3. Verso la maturità dell'antico regime. Una recessione come quella indicata non si spiega, certamente, se non si considera che la reazione degli agenti sociali, piú che il cambiamento, tese ad una radicalizzazione della situazione. Non è che fosse assente una chiara coscienza di ciò che stava capitando. Al contrario, l'« arbitrismo» , il « riformismo» , che per alcuni erano componenti fondamentali di una politica di reputación >, 116segnalavano come anche le riforme potevano essere legate agli interessi dei settori piú direttamente coinvolti nella politica di intervento fuori della penisola. Il problema consisteva nel fatto che il margine di manovra della corona si sarebbe visto bloccato in un'intricata trama di interessi, frutto precisamente della riproduzione di poteri interrelati che vedevano l'unica via d'uscita nella riproduzione degli aspetti essenziali dell'equilibrio politico. Perché, in effetti, la recessione economica che si vive in molte aree fino al 1640, bloccò in maniera generalizzata e per la prima volta dal 1400, questo ampliamento estensivo della rendita che era inerente alla riproduzione del sistema sociale. Gli studi locali dimostrano che i nobili videro cadere le loro entrate ordinarie e che il clero si trovò di fronte a una riduzione delle sue rendite117. Naturalmente ci furono voci di reddito dei gruppi intermedi e dei potenti locali, come ciò che era percepito dalle rendite di terre o dai juros e dai censi il cui tasso di interesse cade nel momento in cui perdono la regolarità nel pagamento , che si videro notevolmente ridotte; per non parlare dell'industria o del commercio dai quali molti di loro già si erano allontanati. Le difficoltà arrivarono a tal punto e il funzionamento di questa macchina di ridistribuzione delle risorse che era l'azienda conobbe tanti problemi, che la monarchia dovette prendere misure di duplice genere, pericolose per il mantenimento dell'ordine politico e pregiudiziali per questi settori. Si arrivò, ad esempio, a una riduzione del tipo di interesse dei juros e dei censi sui maggiorascati e sulle finanze municipali, che favoriva le case signorili piú antiche e le città, ma che pregiudicava i percettori di reddito, molti dei quali appartenenti alle oligarchie urbane e, ancora di piú, al clero. Dall'altro lato, si applicarono nuovi oneri, come quello della media anata, sulla trasmissione di titoli e rendite che toccarono negativamente tutta la nobiltà. Aumentarono le cifre della riscossione di imposte come i milliones o i cientos, che penetravano nei territori signorili e riducevano la possibilità dei contadini di pagarli e allo stesso tempo aumentavano i problemi economici delle città. Ciò mentre si mettevano in moto gli accertamenti sulle rendite signorili tendenti a riscattare quelle usurpate alla corona durante il XV secolo118.
Tuttavia le regole del gioco sostanzialmente non cambiarono. Le idee di riforma finanziaria del conte-duca di Olivares restarono in progetti inapplicati o comunque alterati. La sua volontà di reincorporare le alcabalas usurpate durante il XV secolo fu un motivo importante dell'opposizione aristocratica, ma le rendite recuperate furono poche e le nuove figure di imposte continuavano a passare attraverso il controllo dei patrizi delle città si rafforzò anche un piano di relazione diretta della corona con le città spesso causa di donativi particolari o di scambi di favori che ogni volta emarginava sempre piú le Cortes e che sarebbe terminato con l'abolizione di queste per mezzo del consenso di entrambi119.
La reazione ai problemi da parte della nobiltà fu chiara; essa si vide obbligata a un controllo sulla spesa. Tuttavia essa si volse soprattutto alla struttura imperiale, cercando di essere risarcita per il calo delle sue entrate ordinarie attraverso entrate straordinarie, o meglio applicò una politica selettiva nei suoi Stati, avvalendosi sempre della sua influenza sulla vita locale e sull'apparato giudiziario, sempre piú inoperoso e soggetto ai disegni delle clientele di cui era permeato. D'altro canto, le eccezioni e le proroghe nell'adempimento di alcuni doveri, come la media anata furono sempre piú frequenti. Le istituzioni ecclesiastiche cercarono di superare la riduzione del valore delle proprie voci di rendita attraverso il loro ampliamento quantitativo: aggiungendo piú terre al loro patrimonio (comprate a buon prezzo o ottenute per donazione), realizzando un maggior numero di juros e censi, ecc. Tutti loro, e in particolare i patrizi delle città, vedevano nella propria influenza locale una possibilità di continuare con la frode e la corruzione nel pagamento e nella riscossione di imposte o nell'amministrazione dei patrimoni pubblici a proprio beneficio. Certamente l'impero, e, sin dal 1648, in particolare l'America, continuarono ad essere fondamentali nella loro promozione, che come nel secolo precedente passava attraverso il servizio allo Stato e la carriera politica120. Tutto ciò già spiega perché si ritardasse il recupero economico, ma non era tutto.
Su questa strada l'impero si sarebbe convertito in un macchinario sempre piú inefficace dal punto di vista politico ed economico. Non si tratta solo del fatto che la macchina fiscale lavorò con sempre maggiori difficoltà. L'organizzazione coloniale era anch'essa soggetta ad una corruzione che era il sintomo della penetrazione nel suo ambito delle clientele e che si evidenzia nel fatto che, nonostante il vigore dell'economia americana durante i decenni iniziali del secolo, i carichi delle Indie diminuirono121. Fallivano cosí due dei tre pilastri del sistema finanziario, quello del flusso dei tesori americani e quello della fluidità delle imposte che servivano per consolidare il debito. Venivano meno proprio quando c'erano problemi con i creditori e quando, già definitivamente, la banca castigliana, subordinata nel suo funzionamento al capitalismo cosmopolita internazionale, in parte come conseguenza dei rapporti con i genovesi, si dimostrò incapace di realizzare il cambiamento122.
Quanto detto non è esclusivo del caso spagnolo; tuttavia una serie di valutazioni qualitative offrono un'idea piú ampia del fenomeno.
La conseguenza di tutto ciò non fu solo un apparato produttivo molto debole, caratterizzato da forme di organizzazione industriale incapaci di competere con quelle dell'Olanda e dell'Inghilterra, in un modo nel quale la lotta per il mercato mondiale e la difesa militare, soprattutto navale, di aree di importanza economica e politica si stava convertendo in qualcosa di inevitabile. La frode, la corruzione istituzionale erano, da una parte, elementi di stabilità del sistema, ma contribuivano alla sua enorme fragilità di fronte ai nemici esterni. Specialmente se si tiene conto della grandezza di quell'esteso impero che moltiplicava i costi di mantenimento e di controllo, cosí come le opportunità di corruzione, contrabbandi e corruttele, in maniera piú rapida del ritmo di incremento delle sue disponibilità. La continua estensione del « settore pubblico» , di fatto utilizzata a fini privati, determinava « costi di protezione» 123 crescenti, ma non diminuivano né le incertezze né i costi di transazione. Al contrario di quanto sostiene D. North, non perché si sarebbe prodotta una concentrazione di funzioni nell'ambito della burocraziache124, in realtà, fu importante solo nell'amministrazione coloniale, ma in quanto, soprattutto dalla fine del XVI secolo, si accentuò la « devoluzione di competenze» di cui parlava Thompson e il decentramento amministrativo che, come segnalò Vicens Vives, seguendo le indicazioni di Van Klaveren, era la base della riproduzione del sistema ma anche della corruzione e della venalità125. La politica mercantilista e il caso degli intenti di Olivares lo conferma era molto difficile da applicare, non solo sul versante della difesa dei mercati esteri o coloniali, ma anche su quello della difesa del mercato interno, in un paese dove a volte, anche con il permesso del re, si concedevano licenze di contrabbando che in qualche caso, come ad esempio quella concessa al duca di Medinasidonia, potevano afferire a prodotti per un valore fino a 200.000 ducati. Nella misura in cui dogane importanti, come quella di San Lucar de Barrameda, erano nelle mani di signori, l'applicazione di una politica protezionistica in un paese che presentava svantaggi economici rispetto ad altri, era praticamente impossibile126. Se si tiene presente che la Spagna doveva difendere nello stesso tempo il sistema coloniale piú esteso del mondo e che, trattandosi di una monarchia pluristatale, l'applicazione di misure protezionistiche poteva aggravare le tensioni tra territori le cui economie si basavano in parte sul trasferimento di prodotti tra gli uni e gli altri, si capirà la complessità della situazione.
Neanche è strano, considerando tutto ciò che le rotture politiche piú decisive furono scatenate dai propositi di estendere la pressione fiscale ad altre aree dell'impero. Questa era la conseguenza non solo dell'enorme sforzo per conseguire liquidità, come abitualmente si ricorda, ma anche della stessa costituzione di un sistema di potere che aveva avuto il suo scenario in Castiglia e che partiva dalla necessità di superare le contraddizioni della società castigliana nel suo sviluppo storico integrale.
Questo non significa che non si manifestasse, già nel XVII secolo, una chiara tendenza al recupero. I nostri grafici della popolazione e della produzione per diverse aree testimoniano il contrario. Come si può vedere, nella Valle del Duero la ripresa produttiva e demografica inizia già dal 1640 (si veda il grafico 2). Inoltre essi attestano che quella tendenza è soprattutto precoce e chiara nelle zone periferiche ed anche, offrendo un panorama regionale piú contrastato, correggono l'idea troppo pessimista che si è avuta della recessione del XVII secolo nella penisola (si veda il grafico 3, che illustra gli indici di differenti regioni interne e periferiche). Naturalmente in un'economia cosí frammentata, le ragioni si devono cercare nei meccanismi che operano su scala regionale, dipendenti non solo dalle differenze dell'apparato istituzionale tra i diversi territori, bensí anche da un fatto che sarebbe persistito come frutto delle differenze geografiche e di questa riproduzione del quadro giuridico nel quale si muovevano i rapporti sociali: la sopravvivenza di strutture produttive molto diverse, anche a seconda delle zone. Ciò non dovrebbe indurci però neanche ad una visione eccessivamente ottimista della « crisi» . L'economia castigliana, come minimo, patí un chiaro ristagno nel momento in cui alcuni paesi europei, in particolare Olanda e Inghilterra, crescevano in termini generali e altri, come la Francia, resistevano molto meglio alle difficoltà economiche. Va aggiunto che la recessione sarebbe stata caratterizzata dalla sua durata. Diverse aree, principalmente all'interno, non avrebbero recuperato fino alla seconda metà del XVIII secolo i livelli produttivi e demografici del XVI secolo (si vedano i grafici 2 e 3). Il fallimento del modello espansivo del XV secolo avrebbe avuto per giunta una conseguenza molto negativa che non si riflette quantitativamente nelle nostre serie relative alla produzione e alla popolazione, ma che è giusto valutare nella sua esatta misura: la crisi di tutto un sistema urbano nell'interno della penisola senza che se ne affermasse un altro. Un fatto che non è irrilevante se si tiene conto che la crescita economica moderna dovrebbe avere come fondamento l'articolazione del mercato interno, passo imprescindibile per la formazione di reti commerciali che sfoceranno nella rivoluzione industriale. La crescita del XVIII secolo nell'interno della penisola si avviò senza cambiamenti istituzionali sostanziali e, pertanto, con una certa sopravvivenza delle regole del gioco. Dall'evoluzione naturale di queste regole con l'accumulazione di proprietà privilegiata proverrebbero trasformazioni decisive come la formazione di un nucleo potente di arrendatori di terre e di rendite. In ogni caso questa crescita, che era già un elemento di convergenza con il resto dell'Europa, non si consumerebbe fino alla crisi ultima del sistema, alla fine del XVIII secolo, che terminerebbe con strutture sociali piú rigide, soprattutto in Castiglia.
Studi Storici 1, gennaio-marzo 1995 anno 36
Bartolomé Yun Casalilla,
Trasformazioni e continuità in Castiglia nel secolo d'oro.
Riflessioni per una storia sociale dell'economia
116 Gli studi sull' arbitrismo iniziano ad essere già molto numerosi. A parte quelli citati prima, bisogna ricordare quelli di J. H. Elliott, Self-perception and decline in early seventeenth-century Spain, in « Past & Present» , 1977, n. 74, e l'opera fondamentale per capire le intenzioni pratiche di questo riformismo, The Count-Duque of Olivares. The Statement in an Age of decline, Yale-London, 1986.
117 Sull'evoluzione delle entrate ordinarie della nobiltà e sui problemi economici sorti per questo motivo nel secolo XVII si possono vedere, tra gli altri, Ch. Jago, The crisis of the aristocracy,cit.; I. Atienza, Aristocracia,cit., pp. 291-327. Le entrate del clero sono ben conosciute in molti studi locali, ma senza dubbio il piú rappresentativo dal punto di vista generale è quello di M. Barrio, The property and the revenues of Church in the diocese of Segovia in XVIIIth century, in « The Journal of European Economic History» , vol. 19, 1990, n. 2, pp. 233-255.
118 Su tutte queste questioni, inclusa l'ultima, spesso dimenticata, si vedano A. Domínguez Ortíz, Política y hacienda de Felipe IV, Madrid, 1960, pp. 197-204; e anche Política fiscal y cambio social en la España del siglo XVII, Madrid, 1984.
119 Si consideri il caso di Siviglia, già citato sopra, ma utile anche in questo senso, cfr. J. I. Martínez Ruíz, Finanzas municipales,cit., pp. 263-288. Sull'abolizione delle Cortes cfr. I. A. A. Thompson, The end of the Cortes of Castile, in Crown and Cortes. Governement, institutions and representations in Early-Modern Castile, Great Yarmouth, 1993, cap. VII.
120 J. Fayard, Los miembros del Consejo de Castilla en la época moderna, 1621-1746, Madrid, 1982. Sulla frode e la corruzione ho proposto un'interpretazione e compiuto una revisione della bibliografia disponibile in B. Yun Casalilla, Corrupción, fraude, eficacia hacendística y economía en la España del siglo XVII, in « Hacienda Pública Española» , El fraude fiscal en la Historia de España , 1994, n. 1, pp. 47-60. Dopo la redazione di questo lavoro, è stato pubblicato uno studio monografico che può servire da modello per il fenomeno su scala locale: J. M. de Bernardo Ares, Corrupción política y centralización administrativa. La hacienda de propios en la Córdoba de Carlos II, Córdoba, 1993.
121 Il tema dell'esistenza di una crisi nell'economia coloniale ha dato luogo ad un'interessante polemica in J. Te Paske and H. S. Klein, The seventeenth-century crisis in New Spain: Myth or reality?, in « Past & Present» , 1981, n. 90, pp. 116-135; H. Kamen and J. Israel, The seventeenth-century crisis in New Spain: mith or reality?;e J. Te Paske and H. S. Klein, A rejoinder, entrambi in « Past & Present» , 1982, n. 97, pp. 144-161.
122 Per le relazioni tra la banca castigliana e la grande banca genovese si veda F. Ruíz Martín, Lettres marchandes échangées entre Florence et Medina del Campo, Paris, 1965. Sulle difficoltà del circuito finanziario-fiscale durante il XVII secolo cfr. F. Ruíz Martín, Las finanzas de la Monarquía Hispánica en tiempos de Felipe IV (1621-1665), Madrid, 1990.
123 Riporto alcune delle idee espresse già da qualche tempo da N. Steensgaard, per spiegare la crisi del XVII secolo come « crisi di distribuzione» . Secondo il suo parere, l'estensione di competenze del settore pubblico sarebbe stata la chiave di una maggiore pressione fiscale, che implicava piú una crisi di distribuzione di risorse, nella misura in cui queste erano convogliate nella difesa e nelle spese belliche, che una crisi di produzione. Si veda il suo The Seventeenth-Century Crisis, in G. Parker and L. Smith, eds., The General Crisis of the Seventeenth Century, London, 1978, pp. 26-56.
124 D. North, Institutions, Transaction Costs, and the Rise of Merchant Empires, in J. D. Tracy, ed., The Political Economy of Merchant Empires. State Power and World Trade, 1350-1750, Cambridge, 1991, p. 26.
125 I tre autori citati aprono, a mio avviso, una linea di ricerca e un confronto di ipotesi, purtroppo molto poco considerate dagli storici dell'economia, ma che potrebbero essere di grande utilità e che qui voglio solo segnalare. La linea in questione fu anche seguita da J. Vicens Vives, che, come Van Klaveren, riteneva che la corruzione arrivò ad essere essenziale nel funzionamento del sistema amministrativo e politico: si veda Estructura administrativa estatal en los siglos XVI y XVII, in Conyuntura económica y reformismo burgués, Barcelona, 19744, pp. 135-140. Si vedano inoltre nonostante le critiche che i suoi lavori riceverebbero da Carande J. Van Klaveren, Die historiche Ersheinung der Korruption, in ihrem Zusammenhang mit der Staats- und Gesellschaftruktur betrachtet, in « Vieteljahrschrift für Sozial-und Wirtschaftsgeschichte» , XLIV, 1957 e XLV, 1958, e I. A. A. Thompson, Guerra y decadencia. Gobierno y administración en la España de los Austrias, 1560-1620, Barcelona, 1983.
126 A. Domínguez Ortíz, La conspiración del Duque de Medinasidonia y el Marqués de Ayamonte, in Crisis y decadencia de la España de los Austrias, Barcelona, 19733, p. 134. L'esempio si potrebbe estendere alla società, con casi anche piú notevoli di permessi di tratte e commercio concessi a personaggi ancora piú vicini alla corte, come gli stessi Lerma e Olivares, durante i loro periodi di governo.