Il Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia dell’ Università
“La Sapienza” di Roma ha recentemente organizzato una serie di seminari
di approfondimento delle tematiche di Storia della Medicina. E’ stata una
nuova occasione per affrontare, insieme ad alcune discussioni di carattere
eminentemente storico, la complessa problematica della qualità della
vita nelle popolazioni antiche, dell’incidenza delle malattie, confrontando
metodi diversi, discipline apparentemente molto distanti fra loro, come
la paleopatologia, l’ urbanistica antica, la storia e la filosofia. Appare
sempre più evidente la necessità di coinvolgere un insieme
di materie sia per capire in quale modo si affrontava e si “viveva” la
malattia nelle popolazioni del passato, sia per comprendere gli aspetti
più complessivi della vita sociale degli individui: la presenza
o l’assenza di patologie specifiche, il loro impatto sulla speranza di
vita, sulla sua qualità, sull’età di morte di individui o
gruppi di persone. L’interesse che gli studi sulla società medievale
dimostrano verso questi fondamentali aspetti è stato fino a qualche
anno fa abbastanza marginale: non sono mancati grandi studi complessivi
su contagi e grandi epidemie che, più nell’immaginario collettivo
che nella effettiva realtà si ritiene contraddistinguessero l’Europa
medievale rispetto ad altre epoche. Eppure proprio i resti antropologici,
considerati ormai anche come preziose fonti archeologiche, possono permetterci
di affrontare nuovi aspetti della vita delle popolazioni medievali.
Gli studi paleopatologici offrono una serie di informazioni molto significative:
se l’interesse di medici e biologi si attesta, giustamente, sulla possibilità
di ricavare modelli di diffusione e di presenza di alcune malattie, e forse
persino a ricercare elementi utili al loro contrasto, per chi si occupa
di storia e archeologia l’apporto di queste analisi rappresenta forse uno
degli unici elementi per affrontare alcune questioni tuttora praticamente
irrisolte.
Da diversi anni, comunque, i punti di contatto tra paleopatologi e studiosi
della società medievale stanno subendo una formidabile accelerazione:
non si può forse ancora parlare di una costante opera di collaborazione
e divulgazione, ma si è stabilizzata un interessante e frequente
intreccio tra paleopatologi, antropologi, archeologi e storici del medioevo,
che certamente presto offrirà nuovi spunti e forse permetterà
di avanzare letture del mondo medievale più legate all’ambiente
sociale: tenendo conto della frequente esiguità dei rinvenimenti
spesso si tratterà di realtà relative a individui o a gruppi
relativamente circoscritti, ma sarà sempre comunque legata a dati
scientifici che non è possibile non considerare.
Uno dei temi più importanti che è stato affrontato nel
corso dei seminari, svoltisi tra il 17 maggio e il 7 giugno del 1996, è
stato quella della presenza e della diffusione del tumore nell’antichità.
Ne ha parlato G. Fornaciari, docente dell’Università di Pisa, senza
dubbio uno dei maggiori studiosi mondiali di paleopatologia.
Il tema, aldilà dell’interesse specifico che coinvolge soprattutto
i medici e i biologi, riguarda diversi aspetti della vita del passato.
Esistono a tutt’oggi due diverse posizioni: c’è, soprattutto tra
gli studiosi statunitensi, chi sostiene che il tumore praticamente non
fosse presente se non in un minimo di casi; ed esistono invece altri studiosi,
dell’Europa orientale, che ritengono che, nonostante una minore frequenza
rispetto ad oggi, il tumore conoscesse una certa diffusione.
Ora bisogna premettere che il cancro ha una diffusione nelle società
contemporanee purtroppo molto alta: si tratta di percentuali all’incirca
del 20 %. Almeno 1/4 di queste patologie comportano una lesione scheletrica,
quindi archeologicamente rintracciabile, almeno teoricamente, nelle sepolture
di popolazioni del passato. Ebbene, nelle necropoli antiche non si raggiungono
affatto percentuali simili (cioè almeno del 5 %); l’incidenza dei
tumori raggiunge a fatica e solo in taluni casi l’ 1% degli individui deposti.
Ciò indicherebbe con una certa evidenza la marginalità del
tumore come causa di morte: come è possibile spiegare questa situazione
? Esistono due spiegazioni per questo fenomeno: il cancro colpisce, in
genere, le persone anziane. Se l’età media delle popolazioni antiche
era bassa - come sembra - ecco spiegata la sua scarsa presenza. Ma va considerato
anche un altro aspetto : la minore presenza di cancerogeni chimici nell’ambiente
nel passato rispetto ad oggi. La società contemporanea inoltre,
per la facilità dei viaggi intercontinentali, la circolazione degli
oggetti e dei cibi su scala planetaria, è costantemente a contatto
con malattie infettive - da cui lo stimolo antigenico, corresponsabile
della nascita di alcuni tipi di tumore -; cosa che certamente avveniva
in misura decisamente inferiore tra le popolazioni antiche.
Il Prof. Fornaciari ha inoltre illustrato una serie di studi realizzati
su mummie medievali, le sepolture della corte aragonese a Napoli, dove
alcuni corpi si sono conservati in modo tale da poter di rilevare, in due
importanti casi, nei tumori la causa di morte degli individui.
Attualmente infatti parte degli studi paleopatologici si orienta verso
lo studio dei corpi mummificati che consentono, anche con le moderne analisi
di biologia molecolare, di ricavare una enorme mole di informazioni riguardo
le malattie diffuse nei secoli passati.
Gli interrogativi che partono da questa circoscritta analisi della presenza
dei tumori non sono affatto secondari: è proprio vero che l’età
media - o meglio la “speranza individuale di vita” - era così bassa
? Si possono individuare differenze a seconda delle epoche ? Il livello
di vulnerabilità ad alcuni tipi di malattie era lo stesso delle
società contemporanee ? Quale era il grado di contrasto medico,
sociale e ambientale nei confronti di alcune malattie ?
Lo studio sulla presenza del tumore tra le popolazioni antiche non è
che una delle varie possibilità offertaci dalle analisi paleopatologiche.
Il campo di applicazione di questa disciplina, soprattutto quando si prendono
in esame consistenti gruppi di individui, è molto esteso: si va
dal tipo di dieta alimentare alle patologie carenziali, dalla diffusione
di malattie “ambientali” come la malaria agli episodi di avvelenamento
collettivo come quello, molto noto, che colpì le classi elevate
tardoantiche noto come “saturnismo” (avvelenamento da piombo). Se si accompagnano
questi studi con quelli più classicamente “antropologici”, riguardanti
stature, elementi di differenziazione etnica - quando è possibile
e utile ricercarli - diagnosi di età alla morte e di dimorfismo
sessuale (solo per fare qualche esempio) ecco che le informazioni che investono
direttamente il campo degli studi archeologici e storici si allarga notevolmente.
Consolidate idee possono essere messe in discussione e nuovi spazi diventano
improvvisamente aperti alla ricerca scientifica. Se è vero che da
tempo ormai le analisi antropologiche fanno parte degli scavi archeologici
è anche giusto sottolineare che in molti casi esiste una certa incomunicabilità
tra ricercatori dei diversi settori; interessi diversi e, soprattutto,
le richieste di indagine che ci si fa vicendevolmente sono spesso poco
chiare, e ciò porta in qualche caso a conclusioni non del tutto
valide, con presupposti storici molto discutibili o influenzate da antichi
e solidi pregiudizi.
Quella medievale è una delle società dell’antichità
più vulnerabili da quest’ultimo punto di vista; la carenza di fonti
scritte e archeologiche riguardo alcuni aspetti fondamentali della vita
degli uomini medievali, si potrebbe superare attraverso le informazioni
desumibili dalle analisi antropologiche e paleopatologiche; ciò
anche per cancellare antichi pregiudizi o opinioni fondate solamente su
studi storici che nella loro inevitabile necessità di sintesi non
hanno potuto, naturalmente, chiarire i molteplici aspetti di una società
frammentata e allo stesso tempo fortemente coesa culturalmente come quella
dell’Europa medievale.
Il Seminario di Storia della Medicina che si è recentemente tenuto,
soprattutto grazie alla presenza del prof. Fornaciari, ha dimostrato che
in questa direzione i risultati che si possono ottenere, partendo sempre
da inquadramenti storici efficaci, sono di grande interesse e promettono
un sicuro sviluppo.
Fabio Giovannini