Questo articolo è stato presentato alla conferenza internazionale del TICCIH L'Archeologia Industriale e la nuova cultura del riuso, svoltasi a Roma nei giorni 11-12 ottobre 1996, gli atti della quale sono ancora in corso di pubblicazione.
Le Philosophical Transactions of the Royal Society, costituiscono
un eccellente punto di partenza per una discussione che vuole essere un
tentativo teso essenzialmente a scavalcare le tradizionali barriere, purtroppo
anche accademiche, esistenti fra le diversre discipline che, seppur da
diverse angolazioni, insistono su un medesimo argomento di ricerca. Infatti,
proprio per il periodo a cavallo fra Rivoluzione Scientifica e Rivoluzione
Industriale, intorno al quale molto ha prodotto il tradizionale interesse
della Storia della Scienza 1, le Philosophical
Transactions of the Royal Society mostrano quanto sia importante per
la stessa Storia della Scienza appuntare i propri sforzi investigativi
non solo sulle questioni relative alle teorie ed alla rappresentazione
della realtà ma anche intorno ai problemi legati all'esperimento,
alla tecnologia ed all'uso della conoscenza per alterare il mondo. Questa
pubblicazione, che riportava gli scritti presentati alla Società,
benché contenesse sempre articoli di matematica e di riflessione
teorica, riportava, infatti, anche cronache di fatti, osservazioni, esperimenti
e deduzioni a partire da quest'ultimi 2. Prodotto,
quindi, della confluenza in uno stesso ambito di tradizioni differenti,
dalla matematica alla astronomica, dalla medico-chimica alla tecnologica,
le attività e le pubblicazioni della Royal Society agiscono come
monito verso tentazioni monotematiche che intendano ricondurre e ridurre
la storia delle scienze naturali esclusivamente ad una storia delle teorie
scientifiche 3.
La Storia della Scienza offre, dunque, all'indagine diacronica un andamento
tutt'altro che uniforme e mostra, al contempo, tutte le difficoltà
di un approccio analitico che insista nel voler considerare la storia della
scienza e quella della tecnologia come due entità separate; ciò
appare tanto più insidioso in un periodo quale quello della Rivoluzione
Industriale durante il quale tali differenze di indirizzo non si erano
affatto esplicitate. Infatti, la scienza in detto periodo veniva direttamente
traslata negli impianti industriali divenendo perciò tecnologia
ipso facto 4. La storia della termodinamica
è, così, esemplificativa della storia di un'invenzione pratica
che gradualmente giunge all'analisi teorica. La sua storia attraversò
tre fasi evolutive, sempre parallelamene allo sviluppo di diversi concetti
sperimentali. Le tre invenzioni sono il motore atmosferico di Newcomen
(1709-15), il motore a condensazione di Watt (1767-84) ed il motore ad
alta pressione di Trevithick (1798). Alle spalle di gran parte degli sviluppi
che seguirono l'originale soluzione di Newcomen troneggiava l'idea, tanto
economica che fisica, di rendimento di un motore, ovvero il problema
della quantità d'acqua pompata per metro cubo di carbone. La nascita
di tale questione è con molta probalità dovuta all'insistente
abnegazione dei direttori delle miniere della Cornovaglia che attenti all'ottimizzazione
dei profitti, ebbero a notare che certi motori funzionavano meglio di altri.
Naturalmente questi acuti osservatori non sono ricordati in alcuna storia
della scienza. In seguito, dopo diciasette anni di tentativi Watt realizzò
un motore il cui rendimento era per lo meno tre volte superore al precedente
Newcomen, grazie all'introduzione del principio del lavoro ad espansione,
principio ricco di conseguenze per la storia della scienza. Successivamente,
il coraggio di Trevithick consentì la costruzione di motori che
lavoravano a pressioni elevate, malgrado il costante pericolo di esplosioni.
Quando questo motore veniva utilizzato ad espansione con una precoce interruzione
del vapore, il suo rendimento migliorava di molto rispetto al miglior motore
di Watt. Soltanto con Carnot (1796-1832), però, fu chiarito che
il miglior rendimento del motore ad alta pressione di Trevithick non era
connesso alla sola pressione ma all'aumento del punto di ebollizione dell'acqua
grazie alla pressione. Il rendimento del motore non è legato alle
differenze di pressione ma alle differenza di temperaura fra il vapore
che entra nel cilindro ed il vapore espanso che lo abbandona. Ecco così
venire alla luce il ciclo di Carnot, il concetto di rendimento termodinamico,
e, una volta unificate le idee di Carnot mediante il principio di conservazione
dell'eneregia, la scienza termodinamica. Quest'ultima parola ricorda essa
stessa che questa scienza è sorta grazie ad una approfondita analisi
di diversi esperimenti ed invenzioni. Questi costituirono di fatto gli
arditi tentativi necessari al perfezonamento della tecnologia che fu il
centro della rivoluzione industriale 5.
Approfondire e ricostruire il contesto nel quale si operarono tali trasformazioni
è compito principale dell'Archeologia delle Attività Produttive.
Archeologia delle Attività Produttive e non semplicemente Archeologia
Industriale perché il termine rischierebbe altrimenti di essere
troppo restrittivo nei confronti degli eventi tecnologigci e produttivi
delle società pre-industriali intorno ai quali i nuovi indirizzi
dell'Archeologia sono ormai sempre più attenti. E' infatti sempre
e soltanto grazie all'Archeologia che la storia della produzione e del
lavoro in epoca pre-industriale può incamerare le informazioni necessarie
per una ricostruzione storica 6.
Per ciò che concerne il periodo della rivoluzione industriale, questo
tipo di approccio archeologico ha permesso di ottenere nuove informazioni
non solo intorno agli aspetti tecnologici e architettonici degli impianti
produttivi ma anche riguardo all'ambiente naturale ed al contesto sociale
nei quali funzonavano 7. L'inventario degli impianti
produttivi è il primo passo verso un'analisi del problema del trasferimento
e diffusione di determinate tecnologie sul territorio e dell'organizzazione
della produzione in determinati impianti industriali 8.
Quindi, l'indagine sulla tecnologia deve essere anch'essa considerata un'analisi
volta a ricostruire la società: i resti archeologici sono l'interfaccia
fra la nostra società e quelle passate 9. Tecnica
e società devono considerarsi interconnesse in un sistema che potremmo
definire sociotecnologico costituito cioé da una commistione di
persone e cose: la produzione tecnica è quindi a tutti gli effetti
un prodotto culturale 10. L'approccio archeologico
quindi non deve e non può essre considerato soltanto una mera filologia
degli artefatti; al contrario, questo metodo apre una serie di nuovi orizzonti
per la storia economica e sociale: tutte le informazioni contenute negli
oggetti devono perciò essere analizzati; e questa analisi, grazie
ai metodi dell'archeologia sperimentale e dell'archeometria, è divenuta
ormai possibile. Un'analisi dell'oggetto archeologico dal punto di vista
dell'archeologia delle attività produttive e lavorative, infatti,
consente di portare alla luce ed analizzare numerosi problemi di rilevanza
storica: la valutazione del livello tecnologico raggiunto da dati gruppi
umani in diverse epoche; la cirolazione ed il commercio delle materie prime,
cosiccome il trasferimento di tecnologie; le condizioni di vita dei lavoratori,
la stratificazione sociale; e la funzione degli oggetti prodotti 11.
Il patrimonio culturale pertinente alla sfera della scienza e della tecnica
infatti non è solo una componente della cultura in generale ma in
gran parte ne costituisce l'ossatura 12. Occorre dunque
interpretare la scienza e la tecnologia nel contesto generale di cultura
13. Infatti, ciò che in lingua inglese è
felicemente detto Cultural landscape è la manifestazione delle interazioni
fra il genere umano ed il suo ambiente naturale, inteso anche quale fonte
di materie prime; naturalmente, l'attività produttiva crea il suo
proprio paesaggio culturale 14.
L'esponenziale crescita della capacità della scienza archeologica
aumenta le posibilità di indagine e si estende anche ad areee ritenute
fino ad ora soltanto in grado di sostenere conservazione e documentazione.
Quindi la protezione dei siti legati alle attività di lavoro e produzione
é innanzittutto importante affinché vengano preservate delle
fonti di indagine per l'archeologia 15. Ciò
anche se per quanto concerne il periodo della rivoluzione industriale,
non esiste ancora un consenso unanime e diffuso a favore della salvaguardia
basato su di una giustificazione archeologica 16.
A questo proposito, però, vi è un secondo ordine di giustificazione
per la conservazione dei beni culturali industriali: la possibilità
di preservare l'evidenza di tecnologie innovative e/o un esempio di una
tecnica un tempo tipica; di musealizzare ed eventualmente ricosrtuire l'intero
contesto 17 socio-economico di un'area e, soprattutto,
di ricostruire ed interpretare la storia tecnologica del detto contesto.
Inoltre, la salvaguardia è spesso l'unico mezzo possibile per perpetuare
una tecnica, ricostruirla e dimostrarla 18. L'eredità
del patrimonio industriale è dunque in primo luogo un'eredità
culturale. Il patrimonio dei beni culturali industriali è infatti,
da un lato, il prodotto delle generazioni precedenti che consente alla
società attuale di mentenere delle tradizioni socialmente significative
19, e dall'altro, attraverso tutti i monumenti della
cultura industriale si presenta come un magazino di memoria storica contenente
importanti informazioni intorno a metodi, processi tecnici, relazioni sociali,
attività di grandi inventori, ingenieri, architetti e scienziati
del passato 20.
Resta la questione di come rendere questo approccio archeologico un'attività
socialmente coinvolgente 21. Un cammino interdisciplinare
nel quale confluiscano competenze diverse provenienti da ambiti di ricerca
differenti, quali l'archeologia e la storia della scienza, certamente potrebbero
favorire tale processo. Un'indagine basata su una sinergia culturale di
questo tipo, infatti, sarebbe in grado di realizzare su uno stesso sito
un'analisi che preveda allo stesso tempo ricostruzione storica (tanto tecnologica
che sociale) e musealizzazione. Qust'ultima però intesa non come
pura conservazione ma indirizzata a reinserire "il Monumento"
all'interno del suo contesto, prevedendo ad esempio la reale ed attiva
ricostruzione dei processi tecnici di produzione. Cito, a titolo d'esempio
qunto realizzato per il Parco Archeologico Minerario di San Silvestro
all'interno del quale conservazione, iniziativa scientifica e promozione
turistico-culturale sembrano affettuosamente sposarsi. Iniziative di questo
genere, restituiscono innanzi tutto all’ homo faber il posto che gli spetta
nell’indagine diacronica intorno alla evoluzione della società e
della sua economia 22 e spezzano, inoltre, il cerchio
di forte disinteresse tipico della tradizione archeologica “umanistica”
per “le vestigia del lavoro”, che per molto tempo ha consentito che le
tracce pìù evidenti lasciate dall’ uomo nel suo rapporto
storico con le risorse ambientali venissero ignorate in favore di un’ attenzione,
quasi antiquaria, rivolta esclusivamente agli aspetti artistici e monumentali
delle società umane 23. Allo stesso modo, rappresentano
un riferimento fondamentale per una ricostruzione della memoria storica,
della coscienza civica (e perchè no di riscatto e di recupero di
identità 24), nonchè una base per studi
specialistici e per una politica di valorizzazione di quei beni “culturali-industriali”
testimonianza di un passato lavorativo nella magggioranza dei casi assai
importante comune ad un’ intera area geo-demografica che spesso è
stata costretta a vivere la propria tradizione di lavoro in una condizione
di subalternità complessiva tanto culturale che materiale.
1 Cfr. fra le numerose opere: Th. Sprat, A History
of the Royal Society, (1667) rist. anast. Londra 1966; H.Kearney, Scholars
and Gentelmen. Universities and Societies in pre-industrial Britain 1500-1700,
Cambridge 1970; P.Rossi, I Filosofi e le Macchine, Milano 1971;
A.E.Musson, Science, Technology, and Economic growth in the Eighteen
century, Londra 1972; R. Merton, Scienza, Tecnologia e Società
nell'Inghilterra del xvii sec., Milano 1975; C. Giuntini, Scienza
e Società in Inghilterra dai Puritani a Newton, Torino 1979;
A.R.Hall, La Rivoluzione nella Scienza: 1500-1750, Milano 1986.
2 Cfr. I.Hacking, Conoscere e sperimentare, Roma-Bari 1987, 177.
3 Ivi,178 e 190.
4 Cfr. H.Cleere, "Ironworks as world Heritage", in The Importance
of Ironmaking I, Stoccolma 1995, 295.
5 Cfr; I.Hacking, Conoscere e sperimentare,193-95.
6 Si veda il recente volume T.Mannoni-E.Giannichedda, Archeologia della
produzione, Torino 1996.
7 Cfr. J.F. Belhoste, "The Study and Preservation of French Ironworks.
Historic monuments and site museums", in The Importance of Ironmaking
I, Stoccolma 1995, 283 in proposito degli impianti metallurgici.
8 Cfr. J.F.Belhoste, "L'nventaire des forges francaises et ses applications",
in Ironworks and Iron monuments, Roma 1985, 95-103.
9 Cfr. M.Shanks, "Ironmaking: Preservation, Restoration, and Reconstrucion",
in The Importance of Ironmaking I, Stoccolma 1995, 327, 330.
10 Ivi, 328-29.
11 Cfr. R.Francovich, "Premessa", in Scienze in Archeologia
Firenze 1990, 5-6, 8; e Molinari, "Il ciclo di lezioni sulla ricerca
applicata in Archeologia ed un proggetto di laboratorio", in Scienze
in Archeologia Firenze 1990, 16.
12 Cfr. G.G.Grigorian, "Report on Activities of the Section of Scientific
and Technical Museums of the Russian ICOM Commitee concerning the Conservation
of Cultural Heritage in the Field of Science and Technology", in Conservation
of the Industrial Heritage: World Experience and Russian Problems,
Ekaterinburg 1993, 99.
13 Ivi, 101.
14 Per la definizione di Cultural Landscape cfr. H.Cleere, "Ironworks
as world Heritage", in The Importance of Ironmaking I, Stoccolma
1995, 293.
15 Cfr. N.Cossons, "Ironmaking Sites: Conservation and Interpretation",
in The Importance of Ironmaking II, Stoccolma 1996, 214
16 Ivi, 215.
17 Ivi, 216-17.
18 Ivi, 219.
19 Cfr. Ye.T.Artyomov, S.P.Pojtnkov, "Industrial Heritage as an Actualizing
Factor in Refernce to Historical Memory", in Conservation of the
Industrial Heritage: World Experience and Russian Problems, Ekaterinburg
1993, 196.
20 Ivi,197.
21 Cfr. R.Burt, "Problems of Conserving underground Sites and Artifacts
in abandoned British metal Mines", in Conservation of the Industrial
Heritage: World Experience and Russian Problems, Ekaterinburg 1993,109.
22 Cfr. G. Lopez, "Discorso inaugurale", in Settimane di Studio
del CISAM XVIII, (2-4-IV-1970), Artigianato e tecnica nella società
dell'alto medioevo occidentale, Spoleto1971, 16 a proposito dell’Alto
Medioevo.
23 Cfr. R. Francovich, Le ragioni di un parco alle radici dell’Archeologia
mineraria, Venezia 1994, 29.
24 Cfr. F. Borsi, Introduzione alla Archeologia Industriale, Roma
1978, 17: « E per quanto riguarda la gente, si può anche pensare
che ci sia una sorta di affezione abitudinaria ai luoghi di lavoro, ai
luoghi a cui si sono dedicati molti anni della vita e talvolta la fatica
di generazioni, e che la visita, la possibilità di accedere, la
presenza fisica delle testimonianze di quel lavoro, di quel sacrificio,
di quella continuità di prestazione d’opera, possa costituire una
testimonianza affettiva, specialmente nel riguardo delle nuove generazioni,
di ciò che è stato il lavoro, il sacrificio, la dedizione
e la pazienza dei più anziani.».
25 Cfr. L. Rombai-I. Tognarini, Follonica e la sua industria del ferro.
Storia e beni culturali, Firenze1986, 5.
Vasco La Salvia