2. d. I problemi dell'economia, 1580-1640: effetti negativi e complessità dell'impero. Questa situazione, con differenze regionali, cambierà in modo inesorabile a partire dal 1580. Come si può vedere nel grafico 2, la diminuzione tanto della popolazione come della produzione di cereali nella Valle del Duero, una delle aree fino ad allora piú ricche, non consente dubbi. Nonostante essa sembri piú moderata nelle aree periferiche, all'interno della penisola la recessione demografica e produttiva è evidente (si veda il grafico 3). I « riassestamenti» produttivi ai quali ci riferivamo all'inizio, sebbene presenti, non sembrano essere stati sufficienti per fermare una tendenza negativa. Tuttavia l'effetto piú rilevante, si potrebbe dire piú importante, è la disarticolazione della rete urbana, evidente nel calo della popolazione delle città in alcune aree, come la Vecchia Castiglia, piú profonda e duratura di quella degli ambiti rurali e che non poté essere compensata dall'aumento di 110.000 anime che si produsse a Madrid tra il 1606 e il 1630, data a partire dalla quale la capitale si stabilizzò90.
Che cosa è successo? È impossibile nello spazio limitato di queste pagine realizzare una ricostruzione dei fatti che permetta di studiare dettagliatamente la reciproca articolazione dei differenti fattori91. Come si è già detto, le spiegazioni tradizionali tendono a sottolineare la presenza di blocchi maltusiani che sarebbero coincisi con un aumento della rendita della terra e della pressione fiscale (la cui responsabilità esclusiva si attribuisce alla corona) e con una fuga del capitale dagli affari alla rendita, generalmente identificate con investimenti in juros. Recentemente si sono aggiunte spiegazioni complementari che, come quella di D. Ringrose sull'effetto negativo di Madrid, enfatizzano le difficoltà di approvvigionamento per il resto delle città, create da una capitale che, in cambio conferisce solo servizi politici e amministrativi e che sviluppa un'industria orientata esclusivamente alla domanda cortigiana di qualità e poco integrata con il resto del paese92.
Sono sufficienti tali spiegazioni? Si esprimono sempre in maniera coerente con i presupposti all'interno del piano che abbiamo analizzato prima? Credo, al contrario, che la linea aperta possa aiutarci a precisare alcune questioni e a sfruttare la loro importanza. Per esempio, una semplice comparazione con la Francia, paese per il quale si è talvolta enfatizzato lo sfasamento tra risorse e popolazione e le cui strutture produttive si basavano anche sul predominio di forme signorili e comunitarie, dimostra che la recessione fu molto piú profonda in Castiglia93. Pur potendo alludere alle differenze geografiche, conviene prendere in considerazione il fatto che la densità della popolazione spagnola nel 1590 era molto piú bassa di quella francese. Nemmeno sembra chiaro che la pressione fiscale, cosí come si è valutata finora, fosse piú alta in Castiglia che in altri paesi europei94. Per quanto concerne Madrid, esiste un significativo esempio a contrario dell'effetto positivo che altre capitali europee, come Londra, esercitarono nelle rispettive economie nazionali95. La questione consiste allora nello spiegare il modo in cui questi fattori presero forma, si combinarono tra di loro, e il contesto nel quale agirono.
Adesso non conviene attribuire le insufficienze tecniche dell'agricoltura spagnola al disinteresse dei grandi signori e proprietari per la gestione dei loro patrimoni96. È evidente inoltre che durante il XVI e il XVII secolo si rafforzò una tendenza alla concentrazione della proprietà e alla formazione di grandi patrimoni, spesso a spese di terreni di uso comune, simile a quella che si produsse in Inghilterra, che ha permesso di parlare in quel caso dell'inizio di un'agricoltura capitalista ed è anche arrivata ad essere considerata una delle cause del cambiamento politico operato nell'isola durante il XVII secolo97.
In questo senso, la riproduzione del sistema politico e sociale descritta prima creava qui alcune condizioni diverse non solo sul piano politico, ma anche su quello economico. L'economia castigliana del XVI secolo era sempre piú mercantilizzata o, piú concretamente, la commercializzazione di beni di consumo e la divisione del lavoro erano in esse progredite. Si potrebbe aggiungere che ciò era stato determinato da un fattore produttivo fondamentale quale il lavoro e non è strano che si sia arrivati a parlare di « transizione fallita» . 98È altresí evidente che, per l'affermazione dello sviluppo politico e sociale, non si andava realizzando la stessa cosa con l'altro fattore fondamentale, vale a dire la terra, che al contrario usciva da circuiti mercantili mano a mano che si estendevano i maggiorascati e le proprietà ammortizzate. Tutto ciò consacrava una gestione economica perfettamente razionale, ma poco propizia ad inversioni produttive su grande scala; le quali avevano molto piú a che fare con le funzioni di legittimazione sociale e politica e sancivano una struttura delle uscite poco favorevole in questo senso. Non solo i grandi signori, ma anche i poderosos delle città e delle terre potevano, inoltre, riprodurre e ampliare il loro profitto grazie all'enorme peso esercitato nelle istituzioni locali, molto potenti in virtú del modello di sviluppo prima descritto. A tale scopo essi si servivano di metodi che andavano dal controllo del mercato del lavoro e dal blocco dei salari a espedienti in tema di politica dei prezzi, all'uso di determinati vantaggi (talvolta legali, talaltra basati sulla frode e sulla corruzione propiziate dalla loro autonomia nel governo), alla commercializzazione di prodotti agrari e, ovviamente, alle forme d'uso di terreni collettivi, sempre piú sfruttati a beneficio privato e piú disponibili dopo che la vendita di terre incolte e municipali convertí in « privati» buona parte dei terreni precedentemente di uso comune99.
In queste circostanze, si comprende anche che l'avanzamento della proprietà signorile ed ecclesiastica avrebbe dovuto ripercuotersi negativamente anche sugli appezzamenti messi a coltura dai contadini, i quali soprattutto mano a mano che aumentavano i problemi finanziari nell'ambito dell'aristocrazia e che le entrate del clero crescevano lentamente100 dovevano pagare una rendita sempre piú cospicua rispetto all'entità della produzione totale delle terre controllate da questi gruppi e si trovavano con un margine sempre piú ridotto, al momento di sfruttare le loro risorse produttive. Questo processo di espansione della proprietà privilegiata aveva un effetto negativo e mai considerato dagli specialisti, che presupponeva un aumento della proporzione delle eccedenze commercializzabili nelle mani di gruppi privilegiati, spesso non direttamente coinvolti nel processo produttivo, e riduceva a sua volta le possibilità di commercializzazione della produzione da parte degli stessi contadini, erodendo uno dei pilastri della forza da essi conquistata nel XV secolo. Ciò mentre la crescente fiscalità sui prodotti come il vino e la carne, che sarebbe servita a realizzare riassestamenti piú flessibili, dirottava verso lo Stato una parte dei benefici dell'aumento dei prezzi. In definitiva, contrariamente a ciò che era capitato in Inghilterra, la concentrazione della proprietà non implicava la formazione di una proprietà capitalista orientata verso il mercato, attivamente impegnata nella sfera produttiva e capace di determinare un cambiamento nella gestione di questo fattore produttivo. Tale concentrazione dava luogo piuttosto al rafforzamento dei vincoli, delle proprietà ammortizzate e delle economie non direttamente coinvolte nella produzione, nelle quali l'investimento produttivo, benché presente, era molto lontano dall'essere una delle componenti essenziali, e nelle quali il mercato e la commercializzazione del prodotto erano lungi dall'essere gli elementi fondamentali. Comunque l'importanza di tutto ciò rispetto alla « crisi» non si comprende appieno se non si considerano altre dimensioni del processo.
Una di esse è senza dubbio quella dell'aumento della pressione fiscale. Da una parte infatti, bisogna segnalare che, alla luce di quanto detto precedentemente, questa non è soltanto un effetto delle guerre e della difesa dell'immenso impero, come sottolineano alcuni storici tendenti a un certo vittimismo nelle loro interpretazioni dei problemi della Castiglia. L'aumento del 300% dell' encabezamiento de alcabalas, tra il 1560 e il 1575, è al contrario conseguenza di un sistema fiscale che riflette la sopravvivenza di giurisdizioni diverse e un conflittuale, ma piú o meno chiaro, patto tra i percettori, che passava per la rinuncia al riscatto delle alcabalas e delle tercias usurpate dai signori durante il XV secolo nonché per l'esercizio del patronato a carico delle entrate della corona. Tuttavia se l'imposizione, già di per sé, era conseguenza del delicato e conflittuale rapporto tra i diversi poteri, ancora piú lo saranno le misure per risolvere la situazione. Oggi sappiamo, per esempio, che, di fronte all'alternativa degli arrendamenti di imposte, le oligarchie urbane cedettero davanti a revisioni dell' encabezamiento molto alte101, che, alla lunga, avrebbero portato a concentrare la pressione sui gruppi intermedi di artigiani, ovvero su coloro i quali nutrivano la maggior parte della popolazione urbana e alimentavano i settori piú importanti dell'economia produttiva di molti nuclei. Per essi l'alternativa meno nociva era quella che permetteva di mantenere un certo controllo sulle finanze statali e municipali, continuando con la percezione dei juros(sempre piú importanti fra le loro entrate) ed eludendo alternative meno desiderate102. Quando, in seguito, si iniziarono a votare i servicios de millones e questi presero la forma di imposte sul consumo di beni fondamentali quali la carne, il vino o l'olio, la sorte dei piccoli artigiani, e in generale degli strati sociali medi delle città era segnata. Ai millones si sarebbero aggiunti la pressione fiscale municipale e i donativi generali e particolari, che le oligarchie avrebbero accettati come unico mezzo per prolungare lo status quo e che avrebbero risposto a criteri simili103. Al contrario di ciò che si è sempre ripetuto, quello che tradizionalmente si è considerato come il carico fiscale, ossia in larga parte le alcabalas e i millones, non fu probabilmente eccessivo, ma era notevolmente concentrato sulle città e, quindi, sul punto chiave della precedente espansione. Essa riguardava per di piú un settore sempre meno attraente per gli investimenti e meno flessibile, mano a mano che si andavano sviluppando le associazioni corporative104. La scomposizione della rete urbana sembra essere iniziata negli ultimi anni del regno di Filippo II. Va considerato poi che le vendite di città e terre avevano ridotto buona parte della « signoria urbana» e, con essa, le possibilità dei grandi centri di dirottare la pressione fiscale verso le aree rurali fino ad allora sotto la sua giurisdizione105. Gli effetti di questo processo sugli altri settori non si fecero attendere, perché, se già l'estensione delle proprietà privilegiate e delle rendite diminuiva le possibilità di mercantilizzazione contadina, la rovina di molti nuclei urbani non faceva che accentuare questa situazione, accrescendo il ruolo dei grandi intermediari; e ciò proprio quando le difficoltà economiche nelle campagne riducevano anche la richiesta di prodotti delle città106.
La pressione fiscale, tuttavia, non si può riassumere nelle cifre abitualmente considerate. Recenti studi, come quello di J. J. Ruiz su Murcia, stanno rivelando l'importanza di esazioni che non entrano nei computi generali o in altre forme di pressione statale sul regno, come le leve che, senza dubbio, ebbero effetti di distorsione dell'attività produttiva107. Per di piú la vendita di terre baldias e collettive, un'altra forma di pressione fiscale, in aumento specialmente dagli anni Ottanta, verrebbe a rompere un altro dei pilastri dell'economia. Alla base di ciò c'è la ricerca da parte della monarchia di risorse che liberino le Cortes, ma la cosa piú importante è il loro impatto sui sistemi agrari. Secondo gli studi di D. Vassberg, le vendite furono molto importanti nella Valle del Duero, nel centro della penisola e in Andalusia108, o, che è lo stesso, nelle zone che erano state alla base dell'impulso economico castigliano del XV secolo. Sebbene molte comunità comprassero le terre che andavano utilizzando i loro vicini, questo diede luogo al loro indebitamento e alla creazione di imposte per adempiere il pagamento, determinando una gestione molto meno favorevole per i coltivatori diretti ed anche, alla lunga, una loro privatizzazione da parte dei poderosos. In ogni caso, questi furono senza dubbio i piú beneficiati in altre aree e con ciò la conseguenza era chiara: i contadini « medi» castigliani, non solo avevano piú difficoltà nel loro accesso al mercato, ma anche nell'uso di risorse produttive fino ad allora relativamente a portata di mano109. Tutto ciò si produceva in un contesto nel quale era molto difficile che il capitale mercantile cercasse di sviluppare l'industria a domicilio tra questa popolazione sempre piú bisognosa, giacché l'orientamento del circuito di credito era cambiato rispetto agli inizi del secolo. Se prima questo fluiva dalla terra e dal commercio all'industria, ora si dirigeva verso le rendite dello Stato, la terra gestita con i criteri della rendita e l'acquisizione di vantaggi politici su scala statale e locale. Tuttavia, se per molto tempo gli storici hanno enfatizzato l'importanza del debito statale (in pratica dei juros), quanto è stato detto finora dimostra che questa è una visione insufficientemente realistica. La riproduzione del quadro politico, con i suoi poteri interdipendenti e intrecciati, aveva portato ad un'espansione del debito signorile e municipale, che sotto forma di censi sui maggiorascati e sulle finanze municipali, assorbiva quantità non ancora calcolate ma evidentemente non disprezzabili, del risparmio privato. E ciò fino al punto in cui una figura creditizia come il « censo consegnativo» , che tanto aveva favorito l'espansione, non era piú esclusivamente un tipo di prestito alla produzione, ma un modo per finanziare il sistema delle rendite, il consumo privilegiato alimentato generalmente da prodotti di importazione e la promozione politica110. In queste circostanze, le epidemie di fine secolo furono catastrofiche; i redditi da pagare si fecero insopportabili per i contadini e le città si riempirono di poveri ai quali un'industria decapitalizzata e con rigidità strutturali era incapace di offrire impiego111.
In questo panorama, il fenomeno Madrid acquista una nuova, dimensione. Tutto sembra indicare che le difficoltà delle città dell'interno siano iniziate prima della sua esplosione come capitale e che questa crisi presentasse altri meccanismi oltre a quelli che Madrid avrebbe accresciuto. È inoltre evidente che la chiave non sta solo nelle caratteristiche della città, ma anche nel tipo di articolazione sociale e istituzionale che dà carattere al sistema agrario e che stava distorcendo i rapporti tra campagne e città112. Dopo, Madrid poté creare problemi di rifornimento e assorbimento di merci in cambio solo di « servizi politici» , 113il che già in se stesso rappresentava una differenza rispetto a Londra. Tuttavia c'era una differenza di contesto, Londra si stava sviluppando nel seno di un'economia in cui proliferavano i grandi sfruttamenti, direttamente connessi alla commercializzazione dei prodotti su grande scala e nello stesso processo produttivo; ciò nell'ambito di una proprietà non privilegiata i cui benefici dipenderebbero sempre piú, col passare del tempo, dai miglioramenti produttivi. In questo contesto, lo sviluppo di un mercato centrale stimolava gli investimenti produttivi. Si trattava anche di un'economia nella quale i contadini, nonostante i problemi, sviluppavano attività in particolare quelle di tipo industriale sempre piú orientate verso un mercato espansivo nel quale la rete urbana era in formazione e non in disgregazione. Un'economia, inoltre, nella quale le rendite politiche erano sempre meno importanti e il capitale mercantile avrebbe subito approfittato delle enormi potenzialità offerte dalla popolazione rurale per sviluppare l'industria a domicilio.
Madrid aveva piú affinità con Parigi, sebbene in Francia non si manifestassero fenomeni come quelli della Castiglia, anche perché il peso fiscale era meglio distribuito tra campagna e città. Naturalmente, Madrid, centro di residenza di possidenti che non effettuavano investimenti produttivi, si sarebbe convertita in punto di concentrazione di ricchezze prodotte da un'agricoltura povera, poco stimolata da una solida rete di mercati locali, e nella quale l'impatto diretto del mercato sulla produzione era molto limitato, giacché erano i possidenti privilegiati i percettori di decime che lo conquistavano. Il forte ruolo dell'America, che parte dal 1550 e culmina nel 1610-1620, avrebbe dovuto avere uno scarso effetto dinamico su un'economia con rigidità istituzionali tanto gravi. Le stime piú recenti hanno confermato che il peso delle esportazioni di prodotti francesi e di altri paesi, attraverso Siviglia, supera di molto quello delle esportazioni provenienti dalla penisola114. Lo stesso impatto dei metalli preziosi, che in questo periodo entrano abbondanti, sembra essere stato limitato. Di fatto, i prezzi, espressi in argento, crescono piú lentamente in questo periodo che in quello precedente, sintomo, senza dubbio, non solo della minore crescita della popolazione spagnola, ma anche di un freno nella divisione tecnica del lavoro, che si lascia intravedere nella crisi delle città e delle attività secondarie e terziarie. Ed è nelle circostanze citate che l'abbondanza di numerario, invece di alimentare l'investimento produttivo, animava un consumo suntuario da parte dei gruppi dirigenti castigliani, il quale, essendo riservato solo ad un' élite di possidenti, era ben lungi dall'ottenere gli effetti positivi oggi riconosciuti a processi apparentemente uguali e secondo alcuni autori, portatori di un importante impiego produttivo in altre aree dell'Europa115.
Studi Storici 1, gennaio-marzo 1995 anno 36
Bartolomé Yun Casalilla,
Trasformazioni e continuità in Castiglia nel secolo d'oro.
Riflessioni per una storia sociale dell'economia
90 Le cifre sono fornite da R. Ringrose, Madrid y la economía española, 1560-1850, Madrid, 1985, p. 373 (ed. inglese 1983).
91 Le mie idee a riguardo sono state già esposte per un caso regionale, che si può estrapolare solo in alcuni aspetti, in Estado y estructuras sociales en Castilla. Reflexiones para el estudio de la « crisis del siglo XVII» en el Valle del Duero (1550-1630), in « Revista de Historia Económica» , 1990, n. 3, pp. 549-574.
92 D. Ringrose, Madrid, cit., pp. 371-377. L'opera suscitò uno scambio di opinioni di cui si possono ripercorrere i contenuti in S. Madrazo, La lógica « smitheana» en la historia económica y social de Madrid. A propósito de una traducción reciente, in « Revista de Historia Económica» , 1986, n. 3, pp. 609-617 che dette luogo ad un chiarimento delle sue posizioni, di grande utilità per una comprensione piú profonda del suo lavoro, da parte di D. Ringrose, in Poder y beneficio. Urbanización y cambio en la Historia, in « Revista de Historia Económica» , 1989, n. 2, pp. 375-396.
93 Se ci atteniamo all'indice demografico, è significativa la differenza tra una diminuzione della popolazione che in Castiglia fu nel complesso superiore al 15% e che non poté essere compensato malgrado la maggiore vitalità delle aree periferiche e della Catalogna e una popolazione come quella francese che, nel peggiore dei casi, ristagna solo durante il XVII secolo. In proposito cfr. S. Piquero, R. Ojeda, E. Fernández de Pinedo, El vecindario de 1631: presentación y primeros resultados, in Evolución demográfica bajo los Austrias (Actas del II Congreso de la Asociación de Demografía Histórica), Valencia, 1993, pp. 17-75. Per la Francia si possono vedere, ad esempio, J. De Vries, Population, cit.; T. A. Brady jr., H. A. Oberman and J. D. Tracy, eds., Handbook, cit., p. 7, fig. 1 e p. 13. Peraltro, è difficile trovare nel caso francese serie di produzione dei cereali che mostrino una tendenza al calo tanto chiara e costante o che evidenzino una recessione tanto prolungata come quelle che abbiamo presentato sopra.
94 Sul peso della pressione fiscale sulla rendita nazionale, cfr. I. A. A. Thompson, Taxation, military spending, cit., p. 4.
95 In realtà il caso di Londra è stato oltremodo enfatizzato in molti studi. Si veda, ad esempio, C. G. Clay, Economic Expansion and Social Change: England, 1500-1700, Cambridge, 1984.
96 Al contrario, diversi studi concordano sull'interesse della nobiltà per la gestione dei loro patrimoni (cfr. Ch. Jago, La crisis de la aristocracia, cit., p. 254; B. Yun Casalilla, Sobre la transición, cit., pp. 487-489). Per ciò che concerne le istituzioni ecclesiastiche, abbiamo anche esempi in questo senso (cfr. J. M. López García, La transición, cit., pp. 115-125).
97 R. Brenner, Merchants and Revolution. Commercial Change, Political Conflict, and London's Overseas Traders, 1550-1653, Princeton, 1993, specialmente pp. 638-716.
98 J. Casey, Spain: a failed transition, in P. Clark, European crisis of the 1590s. Essays in comparative history, London, 1985, pp. 209-228.
99 Non disponiamo di uno studio sistematico che contenga tutte queste questioni. Sui controlli dei salari cfr. D. Vassberg, Tierra, cit., pp. 249-252. L'ampio margine di azione delle autorità municipali come risultato della struttura politica descritta si può vedere per il caso di Cordova in J. M. Bernardo, Fiscal presure and the city of Cordoba's communal assets in early seventeenth century, in I. A. A. Thompson and B. Yun Casalilla, eds., The Castilian Crisis, cit., pp. 206-219.
100 L'evoluzione delle entrate del clero durante il XVI secolo merita uno studio piú dettagliato, ma, per ora, può essere utile B. Escandell, La rentas episcopales en el siglo XVI, in « Anuario de Historia Económica y Social» , 1970, n. 3.
101 In realtà i negoziati furono molto difficili e le attitudini differirono da città a città. È il riflesso della sua diversa composizione interna e dei punti molto distinti nell'equilibrio delle forze. In parte, il processo è delineato da J. I. Fortea, Monarquía y Cortes, cit., pp. 96 sgg.
102 Per una visione sintetica delle alternative rifiutate durante il secolo cfr. P. Fernández Albaladejo, Monarquía y Cortes, cit.
103 Il tema si sta chiarendo soprattutto grazie agli studi realizzati su scala locale. Il caso di Siviglia in J. I. Martínez Ruíz, Finanzas municipales, cit., pp. 263-288. Ho illustrato le ragioni per le quali le imposte erano particolarmente negative per gli artigiani nello Estudio introductorio a J. Ruíz de Celada, Estado de la Bolsa, cit., pp. 35 sgg.
104 Mi baso sul caso meglio studiato (cfr. J. I. Fortea, Córdoba, cit., pp. 381-388). Il corporativismo e le rigidità, quando si trattava di far crescere la produzione e di impiegare mano d'opera a basso costo proveniente dalla campagna, a causa della necessità di lunghi periodi di apprendistato, erano ancora piú forti in altri settori dell'industria che comprendevano la maggior parte della popolazione attiva delle città (per Cordova, ivi, p. 243).
105 J. E. Gelabert, Urbanisation, cit. Sulle vendite di giurisdizioni, prima di competenza delle città, fino a quelle delle stesse città, cfr. H. Nader, Liberty in Absolutist Spain. The Habsburg sale of towns, 1516-1700, Cambridge, 1990.
106 Sulla riduzione della domanda contadina cfr. J. I. Fortea, Córdoba, cit., pp. 444-445. È evidente comunque che il circuito stava fallendo anche nel senso inverso: quello dei vantaggi della commercializzazione contadina, che, oltretutto, si vide limitata dalla durezza della « tassa» del grano alla fine del XVI secolo (cfr. D. Vassberg, Tierra, cit., pp. 236-248).
107 Las dos caras de Jano. Monarquía, ciudad e individuo. Murcia, 1588-1648(in corso di stampa), parte IV.
108 D. Vassberg, La venta, cit., pp. 236-248.
109 Per un esempio concreto cfr. B. Yun Casalilla, Sobre la transición,cit., pp. 285-305; per una visione d'insieme cfr. D. Vassberg, La venta,cit., pp. 231-234.
110 Naturalmente una parte di questi crediti servivano anche per la produzione o avevano un effetto immediato su di essa. Soprattutto quelli diretti a miglioramenti nei maggiorascati formula beninteso non sempre veritiera o a finanziare servizi di infrastrutture municipali. Tuttavia ciò che interessa sottolineare qui, per contestare quanto convenzionalmente si crede, sono le loro dimensioni. In questo senso, conviene ricordare che mentre i juros salivano a 21.000 milioni di maravedís negli anni Novanta (P. Toboso, La deuda,cit., p. 135), i conti di Benavente ne dovevano per allora circa 200, una quantità che si avvicina a quella della città di Valladolid, che era di 170 (A. Gutiérrez Alonso, Estudio sobre la decadencia de Castilla. La ciudad de Valladolid en el siglo XVII, Valladolid, 1989, p. 382), ma che è molto lontana dai 1.290 milioni di Siviglia (J. I. Martínez Ruíz, Finanzas municipales,cit., p. 192). Se soltanto tra queste due città e una delle famiglie piú importanti i debiti contano quasi l'8% del debito della corona, si dovrà pensare che l'insieme del debito signorile e urbano doveva rappresentare una quantità significativa o almeno molto piú importante di ciò che presuppone l'oblio assoluto in cui è caduto questo aspetto del credito, da parte di chi ha scritto sul tema.
111 Sulle epidemie di fine secolo cfr. B. Bennassar, Recherches sur les grandes épidémies dans les Nord de l'Espagne à la fin du XVIe siècle, Paris, 1969; V. Pérez Moneda, Las crisis de mortalidad en la España interior, siglos XVI-XIX, Madrid, 1980, pp. 245-293. Sulle difficoltà dell'agricoltura castigliana, con riferimento all'indebitamento, cfr. D. Vassberg, Tierra y Sociedad,cit. Riguardo alla povertà di fine secolo cfr. M. Cavillac, La reforma de la beneficiencia,cit., p. 374.
112 Ritengo importante sottolineare che l'enfasi di Ringrose sugli effetti negativi di Madrid non si propone come alternativa che escluda altre spiegazioni; lo stesso autore ricorda che tale impatto si spiega per l'esistenza di un'« agricoltura poco elastica» ( Madrid, cit., p. 374).
113 D. Ringrose, Madrid, cit., p. 375.
114 Sul commercio con l'America nella seconda metà del secolo cfr. E. Lorenzo, Comercio de España con América en la época de Felipe II, 2 voll., Valladolid, 19862 in particolare pp. 445-464; nonché C. Rahn Philips, The growth and the composition of trade in the Iberian empires, 1450-1750, in J. D. Tracy ed., The rise of merchant empires. Long-distance trade in the early modern world, 1350-1750, Cambridge-New York-Melbourne, 1990, pp. 34-101.
115 Si veda al riguardo il nesso causale che J. De Vries stabilisce tra la crescente propensione al consumo che si opera a partire dal XVII secolo in alcune aree d'Europa, e ciò che egli ha chiamato « the industrious revolution» , un concetto suscettibile, però, di un'applicazione molto limitata nello spazio: Between purchasing power and the World of the goods: understanding the household economy in early modern Europe, in J. Brewer and R. Porter, eds., Consumption and the World of goods, London, New York, 1993, pp. 85-132.