Di
esploratori, antiche vele e
immensi oceani
di Giancarlo Manfredi
Si dice che raccontare una storia
non sia molto differente dal cucinare una ricetta raffinata: servono buoni
ingredienti, un giusto dosaggio, appropriati tempi di cottura, un po' di
mestiere e molta passione.
La nostra storia inizia infatti una domenica mattina, nella cucina di casa
mia, sto preparando un chowder di merluzzo per gli amici che arriveranno
per il pranzo.
Capitolo uno - Il chowder -
Il
chowder è una zuppa densa arricchita da pesce, frutti di mare o
verdure; dovrebbe essere liquida abbastanza da poterla inghiottire portando
la scodella alla bocca, ma non acquosa, alquanto densa, ma non tanto da
sembrare uno stufato; il chowder perfetto è fluido e liscio d'impasto.
La sua origine è lontana nel tempo ed è legata alle storie
di mare; il nome è infatti una corruzione del termine francese "chaudiére",
l'enorme caldaia di rame in cui si cucinavano i pesci per la comunità.
Pare che la tradizione sia cominciata dalle mogli dei pescatori bretoni
come offerta di ringraziamento a Dio per il ritorno dei mariti e dei figli
dalle uscite in mare: ogni pescatore che rientrava in porto gettava nel
calderone una parte della sua pesca e tutta la comunità si univa
al festino. Dalla tradizione alla leggenda, dalla leggenda al mito ed ecco
che di una norma conviviale si perde l'usanza, e con questa i sapori e
con quelli il significato.
Ma sto divagando, e non è bene distrarsi quando si taglia con un
coltello affilatissimo il pesce crudo in strisce sottili, mentre volevo
raccontarvi di una storia speciale trasmessa per la prima volta sugli schermi
televisivi americani il 13 maggio del 1995 e ambientata su Deep Space
Nine, nello spazio che va da Bajor a Cardassia: il titolo dell'episodio
è "Explorers". La trama principale è semplice:
cercando di stabilire quanto di vero ci sia in un mito, Sisko ricostruisce
un antico vascello spaziale dotato di vele solari per poter ripercorrere,
insieme al figlio, un viaggio leggendario nella storia di Bajor. Il riferimento
alle storie dei moderni esploratori come Thor Eyerdal e Tim Severin è
preciso.
Capitolo
due - La settima onda -
«La settima onda è
considerata la più pericolosa, quella che può danneggiare
una nave nel tumulto di una tempesta oceanica.
Gli oceanografi contemporanei sanno che questa è solo una superstizione
... eppure l'idea della settima onda persiste e, quando si è aggrappati
al timone di una imbarcazione aperta, nel bel mezzo di una tempesta atlantica,
la tentazione di contare le onde è irresistibile».
L' autore del brano è Tim Severin, che attualmente è uno
stimato membro della Royal Geographical Society, ma soprattutto
è un esploratore. Severin studia polverosi manoscritti, ricostruisce
antiche imbarcazioni cercando di replicare i metodi originali, e ritracciare
le rotte dimenticate per provare che una leggenda forse non è così
impossibile. Con lo stesso spirito il comandante di Deep Space Nine ricostruisce
una "Lightship".
Tim Severin nasce nel 1940
e si laurea alla Università di Oxford. Nella sua vita ha attraversato
l'Atlantico su una barca di cuoio sulle tracce di San Brendano, ha comandato
uno sciabecco arabo dal porto di Muscat alla Cina, ha timonato una galea
per verificare il mito di Giasone, ha ripercorso la strada della Prima
Crociata, ha attraversato la Mongolia a cavallo con i nomadi per trovare
le origini di Genghis Khan, ha veleggiato nel Pacifico su una zattera di
bambù per provare che antichi marinai cinesi avrebbero potuto raggiungere
l'America.
Ognuna di queste avventura è narrata in un libro che immancabilmente
è diventato un best-seller. Quando non viaggia, Tim Severin vive
nella Contea di Cork, Irlanda.
Capitolo
tre - Lightship -
La
"Lightship" è una nave spaziale usata dagli antichi bajoriani,
spinta dalla leggera pressione del sole di Bajor. Le navi a vele solari,
conosciute anche come "navi luce", non hanno reattori ad impulso
o un sistema di propulsione a curvatura, ma hanno enormi vele riflettenti
che catturano il tenue vento solare. Lo spazio destinato all'equipaggio
è minimo al fine di risparmiare sulla massa.
Tali navi furono usate otto secoli fa per esplorare il sistema di Bajor.
Qualche antico navigatore ha persino raggiunto Cardassia. Sino a poco tempo
fa, gli studiosi cardassiani rigettavano la possibilità che i bajoriani
avessero attraversato lo spazio interstellare tanto tempo prima, ma tale
possibilità fu dimostrata nel 2371 da Benjamin Sisko che costruì
un vascello solare a partire da antichi disegni.
La nave di Sisko fu catturata nella "Cintura di Denorios" da
venti tachionici (n.d.a. I tachioni sono particelle subatomiche che esisterebbero
solo a velocità superiori a quella della luce; sono stati ipotizzati
già negli anni settanta) che la spinsero a velocità superiore
a quella della luce fino a Cardassia. Poco dopo l'arrivo di Sisko gli archeologi
cardassiani riportarono il ritrovamento di un antico relitto di una nave
su Cardassia.
Dell'episodio Explorers, Mark A.Altman (editore di "Sci-Fi
Universe") dice nel suo libro "Trek Navigator" : «...l'intero
concetto delle vele solari è fantascienza appassionante ed è
ben realizzato».
Capitolo
quattro - Le vele solari -
Fantascienza? No di certo,
poichè si sa da tempo che la difficoltà ed i costi del viaggio
spaziale potrebbero essere ridotti se le astronavi non fossero costrette
a portarsi il carburante dei propri propulsori: veicoli spinti da vele
solari potrebbero approfittare della più grande energia gratuita
del sistema solare: il Sole.
L'idea
originale delle vele solari è comunemente accreditata all'ingegnere
russo Friedrich Tsander che descrisse il concetto di base nel 1924.
Il Sole genera continuamente luce e calore attraverso un processo di fusione
nucleare; sebbene sia troppo debole da percepire, i fotoni che colpiscono
una superficie determinano una leggera pressione. Il Sole emette inoltre
una corrente di particelle cariche denominata "vento solare".
Una vela solare dovrebbe essere tessuta in un materiale estremamente fine
e robustissimo, e dovrebbe estendersi per una superficie di diverse centinaia
di metri quadrati. L'effetto della radiazione emessa dal Sole spingerebbe
questa vela nello stesso modo in cui il vento spinge una barca a vela tradizionale.
L'accelerazione prodotta da una vela solare è molto piccola, dell'ordine
di pochi millimetri al secondo. D'altro canto il vento solare produce una
spinta costante che nel giro di alcuni mesi porterebbe alla rispettabile
accelerazione di decine di metri al secondo. Studi condotti negli anni
'80 al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, California, hanno portato
all'ideazione di prototipi, sfortunatamente mai costruiti né lanciati.
Ma questa è solo speculazione teorica che non ci aiuta a capire
il senso della traversata compiuta da Benjamin Sisko. Diamo per scontato
troppe cose, certo, i replicatori, i computer, la tecnologia sono essenziali,
ma il mare interstellare è altra cosa, specialmente se affrontato
su una nave ricostruita sulla base di antiche tradizioni, certamente senza
rispettare i rigidi standard di sicurezza della Flotta Stellare, senza
neanche un ponte ologrammi!
Capitolo
cinque - Navigatio Sancti Brendani -
Ed
ecco che la narrazione dell'impresa di Tim Severin ci viene in aiuto:
"Navigatio Sancti Brendani", tradotto alla lettera "il viaggio
di San Brendano", è un testo in latino di cui esistono parecchie
versioni manoscritte che risalgono all'incirca al nono secolo dopo Cristo.
Racconta come San Brendano, monaco che viveva nell'Irlanda occidentale
del 500, avesse ricevuto una visita da un altro religioso irlandese che
gli aveva descritto una terra meravigliosa nel lontano Occidente, oltreoceano,
dove regnanva suprema la parola di Dio.
Così Brendano aveva costruito una barca il cui scafo consisteva
in una struttura di legno rivestita di pelli di bue. Poi, con un carico
di provviste, pelli di bue di scorte e grasso per ungerle, con un equipaggio
di 17 monaci, il santo si era messo in mare per trovare quella Terra Promessa.
Il viaggio, lungo e duro avrebbe condotto Brendano a toccare la costa della
loro meta, prima di alzare le vele e tornare in Irlanda.
Il racconto non manca di episodi leggendari, quello ad esempio dello sbarco
sul dorso di un pesce scambiato per un'isola, o il gigantesco cristallo
galleggiante sul mare, o, infine come fossero stati bersagliati, dagli
abitanti di un'isola, con pietre infuocate. Gli storici non sono uniti
nell'attribuire gli innumerevoli episodi ad un singolo viaggio, pur concordando
nella veromiglianza delle descrizioni di incontri con balene, iceberg e
vulcani. Ma il problema più grave era dovuto al fatto che non si
riteneva possibile un viaggio di sette anni in una barca di cuoio anche
se costruita sul modello dei "curragh" irlandesi.
Capitolo
sei - Il viaggio del Brendano -
Nel
1975 Tim Severin, decise di provare a se stesso e al mondo che l'impresa
era possibile. Anzitutto ricostruì la rotta originale basandosi
sul fatto che le tappe del viaggio di San Brendano coincidessero con laposizione
delle principali isole del nord Atlantico (le Ebridi, le Far Oer, l'Islanda,
i banchi di Terranova, la Groenlandia e il Labrador). Quindi, consultando
le carte dei venti e delle correnti dell'Atlantico settentrionale appurò
che effettivamente la rotta più logica era dall'Irlanda verso nord-est
fino alle Ebridi, quindi a nord fino all'islanda, quindi a ovest verso
la Groenlandia ed infine a sud verso Terranova e oltre.
Questa, nonostante l'effetto visivo dovuto alla proiezione delle carte,
è la rotta più breve tra il nord Europa e il nord America,
ed è nota a marinai ed aviatori come la "Stepping Stone Route".
Infine, con la collaborazione di mastri artigiani e studenti volontari,
ricostruì una imbarcazione in cuoio conciato al tannino e frassino,
il tutto impregnato di lanolina, seguendo le indicazioni dei testi medievali.
L'imbarcazione venne chiamata appunto "Brendano".
Tra il 1975 ed il 1976, con un equipaggio non professionista, Severin attraversò
l'Atlantico sul Brendano, un curragh di 10,8 metri fuori tutto, armato
con due vele quadre e munito di timone e derive laterali. Senza ponte coperto,
nè cucina, nè bagno.
Capitolo
sette - I personaggi -
L'episodio
Explorers è degno di nota anche per gli altri intrecci della
sceneggiatura; dice Edward Gross, editore di "Cinescape" parlando
del rapporto tra Benjamin e Jake Sisko: «...un episodio che lavora
sul piano di sincere emozioni tra due uomini fatti di carne e sangue»
e gli dà un voto di: ****, il massimo!
E ultimo, ma non meno importante, qui fa la sua prima apparizione il personaggio
della "Dabo girl" Leeta.
Conclusione
Siete curiosi adesso di procurarvi
la video cassetta per vedere (o rivedere) Explorers?
Non so se qualcuno di noi possa veramente comprendere cosa vuol dire solcare
l'Atlantico settentrionale su di una barca medievale, quando anche solo
il pensiero di tenere i mocassini di cuoio in una pozzanghera di pioggia
invernale ci infastidisce. E' proprio qui il bello di questa storia: il
viaggio di Sisko ci aiuta ad entrare nel giusto spirito della cosa. L'importante
è il sapore che rimane in noi dopo aver visto questo episodio: ha
un sentore di salsedine e di leggende marinare. E il retrogusto che ci
rimane quando partono i titoli di coda è di esploratori, antiche
vele e immensi mari.
Riferimenti bibliografici
Star Trek Deep Space Nine,
episodio Explorers, 1995
Philip S. Schulz, America e la sua grande cucina, Rizzoli 1990
Tim Severin, Il viaggio del Brendano, Mondadori 1978
Andre Bormanis, Star Trek Science Logs, Pocket Books 1998
A.A.V.V. , Star Trek Encyclopedia, Pocket Books 1997
Mark Altman - Edward Gross, Trek Navigator, Little, Brown & co., 1998