LE TESI DI UNABOMBER
di: Loris Dalla Rosa
E' opportuno riassumere in breve, per chi legge distrattamente i giornali o non li legge affatto, la vicenda che fa da prologo alla storia che sto per raccontare.
Forse qualcuno ricorderà che, nel settembre del '95, arrivò anche sui giornali italiani il caso di quel singolare e misterioso terrorista americano, responsabile di tre omicidi e sedici attentati, che col ricatto riuscì a far pubblicare sui due maggiori quotidiani, il "Washington Post" e il "New York Times", le sue 232 tesi politico-filosofiche su una rivoluzione contro il sistema industriale. Fu soprannominato, dagli psicologi dell'F.B.I., "Unabomber" ("Un" come università e "a" come aerei), in quanto all'inizio colpiva università e compagnie aeree, identificate come centri propulsori del progresso tecnologico. Sosteneva che la tecnologia è il male, che l'industria corrompe e rende ogni giorno peggiore la vita umana. La rivoluzione industriale, affermava, aveva sì allungato la vita media dei paesi avanzati, ma l'aveva anche svuotata di valori, derubando l'uomo della sua dignità e sprofondandolo nella sofferenza psicologica. Di qui, anche se forse troppo tardi, la necessità di rovesciare le basi economiche e tecnologiche dell'attuale società. La sua arma era sempre la stessa: un pacco-postale esplosivo; la sua vittima più illustre David Gelernter, professore di informatica all'Università di Yale. Si aprì un appassionato dibattito sull'opportunità di pubblicare, dietro minaccia di uccidere ancora, quel testo di 35000 parole. Si parlò di Unabomber come di un uomo fuori dal tempo (si veda "La Repubblica" del 20/9/1995), di un solitario killer sognatore e malinconico, in quanto non esisteva più il mondo contro cui si scagliava: le grandi città americane non erano più offuscate dalle ciminiere, la gran parte del lavoro più inquinante trasferito da un pezzo fuori dalle frontiere americane. E poi il mezzo scelto per la sua protesta: la carta stampata; nel mondo di Unabomber non esisteva la TV, o Internet, di cui poteva servirsi per diffondere gratuitamente la sua protesta.
Fin qui i giornali. Ma pochi sanno, tra i quali il sottoscritto, che Unabomber non era poi così solo e che non disdegnava affatto i più recenti mezzi della tecnica. Proprio su Internet, molto prima della pubblicazione sui giornali americani, circolavano le sue tesi, sia pure in forma criptica e frammentaria, sotto diversi falsi nomi. Occorreva acume e curiosità, sostenuti da una buona dose di costanza, per poterne catturare i vari pezzi e comporle in un mosaico sensato, riferito ad un autore unico. Ma proprio questo fece Leonard Fisher, un esperto chimico di Baltimora. Ultracinquantenne ancora in attività lavorativa, brillante ricercatore, Fisher era stato duramente colpito dalla vita. Aveva lavorato a Bhopal. Forse qualcuno ricorda ancora il nome di questa città, capoluogo dello stato indiano del Madhya Pradesh. La fabbrica di pesticidi della società americana "Union Carbide", praticamente nel centro dell'abitato, la micidiale nube di gas fuoriuscita da un deposito, il 3 dicembre del 1984: venticinque tonnellate di isocianato di metile, più di 2500 morti, migliaia di persone contaminate e menomate per sempre. Fisher non riuscì mai più a dimenticare il viso cianotico dei morti, i bambini calpestati dalla folla in fuga, gli occhi disperati delle madri. Tornò in America, meditò a lungo sui metodi usati dalle multinazionali nel trasferire tecnologie "sporche" nei paesi del Terzo Mondo, cadde in un profondo stato di depressione, tentò il suicidio. Lo salvò l' accanimento terapeutico dei medici, ma tornò alla vita profondamente mutato, la psiche infranta per sempre. Intatta rimase solo la sua genialità di ricercatore e la sua curiosità per le nuove tecnologie. Non è un caso, dunque, che Fisher abboccasse alle tesi di Unabomber. Appena ne comprese il senso, dopo un lungo lavoro in Internet, riuscì a stabilire un contatto con il terrorista e a vincerne la prudente diffidenza. Riuscì a farsi spedire, via posta e sotto falso mittente, un compendio organico del suo pensiero. Riconosceva in pieno la fondatezza dell'analisi critica, la meditò lungamente, ma ne colse anche i punti deboli e la necessità di integrarla con gli aspetti essenziali della società post-industriale. A differenza del suo maestro di pensiero, la sua era una posizione assai più pessimistica: sparita ogni minima traccia di ottimismo rivoluzionario. La società non poteva essere cambiata, sarebbe implosa in se stessa, in un lento processo di autodistruzione. Tutto ciò che si poteva fare era accelerare il processo perverso, abbreviare la sofferenza del male di vivere. Fu così che continuò le sue ricerche nel campo della chimica con rinnovato vigore. Rimaneva al lavoro oltre l'orario, a volte fino a sera inoltrata, tenendo tutti all'oscuro dell'oggetto di tanto interesse. Alla fine riuscì a mettere a punto la formula. Si tratta di una nuova sostanza sintetica, un veleno simile al curaro, ma che agisce per via aerea e mortale anche in dosi infinitesimali. Incolore e insapore, dall'odore amarognolo appena percettibile, può essere mescolato a vernici, a sostanze liquide o solide in genere, da cui si libera nell'aria, conservando la sua micidiale efficacia per mesi e mesi.
Fisher lo chiamò Polioxide 124, perchè 124 furono i giorni necessari per metterlo a punto. Ma non volle tenere solo per sè nè la consapevolezza della terribile efficacia del nuovo veleno, nè lo scopo che lo guidò alla sua scoperta. Affidò al computer la sua formula e i suoi pensieri, in verità in modo molto più imprudente di quanto avesse fatto Unabomber.
Fu così che una notte, navigando in Internet, fece conoscenza di Fisher, e della sua formula, un italiano, di cui, per prudenza, non rivelerò il nome (ma tu, che leggi, un indizio già ce l'hai)....
Non è che mi manchi il tempo di terminare la storia, ma ormai lo scopo è stato raggiunto. Tu, che leggi su un monitor, non hai nulla da temere, per ora. Ma tu, che leggi uno dei tanti supporti cartacei, non senti un sottile odore amarognolo, leggendo queste righe? E' il Polioxide 124. Non agitarti inutilmente: non c' è più niente da fare. Come vedi anche la vecchia, cara carta stampata ha ancora una sua funzione.
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