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Bartolomé Yun Casalilla, Trasformazioni e continuità in Castiglia nel secolo d'oro. Riflessioni per una storia sociale dell'economia


2. b. L'espansione e i suoi squilibri.
Tutto questo è importante per caratterizzare l'espansione del XV e XVI secolo. Tuttavia conviene prendere in considerazione anche una questione spesso dimenticata dalla storiografia del periodo. Le città, l'aristocrazia — radicata nei suoi feudi — e, naturalmente, il clero, avevano grandi responsabilità nel mantenimento dell'ordine sociale o, il che è lo stesso, delle regole basilari sulle quali si reggeva quella società. Nel caso delle prime, tali funzioni erano emerse con piú chiarezza specialmente durante i frequenti conflitti verificatisi nel suo ambito durante il XV secolo, ma erano anche evidenti nella assunzione sempre piú ferma da parte dei comuni di competenze che andavano dall'approvvigionamento all'organizzazione della vita religiosa e che mentre cementavano la coesione sociale, allo stesso tempo cercavano di prevenire problemi di ogni tipo, soddisfacendo nello stesso tempo necessità basilari di una popolazione sempre piú diversa ed eterogenea41. Le signorie nobiliari, unità militari fondamentali, erano anche entità nel cui ambito si creavano e riproducevano forme di legittimazione e di ordinamento della vita collettiva. Esse implicavano alte spese, volte a coprire le necessità militari e di coercizione come quelle legate a forme di legittimazione davanti ai vassalli, realizzate non solo per il mantenimento di clientele locali, ma anche per una politica di mecenatismo, di carità e protezione orientata a mantenere il prestigio del casato, che è la chiave per intendere il processo storico successivo42.

In tal modo, all'interno delle città e delle signorie si manifestavano tendenze opposte al cambiamento e alla preservazione dei rapporti sociali. Se la spesa signorile aveva come uno dei suoi fini la difesa di quella società, l'obbligo dell'espansione della rendita creava anche tensioni dirompenti. Se le città esercitavano un simile ruolo, la loro stessa crescita induceva a tensioni di cambiamento economico e sociale. E tutto ciò era tanto piú pericoloso poiché coincideva con la necessità crescente di fonti di rendita da parte della monarchia e in quanto — come si è detto — l'ampliamento della rendita signorile non solo colpiva quest'ultima, ma radicalizzava ancor piú il suo conflitto con le città, molto interessate alla protezione dei terreni demaniali43. In questa prospettiva, quali effetti ebbe lo sviluppo economico verificatosi durante il XVI secolo?

La continuità dell'espansione agraria fino alla metà del XVI secolo sembra oggi indiscutibile44. Lo dimostrano le cifre dell'evoluzione della popolazione che, complessivamente, aumentò con un tasso progressivo annuale dello 0,59% tra il 1530 e il 159045. Gli indici di urbanizzazione prima riferiti e l'alta proporzione degli attivi impiegati nei settori terziario e secondario di molte citt&agravesono 46 anche sintomi di come quelle che erano lungi dall'essere centri di commercio in un'economia retta esclusivamente sulle regole del mercato contribuivano ad un incipiente cambiamento strutturale che permette di parlare di un certo sviluppo. È evidente inoltre che durante il XVI secolo continui l'ondata espansiva che non riguarda solo il commercio estero ed atlantico in particolare — specialmente sivigliano e burgalese — ma anche il traffico interno; il che dimostra la sopravvivenza di una crescita, normalmente legata all'esportazione di materie prime, che non esprime però in questa la sua logica dominante. Le fiere castigliane, forse negative per uno sviluppo economico interno equilibrato, nella misura in cui servivano all'esportazione di materie prime e incoraggiavano pratiche speculative47, propiziarono tuttavia l'accumulazione di capitali e la formazione di grandi fortune e, oltre agli effetti molto positivi sull'economia regionale della Valle del Duero48, servirono per finanziare imprese industriali a volte anche in aree lontane49. D'altronde — e senza che ciò possa esaurire un tema che qui è impossibile affrontare esaustivamente — è evidente che lo stesso commercio internazionale, al quale sempre si attribuisce la responsabilità dei suoi effetti negativi, è alla base di uno sviluppo bancario, di una diffusione di tecniche commerciali nonché di una mentalità imprenditoriale molto dinamica, come si può constatare nei casi di mercanti di Burgos o di Siviglia50.

Contrariamente a ciò che direbbe Cipolla, l'economia spagnola non solo sembra essere cresciuta ma anche aver creato alcune linee di sviluppo. Questo processo generava in realtà tensioni molto piú complesse di quelle derivate dallo sviluppo di gruppi sociali legati all'industria e al commercio, causando problemi piú complicati che non si spiegano con il concetto braudeliano di « tradimento della borghesia» . In primo luogo è evidente che il gusto della rendita e dell'investimento agricolo fosse qualcosa di connaturato a quella società, dovuto al desiderio di una sponda sicura negli affari cosí come alla coscienza che la terra o le rendite erano sempre una buona fonte di profitto e il privilegio, generalmente legato ad esse, una base di potere e un mezzo di ascesa sociale. Non è strano, ad esempio, provare come già dal XV secolo i mercanti di Burgos investano buona parte delle loro fortune in terre o in prestiti che danno luogo a rendite sulla produzione agricola, senza che ciò presupponga cali del dinamismo imprenditoriale51. Dunque nessun tradimento quando, dal 1560, tale tendenza si accentua.

Tutto era molto piú complicato. Una delle conseguenze dimenticate della crescita economica e dello sviluppo mercantile era l'aumento della ricchezza che sfuggiva alle « ventose» delle economie signorili. Non è che queste, soggette a necessità costanti a causa della dinamica ascendente delle spese signorili, non cercassero di evitarlo. Al contrario, una delle caratteristiche piú significative dei signori castigliani fu l'abilità nell'adattare la struttura della rendita ai nuovi tempi. Ciò si faceva, alcune volte, attraverso imposte sul transito delle mercanzie, spesso strategicamente situate, come succede per esempio con gli Stú&ntildeiga o con i duchi dell'Infantado, che durante il XV secolo avevano controllato passaggi di bestiame e rotte commerciali importanti, consolidando cosí un patrimonio esteso e territorialmente diffuso (si veda la cartina). 52In altre occasioni furono procurati permessi del re per fiere e mercati nelle loro signorie53. E soprattutto, l'aristocrazia otteneva alcabalas(imposte regie sulla compravendita di mercanzie), monopoli di mercati e di mezzi di produzione, come capitava in Andalusia, dove il regime di sfruttamento diretto di grandi proprietà cercava di mantenere la loro quota di profitto sull'espansione del mercato di prodotti agricoli. Il loro stesso peso nelle istituzioni molto legate al traffico di prodotti inseriti nel mercato, come la Mesta, consentiva loro di trasformare in un profitto diretto — e grazie ai privilegi di questa istituzione — un aspetto estremamente dinamico della crescita mercantile castigliana54.

Malgrado tutto è evidente, però, che l'espansione del commercio e dell'industria in città come Segovia, Cordova, Burgos, Toledo o Siviglia, faceva crescere la ricchezza generale ad un ritmo piú veloce di quello dell'espansione della rendita signorile. Per giunta, in alcune aree l'arrendamento di rendite signorili drenava una parte importante delle loro entrate lorde a beneficio dei mercanti o di figure piú modeste55. Le alcabalas, ovvero le partite di rendita che si potevano percepire con piú sicurezza di fronte al mantenimento della rendita signorile, parallelamente allo sviluppo mercantile, si videro stabilizzate a partire dagli anni Trenta, proprio nel momento in cui l'inflazione deteriorava in maniera piú accelerata le loro entrate in contanti. Lo si può evincere dal grafico che indica l'evoluzione delle entrate di alcabalas, tercias e diritti signorili dei duchi dell'Infantado, nella maggior parte delle loro signorie (grafico 1) o della serie delle entrate dei conti di Benavente a Mayorga de Campos56. Non è strano che, in quei casi per i quali si è potuta valutare l'evoluzione delle entrate signorili, si osservino, come minimo, notevoli difficoltà a mantenere il passo con il ritmo dell'inflazione. Tutto ciò dovette riguardare in maniera distinta le diverse famiglie nobiliari, giacché anche la composizione della rendita e le situazioni regionali erano molto differenti57. In ogni caso, e poiché non si tratta solo o sempre di un problema derivato dalla contraddizione tra piccola unità di produzione contadina e la limitata capacità signorile di aumentare la sua partecipazione al prodotto agricolo, è evidente che siamo di fronte a meccanismi piú complessi di quelli descritti da G. Bois nel suo modello per la Normandia e che, successivamente, altri storici hanno tentato di estendere all'Europa del XVI e XVII secolo58.

Non è strano che tanto l'aristocrazia castigliana, quanto quella aragonese o valenciana, iniziò ad avere problemi di tipo finanziario59. Senza dubbio, le cause non si devono ricercare solo nell'ambito delle entrate, né attribuire alla mancanza di interesse o di irrazionalità nella gestione dei loro patrimoni, come tante volte si è indicato. Al contrario, esse affondano le loro radici nelle uscite e nel modo in cui questa ricchezza veniva condizionata dai criteri di amministrazione ai quali conduceva non solo la politica familiare, ma anche l'obbligo di praticare una politica di prestigio, legittimazione e controllo sociale60. Questo era uno dei punti piú deboli nella riproduzione del sistema politico e sociale, curiosamente trascurato nelle spiegazioni abituali delle tensioni di mutamento e continuità.

Anche lo sviluppo mercantile e lo stesso processo espansivo minavano le basi di quella società. Tutti gli storici sembrano d'accordo sul fatto che le differenze sociali ed economiche si vennero approfondendo a partire dal XV secolo, tanto in campagna quanto in città, con le conseguenti tensioni all'interno delle unità di convivenza (comunità rurali e cittadine) che regolavano la vita sociale su scala locale61. Ciò era il frutto dell'impatto differenziato del mercato sulle economie familiari, dell'usurpazione di terre comuni da parte dei poderosos del patriziato urbano, della tendenza al rialzo della rendita della terra, ravvisabile anche nel passaggio all'arrendamento flessibile di terreni fino ad allora ceduti in enfiteusi in cambio di quantità fisse e generalmente basse62. Tutto ciò creava tensioni tanto piú gravi in quanto, durante il XV secolo, questo esercito di poveri e vagabondi aveva partecipato ai progroms e alle insurrezioni urbane, non appena qualsiasi spaccatura nella « società ufficiale» lo avesse permesso63.

In definitiva quella era una società instabile, le cui cellule di convivenza erano obsolete rispetto alla stessa dinamica sociale, e che presentava problemi che arrivarono anche a manifestarsi nell'aggressione alle minoranze etniche e religiose. La cosa ancora piú certa, sebbene durante il regno dei re cattolici tali problemi furono in parte camuffati da un delicato equilibrio di poteri, è che la crisi politica e sociale che si vive tra il 1504 e il 1521 rivela buona parte di queste contraddizioni, sempre con quelle caratteristiche particolari di ciascun regno e di ciascuna località64.


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Bartolomé Yun Casalilla, Trasformazioni e continuità in Castiglia nel secolo d'oro. Riflessioni per una storia sociale dell'economia


41 Come in tutta Europa, la stessa fisionomia del conflitto, quasi sempre estinto grazie all'intervento della nobiltà locale e in particolare dei regidores, e il discorso politico che accompagnava la repressione, sempre basato sul fatto che il disordine costituiva un attentato contro le « leggi di questi regni» , sono chiari esempi della funzione delle città in questo senso e, segnatamente, dell'ordine legale che si pretendeva mantenere. Sui conflitti della Catiglia medievale cfr. A. Mackay, Popular movements and progroms in fifteenth century, in « Past & Present» , 1972, n. 55, pp. 33-67; J. Valdeón, Los conflictos sociales en el reino de Castilla en los siglos XIV y XV, Madrid, 1975.

42 In questo senso, non sorprende che il XV secolo fosse in Castiglia il periodo della costruzione di castelli e fortezze (cfr. D. Cooper, Castillos se&ntildeoriales en la Corona de Castilla, Salamanca, 1991). Si tratta, senza dubbio, di una conseguenza dell'instabilità politica che vive il regno, ma anche delle necessità di mantenimento dell'ordine in signorie sempre piú estese e difficili da controllare. I grandi casati praticavano una politica di legittimazione e prestigio sociale che si fondava sull'appoggio ad attività artistiche, particolarmente evidente durante il regno dei re cattolici (cfr. J. Yarza, Los Reyes Católicos. Paisaje art&iacutestico de una Monarqu&iacutea, Madrid, 1993, specie pp. 221-262) e su fondazioni di patronati e opere pie che si generalizzerà durante l'età moderna.

43 Il tema del confronto con la giurisdizione regia, continuamente usurpata dalla nobiltà, è oggi una delle questioni centrali nell'interpretazione del XV secolo castigliano e costituisce una delle linee di conflitto piú importanti nel movimento comunero. Al riguardo si può vedere S. Halizcer, The comuneros of Castile. The forging of a revolution (1475-1521), Wisconsin, 1981.

44 Si vedano, tra gli altri, E. Fernández de Pinedo, Crecimiento económico y transformaciones sociales del Pa&iacutes Vasco, Madrid, 1974; P. Saavedra, Econom&iacutea, pol&iacutetica y sociedad en Galicia: la provincia de Mondo&ntildeedo, 1480-1830, Madrid, 1985; A. Garc&iacutea Sanz, Desarrollo, cit.; J. López Salazar, Estructuras agrarias y sociedad rural en la Mancha (siglos XVI-XVII) , Ciudad Real, 1986; B. Yun Casalilla, Sobre la transición, cit.; F. Brumont, Paysans de Vieille Castille aux XVIe et XVIIe si&egravecles, Madrid, 1994.

45 J. Nadal, La población espa&ntildeola (siglos XVI a XX), Barcelona, 19942, pp. 74-75.

46 B. Bennassar fu il primo a segnalare questa composizione socio-professionale delle città della Vecchia Castiglia nonché a descrivere come durante il XVI secolo si verifichi già nella Valle del Duero una certa specializzazione urbana ( Valladolid au si&egravecle, cit., cap. II). L'idea è stata rafforzata e ampiamente dimostrata da J. Vela, La red urbana de la Meseta Norte en la segunda mitad del siglo XVI(testo dattilografato che ho potuto utilizzare grazie alla gentilezza dell'autore). Per le aree piú a Sud, particolarmente per la Valle del Guadalquivir, il grado di urbanizzazione poteva essere anche maggiore, sebbene si trattasse di centri nei quali il peso del settore primario era molto piú elevato. Si veda in merito J. Vela, Sobre el carácter de la formación social b&eacutetica en la segunda mitad del siglo XVI, in Actas de los II Coloquios de Historia de Andaluc&iacutea. Andaluc&iacutea Moderna, Córdoba, 1983, pp. 377-411. Per altri riferimenti, le analisi particolari della composizione della popolazione attiva nelle città castigliane sono già molto abbondanti e ci obbligherebbero ad una lista troppo lunga per il presente lavoro.

47 Un caso tipico è rappresentato da alcune famiglie di banchieri ben note, come i Ru&iacutez, che, com'era solito nell'Europa dell'epoca, vivevano totalmente al margine di qualsiasi investimento dell'industria (cfr. H. Lapeyre, Une famille de marchands, cit.).

48 Manca ancora uno studio delle fiere che consenta di valutare il loro impatto sull'economia in generale. Per quelle di Medina del Campo, all'opera di C. Espejo J. Paz, Las antiguas ferias de Medina del Campo, Valladolid, 1908, si potrebbe aggiungere F. Hassan Abed-Hussein, Trade and business community in Old Castile. Medina del Campo, 1500-1575, tesi di dottorato discussa all'Università di East Anglia nel 1982. Esiste una pessima traduzione in castigliano, che ne ha frammentato il testo e tagliato alcuni capitoli dell'originale, in E. Lorenzo Sanz, coord., Historia de Medina del Campo y su Tierra, vol. II, Auge de las ferias. Decadencia de Medina, Valladolid, 1986, pp. 5-266. Sugli effetti positivi delle fiere di Medina di Rioseco e Villalón sull'economia regionale cfr. B. Yun Casalilla, Sobre la transición, cit., pp. 200-209. Quanto a Medina del Campo, il tema è chiarito specialmente per l'impatto che lo sviluppo commerciale ebbe sulla produzione di vino e la specializzazione nel vigneto dell'area circostante, cfr. A. Huetz de Lemps, Vignoles et vins du nord-ouest de l'Espagne, Bordeaux, 1967, t. I, p. 328. Il lavoro di Abed-Hussein sopra citato, nel parlare del commercio della lana, tradizionalmente considerato solo nella prospettiva dei suoi effetti negativi sull'economia della penisola, ha richiamato l'attenzione sull'impatto moltiplicatore in attività come la produzione di marga o di pagliericci per il trasporto della lana (soprattutto pp. 50-52). Ci restano da valutare i suoi effetti in altre attività come il trasporto o la sua importanza di fronte alla sua specializzazione produttiva.

49 F. Hassan Abed-Hussein, Trade and business, cit., in particolare pp. 63 sgg.

50 Una di quelle è il finanziamento e l'utilizzazione dell'assicurazione marittima; si veda A. M. Bernal, La financiación de la Carrera de Indias (1492-1824). Dinero y cr&eacutedito en el comercio colonial espa&ntildeol con Am&eacuterica, Sevilla, 1993. Per quanto riguarda la diffusione di tecniche commerciali è perfettamente chiara l'opera di Lapeyre, cit., pp. 243-361. Sulla banca castigliana cfr. F. Ru&iacutez Mart&iacuten, La Banca en Espa&ntildea, cit.

51 H. Casado, Se&ntildeores, mercaderes, cit., pp. 456-471; Id., El comercio international burgal&eacutes en los siglos XV y XVI, in El consulado de Burgos. Actas del Simposio international del V Centenario del Consulado del Mar, in corso di stampa: ringrazio l'autore per avermene consentito la consultazione.

52 M. A. Ladero, Rentas condales en Plasencia (1454-1488), in El siglo XV en Castilla. Fuentes de renta y pol&iacutetica fiscal, Barcelona, 1982, pp. 168-189.

53 Le fiere di Medina del Campo, Medina di Rioseco e Villalón, sono originate da concessioni strappate al monarca rispettivamente da don Fernando de Antequera, dagli Almirantes di Castiglia e dai conti di Benavente (cfr. J. Valdeón, Medina del Campo en los siglos XIV y XV, in E. Lorenzo Sanz, coord., Historia, cit., vol. I, pp. 110 sgg., e B. Yun Casalilla, Sobre la transición, cit., pp. 82-86).

54 Questo è il caso di molte famiglie nobili, come gli Stú&ntildeiga (duchi di B&eacutejar) e i Mendoza (duchi dell'Infantado) sopra citati, ma questa circostanza si riscontra anche in importanti istituzioni ecclesiastiche a capo di signorie, come i monasteri del Parrall o di Guadalupe; si veda al riguardo J. Klein, La Mesta. Estudio de la historia económica espa&ntildeola, 1273-1836, Madrid, 1979, pp. 74-75 (l'edizione originale, in inglese, è del 1920).

55 J. I. Gómez Zorraquino, La burgues&iacutea mercantil en el Aragón de los siglos XVI y XVII, Zaragoza, 1987. Per il secolo XVIII, il tema dell'origine del capitale commerciale basato sull'arrendamento di rendite rurali fu trattato da P. Vilar, La Catalogne dans l'Espagne Moderne, vol. II, Recherches sur les fondaments economiques des structures nationales, Paris, 1962, pp. 436-500. È curioso che questa prospettiva sia stata ignorata da quasi tutti gli storici spagnoli nella costruzione di modelli piú dinamici e complessi, per comprendere i processi di cambiamento economico e sociale di antico regime. Ciò è tanto piú significativo in quanto l'arrendamento di rendite soprattutto ecclesiastiche, in particolare le decime, era una delle forme principali di gestione dei grandi patrimoni rurali durante la maggior parte del XVI secolo. Nel caso degli ecclesiastici si può trovare un buon esempio in J. Alvárez Vázquez, Los diezmos en Zamora (1500-1840), Zamora, 1984, e, dello stesso, Rentas, precios y cr&eacutedito en Zamora en el Antiguo R&eacutegimen, Zamora, 1987.

56 Per i conti di Benavente B. Yun Casalilla, Sobre la transición, cit., pp. 174-177.

57 Senza dubbio questo è uno degli aspetti per il quale sarebbe auspicabile un ampliamento dei casi studiati. C'è da supporre che i casati, come quelli andalusi, per i quali la rendita signorile si basava soprattutto sullo sfruttamento diretto o sull'arrendamento di grandi proprietà il cui prodotto si commercializzava in grandi proporzioni in un mercato espansivo, dovettero sopportare meno questa situazione. Tuttavia questa è un'ipotesi che attende ancora una conferma empirica.

58 G. Bois, Crise du feodalisme, Paris, 1978; P. Kriedte, Peasants, landlords and merchants capitalists. Europe and the world economy, 1500-1800, London, 1976.

59 Problemi che si presentavano già prima della seconda metà del XVI secolo, in linea con le indicazioni fornite da Ch. Jago, The influence of debt on the relation between Crown and Aristocracy in seventeenth century Castile, in « Economic History Review» , 1981, n. 86, pp. 218-236, come ho avuto opportunità di dimostrare in Carlos V y la aristocracia, cit. Sui problemi delle economie signorili in ambito non castigliano si vedano J. H. Elliott, A provincial aristocracy: the catalan ruling class in the sixteenth and seventeenth centuries, in Homenaje a Jaime Vicens Vives, Barcelona, 1967, vol. II, pp. 125-141; J. Casey, El reino de Valencia en el siglo XVII, Madrid, 1983, pp. 131-157 (I ed. inglese 1979); A. Abad&iacutea, Se&ntildeor&iacuteo y cr&eacutedito en Aragón en el siglo XVI, Zaragoza, 1993.

60 B. Yun Casalilla, Consideraciones para el estudio de la renta y las econom&iacuteas se&ntildeoriales en el reino de Castilla (s. XV-XVIII), in Se&ntildeor&iacuteo y feudalismo en la Pen&iacutesula Ib&eacuterica ss. XII-XIX, Zaragoza, 1993, vol. II, pp. 11-45.

61 Due studi che, tra molti altri contributi, possono dare un'idea delle differenze economiche e sociali nel seno della società rurale, sono quelli di F. Brumont, Campo y campesinos de Castilla la Vieja en tiempos de Felipe II, Madrid, 1984, pp. 213-231, e J. López-Salazar, Estructuras agrarias, cit., pp. 254-308. Una comparazione tra le due — che si potrebbe completare con la considerazione di alcune aree dell'Andalusia — dimostra come le differenze nell'ambito della società contadina si approfondiscono man mano che si va verso il Sud.

62 Alcune di queste questioni in D. Vassberg, Tierra y sociedad en Castilla. Se&ntildeores « poderosos» y campesinos en la Espa&ntildea del siglo XVI, Barcelona, 1986, pp. 236-292 (ed. orig. inglese 1984). Il processo di differenziazione sociale interna alle comunità rurali si verifica all'inizio in epoca medievale.

63 La bibliografia sulla povertà nel XVI secolo è aumentata negli ultimi anni. Ai classici lavori di M. Bataillon ( Les id&eacutees du XVIe si&egravecle espagnol sur les pauvres, sur l'aumône, sur l'assistence, in « Annuaire du College de France» , 1949, pp. 209-214, e J. L. Vives, r&eacuteformateur de la bienfaisance, in « Biblioth&egraveque d'Humanisme et Renaissance» , XVI, 1952, pp. 141-158) si possono aggiungere E. Maza, Pobreza y asistencia social en Espa&ntildea. Siglos XVI al XX, Valladolid, 1987, pp. 76-96, una sintesi della posizione di diversi teorici; M. Cavillac, La reforma de la beneficencia en la Espa&ntildea del siglo XVI: la obra de Miguel Giginta, in « Estudios de Historia Social» , 1979, n. 10-11, pp. 7-60 e il prologo dello stesso a C. P&eacuterez de Herrera, Amparo de pobres, Madrid, 1975. Sui progroms, a parte le opere sopra citate, è interessante P. Wolf, The 1391 progrom in Spain. Social crisis or not?, in « Past & Present» , 1971, n. 50, pp. 4-18.

64 Sul regno dei re cattolici cfr. J. P&eacuterez, Isabel y Fernando. Los Reyes Católicos, Madrid, 1988. Un'analisi di entrambi i movimenti, secondo questa prospettiva, ci porterebbe molto lontano. È evidente che in quelli si mescolano in maniera differente le rivendicazioni di contadini e popolani, sempre piú lontani dal potere e sottomessi ad una pressione crescente, con le necessità di espansione della rendita da parte di una classe signorile, che approfitta della crisi politica per dar luogo alle sue rivendicazioni, e con l'opposizione di alcune città, che non solo approvano una politica piú decisa del re in difesa dei terreni demaniali, ma che arrivano a sviluppare una politica alternativa di fronte allo stesso monarca. Si veda in merito soprattutto J. A. Maravall, Las Comunidades de Castilla. Una primera revolución moderna, Madrid, 19702 (I ed. 1963); J. P&eacuterez, La revolución de las comunidades de Castilla (1520-21), Madrid, 19763 (I ed. francese 1970); J. I. Guti&eacuterrez Nieto, Las comunidades como movimiento antise&ntildeorial, Barcelona, 1973; S. Halizcer, The comuneros, cit. Per quanto riguarda le German&iacuteas si rimanda a R. Garc&iacutea Cárcel, Las German&iacuteas de Valencia, Barcelona, 1975, e a E. Durán, Les Germanies als Pa&iumlsos Catalans, Barcelona, 1982.