AMORE Mom714GG6577-@@START........................ Lodio era immane nei confronti di chi
non poteva comprenderlo ed allora era lì che mi soffermavo
nellattesa di un respiro di troppo, numeri che regolavano
landamento del tempo che non aveva nessun bisogno, non era
qualcosa che potevi manipolare, lui ordinava il ritmo ibrido, non
aveva bisogno di aspettarechequalcunodicessequalcosaperfareinmododifermarlovistocheeralìprontohafartifuoricomeunamerda seccainunenormecatinodiscartidelsistemaormairidottoallapiùtotaleputrefazione. Sorrisi. Mancante. Il ritorno mancante di qualcosa che non esisteva,
o forse esisteva ma non cercavi perchè tanto non esisteva. Voli
intorno a lunghe piattaforme molecolari magnetizzate che
spingevano respingevano con regolarità asfissiante tanto quanto
il battito di un cuore nuovo fiammante urlante di vita
sprigionata da linfa pura. Non mi assoggettavo mai al controllo
che puntualmente mai mi veniva eseguito e potevo proseguire nel
viaggio lungo il folto viale. Ai lati solo distruzione di vite
beate nellozio delle parole e delle risate stupide di
persone molto al di sotto del ciclo continuato e regolato dalle
piattaforme. Ciclo. © Paolo Carta - © 1998 ARPA Publishing. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
di: Paolo Carta
Il lunghissimo viale era illuminato. Non tanto dalle alte
lampade dal colore arancione - giallo lisergico, ma soprattutto
da veicoli che sfrecciavano incuranti del limite di velocità.
Avanzavo velocemente in mezzo al fascio di luce, trasportato dal
suono fuoriuscente dagli altoparlanti, con la mano che sbatteva
sopra il volante, ritmicamente. Non avevo paura di nulla e di
niente sfrecciando sullasfalto che sembrava una via
stellata colma di rifiuti stellari brillanti che non potevano
abbagliare il mio sguardo perso allorizzonte lontanissimo
del viale. Comunicavo.
Un orizzonte tramontante e sempre più cupo quanto più ci
si avvicinava. La notte, la sua discesa era imminente e altre
violenze avrei commesso, senza motivo, celato e imperturbabile
sotto gli occhiali scuri. Violenze di un rosso vivo, molto più
vivo del sangue pulsante nelle vene. Io, vene cariche di odio e
regola. Odio nei confronti di tutto quello che era normale e
morale, legittimo e acquisito, voluto. La mia violenza si
scaricava per ore su cose, persone, animali... incontrollata, mai
nemmeno sfiorata da immagini catodiche di reporter in cerca di
scoop per la rete, per sopravvivere in un lembo di terra, di
spazio ormai ridotto al limite delle possibilità di vita umana.
La carica era la vita solare, ignobile e malsana, ripugnante
cinismo creato da esseri dalle capacità mentali molto al di
sotto dello standard, e lo standard era molto al di sotto del
normale. La normalità, la crisi, la regola... momento di fuga da
un attimo di sobrietà. Normalità.
Lultrasuono, come sempre, mi stordì e fui celermente
pronto. Schermi dettavano gli ordini, impartivano e obbedivi. Era
gratificante. Soddisfacente, fino al lungo viale dellodio e
della fuga da ogni tipo di brutalità. Ossessione di essere
qualcuno o qualcosa passava al momento dellacquisizione del
prodotto, legale e regolarmente venduto, una sorta di smart drug,
molto poco smart. Effetti allucinanti avvolgevano il tutto,
restando completamente cosciente, riconoscendo chi, come e
quando. Ricordando.
Uscii dallo Store, troppa gente da calpestare, martoriare
senza pietà in un attimo di fulgida amnesia carnivora. Il lampo
mi colpì come una rasoiata sui polpastrelli delle mani ricoperte
da guanti farraginosi, uno squarcio di lucidità assurda, veloce
accettabile e mai dolorosa. Lo strumento era lì immobile che mi
fissava, pronto alluso, mi parlava come in un viaggio
digitale multimediale, ma reale, esistente, pulsante. Funzionava.
Rientrai liberando tutto quanto avevo immagazzinato per
troppe ore lontano dal rumore e dalle urla squarcianti di dolore,
urla al limite della sopportazione fisica, da strappare i
timpani, fonderli.
Lune cambiavano colore come se fossero vegetali in una
stagione che mai era comparsa nella storia. Il ritmo della luce
era nettamente superiore a quanto fino a quel momento era in
atto. Il buio ci teneva compagnia come un socio di giochi mai
realizzati e sempre pensanti. Il pensiero era molto più alto di
qualsiasi altra cosa e la parole era bandita oltre che fuori moda
da tempo. Il pensiero comunicava come le sole urla di dolore.
Lestremo combacia perfettamente incatenato al tempo
impassibile. Nessun rimpianto per quanto accaduto, la normalità
era lì, normale... chi non la accettava per buona doveva perire
in un urlo di sangue perduto nel tempo... Regola.
Confusione di tempi ritmati perfettamente da suoni
campionati, in cui niente era fuori regola, tutto ammesso,
violenza sonora. Solo violenza e volevo farne parte integrante.
Ingranaggio.
Essere qualcuno, come pochi altri... ecco perchè non mi
controllavano, facevo bene il mio. Ero tra i primi, nessuno
poteva pensare alla mia alienazione da un mondo ormai comandato
da tempi, archi simmetrici e parabole perfette. Legge.
Categorie gerarchiche annullate dai numeri che
racchiudevano solo due spazi: Più e Meno. Il tempo dettava il
ritmo, non esistevano pause per ripulire lo spazio minimo vitale
rimasto da androidi umani occupanti territori mai conquistati,
sedie numerate non proprietà. Non potevano arrivare a possedere.
Non possiedi, non fai più parte. Meno. Pulizia.
Lo stravolgimento era il ricordo di qualcosa che era
esistito ma non era più. Bruciato da battiti regolari e
incessanti. Tutto era regolato da battiti, regole frattaliche
matematiche, ciclo.
Non potevo non imbattermi nellurlo della violenza,
nel suo incedere semplice, rispettabile e imperativo. Fasci di
luce timbrati. Codici a barre numerici. Protezioni e ordini
crittati. Omologati.
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