TRADUZIONE IN VINCOLI Le riflessioni di Alberti furono interrotte dal cigolio della porta che si apriva. Entrò una folata di freddo e un uomo in pastrano verde cupo, un cappellaccio floscio calato fino agli occhi, una doppietta in spalla. "Ehi, Werner!", lo salutò allegramente il cameriere, "Com’è andata la caccia?". "Merda!", esclamò quello. Poi il cacciatore, che non era molto loquace, ordinò una birra e si chiuse in un mutismo assoluto. "Alberti, ha ancora la passione della caccia?", chiese Ferri. "Diciamo che ce l’avrei. Non c’ è più tempo, caro Ferri, non c’ è più tempo! Fra un paio d’ anni, chissà, quando sarò in pensione…". "Spero che Lei sia più fortunato di questo tipo qui", disse Ferri moderando la voce e accennando con il capo. "Questo è certo!", rise Alberti, "Anche se, ti dico sinceramente, il piacere della caccia non sono due fagiani nel carniere. Il piacere della caccia non è nella preda, è nella caccia stessa. Alla fine ti mettono tristezza quei quattro passeri che riesci a rimediare, vorresti vederli tornare liberi in cielo. Credimi, il senso della caccia è solo nell’andare a caccia". "Sicché, commissario, avrebbe intenzione di andarsene in pensione?". "Eh, caro Franco, tu sei giovane… Ma per me arriva il tempo di tirare i remi in barca, tempo di bilanci! Basta guardie e ladri. A me piace questo lavoro, ma ho un po’ trascurato la famiglia. Da quando poi è mancata mia moglie… Chissà che non riesca ad occuparmi un po’ di più dei miei figli…". "Cosa fanno, a proposito?". "Adesso sono in viaggio, Paolo in Inghilterra, Maria negli Stati Uniti. Viaggio di istruzione, dicono. Ma loro sono sempre in viaggio. Cercano qualcosa, non sanno neanche loro cosa". "A proposito di viaggio, che dice? Non è il caso di ripartire? Abbiamo ancora una quarantina di chilometri e con queste strade... E poi guardi lì", disse Ferri indicando attraverso la finestra la nuvolaglia lattiginosa, che si espandeva rapida. Ripercorsero la stradina e, circa a metà, Alberti sostò un attimo, ad osservare una vecchia casa scalcinata, in parte rifatta. "Ecco Ferri. Questo è il buco in cui sono nato!", disse Alberti, riprendendo la battuta precedente del suo subalterno, sulla vivacità di quel luogo. "Beh, ma allora ne ha fatta di strada!", disse Ferri, temendo di averlo involontariamente offeso. Che avesse fatto molta strada non c’ era dubbio, ma che senso avesse averla fatta e dove portasse, Alberti se lo chiedeva adesso; come si chiedeva per quale motivo la regista stesse filmando quella catapecchia. Possibile che quella donna, con tutti i guai che l’aspettavano, avesse ancora la freddezza di pensare al suo lavoro? Questa volta fecero salire dietro la donna e Ferri prese posto accanto al commissario. Ripartirono alla volta di Bolzano che anche il pallido barlume di sole si era spento, divorato dalle nubi in espansione. Adesso erano completamente svegli e rinfrancati, Alberti di buon umore e in vena di chiacchiere. "Allora, Franco, a quando le nozze?", chiese. "Fra due settimane. Una bella cerimonia in chiesa e poi via! Per quindici giorni La saluto, caro commissario!". "Dove vai in viaggio di nozze?". "Beh, questo non lo abbiamo ancora deciso. Basta andare via", disse Ferri. "Il senso del viaggio è solo nel viaggiare", aggiunse parafrasando le teorie di Alberti sulla caccia, "Per il resto tutto programmato. Manca solo qualcuno per un buon servizio fotografico". "Non sarà mica un problema questo!". "Eh ma io ci tengo, non è facile trovare qualcuno veramente bravo. Sono cose che rimangono. Poi un giorno, davanti al caminetto, magari alla Sua età…", scherzò Ferri. "No, non è facile trovarne uno bravo. Se la signora qui dietro fosse disponibile…", mormorò quasi tra sé, dimentico della situazione. Ma la signora aveva sentito. "Non penso proprio che sarei la persona adatta, signor Ferri. Io lavoro prevalentemente in bianco e nero". "Ma nessuno ormai lavora in bianco e nero!", esclamò quasi protestando Ferri. "Certo, devo adattarmi. Ma io preferisco sempre il bianco e nero. Il colore distrae, distoglie dall’essenziale. Vede, le mie storie sono tratte dalla realtà. Filmo metri su metri di pellicola. Ma il vero lavoro è poi la sintesi, che esprima il senso di quello che ho ripreso. Allora taglio e taglio, metto insieme e alla fine rimane gran poco. Ma quella è la sintesi". "Ecco Ferri, adesso siamo a posto!", interruppe Alberti, indicando al di là del parabrezza. Cominciava a scendere la prima neve. Proseguirono con prudenza ancora per una ventina di minuti, fino al primo paese che incontrarono. Alberti vide nello specchietto il viso della vecchia, che adesso pareva sofferente. Assassina o no, era pur sempre una persona. "Fermiamoci un attimo, Ferri. Compro il giornale", prese a scusa. Posteggiò dietro un pullman e scesero a lato della piazza, che si animava di persone del luogo, ma anche di qualche turista. C’ era una piccola comitiva di anziani accanto al pullman, guidata da una donna che indicava qualcosa sulla montagna. Parlava in tedesco e poi traduceva in un italiano un po’ impreciso. "Lì è stato Oswald von der Vogelweide, grande poeta del 1200". Guardarono anche loro alla volta del castello a mezza costa. "…e la mia sera è buia, strappato il velo di stelle. Nessuno veglierà sulla mia notte!", "Questa una delle sue poesie più belle", continuava la guida. Alberti andò a prendere un giornale, dall’altro lato della piazza. Tornò che l’Athànatos era impegnata a riprendere qualcosa; evidentemente si era già rinfrancata. Ripartirono, mentre nevicava sempre più forte, col traffico sempre più lento, per via della neve che ormai rendeva pericoloso l’asfalto. Fecero solo cinque o sei chilometri, perché, poco prima di un paesino, le auto rallentarono ulteriormente, procedevano a passo d’uomo, fino a fermarsi del tutto dietro a quelle che sostavano a motore già spento. Alberti si fermò all’incrocio con una ripida stradina che saliva a destra, alle prime case del paese sovrastante. Spense il motore e cercò di capire cosa stesse succedendo. Circa duecento metri più avanti un piccolo crocchio di persone guardava in giù, verso il burrone che fiancheggiava la corsia opposta, si vedeva un’ autogrù in manovra, che occupava tutta la carreggiata, e l’auto grigia del servizio cimiteriale. Un vigile risaliva lentamente la strada, dando ogni tanto qualche spiegazione agli automobilisti fermi. Quando fu vicino lo chiamò, si qualificò e chiese anche lui delucidazioni. Un’ auto era volata giù per il dirupo, le operazioni di recupero si presentavano piuttosto difficili. "Cos’è questa strada?", chiese Alberti, in cerca di una via di uscita. "Come vede è un senso unico, commissario", rispose il vigile, pentendosi subito dell’ironia, "porta a quell’albergo lassù e scende lì, 100 metri più avanti. Non può aggirare l’ingorgo. Può provare a tornare indietro, ma per raggiungere Bolzano deve fare un lungo giro". Alberti lo sapeva benissimo e si rassegnò, sbuffando. Attesero per buoni 40 minuti, uscendo e rientrando dall’auto. Alla fine fecero scendere anche l’Athànatos, che approfittò per riprendere qualche immagine. Poi qualcosa si mosse sul luogo dell’incidente, due uomini scesero dall’auto grigia, ne estrassero la bara, scomparvero dietro il furgoncino che ostruiva la vista, riapparvero con la bara in spalla e la infilarono nell’auto. "Si riparte" disse Alberti, e si affrettò a rientrare in macchina e ad accendere il motore. Ma c’erano ancora problemi per il recupero dell’auto. "Sperava Lei che fosse così, vero commissario?", cercò di scherzare Ferri. In quel mentre gracchiò la radio di bordo. Rispose Ferri, che riferì alla centrale sulla situazione, poi riattaccò scuro in volto. Disse che i funzionari tedeschi aspettavano con impazienza, facessero pure il giro più lungo, ma volevano lì l’Athànatos in manette, entro mezzogiorno. "Ma cosa vogliono questi tedeschi?", sbottò Alberti irritato, "siamo in piedi dalle 5 di questa mattina, siamo a due passi da Bolzano e adesso, secondo loro, dovremmo fare altri 50 chilometri con questa strada? Ma che senso ha tutto questo?". Ferri fece entrare la donna, chiuse la portiera e fece cenno ad Alberti di uscire. "Dicono che è molto pericolosa e di tenerla ammanettata", aggiunse a bassa voce. "Pericolosa quella?", rise Alberti, "il fatto è che sono tedeschi, flessibili come l’acciaio! Faremo di testa nostra. Del resto dovrebbero aver finito laggiù fra poco…". Risalirono in auto e attesero altri dieci minuti. "Mi scusi commissario…", disse ad un tratto la regista, "non vorrei crearle dei fastidi…, ma non mi sento troppo bene". Alberti si girò, osservò quel viso rugoso, che gli sembrò ancor più pallido di prima. Guardò Ferri, ci pensò su un attimo. "Non siamo mica bestie", mormorò tra sé, poi mise in moto l’auto, girò a destra su per la stradina, fino all’albergo. "Signora, Le troveremo qui una camera. Potrà riposarsi per mezz’ora, ma poi dobbiamo proprio andare". Entrarono nella hall, rustica e deserta, Alberti confabulò col proprietario, poi accompagnarono l’Athànatos in una stanza al piano terra. Era una camera singola quasi spoglia, un’ unica gigantografia di un quadro naiv ornava la parete, un volo di uccelli su una campagna primaverile, lussureggiante di colori. Alberti si fermò a contemplarlo per qualche secondo. "Si riposi, signora. La chiameremo tra poco". Alberti e Ferri andarono nella sala ristorante. Di lì si dominavano, da un’ampia vetrata ad angolo, i dintorni dell’albergo e si vedeva la situazione del traffico sulla statale sottostante. Bevvero qualcosa di caldo, parlarono del più e del meno. "Di dov’è la tua futura moglie?", chiese Alberti a un certo punto. "Non è di qui, è di Padova", rispose Ferri, con gli occhi che improvvisamente gli brillavano, "Da queste parti c’è stata poche volte, di solito vado a trovarla io. Adesso è qui, in casa di mia madre per una settimana, per i preparativi… Va pazza per lo strudel", aggiunse guardando fuori, verso il paese a qualche centinaio di metri". "Ho capito, ho capito Ferri. Vai a comprare lo strudel per la mogliettina! Qui basto io", disse Alberti comprendendo al volo. Rimase solo, guardò Ferri che si allontanava sgambettando sotto la neve, allegro come un ragazzino. "Vai, Ferri, vai. Prendi tutto il dolce che puoi. Ce n’è così poco nella vita…", pensò tra sé. Gli venne in mente sua moglie, nel sorriso della foto giovanile, e poi il sorriso dei figli bambini, e quello di lui con i capelli ancora neri. Ma il sapore di fondo era quello amaro, di chi fa un inventario di cose perdute. Si riscosse e si girò a guardare verso la statale. Avevano finito il recupero e adesso lo scarso traffico scorreva regolare, anche se la neve scendeva a falde sempre più larghe. Si girò e si trovò improvvisamente di fronte l’Athànatos, con la sua cinepresa a tracolla, decisamente rinfrancata. "Sono pronta, commissario. Non vorrei approfittare della Sua cortesia", e si sedette di fronte a lui, deponendo sul tavolo il suo strumento di lavoro. "Dobbiamo aspettare Ferri", rispose Alberti, "ne approfitti per riposarsi ancora un po’. In venti minuti saremo a Bolzano, neve o non neve". L’Athànatos non se lo fece ripetere e si allontanò col suo passo claudicante, lasciando sul tavolo la cinepresa. Alberti osservò allontanarsi quella donna enigmatica, poi non seppe resistere alla tentazione. Prese in mano la cinepresa, la studiò per qualche minuto. Poi appoggiò l’occhio all’oculare e premette il tasto verde. Dentro c’erano immagini in bianco e nero, in rapida successione, e dalla piccola uscita audio poteva riconoscere delle voci. Lì dentro c’era la sua casa natale e la sua voce. "Questo è il buco in cui sono nato! ", si sentì dire. "Ma allora ne ha fatta di strada!", diceva Ferri. Poi un breve rettilineo di strada coperta di neve, poche persone l’attraversarono in fretta, quindi la ripresa da lontano, i due uomini del servizio cimiteriale, con la bara in spalla, la sua voce e quella del vigile: "Cos’è questa strada?", "Come vede è un senso unico, commissario". "Ma che senso ha tutto questo?", "Il senso del viaggio è solo nel viaggiare", rispondeva Ferri. Poi l’immagine della primavera del quadro naiv, l’unica a colori, splendida. "Sperava Lei che fosse così, vero commissario?", diceva ancora Ferri. Quindi buio completo e la voce della guida: "…e la mia sera è buia, strappato il velo di stelle. Nessuno veglierà sulla mia notte!" Infine la voce fuori campo dell’Athànatos stessa: "E’ poco, ma è tutto qui. Questa è la sintesi del suo viaggio terreno, caro commissario. O dovrei piuttosto dire mio caro Mario? Perché oggi tu sarai al mio fianco, mio triste sposo". "Che scherzi sono questi!", disse a voce alta Alberti. Si precipitò nella camera dell’Athànatos, ma non la trovò. "Mi ha fregato!", si disse. Poi tornò nella sala, guardò dalla vetrata e la vide lontana, nel bianco della neve, zoppicare nel suo cappotto scuro lungo la statale. "Non andrai lontana!", disse precipitandosi all’auto. Scese veloce, imboccò la statale, la vide appena al di là della curva. Ma la neve aveva livellato tutto, nascosto i paracarri e il burrone in un biancore uniforme. Gli apparve al di là della curva, ma come dritta davanti a lui, come librata nell’aria. Fu del tutto inutile frenare, e Alberti la seguì. Nel nulla. © Loris Dalla Rosa - © 1998 ARPA Publishing. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.
di: Loris Dalla Rosa
Esibirono il tesserino al portiere di notte, chiesero il numero di camera della vedova Graber, salirono e bussarono alla stanza 66. Attesero una decina di secondi, poi riprovarono, con perentoria energia. Passò ancora qualche secondo, poi la porta si aprì e comparve l’anziana signora, in vestaglia nera, un po’ assonnata, ma per nulla sorpresa della presenza dei due poliziotti in borghese. Li fece entrare con un gesto rassegnato della mano, li precedette con passo claudicante, spalancò l’armadio della stanza e si accinse a fare i bagagli. "Signora Graber, Lei è accusata di omicidio plurimo aggravato", l’apostrofò l’agente Ferri, il più giovane, informandola poi, sbrigativamente, dei suoi diritti. "I signori vogliono concedermi gentilmente il tempo di vestirmi?", disse impassibile la signora. Attesero qualche minuto davanti alla camera, poi comparve sulla soglia, in elegante cappotto scuro, depose la valigia e allungò le braccia magre, incrociandole all’altezza dei polsi. "Immagino sia la vostra procedura", disse con calma. Il commissario Alberti le tolse la borsetta di mano e raccolse la valigia, l’agente Ferri l’ammanettò. Sbrigate rapidamente le pendenze con l’albergo, uscirono tenendola sotto braccio e camminando in fretta, incuranti di quella gamba che si trascinava a fatica, la spinsero sul sedile posteriore dell’auto blu, senza tanti complimenti. "Mi favorisca i documenti", disse Alberti, prima di porsi alla guida. Al cenno di lei aprì la borsetta ed estrasse il passaporto, lo controllò per qualche secondo: Alexia Athànatos vedova Graber, nata ad Atene, professione regista; 64 anni, sua coetanea, calcolò. Poi Mario Alberti avviò il motore e affrontò la discesa dell’albergo isolato, mentre albeggiava e i monti più alti, tutt’ intorno, già mostravano le prime nevi di un inverno precoce. Da 1600 scesero fino a quota 1000, in silenzio e di malumore, confluirono nella provinciale. Poi Alberti, che conosceva bene i luoghi, tagliò per la vecchia stradina che portava al primo paese, che già si intravedeva non molto lontano. "Ferri, che ne dici di un buon caffè?". "E’ quello che ci vuole, dopo l’alzataccia…", rispose Ferri, uscendo dal suo mutismo impastato di sonno. Raggiunsero le prime case dai tetti bassi e umidi di guazza, alcune scalcinate e in rovina, altre di recente costruzione, chiaramente adibite ad uso turistico. Alberti guidò con sicurezza per un dedalo di viuzze e raggiunse la piazzetta centrale. Lo conosceva bene quel paese, perché vi era nato. Era troppo presto e il bar non era ancora aperto. Allora spense il motore, stirò le braccia sbadigliando e scese dall’auto per sgranchirsi le gambe. Scese anche Ferri, si svegliarono del tutto all’aria frizzante del mattino, alla luce del pallido sole che sorgeva velato di nebbia. "Sicché, commissario, è nato in questo buco?", scherzò Ferri, guardandosi intorno, "Neanche un caffè a quest’ ora…". "Proviamo da quella parte", rispose Alberti, come illuminato da un improvviso squarcio della memoria, "ma bisogna andare a piedi". "E lei?", disse Ferri, accennando col capo alla donna all’interno dell’auto. Si scambiarono un’ occhiata d’ intesa, "Beh, a quell’età c’è poco da correre…", scherzò Ferri sottovoce, "e poi… con quella gamba dove vuole che scappi?". Poi aprì la portiera, la vide rannicchiata nella sua magrezza, le tremavano le mani scarne, infilate nelle manette troppo larghe, capì che aveva freddo e gli avrebbe fatto pena, se non avesse saputo che era un’ assassina. "Signora, le va un caffè?", si limitò a dirle con tono asciutto. L’aiutò a scendere, prese la chiave e le sciolse le manette. "Signori", disse la donna rompendo il suo mutismo, "visto che siete così gentili, mi permettete di portare con me qualcosa, che è nella valigia?". Ferri guardò Alberti, che rispose con un’ alzata di spalle, aprì il bagagliaio e la valigia, con uno sbuffo d’impazienza. "Ecco, quella per favore...", disse la donna additando la piccola cinepresa nella tasca interna. Ferri controllò l’oggetto, si accertò che non nascondesse insidie e la consegnò alla donna, che se la mise a tracolla. Salirono per una stradina sterrata, guidati da Alberti, fino alla vecchia osteria paesana, che era già aperta. C’ era solo un giovane cameriere, che spolverò in fretta un vecchio tavolino traballante e senza tovaglia, vicino all’entrata. Fecero sedere la donna nell’angolo, di fronte a loro, come a controllarla meglio per istintiva diffidenza, ordinarono caffè e qualcosa per colazione. Rimasero in silenzio per qualche minuto, mentre Alberti si guadava intorno, come smarrito a frugare nella memoria, a riannodare fili da troppo tempo spezzati; ma si capiva che ormai, in quel luogo, era come un pesce fuor d’ acqua. "Sei per caso il figlio di Giovanni?", chiese al cameriere sopraggiunto con i caffè e qualche fetta di pane nero. "Giovanni?", disse quello, dopo un attimo di stupore e alzando gli occhi al cielo, "Giovanni se n’è andato lassù da un pezzo… Sono cinque anni che mio padre ha rilevato il locale". "Dunque anche Giovanni se n’è andato", meditò Alberti, "doveva essere del ’34. Sì, certo! Del resto non è mai stato fortunato nella vita… Mio coetaneo… come questa vecchia, quest’ assassina che mi sta di fronte…". Osservò la donna, che trafficava coi pulsanti della cinepresa. Ne osservò di nascosto il viso emaciato e solcato da profonde rughe, come scolpito nel legno, le occhiaie marcate, i capelli mezzi grigi. Non era mai stata, probabilmente, una bella donna, ma un qualche fascino doveva pure avere ispirato quel profilo sottile, quelle dita lunghe ed ossute, quella fragilità, certo solo apparente. Perché, in realtà, doveva essere una donna gelida e spietata, se aveva assassinato due mariti. Trafficava con la cinepresa, sorseggiava ogni tanto il suo caffè, imperturbabile, con una calma che infine lo irritò. "Che sta facendo con quell’arnese? Non sarebbe meglio se si occupasse della sua coscienza?", sbottò Alberti. La donna alzò lo sguardo, ma non raccolse la provocazione. "Vede, commissario, quest’ arnese, come dice Lei, mi è indispensabile per raccoglie impressioni, materiale per il mio lavoro". "E perché non usa un semplice blocco notes?", intervenne Ferri, con tono tra il curioso e il divertito. "Io non sono una scrittrice, sono una regista. Lavoro con le immagini, immagini e suoni. Vede: uno scrittore scrive, inventa, immagina situazioni che corrispondono a ciò che vuole esprimere, plasma la realtà come vuole, delegando l’immagine al lettore, già impregnata di significato. Io, invece, ho a che fare con le immagine reali, devo tagliarle, cucirle insieme, combinarle… Lei non sa quant’è difficile dare un significato a un’ immagine reale, usando l’immagine stessa! Questo arnese, questo piccolo miracolo della tecnica nipponica, è il mio blocco notes, la mia matita, con cui prendo appunti visivi e sonori". "Ha qualcosa di speciale?", chiese Ferri, improvvisamente interessato. "Come vede, sembra una comune cinepresa, piccola e leggera. Ma è molto sofisticata, ci posso fare di tutto: riprendere, registrare suoni da questo piccolo microfono orientabile, rivedere e riascoltare con questo tasto verde. Ma, soprattutto, posso tagliare immagini e suoni, ricombinarli in sequenze diverse…insomma un vero e proprio piccolo laboratorio di montaggio. Non me ne separo mai e a volte, quando torno da un viaggio, il mio lavoro è già concettualmente fatto, qui dentro". "Ma Lei, cosa fa di preciso?", l’interruppe Ferri. "Produco telefilm, cortometraggi. Attualmente per la televisione tedesca, ma ho lavorato in America e in molti altri paesi del mondo". "Non mi dirà che si è nascosta tra queste montagne e di questa stagione per cercare ispirazione!", intervenne con sarcasmo Alberti, cui non andava a genio la piega del discorso, che rischiava di scivolare verso il confidenziale. "Per quanto possa sembrarle incredibile, commissario, è proprio così!", rispose risentita. "Non sarà, invece, che ha fiutato l’aria che tirava, dopo la morte del suo ultimo marito, e ha pensato bene di sparire per un po’ dalla circolazione? Guardi che può anche parlare liberamente. Ci ha dato parecchio filo da torcere per trovarla, ma a questo punto noi ce ne laviamo le mani. Domani la consegniamo all’Interpol, che la scorterà in Germania". "Ha pagato un sicario per uccidere suo marito, vero? A quanto ho capito il Suo alibi è perfetto", rincarò Ferri. "Non troverete mai il movente", rispose traendo da una tasca una paio di occhiali scuri, inforcandoli a difesa dal riverbero mattutino e dagli sguardi inquisitori dei due poliziotti. "A modo mio volevo bene a mio marito, anche se da tempo vivevamo separati. Era un uomo troppo impegnato nei suoi affari. Era molto ricco e aveva molti nemici. Nel testamento a me non ha lasciato niente. Non troverete mai il movente". "Ma a questo punto è in discussione anche la morte del suo primo marito", incalzò Alberti. "Ah, Vincent… E’ passato tanto tempo... Era molto più giovane di me, un pittore… L’ho trovato una mattina, impiccato alla finestra del bagno, di ritorno da un viaggio di lavoro". "Ma si trattava di vero suicidio?", interloquì Ferri. "Vincent era un depresso, pensava spesso alla morte, la ritrovavi in tutti i suoi quadri. E poi non aveva il becco di un quattrino, lo mantenevo io. Vincent mi ha molto amato… No, non troverete mai un movente". Alberti notò che la donna non negava in modo esplicito i delitti, puntava invece tutto sulla mancanza di un movente. Doveva essere quella la linea di difesa che si era prefissata. Era una donna intelligente e calcolatrice.
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