ARPANet

UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino


CAPITOLO QUARTO

I
 

Inserì la carta tra le altre quattro che già aveva. Prese il mazzetto e lo passò davanti al naso, come per sentirne l’odore. Era un gesto che ripeteva spesso e che faceva sempre innervosire gli avversari. Se gli fosse riuscito quel colore!!! Sarebbe rientrato dei soldi persi la sera prima e ne avrebbe ancora avanzati per una pizza, e magari per una sniffatina di coca.
Doveva per forza essere una carta di picche, per forza. Spostò lentamente l’ultima carta: intravide un angolino nero. Ancora un po' di pazienza e avrebbe saputo.
"Rilancio venti dollari!"
disse quello alla sua sinistra.
Ora toccava a lui. Spostò ancora la carta: "Picche!!!" gridò dentro di se, senza tuttavia muovere neppure un pelo del sopracciglio. Non c’erano dubbi: era il dieci di picche, benedetta, fantastica carta!!
"Venti più venti"
disse Jack riassettando le carte per fingere una scala.
Guardò ancora una volta il colore che teneva nella mano sinistra: era tutto picche, tutto nero, un presentimento.
Si accese una sigaretta con calma, dimostrando una freddezza che ben poche volte gli era riuscita. Diede una occhiata al tavolo: c’era già un bel mucchietto di dollari, un buon piatto. Per ben tre volte avevano solo aperto e avevano solo fatto "parola".
"Io lascio"
disse Bob alla sua destra e gettò le carte sul tavolo.
"Anch’io"
Anche il tipo di fronte a Jack rinunciò.
Erano rimasti in due. Rifletté un momento: aveva cambiato due carte. Quindi poteva avere un tris, un poker, un full o addirittura un altro colore. Sarebbe stato il colmo, era molto difficile ma poteva essere.
Pregò mentalmente che anche Johnny lasciasse perdere.
E invece, purtroppo per lui, l’altro prese un biglietto da venti, lo stirò e lo lasciò cadere al centro del tavolo guardando Jack dritto negli occhi:
"Venti ... più cento!"
Nel bar scese il silenzio: il barista spense la televisione che stava trasmettendo l’ennesima telenovela e si avvicinò al tavolo, curioso di sapere come sarebbe andata a finire.
Jack si sentì mancare. Cento dollari! gli ultimi che aveva per arrivare alla fine della settimana. Eppure ci credeva in quel colore. Frugò nella tasca dei jeans e ne cavò due biglietti. Fu felicemente sorpreso nel constatare che insieme a quello da cento ce n’era ancora uno da cinquanta.
Chissà da dove era saltato fuori...
Guardò in faccia Johnny e vide che stava sudando copiosamente. Ebbe la precisa sensazione che avrebbe vinto.
"Cento più cinquanta"
Ecco, il dado era tratto. Probabilmente aveva già vinto: Johnny era un gran giocatore, ma non aveva molti soldi da rischiare. Eppure contro ogni sua previsione, vide volteggiare sul tavolo un biglietto da cinquanta dollari e sentì la frase tanto temuta:
"Te li vedo"
Beh, almeno non aveva rilanciato.
Guardò ancora il suo bel colore e con voce trionfante disse:
"Toh, beccati questo."
Detto questo girò una ad una sul tavolo le cinque carte di picche. Ci fu un momento di silenzio, solo rotto da una imprecazione mormorata da chissà chi.
Poi tutti gli occhi si posarono su Johnny che stava ancora guardando le sue carte. Si era anche avvicinata al tavolo una ragazza , una stupenda ragazza di ventitrè anni. Passò la mano sulla testa rasata di Jack e gli sussurrò in un orecchio:
"Se vinci sono tua, gratis!"
Poi sorridendo si spostò dietro le spalle di Johnny contribuendo a farlo innervosire ancora di più.
"Merda!"
Posò sul tavolo un full d’assi. Vibrò un violentissimo pugno sul piano di legno mischiando carte e soldi. Jack buttò le mani sul gruzzolo di circa cinquecento dollari e lo tirò a se, soddisfatto. Guardò Brenda e le disse sorridendo:
"Ricordati la promessa! I debiti si pagano."
Aveva chiesto il giro qualche minuto prima: quindi aveva tutti i diritti di alzarsi. Cercarono ancora di convincerlo a fare almeno tre o quattro mani. Forse altre volte avrebbe ceduto. Era questa in sostanza la sua rovina: non saper dir di no. Ma quella sera aveva ben altro da fare e in cuor suo ringraziò Brenda anche per questo. Sapeva che avrebbe speso con lei una buona parte della vincita, ma sarebbe stato comunque molto diverso dal perderli nuovamente con una mano sfortunata.
Si avvicinò alla ragazza che lo aspettava appoggiata al bancone. Era stupenda come sempre. Jack sapeva che era già stata con tutti,( era così infatti che riusciva ad arrivare alla fine del mese) eppure aveva qualcosa che la distingueva dalle altre che conosceva: non era volgare, era ben curata, allegra, imprevedibile, e soprattutto aveva una gran voglia di vivere che trasmetteva a tutti, qualità molto rara in quella fogna di città.
"Ciao, campione. Andiamo via? Qui non si respira..."
"OK, adesso andiamo subito"
"Senti, io non voglio soldi da te questa sera...però una tiratina me la fai fare?"
Iniziò a baciarlo sul collo, delicatamente. Jack sentì le sue labbra calde e umide sulla pelle e sentì che lo desiderava più di ogni altra cosa, anche se dentro di lui una vocina continuava a ripetergli "Guarda che fa così con tutti".
Si sporse verso il barista che si stava gustando quella scenetta di seduzione con un sorriso volgare, gli chiese un po' di roba, contrattò senza troppa convinzione e infine pagò.
Si voltò verso gli altri giocatori ancora seduti al tavolo, li salutò ed uscì. Si sentiva bene quella sera, gli sembrava che il mondo fosse suo. Passò il braccio intorno alle spalle di lei. Voltandosi le chiese con fare aristocratico:
"Da me o da te ?"
Risero tutti e due sinceramente e si avviarono verso Wellington Park, stupendo quello sera, coperto di neve gelata.
Sembrava un paesaggio fiabesco.
Salirono una scala buia in un palazzo vecchio e malandato.
Arrivarono correndo davanti alla porta dell’appartamento di Brenda, che aprì in fretta. Era impaziente, almeno sembrava impaziente.
Era una stanza accogliente nonostante il disordine, che era ovunque. C’erano dei posters alle pareti, gli AC-DC, Bob Marley. Sulla parete più lontana una gigantografia di Max von Sidow, vestito da cavaliere medievale intento a giocare una partita a scacchi con uno strano personaggio.
"Il settimo sigillo... Che roba è?"
disse Jack indicando la fotografia in bianco e nero.
"Sei proprio un simpatico ignorantone, Jack. È il capolavoro di Ingmar Bergman, il regista svedese, e il film si intitolava appunto "IL SETTIMO SIGILLO""
"Bah, mi sa un po' di tetro. Chi è l’altro con cui questo Von Sidow gioca a scacchi? Dio, com’è brutto!!"
"Quella è la morte..."
Si fermò un attimo, guardò Jack in modo strano.
"Ma adesso parliamo di vita e pensiamo a divertirci. Tira fuori la coca!"
E detto questo prese lo specchio nel bagno e lo posò sul tavolo. Jack preparò le strisce e iniziò a tirare. Lei era già praticamente nuda. Era stupenda nella penombra della stanza: il suo corpo pareva scolpito nel marmo rosa. Non c’era un’imperfezione, non una grossolanità: il viso dolce, il seno sodo, i fianchi e le gambe in perfetta simbiosi, le une la perfetta prosecuzione degli altri. Anche lei tirò.
Lui non resistette più e se la fece sedere sulle gambe. Sentì la pelle calda e fremente sotto le sue dita. Lei iniziò a sfilargli la tee-shirt, mentre lui le slacciava il reggiseno. Si sentì baciare dappertutto, si sentì accarezzare dappertutto, gli sembrò di sognare.
Erano da poco passate le due. Stava ricominciando a nevicare. Quasi tutta la città stava dormendo...quasi tutta.

II

Non era sicuro di dormire.
Era piuttosto intontito, aveva una gran confusione. Vedeva colori, ricordava suoni, parole, ma niente di definito, niente di identificabile. Aprì gli occhi a fatica. Guardò il soffitto azzurro, avvolto nella penombra, violata solo da un cerchio di luce che filtrava dal lampadario.
Non si ricordava nulla.
Eppure qualcosa da ricordare doveva averlo per forza perché la sua mente da due giorni non faceva altro che provare a connettere, a ricostruire, invano.
Guardò l’orologio al polso: le due e mezza.
In quel momento la sua mente fu percorsa da un flash, una sensazione di dolcezza e calore: uno sconfinato prato verde, una donna che correva verso di lui, un bambino che saltava allegramente di qua e di là. Si sentiva felice, stranamente sereno. Cercò di focalizzare il ricordo. Chi erano? Dov’erano?. Niente. Solo un prato, una donna e un bambino. Picchiò violentemente il pugno contro il muro dietro di lui. Non era possibile che non ricordasse niente.
Arrivò di nuovo il buio.
Si ritrovò la mente vuota. Si alzò a fatica e si avvicinò allo specchio sopra il lavandino. Abbassò subito lo sguardo. Non voleva più romperlo e tagliarsi. Cosa avrebbe raccontato alla padrona della pensione? Non poteva di nuovo essere scivolato. Si sciacquò ripetutamente la faccia. Avrebbe voluto trovare qualche minuto di pace per poter dormire, per liberare la mente di tutto, ma c’era qualcosa che doveva fare. Si avvicinò al tavolo e tirò a sé il cassetto. Estrasse con cura un libro nero, rilegato in pelle, con alcuni caratteri in oro impressi sul frontespizio. Lo aprì lentamente. Cercò la pagina 117 e iniziò a leggere a voce alta. Sentì le parole rimbombargli nella testa, come se qualcuno gliene stesse ripetendo in una caverna. Sentì la sua mente scivolare prima in uno stato di confusione e poi una sorta di assopimento cerebrale. Si alzò.
Sentì i suoi passi lontani, sempre più lontani. Aprì l’armadio. Spostò meccanicamente alcune camicie, un pacco di libri e finalmente le sue mani afferrarono l’unica cosa che in quel periodo gli dava sicurezza ...la sua ascia.
L’alzò verso la lampadina fioca e il bagliore che scaturì dalla lama affilatissima lo riempì di coraggio e determinazione. Si infilò il cappotto e la nascose sotto di esso. Cercò ancora una borsa di pelle e ne controllò il contenuto. Uscì.
Nel corridoio incrociò un vecchio che lo guardò stupito. In effetti lui stesso si sentiva strano, assente. Vide davanti a sé il corridoio lunghissimo. Ebbe un momento di sbandamento. Che cosa stava facendo? Dove stava andando?
Durò solo pochi istanti. Poi la sua mente fu di nuovo invasa da immagini e suoni: un uomo con una tunica nera stava squarciando la gola ad un caprone. Vide il sangue. Sentì la preghiera: "ABU LABEL NOT SI KARAM SI TU NIBEL..." .
Iniziò allora a ripetere l’unica parola che conosceva in quel momento: MORTE!!

Indietro - MainPage  - Avanti

© Claudio Pellegrino - © 1998 ARPANet. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
La violazione del copyright e/o la copia illecita del materiale riprodotto in queste pagine, la diffusione non autorizzata dello stesso in qualunque forma contravviene alle normative vigenti sui diritti d'autore e sul copyright.
Per inserire i tuoi testi nel sito ARPANet, clicca qui!