next essay previous article indice volumeStudi Storici 1, gennaio-marzo 1995 anno 36


Irene Castells Olivan, La rivoluzione liberale spagnola nel recente dibattito storiografico


3. Le resistenze alla rivoluzione: la guerra civile e il carlismo.
L'importanza del fatto che la nascita dello Stato liberale fosse segnata dalla guerra civile contro il carlismo, è stata pienamente recepita dalla storiografia; fin dagli anni Settanta uno studio innovatore sul tema mostrò fino a che punto questo fatto contrassegnò le modalità della crisi dell'antico regime in Spagna45. Restava tuttavia da spiegare come e perché la controrivoluzione — concretatasi nel partito carlista, che difendeva il diritto al trono del fratello di Fernando VII, Don Carlos, contro la figlia, la futura Isabella II — ebbe in alcune zone il sostegno delle masse, soprattutto contadine, e diede luogo a una vasta guerra civile di sette anni (1833-1840).

Vari lavori hanno cercato di rispondere su scala locale a queste domande, all'interno di un profondo rinnovamento storiografico del quale ricorderò soltanto gli elementi piú significativi dagli anni Settanta ad oggi. La questione, evidentemente, rientra appieno nel dibattito sulla rivoluzione liberale, che non si può capire senza analizzare le resistenze che suscitò. Proprio all'interno della linea interpretativa individuata come predominante, il carlismo è stato visto come un movimento di protesta popolare che, attraverso una concezione ideologica propria di una cultura tradizionale, esprimeva il proprio rifiuto di fronte al moderatismo e ai limiti sociali della borghesia liberale. Ne viene, cosí, enfatizzato il carattere popolare dei movimenti antiliberali che accompagnarono la transizione al nuovo regime. Ma, una volta stabilita la necessaria distinzione tra il « partito carlista» e le masse contadine e artigiane, resta da chiarire perché il carlismo attecchí in alcune zone e non in altre. Le spiegazioni che rinviano ai limiti sociali della riforma agraria liberale o alla difesa della cultura contadina tradizionale, avanzate nelle numerose monografie sul tema, non appaiono sufficienti, e lasciano aperto il dibattito. La storiografia di segno progressista sostiene posizioni opposte rispetto alla perdurante interpretazione neocarlista46: alcuni postulano una autonomia propria del movimento contadino (né carlista né liberale), 47altri semplicemente negano al carlismo un carattere di rivolta sociale, mostrando come la sua incidenza variasse, per esempio nel caso catalano, piú in funzione della traiettoria militare della guerra che in relazione a una determinata geografia filocarlista o filoliberale, ponendo l'accento piuttosto sul confronto tra controrivoluzione e rivoluzione48.

Va particolarmente segnalato l'ampliamento del dibattito ad opera di Jes&uacutes Millán, che rifiuta l'identificazione del carlismo con il feudalesimo o con l'assolutismo, in quanto essa implica, a suo dire, il persistere di una visione semplicistica delle società agrarie alla fine dell'antico regime. La complessità di queste ultime esige lo studio in concreto dell'azione e delle strategie politiche adottate dalle diverse oligarchie per conquistare il sostegno delle classi subalterne. Sicché egli tende a relativizzare il carattere « popolare» dell'antiliberalismo in Spagna e a dare maggiore importanza al protagonismo dei settori delle classi dominanti (notabili rurali) che lottarono per consolidare una via autoritaria antiliberale che permettesse loro di continuare a contare sull'appoggio dei ceti subalterni. Non bisogna sopravalutare — secondo questa proposta interpretativa — il sostegno dei contadini all'assolutismo, né stabilire una relazione meccanica tra frustrazione contadina e mobilitazione antiliberale, poiché non fu nelle zone dove esistevano piú precise rivendicazioni popolari per l'accesso alla terra che la reazione ebbe maggiore presa49. L'impostazione dell'autore riapre dunque il « dibattito sulla rivoluzione borghese» e sulla parte che vi ebbero i ceti popolari.

Da un'ottica diversa, si è insistito sulla eterogeneità dei gruppi sociali che compongono il carlismo (aspetto sul quale esiste un ampio consenso), che rimanda alla complessità della formazione del nuovo Stato: il carlismo — si è detto — sarebbe un movimento di resistenza e di protesta di fronte a un mondo che cambia, al quale parteciparono alcuni settori minoritari della nobiltà, notabili rurali, settori del clero, settori diversi del mondo contadino, ma anche piccoli proprietari e l'artigianato urbano legato al vecchio mondo delle corporazioni e degli uffici50. L'« Abrazo de Vergara» del 1839 — accettato solo da una parte dell'esercito carlista — con il quale terminò la prima guerra carlista, può spiegare come mai il carlismo, anche se con manifestazioni diverse, rimase vivo come movimento politico nel corso della storia contemporanea di Spagna. Allo stesso tempo, l'incorporazione della maggior parte dell'ufficialità carlista nel nuovo esercito liberale accentuò il suo conservatorismo e l'ipertrofia dei quadri ufficiali che caratterizzò l'esercito durante i secoli XIX e XX.

Altri ancora hanno sottolineato che la lunga lotta tra la vecchia e la nuova società, con i conflitti armati che ne conseguirono, non poté non incidere molto negativamente sull'economia del paese e sulla crisi finanziaria che travolse il nuovo Stato, oppresso dalla crescita del debito pubblico e dalle spese di governo. Ciò influirà sull'insufficiente grado di modernizzazione dell'economia spagnola dopo la rivoluzione liberale51.


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Irene Castells Olivan, La rivoluzione liberale spagnola nel recente dibattito storiografico


45 J. Torras, Liberalismo y rebeld&iacutea campesina, 1820-1823, Barcelona, Ariel, 1976.

46 Gli anni Settanta hanno visto una proliferazione di lavori volti a recuperare il carlismo come movimento popolare e sociale anticapitalistico e a carattere progressista: esempio di questa tendenza è il volume di J. C. Clemente, Historia general del carlismo, Madrid, 1992.

47 R. Del Rio y J. de la Torre, Actitudes del campesinado y revolución burguesa en Espa&ntildea: una nueva propuesta de análisis, in S. Castillo, ed., La historia social en Espa&ntildea, Madrid, 1991, pp. 345-358.

48 È la posizione sostenuta da M. Santirso, Revolución liberal y guerra civil, tesi di dottorato, cit.

49 Tra i numerosi lavori di J. Millán, si segnalano Rentistas y campesinos. Desarrollo agrario y tradicionalismo pol&iacutetico en el sur del Pa&iacutes Valenciano, 1680-1840, Alicante, Instituto de Cultura Juan Gil-Albert, 1984; La resistencia antiliberal a la revolució burgesa espanyola: insurrecció popular o moviment subaltern?, in J. M. Fradera y R. Garrabou, eds., Carlisme i moviments absolutistes, Gerona, Eumo, pp. 27-58; Radicalismo, pasividad, contrarrevolución, pol&iacutetica y conflictividad en la sociedad agraria espa&ntildeola durante el ascenso del capitalismo, in « Idearium» , vol. I, ottobre 1992, pp. 75-90, e Per una hist&ograveria social del carlisme. Una reflexió sobre els problemes de l'analisi hist&ograverica del moviment carlí, in Carlins i integristes. Lleida, segles XIX i XX, Lleida, Institut d'Estudis Ilerdencs, 1993, pp. 13-50.

50 Sul carlismo in generale si veda J. Aróstegui, El carlismo y la guerra civil, in J. M. Jover Zamora, dir., La era isabelina y el sexenio democrático (1834-1874), vol. XXXIV della Historia de Espa&ntildea fondata da R. Menendez Pidal, Madrid, Espasa Calpe, 1981. Sul carlismo catalano, da segnalare i lavori di P. Anguera e Ll. Lladonosa. L'ampia bibliografia sul tema mostra come il dibattito, qui ripercorso solo nelle posizioni piú estreme, resti ancora aperto.

51 P. Tedde de Lorca, Revolución liberal y crecimiento económico en la Espa&ntildea del siglo XIX, in Antiguo R&eacutegimen y liberalismo. Homenaje a Miguel Artola, I, Visiones generales,cit., pp. 31-49.