L'assunto di partenza della riflessione archeologica dei due autori,
come subito e chiaramente espresso nell'introduzione, si situa intorno
ad una constatazione logica e, almeno in apparenza scontata: le tecniche
produttive sono alla base della possibilità che gli uomini storicamente
hanno di riprodurre nel tempo le loro esistenze e, inoltre, di organizzare
la loro vita in società. Tuttavia, l'esigenza di indagare questo
campo di ricerca si è trovata spesso ad essere disattesa anche perchè
discipline scientifiche che tendenzialmente avrebbero dovuto insistere
sull'argomento, quali ad esempio la storia economica, si sono a lungo accontentate
di seguire le linee fondamentali di avvenimenti macroeconomici senza mai
valutare l'impatto diacronico della "lunga durata" della maggior
parte dei saperi tecnici, considerando contestualmente ogni tentativo di
indagine su di una storia delle tecniche produttive come supporto scientifico
ausiliario. Al contrario, gli autori del volume presentano già nei
capitoli iniziali un opposto punto di vista. Evidenziando i caratteri naturalmente
interdisciplinari del loro approcio metodologico, precisano le connessioni
esistenti fra cicli produttivi e contesti socio-economici. Nel fare ciò,
aprono la loro riflessione ai contributi delle diverse discipline demoetnoantropologiche
che hanno insistito più lungamente di quanto non abbiano fatto storia
ed archeologia, intorno alle problematiche relazioni fra civiltà
e processi produttivi, ed in generale sull'uomo inteso come homo faber.
Riconoscibile appare il pesante contributo della scuola paleoetnologica
francese (Leroi-Gourhan su tutti) e dell'antropologia culturale (in special
modo Mauss, ed Angioni e Cirese fra gli Italiani). E' possibile, altresì,
che l'uso assai frequente di ottimi grafici esplicativi si sia strutturato
proprio a partire dalla "digestione" di tali apporti scientifico-teorici.
Accanto a questo contributo delle "scienze di prevalente matrice umanistica,"
e mai disgiunto da un archeologia che avanza le proprie pretese di scientificità
per problemi e non mai suggerendo soluzioni, assume rilevanza il contributo
delle "scienze naturali" applicate all'archeologia: ad esse spetta
il fondamentale compito attraverso l'analisi dei reperti di indicare metodi
di produzione, provenienza dei materiali, contesti paleoambientali, valutazione
degli ecofatti. Tuttavia, queste analisi principalmente servono in quanto
presentano all'archeologo nuovi motivi di riflessione e non in quanto portatrici
di dati assoluti. "Fare archeometria vuol dire elaborare anche le
risposte, " ammetono gli autori indicando sempre la fondamentale importanza
dell'attribuzione di un significato archeologico, ergo stratigrafico, alle
risposte ottenute dalle analisi archeometriche. Assai interessante a questo
proposito risulta essere il concetto stesso di stratigrafia sviluppato
dagli autori, adombrato nei paragrafi che trattano brevemente della storia
metodologica dell'Archeologia ed infine chiarito nella sua interezza: non
esiste una stratigrafia cristallizata, essa deve essere vista "dinamicamente;"
lo scavo, è precisato dagli autori, non è una cassettiera
all'interno della quale la stratificazione può essere vista come
una conservazione, essa è al contrario da considerarsi come l'inizio
di una trasformazione.
L'indagine archeologica così strutturata per problemi non conduce
certo verso rassicuranti spiegazioni sul come le cose effettivamente funzionassero,
ma al riconoscimento delle evidenze archeologiche che possono aiutare a
comprendere come le società fossero strutturate. Tuttavia, l'impianto
concettuale del volume non rimane assolutamente ancorato alla sola teoria
bensì dimostra l'applicabilità sul campo delle proprie linee
guida, se si fa riferimento, ad esempio, a quanto riportato nell'ultimo
capitolo in particolar modo nei paragrafi sul ciclo della pietra ollare
e intorno allo studio delle ceramiche in Liguria nei quali forse in modo
più accentuato rispetto agli altri bei paragrafi, viene esaltato
il rapporto organico fra eventi diacronici, processi ed organizzazione
della produzione (valutati anche attraverso il ricorso ai metodi archeometrici)
e contesti socio-economici, con inoltre l'attenzione sempre rivolta alla
valutazione delle effettive capacità fabrili degli artigiani, al
loro modo di apprendere e mantenere il loro sapere.
Il volume di Mannoni e Giannichedda esplica e dunque afferma il proprio
maggior merito definendo l'Archeologia delle attività produttive
quale metodologia di osservazione e studio volta a "ricostruire"
non solo i processi produttivi e le relative tecniche ma, altresì,
anche il cosidetto ambiente interno, secondo la definizione cara a Leroi-Gourhan,
ovverosia l'insieme di strutture, tradizioni e comportamenti entro i quali
le diverse tecniche si vengono a collocare. Questo, infatti, riveste nello
sviluppo delle tecniche una fondamentale importanza che deve considerarsi
almeno pari a quella legata alle qualità della materia prima utilizzata
nel corso dell'attività di produzione. Il risultato di questo sforzo
di ricontestualizzazione teorica dell'Archeologia nel suo complesso, sfocia
così nell'abbattimento del tradizionale steccato che vuole separato
l'uomo dalla propria storia tecnologica. Seguendo quanto già espresso
da Haudricourt, è così possibile affermare che attraverso
le direttrici di indagine espresse nel presente volume la tecnologia, ovvero
l'insieme di tecniche necessarie a trasformare la materia prima in prodotti
finiti, diviene scienza umana, "science humaine," per eccellenza.
L'archeologia della produzione si assume dunque il compito di costruire
il primo gradino di una scala di valutazione degli eventi diacronici che
correttamente vede gli oggetti (rappresentati in questo caso dai reperti
e dal loro contesto stratigrafico) come il risultato del lavoro degli uomini
inteso come l'insieme dei movimenti muscolari tradizionali, ovvero né
naturali né, tantomeno, istintivi. Quindi, studiare un oggetto dal
punto di vista tecnico-produttivo significa, in ultima analisi, inserirlo
in un certo numero di questi sistemi e dunque spiegare come ed attraverso
quali procedimenti l'oggetto fabbricato risponde alla propria funzione.
Vasco La Salvia