UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino
III
Perlomeno adesso aveva qualcosa su cui lavorare.
Entrò in un bar e ordinò un caffè doppio. Trovò un posto tranquillo vicino ad una vetrata unta e appannata. Cercò nella tasca il taccuino e la penna. Iniziò a scrivere tutto quello che gli passava per la mente come per ordinare le poche idee che aveva. Sapeva già comunque, che non sarebbe servito a molto. ‘ Un uomo che va in giro a ordinare lasagne in un ristorante cinese e che disegna figure da psicopatico, un tipo che suda molto ma che non si toglie il cappotto, come se volesse nascondere qualcosa...’
Nessuno comunque avrebbe potuto affermare con sicurezza che l’assassino e quel tipo descritto da Wuang Li erano la stessa persona. Eppure nella situazione in cui si trovava doveva considerarsi fortunato ad aver raccolto la testimonianza del cinese. Ad una prima analisi quell’individuo poteva sembrare un po' eccentrico o semplicemente distratto, enigmatico, o preoccupato, cosa peraltro abbastanza comprensibile visto che aveva ormai quattro cadaveri sulla coscienza!. Ma Olson in tutta sincerità’ chiese a se stesso:
"Potrebbe essere lui?" Annuì in silenzio: il suo sesto senso gli diceva che probabilmente era lui, ma... perché uccideva? Era il solito pazzo o frustrato da una vita squallida, il solito maniaco omicida che ce l’aveva con il mondo intero o era lui il braccio della setta delle tre croci?
Improvvisamente fu assalito dallo sconforto: forse il suo sesto senso questa volta gli stava giocando un brutto scherzo, forse erano solo coincidenze e le osservazioni del cinese erano solo congetture o esagerazioni. Era comunque sicuro che il cinese sapesse più di quanto gli avesse rivelato ma se così era non gli era chiaro il motivo della sua reticenza. Forse aveva paura? E se sì...di cosa?
La penna si fermò e con essa i suoi ragionamenti.
Bevve un sorso di caffè’ e poi si decise a riassumere:
‘Un uomo con cappotto, mente probabilmente sconvolta, forse perverso, uccide quattro persone senza apparente motivo e senza nessuna logica. Li incontra per strada, dove capita, li ammazza a colpi di ascia, ricompone i cadaveri, accende quattro candele, incide nel petto tre croci, disegna un omino stilizzato con le braccia aperte e se ne va....’ Era arrivato al capolinea, non riusciva più a scrivere nulla.
Scacciando un impeto di rabbia, cercò di spostare l’attenzione sulle vittime per vedere se almeno loro, poveri infelici, potevano essergli d’aiuto. Riprese a scrivere:
‘Karol Sauron, studentessa, ventiquattro anni, negra, al terzo anno di filosofia, vita tranquilla, frequentava un ragazzo bianco da circa due anni. Ora del delitto: circa le 22, arma da taglio. Ferita mortale alla base del collo, obliqua, semi decapitazione, nessun segno di violenza carnale;
Samuel Tompson, cinquantasei anni , bianco, direttore della agenzia 23 della Security Bank, vita regolare, due figli, moglie deceduta per collasso quattro anni prima. Ora del delitto: circa le 17.30 Cross Road, arma da taglio. Ferita mortale: sfondamento della scatola cranica e amputazione del braccio destro, successivamente ricomposto accanto al moncherino, nessuna traccia di furto.
Mary Goldsmith, casalinga negra di quarantatrè anni, forse passato di prostituta, sposata e madre di un figlio. Ora del delitto: le 23, Church Road, arma da taglio. Ferita mortale: alla base del collo, decapitazione.
Jack Romero, trentanove anni, messicano. Precedenti penali per uso e spaccio di stupefacenti. Operaio presso la Società dei Telefoni, non sposato. Parenti conosciuti: nessuno, arma da taglio. Ferita mortale: nella schiena tra le scapole e sfondamento della scatola cranica, ora del delitto: 1 1,30, Wellington Park...’
Si fermò di nuovo...Gli sembravano nomi presi a caso da una guida telefonica. D’altra parte neppure i controlli incrociati svolti tra le persone che conoscevano e nei luoghi che frequentavano avevano portato a qualcosa. Nessuna vittima conosceva le altre, non frequentavano gli stessi ambienti, bar, negozi e non avevano lo stesso passato, non facevano lo stesso lavoro. Si scoraggiò nuovamente. Richiuse con stizza il taccuino e finì il caffè.
IV
Si ritrovò di nuovo in strada.
La calca ormai era cessata. Erano ormai le 11,30. Fu avvicinato dal solito accattone, che sapeva benissimo che da lui qualcosa avrebbe ottenuto, forse pochi spiccioli ma un caffè e un panino sarebbero stati sufficienti per arrivare al giorno dopo. Lo fermò al solito modo:
"Ma guarda chi si vede!! Dio ti benedica, Olson!"
esordì il poveraccio dandogli una robusta pacca sulla spalla. Iniziò a camminare accanto al tenente.
"Ah, ci risiamo, amico. Tutte le sante mattine, pomeriggi e sere mi dici le solite cazzate! Ci siamo visti ieri sera, ricordi? Caffè e fetta di torta da Bob’s qui di fronte..."
"Non ricordo, Olson, non ricordo. Ma adesso non so perché ho di nuovo fame. Pensa, stanotte c’erano otto gradi sotto zero... Me lo paghi un caffè?"
Olson non era mai stato capace di dir di no a Smith, l’accattone per antonomasia, senza passato, senza futuro, senza età. Sprofondò la mano destra nella tasca del cappotto e ne tiro fuori qualche cent. che diede al vecchio:
"Toh, maledetto scroccone, beviti stò caffè alla mia salute, ma per oggi non rompermi più, OK?"
"Grazie, Olson, che Dio ti benedica! Ti ricorderò nelle mie preghiere..."
gli disse ancora mentre si allontanava, agitando il braccio in segno di saluto.
"Ma se non te ne ricordi una!!"
gli gridò Olson mentre si rimetteva in tasca le mani fredde.
"Le preghiere.... Apriresti la pancia a un prete per dieci dollari! ...... A proposito di preti....."
Gli venne in mente che lì vicino c’era la Chiesa degli Apostoli di Padre Edward, proprio di fianco alla strada dove era stato ucciso Samuel Tompson, la seconda vittima. Ritornò sui suoi passi e attraversò la IV Avenue, salutando di nuovo Jack che aveva quasi finito il suo lavoro.
Lo trovò nella sacrestia, intento ad ordinare i suoi paramenti sacri .
"Ossequi, Padre Edward. Posso sedermi un momento?"
"Toh, sei venuto a confessare i tuoi peccatacci?"
Il sacerdote stava sorridendo. Sembrava contento di vederlo.
"No, Padre, io non ho grossi peccati: sono un servo di Dio in piena regola. Ma bando alle ciance. Sono venuto in forma del tutto privata. È per quell’omicidio avvenuto proprio qui dietro, in Church Road. Non ha niente da dirmi? Non ricorda qualche particolare, qualcosa di strano che ha notato nel giorno del delitto?"
Padre Edward lo guardò in modo strano. Poi prese tra le mani la Bibbia o qualche altro libro (Olson non era molto ferrato in materia!) e lo strinse al petto. Poi sussurrò:
"C’è qualcosa che non va...."
"Qualcosa in che senso? C’è qualcosa che dovrei sapere?"
Olson era molto stupito dal comportamento del prete.
"Tu lo sai che prima di essere affidato a questa comunità e a questa chiesa in particolare io avevo un altro incarico?"
"Sì, lo so, lei era ...come dire... consulente spirituale presso un Istituto religioso nel Texas."
Padre Edward sorrise amaramente. Poi riprese:
"Quello era l’incarico di copertura. Io in effetti ero ...beh, come potrei dire...un esorcista. Tu sai cosa voglio dire?"
"Sì, lo so cosa vuol dire"
"Bene. Allora ascolta. Era un incarico segreto, in quanto la Chiesa stessa non vuole troppa pubblicità su questo argomento. Comunque...per due anni, giù nel Texas, mi è capitato di assistere otto persone che presentavano i requisiti per essere considerate dalla Chiesa possedute dal Demonio. E allora..."
"Perché mi racconta tutto questo, Padre? "
lo interruppe Olson, colpito da quella improvvisa loquacità.
"Perché....perché non lo so. Ho uno strano presentimento, come se sentissi una presenza maligna che si aggira per queste strade. È solo una sensazione, niente di più."
"Ha delle prove per affermare questo?"
"Prove, sempre prove. Voi poliziotti siete come San Tommaso. Ma certo non vi biasimo: chissà cosa capiterebbe se le persone venissero accusate e condannate solo per delle sensazioni. Comunque non ho prove. Lo sento, ecco tutto. È una sensazione che provo abbastanza forte quando esco per la strada e che svanisce quasi del tutto quando sono tra queste mura consacrate"
"Padre, lei lo sa che io non credo a queste cose!"
"Lo so, ed è proprio per questo che te ne ho parlato, sicuro come sono che non ne sarai influenzato. Diciamo che mi sono liberato di un peso. Tu comunque devi fare di tutto per risolvere questi casi. Fai finire questa strage. Ti prego"
Sconcertato da quel colloquio Olson non se la sentì di continuare. Si congedò in fretta e furia accampando una banale scusa ed uscì dalla sacrestia. Quelle parole, il tono di voce, il suo viso contratto lo avevano turbato non poco.
Si trovò davanti alla navata centrale, tagliata da lame oblique di luce che filtravano dalle vetrate gotiche. Notò una cosa a cui non aveva dato peso entrando: il silenzio pressoché totale e la penombra tetra e misteriosa. Si strinse il cappotto addosso come per scacciare il brivido che sentiva venirgli su per la schiena. Sentì rimbombare i suoi passi, uno dopo l’altro inesorabilmente, come suoni prodotti da un tamburo. Guardò la navata centrale, ampia e maestosa, alta e monumentale, sovrastata da uno splendido rosone.
I suoni e i rumori della città’ arrivavano attutiti, ovattati.
La vetrata di fronte a lui rappresentava Cristo risorto avvolto in un grande lenzuolo bianco. fu rapito per qualche istante da quell’immagine.
Sentì un tonfo sordo e dei passi alla sua destra.
Una donna era entrata in chiesa e si stava accomodando accanto ad un confessionale.
Olson si voltò ancora per un istante verso l’altare, quindi si avviò deciso verso una porta laterale ed uscì.
Appena il sole gli inondò il volto avvertì un senso di sollievo. Al contrario di padre Edward lui si sentiva molto meglio fuori da "quelle mura consacrate".
Due ragazzini stavano giocando sulla piazza antistante. Si accese una sigaretta: era la prima di quel giorno. Stava cercando disperatamente di smettere, sia su consiglio del suo medico, sia su consiglio dei suoi stessi polmoni, sempre più intasati. Ma era dura, troppo dura, soprattutto in quel periodo, in cui era particolarmente nervoso, vuoi per la storia della setta vuoi perché era in un periodo difficile e basta. Effettivamente era nel bel mezzo di una crisi esistenziale, come capita a tutti prima o poi.
Era infatti in quella fase della vita in cui, a pochi mesi dalla pensione, uno incomincia a chiedersi:" E dopo?". Lui non aveva nulla al di fuori del suo lavoro e adesso iniziava a comprenderne il dramma. Non aveva amici veri, solo colleghi e informatori che lo usavano e si confidavano. Non era mai riuscito ad instaurare un rapporto vero con qualcuno che fosse al di fuori del suo lavoro. La sua vita era tutta basata sul dare e avere: tu mi dai informazioni e io ti aiuto, io ti aiuto tu mi dai delle informazioni. Erano solo notizie, nient’altro che notizie. Ma d’altra parte lui stesso quando si fermava a parlare con qualcuno non era sicuro che lo facesse per il piacere della conversazione e del contatto umano. In sostanza si sentiva poliziotto ventiquattro ore su ventiquattro.
Tra qualche mese tutto questo sarebbe finito. Certo, avrebbe potuto continuare a lavorare come avevano fatto tanti altri suoi colleghi prima di lui: un’agenzia investigativa, responsabile di qualche polizia privata, istruttore di gorilla o altri impieghi del genere. Ma il fatto era che non si sentiva ancora pronto per essere messo da parte.
Non riusciva ancora a vedere il suo futuro fuori dalla Polizia. Eppure doveva reagire perché quel giorno sarebbe arrivato. Avrebbe potuto ritirarsi dalla scena completamente e comperarsi una casetta un po' fuori città, coltivare l’orticello, quattro animali, la partita a poker con i vicini...aspettando in sostanza che arrivasse la morte a bussare. Lo sapeva benissimo che non sarebbe neppure riuscito a fare quello. E come accadeva sempre da qualche tempo a questa parte, scivolò di nuovo in un profondo senso di desolazione, di solitudine, di inutilità e si stramaledisse per non aver mai riservato un po' di tempo per coltivare un hobby, qualsiasi cosa purché’ non fossero schedari, foto segnaletiche o dossier.
Stesso discorso valeva per le donne.
Non aveva mai avuto la costanza e la passione di costruire uno straccio di relazione con qualcuna. Ne aveva avute tante, ma tutte storie finite nel giro di qualche settimana o tutt’al più di qualche mese. Solo una aveva resistito nel tempo. L’aveva conosciuta guarda caso alla Centrale: era venuta per denunciare un furto avvenuto nel suo albergo...Miriam Torrish, una bella donna di quarant’anni, professione locandiera, come era solito descriverla lui, molto curata e soprattutto pulita interiormente, sincera e piena di vita, una vera rarità in quella fogna di città.
Sì, forse di lei si era innamorato, anche se a dire il vero non conosceva completamente il significato di quella parola. Si frequentavano ancora, ma sempre più di rado, sempre per quella sua mania di voler sempre essere presente qualsiasi cosa accadesse.
"Prima o poi mi stuferai, Ted" gli aveva detto l’ennesima volta che era scappato sul più bello perché alla Centrale avevano bisogno di lui. Una delle ultime volte che avevano tentato di fare l’amore.
Si voltò ancora a guardare la chiesa che si stagliava solitaria nel cielo azzurro intenso. Ebbe uno strano presentimento: chissà se avrebbe avuto un futuro, dopo quella strana storia di croci e candele.... Spense la sigaretta con il tacco e si avviò verso Church Road.
Poco lontano all’incrocio con la 57° Strada un uomo stava guardando nella sua direzione. Estrasse dalla tasca un fazzoletto e se lo passò ripetutamente sulla fronte: stava sudando copiosamente.
© Claudio Pellegrino - © 1998 ARPANet. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
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