A me piace nella nostra città ritornare, donde alle due passate piacque di dipartirsi, e come uno nostro cittadino la sua donna perduta racquistasse mostrarvi.
Fu adunque in Firenze un nobile giovane, il cui nome fu Tedaldo degli Elisei, il quale d'una donna, monna Ermellina chiamata e moglie d'uno Aldobrandino Palermini, innamorato oltre misura per gli suoi laudevoli costumi, meritò di godere del suo disiderio. Al qual piacere la Fortuna, nimica de'felici, s'oppose; per ciò che, qual che la cagion si fosse, la donna, avendo di sé a Tedaldo compiaciuto un tempo, del tutto si tolse dal volergli più compiacere, né a non volere non solamente alcuna sua ambasciata ascoltare ma vedere in alcuna maniera; di che egli entrò in fiera malinconia e ispiacevole; ma sì era questo suo amor celato, che della sua malinconia niuno credeva ciò essere la cagione.
E poiché egli in diverse maniere si fu molto ingegnato di racquistare l'amore che senza sua colpa gli pareva aver perduto, e ogni fatica trovando vana, a doversi dileguar del mondo, per non far lieta colei che del suo male era cagione di vederlo consumare, si dispose. E, presi quegli denari che aver potè, segretamente, senza far motto ad amico o a parente, fuor che ad un suo compagno il quale ogni cosa sapea, andò via e pervenne ad Ancona, Filippo di Sanlodeccio faccendosi chiamare; e quivi con un ricco mercatante accontatosi, con lui si mise per servidore e in su una sua nave con lui insieme n'andò in Cipri. I costumi del quale e le maniere piacquero sì al mercatante, che non solamente buon salario gli assegnò, ma il fece in parte suo compagno, oltre a ciò gran parte de'suoi fatti mettendogli tra le mani; li quali esso fece sì bene e con tanta sollicitudine, che esso in pochi anni divenne buono e ricco mercatante e famoso. Nelle quali faccende, ancora che spesso della sua crudel donna si ricordasse, e fieramente fosse da amor trafitto e molto disiderasse di rivederla, fu di tanta constanzia che sette anni vinse quella battaglia.
Ma avvenne che, udendo egli un dì in Cipri cantare una canzone già da lui stata fatta, nella quale l'amore che alla sua donna portava ed ella a lui e il piacer che di lei aveva si raccontava, avvisando questo non dover potere essere, che ella dimenticato l'avesse, in tanto disidero di rivederla s'accese, che, più non potendo sofferir si dispose a tornar in Firenze. E, messa ogni sua cosa in ordine, se ne venne con un suo fante solamente ad Ancona, dove essendo ogni sua roba giunta, quella ne mandò a Firenze ad alcuno amico dell'ancontano suo compagno, ed egli celatamente, in forma di peregrino che dal Sepolcro venisse, col fante suo se ne venne appresso; e in Firenze giunti, se n'andò ad uno alberghetto di due fratelli che vicino era alla casa della sua donna. Né prima andò in altra parte che davanti alla casa di lei, per vederla se potesse. Ma egli vide le finestre e le porti e ogni cosa serrata; di che egli dubitò forte che morta non fosse o di quindi mutatasi.
Per che, forte pensoso, verso la casa de'fratelli se n'andò, davanti la quale vide quattro suoi fratelli tutti di nero vestiti, di che egli si maravigliò molto; e conoscendosi in tanto trasfigurato e d'abito e di persona da quello che esser soleva quando si partì, che di leggieri non potrebbe essere stato riconosciuto, sicuramente s'accostò ad un calzolaio e domandollo perché di nero fossero vestiti costoro.
Al quale il calzolaio rispose:
- Coloro sono di nero vestiti, per ciò che e'non sono ancora quindici dì che un lor fratello, che di gran tempo non c'era stato, che avea nome Tedaldo fu ucciso; e parmi intendere che egli abbiano provato alla corte che uno che ha nome Aldobrandino Palermini, il quale è preso, l'uccidesse, per ciò che egli voleva bene alla moglie ed eraci tornato sconosciuto per esser con lei.
Maravigliossi forte Tedaldo che alcuno in tanto il simigliasse, che fosse creduto lui; e della sciagura d'Aldobrandino gli dolfe. E avendo sentito che la donna era viva e sana, essendo già notte, pieno di vari pensieri se ne tornò all'albergo, e poi che cenato ebbe insieme col fante suo, quasi nel più alto della casa fu messo a dormire. E quivi, sì per li molti pensieri che lo stimolavano e sì per la malvagità del letto e forse per la cena ch'era stata magra, essendo già la metà della notte andata, non s'era ancor potuto Tedaldo addormentare; per che, essendo desto, gli parve in su la mezza notte sentire d'in su il tetto della casa scender nella casa persone, e appresso per le fessure dell'uscio della camera vide là su venire un lume.
Per che, chetamente alla fessura accostatosi, cominciò a guardare che ciò volesse dire, e vide una giovane assai bella tener questo lume, e verso lei venir tre uomini che del tetto quivi eran discesi; e dopo alcuna festa insieme fattasi, disse l'un di loro alla giovane:
- Noi possiamo, lodato sia Iddio, oggimai star sicuri, per ciò che noi sappiamo fermamente che la morte di Tedaldo Elisei è stata provata da'fratelli addosso ad Aldobrandin Palermini, ed egli l'ha confessata e già è scritta la sentenzia; ma ben si vuol nondimeno tacere, per ciò che, se mai si risapesse che noi fossimo stati, noi saremmo a quel medesimo pericolo che è Aldobrandino.
E questo detto con la donna, che forte di ciò si mostrò lieta, se ne sciesono e andarsi a dormire.
Tedaldo, udito questo, cominciò a riguardare quanti e quali fossero gli errori che potevano cadere nelle menti degli uomini, prima pensando a'fratelli che uno strano avevano pianto e sepellito in luogo di lui, e appresso lo innocente per falsa suspizione accusato, e con testimoni non veri averlo condotto a dover morire, e oltre a ciò la cieca severità delle leggi e de'rettori, li quali assai volte, quasi solliciti investigatori del vero, incrudelendo fanno il falso provare, e sé ministri dicono della giustizia e di Dio, dove sono della iniquità e del diavolo esecutori. Appresso questo alla salute d'Aldobrandino il pensier volse, e seco ciò che a fare avesse compose.
E come levato fu la mattina, lasciato il suo fante, quando tempo gli parve, solo se n'andò verso la casa della sua donna; e per ventura trovata la porta aperta, entrò dentro e vide la sua donna sedere in terra in una saletta terrena che ivi era, ed era tutta piena di lagrime e d'amaritudine, e quasi per compassione ne lagrimò, e avvicinatolesi disse:
- Madonna, non vi tribolate: la vostra pace è vicina.
La donna, udendo costui, levò alto il viso e piagnendo disse:
- Buono uomo, tu mi pari un peregrin forestiere; che sai tu di pace o di mia afflizione?
Rispose allora il peregrino:
- Madonna, io son di Costantinopoli e giungo testé qui mandato da Dio a convertire le vostre lagrime in riso e di liberare da morte il vostro marito.
- Come,- disse la donna - se tu di Costantinopoli se'e giugni pur testé qui, sai tu chi mio marito o io ci siamo?
Il peregrino, da capo fattosi, tutta la istoria della angoscia d'Aldobrandino raccontò e a lei disse chi ella era, quanto tempo stata maritata e altre cose assai, le quali egli molto ben sapeva de'fatti suoi; di che la donna si maravigliò forte, e avendolo per uno profeta, gli s'inginocchiò a'piedi, per Dio pregandolo che, se per la salute d'Aldobrandino era venuto, che egli s'avacciasse, per ciò che il tempo era brieve.
Il peregrino, mostrandosi molto santo uomo, disse:
- Madonna, levate su e non piagnete, e attendete bene a quello che io vi dirò, e guardatevi bene di mai ad alcun non dirlo. Per quello che Iddio mi riveli, la tribulazione la qual voi avete v'è per un peccato, il qual voi commetteste già, avvenuta, il quale Domeneddio ha voluto in parte purgare con questa noia, e vuole del tutto che per voi s'ammendi; se non, sì ricadereste in troppo maggiore affanno.
Disse allora la donna:
- Messere, io ho peccati assai, né so qual Domeneddio più un che un altro si voglia che io m'ammendi; e per ciò, se voi il sapete, ditelmi, e io ne farò ciò che io potrò per ammendarlo.
- Madonna, - disse allora il peregrino - io so bene quale egli è, né ve ne domanderò per saperlo meglio, ma per ciò che voi medesima dicendolo n'abbiate più rimordimento. Ma vegnamo al fatto. Ditemi, ricordavi egli che voi mai aveste alcuno amante ?
La donna, udendo questo, gittò un gran sospiro e maravigliossi forte, non credendo che mai alcuna persona saputo l'avesse, quantunque di que'dì, che ucciso era stato colui che per Tedaldo fu sepellito, se ne bucinasse per certe parolette non ben saviamente usate dal compagno di Tedaldo che ciò sapea, e rispose:
- Io veggio che Iddio vi dimostra tutti i segreti degli uomini, e per ciò io son disposta a non celarvi i miei. Egli il è vero che nella mia giovanezza io amai sommamente lo sventurato giovane la cui morte è apposta al mio marito; la qual morte io ho tanto pianta, quanto dolent'è a me; per ciò che, quantunque io rigida e salvatica verso lui mi mostrassi anzi la sua partita, né la sua partita, né la sua lunga dimora, né ancora la sventurata morte me l'hanno potuto trarre del cuore.
A cui il peregrin disse:
- Lo sventurato giovane che fu morto non amaste voi mai, ma Tedaldo Elisei sì. Ma ditemi: qual fu la cagione per la quale voi con lui vi turbaste? Offesevi egli giammai ?
A cui la donna rispose:
- Certo no, che egli non mi offese mai; ma la cagione del cruccio furono le parole d'un maladetto frate, dal quale io una volta mi confessai; per ciò che, quando io gli dissi l'amore il quale io a costui portava e la dimestichezza che io aveva seco, mi fece un romore in capo che ancor mi spaventa, dicendomi che, se io non me ne rimanessi, io n'andrei in bocca del diavolo nel profondo del ninferno e sarei messa nel fuoco pennace. Di che sì fatta paura m'entrò, che io del tutto mi disposi a non voler più la dimestichezza di lui; e per non averne cagione, né sua lettera né sua ambasciata più volli ricevere; come che io credo, se più fosse perseverato, come (per quello che io presuma) egli se n'andò disperato, veggendolo io consumare come si fa la neve al sole, il mio duro proponimento si sarebbe piegato, per ciò che niun disidero al mondo maggiore avea.
Disse allora il peregrino:
- Madonna, questo è sol quel peccato che ora vi tribola. Io so fermamente che Tedaldo non vi fece forza alcuna; quando voi di lui v'innamoraste, di vostra propria volontà il faceste, piacendovi egli; e, come voi medesima voleste, a voi venne e usò la vostra dimestichezza, nella quale e con parole e con fatti tanta di piacevolezza gli mostraste che, se egli prima v'amava, in ben mille doppi faceste l'amor raddoppiare. E se così fu (che so che fu), qual cagion vi dovea poter muovere a torglivi così rigidamente ? Queste cose si volean pensare innanzi tratto, e se credevate dovervene, come di mal far, pentere, non farle. Così, come egli divenne vostro, così diveniste voi sua. Che egli non fosse vostro potavate voi fare ad ogni vostro piacere, sì come del vostro, ma il voler tor voi a lui, che sua eravate, questa era ruberia e sconvenevole cosa, dove sua volontà stata non fosse.
Or voi dovete sapere che io son frate, e per ciò li loro costumi io conosco tutti; e se io ne parlo alquanto largo ad utilità di voi, non mi si disdice come farebbe ad un altro, ed egli mi piace di parlarne, acciò che per innanzi meglio li conosciate che per addietro non pare che abbiate fatto.
Furon già i frati santissimi e valenti uomini, ma quegli che oggi frati si chiamano e così vogliono esser tenuti, niuna altra cosa hanno di frate se non la cappa, né quella altressì è di frate, per ciò che, dove dagl'inventori de'frati furono ordinate strette e misere e di grossi panni e dimostratrici dello animo, il quale le temporali cose disprezzate avea quando il corpo in così vile abito avviluppava, essi oggi le fanno larghe e doppie e lucide e di finissimi panni, e quelle in forma hanno recate leggiadria e pontificale, in tanto che paoneggiar con esse nelle chiese e nelle piazze, come con le loro robe i secolari fanno, non si vergognano; e quale col giacchio il pescatore d'occupare nel fiume molti pesci ad un tratto, così costoro colle fimbrie ampissime avvolgendosi, molte pinzochere, molte vedove, molte altre sciocche femine e uomini d'avvilupparvi sotto s'ingegnano, ed è lor maggior sollicitudine che d'altro esercizio. E per ciò, acciò ch'io più vero parli, non le cappe de'frati hanno costoro, ma solamente i colori delle cappe. E dove gli antichi la salute disideravan degli uomini, quegli d'oggi disiderano le femine e le ricchezze; e tutto il loro studio hanno posto e pongono in ispaventare con romori e con dipinture le menti delli sciocchi e in mostrare che con limosine i peccati si purghino e colle messe, acciò che a loro, che per viltà, non per divozione, sono rifuggiti a farsi frati, e per non durar fatica, porti questi il pane, colui mandi il vino, quello altro faccia la pietanza per l'anima de'lor passati.
E certo egli è il vero che le elimosine e le orazion purgano i peccati; ma se coloro che le fanno vedessero a cui le fanno o il conoscessero, più tosto o a sé il guarderieno o dinanzi ad altrettanti porci il gitterieno. E per ciò che essi conoscono, quanti meno sono i possessori d'una gran ricchezza, tanto più stanno ad agio, ogn'uno con romori e con ispaventamenti s'ingegna di rimuovere altrui da quello a che esso di rimaner solo disidera. Essi sgridano contra gli uomini la lussuria, acciò che, rimovendosene gli sgridati, agli sgridatori rimangano le femine; essi dannan l'usura e i malvagi guadagni, acciò che, fatti restitutori di quegli, si possano fare le cappe più larghe, procacciare i vescovadi e l'altre prelature maggiori, di ciò che mostrato hanno dover menare a perdizione chi l'avesse.
E quando di queste cose e di molte altre che sconce fanno ripresi sono, l'avere risposto: - Fate quello che noi diciamo e non quello che noi facciamo -, estimano che sia degno scaricamento d'ogni grave peso, quasi più alle pecore sia possibile l'esser costanti e di ferro che a'pastori. E quanti sien quegli a'quali essi fanno cotal risposta, che non la intendono per lo modo che essi la dicono, gran parte di loro il sanno.
Vogliono gli odierni frati che voi facciate quello che dicono, cioè che voi empiate loro le borse di denari, fidiate loro i vostri segreti, serviate castità, siate pazienti, perdoniate le 'ngiurie, guardiatevi del maldire, cose tutte buone, tutte oneste, tutte sante; ma questo perché ? Perché essi possano fare quello che, se i secolari faranno, essi fare non potranno. Chi non sa che senza denari la poltroneria non può durare ? Se tu ne'tuoi diletti spenderai i denari, il frate non potrà poltroneggiare nell'ordine; se tu andrai alle femine dattorno, i frati non avranno lor luogo; se tu non sarai paziente o perdonator d'ingiurie, il frate non ardirà di venirti a casa a contaminare la tua famiglia. Perché vo io dietro ad ogni cosa? Essi s'accusano quante volte nel cospetto degl'intendenti fanno quella scusa. Perché non si stanno eglino innanzi a casa, se astinenti e santi non si credono potere essere ? O se pure a questo dar si vogliono, perché non seguitano quella altra santa parola dello Evangelio: - In cominciò Cristo a fare e ad insegnare - ? Facciano in prima essi, poi ammaestrin gli altri. Io n'ho de'miei dì mille veduti vagheggiatori, amatori, visitatori, non solamente delle donne secolari, ma de'monisteri; e pur di quegli che maggior romor fanno in su i pergami. A quegli adunque così fatti andrem dietro? Chi 'l fa, fa quel ch'e'vuole, ma Iddio sa se egli fa saviamente.