Irene Castells Olivan, La rivoluzione liberale spagnola nel recente dibattito storiografico
2. I caratteri del processo: compromesso o rottura?Anche per quanto riguarda i caratteri della rivoluzione liberale spagnola come processo politico l'attuale storiografia appare divisa. Innanzitutto, continua a dominare lo schema interpretativo che privilegia l'esito finale del processo, trascurando le correnti politiche perdenti che ebbero comunque un ruolo decisivo nel trionfo del liberalismo, anche se questo diede luogo ad un regime rigidamente oligarchico. La spiegazione starebbe nell'alleanza che si realizzò tra la vecchia nobiltà e la borghesia, dalla quale scaturí una nuova classe dominante a base essenzialmente agraria, responsabile delle scarse trasformazioni delle strutture economico-sociali. Questo schema implica il perdurare delle visioni negative, di stampo « rigenerazionista» , 20già emerse nel dibattito degli anni Sessanta e Settanta, e mantenute in maniera piú o meno esplicita: conviene, perciò, esaminarle piú da vicino.
2.1. Il dibattito sulla « debolezza della borghesia». L'idea corrente del « ritardo della Spagna nel cammino della Storia» provocato dall'oscurantismo e dalla debolezza della borghesia ha avuto un posto centrale nelle spiegazioni del fallimento della rivoluzione liberale. I ceti borghesi avrebbero fallito nel loro compito di « protagonisti storici» , tradendo i principi liberali e cedendo il posto ai militari, il cui intervento in politica avrebbe segnato il destino della storia contemporanea di Spagna21, determinando le future vicissitudini e irregolarità della sua vita parlamentare e il ritardo della sua modernizzazione economica.
Questa tesi, piú volte ripetuta, in tutto o in parte, rimane largamente diffusa. Ma molti sono anche gli storici che hanno messo in discussione la visione negativa derivante da questo schema interpretativo22, ponendosi in una prospettiva comparativa rispetto alle vicende di altri paesi dell'Europa occidentale. Rispetto a questi, il caso spagnolo appare piú radicale e piú vicino al modello francese eccezionale ed unico, come è risaputo che, ad esempio, a quello tedesco o a quello italiano. Gli eventi politici stessi della nostra rivoluzione liberale ricordano quelli della rivoluzione francese: reazione aristocratica del partito « fernandino» come elemento scatenante della crisi politica iniziale del 1808, rivoluzione popolare e politico-giuridica nel contesto dell'invasione francese, rivolte agrarie antifeudali di carattere borghese e popolare in alcune zone, ecc., anche se, naturalmente, non vi fu una « componente contadina della rivoluzione» , tratto specifico del caso francese. Evidentemente, la grande differenza rispetto alla Francia come in tutte le rivoluzioni liberali posteriori stette nella sfasatura cronologica e nella discontinuità del processo politico, che ebbe il suo trionfo solo negli anni Trenta dell'Ottocento, momento egemonico del liberalismo moderato, come ha sottolineato E. J. Hobsbawm. I colleghi ispanisti francesi, che hanno tanto contribuito alla conoscenza del periodo23, hanno forse esagerato la distanza tra Francia e Spagna, quando invece il processo politico, fatte salve le notevoli differenze rispetto alla « grande rivoluzione» , presenta piú somiglianze che divergenze.
Le critiche all'interpretazione dominante insistono sul fatto che la storia del nostro liberalismo non può essere ridotta alla storia del liberalismo moderato trionfante, ma bisogna includervi le correnti emancipatrici del liberalismo politico dell'epoca della rivoluzione francese, che non può identificarsi con quello economico né con il modello di società di classi che sarebbe venuto in seguito. I nostri primi liberali erano « rousseauiani» , nel senso che per loro il primo obiettivo era riuscire a imporre una Costituzione, ossia essere liberi. L'idea di « cittadino» che essi sostenevano si indirizzava soprattutto contro il privilegio e il dispotismo24. Ben altra questione è come questo ideale di una società di cittadini si andò dotando di contenuti concreti nel corso del XIX secolo, contenuti tali che il liberalismo si fece sempre piú borghese e la borghesia sempre meno liberale. Ma il primo liberalismo prefigurava un futuro prospero ed egualitario per una diversità di gruppi e strati sociali, nonostante i suoi principi in Spagna restassero confinati tra leélites, in una minoranza colta che diffidava della partecipazione politica popolare, se non la temeva.
Rispetto al topos della « debolezza della borghesia» si è quindi insistito sulla necessità di distinguere tra debolezza politica (che ricondurrebbe al tema delle divisioni interne al liberalismo e al peso della controrivoluzione) e debolezza economica25. Riguardo a quest'ultima, le differenze economiche e sociali esistenti in Spagna alla fine del Settecento spiegano l'emergere di strategie economiche molto diverse negli ambienti borghesi di fronte al fallimento dell'assolutismo dopo l'invasione napoleonica. Non è possibile, quindi, parlare di « immaturità» senza precisare se la si intenda come immaturità economica, politica o ideologica, e ignorando, oltretutto, le enormi differenze regionali del complesso spagnolo. Non meno discutibile appare la tesi della « borghesia surrogata dall'esercito» , dal momento che fino agli anni Quaranta del XIX secolo l'esercito rimase profondamente diviso al suo interno e attraversò una fase di trasformazione totale che portò alla formazione di una istituzione nuova, che sarebbe stata questo sí la piú solida dello Stato liberale. Ma, come vedremo trattando dei rapporti tra esercito e rivoluzione liberale, i « pronunciamenti» del primo trentennio del XIX secolo furono soprattutto una strategia politica del liberalismo spagnolo, che l'idea della « súrroga» porta a confondere piuttosto che chiarire.
2.2. Il problema del « giacobinismo» .
Altro luogo comune della storiografia sulla nostra rivoluzione
liberale è che la Spagna non conobbe il giacobinismo (senza
precisare di quale giacobinismo si parli). Nel sottolineare la
sua assenza, si accentua la tendenza al compromesso tra ceti
borghesi e forze di antico regime, atteggiamento compromissorio
che si dice i liberali mostrarono fin dagli inizi
della loro lotta contro l'assolutismo oppure, momento piú
importante, a partire dal triennio liberale del 1820-1823. Da
questa debolezza sociale di tutti i liberalismi al potere, ivi
compresi i settori piú radicali, si deduce che la Spagna
realizzò una rivoluzione francese alla rovescia, a vantaggio
dell'aristocrazia e non del popolo26. Di qui la caratterizzazione del
processo come una serie di misure piú o meno rivoluzionarie, ma
prese dall'alto, con una scarsa mobilitazione del popolo urbano e
un forte distacco rispetto agli interventi della nuova politica
liberale della maggioranza della popolazione, ostile o
indifferente al processo di trasformazione politica e sociale.
Certo, alcuni degli stessi storici che sostengono questa tesi hanno contribuito in maniera decisiva a chiarire le forme di sociabilità politica che accompagnarono la rivoluzione liberale (le società patriottiche avviate nel 1820) 27 e a dimostrare che fu proprio l'intervento popolare a portare a compimento nel 1835 il movimento associativo, che venne poi legalizzato28.
Ma bisogna ricordare che la lotta liberale in Spagna fu fortemente condizionata dalla controrivoluzione, che identificò il termine « liberali» con quelli di « afrancesados» e « giacobini» . Ciò indusse i liberali a prendere ancor piú le distanze da tutto ciò che potesse suonare come eco radicale della rivoluzione francese. Tipico dell'evoluzione del liberalismo spagnolo verso l'esaltazione del moderatismo è, ad esempio, il caso di Antonio Alcalá Galiano che nel 1820, sul giornale che aveva fondato per sostenere il pronunciamento di Riego, precisava esplicitamente: « no somos jacobinos ni demagogos, sino sólo queremos que triunfe el imperio de la ley» . 29Si può citare ancora il caso di quei liberali che, disincantati dal fallimento del Triennio liberale del 1820-1823, dicevano « en 1820 casi todos éramos bullangueros o demagogos» , 30mentre alcuni anni dopo, in pieno processo di definizione delle nuove correnti politiche dopo il trionfo liberale, un radicale catalano come Ribot y Fontseré scrisse un'opera contro i moderati intitolata Quiero hacerme bullanguero 31.
Per quanto sia utile ricordare le affermazioni dei liberali stessi, bisogna tuttavia sottolineare come esse non valgano certo di per sé a confermare o a smentire l'esistenza di un giacobinismo spagnolo, poiché il loro significato cambia a seconda dei contesti. Bisognerebbe in realtà confrontare i discorsi con le pratiche politiche e delineare in tal modo i tratti piú generali di questo giacobinismo. Ma siamo solo agli inizi di lavori di questo genere, che permetterebbero di precisare meglio la portata reale del giacobinismo spagnolo32, inteso come volontà politica di porre fine all'arbitrio della monarchia assoluta e di fondare un nuovo ordine politico basato sui principi dell'Illuminismo e del liberalismo politico.
Visto in questi termini, è possibile trovare quelle che potremmo chiamare delle « tracce giacobine» negli anni Venti e Trenta del XIX secolo, corrispondenti, certo, a fasi molto diverse: la prima è una fase di ripiegamento e di resistenza dopo la sconfitta del triennio, mentre gli anni Trenta vedono il trionfo definitivo della rivoluzione liberale, profondamente segnata dalla guerra civile contro il carlismo. Negli stessi anni l'intero quadro politico, dopo la morte di Ferdinando VII nel 1833 e il ritorno degli esiliati, subí un cambiamento profondo.
In entrambe le fasi, tuttavia, nel campo liberale emersero orientamenti politicamente radicali: nel 1823, anche se non si produsse una situazione come quella della difesa della Francia rivoluzionaria contro l'Europa aristocratica, alcuni nuclei urbani della periferia mediterranea mostrarono una capacità di resistenza che ricordava molto il caso francese33. E dopo l'abbattimento violento del regime costituzionale, la reiterata prosecuzione del modello carbonaro di lotta impose l'idea che non si otteneva la libertà senza conquistarla34.
Questa strategia insurrezionale continuò ad essere applicata dal liberalismo radicale di ritorno dall'esilio e durante l'ultima fase della rivoluzione liberale, i cui momenti salienti furono gli inverni del 1835 e 183635. Incontriamo cosí un altro dei temi dibattuti nella storiografia: i caratteri delle giunte istituite a seguito delle insurrezioni provinciali che provocarono la violenta caduta dell'antico regime.
2.3. I caratteri delle giunte.
Gli organi istituzionali che dal 1808 servirono in Spagna ad
incanalare l'azione popolare furono le giunte locali e
provinciali, di carattere interclassista, ma che finirono sempre
per essere dominate dagli elementi piú moderati36. Ad ogni congiuntura rivoluzionaria
si ripeté lo schema di una rivoluzione che sfociava nella
creazione di una Giunta centrale che doveva esercitare le
funzioni di governo provvisorio. Il modello si ripeté anche
nella fase finale della rivoluzione liberale e l'ambiguità della
composizione sociale e degli orientamenti politici ha portato a
considerare queste giunte come strumenti di controllo piú che di
incanalamento della mobilitazione popolare, come espressione,
insomma, della « paura del popolo» della borghesia spagnola. La
storiografia è quasi unanime in questa valutazione, anche se,
col mutare degli approcci analitici, alcuni recenti lavori
tendono a dare una visione meno conservatrice di questi organi,
almeno nell'area periferica mediterranea che è anche
quella meglio studiata dove essi ebbero maggiore importanza37.
Le giunte del 1835 e 1836 in Catalogna e Valencia appaiono, cosí, come espressione del liberalismo radicale che spinse verso uno sbocco insurrezionale la via legalitaria per la quale stava optando la maggioranza dei liberali; e, quindi, è alla loro azione che si attribuisce il fallimento del « giusto mezzo» , della « rivoluzione dall'alto» , anche se queste giunte non ebbero mai una composizione popolare. Impostata cosí la questione, le giunte non sarebbero tanto uno strumento di controllo quanto piuttosto di partecipazione dal basso alla creazione di uno Stato-nazione fondato sulla base differenziata delle diverse comunità storiche. Di fatto, non vi fu altro strumento di incanalamento dei ceti popolari fino all'associazionismo repubblicano successivo agli anni Quaranta.
Benché già i contemporanei denunciassero l'arrendevolezza delle giunte al governo e la loro successiva dissoluzione, lo schema continuò a ripetersi fino al 1868, ciò che mette in evidenza vari problemi: l'importanza della vita locale e le difficoltà di far fronte ai notabili locali. Questo localismo, preludio del successivo conservatorismo, mostra tutto il peso degli elementi arcaici nella vita politica spagnola, ma non autorizza a minimizzare la complessità del fenomeno delle giunte, che è attualmente oggetto di approfonditi studi a livello locale. Una seconda questione riguarda il peso che ebbe la legge per il radicalismo liberale (in cui si collocavano le borghesie commerciali, professionali e l'artigianato), che aveva bisogno di proteggersi dalle provocazioni poliziesche degli agenti reazionari. Le rocambolesche storie di « doppi agenti» proliferarono durante la rivoluzione liberale spagnola. Va ricordato, infine, il fallimento dello Stato, che ricorse alla frode politica, alla « mistificazione» della rivoluzione delle giunte, che non si videro rappresentate nei governi successivi. In conclusione, l'attività delle giunte rese manifesta l'inesistenza di partiti che potessero accedere al potere attraverso il gioco democratico. Fu proprio durante questo processo che si formarono i partiti e quando nel 1837 esso ebbe fine sorsero di nuovo le società segrete che, per loro natura, continuarono ad essere elitarie e ad avere fini eminentemente politici.
Fino al nuovo associazionismo repubblicano, di impronta giacobina, furono le giunte gli unici organismi che permisero la partecipazione congiunta di monarchici costituzionali e repubblicani radicali, anche se « la questione sociale» , « la paura del popolo» della borghesia spagnola avrebbero favorito l'utilizzazione della rivoluzione delle giunte da parte dei settori rivoluzionari piú moderati che furono tuttavia a loro volta spinti a reagire con violenza davanti alla minaccia della controrivoluzione (la guerra civile tra carlisti e liberali) e all'immobilismo politico di quelli che preconizzavano la politica del « giusto mezzo» .
Anche la questione del conservatorismo della nostra borghesia, timorosa dell'intervento popolare, è attualmente oggetto di due tipi di lettura. Da un lato, continua a prevalere quella che insiste sul fatto che il trionfo politico delle formule politiche oligarchiche (il moderatismo) fu dovuto soprattutto alla scarsa consistenza di borghesie che capitolarono davanti all'egemonia aristocratica per imporre l'ordine sociale. Dall'altro lato, però, la grande conflittualità sociale e politica suscitata dalla convergenza (appena coordinata) tra intervento popolare e liberalismo radicale, produsse una forte divisione tra le file liberali e borghesi intorno alla questione delle soluzioni politiche da adottare davanti alla crescente politicizzazione popolare che accompagnò il cambiamento del regime. Ciò conduce ad un altro punto del dibattito: su quali basi si fondassero le divisioni interne al liberalismo.
2.4. Le divisioni del liberalismo.
Dopo la lunga lotta all'antico regime, gli orientamenti politici
dei liberali spagnoli incominciarono a differenziarsi,
soprattutto dopo la loro prima esperienza al potere, nel
1820-1823 (quella di Cadice era rimasta quasi solo sulla carta).
La storiografia non ha prestato abbastanza attenzione a queste divisioni tra i liberali; oppure le ha denominate in maniera non rispondente alla realtà storica, per esempio qualificando come « democratici» i liberali « esaltati» del Triennio38. Ma i diversi orientamenti politici assunti dai liberali sono essenziali per comprendere il processo rivoluzionario e lo stesso fallimento del 1823, come appare evidente da alcuni studi39. Questi hanno dimostrato che un'ala di questo eterogeneo gruppo di « esaltati» diversi fra di loro sia sul piano materiale e sociale sia per provenienza geografica si ricongiunse alle successive azioni dei democratici e dei repubblicani, il cui obiettivo politico era l'instaurazione e la difesa della Costituzione del 181240.
Le manifestazioni di questo liberalismo radicale non ebbero, beninteso, uno sviluppo lineare e variarono durante le diverse tappe della rivoluzione liberale: nei momenti di governo assolutistico il liberalismo sospendeva temporaneamente i suoi contrasti in nome dell'unanimità richiesta dall'archetipo rivoluzionario del liberalismo spagnolo, mentre nei momenti in cui vigeva il sistema costituzionale e semicostituzionale (1820-1823 e 1834-1837/40) fu soprattutto intorno all'organizzazione dello Stato e ai problemi della vigilanza rivoluzionaria che si determinarono le divergenze. Questi contrasti non fecero che favorire il settore piú moderato del liberalismo: ciò che rinvia in sostanza alla « debolezza politica» non della borghesia ma del liberalismo stesso.
2.5. « Elites» e masse popolari
41.
Il tema ricorrente del « timore del popolo» della borghesia
spagnola è alla base dell'interpretazione prevalente fondata
sulla duplice idea che il liberalismo trionfante, per il suo
carattere oligarchico, non solo non riuscí ad attrarre a sé il
popolo urbano, ma anzi spinse una parte di questo e, soprattutto,
le masse rurali ad arruolarsi nella controrivoluzione. Tornerò
sulla questione piú avanti, esaminando per ora il dibattito sul
ruolo svolto dalle forze popolari urbane nella rivoluzione
liberale spagnola.
Grazie al rinnovamento della storiografia europea sul tema, si è andata abbandonando l'idea di vedere l'intervento popolare nelle rivoluzioni liberali come una semplice comparsa: ma non sono molti nella nostra storiografia i lavori sul tema e ancora meno numerosi sono quelli che assumono questo nuovo approccio. La storiografia conservatrice ha utilizzato la tesi del complotto per spiegare il protagonismo popolare, mentre quella progressista sopravvaluta la capacità organizzativa dei liberali rispetto agli ambienti popolari. Il ruolo dell'intervento popolare nel processo della rivoluzione liberale è perciò ben lontano dall'essere chiarito. Punterò l'attenzione su due importanti contributi che corrispondono anche a due momenti tra i piú significativi: il Triennio liberale a Valencia e la prima fase dell'ultima tappa della rivoluzione a Barcellona42.
Gli studi di M. C. Romeo e A. M. García Rovira sui periodi 1820-1823 e 1835 mostrano l'esistenza di un'importante mobilitazione nell'ambito valenciano e catalano. Per quanto riguarda il primo, l'autrice difende il carattere polisemico del linguaggio politico liberale e l'esistenza di postulati diversi al suo interno, insistendo sulla « riappropriazione e rielaborazione popolari del liberalismo» e mostrando l'esistenza nel 1820-1823 di un liberalismo di rottura che contava sull'appoggio di ampi strati della popolazione urbana e rurale. Insiste inoltre sul fatto che quello liberale ai suoi inizi fu un progetto che non può essere completamente separato dalla democrazia e dal repubblicanesimo, come dimostrano tre elementi che riuscirono fino al 1843 ad aggregare ampi strati della popolazione: la rivendicazione della Costituzione del 1812, il diritto di libertà e partecipazione politica e la piena abolizione dei diritti signorili. L'altro lavoro, sulla Catalogna del 1835, analizza l'autonomia che il movimento popolare urbano manifestò nelle « bullangas» : momenti di mobilitazione popolare che accompagnarono il movimento delle giunte del 1835 e nel quale nemmeno il liberalismo radicale si poté inserire.
L'azione delle componenti urbane durante la rivoluzione liberale è un fatto accertato, ma molte questioni sono ancora oggetto di dibattito: fino a che punto questa mobilitazione popolare la « rivoluzione borghese cittadina» contro il carlismo, come è stata definita fu un elemento decisivo nell'avanzata della rivoluzione; quale fu il grado di autonomia tanto dell'azione quanto dell'ideale liberale assunto dal popolo urbano barcellonese nei tumulti del 1835 e 1836; in che misura questo intervento decisivo del popolo urbano nel processo di rottura con l'antico regime possa essere considerato un momento chiave nell'evoluzione del radicalismo liberale del secolo XIX che sboccherebbe nel repubblicanesimo; infine, come influí questa contestazione politica di orientamento democratico sull'adozione di formule politiche oligarchiche da parte del liberalismo ufficiale e, piú in concreto, sulla conformazione storica delle borghesie valenciana e catalana, per limitarsi ai casi meglio studiati43.
Queste questioni sottolineano di nuovo l'incidenza della « questione sociale» negli orientamenti politici dei settori borghesi nella lotta contro l'antico regime. La sua valutazione continua ad essere oggetto di discussione fra le due prospettive di analisi già ricordate. Quella predominante ritiene che la borghesia, tanto per la sua debolezza di classe quanto per timore della mobilitazione popolare, fu sempre al rimorchio dell'iniziativa di riforma dei privilegiati, una volta fallita la via del pronunciamento insurrezionale. L'altra prospettiva in relazione al caso valenciano presta molta piú attenzione alla crescente presa di coscienza rivoluzionaria da parte dei settori borghesi, considerati come i principali protagonisti di una rottura radicale con il riformismo assolutistico, anche se non riuscirono ad andare molto lontano nel sostegno popolare necessario al trionfo della rivoluzione44.
Studi Storici 1, gennaio-marzo 1995 anno 36
Irene Castells Olivan, La
rivoluzione liberale spagnola nel recente dibattito storiografico
20 Il termine allude al movimento « rigenerazionista» , sorto in occasione della crisi spagnola del 1898 e incarnato da Joaquín Costa, che fece proprie le critiche coeve rivolte al movimento di ammortizzazione dall'economista liberale Flórez Estrada, sostenendo le tesi del radicalismo piccolo borghese, riprese in seguito dalla sinistra spagnola, sulla necessità di portare a termine le finalità democratiche della « Rivoluzione borghese» , soprattutto per quanto riguardava la « questione agraria» .
21 La tesi di una borghesia « surrogata» dall'esercito è stata sostenuta sia da una parte della storiografia anglosassone sulla storia spagnola contemporanea (per esempio S. G. Payne o R. Carr), sia, in maniera piú sfumata, da storici marxisti come M. Kossok: si veda, ad esempio, il saggio di quest'ultimo El ciclo de la revoluciones españolas en el siglo XIX, in A. Gil Novales, ed., La Revolución burguesa en España, Madrid, Universidad Complutense de Madrid, 1985, pp. 11-32.
22 Un ruolo pionieristico in tal senso ha svolto il gruppo degli storici valenciani, come, tra gli altri, i già citati P. Ruiz Torres, J. Millán, M. C. Romeo, I. Burdiel e M. Martí.
23 Mi riferisco a ispanisti di grande prestigio fra noi come G. R. Aymes o C. Morange, i cui ultimi lavori sulla Spagna in occasione del bicentenario della rivoluzione francese continuano a sostenere lo schema interpretativo classico che stiamo qui discutendo. Si vedano i saggi dedicati alla Spagna da M. Kossok, J. R. Aymes e C. Morange in Région, Nation, Europe, Actes du Colloque International organisé à Besançon (novembre 1987), Paris, Annales Littéraires de l'Université de Besançon-Les Belles Lettres, 1988, pp. 581-624, e gli interventi di J. R. Aymes e A. Gil Novales in Les Révolutions dans le monde Ibérique (1766-1834), I, La Péninsule, Bordeaux, Presses Universitaires de Bordeaux, 1989, pp. 13-181.
24 Si vedano in tal senso M. Perez Ledesma, in Las Cortes de Cádiz y la sociedad española, « Ayer» , 1, 1991, pp. 204-206; I. Castells y A. M. García Rovira, Pronunciamentos, Juntas y Bullangas (1823-1835), in El Jacobinisme,cit., pp. 351-363.
25 P. Ruiz Torres, Liberalisme i revolució a Espanya, in « Reçerques» , n. 28, cit., pp. 59-71.
26 J. Fontana sostenne questa tesi nel suo saggio Transformaciones agraria y crecimiento económico en la España contemporánea, in Cambio económico y actitudes políticas en la España del siglo XIX, Barcelona, Ariel, 1973, pp. 147-196, in particolare alle pp. 161-165, dove applicava la denominazione di « via prussiana» alla rivoluzione borghese spagnola. In lavori successivi ha poi sfumato questa affermazione, coniando il termine di « riforma agraria liberale» , diventato corrente nella nostra storiografia, ma con dei significati e una portata molto diversi.
27 A. Gil Novales, Las sociedades patrióticas, 1820-1823, Madrid, Tecnos, 1975.
28 J. Fontana, La Revolución liberal. Política y Hacienda, 1833-1845, Madrid, Instituto de Estudios Fiscales, 1977.
29 Citato in I. Castells, Antonio Alcalá Galiano: Liberalismo exaltado y moderantismo, in J. Anton y M. Caminal, coord., Pensamiento político en la España Contemporánea, 1800-1950, Barcelona, Teide, 1992, p. 124.
30 Citato da J. Fontana, La burguesía española entre la reforma y la revolución (1808-1868), in Revueltas y Revoluciones en la Historia, Salamanca, Universidad de Salamanca, 1990, p. 127.
31 Citato da A. Ramspott y J. Maluquer de Motes, Romanticisme i saint-simonisme a Catalunya, in « Reçerques» , n. 6, 1976, pp. 65-92.
32 Interessanti in proposito i contributi di A. Gil Novales, M. C. Romeo e Ll. Roura sul giacobinismo spagnolo, anche se il primo tende a negarne l'esistenza, mentre gli altri due autori presentano posizioni piú sfumate: cfr. I. Castells y Ll. Roura, coord., Revolución y Democracia en Europa. El Jacobinisme europeo, in corso di stampa presso le Ediciones Clásicas di Madrid.
33 Per il caso valenciano si vedano i già citati lavori di M. C. Romeo; in ambito barcellonese ho io stessa riscontrato esempi non altrettanto radicali ma simili, in una ricerca ancora in corso sulla fine del Triennio liberale in Catalogna.
34 Sull'applicazione del modello carbonaro di lotta al caso spagnolo, per il periodo 1823-1831, cfr. I. Castells, La utopía insurreccionale del liberalismo,cit.
35 Come ha dimostrato A. M. García nel già cit. La Revolució liberal a Espanya.
36 Sul movimento delle giunte disponiamo dell'importante lavoro di A. Moliner Prada, Estructura, funcionamiento y terminología de las Juntas Supremas provinciales en la guerra contra Napoleón. Los casos de Mallorca, Cataluña, Asturias y León, tesi di dottorato, Università autonoma di Barcellona, 1981. L'autore ha poi esteso le sue ricerche all'intero periodo della rivoluzione liberale, nel volume in corso di stampa Revolución liberal y Movimiento juntero.
37 Cfr. ad esempio, I. Castells y A. M. García Rovira, Pronunciamentos, Juntas y Bullangas, cit.; per il caso valenciano nel 1836, gli studi di I. Burdiel, La política de los notables,cit., e Dret, compromis i violencia en la revolució burguesa: la revolució del 1836, in « Reçerques» , n. 22, pp. 63-81; sulle giunte del 1836 in Catalogna, A. M. García Rovira, La revolució liberal,cit.
38 A. Gil Novales, grande specialista del Triennio liberale 1820-23, ha dedicato vari studi proprio al gruppo degli « esaltati» ma, tranne che per alcuni casi isolati, come quello di Romero Alpuente, tende a minimizzare la loro importanza rispetto a quelli che furono gli esiti finali della rivoluzione liberale. D'altra parte, I. M. Zavala, Masones, Comuneros y Carbonarios, Madrid, Siglo XXI, 1971, incorre negli anacronismi già segnalati e non sempre distingue con precisione i documenti di provenienza liberale da quelli che erano frutto delle provocazioni assolutiste. Dal canto suo J. Fontana, soprattutto in La crisis del Antiguo Régimen, 1808-1833, Barcelona, Crítica, 1983, insiste sull'importanza che le divisioni tra i liberali ebbero per la caduta del regime liberale del 1820-1823, ma si limita a constatare le conseguenze negative che ciò ebbe sul processo della rivoluzione liberale, dando per concluso il ruolo del liberalismo radicale nel 1823, mentre la sua azione si rivelò decisiva nell'ultima fase della rivoluzione liberale, nel 1835-37, come lo stesso autore ha poi riconosciuto in altri suoi lavori: La fi de l'Antic Règim i la industrialització, 1787-1868, in Història de Catalunya, vol. V, Barcelona, Edicions 62, 1988.
39 Si vedano ancora i già citati lavori sul Triennio liberale a Valencia di M. C. Romeo.
40 Ho io stessa sottolineato questi rapporti nella comunicazione collettiva Nation, République et Démocratie dans la formation et le développement du modèle libéral espagnol: la Catalogne et l'Espagne, negli Atti del Convegno internazionale dell'Università della Franca Contea su L'idée d'Europe, vecteur des aspirations démocratiques: les idéaux républicains depuis 1848, Paris, Annales Littéraires de l'Université de Besançon-Les Belles Lettres, 1994, pp. 215-232.
41 All'interno dello schema interpretativo tradizionale, J. Francisco Fuentes ha dedicato al tema un lavoro che lo affronta fino al XX secolo: Pueblo y élites en la España contemporánea, 1808-1839 (Reflexiones sobre un desencuentro), in « Historia contemporánea» , vol. 8, 1992, pp. 15-34.
42 Si tratta dei già citati lavori di M. C. Romeo sul Triennio liberale a Valencia e di A. M. García su Barcellona nel 1835. Studi successivi che hanno affrontato lo stesso tema, in particolare per Barcellona, o mancano di un approccio interpretativo chiaro ed esulano, pertanto, malgrado il loro apporto, dal dibattito di cui si dà conto (è il caso di J. M. Olle Romeu, Les bullangues de Barcelona durant la Primera Guerra Carlina [1835-1837], 2 voll., Tarragona, Ed. El Medól, 1993-1994), o tendono verso lo schema interpretativo classico messo in discussione da A. M. García Rovira, alla quale si rimprovera sia un'eccessiva sopravvalutazione di alcuni leaders radicali del liberalismo barcellonese, sia i rapporti diretti che instaura tra l'elevata conflittualità manifestatasi durante la rivoluzione liberale del 1835 e l'esistenza della guerra civile con i carlisti: è la posizione di M. Santirso Rodriguez, Revolución liberal y guerra civil en Cataluña (1833-1840), tesi di dottorato presentata presso l'Università autonoma di Barcellona, settembre 1994. Sul caso valenciano, si veda anche J. M. Climent i Prats, Població industrial i radicalisme urbà (1843-1849), in « Afers» , 15, 1993, pp. 143-161.
43 Tali le considerazioni svolte da M. Martí a proposito del libro di A. M. García Rovira, La Revolució liberal, cit., nella già citata recensione La Revolució liberal en perspectiva, p. 102.
44 Pone in questi termini la questione P. Ruiz Torres, Liberalisme i revolució a Espanya,cit., p. 71, riassumendo la discussione svoltasi nell'ambito di un corso su Le borghesie nel mondo contemporaneo: il contrasto tra Spagna e Europa tenutosi all'Università internazionale Menéndez y Pelayo di Valencia nel settembre 1992, alla quale parteciparono, insieme allo stesso Ruiz Torres, I. Burdiel, I. Castells, A. M. García Rovira e M. C. Romeo. In base ai loro studi e ai loro interventi, P. Ruiz Torres sembra considerare le intepretazioni di I. Castells e A. M. García Rovira piú vicine alle tesi di J. Fontana sul « patto tra proprietari» che avrebbe caratterizzato la nostra rivoluzione liberale e che pose i ceti borghesi al rimorchio delle forze di antico regime. Al tempo stesso, accentua le tesi degli altri due storici dell'Università di Valencia sul carattere di « rottura» che la rivoluzione liberale ebbe a Valencia, dove mostrò inequivocabilmente l'egemonia dei ceti borghesi. Per quanto mi riguarda, il mio lavoro su La utopía insurrecciónal si prestava forse a qualche ambiguità, in quanto la mia ricerca si fermava al fallimento del liberalismo nel 1831. Ma il mio intento era proprio quello di valorizzare un episodio che costituisce secondo me parte essenziale del processo rivoluzionario liberale e che dimostra ancora una volta che non si devono giudicare i processi rivoluzionari soltanto dai loro risultati, ma in base a tutti i diversi elementi che ne sono parte integrante. I tentativi di pronunciamento degli anni Venti li consideravo pertanto tutt'altro che eventi marginali, ma anzi un momento fondamentale nel determinare lo sviluppo della complessa fase finale della crisi dell'antico regime in Spagna.