Lo scolare, con fiero animo seco la ricevuta ingiuria rivolgendo, e veggendo piagnere e pregare, ad una ora aveva pia cere e noia nello animo; piacere della vendetta, la quale più che altra cosa disiderata avea; e noia sentiva, movendolo la umanità sua a compassion della misera. Ma pur, non potendo la umanità vincere la fierezza dello appetito, rispose:

- Madonna Elena, se i miei prieghi (li quali nel vero io non seppi bagnare di lagrime né far melati come tu ora sai porgere i tuoi) m'avessero impetrato, la notte che io nella tua corte di neve piena moriva di freddo, di potere essere stato messo da te pure un poco sotto il coperto, leggier cosa mi sarebbe al presente i tuoi esaudire; ma se cotanto or più che per lo passato del tuo onor ti cale, ed etti grave il costà su ignuda dimorare, porgi cotesti prieghi a colui nelle cui braccia non t'increbbe, quella notte che tu stessa ricordi, ignuda stare, me sentendo per la tua corte andare i denti battendo e scalpitando la neve, e a lui ti fa aiutare, a lui ti fa i tuoi panni recare, a lui ti fa por la scala per la qual tu scenda, in lui t'ingegna di mettere tenerezza del tuo onore, per cui quel medesimo, e ora e mille altre volte, non hai dubitato di mettere in periglio.

Come nol chiami tu che ti venga ad aiutare? E a cui appartiene egli più che a lui? Tu se'sua: e quali cose guarderà egli o aiuterà, se egli non guarda e aiuta te? Chiamalo, stolta che tu se', e prova se l'amore il quale tu gli porti e il tuo senno col suo ti possono dalla mia sciocchezza liberare, la qual, sollazzando con lui, domandasti quale gli pareva maggiore o la mia sciocchezza o l'amor che tu gli portavi. Né essere a me ora cortese di ciò che io non disidero, né negare il mi puoi se io il disiderassi; al tuo amante le tue notti riserba, se egli avviene che tu di qui viva ti parti; tue sieno e di lui; io n'ebbi troppo d'una, e bastimi d'essere stato una volta schernito.

E ancora, la tua astuzia usando nel favellare, t'ingegni col commendarmi la mia benivolenzia acquistare, e chiamimi gentile uomo e valente, e tacitamente, che io come magnanimo mi ritragga dal punirti della tua malvagità, t'ingegni di fare; ma le tue lusinghe non m'adombreranno ora gli occhi dello 'ntelletto, come già fecero le tue disleali promessioni; io mi conosco, né tanto di me stesso apparai mentre dimorai a Parigi, quanto tu in una sola notte delle tue mi facesti conoscere.

Ma, presupposto che io pur magnammo fossi, non se'tu di quelle in cui la magnanimità debba i suoi effetti mostrare; la fine della penitenzia, nelle salvatiche fiere come tu se', e similmente della vendetta, vuole esser la morte, dove negli uomini quel dee bastare che tu dicesti. Per che, quatunque io aquila non sia, te non colomba, ma velenosa serpe conoscendo, come antichissimo nimico con ogni odio e con tutta la forza di perseguire intendo, con tutto che questo che io ti fo non si possa assai propiamente vendetta chiamare, ma più tosto gastigamento, in quanto la vendetta dee trapassare l'offesa, e questo non v'aggiugnerà; per ciò che se io vendicar mi volessi, riguardando a che partito tu ponesti l'anima mia, la tua vita non mi basterebbe, togliendolati, né cento altre alla tua simiglianti, per ciò che io ucciderei una vile e cattiva e rea feminetta.

E da che diavol (togliendo via cotesto tuo pochetto di viso, il quale pochi anni guasteranno riempiendolo di crespe) se'tu più che qualunque altra dolorosetta fante? Dove per te non rimase di far morire un valente uomo, come tu poco avanti mi chiamasti, la cui vita ancora potrà più in un dì essere utile al mondo, che centomilia tue pari non potranno mentre il mondo durar dee. Insegnerotti adunque con questa noia che tu sostieni che cosa sia lo schernir gli uomini che hanno alcun sentimento, e che cosa sia lo schernir gli scolari; e darotti materia di giammai più in tal follia non cader, se tu campi.

Ma, se tu n'hai così gran voglia di scendere, ché non te ne gitti tu in terra? E ad una ora con lo aiuto di Dio fiaccandoti tu il collo, uscirai della pena nella quale esser ti pare, e me farai il più lieto uomo del mondo. Ora io non ti vo'dir più; io seppi tanto fare che io costà su ti feci salire; sappi tu ora tanto fare che tu ne scenda, come tu mi sapesti beffare.

Parte che lo scolare questo diceva, la misera donna piagneva continuo, e il tempo se n'andava, sagliendo tuttavia il sol più alto. Ma poi che ella il sentì tacer, disse:

- Deh! crudele uomo, se egli ti fu tanto la maladetta notte grave e parveti il fallo mio così grande che né ti posson muovere a pietate alcuna la mia giovane bellezza, le amare lagrime né gli umili prieghi, almeno muovati alquanto e la tua severa rigidezza diminuisca questo solo mio atto, l'essermi di te nuovamente fidata e l'averti ogni mio segreto scoperto col quale ho dato via al tuo disidero in potermi fare del mio peccato conoscente; con ciò sia cosa che, senza fidarmi io di te, niuna via fosse a te a poterti di me vendicare, il che tu mostri con tanto ardore aver disiderato.

Deh! lascia l'ira tua e perdonami omai: io sono, quando tu perdonar mi vogli e di quinci farmi discendere, acconcia d'abbandonar del tutto il disleal giovane e te solo aver per amadore e per signore, quantunque tu molto la mia bellezza biasimi, brieve e poco cara mostrandola; la quale, chente che ella, insieme con quella dell'altre, si sia, pur so che, se per altro non fosse da aver cara, si è per ciò che vaghezza e trastullo e diletto è della giovanezza degli uomini; e tu non se'vecchio. E quantunque io crudelmente da te trattata sia, non posso per ciò credere che tu volessi vedermi fare così disonesta morte, come sarebbe il gittarmi a guisa di disperata quinci giù dinanzi agli occhi tuoi, a'quali, se tu bugiardo non eri come sei diventato, già piacqui cotanto. Deh! increscati di me per Dio e per pietà: il sole s'incomincia a riscaldar troppo, e come il troppo freddo questa notte m'offese, così il caldo m'incomincia a far grandissima noia.

A cui lo scolare, che a diletto la teneva a parole, rispose:

- Madonna, la tua fede non si rimise ora nelle mie mani per amor che tu mi portassi, ma per racquistare quello che tu perduto avevi; e per ciò niuna cosa merita altro che maggior male; e mattamente credi, se tu credi questa sola via senza più essere, alla disiderata vendetta da me, opportuna stata. Io n'aveva mille altre, e mille lacciuoli, col mostrar d'amarti, t'aveva tesi intorno a'piedi, né guari di tempo era ad andare, che di necessità, se questo avvenuto non fosse, ti convenia in uno incappare; né potevi incappare in alcuno, che in maggior pena e vergogna che questa non ti fia caduta non fossi; e questo presi non per agevolarti, ma per esser più tosto lieto. E dove tutti mancati mi fossero, non mi fuggiva la penna, con la quale tante e sì fatte cose di te scritte avrei e in sì fatta maniera, che, avendole tu risapute (ché l'avresti), avresti il dì mille volte disiderato di mai non esser nata.

Le forze della penna sono troppo maggiori che coloro non estimano che quelle con conoscimento provate non hanno. Io giuro a Dio (e se egli di questa vendetta, che io di te prendo, mi faccia allegro infin la fine, come nel cominciamento m'ha fatto) che io avrei di te scritte cose che, non che dell'altre persone, ma di te stessa vergognandoti, per non poterti vedere t'avresti cavati gli occhi; e per ciò non rimproverare al mare d'averlo fatto crescere il piccolo ruscelletto.

Del tuo amore, o che tu sii mia, non ho io, come già dissi, alcuna cura; sieti pur di colui di cui stata se', se tu puoi, il quale, come io già odiai, così al presente amo, riguardando a ciò che egli ha ora verso te operato. Voi v'andate innamorando e disiderate l'amor de'giovani, per ciò che alquanto con le carni più vive e con le barbe più nere gli vedete, e sopra sé andare e carolare e giostrare; le quali cose tutte ebber coloro che più alquanto attempati sono, e quel sanno che coloro hanno ad imparare. E oltre a ciò, gli stimate miglior cavalieri e far di più miglia le lor giornate che gli uomini più maturi.

Certo io confesso che essi con maggior forza scuotono i pilliccioni, ma gli attempati, sì come esperti, sanno meglio i luoghi dove stanno le pulci; e di gran lunga è da eleggere più tosto il poco e saporito che il molto e insipido; e il trottar forte rompe e stanca altrui, quantunque sia giovane, dove il soavemente andare, ancora che alquanto più tardi altrui meni allo albergo, egli il vi conduce almen riposato.

Voi non v'accorgete, animali senza intelletto, quanto di male sotto quella poca di bella apparenza stea nascoso. Non sono i giovani d'una contenti, ma quante ne veggono tante ne disiderano, di tante par loro esser degni; per che essere non può stabile il loro amore; e tu ora ne puoi per pruova esser verissima testimonia. E par loro esser degni d'essere reveriti e careggiati dalle loro donne; né altra gloria hanno maggiore che il vantarsi di quelle che hanno avute; il qual fallo già sotto a'frati, che nol ridicono, ne mise molte. Benché tu dichi che mai i tuoi amori non seppe altri che la tua fante e io, tu il sai male, e mal credi se così credi. La sua contrada quasi di niun'altra cosa ragiona, e la tua; ma le più volte è l'ultimo, a cui cotali cose agli orecchi pervengono, colui a cui elle appartengono. Essi ancora vi rubano, dove dagli attempati v'è donato.

Tu adunque, che male eleggesti, sieti di colui a cui tu ti desti, e me, il quale schernisti, lascia stare ad altrui, ché io ho trovata donna da molto più che tu non se', che meglio n'ha conosciuto che tu non facesti. E acciò che tu del disidero degli occhi miei possi maggior certezza nell'altro mondo portare che non mostra che tu in questo prenda dalle mie parole, gittati giù pur tosto, e l'anima tua, sì come io credo, già ricevuta nel le braccia del diavolo, potrà vedere se gli occhi miei d'averti veduta strabocchevolmente cadere si saranno turbati o no. Ma per ciò che io credo che di tanto non mi vorrai far lieto, ti dico che, se il sole ti comincia a scaldare, ricorditi del freddo che tu a me facesti patire, e se con cotesto caldo il mescolerai, senza fallo il sol sentirai temperato.

La sconsolata donna, veggendo che pure a crudel fine riuscivano le parole dello scolare, ricominciò a piagnere e disse:

- Ecco, poi che niuna mia cosa di me a pietà ti muove, muovati l'amore, il qual tu porti a quella donna che più savia di me di'che hai trovata, e da cui tu di'che se'amato, e per amor di lei mi perdona e i miei panni mi reca, ché io rivestir mi possa, e quinci mi fa smontare.

Lo scolare allora cominciò a ridere; e veggendo che già la terza era di buona ora passata, rispose:

- Ecco, io non so ora dir di no, per tal donna me n'hai pregato; insegnamegli, e io andrò per essi e farotti di costà su scendere.

La donna, ciò credendo, alquanto si confortò, e insegnogli il luogo dove aveva i panni posti. Lo scolare, della torre uscito, comandò al fante suo che di quindi non si partisse, anzi vi stesse vicino, e a suo poter guardasse che alcun non v'entrasse dentro infino a tanto che egli tornato fosse; e questo detto, se n'andò a casa del suo amico, e quivi a grande agio desinò, e appresso, quando ora gli parve, s'andò a dormire.

La donna, sopra la torre rimasa, quantunque da sciocca speranza un poco riconfortata fosse, pure oltre misura dolente si dirizzò a sedere, e a quella parte del muro dove un poco d'ombra era s'accostò, e cominciò accompagnata da amarissimi pensieri ad aspettare; e ora pensando e ora piagnendo, e ora sperando e or disperando della tornata dello scolare co'panni, e d'un pensiero in altro saltando, sì come quella che dal dolore era vinta, e che niente la notte passata aveva dormito, s'addormentò.

Il sole, il quale era ferventissimo, essendo già al mezzo giorno salito, feriva alla scoperta e al diritto sopra il tenero e dilicato corpo di costei e sopra la sua testa, da niuna cosa coperta, con tanta forza, che non solamente le cosse le carni tanto quanto ne vedea, ma quelle minuto minuto tutte l'aperse; e fu la cottura tale, che lei che profondamente dormiva constrinse a destarsi.

E sentendosi cuocere e alquanto movendosi, parve nel muoversi che tutta la cotta pelle le s'aprisse e ischiantasse, come veggiamo avvenire d'una carta di pecora abbruciata, se altri la tira; e oltre a questo le doleva sì forte la testa, che pareva che le si spezzasse, il che niuna maraviglia era. E il battuto della torre era fervente tanto, che ella né co'piedi né con altro vi poteva trovar luogo; per che, senza star ferma, or qua or là si tramutava piagnendo. E oltre a questo, non faccendo punto di vento, v'erano mosche e tafani in grandissima quantità abondanti, li quali, ponendolesi sopra le carni aperte, sì fieramente la stimolavano, che ciascuna le pareva una puntura d'uno spontone per che ella di menare le mani attorno non restava niente, sé, la sua vita, il suo amante e lo scolare sempre maladicendo.

E così essendo dal caldo inestimabile, dal sole, dalle mosche e da'tafani, e ancor dalla fame, ma molto più dalla sete, e per aggiunta da mille noiosi pensieri angosciata e stimolata e trafitta, in piè dirizzata, cominciò a guardare se vicin di sé o vedesse o udisse alcuna persona, disposta del tutto, che che avvenire ne le dovesse, di chiamarla e di domandare aiuto.

Ma anche questo l'aveva la sua nimica fortuna tolto. I lavoratori eran tutti partiti de'campi per lo caldo, avvegna che quel dì niuno ivi appresso era andato a lavorare, sì come quegli che allato alle lor case tutti le lor biade battevano; per che niuna altra cosa udiva che cicale, e vedeva Arno, il qual, porgendole disiderio delle sue acque, non iscemava la sete ma l'accresceva. Vedeva ancora in più luoghi boschi e ombre e case, le quali tutte similmente l'erano angoscia disiderando.

Che direm più della sventurata vedova? Il sol di sopra e il fervor del battuto di sotto e le trafitture delle mosche e de'tafani da lato sì per tutto l'avean concia, che ella, dove la notte passata con la sua bianchezza vinceva le tenebre, allora rossa divenuta come robbia, e tutta di sangue chiazata, sarebbe paruta, a chi veduta l'avesse, la più brutta cosa del mondo.

E così dimorando costei, senza consiglio alcuno o speranza, più la morte aspettando che altro, essendo già la mezza nona passata, lo scolare, da dormir levatosi e della sua donna ricordandosi, per veder che di lei fosse se ne tornò alla torre, e il suo fante, che ancora era digiuno, ne mandò a mangiare; il quale avendo la donna sentito, debole e della grave noia angosciosa, venne sopra la cateratta, e postasi a sedere, piagnendo cominciò a dire:

- Rinieri, ben ti se'oltre misura vendico, ché se io feci te nella mia corte di notte agghiacciare, tu hai me di giorno sopra questa torre fatta arrostire, anzi ardere, e oltre a ciò di fame e di sete morire; per che io ti priego per solo Iddio che qua su salghi, e poi che a me non soffera il cuore di dare a me stessa la morte, dallami tu, ché io la disidero più che altra cosa, tanto e tale è il tormento che io sento. E se tu questa grazia non mi vuoi fare, almeno un bicchier d'acqua mi fa venire, che io possa bagnarmi la bocca, alla quale non bastano le mie lagrime, tanta è l'asciugaggine e l'arsura la quale io v'ho dentro.

Ben conobbe lo scolare alla voce la sua debolezza, e ancor vide in parte il corpo suo tutto riarso dal sole, per le quali cose e per gli umili suoi prieghi un poco di compassione gli venne di lei; ma non per tanto rispose:

- Malvagia donna, delle mie mani non morrai tu già, tu morrai pur delle tue, se voglia te ne verrà; e tanta acqua avrai da me a sollevamento del tuo caldo, quanto fuoco io ebbi da te ad alleggiamento del mio freddo. Di tanto mi dolgo forte, che la 'nfermità del mio freddo col caldo del letame puzzolente si convenne curare, ove quella del tuo caldo col freddo della odorifera acqua rosa si curerà; e dove io per perdere i nervi e la persona fui, tu da questo caldo scorticata, non altramenti rimarrai bella che faccia la serpe lasciando il vecchio cuoio.

- O misera me!- disse la donna - queste bellezze in così fatta guisa acquistate dea Iddio a quelle persone che mal mi vogliono; ma tu, più crudele che ogni altra fiera, come hai potuto sofferire di straziarmi a questa maniera? Che più doveva io aspettar da te o da alcuno altro, se io tutto il tuo parentado sotto crudelissimi tormenti avessi uccisi? Certo io non so qual maggior crudeltà si fosse potuta usare in un traditore che tutta una città avesse messa ad uccisione, che quella alla qual tu m'hai posta a farmi arrostire al sole e manicare alle mosche; e oltre a questo non un bicchier d'acqua volermi dare, che a'micidiali dannati dalla ragione, andando essi alla morte, è dato ber molte volte del vino, pur che essi ne domandino. Ora ecco, poscia che io veggo te star fermo nella tua acerba crudeltà, né poterti la mia passione in parte alcuna muovere, con pazienzia mi disporrò alla morte ricevere, acciò che Iddio abbia misericordia della anima mia, il quale io priego che con giusti occhi questa tua operazion riguardi.

E queste parole dette, si trasse con gravosa sua pena verso il mezzo del battuto, disperandosi di dovere da così ardente caldo campare; e non una volta ma mille, oltre agli altri suoi dolori, credette di sete ispasimare, tuttavia piagnendo forte e della sua sciagura dolendosi.

Ma essendo già vespro e parendo allo scolare avere assai fatto, fatti prendere i panni di lei e inviluppare nel mantello del fante, verso la casa della misera donna se n'andò, e quivi sconsolata e trista e senza consiglio la fante di lei trovò sopra la porta sedersi, alla quale egli disse:

- Buona femina, che è della donna tua?

A cui la fante rispose:

- Messere, io non so; io mi credeva stamane trovarla nel letto dove iersera me l'era paruta vedere andare; ma io non la trovai né quivi né altrove, né so che si sia divenuta, di che io vivo con grandissimo dolore; ma voi, messere, saprestemene dir niente?

A cui lo scolar rispose:

- Così avess'io avuta te con lei insieme là dove io ho lei avuta, acciò che io t'avessi della tua colpa così punita come io ho lei della sua! Ma fermamente tu non mi scapperai dalle mani, che io non ti paghi sì dell'opere tue che mai di niuno uomo farai beffe che di me non ti ricordi.- E questo detto, disse al suo fante:

- Dalle cotesti panni e dille che vada per lei, s'ella vuole.

Il fante fece il suo comandamento; per che la fante, presigli e riconosciutigli, udendo ciò che detto l'era, temette forte non l'avessero uccisa, e appena di gridar si ritenne; e subitamente, piagnendo, essendosi già lo scolar partito, con quegli verso la torre n'andò correndo.

Aveva per isciagura uno lavoratore di questa donna quel dì due suoi porci smarriti, e andandoli cercando, poco dopo la partita dello scolare a quella torricella pervenne, e andando guatando per tutto se i suoi porci vedesse, sentì il miserabile pianto che la sventurata donna faceva, per che salito su quanto potè, gridò:

- Chi piagne là su?

La donna conobbe la voce del suo lavoratore, e chiamatol per nome gli disse:

- Deh! vammi per la mia fante, e fa sì che ella possa qua su a me venire.

Il lavoratore, conosciutala, disse:

- Ohimè! madonna: o chi vi portò costà su? La fante vostra v'è tutto dì oggi andata cercando; ma chi avrebbe mai pensato che voi doveste essere stata qui?

E presi i travicelli della scala, la cominciò a dirizzar come star dovea e a legarvi con ritorte i bastoni a traverso. E in questo la fante di lei sopravenne, la quale, nella torre entrata, non potendo più la voce tenere, battendosi a palme cominciò a gridare:

- Ohimè, donna mia dolce, ove siete voi?

La donna udendola, come più forte potè, disse:

- O sirocchia mia, io son qua su; non piagnere, ma recami tosto i panni miei.

Quando la fante l'udì parlare, quasi tutta riconfortata, salì su per la scala già presso che racconcia dal lavoratore, e aiutata da lui in sul battuto pervenne; e vedendo la donna sua, non corpo umano ma più tosto un cepperello innarsicciato parere, tutta vinta, tutta spunta, e giacere in terra ignuda, messesi l'unghie nel viso cominciò a piagnere sopra di lei, non altramenti che se morta fosse. Ma la donna la pregò per Dio che ella tacesse e lei rivestire aiutasse. E avendo da lei saputo che niuna persona sapeva dove ella stata fosse, se non coloro che i panni portati l'aveano e il lavoratore che al presente v'era, alquanto di ciò racconsolata, gli pregò per Dio che mai ad alcuna persona di ciò niente dicessero.

Il lavoratore dopo molte novelle, levatasi la donna in collo, che andar non poteva, salvamente infin fuor della torre la condusse.

La fante cattivella, che di dietro era rimasa, scendendo meno avvedutamente, smucciandole il piè, cadde della scala in terra e ruppesi la coscia, e per lo dolor sentito cominciò a mugghiar che pareva un leone.

Il lavoratore, posata la donna sopra ad uno erbaio, andò a vedere che avesse la fante, e trovatala con la coscia rotta, similmente nello erbaio la recò, e allato alla donna la pose. La quale veggendo questo a giunta degli altri suoi mali avvenuto, e colei avere rotta la coscia da cui ella sperava essere aiutata più che da altrui, dolorosa senza modo ricominciò il suo pianto tanto miseramente, che non solamente il lavoratore non la potè racconsolare, ma egli altressì cominciò a piagnere.

Ma, essendo già il sol basso, acciò che quivi non gli cogliesse la notte, come alla sconsolata donna piacque, n'andò alla casa sua, e quivi chiamati due suoi fratelli e la moglie, e là tornati con una tavola, su v'acconciarono la fante e alla casa ne la portarono; e riconfortata la donna con un poco d'acqua fresca e con buone parole, levatalasi il lavoratore in collo, nella camera di lei la portò.

La moglie del lavoratore, datole mangiar pan lavato e poi spogliatala, nel letto la mise, e ordinarono che essa e la fante fosser la notte portate a Firenze; e così fu fatto.

Quivi la donna, che aveva a gran divizia lacciuoli, fatta una sua favola tutta fuor dell'ordine delle cose avvenute, sì di sé e sì della sua fante fece a'suoi fratelli e alle sirocchie e ad ogn'altra persona credere che per indozzamenti di demoni questo loro fosse avvenuto.

I medici furon presti, e non senza grandissima angoscia e affanno della donna che tutta la pelle più volte appiccata lasciò alle lenzuola, lei d'una fiera febbre e degli altri accidenti guerirono, e similmente la fante della coscia.

Per la qual cosa la donna, dimenticato il suo amante, da indi innanzi e di beffare e d'amare si guardò saviamente. E lo scolare, sentendo alla fante la coscia rotta, parendogli avere assai intera vendetta, lieto, senza altro dirne, se ne passò.

Così adunque alla stolta giovane addivenne delle sue beffe, non altramente con uno scolare credendosi frascheggiare che con un altro avrebbe fatto; non sappiendo bene che essi, non dico tutti ma la maggior parte, sanno dove il diavolo tien la coda.

E per ciò guardatevi, donne, dal beffare, e gli scolari spezialmente.