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UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino


CAPITOLO SESTO

II
 

Non nevicava più, anzi si intravedeva una pallida luna, ancora velata da nuvole che sembrava se ne stessero andando definitivamente. La temperatura era improvvisamente scesa tanto da creare una patina di neve gelata sulla strada. Bob calpestava distrattamente l’asfalto luccicante. Gli parve di camminare su dei croccanti, patatine o snacks, qualcosa del genere: d’altra parte la sua fantasia non poteva spingerlo oltre. Si era tirato su il colletto del giaccone per evitare che l’aria gelida gli corresse giù per la schiena. La sbornia, suo malgrado, stava passando, lentamente...Infatti la parte più umana di lui stava combattendo e vincendo, anche se a fatica, con l’altro suo io che aveva appena finito di pestare a sangue la moglie e il figlio. Non si poteva parlare ancora di pentimento vero e proprio: semplicemente le sue ragioni non erano più così nitide. Si rendeva conto che forse non aveva proprio agito correttamente. Gli tornò in mente il volto terrorizzato di suo figlio. Rivide la scena della camera da letto e non poté far altro che provare un certo disgusto ricordando il modo violento che aveva per far valere le sue...ragioni. Ma era ben lontano dal tornare indietro e accertarsi, per lo meno, se sua moglie avesse bisogno di essere visitata da un medico. Gli tornò in mente quella volta che aveva colto Betty in flagrante adulterio con un suo collega. Era entrato in casa e li aveva trovati come mamma li aveva fatti, nel letto, anzi nel SUO letto, proprio sul più bello. Gli venne un sorriso di soddisfazione nel ricordare la sua reazione: lo stronzo era finito in ospedale con un braccio rotto e la mandibola fratturata in due punti; sua moglie se l’era cavata con qualche livido. Erano passati cinque anni, ma ogni volta che era ubriaco (la cosa capitava molto spesso) si sentiva autorizzato a pestare Betty. O, per meglio dire, il fattaccio gli tornava sempre in mente dopo aver picchiato sua moglie, così...tanto per farsene una ragione, per trovare una giustificazione alla sua brutalità. Non era ancora riuscito a trovare un motivo valido che spiegasse in modo così esauriente il fatto che picchiava senza pietà anche suo figlio: non c’era problema, la colpa era solo di Betty che lo faceva incazzare. D’altra parte, per la sua coscienza queste giustificazioni erano più che sufficienti, essendo essa solo allo stato embrionale.
Se solo avesse pensato alla pazienza e alla sopportazione di cui Betty era stata capace in tutti quegli anni sarebbe corso al fiume e vi si sarebbe gettato con un macigno al collo. Se solo avesse pensato...se solo lo avesse fatto un po' più spesso e con più sensibilità...Se avesse fatto tutto questo non sarebbe stato Bob.
Menò un violento calcio ad una lattina di Pepsi che andò a sbattere contro la saracinesca abbassata di un negozio.
Chissà poi perché si era sposato. Era così felice di andare in giro col furgone della ditta a consegnare pacchi ad aziende di mezza città...
Poi aveva conosciuto lei. Era molto bella, ben fatta, provocante. Gli piacque, oltre al corpo, anche il sorriso, il modo di parlare...Si erano sposati. Poi col passare del tempo si accorse che aveva anche un cervello che pensava, e non solo, aveva pure idee tutte sue che difendeva con entusiasmo. Quelle sue qualità non gli piacquero più tanto, anzi fu negativamente sorpreso dalla sua determinazione. Più di una volta, anche in presenza di altre persone, lo aveva messo sotto con la sua intelligenza e abilità nell’esporre le proprie idee. Dopo un periodo di smarrimento, in cui passava intere serate con gli amici senza aprire bocca per timore di essere ridicolizzato da lei, aveva trovato il modo di controbattere efficacemente le sue argomentazioni: quando non si trovava d’accordo con lei, o lei voleva avere ragioni a tutti i costi, cercava un pretesto (in questo era veramente abile), la discussione degenerava in lite e lui la pestava selvaggiamente. Risolto il problema.
Continuava a camminare senza una meta precisa, rapito da questi pensieri che, a dire il vero, erano una novità per lui.
Perché poi aveva fatto un figlio?
era lei che lo aveva voluto, sperando di renderlo più responsabile. "Bella cazzata!" disse a voce alta, alzando lo sguardo per cercare l’insegna ancora accesa di un bar.
Lui, a dire il vero, non si era mai opposto né aveva mai appoggiato l’idea: l’aveva semplicemente subita con superficialità. E così adesso si trovava tra i piedi un bambino che si intrometteva spesso e volentieri nelle liti tra lui e Betty, e la cosa lo faceva imbestialire...
Bob comunque non era così stupido da non rendersi conto che con Manuel non poteva sfogarsi più di tanto, in quanto era già stato diffidato dal giudice per maltrattamenti. La seconda sarebbe stata fatale e sarebbe scattata automaticamente la denuncia.
Finalmente trovò il bar. Erano già passate le tre ma c’era ancora qualcuno in quella topaia. Entrò a testa bassa. Si avvicinò al bancone e si lasciò letteralmente cadere su una poltrona unta e strappata.
"Portami un whisky doppio!"
L’uomo dietro al bancone, assonnato e annoiato, parve non sentirlo. Bob ripeté l’ordinazione a voce alta, quasi gridando. Fece scorrere lo sguardo per vedere se c’era qualcuno di sua conoscenza. Ma, oltre ad un vecchio alcolizzato che aveva già visto in giro, non vide altri che un uomo di schiena con la testa china sul bicchiere. Lo colpì il colore del suo impermeabile, e l’unica cosa che la sua mente riuscì a costruire fu un pensiero del tipo "Che colore di merda!".
Il barman lo distolse dalle sue osservazioni posandogli il bicchiere sul tavolino, lasciandolo quasi cadere. Bob guardò il liquido giallo paglierino e si convinse che sarebbe tornato a casa dopo averlo scolato. Sì, avrebbe proprio fatto così. La serata poteva considerarsi finita. Poteva anche tornare da Betty adesso, e magari con qualche balla del tipo "Scusami, ho esagerato" sarebbe riuscito a ricucire qualcosa, come d’altra parte aveva già fatto un mucchio di volte: in fin dei conti Betty gli serviva. Gli teneva in ordine la casa, gli lavava la roba, gli faceva da mangiare, gli toglieva dai piedi il bambino...Sì, in fin dei conti era diventata una brava donna di casa. Se lei se ne fosse mai andata, lui si sarebbe sentito perduto.
L’uomo appoggiato al bancone di fianco a lui cercò qualcosa nella tasca del suo impermeabile. Tirò fuori qualche spicciolo e li gettò sul legno, vicino al bicchiere. Si voltò, fece per uscire, ma indugiò un attimo a fissare Bob. Lui lo notò ma non sostenne il suo sguardo e continuò a bere il suo whisky.
 

III
 

Bob imboccò il vicolo che lo avrebbe portato nella 57° Strada. Forse un po' di freddo gli avrebbe fatto di nuovo bene, lo avrebbe aiutato perlomeno a far passare la tremenda sbronza. Aveva un gusto pesante e dolciastro, la gola gli bruciava e la lingua gli sembrava gonfia. Prese un po' di neve e se la cacciò in bocca. Camminava a testa bassa, guardandosi i piedi affondare nel manto biancastro.
Tutto era silenzio. I pochi rumori lontano giungevano ovattati. Il cielo era chiaro, quel chiarore tipico delle notti di neve abbondante. Infatti la luna era di nuovo scomparsa.
Un brivido gli percorse la schiena. Ma non era per il freddo: era un qualcosa che sentiva dentro, una sorta di sesto senso che gli aveva salvato la vita un paio di volte in Corea. Lo stesso sesto senso gli stava comunicando che molto probabilmente in quel vicolo non era solo. Non era una cosa sconvolgente, certo, ma il suo problema era che non riusciva a toglierselo, quel maledetto brivido.
Si voltò di scatto e guardò dietro di lui. Se ci fosse stato qualcun altro lo avrebbe visto senz’altro: il vicolo era buio ma in fondo c’erano i lampioni della 43° Strada. Scorse la figura di un gatto (o era un cane?) che saltava giù da uno dei bidoni. Non vide altro.
Si convinse che per una volta il suo sesto senso aveva sbagliato: ne fu immensamente felice.
Comunque, involontariamente, aumentò l’andatura. Non mancava poi molto, forse ad occhio e croce un duecento metri, e poi sarebbe finito nella 57° Strada, illuminata, frequentata (forse...).
Udì un fruscio proprio davanti a lui, un rumore quasi impercettibile. Di nuovo tornò il brivido, più intenso, più prolungato. Iniziò ad avere paura, inspiegabilmente.
Si guardò di nuovo intorno: dietro di lui niente e nessuno, davanti a lui lo stesso...o quasi: la linea nera del muro era interrotta a pochi metri da lui, come se fosse appoggiato qualcosa o peggio qualcuno. Ebbe la tentazione di tornare sui suoi passi. Ma poi il suo orgoglio di maschio gli ricordò che era un uomo di centodieci chili, che aveva fatto la guerra in Corea, che aveva spaccato ossa a mezzo quartiere e che...
Di nuovo quel brivido, a ricordargli che la paura stava prendendo il sopravvento. Raccolse comunque tutto il coraggio che riuscì a rimediare e proseguì, convinto finalmente che sarebbe riuscito a difendersi se qualche teppistello avesse pensato di aggredirlo.
Fece un paio di passi poi gli si rizzarono i capelli: l’ombra davanti a lui si era mossa. Si fermò di nuovo per valutare la situazione e soprattutto per permettere al sangue di riprendere a circolare regolarmente.
Gli si parò davanti una figura nera come la notte. Ne percepiva solo i contorni: si stagliava contro la luce in fondo al vicolo. Bob lo guardava immobile e nell’irrazionalità del momento si ritrovò ad inveire contro il Sindaco che non provvedeva ad illuminare quei vicoli schifosi.
"Problemi?"
Bob stava cercando di prendere in mano la situazione. Ma non ci fu risposta. La cosa lo infastidì non poco e gli diede un po' di coraggio per riprendere a camminare deciso nella sua direzione.
L’uomo si aprì il cappotto. Bob pensò ad una pistola, ad un duello, pensò che sembrava un film western, pensò a John Wayne, pensò...Era terrorizzato. Gli avrebbe dato tutto quello che aveva in tasca, senza fare casino. Era meglio così. Poi con il suo orgoglio l’avrebbe aggiustata più tardi, magari domani.
Ma il brivido che ormai andava e veniva, in perfetta sintonia con il battito accelerato del suo cuore, gli suggerì che non si trattava del solito teppista da quattro soldi o drogato in crisi di astinenza. C’era qualcosa di malvagio in quell’uomo. Buttò lo sguardo nella penombra per cercare qualcosa con cui difendersi, un bastone, una bottiglia...magari un bazooka! Non riuscì comunque a trovare niente.
L’uomo si mosse verso di lui.
"Che cazzo vuoi?"
gli gridò Bob ormai all’esasperazione. Non ci fu di nuovo risposta. Eppure l’uomo qualcosa stava sussurrando, come se stesse parlando da solo.
"Questo deve essere matto!" pensò tra sé, ma la cosa non lo rincuorò affatto. Erano ormai separati solo da pochi metri di asfalto innevato, una decina forse meno. A quel punto la paura si impossessò di lui, completamente, improvvisamente, come un’ondata di piena che spacca gli argini. Le sue barriere erano ormai crollate, inesorabilmente.
L’uomo tirò fuori qualcosa dal cappotto.
A prima vista gli parve un bastone. Bob si sentì leggermente più tranquillo, per il momento il panico era scongiurato: non sarebbe stata la prima volta che affrontava qualcuno con un bastone. Riprese a camminare deciso, ripensando a quella volta che...
L’uomo alzò il braccio e solo allora Bob capì:
"Oh Cristo, un’ascia!!"
Nonostante la sua stazza fu velocissimo a spostarsi indietro quando l’uomo cercò di colpirlo: la lama andò a sbattere contro un bidone, provocando un clangore assordante. L’aggressore ebbe un attimo di indecisione. Era la prima volta che sbagliava e stranamente se ne rese perfettamente conto. Bob colse l’occasione e lasciò partire un violento calcio che lo colpì allo stomaco. Sfruttò ancora il momento propizio e alzò con forza il ginocchio contro la testa china dell’uomo che fu sbalzato all’indietro. La sua mano comunque non mollò la presa. Bob era convinto che con un pugno avrebbe messo la parola fine su quello spiacevole incontro. Si caricò, ma il piede d’appoggio scivolò sulla neve gelata, e, sbilanciato com’era, cadde all’indietro.
Si sentì perduto: cercò di rialzarsi velocemente ma scivolò di nuovo.
L’uomo intanto si era ripreso. Alzò di nuovo l’ascia e questa volta non mancò il bersaglio.
Un urlo agghiacciante percorse tutto il vicolo, rimbalzando sulle pareti, sui bidoni...Il braccio sinistro di Bob era stato tranciato di netto. Non svenne. Anzi annaspò disperatamente nella neve e la mano destra si serrò su qualcosa di freddo e duro. Con la forza della disperazione la scagliò contro l’uomo: il vetro si frantumò sulla faccia.
Qualcosa nella mente intorpidita dell’uomo si aprì. Una porta si dischiuse, una luce filtrò dalla fessura. Ma fu solo un momento, poi qualcuno o qualcosa richiuse la porta e la luce sfumò. Vide davanti a sé il sacrificio per il sesto Comandamento e calò l’ascia con un colpo preciso che spaccò in due la testa di Bob. Si fermò a contemplare la sua opera con uno strano sorriso.
Come al solito aveva fatto tutto secondo il rito: la preghiera, l’invocazione a Satana e quindi il sacrificio. Ma mancava qualcosa...la sua mente era vuota...buio, buio e ancora buio. Avvertì un dolore sulla faccia, la testa gli doleva. La luce apparve di nuovo nella sua mente. Era stupenda, calda, appagante. Cercò di concentrarsi: non voleva più che la porta si richiudesse. Una fitta tremenda lo richiamò alla realtà: la faccia bruciava.
Udì voci lontane richiamarlo ad una dimensione sfuocata: doveva ancora fare qualcosa...doveva ultimare il rito. Ma...quale rito?
Gettò via l’ascia e si passò le mani sul viso insanguinato. Di nuovo la mente fu invasa da una luce molto intensa, accecante. La porta finalmente si spalancò. Fu in quel momento che guardò davanti a sé e vide ciò che restava di Bob Keaton. Finalmente capì che non era altro che un assassino. La disperazione lo assalì.
"Oh mio Dio, che cosa ho fatto!!"
Adesso era tutto chiaro, le sensazioni, quei mezzi ricordi, era tutto vero: lui aveva ucciso quell’uomo e chissà quante altre volte lo aveva fatto. Una cosa però non riuscì a capire: perché??
Si spostò di lato, si appoggiò al muro e vomitò dolorosamente. Sentì voci in lontananza, sentì una sirena.
Reagì d’istinto e scappò verso la 47° Strada.

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