Solo da pochi anni la storiografia ha cominciato a considerare l’evoluzione
del diritto medievale in una dimensione europea, nella convinzione dell’esistenza
di una tradizione giuridica comune caratterizzata, al di là della
diversità delle singole manifestazioni, da identità di valori
e principi (eredità romana e tradizione germanica, cultura cristiana,
circolazione di norme e dottrine). Ciò vale in particolare per l’Alto
Medioevo, nel quale Lupoi riconosce un vero e proprio ius commune
fondato sulla comunanza di principia e regulae e che ebbe
fine nel secolo XI, quando su basi completamente diverse - in contrapposizione
agli iura propria - nacque lo ius commune “per eccellenza”. In quest’ottica
appare particolarmente fecondo l’uso di un metodo storico-comparativo che,
mettendo a confronto nel lessico e nei contenuti fonti non solo giuridiche
provenienti dalle più disparate zone del nostro continente, individui
lo “stile” e i caratteri comuni del diritto europeo altomedievale, senza
trascurare la grande varietà e ricchezza delle sue linee evolutive.
Maurizio Lupoi e Antonio Padoa-Schioppa procedono da questa analoga posizione,
ma si differenziano per il punto di vista con il quale affrontano l’argomento
e nell’organizzazione delle loro opere.
L’interessante volume di Padoa-Schioppa si inserisce a buon diritto nella
migliore tradizione della storiografia giuridica italiana, che, sulla scia
dell’opera di Calasso, ha dato e darà ancora sintesi storiche di
grande pregio. La materia è illustrata con estrema chiarezza e lucidità
- “il libro è pensato per giuristi e per non giuristi, oltre che
per gli studenti: non per gli specialisti”, scrive l’autore - e, soprattutto,
il fenomeno giuridico appare sempre esposto e e interpretato come manifestazione
di una civiltà in un dato contesto storico.
Profondamente differente è lo studio di Lupoi. Organizzato in una
serie di esposizioni tendenti ad esaurire, per “spaccati” sincronici, ogni
aspetto del diritto dei secoli V-XI - cioè tra il venire meno della
produzione normativa romana dopo il Codex Theodosianus del 438 e
il suo riemergere in un contesto affatto diverso -, in esso il dato fenomenico
viene estrapolato e reinterpretato sulla base del dato antropologico e
culturale, in una visione che privilegia il modo di produzione delle regole
rispetto a quest’ultime, l’operare delle fonti rispetto alla norma, la
circolazione dei modelli rispetto a quella dei precetti, e, in generale,
“i fenomeni di comunicazione nelle loro variegate attestazioni”. Completano
il quadro sei excursus su problematiche più particolari,
che non hanno trovato diritto di cittadinanza all’interno dell’esposizione
principale.
Entrambe le opere sono corredate di un’ampia e aggiornata bibliografia.
Mauro Lenzi