Anna Maria Rao , La rivoluzione francese e la scoperta della politica
5. Un gioco fine a se stesso?
Dopo avere battuto le trecento carte e piú, faticosamente
raccolte ed elaborate attingendo ai suoi precedenti lavori, a
quelli di una storiografia « classica» (Jaurès,
Lefebvre) che tale si conferma anche per l'inesauribile ricchezza
di dati che ancora offre alla lettura e all'interpretazione, o,
ancora, a quelli piú recenti e vari della storiografia delle
città, della cultura, del voto o dell'economia, Vovelle si trova
di fronte ad « otto incroci per due domande» . Le domande
riguardano, l'una, la localizzazione della Francia politicizzata
o « rivoluzionata» , l'altra, la sua qualificazione in termini
di orientamenti politici, « di destra o di sinistra» . Per
rispondere, o abbozzare qualche ipotesi esplicativa, ecco gli
otto incroci con altrettanti possibili indicatori: la distanza da
Parigi e, dunque, la dibattuta « dialettica centro-periferia» ;
il fattore demografico, a sua volta graduato e correlato ai tassi
di urbanizzazione; la ricchezza e i livelli di sviluppo economico
dei diversi dipartimenti; le strutture sociali del mondo rurale;
le strutture della famiglia; i tassi di alfabetizzazione; gli
atteggiamenti e i comportamenti religiosi; le manifestazioni e le
espressioni di « base» , dalle rivoluzioni urbane alle
agitazioni antifeudali, dalla resistenza all'imposta alla
renitenza di fronte alla leva199.
Lascerò all'eventuale lettore la scoperta delle correlazioni che ne emergono o che non emergono, ciò che, nota l'autore, « a sua volta vuol comunque dire qualcosa» 200 e delle conclusioni che se ne possono trarre sulla contrastata geopolitica della Francia in rivoluzione. Ma di fronte alla portata dell'operazione « otto incroci per due domande» credo possa sorgere spontanea un'altra domanda, attinente, questa volta, proprio al merito del procedimento adottato: ne valeva la pena? Dall'accumulazione e dal confronto delle carte l'autore non ricava quasi mai conclusioni nette e perentorie, tranne che per il rapporto « centro-periferia» e lo stereotipo di una rivoluzione propagata da Parigi e intorno a Parigi: ciò che non è comunque poco. Le correlazioni appaiono spesso fragili, fragili possono apparire in alcuni casi i dati di riferimento di alcune carte, nuove ricerche su aree e indicatori considerati o su nuove aree ed altri indicatori potrebbero fare oscillare pericolosamente il castello di carte, potrebbero, forse, farlo crollare... Un gioco fine a se stesso, allora, quello praticato? Piuttosto, una sfida, praticata anche con ironia, ma soprattutto con cautela, la sfida a non rinunciare ad un approccio globale, malgrado incertezze e precarietà delle fonti, ancorando questo approccio ad un'analisi rigorosa delle fonti stesse. Un approccio globale teso piú a sollevare nuovi interrogativi, a costo di apparenti ingenuità, o ad affinare quelli già noti che a dare risposte, piú a sollecitare nuove ricerche che a pretendere di aver detto l'ultima parola.
Certo, le diffidenze ricorrenti nella storiografia italiana nei confronti del quantitativo e della geografia potrebbero in un lavoro come questo trovare ulteriori motivi di conferma. La marginalità della cartografia nel lavoro dello storico in Italia, in particolare dello storico modernista, rispetto alla Francia, non ha bisogno, probabilmente, di particolari indagini, data la ben nota diversità delle tradizioni storiografiche dei due paesi, ognuna con i suoi vizi e con le sue virtú. Quella francese, saldamente ancorata ad un connubio tra storia e geografia fortemente integrato a sua volta nella pratica della lunga durata201, appare anche legata, in maniera a volte esasperata, ad una sorta di primato del metodo e di privilegiamento della critica della fonte rispetto all'oggetto storiografico: primato che sul piano della scrittura si traduce anche in una esplicita presenza del ricercatore che narra o descrive, per nulla nascosto o risucchiato dalla narrazione, come piú spesso accade nella nostra tradizione storiografica, senza che questo implichi necessariamente particolari intenti oggettivanti. Un primato del metodo e della critica delle fonti storica e istituzionale piú che meramente filologica che si riflette nell'esistenza di appositi curricula di formazione specificamente e autonomamente indirizzati alla preparazione al mestiere di storico, che per lo piú mancano, invece, nella tradizione italiana, dove la pratica storiografica sembra configurarsi ancora piú come vocazione che come mestiere.
Eppure, malgrado « la radicalità della frattura crociana fra storia e geografia» , la storiografia italiana, in particolare tra gli anni Cinquanta e Settanta, aveva tutt'altro che ignorato la monografia regionale e la rappresentazione cartografica202. Ed anzi, com'è stato ancora recentemente ricordato, il lavoro di Giuseppe Galasso su Economia e società nella Calabria del Cinquecento, pubblicato nel 1967203, costituí il frutto piú importante e duraturo di una riflessione storiografica in cui « la dimensione territoriale diventava un criterio essenziale di ricostruzione ed interpretazione dei fatti storici [...] pur senza cedimenti a forme piú o meno consapevoli di determinismo geografico o di sottovalutazione delle componenti sociali, politiche e culturali delle vicende studiate» .204
In confronto ad una Francia che pure non ride205, le condizioni materiali della ricerca in Italia, dalla situazione di archivi e biblioteche a quella delle strutture universitarie e di ricerca, asfittiche e atomizzate, non sono tra le piú propizie al perseguimento di grandi imprese seriali e quantitative. Sicché, v'è da chiedersi se le ricorrenti diffidenze verso la storia sociale e quantitativa, recentemente tradotte anche sul piano degli statuti disciplinari universitari, e il privilegiamento di testi, discorsi, immagini, rappresentazioni, siano sempre dovuti soltanto a scelte metodologiche ed epistemologiche o non siano piuttosto una rinuncia imposta dalle difficoltà materiali. Certo è che un progetto come quello dell' Atlante Storico Italiano dell'età moderna 206, che alla metà degli anni Sessanta raccolse le migliori energie in quella che si profilava come la piú importante impresa collettiva della storiografia italiana sull'età moderna, non ha piú avuto seguito: e piacerebbe saperne di piú sulle « difficoltà, non solo organizzative e finanziarie, che logorarono progressivamente e rapidamente le possibilità di sviluppo di quel progetto» . 207Un logoramento che ha certo contribuito al persistente « analfabetismo visuale» degli storici italiani208.
Il « gioco di carte» praticato da Michel Vovelle, visto alla luce della sua produzione complessiva, si rivela dunque occasione di riflessione anche in relazione a dibattiti antichi e recenti della storiografia italiana, alle sue ricorrenti dispute sul primato storico e civile della « storia delle idee» rispetto ad indagini diversamente orientate: si può andare dalla lunga durata delle mentalità al tempo breve della rivoluzione, affrontare un momento e un'idea e poi « contare, misurare, pesare» globalmente, tentare una sintesi o studiare il caso, senza che ciò significhi rinunciare alla ricerca di un senso, ed anzi concorrendo ad una reinterpretazione globale e suggestiva di un problema cruciale nella storia nazionale di un paese. E mostra anche come non abbia invece molto senso, né utilità, stabilire gerarchie, o assegnare etichette la storia quantitativa o la storia sociale sarebbero meno impegnate sul piano civile rispetto ad altre storie? ma molto meglio sia riconoscere onestamente tutta la rete dei condizionamenti di ogni genere in cui il lavoro dello storico si trova immerso, anziché fare grandi proclamazioni metodologiche ed epistemologiche e accampare aspirazioni egemoniche. Senza crimini di lesa maestà e senza cedere alle tentazioni efficacemente descritte da Haim Burstin di « cercare una legittimazione del proprio stile o del proprio temperamento attraverso la delegittimazione di quello altrui, assecondando, in campo scientifico, una tentazione totalitaria piuttosto che accettare una pluralità di approcci e incoraggiare lo sviluppo dei talenti nelle piú svariate direzioni» .209
Studi Storici 1, gennaio-marzo 1995 anno 36
Anna Maria Rao , La rivoluzione
francese e la scoperta della politica
199 La scoperta della politica, cit., pp. 338-341.
201 Mi limito a rinviare al piú recente K. Pomian, L'heure des Annales, cit., pp. 388-399.
202 M. A. Visceglia, Storia regionale, cit., pp. 25 sgg.
204 A. Massafra, Una stagione degli studi sulla feudalità nel Regno di Napoli, in Fra storia e storiografia, cit., p. 121.
205 Cfr. ancora il già citato D. Roche, Les historiens aujourd'hui. Remarques pour un débat, in « Vingtième siècle» , 1986, n. 12, pp. 3-20, e le repliche pubblicate sulla stessa rivista, 1987, n. 15, pp. 93-131.
206 Cfr. Problemi e ricerche per l'Atlante Storico Italiano dell'età moderna, a cura di M. Berengo, Firenze, 1971.
207 Cosí A. Massafra, Una stagione degli studi sulla feudalità, cit., p. 122.
208 L'espressione è di E. Grendi, Storia locale e storia delle comunità, cit., p. 332.
209 H. Burstin, Francia 1789, cit., p. 23.