AMORE La visione di un cartellone pubblicitario strappato, mi
riportò indietro nel tempo, nel ricordo di luoghi e vedute
distanti negli anni dalla mia mente. Fu particolare il fatto che
solo la vista di una promozione a grande tiratura fece risalire
il pensiero, arrivando alle passate emozioni, le strade, il
traffico, le persone. © Paolo Carta - © 1998 ARPA Publishing. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
di: Paolo Carta
TERZA PARTE
Decisi, senza pensarci troppo, che potevo tornare indietro
nel tempo, non tramite apparecchiature computerizzate virtuali,
ma realmente, materialmente.
Arrivai a la stazione la mattina seguente con una strana
emozione addosso, una semplice voglia di rivedere, rivivere gli
attimi, scoprire il passato vedendolo dal presente. Poche persone
per il treno, mezzo di locomozione ormai obsoleto; tutti si
spostavano con i Rit, autoveicoli e autobus viaggianti in terra
tramite ruote pneumatiche acciaiose tubolari oppure
nellaria come fossero piccoli aerei da città. Molto più conveniente per tutti, visto il risparmio di tempo e di denaro.
Per passare da un tempo ad un altro però pensai fosse adeguato spostarsi in treno, lentamente, osservando la velocità delle cose fuori dagli oblò finestrino. La stazione era terribilmente sporca e lacera più che di rifiuti solidi urbani, di vere e proprie guerriglie architettoniche. Avevano pensato di rendere questi spazi aggiornati ai tempi, variando completamente le strutture interne, rendendole simili a gallerie del vento, amplissime e vuote. La maggior parte della gente non le visitava da tempo, potevano essere considerate dei veri musei della comunicazione. Il mal gusto regnava intorno, tenendo conto che sembrava ci fosse un marasma di persone ad affollarsi per prendere il treno, mentre il tutto era creato tramite effetti sonori, solo per far si che i pochi che si affacciavano allinterno della stessa non si sentissero colpiti dal generale silenzio, mutismo meccanico. Rimasi invece colpito dallopposto tanto che non mi accorsi del treno che
arrivava. Niente vapore o elettricità.
La visione passata del treno che arriva mi balenò in testa
....la gente che si accalca per approfittare dei posti migliori
prima ancora che lo stesso si fermi stridendo. La prospettiva da
binario a binario, lunga; prospettive grigie e marron tra vagone
e vagone con attacchi metallici e neon in lontananza. Le sirene
che annunciavano arrivi e partenze, sonoro simile ad un sax
greve, stonato. Il movimento virtuale della carrozza, rimanendo
però fermi accorgendosi poi che in movimento e il vagone di
fronte, illusione ottica, illusione....!
Il viaggio non fu tanto lungo, tanto quanto bastava per
osservare luscita dalla metropoli, pochi sparuti alberi
velocissimi, il dolce su e giù di linee telefoniche abbandonate, in rovina e non più in funzione.
Lentrata periferica del quartiere.
Il cielo grigio faceva sembrare i prati colmi di
immondizia, non verdi ma distese dai colori pantone. Stessa
immagine della stazione precedente, architettura orribile, niente
di umano. Il quartiere era linfa vitale per la metropoli. Era
strutturato a cerchio a tre livelli: lanello esterno era
scarto, prato estirpato alla natura, rifiuti nocivi industriali,
un bel parco in lontananza, un agglomerato di scorie in primo
piano. Fiumi in piena lo tranciavano, liquido che si perdeva in
fosse somiglianti a laghi artificiali, vere e proprie piscine
radioattive. Non esisteva vita, se non quella dei rifiuti,
immobili, scaricati dallalto di un Rit da trasporto merci
che sorvolava la zona due volte al giorno scaricando quintali di
materiale inorganico. Il secondo cerchio era composto da sole
industrie a doppia faccia, sopra perfette su strutture stupende,
sotto enormi motori pulsanti. La cerchia industriale racchiudeva
completamente, abbracciava il quartiere, lessere umano.
Cosa poteva essere, circonciso tra ammassi di metallo, materia
non più vitale, una parte pensante. Come poteva essere ancora pensante.
Non osai guardare fuori dalla grande porta. Paura di
perdere il poco che rimaneva e sovrascrivere un file già creato, tanto, tanto tempo fa.
La stazione, rumorosa nel suo insieme vuoto, lultima
frontiera. Non oltrepassai la frontiera. Perdere anche il
ricordo, cestinarlo come carta usata male, cellule cerebrali
morte. Il treno, la sua prospettiva lineare, un po curva e
parabolica, mi riportò al presente senza ricordo, con memoria vivida, ma non utilizzabile.
Non erano più connettori meccanici, niente neon.
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