IV
Disordine.
Da tempo continuavo a dire che nella vita, alle volte, un minimo dordine serve. Necessita più che altro.
Continuavo a sbattermi da un luogo allaltro, senza tregua alcuna, senza tempo per curare la barba incolta del mio viso, capelli non lunghi, ma selvaggi al vento. La filosofia stradale del giorno dopo giorno continuava a portarmi nel nomadismo cerebrale. Pensiero fuggente di libertà.
Con lo stesso pensiero mi accingevo nelle banalità lavorative di tutte i giorni, sfuggendo con la mente a ordini precisi, concentrazione, proficuità. Il viaggio era qualcosa che non si poteva razionalizzare, tenera a bada, imbrigliato come un purosangue; doveva correre, libero, verso la conoscenza, comunicazione rapida formale, approfondita, nuda e cruda, vera. Non potevo sottrarmi al gioco telematico, lavoro sistematico, quotidiano; perlomeno viaggiavo, su lunghi percorsi tracciati da frasi scritte, urlate da vecchi esseri nomadi, drogati liberi, pseudo filosofi del viaggio, del confronto, anche semplice, non specifico, ma profondo.
Viaggiavo con le cellule del sangue che percuotevano pelli conciate, ritmo veloce.
Perché fermarsi.
La fermata arrivava, la stanchezza fisica del mio corpo, non mentale, e riflessione. Ragione di vita nel cercare lordine esatto, o quasi, degli atomi che girano intorno. Capire lorbita, saperla interpretare, fermarla, plasmarla a piacimento. Riflessione calma, serena ma vogliosa di comprensione rapida, proseguire nellapprendimento teorico, riportabile in azioni. Risoluzione.
Viaggiavo ogni qualvolta aprivo spazi cartacei di tempo immortale, fotografie di luoghi lontani dal corpo, immateriali agli occhi, vicini nel sentimento.
Lo sguardo sulle lande perdute di un deserto, riflesso di luce al chiaro di luna, oceano giallo ocra e scarpe pesanti. Vestiti bagnati e sapore salmastro, vuoti daria e luci sopra la metropoli. Fotografie e testi, stralci di vita, sogni, illusioni e magia, lo spazio infinito. Articoli e pagine di vita, drammaticità e violenza di fianco alla vita.
E urla di gioia, pianto e terrore, il futuro spaventa chi dorme.
Risveglio.
Circondato, martellamento ossessivo, colpisce i miei sensi. Trafiggo il corpo con scorie metalliche e bimbe anoressiche, stupri e carne. Risate, risate abbondanti, false e impregnate di marketing, di studi e sondaggi, violenza visiva, orale, passiva.
Ho un prolungamento nella mano che mi permette di osservare più canali alla volta, installazione elettronica, pulsanti digitali.
Installazioni cerebrali maniacali, troppo rapido per rispondere allordine, ragione, riflessività.
Sono uninstallazione parlante, umana solo perché ho ancora sangue nelle vene, mangio cibi commestibili, urino e amo altre persone. Installazioni hardware sul mio corpo, la violenza passiva, un arto metallico che aiuta la corsa. Palpebre LCD, piedi anfibi antincendio, amianto, steroidi, muscolatura possente.
Sono uninstallazione, posso appendermi a qualsiasi lembo reggendomi tramite ganci da frizione piantati nei gomiti; nessuna sofferenza corporale.
Pazzia.
Vivo nella pazzia altrui, folle pensiero che altri non riescono a vedere, conoscere, comprendere ma che hanno ben presente, inconsciamente, presente.
Vivo attorniato da media. Sono lultimo multimedia contemporaneo, materiale, nonostante attrezzature ed elettrodi diano spazio alla mia percezione.
Vivo la vita reale, non virtuale, interazione globale e totale con qualsiasi mezzo attivo, nella passività intrinseca dello stesso.
Vivo attorniato da macchine, media che sparano senza pietà contro la mia mente milioni di informazioni inutili, fandonie e banalità.
Divido la carne, applico materia, saldando a caldo senza violenza, ripugnante. Mostro limmagine che fa parte del mondo intero, della vita che gira, residui inorganici senza respiro, colori, suoni, laser.
Accumulo e scarico, per chi non riesce a vedere, conoscere, comprendere.
Lessere multimediale.
© Paolo Carta - © 1998 ARPANet. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
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