next essay previous article indice volumeStudi Storici 1, gennaio-marzo 1995 anno 36


Anna Maria Rao , La rivoluzione francese e la scoperta della politica


4. Le France in rivoluzione.
Gli esiti di questo gioco continuo di carte e di correlazioni possono apparire a prima vista sorprendenti. L'immagine della rivoluzione come « blocco» unitario aveva, com'è noto, attirato gli strali della storiografia discutibilmente designata come « revisionista» 154 contro la presunta unità di gruppi o classi sociali che agivano con proprie autonome motivazioni e che solo il caso mise insieme155. Nell'analisi che ne fa Vovelle — convinto assertore della necessità di rinnovare la storiografia sulla rivoluzione, ma senza vedere incompatibilità tra rinnovamento e fedeltà a quella tradizione « classica» troppo spesso presentata « come una sorta di fortezza del giacobinismo» , a guardia e a difesa dell'ortodossia156 — il cosiddetto « blocco» rivoluzionario si spezza non solo sul terreno politico, economico, sociale (feudalità, contadini proprietari, contadini dipendenti, braccianti, salariati, borghesie urbane, artigiani ecc.), ma su quello antropologico (famiglia nucleare e famiglia allargata, con le sue varianti interne), religioso e culturale (Francia dotta o analfabeta, della lingua nazionale o dei patois): tutto lo spazio della Francia in rivoluzione, tutta la sua geografia si moltiplica e frammenta al punto da far emergere non le due o tre France della politica che proponeva Lynn Huntcon 157 modellizzazioni che già erano apparse audaci a loro tempo, né solo le due France della cultura del Nord e del Midi, dall'una e dall'altra parte della linea da Saint-Malo a Ginevra158, ma, come scrive Vovelle rammaricandosi di non poter fare di piú, almeno una dozzina di France. Se la Francia « si chiama diversità» , il tempo della rivoluzione lo conferma e lo rivela: è questa la prima conclusione e, insieme, il punto di partenza del lavoro di Vovelle. Conclusione banale, forse: ma, come osserva ripetutamente l'autore, le ovvietà sono tali solo a posteriori, e non sempre riescono ad affermarsi159.

Ma pur frammezzo a itinerari cosí complessi, che ogni volta impongono all'autore — e al lettore — di ripartire daccapo nella spiegazione delle carte, seguendo passo passo, empiricamente, il raffronto tra i diversi dati e i diversi indicatori, alla ricerca di correlazioni veramente significative e suffragate dall'attendibilità della documentazione e della sua rielaborazione, alcune questioni fondamentali si impongono, facendo quasi da filo di Arianna nel labirinto dello spazio francese in rivoluzione.

La prima, lo si è già detto, è quella esplicitamente dichiarata fin dall'esordio: la scoperta della politica, e la « nascita della nazione» — come nel film di Griffith160 — che ad essa si accompagna. Non in senso taumaturgico, come prodigiosa creazione dal nulla: la rivoluzione fu evento al tempo stesso fondatore e rivelatore. La rivoluzione, dunque, si spezza, si rifrange, ma non perde di senso: e questo senso è eminentemente politico, poiché essa è il luogo e il tempo dell'apprendistato della politica moderna.

Questo processo di creazione e di rivelazione non viene seguito « dall'alto» né letto come lineare processo di conquista e di propagazione da parte di uno Stato o di un'&eacutelite militante: elemento, questo, tutt'altro che assente, ma concretamente individuato a seconda dei luoghi e a seconda dei momenti. È « dal basso» che l'indagine procede, ponendo in tal modo un'altra questione, altrettanto essenziale, fondamentale anzi nella storia delle rivoluzioni, e della politica in generale: quella del rapporto tra &eacutelites e masse, della dialettica tra spontaneità dei movimenti di base e forme di controllo imposte dall'alto. Questione antica, lungamente e spesso aspramente dibattuta nella storiografia dell'età moderna, che si trattasse delle rivolte contadine nella Francia del XVII secolo — Mousnier contro Porchnev, ci ricorda Vovelle161 — o della rivoluzione inglese o della Napoli di Masaniello, e tutt'altro che estinta dopo i « furori» polemici degli anni Cinquanta e Sessanta. Nelle pagine della Scoperta della politica essa riemerge ad ogni passo: dal rapporto tra &eacutelites cittadine e popolo nei moti parlamentari della fase prerivoluzionaria162, alla redazione dei cahiers de dol&eacuteances, alla « grande paura» del 1789, al movimento federativo, alla diffusione degli alberi della libertà, alla propagazione delle società popolari. Spontaneità e forme di controllo che a loro volta non si definiscono di per se stesse sul piano politico: la spontaneità di base non è sempre rivoluzionaria, antirivoluzionaria o controrivoluzionaria, né sempre si configura in termini di impegno, in una direzione o nell'altra, ma può esprimersi nel silenzio, nella passività e il « controllo dall'alto» — piú chiaramente connotabile, certo, in termini di impegno, presenza volontaristica — non sempre implica distorsione o deviazione degli obiettivi di lotta popolare.

E se la rivoluzione si concreta in una molteplicità di pratiche e di movimenti a seconda dei luoghi e dei momenti, anche la controrivoluzione si presenta in tutti i suoi volti, che si tratti del Midi o del Centro o della Vandea, e in tutte le sue componenti: ora rivendicazione spontanea di antiche pratiche, credenze, tradizioni locali minacciate, ora rilancio di aspettative deluse o tradite, ora, durante il Direttorio, rifluire di marginali e sradicati vecchi e nuovi nel brigantaggio e nella lotta per bande, ancora una volta in un intreccio complesso e diversificato nel tempo e nello spazio tra movimenti « dal basso» e azione cospirativa « dall'alto» di aristocratici o ecclesiastici emigrati, non piú raffigurati come una forza demoniaca sempre pronta a riattizzare il fuoco della controrivoluzione, ma presenza pur sempre reale e attiva163. Né « alto» e « basso» si identificano con l'opposizione tra centro e periferia, o con la contrapposizione tra città e campagna: è questa un'altra delle nette conclusioni che emergono da un lavoro che pratica il dubbio in maniera sistematica. Altre conclusioni ovvie? Anche e soprattutto in questo risiede il merito e il fascino del metodo adottato, nonostante le difficoltà di lettura, se non il fastidio o l'irritazione che l'autore prevede possa sollevare: nel mostrare, con ostinazione e modestia perfino ostentate, la quantità di dati, di ricerche sul campo, di lente, progressive perlustrazioni di archivi e di fonti costantemente passate al vaglio di una critica rigorosa, necessari per poter dare alle « ovvietà» una base documentaria non assolutamente certa e esaustiva (ci riusciremmo mai?), ma quanto meno attendibile e significativa.

L'indagine di Vovelle costituisce per ciò stesso il transitorio punto di arrivo e al tempo stesso il bilancio di una storiografia che, moltiplicando gli approcci alla vicenda rivoluzionaria, ha anche moltiplicato gli studi sulle sue diverse articolazioni, locali e nazionali164, mettendo in rilievo le differenze, le resistenze, i diversi gradi di impegno e di partecipazione, le passività165: la migliore dimostrazione, per riprendere un'efficace osservazione di Haim Burstin, di come « gli studi, con la loro notevole dilatazione, l'hanno spuntata sulla dottrina» . 166Anche l'occasione del bicentenario, che per sua stessa natura sembrava dovesse far prevalere la celebrazione effimera e transitoria, ha invece avuto un impatto storiografico certamente ineguale ma di innegabile ampiezza167, malgrado i tentativi di contrapposizione tra esigenze di ricerca del bicentenario « scientifico» ed esigenze piú immediate e spettacolari del bicentenario « dei media» , malgrado le pressioni selettive e le tendenze a identificare con il solo 1789 e con i diritti dell'uomo la rivoluzione da celebrare e da studiare: sicché lo studio dell'intero processo rivoluzionario nel suo insieme e in tutta la sua diversità l'ha spuntata anche sui duelli tra libertà e uguaglianza, diritti dell'uomo e Terrore, e cosí via168.

In questo bilancio complessivo di studi e di questioni, riemergono, affrontati in modo nuovo e in una prospettiva di lunga durata, alcuni nodi fondamentali del periodo rivoluzionario, oggetto di dibattiti pluridecennali, a volte molto aspri, e tra i piú investiti dalla revisione storiografica: dalla controrivoluzione, ora rivisitata in termini di antirivoluzione e resistenze; al problema della rivoluzione contadina, che non ha mai smesso di appassionare dai tempi di Lefebvre, di una società rurale tutt'altro che definitivamente scomparsa, e dai retaggi radicati anche nella società industriale e postindustriale.

La questione contadina, apparentemente accantonata, resta pur sempre « tra i cantieri piú dinamici della storia sociale della rivoluzione» : 169né potrebbe essere altrimenti per una Francia rurale all'85% nel 1789, con una produzione per i tre quarti agricola170. Una Francia rurale a sua volta « infinitamente diversa» , come aveva già osservato Gordon Wright, rendendo fallace qualunque generalizzazione171. Sicché, la questione contadina è ben lontana dall'esaurirsi nella questione feudale, come mostrano le carte che raffigurano nello spazio la distribuzione sociale della proprietà terriera, il peso della decima, l'andamento di prezzi e salari. Se la dimensione feudale e signorile caratterizza in maniera rilevante i rapporti sociali in alcune zone della Francia, con differenze notevoli nelle forme e nel peso del prelievo, e occupa il suo posto tra i motivi di resistenza o di rivolta172, si tratta pur sempre di uno soltanto degli aspetti di una realtà sociale che viene investigata e interrogata in tutta la sua complessità: dai rapporti di proprietà alle diverse forme assunte dai contratti agrari, ai movimenti migratori tra città e campagne, che gli eventi rivoluzionari a loro volta ora sollecitano, ora frenano.

Un contributo importante ad una nuova visione della società rurale in tempo di rivoluzione è venuto dagli studi che non l'hanno piú affrontata soltanto in termini di strutture agrarie ma anche di strutture di potere locale, mettendone in rilievo la persistente vitalità nello Stato di antico regime173. Lo studio della « presa di coscienza» politica nelle campagneha 174 consentito ormai di superare le sterili contrapposizioni tra città e campagna, &eacutelites e masse, centro e periferia, che avevano ispirato la polemica di Alfred Cobban contro la storiografia cosiddetta « classica» della rivoluzione175, dando concretamente conto della molteplicità di conflitti o di solidarietà locali, tra villaggi e villaggi, città e città, e della complessità di relazioni tra paesi, regioni, circoscrizioni amministrative e territoriali176. Se in passato la storiografia tendeva a espellere dalla storia politica lo studio di campagne e villaggi, a separare la storia della società rurale, terreno privilegiato di una lunga durata quasi immobile, dalla storia politica della rivoluzione, in una sorta di impossibile comunicazione tra di loro177, sicché i contadini non sembravano avere che una storia di jacqueries e le città con le loro rivoluzioni municipali campeggiavano in territori estranei o ostili, le ricerche di ambito regionale accumulatesi negli ultimi anni hanno invece centrato l'attenzione sulla storia politica delle società rurali nel loro insieme, cercando di cogliere i rapporti tra strutture della proprietà e della famiglia, strutture amministrative e sensibilità religiosa da un lato, e i processi di formazione dell'opinione politica dall'altro, in ambiti territorialmente delimitati178.

Ed è proprio sull'impatto del tempo breve della rivoluzione sul processo di politicizzazione delle campagne che l'indagine di Vovelle e la correlazione cartografica fermano l'attenzione, con risultati originali e importanti. Le trasformazioni della società rurale e la sua integrazione nazionale diventano cosí l'altro filo conduttore della sua ricerca, che riprende interrogativi e risposte formulati da studi ben noti. Quelli di Eugen Weber, in primo luogo, che si era interrogato sul modo in cui un mondo di contadini indipendenti e dispersi si era integrato in una moderna società nazionale, inquadrandosi nella struttura istituzionale dello Stato e accedendo ad una coscienza nazionale tragicamente suggellata dalla guerra del 1914-1918179. E quelli di Maurice Agulhon, che anticipava invece alle elezioni del 1848 il momento d'avvio del processo di politicizzazione delle campagne francesi180. Altri ancora avevano visto nelle rivolte provinciali del 1851 contro il colpo di Stato di Luigi Bonaparte il vero e proprio ingresso in politica della Francia rurale, non solo, ma l'emergere di due modi diversi di intendere e praticare la « modernità politica» , uno burocratico e accentratore, l'altro fondato sulla ricerca di forme locali di partecipazione di massa181.

Vovelle, affrontando la questione nel vivo del periodo rivoluzionario, mostra come sia già questo, invece, il momento in cui la Francia rurale viene investita massicciamente dalla politica: non come demiurgica comparsa di una « coscienza nazionale» — l'espressione stessa è assente nel suo testo — ma in termini di contrastata e complessa creazione, nella presa di coscienza collettiva, di uno spazio nazionale, nel quale in maniera differenziata gli eventi del tempo breve vanno forgiando forme di impegno, di partecipazione e di rifiuto, nelle quali si rivelano radicati retaggi del passato e incominciano al tempo stesso a radicarsi orientamenti politici destinati a loro volta a durare. Uno spazio nazionale, una nazione e un'idea di nazione che si formano e si modellano via via, « dall'alto» , attraverso l'attuazione di una legislazione che tende all'omogeneità amministrativa e linguistica, ma anche e soprattutto « dal basso» attraverso le società politiche, il movimento delle federazioni tra città, paesi, villaggi, il servizio militare e la guerra, la sia pur limitata partecipazione elettorale e l'invio di messaggi e indirizzi alla Convenzione182. E proprio quest'ultimo indicatore, la massa di corrispondenze pervenute alla Convenzione nel corso dell'anno II, tra l'inverno e l'estate del 1794, circa 15.000 documenti, espressione di una Francia che parla, di una provincia che scrive per comunicare, felicitarsi o protestare183, è tra i piú significativi della « scoperta della politica» . Indicatore, anche questo, da trattare e trattato con cautela: la Francia che parla non è necessariamente una Francia « politicizzata» , in un senso o nell'altro. Ma indicatore comunque rivelatore del grado di coinvolgimento di un'intera popolazione in una grande esperienza collettiva: è soprattutto la « base» , infatti, a fare arrivare la propria voce, da ogni angolo del paese, è per il 70% dalla base (municipalità, società popolari, semplici cittadini) che provengono i 12.000 messaggi presi in esame. In questo processo di politicizzazione, tra i nodi che rivelano tutta la loro complessità ad uno sguardo ravvicinato, Vovelle non elude quello del federalismo, tra i piú rivisitati dalla storiografia recente. Segno, anche questo, dei tempi, si potrebbe dire col nostro autore, pronto a riconoscere gli interessi dell'attualità che premono sulla ricerca storica, ma per prendere immediatamente le distanze da qualunque anacronismo. Fu rivoluzionario o controrivoluzionario, questo « federalismo» , cosí come lo definivano e lo intendevano i contemporanei? Come leggere il suo passaggio da movimento inizialmente federativo, tendente ad unire, superando steccati e divisioni regionali e provinciali, a movimento, invece, di rivendicazione e difesa di autonomie, libertà, prerogative locali184: riemergere di radicate istanze particolaristiche, « popolari» o « borghesi» che esse fossero, o rivendicazione di un rapporto piú diretto tra governanti e governati, movimento democratico, dunque, piú « a sinistra» , potremmo dire forzando e semplificando a nostra volta le cose, rispetto al cosiddetto « centralismo» giacobino, come sembrerebbero voler dire studi recenti?185

Il tema è esposto a facili forzature e semplificazioni, che al mito di una rivoluzione che avrebbe quasi per magia fondato una unanime volontà nazionale, contrappongono un'immagine altrettanto demiurgica e quasi mostruosa di una rivoluzione soffocatrice delle libertà locali e delle aspirazioni popolari ad un'autentica democrazia186. In maniera molto piú ampia e approfondita, la recente ricerca di Ted Margadant sui conflitti urbani durante la rivoluzione, anch'essa pubblicata nel 1992 e corredata di un ricco apparato cartografico, sia pur limitato alle dimensioni amministrative e alle vocazioni economiche delle città187, analizza specificamente il vero e proprio sconvolgimento provocato dalla riorganizzazione dello spazio in dipartimenti e distretti, che anche Vovelle prende in esame tra gli elementi fondamentali della costruzione e del rimodellarsi dello spazio francese in rivoluzione188. L'indagine di Margadant mostra in dettaglio quale sommovimento comportassero le nuove suddivisioni amministrative soprattutto nelle gerarchie urbane, innescando una dinamica politica fatta anche di contrasti campanilistici e gelosie locali ma che, soprattutto, portò ad attivare una rete imponente di relazioni e di scambi tra città, villaggi, tra realtà locali e governo centrale, mediate da legami personali tra clientele e fazioni ma anche dalla delega e dalla rappresentanza politica: un processo attraverso il quale gli « interessi di parrocchia» si trasferirono e si tradussero in obiettivi nazionali189. Per strade parallele e indipendenti l'una dall'altra, ricorrendo a metodologie almeno in parte simili, ma ponendosi questioni diverse, lo storico americano e lo storico francese appaiono altrettanto decisi nel respingere qualunque visione manichea del rapporto tra Stato e territori o città, tra « centro» e « periferia» , che spesso ispira lo studio e le letture della crisi federalista190.

Ed anche in relazione alla vivacità e all'ampiezza del dibattito sul federalismo e piú ampiamente sul posto della rivoluzione nel processo di costruzione dello Stato e dello spazio francesi, non si può che apprezzare l'equilibrio e la misura con cui Vovelle guarda ai fatti e al momento rivoluzionario, ricostruisce le forze in campo, la loro natura, le differenze nello spazio e nel tempo, mostrando come tutto possa mutare da un momento all'altro e da un territorio all'altro in tempo di rivoluzione, e come un movimento (spontaneo o manovrato? entrambe le cose) qui nato da rivendicazioni spontanee di base di maggiore partecipazione e di unione delle forze, altrove come movimento di borghesie urbane tese a difendere autonomie proprie e del proprio territorio, assuma alla fine un carattere prevalentemente e generalmente controrivoluzionario, intrecciandosi ad altri conflitti, ad altre tensioni. E, ancora una volta, la « base» , la rivoluzione dal basso, non sempre significano contrapposizione tra spontaneità di un movimento popolare e controllo o volontà delle&eacutelites: ma già alla base è possibile distinguere un intreccio complesso tra forze spontanee e nuclei di attivisti o di leader, come nel caso della scristianizzazione, o del movimento cordigliero e hebertista, o della creazione delle armate rivoluzionarie191. Infine, tutta la lettura della rivoluzione in termini di rapporto centro-periferia, di una rivoluzione nata a Parigi, da Parigi propagata nelle province e perciò, in alcuni casi, rifiutata, viene messa in discussione e in buona parte ribaltata.

La storiografia che per decenni ha polemizzato con la rivoluzione francese vista come blocco, può considerarsi soddisfatta: la rivoluzione si frantuma, nel momento stesso in cui li rivela e li crea, nei mille rivoli della geografia e di scelte e tendenze politiche tutt'altro che omogenee e compatte né rigidamente riconducibili alle stratificazioni sociali o alla cultura o alla stessa geografia. Né la rivoluzione è un blocco politicamente identificabile con la « sinistra» . 192La rivoluzione — ed in questo risiede un altro dei forti motivi di interesse del lavoro di Vovelle — è innanzitutto politicizzazione, in un campo o nell'altro, anzi in una molteplicità di campi. Per una sinistra, latamente identificabile nell'impegno e nell'adesione alla rivoluzione e alla Repubblica, emerge una molteplicità di destre: monarchici, conservatori, uomini d'ordine, ma anche incerti, reticenti, passivi... Specificità della storia di Francia? Piacerebbe, certo, avere un quadro del genere per la storia italiana: ma quel che per la Francia, secondo Vovelle, rimane spesso un sogno, per noi è davvero impossibile utopia, allo stato della ricerca e degli archivi.

E ancora, il voto di « sinistra» esprime temperamenti collettivi analoghi? Chi fa sentire di piú la propria voce è piú partecipe o piú conformista, parlare, mandare petizioni e indirizzi, vuol dire essere convinti? I territori e paesi in cui si vota di piú sono piú impegnati politicamente, o piú timorosi e obbedienti, o piú desiderosi di dar voce a esigenze e conflitti locali? Non si può non segnalare l'importanza delle indicazioni che emergono su questo terreno, dove la sociologia politica e elettorale contemporanea viene recepita soltanto per quello che può dare, anche in questo caso con una vigile attenzione a stanare l'anacronismo, da un lato, e dall'altro a non chiedere ai dati quantitativi piú di quanto possano dire. Come affermare o anche solo supporre un rapporto di identità immediata tra elettori, eletti e masse, quando elettori ed eletti sono soltanto una minoranza? Minoranza importante, che vive il primo esperimento di esercizio del diritto di voto, ma pur sempre minoranza, legata alla base da rapporti complessi di identità e differenza: è il caso delle borghesie radicali dell'Ovest che campeggiano in un territorio quasi uniformemente ostile. Questione, anche questa, delicata e suggestiva, che credo possa sollecitare fortemente la riflessione anche per l'età contemporanea, nonostante l'era del suffragio universale.

La molteplicità di domande che questa lettura della rivoluzione pone e si pone, spesso lasciandole senza risposte o con risposte appena abbozzate, è da sola il segno della ricchezza di un approccio alla storia lontano da certezze e categorie prefissate, lontano da gerarchie interpretative — la famiglia, lo Stato, la cultura, la religione, l'economia — e da semplificazioni terminologiche, ma ugualmente lontano, nonostante i tempi e il clima generale del momento, sobriamente evocati in apertura del volume, dalla rinuncia alla ricerca di un senso, senza timore di apparire « arcaici» , nonostante la fine di ideologie e di paradigmi, o forse proprio grazie alla loro fine193. Quel che è certo è che dalla rivoluzione emergono in Francia un linguaggio politico e degli orientamenti — « destra» /« sinistra» in primo luogo — destinati a sopravvivere a lungo agli eventi e ai conflitti che li generarono, persistendo e mutando in maniera anche non direttamente legata al ritmo del cambiamento sociale194.

Che cos'è dunque una nazione, potremmo nuovamente chiederci alla luce dell'itinerario di Vovelle? Se per Denis Richet era il re a costituire l'unità della Francia, se per Vidal de la Blache dalla stessa diversità geografica nasceva un gioco molteplice di solidarietà e mutuo vicinato che radicava invece nei mille legami della vita quotidiana del popolo rurale l'unità nazionale195, qui è nella scoperta della politica e nel suo apprendistato che vediamo forgiarsi la nazione francese, nel vivo delle relazioni e dei conflitti perfino quotidiani, nel tempo breve, brevissimo, della rivoluzione, ma iscritto nella lunghissima durata di un processo plurisecolare. Un apprendistato che si fa lungo le strade e le valli ma anche nei piú lontani recessi di montagna, e soprattutto lungo quella rete fluviale che aveva già profondamente segnato il paesaggio di Vidal de la Blache196. Un apprendistato che passa attraverso una molteplicità di forme e canali di comunicazione, antichi e moderni, dalla diffusione orale di notizie e di voci alla stampa, al giornale, alla propaganda politica vera e propria, passando per vecchie e nuove stazioni di posta o per il nuovo telegrafo.

E che cosa fu la rivoluzione francese? Fu una rivoluzione borghese, si può continuare a dirlo senza scandalo, se è vero, come appare chiaro da molti degli indicatori prescelti, che è la Francia ricca, la Francia sviluppata, colta, quella che partecipa, che si muove, che scrive alla Convenzione. Ma altrettanto evidenti sono il carattere composito, le contraddizioni, le ambiguità, le differenze regionali di questa Francia ricca e sviluppata, al cui interno ritroviamo anche le borghesie urbane della conservazione e dell'ordine. Fu una rivoluzione contadina, anche questo si può continuare a dirlo senza scandalo e con buona pace di tutte le revisioni: senza tuttavia che questo implichi sempre e dovunque la costituzione di un unitario blocco borghese-contadino. Fu soprattutto un grande processo di politicizzazione, di città e di campagne, di colti e di incolti, avvenuto attraverso una circolazione frenetica di uomini, di idee, di parole d'ordine, quell'intraducibile grande « r&eacutemue-m&eacutenage» che leggiamo quasi ad ogni pagina e ad ogni carta197. Un processo la cui portata era ben stata colta anche dagli osservatori stranieri contemporanei, in particolare italiani, di cui troppo spesso si dice che non avessero capito niente della rivoluzione francese e che invece l'avevano probabilmente capita fin troppo bene, a dar fede a quanto si scriveva sulla stampa periodica sulle conseguenze della rivoluzione, « il fenomeno piú terribile, e straordinario nella storia civile, e politica» : i contadini « s'incantano a ciarlare sopra materie non attinenti al genere della loro vita; e l'articolo della rivoluzione è stato per essi un argomento gravissimo, su cui parlano incessantemente, ed abbandonano per conseguenza per delle intere giornate l'agricoltura. Si portano alle Città per saperne le nuove, che raccontano nelle lor ville coll'ozio proprio, e con quello dei loro vicini. Tutti i contadini poi della Francia sono soldati, e si occupano negli esercizj militari, che riguardano con impegno di gran lunga superiore agli altri piú stretti loro doveri» . 198Versione parodistica, ma efficace, della scoperta della politica e dei suoi tramiti in tempo di rivoluzione.

E, alla fine, è proprio questo che veramente interessa, piú delle etichette e delle definizioni sommarie: vedere come si andò realizzando questo grande apprendistato della politica che fu anche apprendistato della democrazia, apprendistato faticoso, traumatico, ma comunque avviato, attraverso il voto, le società popolari, la stampa periodica, perfino la guerra, e non solo a livello di &eacutelites ma investendo masse enormi di popolazione, superando steccati provinciali, retaggi storici, rielaborandoli in un'esperienza comune, pur nelle sue molteplici diversità, costruendo uno spazio nazionale certo non tutto compatto né tutto solidale, ma realmente unitario.


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154 Sul carattere discutibile del termine, cfr. M. Vovelle, Pr&eacuteface, in Recherches sur la R&eacutevolution, cit., p. 10.

155 F. Furet, Penser la R&eacutevolution, cit.

156 M. Vovelle, La galerie des ancêtres, nel suo Combats pour la R&eacutevolution fran&ccedilaise, cit., p. 13. Si vedano anche i contributi dedicati a Alphonse Aulard, Georges Lefebvre, Albert Soboul nello stesso volume, che raccoglie gran parte dei suoi scritti in occasione del bicentenario, e l' Introduzione a G. Lefebvre, Folle rivoluzionarie. Aspetti della rivoluzione francese e questioni di metodo storico, Roma, Editori Riuniti, 1989 (1ª ed., sotto il titolo Riflessioni sulla storia, introduzione di A. Soboul, ivi, 1976), pp. 7-19.

157 L. Hunt, Politics, Culture and Class, cit.

158 R. Chartier, Le due France. Storia di una geografia, nel suo La rappresentazione del sociale, cit., pp. 188-210.

159 M. Vovelle, La scoperta della politica, cit., pp. 182, 342.

160 Al titolo del film Vovelle fa esplicito riferimento nel suo Pour une g&eacuteopolitique de la R&eacutevolution fran&ccedilaise, testo presentato al convegno La Rochelle, ville fronti&egravere, La Rochelle 28-29 aprile 1989, ora pubblicato in Recherches sur la R&eacutevolution, cit., pp. 283-292.

161 M. Vovelle, La scoperta della politica, cit., p. 59.

162 Rapporti non sempre di solidarietà o di convergenza di interessi, ed anzi in molti casi conflittuali, come Vovelle stesso aveva potuto osservare anche per il passato per la Provenza, in particolare in occasione dei moti antiliberisti degli anni Settanta, in contrasto con altre tendenze storiografiche: si vedano in proposito le osservazioni e le precisazioni, in risposta a Vovelle, di E. Hinrichs, « Giustizia» contro « amministrazione» . Aspetti del conflitto politico interno al sistema nella crisi dell'ancien r&eacutegime, in La società francese dall'ancien r&eacutegime alla Rivoluzione, cit., p. 221 nota 61.

163 Si veda anche il bilancio della controrivoluzione tracciato in M. Vovelle, La Rivoluzione francese, cit., pp. 89-98.

164 Si veda il bilancio delle ricerche regionali sulla Francia in tempo di rivoluzione tracciato in Recherches sur la R&eacutevolution, cit., pp. 283-324. Significativa anche l'articolazione tematica e regionale dei convegni organizzati in occasione del bicentenario (cfr. Les colloques du bicentenaire, cit.).

165 Si veda Les r&eacutesistances à la R&eacutevolution, Actes du Colloque de Rennes (17-21 septembre 1985), recueillis et pr&eacutesent&eacutes par F. Lebrun et R. Dupuy, Paris, Imago, 1987; cfr. anche Domande sulla rivoluzione, colloquio fra G. Galasso, Ph. Joutard, J. Revel e P. Bonaiuti, in « Prospettive settanta» , n.s., XI, 1989, pp. 73-94.

166 H. Burstin, Introduzione a Rivoluzione francese. La forza delle idee e la forza delle cose, cit., p. 9, e Id., Francia 1789, cit., p. 13.

167 Un bilancio sommario di questo impatto, nelle sue diverse scuole e tendenze, in S. L. Kaplan, Adieu 89, cit., pp. 625-848.

168 Di tutta la vicenda fornisce una dettagliatissima cronistoria il citato volume di S. L. Kaplan, Adieu 89: sul ruolo di Michel Vovelle a capo della Commissione scientifica per il bicentenario e sulle sue prese di posizione si vedano in particolare le pp. 797-848.

169 M. Vovelle, Pr&eacuteface, in J. J. Cl&egravere, Les paysans de la Haute-Marne, cit., p. 3; si vedano anche M. Vovelle, Conclusion g&eacuten&eacuterale, in Les paysans et la R&eacutevolution en Pays de France, Actes du Colloque de Tremblay-l&egraves-Gonesse 15-16 octobre 1988, Condé-sur-Noireau, Association pour la C&eacutel&eacutebration du Bicentenaire de la R&eacutevolution Fran&ccedilaise en Pays de France, 1989, pp. 253-257, e Id., Introduction, in La R&eacutevolution fran&ccedilaise et le monde rural, Actes du Colloque tenu en Sorbonne les 23, 24 et 25 octobre 1987, Paris, Ed. du Cths, 1989, pp. 17-22: quest'ultimo volume offre nel suo insieme un importante bilancio della questione. Per un quadro sintetico degli studi e del dibattito sulla rivoluzione contadina si veda anche P. J. Jones, The Peasantry in the French Revolution, Cambridge, Cambridge University Press, 1988.

170 J. C. Bousset, Avant-propos, in La R&eacutevolution fran&ccedilaise et le monde rural, cit., pp. 11-15.

171 G. Wright, Rural revolution in twentieth century France, Stanford, 1964, p. V.

172 Cfr. G. Lemarchand, La fin du f&eacuteodalisme dans le pays de Caux. Conjoncture &eacuteconomique et d&eacutemographique et structure sociale dans une r&eacutegion de grande culture de la crise du XVIIe si&egravecle à la stabilisation de la R&eacutevolution (1640-1795), Paris, Ed. du Cths, 1989, e si veda M. Vovelle, Pr&eacuteface, ivi, pp. VII-X.

173 In particolare J. P. Jessenne, Pouvoir au village & R&eacutevolution. Artois 1760-1848, Lille, Presses Universitaires de Lille, 1987: se ne possono trovare le conclusioni in Id., Rapporti di dipendenza, comunità di villaggio e « citoyenneté» nella Francia del Nord , in Rivoluzione francese. La forza delle idee e la forza delle cose, cit., pp. 141-166; Y. Durand, Vivre au pays au XVIIIe si&egravecle, cit.; M. Derlange, Les communaut&eacutes d'habitants en Provence au dernier si&egravecle de l'Ancien R&eacutegime, Toulouse, 1987. Si veda anche la rassegna di E. Toscas, Los estudios sobre el poder local en la Francia rural (ss. XVIII-XIX). Un comentario bibliogr&agravefico, in « Noticiario de Historia agraria» , II, 1991, pp. 113-122. A J. P. Jessenne si deve una recente aggiornata visione d'insieme che opportunamente amplia i confini temporali tradizionali della « manualistica» sulla rivoluzione francese, all'interno della Histoire de la France moderne diretta da Robert Muchembled: J. P. Jessenne, Histoire de la France: R&eacutevolution et Empire 1783-1815, Paris, Hachette, 1993.

174 Si vedano in tal senso P. M. Jones, Politics and rural society. The Southern Massif Central c. 1750-1880, Cambridge, Cambridge University Press, 1985; H. C. Johnson, The Midi in Revolution. A study of Regional Political Diversity 1789-1793, Princeton, Princeton University Press, 1986; Les paysans et la R&eacutevolution en Pays de France, cit.

175 Cfr. A. M. Rao, Alfred Cobban, in L'albero della rivoluzione, cit., pp. 122-131.

176 Si vedano gli studi raccolti a cura di Alan Forrest e Peter Jones in Reshaping France. Town, country and region during the French Revolution, Manchester and New York, Manchester University Press, 1991, in particolare P. Butel, Revolution and the urban economy: maritime cities and continental cities, pp. 37-51; T. J. A. Le Goff and D. M. G. Sutherland, The Revolution and the rural economy, pp. 52-85; W. Scott, The urban bourgeoisie in the French Revolution: Marseille, 1789-92, pp. 86-104; P. Jones, Agrarian radicalism during the French Revolution, pp. 137-151; J. Skinner, The Revolutionary and royalist traditions in southern village society: the Vaucluse Comtadin, 1789-1851, pp. 206-220; I. Woloch, The state and the villages in Revolutionary France, pp. 221-242; C. Crossley, Town-country and the circulation of Revolutionary energy: the cases of Bonald and Michelet. Cfr. inoltre T. Margadant, The retoric of contention: conflicts between towns during the French Revolution, in « French Historical Studies» , 16, 1989, pp. 284-308, e gli studi raccolti nel volume A travers la Haute-Normandie en R&eacutevolution 1789-1800. Etudes et recherches, Luneray, Comité R&eacutegional d'Histoire de la R&eacutevolution Fran&ccedilaise (Haute-Normandie), 1992.

177 Sviluppa efficacemente queste considerazioni J. R. Dalby, Les paysans cantaliens et la R&eacutevolution fran&ccedilaise (1789-1794), trad. fr. de C. Marion, Clermont-Ferrand, 1989, pp. 153-159.

178 Si vedano in tal senso soprattutto le opp. citt.di P. M. Jones e H. C. Johnson.

179 E. Weber, Peasants into Frenchmen, London, 1979, trad. it., Da contadini a francesi. La modernizzazione della Francia rurale (1870-1914), Bologna, Il Mulino, 1989. Si veda anche il bilancio complessivo tracciato da A. Moulin, Les paysans dans la soci&eacuteté fran&ccedilaise de la R&eacutevolution à nos jours, Paris, Seuil, 1988. Sulla questione dei processi di integrazione nazionale nella storiografia e nella sociologia francesi da Durkheim ad oggi cfr. la messa a punto di P. Rambaud, Histoire et sociologie. La France rurale à partir du XIXe si&egravecle finissant, in « Bollettino bibliografico del Centro studi per la storia comparata delle società rurali in età contemporanea» , Napoli, 1987, pp. 107-141. Allo stesso Centro studi si deve l'importante bilancio Trasformazioni delle società rurali nei paesi dell'Europa occidentale e mediterranea (secolo XIX-XX). Bilancio degli studi e prospettive di ricerca, Atti del Congresso internazionale svoltosi a Napoli e Sorrento dal 25 al 28 ottobre 1982, a cura di P. Villani, Napoli, Guida, 1986.

180 M. Agulhon, La R&eacutepublique au village, cit.; Id., 1848 ou l'apprentissage de la R&eacutepublique, Paris, 1973; Id., Il suffragio universale e la politicizzazione delle campagne francesi, in « Dimensioni e problemi della ricerca storica» , 1992, pp. 5-20.

181 T. Margadant, French Peasants in revolt. The Insurrection of 1851, Princeton, Princeton University Press, 1979. Su tutta la questione si veda ora l'importante lavoro di P. Rosanvallon, Le sacre du citoyen. Histoire du suffrage universel en France, Paris, Gallimard, 1992, trad. it., La rivoluzione dell'uguaglianza. Storia del suffragio universale in Francia, Milano, Anabasi, 1994.

182 Si vedano in proposito anche i contributi raccolti nel citato Reshaping France, in particolare N. Hampson, The idea of the nation in Revolutionary France, pp. 13-25; M. Crook, « Aux urnes, citoyens!» . Urban and rural electoral behaviour during the French Revolution, pp. 152-167; J.-P. Bertaud, The volunteers of 1792, pp. 168-178; M. Lyons, Regionalism and linguistic conformity in the French Revolution, pp. 179-192; e, dello stesso M. Vovelle, The countryside and the peasantry in Revolutionary iconography, pp. 26-37. Piú in generale sui processi di costruzione nazionale « dall'alto» e « dal basso» , si vedano le tipologie proposte, su un terreno piú astratto, da E. Gellner, Nations and Nationalism, Oxford, Basil Blackwell, 1983, trad. it., Nazioni e nazionalismo, Roma, Editori Riuniti, 1985 e 1994, e E. J. Hobsbawm, Nations and Nationalism since 1780, 1990, trad. it., Nazioni e nazionalismo dal 1780. Programma, mito, realtà, Torino, Einaudi, 1991.

183 Cfr. il cap. 6, La provincia alla sbarra della Convenzione, pp. 243-286.

184 Cfr. le pp. 37-40, 109-114 e 314-318 del volume.

185 Si vedano in particolare gli studi di A. De Francesco, cit. supra, nota 119 e, dello stesso autore, Fortune e sfortune del tema della sovranità popolare nella provincia francese durante i primi mesi della repubblica (settembre 1792-giugno 1793), in Rivoluzione francese. La forza delle idee, cit., pp. 169-179, e soprattutto l'ampio fondamentale lavoro sui conflitti urbani di T. W. Margadant, Urban Rivalries in the French Revolution, Princeton, Princeton University Press, 1992. Anche in questo caso sono state sottolineate forti differenziazioni locali: si veda l'esempio del Cantal studiato da Dalby, dove, secondo l'autore, il « federalismo» fu un movimento essenzialmente urbano ed elitario di reazione all'« estremismo» parigino e legato alle rivalità urbane locali (J. R. Dalby, op. cit., pp. 83-103). Sull'evoluzione nel tempo cfr. inoltre C. Lucas, Dopo il Terrore: forza delle idee e forza delle cose nella vita politica locale, in Rivoluzione francese. La forza delle idee, cit., pp. 203-215.

186 Si veda supra, nota 4, il « caso» Chaunu. In maniera meno passionale, ma altrettanto decisa, illustra il passaggio dai progetti di decentramento che incominciavano a costituire lo sbocco della monarchia assoluta alla « servitú amministrativa» realizzata con i dipartimenti il volume di P. Deyon, Paris et ses provinces. Le d&eacutefi de la d&eacutecentralisation 1770-1992, Paris, Colin, 1992.

187 T. W. Margadant, Urban Rivalries in the French Revolution, cit.

188 Cfr. in particolare il cap. 3, Verso la costituzione di uno spazio nazionale.

189 T. W. Margadant, Urban Rivalries, cit., p. 4, e cfr. il cap. 5, The Politics of Parochialism.

190 Cfr. ivi, pp. 278, 447-450.

191 M. Vovelle, La scoperta della politica, cit., pp. 185, 244, 292. Sul tema, si veda ancora J. Boutier, Les courtiers locaux du politique, cit.

192 Sull'apparizione della designazione bipolare destra/sinistra nel vocabolario socio-politico francese fin dal settembre 1789, ma con un senso politico-spaziale ancora ben lontano da quello di oggi, cfr. A. Geffroy, L'entr&eacutee du mot gauche dans la designation socio-politique: une subversion difficile, in La R&eacutevolution fran&ccedilaise et l'homme moderne, Rapports introductifs par Claude Mazauric, « Colloque International de Rouen» , Paris, Messidor, 1989, pp. 273-282.

193 « Peut-être convient-il de reconnaître qu'il n'existe plus aujourd'hui de lecture h&eacuteg&eacutemonique, et que c'est sans doute un bien» (M. Vovelle, Reflections on the Revisionist interpretation of the French Revolution, testo presentato nel 1989 alla American Historical Association, cit. da S. L. Kaplan, op. cit., p. 820 nota 13). Si veda inoltre La scoperta della politica, cit., pp. 4-5, 27. Sulla fine dei paradigmi, oltre al già cit. numero delle « Annales Esc» del 1989, cfr. ancora D. Peschanski, M. Pollak, H. Rousso, Le temps pr&eacutesent, cit., pp. 14-15.

194 È quanto osservava già F. Bon, Qu'est-ce qu'un vote, in « Histoire» , 1979, n. 2, pp. 113-115: cfr. N. Mayer, Permanence et fondements du clivage gauche/droite, in Histoire politique et sciences sociales, cit., pp. 101-102.

195 J. Y. Guiomar, Le Tableau de la g&eacuteographie de la France, cit., pp. 572-573, 589.

196 Ivi, p. 579.

197 Miseramente reso nella mia traduzione con « trasloco» o « rimescolio» o « rimescolamento» .

198 « Giornale letterario di Napoli per servire di continuazione all'Analisi ragionata de' libri nuovi» , vol. XXVI, 1° maggio 1795, pp. 18 e 28-29. Cfr. A. M. Rao, La Rivoluzione francese nella stampa periodica napoletana, in « Prospettive settanta» , XI, 1989, pp. 58-59.