie a Dio, sono ancora vivo. Fino a quando lo sarò continuerai ad essere colei che amerò di più in questo sporco mondo.
- Lo dici ... veramente ...? - cercò di balbettare la figlia - E' tutto così ...- ma non poté aggiungere altro e, dopo essersi gettata tra le sue braccia esplose in un pianto disperato.
Lui la tenne stretta a se. In quei momenti il dolore e la rabbia per la sua impotenza di cambiare il destino di colei che teneva tra le braccia, scomparvero coperti da quel sentimento che non aveva mai mancato di tenere vivo in sé. L'importante era riaverla accanto a sé e stringere tra le proprie braccia quella parte di se che per tanto tempo aveva temuto di aver perso ma che ora, anche se in circostanze drammatiche, aveva ritrovato.
- Se tu lo volessi, potresti tornare a vivere con noi. - le mormorò accarezzandole dolcemente i capelli - L'appartamento per me e tua madre è anche troppo grande e non avresti il problema della baby-sitter. Lo sai come Marta ami i bambini ...
- No.- rispose la figlia staccandosi improvvisamente da lui, quindi dopo essersi alzata, mentre si riavviava verso la porta, aggiunse - Quanto avete fatto per me è stato anche troppo ...
- Dove vivi?
- Mi farai seguire?
- No.- rispose avvicinandolesi - Se ti lascio andare è perché ti amo come nel primo momento che ti ho vista dopo la tua nascita ed anche perché non voglio che Andreina ... è così che si chiama la bambina?
- Si. - rispose Silvana lasciandosi sfuggire un sorriso.
- ...non voglio che essa stia senza la sua mamma.
- Ti piace farmi soffrire ...
- Perché?
- Ad ogni secondo che passa trovo sempre più difficile andarmene.- rispose sorridendogli tristemente, quindi mentre gli occhi le si riempivano nuovamente di lacrime, aggiunse - Sentirò la tua mancanza ... ed anche quella della mamma.
- Prima di uscire mi fai una promessa?
- Quale?
- Sai dove trovarmi.- disse stringendole la mano - Lascia stare quello che stai facendo e fammi sapere cosa ti serve sia per te che per la piccina. Non ti farò mancare nulla ...
- Sei un padre meraviglioso.- rispose Silvana sfiorandogli la guancia con un bacio, quindi staccandosi da lui, aggiunse - Purtroppo non ti merito ...
- Pensa alla bambina. Anche lei diventerà grande ed avrà sempre più bisogno del tuo amore e di un'esistenza normale con qualcuno che le sia da esempio. - Lo so ... ci penserò.- disse aprendo la porta.
- E se dovesse commettere uno sbaglio come il tuo pensi che continueresti a
volerle bene?
La domanda parve metterla, per un momento, a disagio e, dopo aver tergiversato ancora un attimo sulla porta, uscì lasciandosi sfuggire un sorriso nel quale lui recepì tutto quanto lei avrebbe voluto dirgli ma che, in quel momento, non sarebbe stata in grado di esteriorargli a voce. Silvana, aveva fatto solo pochi passi con Bagnoli, che Arnoldi aveva incaricato di accompagnarla all'uscita, quando si fermò.
- Torna a casa papà. - disse dopo essergli tornata vicina - Oggi è Natale e ... a proposito; scusami, ma me ne stavo andando senza farti gli auguri. - Grazie.- rispose sorridendole nel modo più dolce che il dolore che provava in se gli permetteva, quindi prendendola per un braccio, insistette
- Pensa a quello che ti ho detto e magari più tardi, se hai voglia di parlare un po' con me, chiamami. E' tanto tempo che non lo facciamo ... Per circa un'ora mi troverai ancora in ufficio. - e trattenendo con difficoltà l'emozione che gli aveva già fatti diventare lucidi gli occhi, aggiunse - Se dovessi andare a casa immediatamente tua madre scoprirebbe subito che ho qualcosa non va. E' un'inquisitrice nata ...
- Capisco.- rispose riavviandosi dietro a Bagnoli - Allora forse ti
telefono ...
- Mi faresti felice.- rispose mentre la figlia, giunta alla fine del corridoio, dopo avergli sorriso nuovamente, girava l'angolo scomparendo dalla sua vista.
Trattenendo a stento l'emozione, tornò in ufficio e, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, andò a sedersi sulla sedia sulla quale fino a pochi minuti prima, vi era rimasta seduta Silvana.
Si chiese quanto corretto fosse stato il suo comportamento. Ma che altro avrebbe potuto fare? Effettivamente, in un primo momento, gli era venuta la tentazione di obbligare la figlia a seguirlo a casa e forse, conoscendone il carattere, ci sarebbe anche riuscito ... ma c'era la bambina.
A certe storie era oramai avvezzo. In questura, in tutti quegli anni ne aveva viste di cotte e di crude. Le vicende delle ragazze madri erano all'ordine del giorno ed anche le conseguenze, in molti casi, parevano ricalcare quanto successo a Silvana. Mai però sarebbe arrivato a pensare che questo avrebbe potuto accadere anche a sua figlia; quella figlia che per tanti anni aveva cercato di plasmare nel meglio dei modi mettendola al corrente di tutti i pericoli che la vita le riservava ma nei quali, nonostante quei consigli, era ugualmente andata a caderci. Per più di un'ora, durante la quale rimase a rivangare, come in un veloce backup, le fasi salienti della sua vita vissuta con la figlia. Aspettò, al contempo, quella telefonata che, però, non si decideva ad arrivare.
Bussarono alla porta.
Invitò il nuovo arrivato ad entrare senza però staccare gli occhi dal il telefono.
- Dov'è Silvana? - chiese Cenci entrando.
- Se n'è andata.- rispose Arnoldi mentre la tristezza, tenuta fino ad allora in disparte per lasciare posto ad una possibile gioia, si impadroniva di lui cancellandogli dal cuore ogni residua speranza.
- Ma come ...
- Se mi fosse arrivata a casa avrei potuto impedirle di andarsene chiudendo la porta a chiave, ma qui in questura, se uno ha le mani pulite può uscire quando vuole.
- Non intendevo questo. Solo pensavo che magari lei ...
- E che avrei potuto fare? - chiese osservandolo rassegnato - Nulla ... non posso far nulla. Era lei che doveva decidere, e come vedi, ha fatto la
propria scelta ...
- Capisco.- rispose imbarazzato - Allora, se non c'è altro ...
- Chi è di servizio oggi? - chiese alzandosi più faticosamente del solito. Percepiva in se un'insolita stanchezza. Forse era ora che la smettesse con quel lavoro che, ad ogni giorno che passava, pareva consumargli sempre di più la voglia di continuare a credere in qualcosa di giusto.
- Romei e Bortolazzi.- rispose Cenci porgendogli cappotto e cappello - Se
li cerca, però, penso che le sarà difficile rintracciarli. Probabilmente sono a casa con il Natel accanto al panettone.
- Fanno bene.- rispose indossando il pesante cappotto - Le cose belle della vita, fin che si può, è meglio godersele. Arriva sempre il momento che esse se ne vanno lasciandoci solo con dell'amaro nel cuore.
Uscirono assieme percorrendo lentamente i lunghi corridoi semideserti. Quando giunsero all'aperto vennero investiti da folate di nebbia umida e densa.
- Allora, se vuoi, sei invitato a cena ...- disse a Cenci avviandosi con
lentezza esasperante verso l'auto che l'aspettava - Però, mi raccomando,
con mia moglie non una parola, altrimenti...
- Papà ...
La voce, scandita come un sussurro, lo colse impreparato. Gli ci volle qualche secondo prima di poter distinguere i contorni della persona avvolta dalla penombra, vicina al portone d'ingresso. Una persona, della quale gli riusciva di distinguere perfettamente solamente gli occhi lucidi sui quali l'opaca luce dei lampioni vi si specchiava tenuemente.
- Silvana ...- mormorò muovendosi incredulo verso di lei.
Quando le fu a pochi passi si accorse anche della bambina, avvolta in una grossa coperta di lana, che essa teneva in braccio.
- Allora ... sei ... insomma vuoi ...- balbetto emozionato incapace di spiegarsi.
Lei assentì con capo mentre il suo viso, che ora, senza il trucco aveva ripreso quella fisionomia che lui ben conosceva, veniva solcato da lacrime che, scorrendole sul viso, si lasciavano dietro scie di riflessi argentati.
- Questo è tutto quello che ho preso con me.- disse indicandogli un grosso borsone che aveva accanto - Sono solo alcune cose di Andreina, e qualche mio vestito. Il resto non ho voluto prenderlo. Non voglio che la mamma
sappia ...
- Non preoccuparti.- l'interruppe mentre percepiva il cuore esplodergli di felicità - Tua madre non saprà nulla.- quindi dopo aver osservato nuovamente la bambina, disse - E' molto bella. Ha i tuoi occhi ...
- Grazie.- rispose la figlia con un impacciato sorriso.
- Quanto tempo ha? - chiese scostando ulteriormente la coperta di lana dal
viso della piccina.
- Compie cinque mesi oggi ...
- Allora oggi è un giorno particolare.
- Lo era già papà.- rispose lei con un dolce sorriso - Oggi è Natale.
- Senza di te sarebbe stato un giorno come gli altri.- rispose stringendola a se con affetto.
Mentre si apprestava a raccogliere il borsone, venne prontamente anticipato
da Cenci.
- Lasci stare commissario.- s'intromise quest'ultimo prendendoglielo dalle mani e porgendolo a Bagnoli - Non vorrà rifarsi un altro mese di malattia ...
- Sei ammalato? - chiese la figlia osservandolo preoccupata.
- Ammalato? No tesoro. Sto benissimo ... mai stato meglio.- rispose con
uno sguardo carico d'affetto, quindi con una strizzatina d'occhio all'indirizzo di Cenci, aggiunse - Nonostante questo, penso che chiederò ugualmente una proroga alla convalescenza ...- quindi, tenendola stretta a se, salì con lei in auto.
- Riguardo la cena, sarà per un'altra volta.- gli sussurrò Cenci mentre lo salutava - Penso che, almeno per oggi, lei e sua moglie non abbiate voglia
di vedere estranei per casa ...
- Grazie.- rispose sedendo sul sedile posteriore accanto a Silvana che cercava inutilmente di calmare la bambina che aveva cominciato a vagire -
Lo sai? A volte mi fai dubitare della tua origine genovese purosangue.
- Lo sono.- rispose con un sorriso Cenci scostandosi dall'auto, quindi mentre questa si avviava lentamente, aggiunse - Se ne accorgerà appena reclamerò la cena che mi ha promesso.
- Ha fame.- disse Silvana, appena si furono immessi nel traffico, accarezzando la bambina che continuava a piangere - E' l'ora della sua poppata ...
Chiesto a Bagnoli il telefonino, Arnoldi, dopo aver tipato il numero di casa, attese che Marta rispondesse. A quest'ultima ci voleva sempre un po' di tempo a farlo; pareva quasi che trovasse gusto a sentire il povero apparecchio squillare come un bimbo affamato.
- Muoviti Marta.- borbottò sottovoce. Quando finalmente intese la voce,
anticipando ogni sua domanda, disse - Sto venendo a casa. Tra dieci minuti
sono lì.
- Sant'Iddio ! - l'interruppe Marta concitatamente - Ma cosa t'è saltato in mente? Lo sai che ...- la donna s'interruppe da sola, quindi, con voce stranamente pacata, chiese - Ma chi è che sta piangendo vicino a te?
- E' il nostro regalo di Natale.- rispose sempre più emozionato, stringendo a se Silvana mentre gli occhi gli si illuminavano di felicità - Il più bello che potessimo ricevere ...
- Vi aspetto in strada.- rispose Marta, prima di riappendere, con la voce falsata dall'emozione.
- Attacchi la sirena Bagnoli ! - ordinò Arnoldi ritornandogli il telefonino e, dopo aver accarezzato con dolcezza il viso paffuto di Andreina, aggiunse
- Mia nipote ha una fame feroce ...
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