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UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino


CAPITOLO DECIMO

I
 

Girò velocemente la chiave nella toppa, sbatté alle sue spalle la porta d’entrata ma non fece abbastanza in fretta per arrivare in tempo a rispondere al telefono che stava squillando da chissà quanto tempo. Quando si inserì la segreteria telefonica la comunicazione fu interrotta. Posò le chiavi sul tavolino e poi riavvolse la cassetta, si sedette sulla poltrona ed ascoltò.
Sentì dapprima la voce di Steve che si invitava per una cenetta a lume di candela a casa sua alle ventuno in punto. "Va bene" commentò Kate. Infatti faceva troppo freddo per uscire. Si diresse in cucina e fece velocemente l’inventario del suo frigorifero e si rese conto con sollievo che era ben fornito. La donna di mezza età che le teneva pulito l’appartamento aveva anche provveduto a rifornirla di ogni ben di Dio. Giurò a se stessa che non avrebbe rovinato la serata con i ricordi di Kenz, e che avrebbe fatto solo un breve accenno alle ultime notizie.
Stava controllando se Maria si era anche ricordata di comprare una bottiglia di vino rosso quando la sua attenzione fu attratta da una voce quasi sconosciuta che giungeva dalla segreteria telefonica. Ritornò nel soggiorno e riavvolse la cassetta. La voce ripeté:
"Sono il tenente Olson, Dipartimento di Polizia. Vorrei ancora parlare con lei riguardo ad Henry Kenz. Domattina sarò nel mio ufficio dalle otto e trenta. Se non può venire mi avverta. Buongiorno"
Effettivamente non era molto sorpresa. Anche lei aveva già pensato di parlare con lui a quattr’occhi, dopo la telefonata che aveva avuto qualche ora prima. Si, forse quel colloquio le avrebbe chiarito un po' le idee. La registrazione non era ancora finita. Sentì infatti il segnale di un’altra chiamata:
"Sono Van der Haalt. Kate, per favore, chiama la galleria a Huston e dì loro di spedirmi tutte le tele direttamente a casa. Grazie. Ah già, dimenticavo. Domani non ci sono. Buona serata"
Kate sorrise. Era un uomo incredibile. Si erano parlati in galleria non più di un’ora prima e non le aveva detto niente. Si dimenticava sistematicamente di ogni cosa importante: faceva un prezzo ad un cliente e poi chiedeva a lei per quale cifra si erano accordati. I primi tempi erano stati duri in quanto il più delle volte era stata colta alla sprovvista. Poi, col passare dei mesi, aveva imparato che in tutto e per tutto non poteva fidarsi della sua memoria e aveva preso l’abitudine di annotare ogni cosa che lui diceva e che lei riteneva importante: appuntamenti, cifre, consegne, spedizioni. Più che una critica d’arte molte volte si era sentita la sua segreteria personale. Ma d’altra parte per centomila dollari l’anno poteva anche fare qualcosa in più della semplice consulenza.
Così facendo aveva conquistato la sua fiducia e in più di un’asta aveva curato i suoi interessi autonomamente, con assoluta libertà di decisione. Non c’era niente da fare: era stata fortunatissima a trovare una persona simile per iniziare la sua carriera e per poter fare esperienza per la sua futura galleria d’arte che un giorno o l’altro avrebbe aperto in qualche mitica strada di Los Angeles.
Spense la segreteria telefonica, si liberò finalmente del pesante cappotto e si precipitò in cucina: erano già le diciannove ed era tutto da fare. Si sentiva bene pensando a quella serata. Sarebbe stato bello. A meno che...
A meno che Steve non avesse combinato il tutto per proseguire l’interrogatorio su Henry Kenz, anche alla luce degli ultimi avvenimenti. Lei stava cercando di dimenticare, di mettere ordine nei suoi sentimenti e lui sembrava facesse di tutto per farla ripensare a lui. Sorrise, mentre sbucciava una patata. Comunque se si fosse trovata in difficoltà avrebbe saputo come farlo desistere. Si fermò un attimo e pensò al corpo di Steve: fu assalita da un desiderio sfrenato di averlo subito. Si convinse che stava esagerando. Ritrovò il controllo dei suoi sensi e riprese a pelare le patate.
Le due ore volarono.
Alle ventuno in punto Steve suonò alla porta. Kate accese le due candele, diede l’ultimo tocco alle posate e ai bicchieri e infine aprì. Lo accolse con un sorriso radioso e un bacio sensuale. Fu ricambiata a stento. Lesse qualcosa di strano nei suoi occhi e avvertì una sensazione indescrivibile quando toccò le labbra con le sue. Per un istante Steve scomparve e vide pareti di roccia umida, udì parole assurde, sentì freddo e paura. Ma con grande forza di volontà riuscì a tornare sulla terra. Si era ripromessa di non rovinare quella serata: doveva smetterla di fantasticare, di vedere cose assurde, in una parola di autosuggestionarsi. Quella doveva essere una bella serata...Punto!
Steve comunque aveva qualcosa che non andava ma decise di non indagare: senz’altro col trascorrere della serata sarebbe saltato fuori . Lo baciò di nuovo con foga e lo invitò ad entrare. Indossava uno stupendo cappotto di cachemire che lei gli sfilò scherzosamente. Parve sgelarsi un po'. Forse Steve era solo un po' imbarazzato, essendo quella, in effetti, la prima volta che veniva a cena a casa sua. Gli servì un Martini e si precipitò in cucina per spegnere il forno dove lo stufato era ormai giunto al punto di cottura ideale.
Come primo aveva optato per un piatto tipicamente italiano: spaghetti al ragù’, che lei considerava la sua specialità. Fece il suo ingresso in soggiorno con fare trionfale, solenne.
Steve, vedendo quel ben di Dio fumante, si abbandonò ad un applauso entusiasta che riempì Kate di orgoglio e felicità. Non aveva più dubbi: sarebbe stata una bella serata.
Mangiarono e parlarono di tutto. Il vino aiutò decisamente la conversazione., ma ne lei ne lui toccarono gli argomenti che avevano occupato la loro vita più recente. Pareva ci fosse una sorta di tacito accordo. La serata scivolò via splendidamente.
Fino al dolce.
Mentre era in cucina e stava preparando il gelato si voltò verso Steve per dirgli qualcosa: notò che si era incupito improvvisamente e che si stava toccando nervosamente il braccio. Ma non diede troppo peso alla cosa: il vino in lei, come in tanti, aveva la capacità di farle affrontare i problemi con più ottimismo. Servì il gelato e si sedette. Steve era diventato molto serio. Le versò ancora del vino. Iniziò a fissarla intensamente. Lei sostenne il suo sguardo. Fosse stata completamente sobria avrebbe letto qualcosa di strano nei suoi occhi. Invece, complice il vino o per la magica atmosfera che lei credeva essersi creata in quella serata, interpretò diversamente il suo sguardo. Si sentì conquistata da un caldo piacere. Appoggiò il cucchiaino sul piatto da dessert e, sempre fissandolo intensamente, si alzò e si diresse verso di lui. Steve dapprima la osservò con aria interrogativa, poi capì le sue intenzioni e si alzò anche lui. Il gelato si stava sciogliendo.
La abbracciò e la baciò con foga. Poi spostò le labbra umide sul collo di lei che fu percorsa da un brivido. Kate era in estasi. Sentì le sue mani dappertutto. Avvertì la sua eccitazione quando lui spinse il suo bacino contro il suo, ripetutamente, ritmicamente.
La mano di Steve si infilò sotto la gonna quasi con violenza. Kate sentiva il suo fiato caldo sul collo. Le dita di lui si insinuarono tra le mutandine di pizzo. Quando però lui iniziò a toccarla, avvertì qualcosa di diverso nel suo modo di fare: non era insicuro, delicato come le altre volte. Era determinato, dissacrante e quasi le fece male. Ma in quel momento di eccitazione massima non si tirò indietro, anzi lo incoraggiò a continuare, afferrandogli la mano per il polso e aiutandolo nel movimento.
Poi gli slacciò la cintura dei pantaloni e fece scivolare la mano nei suoi boxer. Quando lo toccò Steve ebbe un sussulto. Lui sfilò la mano e iniziò a sbottonarle la camicetta. Le baciò i seni quasi con rabbia, con impazienza. Poi fu la volta della gonna che cadde sul tappeto, accanto ai suoi calzoni. Steve, con un gesto fulmineo, si sfilò la camicia e la tee-shirt. Ripresero a baciarsi convulsamente. Lei sentì scendere le sue mani lungo la schiena, fino alle natiche. Poi, all’improvviso, Steve si bloccò per una frazione di secondo. Sembrava rapito da qualche lontano ricordo.
Le afferrò lo slip e lo strappò con violenza. Kate fu colta di sorpresa, non si aspettava affatto un simile gesto: non era da Steve. La sua eccitazione scemò. Solo per pochi attimi perchè Steve riprese a toccarla più delicatamente di prima. Il desiderio la riconquistò completamente. Si sentiva benissimo. Si ritrovarono sul divano. Non pensò piu a niente e si abbandonò al piacere e alle sensazioni che Steve le stava facendo provare. Ma di nuovo si bloccò per un attimo. Lei non se ne accorse: i suoi occhi erano chiusi.
Steve le divaricò le gambe con un gesto deciso e la penetrò con violenza. Le fece di nuovo male: si irrigidì. Voleva dirgli qualcosa ma non appena lui iniziò a muoversi dentro di lei si lasciò ancora trasportare dai sensi. Nella foga gli strinse il braccio destro. Emise un grugnito che Kate, con la mente annebbiata dall’eccitazione, interpretò come una manifestazione di sommo piacere. Ma quando Steve si bloccò e la fissò capì che quel verso aveva ben altra origine. I suoi occhi erano...diversi, più duri, gelidi. Kate ebbe paura.
"Che c’è Steve?"
Lei era preoccupata da quello sguardo. Lui non rispose. Era stato un vero peccato: le sarebbe bastato poco per raggiungere l’orgasmo. Ma evidentemente Steve non se ne curò affatto. Si lasciò cadere sul divano, esausto e apparentemente appagato.
"Scusa, Kate, ma mi hai fatto un male cane! Ho una ferita al braccio destro"
"Ferito? Come...dove?"
"Non importa. Non è niente. Scusami ancora. Se vuoi riprendiamo..."
Non era molto convinto. Ormai era tutto finito, per tutti e due. Anche Kate si rilassò.
"Che ti succede, Steve, eri così, come dire..violento questa sera."
Ormai che il desiderio era svanito la curiosità aveva preso il sopravvento. Ma con sua somma delusione rispose in modo evasivo e iniziò a rivestirsi. Per un attimo vide la ferita: era una sorta di tatuaggio a forma di croce. Kate sentì qualcosa, qualcosa di malefico in quel segno inciso sulla carne.
"Steve, dove ti sei fatto quel graffio?"
Era molto preoccupata. Ma Steve non parve neppure sentirla.
"Scusa ancora, Kate, ma mi è venuto un tremendo mal di testa, una fitta pazzesca, qui alla base della nuca. Forse è meglio che me ne vada. Buonanotte."
"No, aspetta. Fermati qui stanotte. Ti do un calmante."
"No, è meglio di no, credimi. Domani è una giornataccia."
La baciò educatamente e ringraziò per la cena. Quindi uscì senza aggiungere altro. Kate rimase per più di mezz’ora distesa sul divano buttandosi solo addosso la camicetta che aveva raccolto sul tappeto. Era sconvolta dall’atteggiamento di Steve. Che cosa stava succedendo? Finalmente si alzò e si rivestì. Mentre apriva l’acqua per la doccia pensò al giorno dopo: sì, sarebbe andata dal tenente Olson. Era convinta che sarebbe stato molto importante.
L’acqua che scivolava sulla sua pelle la rilassò. Ma una cosa non riusciva a togliersi dalla mente: quella sensazione che aveva avvertito appena Steve era arrivato. Aveva visto una caverna, sentito voci. Che cosa voleva dire tutto ciò? Lei forse lo sapeva, ma scacciò quel pensiero. Era solo stanco, un po' teso, forse...  

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Quando entrò nella sua camera avvertì una piacevole sensazione di pace interiore. Appese il cappotto nell’entrata e buttò le chiavi nel solito cestino di vimini. Si guardò allo specchio. Era sicuro, fino a pochi istanti prima, che, quando avesse visto la sua immagine riflessa, si sarebbe sputato in faccia: Kate non si meritava affatto di essere trattata in quel modo. Invece il suo viso non gli procurò disgusto o rabbia. Si osservò e si studiò per alcuni minuti senza provare alcuna emozione. Si sentì rapito dalla sua immagine.
Poi avvenne qualcosa.
La stanza intorno a lui scomparve e la musica di Neil Young, diffusa dal lettore CD che aveva accesso cinque minuti prima, si dissolse a poco a poco, come mixata da una mano invisibile. Rimbombò nella stanza un canto cupo, greve. Le parole si sciolsero in una convulsa conversazione. Steve sprofondò in una sensazione appagante di equilibrio e serenità. Sentiva le voci e tutta quell’assurda conversazione gli sembrava naturale e soprattutto inevitabile. Poi una voce su tutte echeggiò nella stanza:
"Abù label not si karam si tu nibel, altar satù kabal vestrù, niki tolà krambaa taba"
Steve si sentì straordinariamente leggero, sempre più leggero. Tutto intorno a lui perse definitivamente consistenza e si sentì proiettato in una realtà popolata di mostri. Ebbe improvvisamente paura di ciò che la sua mente stava percependo, ma poi a poco a poco l’oscurità lo sottrasse a quella tortura. Venne il buio più nero e in esso anche la sua mente scappò via.

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