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UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino


CAPITOLO DODICESIMO

VI
 

Olson era stanco, esausto. Il cinese gli aveva indicato il mezzo, la teoria, il fine ma ancora non era neppure vicino alla mano di colui che tirava le fila di quei burattini. L’unica speranza era Kate: sentiva che quella donna era la chiave di tutto. Lo aveva cercato con insistenza e quindi doveva essere per forza qualcosa di importante.
Si stava accendendo l’ennesima sigaretta quando vide entrare dalla porta principale Jack e Frank che accompagnavano Kate. Sembravano avere molta fretta. Andò loro incontro e invitò la donna a seguirlo nel suo ufficio. Si sedettero una di fronte all’altro e si guardarono alcuni istanti senza parlare. Poi Olson ruppe gli indugi: era impaziente.
"Allora, che succede?"
"Tenente, forse non ha molta importanza, ma nella galleria di Van der Haalt ho visto un quadro che sono sicura esser stato dipinto da Henry Kenz. Il quadro si intitola "Un uomo nel buio".. e..."
"Coraggio, vada avanti: la ascolto!"
"E non riesco più a trovare Steve. Dopo che ci ha accompagnati alla galleria è sparito. E c’è di più. Sono parecchi giorni che è strano, assente, aggressivo. Il suo sguardo mi ricorda molto quello di Kenz...Cioè, voglio dire, sento che gli sta succedendo qualcosa. Io credo che..."
Si fermò qualche istante: forse aveva esagerato. Olson non le avrebbe senz’altro creduto. Era comunque contenta di aver detto quasi tutto. L’unica cosa che non gli avrebbe mai detto era che sentiva in Steve una presenza malefica. E quel segno sul braccio... Olson la tolse dall’imbarazzo:
"Dunque, andiamo con ordine. Il fatto del quadro...Non vuol dire necessariamente che il suo capo conoscesse personalmente Henry Kenz. Potrebbe averlo acquistato da chissà chi... e per quanto riguarda invece il fatto delle parole scritte da lei dopo il riconoscimento e che corrispondono al titolo del quadro...beh quello è effettivamente strano"
Kate, nonostante la sua obiezione, sentiva che stava condividendo i suoi dubbi e interrogativi. Sperava forse che lei riuscisse a distruggere quella sua ipotesi? Lei ci provò:
"Può darsi, ma si sembra strano. Vede, è parecchio tempo che lavoro per lui e prima di ogni acquisto ha sempre voluto il mio parere. Ora, io quel quadro non l’aveva mai visto prima di stasera e mai ne avevo sentito parlare. Altro particolare: non era firmato dall’autore. E ora mi chiedo: l’autografo è stato eliminato per evitare che si potesse trovare qualche collegamento tra lui e Kenz?"
Olson. non disse nulla: c’era una logica nelle sue deduzioni. Per un attimo provò a darle ragione: Van der Haalt conosceva Henry Kenz. E allora? Era forse lui il burattinaio? perchè allora sarebbe stato così stupido da lasciare una traccia? No, era assurdo. E quelle parole scritte prima di vedere il quadro? Quello proprio non riusciva a capirlo. Olson cambiò argomento:
"Mi dica piuttosto, in che senso Steve è...strano, assente?"
"È una sensazione. Da qualche giorno sento che ...non è più lui. È ...diverso, come se gli fosse successo qualcosa di tremendo..."
L’agente McPerson si fece notare al di là del vetro e indicò ad Olson la cornetta che teneva nella mano sinistra. Un attimo dopo il suo telefono squillò:
"Parla Olson. Spero che sia importante perchè sono molto..."
Dall’altra parte del filo qualcuno lo interruppe e gli disse qualcosa che non ammetteva repliche. Olson ascoltò per quasi un minuto e senza fiatare riattaccò il ricevitore.
Kate lo osservò con aria interrogativa. Ebbe un terribile presentimento. Era successo qualcosa a Steve.
"Kate..."
Il tenente stava ancora tenendo la mano appoggiata sulla cornetta.
"Kate...hanno trovato Steve. È...morto!"
La donna non mosse neppure un muscolo per più di un minuto. Poi, con una calma incredibile, chiese:
"Dove lo hanno trovato?"
Olson evitò di risponderle. Non poteva certo riferirle quello che aveva appena appreso dal detective Wilson, accorso sul luogo dell’omicidio. Sinceramente non sapeva più cosa dirle o cosa chiederle. Riflettè per alcuni secondi: l’ultimo luogo dove Kate lo aveva visto era stata proprio la galleria. Coincidenze? La sua mente stava costruendo un’ipotesi un po' strampalata ma verosimile. Kate, dopo un silenzio, sfogò finalmente la sua frustrazione e il suo dolore con un pianto liberatore.
Olson provò una profonda tristezza nel vedere la disperazione di quella giovane donna. Si sforzò, comunque, di non farsi troppo coinvolgere emotivamente e riprese il suo ragionamento: poteva essere lui il suo uomo? Certo, qualche particolare coincideva, ma non riusciva ancora ad associare quella figura conosciuta con la setta satanica.
Kate smise di piangere. Olson abbandonò le sue riflessioni e si dedicò a lei:
"Kate, ora vada a casa. La farò accompagnare da due agenti che resteranno con lei tutta la notte. Domani ne riparliamo, O.k.?"
Non si aspettava una risposta, ma la ragazza annuì e si alzò. Olson prese il telefono e diede disposizioni perchè preparassero due auto: una per la ragazza e una per lui. Aveva intenzione di far visita a quello strano personaggio: avrebbero parlato di quel quadro. Era sicuro che non sarebbe servito a niente, ma valeva la pena tentare, così, tanto per vedere cosa gli avrebbe raccontato, anzi, come glielo avrebbe raccontato!
 

VII
 

Guardava fuori dal finestrino dell’auto la gente che camminava frettolosa sul marciapiede, le auto in coda, le vetrine sfolgoranti.
Sentiva che era vicino a risolvere quello che sperava essere l’ultimo caso della sua carriera. Ormai ne era convinto, avrebbe lasciato Polizia, sangue, pazzoidi, schedari, verbali, distintivo e pistola. La sua intenzione era di poter dedicare più tempo a se stesso e a Miriam. Se lo era meritato, povera donna, dopo la pazienza che aveva dimostrato con lui in tutti quegli anni. Tutto sommato non gli sarebbe pesato fare il poliziotto in pensione: orto, partita a poker con i vicini il giovedì...Perchè no? In fin dei conti la vita prima o poi doveva finire, e perchè finirla in servizio? Era sempre quello che aveva creduto, ma questo massacro lo aveva sfibrato e svuotato dell’entusiasmo che aveva sempre avuto nello svolgere il suo lavoro. Anche se ormai il caso era vicino alla soluzione undici persone erano morte e lui non aveva potuto farci proprio niente, né con la sua esperienza, né con la sua personalità...Era stato tutto inutile. Si stava rendendo conto che, veramente, nessuno è indispensabile ed era, anzi, quasi rassegnato a diventare inutile, superato. C’era qualcosa che poteva fare e che avrebbe potuto accompagnarlo serenamente alla tomba: cercare un po' d calore umano, vero e appagante.
Una frenata brusca lo distolse dai suoi pensieri:
"Scusi tenente, ma quel deficiente ha inchiodato!"
"Non fa niente. Adesso, al prossimo semaforo, svolta a destra. Siamo quasi arrivati."
Si fermarono sulla piazza antistante la galleria. Olson scese dall’auto sistemandosi il cappotto per ripararsi dall’aria gelida che correva libera su quell’immenso spiazzo. La Galleria di Van der Haalt era aperta. C’era un certo movimento: ogni sua esposizione era sempre un appuntamento mondano molto importante. Ne parlavano i settimanali scandalistici e culturali. Con uno di questi, che ritraeva il collezionista olandese in copertina, entrò deciso nella grande sala cercando con lo sguardo l’uomo riprodotto in fotografia. Non lo vide. Si diresse allora verso una specie di ufficio informazioni e chiese di lui:
"Non c’è. È uscito da un po'."
La ragazza, preposta ad accogliere i visitatori, fu laconica e non seppe dire dove fosse andato. Olson si spostò dal bancone per lasciare il posto ad un uomo sulla sessantina.
Passeggiò qualche minuto in mezzo alla gente accalcata intorno ai quadri cercando di ordinare le idee. Dove poteva essere?
Capitò per caso di fronte ad un quadro che lo incuriosì. Dopo averlo osservato meglio ne convenne che doveva essere la tela che Kate aveva riconosciuto come opera di Kenz. Era quello l’unico legame tra l’olandese e il massacro? Non era molto. C’era ancora un particolare: Van der Haalt era della parrocchia di Padre Edward. Sorrise amaramente. Eppure...quella ragazza, Kate, gli aveva messo un tarlo nel cervello e quel tarlo stava rosicchiando. Le prove erano un’altra cosa e lui sperava gliele fornisse proprio l’olandese con il colloquio che stava per fare. Era quasi deciso a far valere la sua autorità per avere informazioni più precise, quando l’agente che lo aveva accompagnato attirò la sua attenzione:
"C’è Wuang Li che la cerca..."
 

VIII
 

Kate entrò in casa, accompagnata da un agente. L’altro era in auto, proprio davanti all’ingresso dello stabile, pronto ad intervenire. Lo fece accomodare in soggiorno e gli offrì una birra. Non dovette insistere molto per fargliela accettare, anche se in servizio non avrebbe dovuto bere: "Va beh, per una birra!" aveva detto sorridendo.
Finalmente si chiuse nella sua camera. Chiuse gli occhi e cercò di pensare a Steve. I suoi pensieri, però, erano confusi. Si spaventò, quando per qualche istante, non ricordò più il suo volto. Come era possibile essere così insensibile?. Aveva pianto alla Centrale, ma erano state lacrime provocate più dallo stress continuo che da genuino dolore. E allora, il suo amore per Steve dov’era finito? C’era mai stato? Dov’erano finiti i ricordi dei giorni e delle notti passate insieme? Sembrava che la sua mente avesse rimosso quasi ogni traccia di quella relazione, come se temesse che quei ricordi potessero danneggiarla. Steve era morto. Questo era un fatto. Ma lei sentiva che era già morto qualche giorno prima, quando a casa sua ci fu quell’incontro così strano e funestato da tetre visioni. Ormai sapeva, in cuor suo, che cosa gli era successo. Anche lui, come Henry, aveva incontrato "loro". Ne era sicura. Le era sconosciuto il perchè, il come, il dove, ma sentiva che era così. Ripensò al quadro nella galleria. Le venne un tremendo sospetto. Ma non c’era logica in quelle deduzioni. Era tutto così assurdo, così irreale. Eppure...sentiva che Van der Haalt sapeva qualcosa di Henry Kenz e se così era, allora tutto era possibile. Tutti, alla galleria, avevano commentato la notizia della sua morte nella cella della Centrale di Polizia, tutti tranne lui. Anzi ora ricordava che aveva deliberatamente cambiato argomento, quando lei aveva detto qualcosa su quella uccisione. Steve conosceva l’olandese. Ma...che cosa c’entrava questo? C’era un nesso. Steve aveva iniziato a cambiare proprio dopo che lo aveva presentato al padrone della galleria... Comunque non era riuscita a spiegarsi il suo cambiamento. Aveva solo sentito qualcosa di malvagio in lui, aveva sospettato che gli fosse successo qualcosa di terribile, ma aveva abbandonato l’idea, costringendosi a credere che era stato solo frutto dei suoi nervi a pezzi e della sua autosuggestione.
La sua morte aveva invece dimostrato che tutte le sue sensazioni si erano rivelate esatte.
Si alzò dal letto e iniziò a spogliarsi: forse una doccia l’avrebbe aiutata a rilassarsi. Era molto, molto stanca.
Suonarono alla porta.
Il rumore sgarbato del video citofono la fece trasalire. Si accorse di essere completamente nuda e si sentì improvvisamente vulnerabile. Aprì la porta del bagno, si coprì con l’accappatoio e si affacciò nel soggiorno. L’agente si alzò e le disse:
"Stia tranquilla, vado io!"
Lo osservò prendere l’apparecchio del videocitofono e lo sentì parlare a bassa voce. Dopo qualche istante si voltò e le disse:
"È Cradford, il mio collega. Ha detto che sale un attimo. Può fare una telefonata a casa?"
"Certo, ci mancherebbe. Io vado a farmi una doccia. La cucina e là. Se vuole offrirgli una birra, faccia pure!"
Il cuore riprese il suo ritmo normale. Rientrò nella sua camera, chiuse la porta e si infilò sotto la doccia. Fece scorrere l’acqua sul suo corpo: scivolava delicatamente portando via, insieme alla schiuma, anche un po' della sua tensione e delle sue emozioni esasperate. Chiuse gli occhi per sfruttare al massimo quella sensazione di rilassamento.
Non sentì né vide la porta del bagno aprirsi lentamente. Né sentì né vide lo scorrevole della doccia spostarsi. L’unica cosa che sentì furono due mani che la afferrarono per le spalle e una mano che le impedì di urlare la sua sorpresa e, un istante dopo il suo terrore. Si sentì spinta a terra e batté violentemente il capo contro la ceramica del water. L’ultima cosa che avvertì fu la sensazione di sentirsi coperta. Poi il buio confuse ogni suo pensiero.

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