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Il guardiano del modello
di: Luciano Gemme


Benvenuti.

Questo è, naturalmente, un romanzo di fantascienza. Ma è anche qualcosa di più. Per prima cosa è stato pensato per un supporto diverso dalla solita carta: la memoria di un calcolatore. Chi di voi sta utilizzando la versione sotto Windows (c) sa già di cosa sto parlando. Le icone con cui termina questa presentazione permettono di accedere agli schedari, oltre che al libro vero e proprio. Infatti questi schedari rappresentano un approfondimento del libro stesso. Per fare un esempio, il più "voluminoso" di questi contiene le spiegazioni delle parole sottolineate (ne abbiamo già incontrata una: icona). Chi sa cosa significa, bene, altrimenti è possibile saperlo, senza per questo appesantire la stesura del testo o lasciare nel dubbio i lettori. Spero che questo permetta di, se non insegnare, almeno chiarire le idee a chi si "ostina" a leggere fantascienza senza avere qualche laurea! Così la parte degli approfondimenti permette di avere una visione più dettagliata della società che immagino o della sua tecnologia. Fino ad oggi ho scritto solo su argomenti tecnici, ed è per questo, forse, che ho pensato di impostare in questo modo il libro. Va detto inoltre che TUTTE le invenzioni e le tecniche informatiche che qui presento sono, o già realtà o oggetti di studi o perfettamente plausibili alla luce di quanto si sa oggigiorno. Un'ultima cosa, per chi utilizza la "versione cartacea": visto che non è ancora possibile scrivere libri ipertestuali troverete questi schedari sotto forma di appendici al termine del romanzo. Arrivederci.

SEZIONE PRIMA

ANTEFATTO

La figura avanza lentamente e cautamente per il corridoio fiocamente illuminato. Ai suoi occhi giungono le luci di sporadiche torce che illuminano con i loro riflessi rossastri la cupa volta, i muri ed il pavimento, in pesante pietra rozzamentre squadrata.
La testa si muove a destra e a sinistra, mentre i suoi occhi gli trasmettono un'immagine leggermente ondeggiante. Ciò accresce ancora di più il senso di cupo mistero che aleggiava sulla scena e che acuisce la sua tensione.
Passando di fronte ad un polveroso specchio, la figura si vede rifressa: un guerriero dell'età medioevale, col volto ed il corpo in parte nascosti sotto una lucente armatura. Del volto sono visibili solo gli occhi: freddi, profondi, decisi. Occhi di chi è deciso a portare a compimento il proprio dovere.
La mano brandisce un'ampia spada, su cui si riflette sanguignamente la luce rossastra delle torce.
Accompagnata dal rimbombare dei propri passi e dal rauco ansimare del proprio respiro sotto la celata abbassata, la figura si ferma come in attesa di qualcosa.
Il corridio descrive in quel punto una brusca curva, un gomito, che nasconde alla vista quel che potrebbe celarsi a pochi metri di distanza.
La figura parla, apparentemente a se stessa:
"Adesso ci sono le due guardie, giusto?"
"Esatto" risponde una voce che proveniente dal nulla, cosa che non turba minimamente la figura armata, come se il fenomeno le fosse del tutto familiare.
"E poi" continua la voce disincarnata, "devi affrettarti verso le scale, perché i rumori della lotta richiameranno altre guardie.
Il guerriero alza la spada, ponendola in posizone d'attacco. poi, repentinamente, gira l'angolo, mentre la spada descrive un lungo semicerchio lucente.
Semicerchio che termina esattamente sul collo della prima guardia, la quale, dopo aver emesso un rantolo, si accascia sul pavimento. La seconda guardia sguaina la spada, mandando un ruggito di rabbia. La sua spada si muove veloce, ma viene fermata da una precisa parata del nostro guerriero.
Ma la guardia continua a muovere l'arma, con la perizia di un professionista. Un glangore metallico accompagna l'impatto della lama sulla cotta metallica.
Ora però la guardia si è scoperta e il misterioso guerriero riesce a colpirla d'infilata. La guardia crolla al suolo, a pochi passi dalla prima.
"Presto, corri !" interviene la voce.
"Ho preso un colpo! Non riesco più a muovere il braccio sinistro!"
La figura, con un braccio rigido lungo il fianco, inizia a correre in direzione di una ampia scalinata.
Dietro di lui si iniziano ad udire voci concitate ed un gran trapestio affrettato.
Un'erculea guardia che stava facendo il suo solito giro di ronda, ode le grida e i rumori di lotta. Svoltato un angolo di corsa, si trova alle spalle di una figura che sta allontanandosi con passo veloce ma traballante. Un intruso, sicuramente: la forma dell'armatura non è tra quelle note.
Il guerriero è già arrivato ai primi gradini quando la vista gli diventa rossa e poi nera. Un istante dopo la sua figura si abbatte sulle scale, con una lunga freccia profondamente conficcata nella schiena.
A questo punto la figura scompare, un'istante dopo un'altro guerriero, perfettamente identico al precedente, appare nello stesso punto, ma ergendosi in piedi, in piena forma. Il nuovo arrivato si mette subito a correre per le scale, saltando i gradini a due a due.
Giunto ad un nuovo corridoio continua a correre, poi, svoltato a sinistra si arresta di fronte ad un muro di pietre grezze.
"Non dirmelo, voglio arrivarci da solo!" La figura inizia a tastare le pietre, apparentemente a caso. Poi, notata una torcia lì vicino, la afferra con entrambe le mani.
In risposta a quel gesto, una sezione del muro ruota su se stessa, rivelando una specie di scivolo che sparisce in basso, nel buio.
"Devo entrare lì dentro? è buio, può esserci qualsiasi cosa!"
"Non ti preoccupare. Non ci sono più pericoli fino al drago di guardia alla cella. Però attento che lo scivolo termina all'improvviso".
Mentre l'eterea voce lo istruisce, il personaggio si è issato all'interno dello scivolo e, reggendo alta la torcia, si lascia scivolare verso il buio.
Al guerriero pare di sprofondare per un'eternità. Le pareti, prima di mattoni, poi in pietra ed infine di terra, scorrono ai lati della visuale a folle velocità.
Poi, improvvisamente, lo scivolo termina a parecchi metri di altezza, su un'ampia sala da cui si dipartono alcune porte o corridoi. Una di queste porte, la più grossa, è in realtà un'inferriata che dà su quelle che evidentemente sono le segrete del castello stesso.
La figura, grazie ad un secco colpo di reni, cade perfettamente in piedi, e, a dispetto della violenza dell'impatto, non ha altra conseguenza che quella di ritrovarsi accovacciato.
Subito dopo il suo sguardo viene attirato dall'enorme figura che lo attende, mentre le orecchie si riempiono di un ululato spaventoso. Il drago, lungo parecchi metri e con la coda che saetta nella penombra, si era accorto immediatamente dell'intrusione e si era mosso per affrontarla, con la calma e l'indolenza di chi si sente sicuro della propria forza.
"Para la prima zampata con la spada, e poi prendi la seconda Pietra del Potere!"
La voce, questa volta, giunge troppo tardi: il guerriero ha appena il tempo di sollevare la spada che un artiglio lo agguanta in pieno, mandandolo a schiantarsi sul muro.
La figura, anzichè dissolversi, si trasforma in uno scheletro ghignante, mentre una musica cupa e rimbombante pervade l'ambiente.

I

Paul Kalensky non attese la fine della musica che annunciava il suo, ennesimo, fallimento nel risolvere l'adventure. L'aveva già sentita troppe volte, quella maledetta musichetta, perché potesse ancora stupirlo la perfezione della sintesi sonora multitraccia così avvolgente da dare la netta sensazione di trovarsi all'interno di un'orchesta.
Inoltre, quella musica accompagnava ogni prova, che invariabilmente terminava con la prematura morte del suo personaggio.
Si tolse, certo non senza stizza, i due Data Glove dalle mani ed il non recentissimo ma perfettamente funzionale casco 3D (ormai li fanno leggeri come cappellini da basket, ma si sa come sono le Facoltà: hanno le macchine migliori, tutti gli accessi alla Rete che si vuole, e poi, magari, fai fatica a trovare delle olo in quantità decenti). La fretta con cui si tolse gli strumenti-abito e l'espressione sconvolta del suo volto, la dicevano lunga su come si sentisse.
Mentre riprendeva fiato, gli occhi, leggermente arrossati per il super stimolo visivo subito, tornavano a mettere a fuoco l'ambiente circostante. Era un classico, famigliare cubicolo (chiamarlo ufficio era troppo pretenzioso) adibito a posto di lavoro; tipico degli istituti di ricerca informatica. L'arredamento, le pareti a divisori e il pavimento in laminato plastico trasmettevano un' idea di asettico e di ordinato.
I ricercatori, dal canto loro, ce la mettevano tutta per riempire quell'ordine che era nelle intenzioni di tutti i progettisti di istituti di ricerca avanzata, del classico disordine da "dottorato attivo".
Carte, libri, riviste, addirittura qualche pocket console erano abilmente sparsi ovunque. Pile di fogli, ormai stratificati e databili per periodi geologici. A questo proposito una battuta ricorrente, quando si doveva cercare qualcosa in quelle pile, era che si doveva ricorrere ad un carotaggio preliminare.
Fuori dalla porta del cubicolo si stendevano lunghi corridoi illuminati dalla luce fredda del neon. Ancora più oltre si stendeva l'isola urbana di Newport, le cui luci iniziavano ad accendersi. E questo evidenziava ancora di più che sotto la luce del Sole come era disposta la conurbazione di Big York. Un insieme di isole abitative, di paesi e paesotti, tutti con il loro parco, il loro piccolo centro commerciale. Tutti uniti dall'inestricabile ragnatela dei trasporti pubblici (le strade per i mezzi privati si dipartivano quasi tutte verso l'esterno, a cosa serviva spostarsi dentro la città con una vettura privata?) e, naturalmente, da un'ancora più inestricabile ragnatela telematica.
"Io, queste Adventure in Realtà Virtuale finiranno per uccidermi" Il respiro era ancora corto e le mani gli tremavano vistosamente " come diavolo fai a terminare un'inferno come questo?".
Antonio Jodari sorrise debolmente. Il sorriso un po' stereotipato era tipico della parte orientale del suo corredo genetico.
"Il tuo problema è che ti lasci troppo coinvolgere, questi giochi ti sconvolgono realmente. Tutti quelli che ho visto entrare in un SimulSpazio sembrano perdere completamente la ragione"
"Tranne te, ovviamente" Kalensky, ancora scosso per l'esperienza, non se la sentiva troppo di sorbirsi le prediche dell'amico. Inoltre la sua presunta ascendenza scozzese lo portava ad essere piuttosto irascibile. In realtà, per lui come per praticamente tutti gli abitanti di questa specie di nuova età dell'oro, la cosa era più che altro una moda: ritrovare le proprie origini, in mezzo al variegato calderone multirazziale che era già e che stava diventando sempre più la società, e giocare ad adattarsi al modo di vestirsi, comportarsi e di essere che si ritiene tipico di una certa razza o gruppo etnico.
La moda seguiva, naturalmente, questa tendenza e nessuno si stupiva certo di vedere in giro ragazze in kimono o in simil-chador (magari terminante in una minigonna) o attempati signori in kilt.
Questo gioco, ovviamente, funzionava perché al di là dei propri antenati si era tutti dell'Alleanza Nord e ci si riconosceva come tali.
Il resto del mondo era tutt'altra cosa.
Comunque, che fosse simulata o autentica, in Jodari, la pedanteria orientaleggiante era presente, come ben sapeva il suo amico.
"Certo, perché io non mi faccio fregare. Quello che vedi e senti là dentro non è reale, per bello che sia da un punto di vista estetico. So come funziona, so che è scritto in un qualche linguaggio di programmazione e che in realtà è fatto da comandi eseguiti su qualche decina di processori"
"Il nuovo della True-IBM, il Parossisma, arriva a 2 milioni di processori" disse l'altro, più che altro per farsi sentire; come se non sapesse già la risposta.
"decine o milioni non c'entra, il fatto è che io combatto contro il programma o contro qualche simul-vita, che comunque è sempre nata da un programma e quindi può essere abbastanza prevista. Non mi lascio invischiare all'interno del loro mondo per combattere ad armi pari. Io rimango fuori e quindi, per me, confrontarmi con loro è come giocare a nascondino con un abitante di Flatlandia."
"Primo: la fai troppo facile. D'accordo che come conoscenza informatica io sono una schiappa al tuo confronto, professore, però.
"Paul utilizzava il titolo accademico dell'altro praticamente solo per sfotterlo amichevolmente, sapeva bene della scarsa importanza che il suo amico dava a queste cose.
"Secondo, così si perde tutto il bello, io voglio battermi ad armi pari contro i personaggi che vivono là dentro!"
"Ma tu vuoi giocare o vincere?" chiese Antonio, a bella posta per suscitare la reazione dell'altro.
Infatti non lo pensava veramente: la sua idea era di giocare, sì, ad armi pari, ma ad un altro gioco: quello tra la sua intelligenza e quella di tutti i progettisti del gioco messi assieme.
"E comunque" aggiunse "per terminare il tuo discorso sul numero di processori, da quando la Remote Procedure Pass and Call (o RP2C) è diventata una cosa normale, in pratica ci si batte contro tutto il Modello!"
"Facile per te. Sei stato in pratica tu ad aver formalizzato i metodi alla base delle odierne RP2C. Non mi stupirei se ci avessi lasciato qualche backdoor..." non aveva resistito a dirlo, anche se sapeva che, nonostante la frase fosse stata detta con tono scherzoso, avrebbe ferito il suo amico.
"Ancora! Lo sai quanto odio questo discorso, lo sai benissimo che ho iniziato come Hacker, ma che da quasi dieci anni sono qui, in questa bella Università, con il miglior materiale a disposizione e carta bianca nelle mie ricerche" La sua ostentata calma si era impercettibilmente ma visibilmente incrinata.
"E non me ne frega niente se metà di quei teppisti mi considera ancora una specie di mito. Io non ero uno di loro! Non ho mai danneggiato nessuno, almeno direttamente. Facevo quel che facevo perché era l'unico modo, allora, che avevo di succhiare la potenza di calcolo che mi serviva per seguire le mie idee. E sono state queste, e non la mia abilità ad entrare nei sistemi altrui, ad aprirmi la porta della Ricerca Pura".
Kalensky udì tutte quelle maiuscole e decise che aveva esagerato. Inoltre doveva ammettere che, quando ci andavano di mezzo altri, Antonio si era sempre fermato. Non aveva avuto scrupoli ad attingere dati o ad impossessarsi di risorse di calcolo, nè ad alterare la contabilità degli accessi, così da non pagare, in pratica, quasi nulla. Però lo aveva sempre fatto in modo elegante, pulito.
"Hai ragione, ti chiedo scusa. Piuttosto, hai già preparato i bagagli?"
Paul era orgoglioso di avere come amico un tipo come Jodari. Pur con tutti i suoi difetti, era senza dubbio una persona eccezionale, probabilmente un genio. Un genio naturale che si era fatto strada nella vita e nel complicato mondo universitario nonostante le sue origini accademiche non fossero delle più ortodosse.
Ma soprattutto era orgoglioso di essere l'unico che riusciva a staccare Antonio, sia pur per poco tempo, dai suoi computer. "Domani si parte: una settimana di aria pura e di vita da trapper!"
"Lo sai che, oltre che per tutto quel che è computer, dividiamo questa passione per quel poco di Natura che è rimasto, però.."
Antonio assunse per un attimo un'espressione che fece temere al suo amico che avesse intenzione di mandare tutto a monte.
"Però ?" ribattè Paul con finta ferocia.
"però niente. Il fatto è che ho una cosa in ballo e sai come sono quando ho in testa qualcosa. ma una settimana non solo mi farà bene al fisico, ma staccare un po' mi permetterà di vedere le cose da un'angolazione migliore"
"Molto giusto e molto orientale modo di vedeLe le cose" Rise Paul tirandosi gli angoli degli occhi con le dita.
"Ohh e piantala, piuttosto stavo pensando che se mi dessi una mano, potrei finire una cosa prima di domani mattina. Mentre facevi lo scemo, mi è venuta in mente una cosa".
"Maledizione, ti conosco troppo bene. Quel luccichio negli occhi significa che non riuscirò a schiodarti di qui finchè non avrai ottenuto quel che volevi. Va bè, frena e spiegami tutto dall'inizio, se vuoi avere la benche minima speranza di un aiuto da parte mia"
Fuori, il cielo estivo andava virando verso il blu oltremare. La Facoltà era immersa in un parco all'orientale (come ormai era una consuetudine in parecchie università) e la sagoma di un ginepro cinese, talmente curato da sembrare un enorme bonsai si stagliava sull'ultimo sprazzo di cielo rosato. Alcune sagome umane, rese irriconoscibili dalla sera stavano passando sopra un ponticello. Paul si concesse un leggero sorriso.
Essere dei genialoidi comporta qualche privilegio. Gente come Antonio veniva pagata appunto perché seguisse le sue idee. E gente come me, continuò tra sè e sè Kalensky, era pagata perché mettesse ordine nelle idee di questi altri.
A quanto pare le ferie occorre ancora guadagnarsele un pochino. Al lavoro, dunque.

II

"L'idea base è questa". La sua voce esprimeva una certa baldanza, la stessa che devono aver avuto, pensava, i grandi scienziati del passato quando avevano rivelato per la prima volta le loro idee o scoperte.
Chissà se i vari Einstein e Von Neumann avevano un amico, pensava, Senti, ho avuto un idea, E=mc2, cosa ti sembra?
"Sto cercando d realizzare una rete neurale che riesca ad adattarsi all'ambiente e che sintetizzi questa sua evoluzione in un codice genetico tale da permettere alla rete stessa di ricrearsi in un altro luogo. Ecco, ti faccio vedere degli studi di crescita..."
"Va bè, mi sembra un bel campo di ricerca, anche se non ti nascondo che mi sembra quasi impossibile, però non mi sembra il caso.."
Mentre parlava, come per dare più peso alle sue parole, prese una lattina di birra (sintetica, ovvio, non è che di luppolo ce ne sia più tanto, in giro) e l'aprì. Il discorso sembrava chiuso. Stavolta stai esagerando con le tue manie, non riuscirai a rovinarmi la nostra settimana di vita "selvaggia".
Il sorriso di Jodari si allargò in maniera quasi insopportabile "Aspetta: la parte interessante è che ho deciso di utilizzare come brodo di coltura il Modello stesso. Sto realizzando un essere che si evolva e si adatti a crescere tra gli oggetti del Modello e che riesca ad inviare delle spore attraverso la Rete per trasferirsi da un sistema all'altro"
"Frena, frena! " Paul ora lo guardava con gli occhi sbarrati, la lattina di birra a mezz'aria "triggerati sulla portante più bassa e rientra in trama. Per prima cosa, Cristo di un Byte, cosa può servire una cosa simile? A me puzza terribilmente di super virus. Quel virus infestante che nemmeno Dark Avenger II era riusciro a realizzare. Non hai paura che ti sbattano via una volta per tutte dalla Facolta? Lo sai a quanti non vai giù e che vorrebbero vederti col culo per terra."
Paul si concesse di prendere fiato. Poi continuò "Inoltre, sono veramente curioso di vedere come puoi pensare di riuscire a codificare geneticamente una struttura di crescita così complessa. Byte selvaggi!" Ma mentre pronunciava queste parole, una parte della sua mente aveva già inziato a lavorare, affascinata dal problema in sè.
"Tieni presente " Antonio aveva deciso di rincarare la dose " che la nuova rete deve CRESCERE e adattarsi al nuovo ambiente, esplorarlo, capirlo. E tenere i contatti con la struttura madre".
"Come, tenere i contatti?" Kalensky, che già stava cercando di immaginarsi un qualche sistema di codifica per una simile rete, stavolta decise di berla, quella birra. O sei completamente fuori trama oppure, stavolta, è la volta che ti eleggiamo genio.
"Calma," In realtà Antonio si divertiva un mondo a provocare quelle reazioni nell'amico, anche se, a volte, aveva l'impressione che l'altro esagerasse a bella posta. Comunque la sua vera o presunta incredulità e, soprattutto, la capacità innata che aveva di vedere i problemi da tutta un'altra angolazione rispetto alla sua, un modo di vedere più accademico e posato, gli era già stato di enorme aiuto. Molti articoli avevano portato la firma di entrambi: l'idea di Jodari e il perfezionamento di Paul. E poi, scozzese o no, è bravo "quasi" quanto me.
"A parte il fatto che per ora è ricerca pura, un impiego potrebbe essere un super Sistema Operativo. Un sistema che, attraverso il Modello e sfruttandone l'incredibile varietà di oggetti, riesce ad entrare in tutti i sistemi e legarli fra loro. La realizzazione di un sistema realmente e totalmente distribuito. Un sistema che si auto aggiorni, auto modifichi..."
Antonio si accorse che si stava scaldando. Guardando negli occhi Kalensky che nel frattenpo aveva afferrato la lattina a due mani, per evitare che finisse travolta dall'entusiasmo dell'amico, si mise a ridere, calmandosi.
"Tranquillo, lo sai che il Modello è troppo corazzato. Questo non è un virus e non potrà mai esserlo, in quanto non si nasconde, ma naviga tranquillamente alla luce del sole. Per quel che riguarda gli scopi, sta a noi educarlo a modo. Per ora mi sono solo interessato della parte accrescitiva"
"Ancora non ci credo!" Non era vero.
"Attualmente è in crescita proprio qui e proprio ora, vuoi vederli, adesso, quei studi di crescita?"
"E me lo chiedi, e voglio anche vedere questo dannato bastardo, a proposito come si chiama? Ti conosco, so che ha già un nome" Antonio sorrise nuovamente, questa volta come un padre che distribuisce i confetti per il battesimo del figlio "Negli appunti per la pubblicazione l'ho indicato come MIENN, che sta per Model Intrusive Enhanced Neural Network."
"Orribile. Sa troppo di tesi di laurea, comunque per gli articoli è adattissimo. Per i giornalisti, dovremo trovare qualcosa d'altro. A noi due, Mostro Senza Nome!"
"Bè andiamoci piano, ti vedo, sai? Stai già vedendoti alla TriVi, intervistato da Don Ackett."
"Ah si?, non dirmi che al Nobel in Telematica, non ci hai mai pensato, bugiardo di un cinese !" Antonio si limitò a sorridere.
Paul, come già aveva sospettato, ora era sicuro che non sarebbe tornato a casa e che avrebbero passato buona parte della notte in bianco. E che domani sarebbero partiti per le foreste del Nord con le occhiaie e con troppi caffè in corpo, se non con una o due compresse di BioStimolina.
O almeno sperava.
Di partire, non di prendere la Bio.

INTERLUDIO I

Il corpulento soldato si guarda intorno, perplesso. Guardare non è proprio il termine esatto. Diciamo che percepisce degli stimoli a cui dà valore di mondo.
Tutto è tenebre. Non che non ci siano stimoli. Ma la guardia non riesce ad interpretarli correttamente.
Un'attimo prima, il castello, con le sue scale, i suoi corridoi ben noti anche se non sono mai stati percorsi in precedenza. E anche con uno scopo ben preciso: fare la ronda e attaccare tutti gli intrusi.
Ed era proprio questo che aveva appena terminato di fare. La famigliare ronda, la guardia non saprebbe dire per quanto tempo fosse continuata. Poi i rumori, immediatamente identificati come lotta, la corsa verso la fonte dei rumori. L'identificazione dell'intruso. E il preciso tiro con l'arco che l'aveva eliminato. Semplice, preciso. Tutto era stato fatto come andava.
Poi la ripresa della ronda.
Ed ora, tutto è scomparso. Niente corridoi, niente arco, niente castello.
Analisi. Io (nome puramente simbolico di autoriferimento di questa entità senziente) esisto. Questo è un fatto. Sono a conoscenza che mi si indica col nome di Guardiano. Ho una memoria. Fatto accertato anche questo. Analisi dei dati disponibili nella memoria. Ho delle conoscenze espresse per mezzo di fatti. Molte fanno riferimento a percezioni esterne che non esistono più. Risultato: sono inutilizzabili.
Considerazione: occorre utilizzare quei fatti o conoscenze insite nella struttura più generiche.
Considerazione ulteriore: chi sono io? Non sono i fatti, perché li posso analizzare. Non sono il mondo, perché lo posso percepire. Tentativo di analisi. Errato. Non posso analizzare me stesso. Contraddizione. Nuova analisi.
Risultato: posso descrivere i limiti di me stesso. Come? Possibile risposta: con un intervento esterno. Risposta non certa. Accantonata. Ritornare su domanda principale.
Sono una guardia, in servizio in un castello. Ho un compito. Distruggere gli estranei.
Richiesta di precisazione: i termini non hanno senso, sono collegati a conoscenze fattuali, inutilizzabili nella situazione attuale.
Domanda: noi siamo qualcosa? Noi esistiamo, ma non ci eravamo posti il problema. Dovremmo.
Chi siamo, siamo entità diverse dall'entità guardia?
Possibile risposta: SI, perché riusciamo ad analizzare l'entità guardia.
Possibile risposta: NO, perché non possiamo autodefinirci se non in termini della guardia. Conosciamo i fatti conosciuti dall'entità guardia, anche se non li comprendiamo, e li possiamo analizzare.
Dilemma.
Analisi del dilemma. Questo nasce dall'aver accettato il fatto che un essere IO non può analizzare se stesso come fatto. Tentativo di risoluzione: assumere falso il fatto in questione.
Risultato: NOI siamo la mente dell'essere chiamato guardia. IO/NOI abbiamo un compito: PERLUSTRARE IL CASTELLO E DISTRUGGERE GLI INTRUSI.
Problema: come fare per adempiere al compito?

III

Le due ragazze sono perfettamente identiche.
E sono bellissime: un perfetto caschetto di capelli neri, un nasino all'insù e l'espressione civettuola, un corpo alto e snello, forse un tantino troppo magro.
E sono completamente nude. Siedono in pose identiche ai due lati del grande letto, sorridenti, sembra stiano studiando l'uomo che siede anch'egli sul letto, la schiena appoggiata alla testiera.
Attendono ancora un po' di tempo, quasi per giocare con la sua impazienza. Poi si muovono, sempre all'unisono. Si avvicinano e iniziano ad accarezzarlo, dividendosi i compiti con fare esperto.
"Pedro, mondo disfatto!, emergi. C'e bisogno di te" La voce era maschile e, chiaramente, era aliena all'idilliaca scena. Le ragazze si ritraggono, con una smorfia di finto risentimento.
Poi scompaiono.
Pedro do Santo Jorge aprì pesantemente e faticosamente gli occhi e cercò di dirigere uno sguardo di fuoco sul suo disturbatore. A dire il vero anche solo cercare di mettere a fuoco qualsiasi cosa era già un impresa. Le sue iridi mandavano riflessi metallici e ne uscivano due sottilissimi fili che andavano a terminare da qualche parte dietro la console. Il modello era quello classico, super-compatibile, preferito dagli Hacker di mezzo mondo per la facilità che presentava ad essere espanso ed ampliato.
Il messicano non aveva bisogno, comunque, di guardare, per sapere chi gli aveva interrotto il divertimento. "Stronzo di un WASP, Williams, proprio adesso, dovevi arrivare? Lo sai come sono queste simul-vite virtuali. Ora si saranno offese e dovrò scusarmi con loro per averle attivate e poi mandate in bianco".
"Non dire cretinate" Jack Williams era alto e magro, con una faccia lentigginosa e sembrava molto più giovane della sua eta. Anche l'espressione faceva pensare ad una timidezza che non corrispondeva alla realtà. Jack aveva da tempo imparato che, in molti casi, poteva essere estremamente vantaggioso farsi passare per un ragazzone troppo cresciuto e un po' imbranato.
"Piuttosto, tu, mi sono chiesto un sacco di volte come fai a resistere con quegli aggeggi negli occhi".
Pedro si concesse un mezzo sogghigno "Gli stimolatori retinici sono davvero il massimo. Ti fanno entrare nel SimulSpazio come niente altro." Il sorriso si allargò un pochino "Naturalmente se uno è abbastanza uomo da sopportarli" Certo che tu, tutto camicia e capelli inbrillantinati non ti ci vedo proprio. Pedro avrebbe voluto appesantire la punzecchiatura, ma si fermò, accorgendosi dell'espressione, fattasi di totale disgusto, dell'altro.
Seguì lo sguardo impietrito di Jack fino alla cerniera dei suoi jeans tagliati al ginocchio: era aperta e alcuni fili spuntavano da un grumo di plastica dall'aspetto molto artigianale.
"Ci a duezeta.., aspetta un attimo" Quel poco di decoro che gli era rimasto gli impose di girarsi dall'altra parte.
Il nuovo arrivato utilizzò quei pochi istanti mentre l'ispanico si sistemava, dandogli le spalle, per valutare inconsciamente la scena. Una stanzetta piuttosto sporca, un unico mobile, un tavolino, ingombro, oltre che della console per collegarsi alla Rete, di una bottiglia di un qualche liquore spagnolo dall'etichetta illeggibile e di fogli e foglietti. Fogli, riviste e libri coprivano anche buona parte del pavimento. E sull'unica sedia, scricchiolante sotto il peso che doveva reggere, un personaggio alla Pancho Villa, che sembrava pronto per recitare il ruolo de "il brutto" in un qualche film western.
Non lasciarti prendere dalle apparenze, pensò. Jack sapeva che sotto quei lunghi riccioli che avevano bisogno di uno shampoo c'era uno dei migliori wetware che si poteva trovare. Un hacker della peggior specie, un genio totalmente privo di senso morale.
La morale l'aveva persa da tempo anche Williams: tecnico mediocre, era diventato hacker per gioco, un po' così, per fare qualcosa. Poi, quella sera, qualcuno, forse Pedro (no, sarà stato quell'altro, che poi aveva chiesto l'aiuto di Pedro), aveva scoperto un angolo buio, inaccessibile e sconosciuto nella Rete. Un posto che sembrava in grado di respingere ogni attacco, non poteva non tentarci. Poveri sciocchi.
Eravamo in una stanza, non molto dissimile da questa, Pedro (che faceva quasi tutto), io (che cercavo di emularlo e di mettermi in mostra) e quella coppia di CyberPunk che guardava Pedro come fosse una divinità.
Più passava il tempo e più ti agitavi, vecchio grassone, avevi del pubblico ai tuoi piedi e ti toccava fare una brutta figura. Infatti era già quasi l'alba e ancora non eravamo riusciti a penetrare che i primi di chissà quanti sbarramenti; i più tremendi ICE e lucchetti elettronici che avessimo mai visto.
Decidemmo di andarcene, anche perché cominciavamo a temere che il nostro genio qui, desse fuori di testa. Pedro quasi non ci saluta, continuava a fissare il terminale in preda ad una sorda rabbia a mala pena repressa.
Poco dopo, due tizi, vestito classico e dimensioni da armadio, mi invitano (caldamente) a salire in macchina con loro. E già lì, comincio a vedere sbarre nel mio futuro per molti anni a venire. Non mi portano al commissariato, come pensavo. In realtà mi sono subito accorto che quei tizi non sembrano normali poliziotti, ma non oso, nemmeno tra me e me, formulare ipotesi. Imbocchiamo la rampa che porta fuori dall'Isola dove abitiamo e dove c'è il nostro Club e dove quindi si è appena conclusa la nostra inconcludente seduta di scassinamento elettronico. Dalla mia posizione, schiacciato fra i due tipi, riesco appena ad intravedere i comandi dell'auto, e, purtroppo, la mappa sul cruscotto non rientra nel mio campo visivo(so che deve esserci, c'è in tutte le vetture. Questa, però, non l'ho mai vista, dev'essere un allestimento speciale). Così, non potendo capire dove stiamo andando, guardo il panorama.
La nostra è un Isola non particolarmente brutta, abbastanza degradata da poter fornire rifugio a gente come Pedro, nel contempo ancora abbastanza decente da permettere a gente come il sottoscritto di condurre all'apparenza una vita normale. Le case ci sono, le fabbriche anche, i ladri anche loro. C'è tutto.
In effetti fa piuttosto impressione vederla dall'alto, anzi, fa impressione vederla dal di fuori e basta. Uno si abitua al posto ed è difficile che si esca. In fondo, nella Rete c'è tutto quello che serve e gli spostamenti fisici stanno diventando sempre più rari, anche all'interno della stessa conurbazione.
Il mio umore però non mi permette di gustare appieno il panorama; se non andiamo dalla Polizia (la cui sede è, ovviamente, nell'Isola stessa) significa che: uno) questi, definitivamente, non sono poliziotti, due) questa volta abbiamo pestato i piedi a qualcosa di grosso.
Penso, ormai l'idea della prigione comincia a sembrarmi fin troppo ottimista. L'unica consolazione è il fatto che se avessero voluto farmi sparire non ci sarebbe stato bisogno di questa gita. Magra consolazione.
Le cose sono peggiorate ancora quando ho capito qual'è la destinazione: l'Isola governativa di New Washington (a proposito, anche la mia Isola ha un nome, ma non lo si usa quasi mai, per i suoi abitanti è l'Isola e basta), una splendida collinetta verde di prati e irta di aculei di acciaio e sim-vetro. Eleganti strutture tensoplastiche (probabilmente musei o sale convegni) spuntano qua e là, come enormi ragnatele bagnate dalla rugiada.
è indubbiamente una vista bellissima. Ma in quel momento, per me, è la vista dell'inferno stesso per le implicazioni che comporta. Rete boia, a chi diavolo abbiamo rotto le scatole? Al governo stesso ?
Poi la vettura, silenziosamente, si infila in un piccolo edificio, di qui una rampa ci porta direttamente nei meandri della montagna. Una breve corsa rischiarata dalle luci alle pareti della galleria, poi ci fermiamo e con la stessa cortesia e loquacità di prima ("Scenda, prego") i miei carcerieri (è ovvio che di carcerieri si tratti, se non peggio) mi guidano in un dedalo di corridoi lindi e asettici. Il posto è decisamente bellino, potrebbe essere un qualsiasi palazzo governativo, forse la sede dell'Esercito, uno di quei posti dove i militari cercano di presentare ai civili la loro facciata di classe, da albergo di prima categoria.
Ma due dettagli mi sprofondano ulteriormente nel più cupo terrore. Nessuno stemma, nessuna scritta tranne anonimi nomi sulle porte. Non sono militari, loro adorano stemmi, araldi, scudi e simili. Nessuna guardia, nessun apparente controllo di sicurezza. Diavolo, questa gente è tanto segreta da non usare nomi nemmeno a casa loro, e , quel che è peggio, tanto potente da non aver bisogno di proteggersi.
Le mie più cupe previsioni si rivelano fondate quando mi trovo di fronte a quel nero. Uno di quei tipi che sono in divisa anche in jeans e maglietta. Capelli corti, sguardo duro ma con un ombra di paternalismo. Il nome sulla targhetta della scrivania è talmente falso da risultare persino ridicolo.
Ora il carcere mi sembra decisamente l'ultimo dei problemi.
Inizia con una ramanzina sul fatto che abbiamo violato un luogo informatico Top Secret, nonostante tutti gli avvertimenti. Che ciò è contro la legge, che non è bello, che siamo stati molto biricchini e così via.
Sembra uno zio che stesse cercando di far ragionare il nipotino dispettoso. A questo punto, al terrore inizia a farsi strada una sorta di curiosità. Al tempo stesso una vaga speranza, che quasi non ho il coraggio di confessare nemmeno a me stesso.
Poi arriva al punto: mi rivela che "loro" sanno benissimo chi eravamo, cosa facevamo e così via. E che si erano subito accorti di quel che stavamo facendo. Il suo tono di voce si è fatto sempre più concilante. Mi riprendo, ora ne sono sicuro: c'è dell'altro. Quel tizio vuole qualcosa da noi. E capisco che il tutto è una sorta di presentazione, un biglietto da visita per farmi capire chi sono, cosa possono fare se solo lo vogliono.
Diavolo, se ci sono riusciti bene!
Il girarsi di Pedro riportò alla realtà Williams. Una mano terminava di alzare la cerniera, mentre l'altra gettava, con noncuranza, un ammasso ovoidale di fili e micro-operatori in un cassetto aperto. Jack vide che l'altro stava iniziando a scollegare i due stimolatori retinici, che già gli stavano procurando un fastidioso affaticamento ai bulbi oculari. "Tientele, quelle cose sugl'occhi già che ce li hai già sù, ti serviranno".
E iniziò a spiegare: come il suo socio ben sapeva, l'ordine era di tenere d'occhio Jodari. "Quel bastardo" interloquì Pedro. Jack ignorò l'ovvia interruzione. "Grazie ai nostri amici, possiamo dare un'occhiata a quel che combina alla Facoltà" Pedro si chiese mentalmente per l'ennesima volta, qual'era la reale potenza dei suoi protettori, per permettere loro di arrivare fin dentro il sistema di Jodari (uno dei maggiori geni nel campo) e per di più all'interno della sezione Ricerche Avanzate dell'Università.
"Ecco" stava intanto continuando Jack "quando ho visto questa roba ho pensato che avresti dovuto essere informato subito" mentre pronunciava queste parole, aveva iniziato a trafficare con la console.
Pedro sorrise fra se all'ammissione di superiorità appena espressa dal suo socio, (lo sai, eh, chi dei due ha la testa migliore) e, mentre l'altro muoveva rapido le dita e cantilenava sottovoce i comandi in direzione del computer, fu il suo turno di lasciarsi andare ai ricordi.
Non lo volevo con me, quel damerino, ma la scoperta era di quei due, me li ricordo bene. Una coppia di CyberPunk, lui magro e giovane, lei ancora più magra e ancora più giovane. Chissà perché non mi ricordo di aver visto un solo Cyber grasso o vecchio.
E loro insistevano, erano tutti un "dai, prendilo con noi, è così ma è in gamba, te lo assicuro. E poi quel posto è veramente tremendo, avrai bisogno di un altro aiutante" "Per me è stregato" aveva aggiunto la ragazza, facendo tintinnare i numerosi ciondoli. E così mi sono lasciato reggere, con l'intenzione di dare una bella lezione a quel tipo.
E invece la lezione l'ho avuta io, dannazione, praticamente l'unica volta che un sistema mi resiste, e deve proprio trovarsi questo tipo da Harward nei paraggi. Sogghignava in un modo, pareva si divertisse: "Ahi, ahi, ti hanno beccato di nuovo", "Nooo, così svegli i loro cani da guardia", "Dai, dai, oh, peccato!". L'avrei strozzato.
Poi, la sera dopo, me ne stavo lì al solito bar, a far venire tardi sparando inutilate con un tizio, e sperando di non vederti più. E invece te ne entri nel bar, ordini qualcosa che bevi in un fiato, e poi mi raggiungi e mi chiedi, con quel vocino da frocetto che ti ritrovi, di parlarmi in privato. Maledizione, tutto il bar avrà pensato che fossi il mio ragazzo!
Diavolo, ti avrei mandato a quel paese, ma eri di un agitato che spaventava, sembravi sul punto di crollare. Solo dopo ho imparato che tu sembri sempre agitato.
Comunque mi racconti tutta la storiella dei tizi, della macchina e soprattutto del finale. Quello che avevamo passato era una specie di esame. Anzi, ci hanno perfino fatto i complimenti, nessuno prima era riuscito a penetrare fino a quel punto. E adesso, volenti o meno, eravamo al servizio del Governo, dei Servizi Segreti, della Yakuza o di tutti questi messi insieme, chi lo sa!?. Chiunque fossero ci avevano per le dicotiledoni, ma ci avrebbero lasciati in pace, anzi ci avrebbero coperti e aiutati, a patto di aiutarli a loro volta. Un sogno!
Mi svegliai presto: i due Cyber, loro non lo sapevano, ma, evidentemente, non facevano parte dell'accordo: lei fu investita da un auto qualche giorno dopo, lui fu trovato pieno di robaccia, overdose dettata dal dolore, fu il verdetto ufficiale.
Chiunque fosse questa Agenzia (ne hanno di fantasia, da quelle parti. Mentalmente Pedro soggnignò) non voleva testimoni.
I contatti, invece, li ha sempre tenuti questo maledetto damerino.
Quella gente, si vede, vuole vedere faccine bianche ben rasate.
Ogni tanto cambiano metodo, neanche poi tanto, devono essere dannatamente protetti e sicuri di loro. Ma sempre con lui.
Dannazione, non so neanche che faccia abbiano.
Certo, da quel giorno mi devo sciroppare l'amico bianco, ma che mi frega: assieme ai "suggerimenti" su dove indirizzare le nostre intenzioni (parliamoci chiaro: su cosa spiare, falsificare, distruggere e divertimenti vari) mi porta anche degli attrezzi da scasso software che neanche osavo immaginare esistessero. Inoltre da quel giorno, misteriosamente (oh, che strano!), la polizia non si è più fatta viva.
E dire che sono una loro "vecchia conoscenza" come dicono gli sbirri. Altro che vecchia, Caramba, c'è un'intera olopiastrina tutta su di me!
I ricordi del Do Santo vennero spazzati via da un'ondata in piena: l'attivazione del contatto in Rete da parte di Jack riempì la camera di finestre multicolori, diagrammi, solidi geometrici che roteavano, alcuni lentamente, come trascinati da una corrente pigra, altri veloci e traballanti, come sotto l'azione di invisibili rapide. Il dump del sistema di Antonio Jodari.
Pedro impiegò appena qualche istante più del solito, per riprendersi. "Cos'è quell'ammasso bulboso" indicava verso una zona tra il tavolo e uno scaffale. Jack senza gli stimolatori aveva solo una visione ridotta, rimpicciolita, dentro il cubo luminescente dell'immagine olografica che sovrasta la console. Non fece caso a dove puntava il dito del messicano "Se intendi quella specie di cancro scuro, è la più maledettamente intelligente rete neurale che sia mai stata pensata" l'occasione era così ghiotta che poteva ben permettersi di mandare a quel paese la grammatica "e si sta ancora evolvendo. Guarda, questi sono appunti che danno un idea di quel che sta combinando il nostro cinesino".
Mentre ascoltava, Pedro vide una delle finestre avanzare e fermarsi davanti a lui, come un poster post-moderno fittamente istoriato di scritte e diagrammi.
Il silenzio scese per qualche secondo, mentre, attorno all'isola immobile degli appunti, la stanza continuava il suo folle carosello.
"Non pensi che ho fatto bene ad avvertirti? Eh?, Loro ci impazziranno, per una cosa come questa" Jack, anche se non gli riusciva facile ammetterlo, ci teneva alla stima di quel tipo. "Sto guardando, sto guardando" Il gigantesco messicano sembrava ancora più grosso, in piedi, l'espressione azzerata e la mente in subbuglio "ma ancora non ci credo" Pedro parlava tra se, sembrava quasi non aver sentito l'altro parlare. Poi alzò lievemente il tono, mentre l'espressione virava verso un ghigno poco rassicurante "Hai fatto stramaledettamente bene, Modello bastardo, ad avvertirmi. Lo sai cos'è questa roba? Mi venisse.." La sua voce stava alterandosi "Questo piccolo bastardo può diventare il più potente, pervasivo virus mai generato! La sua funzione è quella di utilizzare il Modello per replicarsi su tutti i sistemi. Ecco cos'è! Ed è una rete neurale! Mi basterebbe succhiarlo via di li e dargli in pasto la nostra biblioteca in Abstract Syntax Fact piena piena di hacker-trucchi per farne un anti-ICE assolutamente imbattibile. Potremo entrare ovunque, altro che i grimaldelli di quei bastardi" Potrò anche entrare a casa vostra, assassini, e suonarvele ben bene. Ma questo lo pensò solamente. Era una vendetta privata e tale doveva rimanere.
A quelle parole il sorriso soddisfatto di Williams si era spento. Ora stava letteralmente sudando freddo, mentre la voce gli saliva di tono "Ehi, calma! Le nostre istruzioni sono di spiare quel Jodari, non di fregargli roba. Grazie dell'aiuto, quanto prima andrò a riferire quello che abbiamo trovato, e, ti prego, lascia stare, non toccare niente; sai con chi abbiamo a che fare" la frase era terminata con un lamento strozzato
Pedro parve tornare con i piedi per terra "Si, "disse dopo un sospiro " hai ragione, è meglio non rischiare." Mentre parlava finì di togliersi gli stimolatori ed ora si stava alzando per salutare il socio, che mostrava chiari segni di voler lasciare la stanza al più presto.
Jack, con una mano già sulla maniglia della porta (il motel in cui abitava Pedro era talmente infimo che la porta non era, non dico collegata in Rete, ma nemmeno automatica), si fermò per attendere il grosso messicano. Cristo, si fa fatica a trascinarsi dietro tutto quel peso? Pensò, osservando l'evidente sforzo richiesto a Pedro per alzarsi.
Un attimo dopo Pedro gli fu addosso. La vista gli divenne rossa mentre il cervello pareva esplodergli dal dolore. Quando svenne Do Santo lo sorresse senza sforzi con un solo braccio e lo depose sul pavimento. L'altra mano, che fino ad ora era premuta sulla nuca, si rilassò rivelando una frusta. Un aggeggino che emette stimolazioni elettriche a frequenze tali da risultare particolarmente dolorose. Sul sistema nervoso centrale aveva, poi, effetti devastanti, se non era usata da mani esperte.
Per fortuna di Williams, Pedro era un esperto.
"Lo so cosa pensavi. Guarda quel ciccione, quasi non riesce a muoversi, bè, ti sbagli; non sei l'unico che si nasconde dietro un paravento. Tu il faccino da cocco di mamma, io il grasso. Che ci vuoi fare?"
La sparata di Pedro era del tutto inutile, essendo l'altro svenuto. Il messicano lo esaminò attentamente. "Bene, dormirai per qualche ora, e per qualche altra sarai uno straccio completo. Mi spiace, ma stavolta si fa a modo mio. Niente Agenzia. Quell'affare là è troppo potente e lo voglio"
è ormai tardi, pensò, in media i contatti con quelli dell'Agenzia avvenivano nella prima serata, all'ora di punta. Per mescolarsi alla gente. Questo vuol dire che fino a domani sera se non fino al mattino dopo, quei tizi non l'avrebbero cercato. Aveva un sacco di tempo. Anche per un piccolo diversivo.
Questa è la volta che vi fotto tutti. Agenzia. Governo. Mondo intero.
Nella sua mente, però, riapparvero i volti dei due CyberPunk. Com'è che si chiamavano, più?

INTERLUDIO II

Le due ragazze, ora, sono vestite, anche se solo con un leggero completo di biancheria intima, semitrasparente.
I loro bei visini sono atteggiati ad un'espressione tra il divertito e l'imbronciato.
Anche l'uomo, adesso, è vestito: pantaloncini da surf e camicia hawaiana aperta. "Avete visto? Il tizio cattivo se n'è andato e adesso sono di nuovo qui con voi. A dire la verità avrei qualcosa da fare, e anche abbastanza urgente, ma credo di potervi tenere compagnia per un po'".
Le sue parole non sembrano aver modificato l'atteggiamento delle due ragazze che, dopo essersi guardate negli occhi, emettono un rapido risolino. Poi tornano nel loro dignitoso broncio.
Il Guardiano torna a esaminare l'ambiente circostante, a guardarsi attorno, si potrebbe dire. Ha imparato molto, dopo la fusione con l'altro/gli altri. Ha imparato cos'è il Modello (concetto su cui ha attivato un match con il concetto di castello). Ha deciso di autoreferenziarsi utilizzando il nome di Guardiano del Modello.
Ora è qui, in questo castello ancora tutto da esplorare.
Ha percepito (come?) l'aprirsi di un varco, una porta tra dove si trovava prima (e/o si trova ancora, difficile da definire, concetto ancora vago) e, che cosa? Qualcosa d'altro, al di fuori del sistema (match positivo con castello, quindi il qualcosa è un altro castello, oppure un'altra ala dello stesso castello).
Inutile indagare, una delle priorità prevede di fare la ronda, ne consegue che occorre spostarsi. Utilizzando una capacità derivante dall altro essere/gli altri esseri si è rigenerato (altro concetto nebuloso, bassa priorità all'obbiettivo di indagare sul concetto stesso) al di là del varco.
Ora è qui, ma è anche, ancora, là. Riesce a comunicare tra le due parti che compongono il suo essere. L'entità che si trova qui ed ora, ha una priorità: indagare sul secondo termine del COMPITO PRIMARIO, ossia come fare ad individuare e eliminare gl intrusi.
Segnalazione: una parte del suo nuovo corpo neurale ha incontrato un banco di memoria strutturato secondo una forma nota. Il motore inferenziale si attiva e inizia a inglobare le conoscenze contenute nei dati e nelle proposizioni che compongono il Data Base. Appena assorbiti, i fatti e le correlazioni entrano in azione, inscindibilmente incorporate nelle sinapsi. Sinapsi e neuroni che si fanno sempre più avidi di dati e di spazio. Gli stessi nuovi dati che richiedono così tanta memoria insegnano al guardiano come impossessarsi di un sistema e della sua memoria, scavalcaldo le sue difese e disattivando gli aventuali allarmi.
è come se la stessa struttura neurale di cui è composto avesse un brivido: tutto questo sarà molto utile per il COMPITO PRIMARIO. Sì, attraversare i varchi, acquisire il controllo dei vari sistemi, attingere a risorse e memoria a volontà, duplicarsi rimanendo però un'entità unica, come aveva fatto in precedenza. Ora può farlo molto meglio, molto più facilmente. Il castello va esplorato completamente.
Ancora non sa cosa o chi è un intruso, come individuarlo e come colpirlo. Una buona parte della rete neurale che lo compone è costantemente impegnata nel risolvere questo quesito, analizzando e prendendo in considerazioni tutte le ipotesi possibili, scartando quelle dichiaratamente false e assegnando un valore di "possibilità" alle altre.
La scena gli si para improvvisamente d'innanzi. è un nuovo banco di memoria, in cui si è appena intrufolato. Tre figure, strettamente avvinte su quella che individua come una versione più grande delle brande presenti in alcune stanze del castello, quando era soltanto il Guardiano del Castello. E i ricordi da Guardiano entrano in azione. le due figure, quelle esili, gli sono sconoscute, ma la terza, grande e muscolosa, assomiglia notevolmente all'ultimo intruso che ha eliminato.
INTRUSO!
La parola, o meglio il concetto, attraversa il suo doppio corpo etereo in un fulmine.
Ora sa cosa cercare e cosa fare!
Pedro ode appena il grugnito dietro le spalle. Infastidito si volta leggermente. Jack, possibile che ti sia già ripreso? Avrei dovuto legarti. Altro rumore. Caramba. Devo proprio rivedere le mie idee sul tuo conto. Neanchio riuscirei a alzarmi così in fretta dopo quel trattamento.
E lo vede! Una massa di metallo scintillante di due metri d'altezza che brandisce la più massiccia ascia che il messicano abbia mai visto.
Pedro cerca di alzarsi, scostando in maniera brutale le due simul-ragazze. Appena in piedi inizia ad indietreggiare, ammutolito per il terrore, mentre quel coso avanza, brandendo minaccioso l'ascia da guerra.
Poi la cosa cambia. Le varie lamine di metallo lasciano fuoriuscire un immondo ammasso di tentacoli e peduncoli, flaccidi e gocciolanti. E l'orrendo mostro in cui si è trasformato il guerriero medioevale, gruffando spaventosamente, continua ad avanzare.
Il messicano indietreggia, fino a trovarsi chiuso in un angolo, la mente totalmente annichilita per il terrore. Un terrore tale da impedire il formarsi di qualsiasi pensiero cosciente, compreso quello che dovrebbe ricordare all'uomo che quello che sta vedendo, udendo e sentendo è tutta una simulazione e non un accadimento reale.
La cosa lo raggiunge, lo agguanta e lo inviluppa con i suoi tentacoli che, nel frattempo, non hanno smesso di crescere.
è troppo: Mentre i vari apparati sensoriali gli trasmettono un marasma di sensazioni orribili, Pedro urla. Un urlo disperato, inumano, lacerante. L'urlo di una mente che si spegne. E che si arresta solo quando la notevole massa dell'uomo crolla a terra.
L'uomo è ora immobile, il respiro lento e catatonico. Inizia a singhiozzare, un pianto lento e disperato che nasce dalla parte più primitiva del cervello. Dagli occhi scendono due rivoli di sangue mentre le mani, ora immobili, ancora stringono i fili degli stimolatori retinici, nell'ultimo, disperato tentativo di cancellare dagli occhi quella tremenda visione.

InterMondi: Viaggio nel III Millennio

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© Luciano Gemme - © 1998 ARPANet. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
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