Il Cavaliere di Ripafratta
Il Marchese di Forlipopoli
Il Conte d'Albafiorita
Mirandolina, locandiera
Ortensia, comica
Dejanira, comica
Fabrizio, cameriere di locanda
Servitore, del Cavaliere
Servitore, del Conte
La scena si rappresenta in Firenze, nella locanda di Mirandolina.
L'autore a chi legge
Fra tutte le Commedie da me sinora composte, starei per
dire essere questa la più morale, la più utile, la più
istruttiva. Sembrerà ciò essere un paradosso a chi soltanto
vorrà fermarsi a considerare il carattere della Locandiera,
e dirà anzi non aver io dipinto altrove una donna più
lusinghiera, più pericolosa di questa. Ma chi rifletterà al
carattere e agli avvenimenti del Cavaliere, troverà un esempio
vivissimo della presunzione avvilita, ed una scuola che insegna a
fuggire i pericoli, per non soccombere alle cadute.
Mirandolina fa altrui vedere come s'innamorano gli uomini.
Principia a entrar in grazia del disprezzator delle donne,
secondandolo nel modo suo di pensare, lodandolo in quelle cose
che lo compiacciono, ed eccitandolo perfino a biasimare le donne
istesse. Superata con ciò l'avversione che aveva il Cavaliere
per essa, principia a usargli delle attenzioni, gli fa delle
finezze studiate, mostrandosi lontana dal volerlo obbligare alla
gratitudine. Lo visita, lo serve in tavola, gli parla con umiltà
e con rispetto, e in lui vedendo scemare la ruvidezza, in lei
s'aumenta l'ardire. Dice delle tronche parole, avanza degli
sguardi, e senza ch'ei se ne avveda, gli dà delle ferite
mortali. Il pover'uomo conosce il pericolo, e lo vorrebbe
fuggire, ma la femmina accorta con due lagrimette l'arresta, e
con uno svenimento l'atterra, lo precipita, l'avvilisce. Pare
impossibile, che in poche ore un uomo possa innamorarsi a tal
segno: un uomo, aggiungasi, disprezzator delle donne, che mai ha
seco loro trattato; ma appunto per questo più facilmente egli
cade, perché sprezzandole senza conoscerle, e non sapendo quali
sieno le arti loro, e dove fondino la speranza de' loro trionfi,
ha creduto che bastar gli dovesse a difendersi la sua avversione,
ed ha offerto il petto ignudo ai colpi dell'inimico.
Io medesimo diffidava quasi a principio di vederlo
innamorato ragionevolmente sul fine della Commedia, e pure,
condotto dalla natura, di passo in passo, come nella Commedia si
vede, mi è riuscito di darlo vinto alla fine dell'Atto secondo.
Io non sapeva quasi cosa mi fare nel terzo, ma venutomi in
mente, che sogliono coteste lusinghiere donne, quando vedono ne'
loro lacci gli amanti, aspramente trattarli, ho voluto dar un
esempio di questa barbara crudeltà, di questo ingiurioso
disprezzo con cui si burlano dei miserabili che hanno vinti, per
mettere in orrore la schiavitù che si procurano gli sciagurati,
e rendere odioso il carattere delle incantatrici Sirene. La Scena
dello stirare, allora quando la Locandiera si burla del
Cavaliere che languisce, non muove gli animi a sdegno contro
colei, che dopo averlo innamorato l'insulta? Oh bello specchio
agli occhi della gioventù! Dio volesse che io medesimo cotale
specchio avessi avuto per tempo, che non avrei veduto ridere del
mio pianto qualche barbara Locandiera. Oh di quante Scene mi
hanno provveduto le mie vicende medesime!... Ma non è il luogo
questo né di vantarmi delle mie follie, né di pentirmi delle
mie debolezze. Bastami che alcun mi sia grato della lezione che
gli offerisco. Le donne che oneste sono, giubileranno anch'esse
che si smentiscano codeste simulatrici, che disonorano il loro
sesso, ed esse femmine lusinghiere arrossiranno in guardarmi, e
non importa che mi dicano nell'incontrarmi: che tu sia maledetto!
Deggio avvisarvi, Lettor carissimo, di una picciola
mutazione, che alla presente Commedia ho fatto. Fabrizio, il
cameriere della Locanda, parlava in veneziano, quando si recitò
la prima volta; l'ho fatto allora per comodo del personaggio,
solito a favellar da Brighella; ove l'ho convertito in toscano,
sendo disdicevole cosa introdurre senza necessità in una
Commedia un linguaggio straniero. Ciò ho voluto avvertire,
perché non so come la stamperà il Bettinelli; può essere ch'ei
si serva di questo mio originale, e Dio lo voglia, perché almeno
sarà a dover penneggiato. Ma lo scrupolo ch'ei si è fatto di
stampare le cose mie come io le ho abbozzate, lo farà trascurare
anche questa comodità.