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UN UOMO NEL BUIO
di: Claudio Pellegrino


CAPITOLO DECIMO

II
 

Johnny Carson pagò il conto senza troppa convinzione, sia per la qualità delle pietanze, sia per la qualità della serata stessa. Aveva desiderato tanto poter passare una serata con Mary, ma il fatto di aver raggiunto il risultato lo aveva svuotato e demotivato. Era stata una cena scialba, caratterizzata da una conversazione formale e fredda. Pagò il conto per dovere: se quel gesto fosse dipeso dalla simpatia di Mary se la sarebbe pagata lei la cena, anzi...avrebbe dovuto pagare anche la sua! Lei si alzò e si diresse verso la toilette per rinfrescarsi un po'. Johnny, rimasto solo, si chiese serio: "E adesso cosa dovrei fare? Chiederle se vuole venire a prendere un drink da me, come da copione?" Era combattuto: se fosse riuscito, per una volta a ragionare con la testa la risposta non poteva che essere negativa: se la serata era andata in malora, punto e basta. Ma quando aveva un bicchiere in più la sua mente vagava sconclusionata per lande desolate e la parte meno nobile del suo corpo saliva in cattedra e dettava legge. Ergo ci avrebbe provato. Avrebbe dovuto solo pronunciare la frase di circostanza: "Dove andiamo a finire la stupenda serata, da me o da te?" Lei avrebbe risposto: "Uh ma come corri!!". Lui allora avrebbe optato per una discoteca: "Scherzavo. Ti và di andare a ballare? Conosco un posto veramente carino!". Lei avrebbe accettato. Lì avrebbero preso un drink, avrebbe provato a baciarla e lei ci sarebbe stata. Sarebbe stato dolce con lei, due carezze, qualche complimento falso ma efficace e infine sarebbero finiti a letto a casa sua. Era nauseato da queste ipocrisie.
Si sentiva squallido e vuoto. Avrebbe dovuto disprezzarsi ma la sua mente era ancora in giro. In cattedra c’era ancora lui, il giocattolo preferito da tutte le donne con cui aveva recitato quel copione. Mai una donna, prima o dopo, gli aveva chiesto che cosa pensava quando era solo e cosa provava quando il suo letto tornava vuoto e freddo, nonostante il calore dell’amore appena consumato. Era come se fosse drogato: voleva smettere ma non ci riusciva. Sapeva che ogni volta che entrava nel suo letto con una donna pressoché sconosciuta una piccola parte della sua anima veniva distrutta, avvicinandolo sempre più alle condizioni di una bestia in calore.
Eppure tre giorni prima aveva conosciuto Mary e la prima cosa che aveva pensato era stata: "Questa prima o poi me la faccio!". Era una sicurezza acquisita in decine di circostanze, D’altra parte lui sapeva solo fare due cose: soldi e sesso. Avrebbe dovuto essere contento perchè erano due delle tre cose considerate più importanti dalla massa.
Finalmente Mary arrivò. Era una donna strana: la sua bellezza era molto fine, delicata e soprattutto non ostentata. Era completamente diversa dalle precedenti: senz’altro più intelligente e matura. Comunque, nonostante la velata stima che sentiva provare per lei, iniziò la rappresentazione, replicata decine di volte con successo:
"Dove andiamo a finire la stupenda serata?"
Lei non rispose subito e nella mente di Johnny si accese una lampadina d’allarme. Forse qualcosa stava andando storto.
"Sinceramente, secondo te è stata così stupenda la serata?"
Lui si sentì mancare. Era la prima volta che una donna a quella domanda rispondeva con una domanda così diretta. Richiamò la sua mente che finalmente arrivò e scacciò chi si era instaurato sul trono da qualche minuto. Ma neanche lei riuscì a fare meglio: Johnny non riusciva a costruire una risposta. È come se gli avesse chiesto "Secondo te è bello che domani sia Domenica?". Non era una domanda da farsi: la serata era stata come doveva essere. Avevano mangiato discretamente, lui aveva pagato e adesso avrebbero scopato, rimaneva solo da decidere se prima o dopo: Era andata come tutti e due avevano voluto che andasse. O no?
Forse lei aveva accettato il suo invito per puro opportunismo? No, gli parve assurda quella ipotesi. Aveva forse accettato perchè...si stava interessando a lui come uomo e non come toro da monta? No, assurdo anche questo. La fissò intensamente e lesse qualcosa di diverso in quei suoi grandi occhi verdi: determinazione, profondità, intelligenza. Adesso ne era sicuro: non era andata a cena con lui solo per andarci a letto, anzi probabilmente quella opportunità non l’aveva neppure presa in considerazione. E fu così che al di là di ogni previsione lui a quella domanda rispose semplicemente:
"No, non è stata affatto una bella serata."
"Appunto. Quindi per favore accompagnami a casa"
Prese la sua borsetta e fece per alzarsi. Si sentì terribilmente attratto da Mary: afferrò il suo braccio e la invitò a sedersi ancora un po'. Non poteva lasciar andar via così l’unica donna che aveva avuto il pregio e la fantasia di cambiare il solito ammuffito copione.
"Mary, fammi capire. Perchè non è stata una bella serata?"
Era sinceramente interessato alla sua risposta, come se da essa dipendesse la sua vita futura.
Mary si rilassò: così andava meglio. Le piaceva quell’uomo ma c’erano alcune cose di lui che doveva assolutamente comprendere e pareva che lui volesse darle una mano. Quindi, perchè non dargli un’altra possibilità?. Gli rispose con calma:
"Vedi Johnny, a parte la qualità della cena, è stata una serata disgustosa. Penso di aver capito il perchè di questo invito: a te interessa solo ciò che io ho in mezzo alle gambe e basta. Questa cena non era certo un modo per conoscerci meglio ma solo un modo per far passare il tempo che ci separava dal tuo letto. Saresti stato più onesto se me lo avessi chiesto e basta."
Lui restò senza parole. Lei stava aspettando la sua replica. Johnny non era in grado di fare un ragionamento valido che confutasse la sua tesi. Era occupato a far tornare normale la salivazione che era praticamente azzerata. Poi improvvisamente capitolò: la sua fu una resa senza condizioni:
"Hai ragione Mary, ti chiedo scusa. Sono mortificato"
Non riuscì più a sostenere il suo sguardo. Capì, per la prima volta, che non sempre una donna andava in estasi per le sue stupende serate. Capì anche un’altra cosa che lo spaventò a morte: Mary poteva essere la persona che aveva sempre sperato di trovare ma che non aveva mai cercato. Fu immensamente felice di averla trattenuta: aveva avuto inconsciamente paura di perderla e il suo istinto per una volta lo aveva guidato bene. Mantenne comunque la sua dignità: non continuò a cospargersi il capo di cenere e rialzò finalmente lo sguardo. La vide sorridere. Provò un calore intenso, nel profondo del cuore. Forse il suo letto non sarebbe più stato vuoto e freddo. Avrebbe voluto parlare con lei tutta la notte...ma si rese conto che quella serata era meglio farla finire e basta. Ce ne sarebbe stata un’altra, forse.
"Mary, ti posso rivedere domani?"
Aspettò la risposta con il cuore in gola, ma la risposta non arrivò:
"Mi accompagni a casa, per favore?"
"Certo, come vuoi"
Si alzarono. Johnny salutò il mette complimentandosi con lui per la cena squisita. Mentì, naturalmente, anche se benedì in cuor suo quel ristorante. Forse aveva capito qualcosa, seduto a quel tavolo.
Il tragitto in auto fu pesante. Nessuno dei due parlò. Fortunatamente lo stereo ruppe quel silenzio imbarazzato. Johnny sperava ancora in una sua risposta affermativa. Fermò la Cadillac di fronte all’entrata del palazzo.
"Allora, Mary, ti posso rivedere domani?"
"Non lo so. Ti telefono in mattinata, O.k.?"
Lo guardò sorridendo. Pareva aspettasse qualcosa, ma lui era ormai troppo insicuro per tentare di baciarla. Sorrise anche lui, ma in modo ebete. Si sentì un idiota, uno studentello al primo appuntamento. Quella donna in tre ore lo aveva trasformato da play boy a impacciato uomo di mezza età. Pazzesco. Seppe solo dire "O.K." ma poi aggiunse, quasi per darsi ancora una possibilità:
"Telefonami in ogni caso. Buonanotte"
"Buonanotte e...grazie per la stupenda serata!"
Johnny fu profondamente ferito. Ma la sua vergogna durò solo qualche istante. Mary sorrise e lo baciò innocentemente sulla guancia. Aprì la portiera e in un attimo fu nell’androne del palazzo. Lui restò inebetito, inebriato dalle sensazioni che quel bacio aveva risvegliato. Poi guardò l’orologio. Era tardi, ma girò ancora in macchina per un po': doveva per forza prolungare quel piacere intenso che gli stava scaldando il cuore. Svoltò a caso per una strada secondaria. Avrebbe avuto piacere di parlare con qualcuno per condividere la gioia che stava provando. Era ormai da qualche minuto che guidava rilassato, ascoltando Prince, quando vide un uomo sul marciapiede più avanti che gli faceva cenno di fermarsi. Il primo impulso fu di tirare dritto. Ma, mentre si avvicinava, poté osservarlo meglio e notò che non aveva affatto l’aspetto di uno dei teppisti che si impadronivano della notte. Gli parve un uomo distinto, anzi un giovane distinto. Quella sera la vita gli sorrideva, era positivo, si sentiva positivo, avrebbe abbracciato il mondo.
Inoltre Johnny Carson leggeva solo i quotidiani finanziari, snobbava le pagine di sport, cronaca, cronaca nera: per lui la setta delle tre croci non era altro che una montatura per screditare il sindaco, suo ex compagno di college. Quindi accostò.
Il giovane pareva molto scosso. Lasciò la Cadillac con il motore acceso e si avvicinò all’individuo.
"Ehi, amico, hai qualche problema? Ti posso aiutare?"
Non ci risposta, o meglio , non ci fu una risposta comprensibile. Stava sussurrando qualcosa. Carson non riuscì a sentire perchè l’uomo aveva il capo chinato e il mento appoggiato sul petto.
Pensò: "È ubriaco", ma quando finalmente alzò la testa capì dai suoi occhi che non l’alcool ma qualcosa di ben più tremendo si era impadronito di lui.
Come spesso accade, il tempo che passò tra la formulazione del pensiero e la sua realizzazione pratica risultò fatale.
Johnny realizzò che doveva assolutamente andarsene, ma le sue gambe non si mossero subito. Quando l’impulso cerebrale arrivò alle sue terminazioni nervose era ormai troppo tardi.
Il giovane, con una mossa fulminea, gli afferrò i capelli e gli sbatté la faccia contro il muro. Johnny riuscì ancora a pensare: "Cosa mi sta succedendo?". Poi arrivò il secondo colpo che gli spezzò due denti e gli spappolò il naso. Poi il terzo colpo che gli frantumò la mandibola. Poi il quarto che trasformò la faccia di Carter in una massa informe e sanguinolenta. Finalmente svenne. Il buio calò pietosamente sulla disperazione e sul dolore, privandolo dell’ultimo atto di quella tremenda tragedia: l’epilogo.
Il giovane scostò la faccia di Johnny dalla parete dell’edificio, si chinò sul suo collo e con un morso feroce gli strappò il pomo d’Adamo. Il sacrificio era compiuto.  

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Buio, ancora buio e poi il freddo intenso e intrigante, sinuoso, crudele in una notte eterna e assoluta, senza luna, senza stelle. Il nulla. Il letto perse consistenza sotto il peso del suo corpo esausto e rigido.
Poi venne il caldo soffocante, il suo respiro divenne affannoso e irregolare. Rivoli di sudore gli percorsero le guance, scivolarono lungo il collo, lungo il torace fremente, lungo le braccia distese sulla calda coperta di lana, fino alle mani serrate. Continuò a sudare per minuti eterni come secoli. Alla fine anche il sangue rappreso sulla bocca, le guance e il mento iniziò a staccarsi dalla pelle bagnata. Erano passate quattro ore dal sacrificio, ma la sua mente non voleva ritornare al suo posto: continua a vagare.
Solo. Era solo. Si sentiva solo, si sentiva...un puntino in un mare di odio, ingiustificato e assurdo. Riusciva solo a capire, nella confusione dei suoi pensieri, che c’era qualcosa più potente di lui che lo aveva guidato nella notte, in giro per le fredde strade della città. Una cosa però non riusciva proprio a capire: che cosa aveva fatto? Venne il torpore: sperò in cuor suo di non svegliarsi più.
Finalmente venne il sonno liberatore.
Fuori, il vento tagliente spazzò via le ultime testarde nuvole. La luna poté finalmente illuminare la città addormentata. Il termometro scivolò sotto i quindici gradi sotto zero. Quella notte altri tre barboni persero ciò che rimaneva della loro stiracchiata e stentata vita.

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